TOMMASO SGARRO STRUTTURE ESISTENZIALI

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TOMMASO SGARRO
STRUTTURE ESISTENZIALI DEL
MONOTEISMO
(Il nomade e la steppa)
Edizione riveduta ed ampliata
stamperiauniversitaria
Roma-Bari 2009
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Possibile e necessario
a) La nostalgia dell’approdo
Se si guarda alla causa finale del cosmo, tutto sembra muto
e privo di senso; la causa finale, che Spinoza cercò di necessitare immergendo il mondo in Dio e Dio nel mondo, viene
radicalmente rifiutata da Feuerbach come costrutto logico e
metafisico per assumere pieno e sostanziale valore materiale.
«La meraviglia religiosa per il mondo con cui la sapienza divina si manifesta nella natura non esprime un entusiasmo totale; essa è rivolta soltanto ai mezzi, mentre viene meno
quando riflette ai fini della natura. Qual meraviglia l’imbuto
che il mirmicoleone ha costruito nella sabbia! Ma a che cosa
mirano questi sagaci preparativi? A procurare il nutrimentoun fine che l’uomo in sé, riduce a mero mezzo»41. Dipendiamo dal seno della natura costantemente e confondiamo il
mezzo della sopravvivenza con il suo fine. La liberazione da
questa dipendenza materiale con-strutturata all’uomo, il progresso verso una società scientificamente avanzata che possa
a tutti garantire sostentamento, è la lotta quotidiana contro
qualsiasi Altro che ci rassereni che ci faccia da approdo sicuro ma immateriale. Sarà il fronte che da Feuerbach a Marx, si
41
L.Feuerbach, Essenza della religione, ed.cit., pag.101.
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aprirà come assoluta potenza immanente della classe proletaria per liberarsi dall’oppio religioso verso il sol dell’avvenire.
Ma il grande passo falso di Marx (quanto di Feuerbach) è
stato non comprendere che tra religioso è spirituale in realtà
c’è una frattura incolmabile, che rappresenta la frattura stessa
dell’essere-nel-mondo. Heidegger sostiene che noi siamo
presso le cose, non siamo nelle cose, e questa è un insieme di
distanze che fa della radura, della steppa la nostra casa, ma in
qualche modo la rende anche poco ospitale.
La sproporzione in cui l’uomo sta e che ci “tedia”, non richiede altri oggetti per essere colmata. E’ semplicemente incolmabile, semplicemente presente a noi come un dato a cui
non sappiamo dare voce o nome se non esprimendola in
modo nostalgicamente espressivo. Qui si che il linguaggio di
Dio si rende espressione e l’espressione come trasformazione, mutamento della percezione del mondo da parte degli
uomini, diventa il codice con cui leggere il segno di uno stare
all’interno di un concetto, perché non rappresenta di per sé
un ente qualificabile, ma una condizione di esistenza. Noi
siamo in Dio nel senso che siamo all’interno dell’espressione
di un rapporto di patimento da parte del nostro «corpo nel
mondo».
Dice ad esempio Horkheimer: «Non possiamo provare
l’esistenza di Dio. La coscienza del nostro abbandono, della
nostra finitezza non è una prova dell’esistenza di Dio, ma
può produrre solo la speranza che ci sia un assoluto positivo.[…]…la conoscenza dell’abbandono dell’uomo è possibile solo per il tramite del pensiero di Dio, ma non tramite una
certezza assoluta di Dio»42. Il senso della nostalgia infinita
42
M.Horkheimer, La nostalgia del totalmente Altro, Brescia 1982, pag.69-70.
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dell’uomo cela la richiesta nella steppa, della meta, d’un orizzonte che comprenda ogni oggetto dato al di fuori di noi e
che segni la quadratura del cerchio. La nostra ricerca fra gli
oggetti ci conduce all’invalicabile coscienza che «il mondo
nel quale viviamo è un relativo»43, il trasformare questo in
qualcosa di cosale, che può essere detto quindi, non segna
mai il passo della ricerca dell’orizzonte ma la conduce oltre.
Il pensiero di Dio è pensar-ci sempre nel mondo. Nella
steppa dove tutto si dilata partono più punti di fuga, il pensiero si fa caotide (nella oramai classica definizione di Deleuze e Guattari) secante il caos, tangente l’eterno e ciclico vagare che regna nel cosmo. Noi allora siamo in Dio, non perché
Dio sia la natura da cui dipendiamo o la natura stessa, ma
perché siamo nei confini stessi di un’esistenza che pur non
riuscendo ad ottenerla, chiede pacificazione e riparo. Lo stare nell’indefinibile rinvia qualsiasi “noetica” a qualcosa di assolutamente Altro. Il nomade sogna la casa ma sa che la sua
casa è essenzialmente la steppa stessa. Ogni tentativo di darsi
un comportamento mina alla base la possibilità stessa del suo
viaggio. «Tutti i tentativi di fondazione di una morale […] riposano su illusioni di impossibili concordanze. Tutto ciò che
ha stretto rapporto con la morale,[…] rimanda in ultima analisi con la teologia»44. Alla domanda di Gumnior su cosa sia
da intendere qui per teologia, Horkheimer risponde: «Teologia significa qui la coscienza che il mondo è fenomeno, che
non è la verità assoluta, la quale solo è la realtà ultima. La
teologia è[…] la speranza che, nonostante questa ingiustizia
che caratterizza il mondo, non possa avvenire che
43
44
Ibidem.
