(18/07/2011) TEATRI DI BABELE Defurbizzare l'Italia – 1 Impazza un Curatore di Rubrica che di riffa o di raffa parla dei prodotti del proprio canestro. Che sia legittimo o meno lo si può discutere (infatti mica è illegale); ma si pone un problema. Premetto che gli operatori culturali hanno bisogno di promuovere le loro iniziative, e in genere affidano agli addetti stampa il compito di diffondere le informazioni riguardanti un evento. E' così che tutti, in teoria alla pari, si arrabattano e si dannano per avere uno spazietto, magari con foto, sui giornali nazionali e locali. Del resto, diceva un grande critico d'arte, questa è l'epoca dell'”horror pleni” e non dell'”horror vacui”: orrore del pieno e non del vuoto. Il pieno delle pance, delle immagini, della chiacchiera, degli intrecci ambigui tra funzioni e ruoli professionali in contrasto tra loro. I giochetti che si possono fare sono tanti per far passare la pubblicità ai prodotti del proprio canestro attraverso una rubrica: basta usare il plurale maiestatis per esempio, in modo che il lettore possa credere ci sia un'opinione pubblica o un consenso generalizzato dietro quella firma e quelle argomentazioni. Oppure architettare una struttura comunicativa che parta dall'universalmente noto per approdare via via all'individuazione e alla promozione diretta di quello specifico prodotto (ad esempio: “che bello sarebbe il mondo se non avessimo il problema dell'inquinamento. La nostra benzina ecologica è una soluzione al problema”). Ma, come si vede, tutto ciò attiene all'ambito della pubblicità e non al giornalismo, e men che meno all'opinionismo (brutta parola che però rende l'idea - anch'io del resto sono “opinionista”, oltre che operatore culturale, anche se a me interessano più le idee delle opinioni). Ad ogni modo resta il fatto che la pubblicità, giustamente, si paga, mentre uno spazio autogestito no. Ecco allora che tocchiamo un nervo scoperto: se uno spazio di divulgazione culturale disinteressata diventa occasione di promozione per il proprio lavoro parallelo di operatori culturali non dovremmo sentire un brivido di raccapriccio? Oppure nell'epoca dell'”horror pleni” non c'è più posto per la vigilanza che chi è a stomaco vuoto dardeggiato dalla visione fine che la leggerezza di panza pur gli dona - invece tiene allenata come un necessario strumento di smascheramento dei giochi di finzione della società mediatica? Daltronde, che ci fanno ancora in giro gli intellettuali? Non vi prudono le mani solo a sentire questa parola? Non sarebbe il caso che venissero tutti sterminati e al loro posto si erigesse Franco Acquaviva la grande, doppiopettuta casta dei rubamazzetto?