Tra le rovine dell`esistenza. Sofferenza Psicoterapia

Antonio De Luca
Tra le rovine dell’esistenza. Sofferenza Psicoterapia Ripresa
(Introduzione di B. Callieri, Presentazione di G. Di Petta), Edizioni Universitarie
Romane, Roma 2011.
Recensione di Sandro Rodighiero
Questo è un libro bellissimo, un testo strano, diverso e magnifico.
Non è un trattato, è un diario, un diario di viaggio, di un viaggio nelle tenebre dell’inferno.
Antonio De Luca non scrive un manuale di clinica, di psicoanalisi o di psicopatologia, non descrive
come guarire o lenire le sofferenze dei suoi pazienti, non fa riferimento agli autori classici che
potrebbero aiutarlo in questo percorso, se ne allontana il più possibile.
In questo libro affronta un percorso difficile, usa la filosofia, descrive lo scorrere dei suoi pensieri,
come nascono e che senso hanno nell’incontro con l’Altro e cosa nasce nella testa dell’altro, come
felicemente copulano i pensieri incontrandosi.
Non cita maestri della clinica o della psicoanalisi, ma i poeti che hanno il dono con la poesia di
capire tutto, prima degli scienziati e cita anche tutti i maggiori filosofi che hanno cercato di dare un
senso alla speculazione intellettuale.
Descrive, a chi si incammina nella strada della formazione alla psicoterapia, quale fatica debba
intraprendere, quali difficoltà si incontrino, usando un linguaggio neutro e universale come la
filosofia, non si inoltra in tecnicismi psicoanalitici o psicopatologici.
Non è un trattato sulle tecniche e gli effetti della psicoterapia, ma è un trattato sulla filosofia dello
psicoterapeuta, sull’essenza e sull’etica del suo mestiere. Per questo dovrebbe essere un testo
obbligatorio in tutte le scuole di psicoterapia.
Parla anche di clinica, vi sono, infatti, brevi lampi di luce lanciati su situazioni cliniche, come nei
temporali estivi, quando tutto si rabbuia e una luce accecante, che fa male, rischiara la tenebra
prima del tuono e della pioggia.
Fa male perché fa male accostarsi così da vicino al dolore e alla disgregazione della vita umana.
Verrà la morte e non avrà i tuoi occhi!
Nei tuoi occhi c’è la ricerca, l’insonnia, la disperazione, la vita.
La morte verrà ma non avrà i tuoi occhi!
Si romperà così la coazione a ripetere di Phlippe, bimbo maltrattato e ignorato che ha imparato che
non si può amare. Da uomo violento, ama solo gli oggetti, ama la carne ma le donne le picchia,
ruba, va in carcere, si droga.
Nessuno dialoga con se stesso se non attraverso l’incontro con l’altro. - scrive Antonio De Luca Scrutare e ammirare solo il proprio sguardo può significare lasciarsi morire (come Narciso). E
tuttavia cogliere ed essere raccolto nello sguardo dell’altro significa confrontarsi con la morte
fisica dei suoi occhi, che dovranno essere restituiti in ogni caso.
Il confronto con la perdita è possibile solo nel dialogo nuovo da realizzare davanti alla
testimonianza del terapeuta, se questi viene ricercato.
Certo la morte verrà, ma questo non le appartiene, questo è vita, come il lago, una fresca isola
d’acqua in mezzo alla terra.
De Luca, con i suoi tanti pazienti, scende nell’inferno, l’inferno della droga, della follia e della
sofferenza indicibile, armato solo dall’Amore, dall’Amore per l’Altro. Riesce ad astrarsi, essere
assolutamente neutrale privo di giudizio e pre-giudizio, in un’atmosfera di Epochè osserva ed
ascolta l’Altro.
Leggendo, si sente in ogni pagina quanto De Luca sia legato alla fede cattolica. Sa astrarsi e riesce a
stare con gli ultimi senza giudicare, senza imporre gerarchie di “valori”, osserva e ricerca l’uomo e
l’umano nel suo interlocutore.