M.Horkheimer, La nostalgia del totalmente Altro, ed.cit., pag. 74.
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l’ingiustizia possa essere l’ultima parola[…] espressione di
una nostalgia, di una nostalgia, secondo la quale l’assassino
non possa trionfare sulla vittima innocente»45. La religione
abbandona questo mondo per solcare gli alti celi della luna,
ma è solo un movimento apparente. In realtà l’”ingiustizia”
di Horkheimer è nient’altro che l’impossibilità di darsi un
qualsiasi ordinamento sociale che ponga limite al vagare.
Nella steppa non ci sono villaggi ma solo piccoli accampamenti che si muovono di volta in volta seguendo le stelle.
L’impossibilità di determinare socialmente la sproporzione
tra finito e infinito volge nella paura che il grande rammendo
sia una illusione. L’uomo dona senso al mondo ma si pone a
sua volta la domanda sul suo senso nel modo, così ogni fondo viene a mancare e l’autocoscienza è, parafrasando una celebre espressione hegeliana, impossibilitata nel suo rammendo. I calzari, le calze del nomade che vive nella steppa sono
consumati, rotti, al limite della loro utilizzabilità. «L’assenza
di senso nel destino dell’individuo, la quale già pria era determinata dall’assenza di ragione, della pura naturalità del
processo di produzione, nella fase attuale si è tramutata in un
senso caratteristico dell’esistenza. Ciascuno è abbandonato al
suo cieco caso.
Da qui la sua nostalgia di perfetta è consumata giustizia»46.
Ci viene ineluttabilmente a mancare il vero grande rammendo, la sintesi hegeliana; la speranza che l’esistenza di un singolo all’interno di un processo storico sia piantata all’interno
di un progetto immanente alla storia stessa, espressione della
Ragione universale da realizzare nel processo del Geist, dello
45
46
M.Horkheimer, La nostalgia del totalmente Altro, ed.cit., pag. 74-75.
M.Horkheimer, La nostalgia del totalmente Altro, ed.cit., pag. 84.
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Spirito. Hegel in realtà non ha fatto altro che portare a compimento il grande progetto di razionalizzazione attraverso
Dio, del mondo, già cominciato da Spinoza. E’ evidente già
dalla semplice ripresa del concetto spinoziano di sostanza
compiuto dal pensatore tedesco.
b) La speranza nell’assoluto (Hegel)
La storia è per Hegel «storia universale», storia della ragione universale, che la conoscenza speculativa dimostra essere sostanza, vale a dire «ciò per mezzo di cui e in cui ogni
realtà è sussistente»47. Solo la ragione universale è ciò che
può essere compresa, ciò che ha valore per essere compresa,
perché solo il razionale inteso appunto come l’espressione
della ragione universale stessa«…è ciò ch’è in sé e per sé, e
attraverso cui ogni uomo ha il suo valore»48. Ciò che avviene
nella storia non può che avvenire all’interno ed in virtù della
ragione stessa, perché «la trattazione stessa della storia: [.] è
l’immagine e l’atto della ragione»49. Tutto la storia non è altro
per Hegel che il processo all’interno e attraverso il quale la
ragione universale si conosce50. «Lo spirito del mondo è lo
spirito in universale»51. Ma lo spirito universale non rimane
per Hegel un concetto astratto che dall’alto governa il mondo, ma qualcosa che interferisce nella profondità della storia
47
G.W.F.Hegel, Lezioni di Filosofia della Storia, Firenze,pag. 7.
G.W.F.Hegel, Lezioni di Filosofia della Storia, ed.cit., pag. 8.
49
G.W.F.Hegel, Lezioni di Filosofia della Storia, ed.cit., pag. 9.
50
G.W.F.Hegel, Lezioni di Filosofia della Storia, ed.cit.,«La ragione riposa in sé e ha in sé il
suo fine; essa porta se stessa all’esistenza e realizza il suo sviluppo. Il pensiero deve acquistar consapevolezza de questo fine della ragione» (pag. 9).
51
G.W.F.Hegel, Lezioni di Filosofia della Storia, ed.cit., pag. 10.
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