Giù nell’inferno sa stare accanto ai suoi pazienti, psicotici o tossici ladri e assassini, sente il dolore,
la rabbia, lo sconforto, ricerca in fondo, nello sguardo, un lampo di luce e trova in quel lampo di
luce una seppur flebile speranza di vita possibile.
Tra le macerie di vite distrutte riesce a trovare le rovine, la nobiltà di antiche vestigia che sono pur
sempre muri sbrecciati, come muri sbrecciati sono le macerie ma queste sono ancora intrise di
rabbia di colpa e di ingiustizia.
Le vignette cliniche sono molto intense, chiare e ci portano nel mondo dell’Altro con tutto il
bagaglio di vita vissuta, raccontato spesso, con linguaggio poetico, l’unico in grado di contenere
quei sentimenti intensi che si giocano in quell’incontro unico, capace di generare il cambiamento
che è la relazione terapeutica.
Mario, Luigi, Philippe, Angelo, Gianluigi, Luisa, Giancarlo, Emiliano, Carmen, Lucia, Gianni,
Violetta, Kalil, Roberto, Valerio, Giulio, Diego, Lucia, Paolo, Mauro, Stefano, Fabrizio, fanno
capolino, si rincorrono e poi riappaiono tra le pagine di Antonio De Luca, in quei lampi di luce
vivida sulle loro esistenze lanciati nelle descrizioni cliniche. De Luca poi si tuffa in lunghe
dissertazioni filosofiche per fare comprendere ai giovani colleghi e futuri terapeuti quale percorso
prendano i pensieri del paziente e del terapeuta e quale umana sofferenza pervada entrambi e quale
differenza vi sia e debba esserci tra i due. È uno sforzo didattico notevole e lodevole anche per uno
che da decenni fa il docente universitario.
De Luca ama i giovani e vorrebbe trarli dagli errori e dai fraintendimenti di una professione
misteriosa e affascinante mostrando che se un meccanico la sera ha le mani nere del materiale che
ha usato, anche lo psicoterapeuta deve “sporcarsi le mani”, deve entrare a stretto contatto col la
materia che tratta.
Leggendo gli scritti di molti importanti psicoanalisti o fenomenologi, a volte l’involuzione stilistica,
la ridondanza e la prolissità, diventano fastidiosi perché si percepisce la presa di distanza dalla
situazione dolorosa che si intenderebbe descrivere. Il dolore fa male ed allora si scappa
nell’estetismo esasperato e fine a se stesso o nella cultura esibita in citazioni ridondanti, per non
essere lì accanto al dolore, per il timore di non essere abbastanza ben attrezzati ad affrontarlo,
capaci di aiutare l’Altro senza esserne invasi. Non è possibile infatti curare gli altri se non si è stati
pazienti e se non si è imparato il mestiere di paziente.
Sono letture fastidiose perché hanno del falso, tronfia pomposità e scarsa umanità, non occorre
citarli, tutti prima o poi ci siamo imbattuti in tali scritti, a volte importanti ma per altri versi non
certo per il versante della cura.
Questo no, questo testo è intriso di sudore e di lacrime, scientemente usa un linguaggio non clinico
per mostrare realmente cosa è la clinica o come dovrebbe essere.
Anche Antonio De Luca si è imbattuto troppe volte in terapeuti improvvisati o distratti, troppo
insensibili che hanno fatto tanto male ai pazienti loro affidati e con questa sua fatica usa la sua
fionda come Davide, piccolo e inoffensivo, ma che sconfigge il gigante Golia.
Questo gli auguro, e mi auguro, quando spero che tutti gli allievi delle scuole di psicoterapia
leggano questo libro.
Sandro Rodighiero. Psichiatra Gruppoanalista. Responsabile Scientifico di AION.