Promuovere l`efficacia della terapia breve in un`ottica di

Psicologia Psicoterapia e Salute, 2015, Vol. 21, No. 1-2, 35-57.
Promuovere l’efficacia della terapia breve in
un’ottica di Analisi Transazionale
Socio-Cognitiva
Carla de Nitto1 e Maria Luisa De Luca2
L’articolo mette in luce il valore dell’Analisi Transazionale Socio-Cognitiva (ATSC) nel promuovere l’efficacia dell’intervento nella
psicoterapia breve.12
All’interno di un modello antropologico umanistico-personalistico
si evidenzia come l’ATSC sia una linea-guida nell’analizzare i processi
narrativi e quelli che si attuano all’interno della relazione terapeutica e
nell’intervenire in modo specifico e mirato sui processi disfunzionali
del paziente, potenziando l’efficacia dell’intervento stesso. A partire da
una breve rassegna di attuali studi e ricerche sulla psicoterapia breve,
si evidenzia come essa costituisca una scelta legata al contesto di formazione, consentendo agli allievi del III e del IV anno della Scuola di
Specializzazione in psicoterapia di avviare e portare a termine il lavoro
con i pazienti del Centro Clinico (CEPI). Vengono brevemente richia Psicologa, Psicoterapeuta, docente stabilizzato all’Università Pontificia Salesiana a Roma
(cattedra di Psicologia clinica e dinamica), Analista Transazionale Didatta e Supervisore, docente
nelle scuole di specializzazione SSPC-IFREP, SSSPC-UPS e SSPT-SAPA, membro del LAboratorio di Ricerca sul Sè e sull’Identità (LARSI) dell’Istituto di Formazione e Ricerca sui Processi
Intrapsichici e Relazionali (IRPIR) e Co-Direttore della Rivista Psicologia,Psicoterapia e Salute.
E-mail: [email protected]
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Psicologa, Psicoterapeuta, docente stabilizzato all’Università Pontificia Salesiana a Roma
(cattedra di Psicopatologia), Analista Transazionale Didatta e Supervisore, docente nelle scuole di
specializzazione SSPC-IFREP, SSSPC-UPS e SSPIG, membro del LAboratorio di Ricerca sul Sè e
sull’Identità (LARSI) dell’Istituto di Formazione e Ricerca sui Processi Intrapsichici e Relazionali
(IRPIR) e Co-Direttore della Rivista Psicologia,Psicoterapia e Salute. E-mail: [email protected]
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Carla de Nitto e Maria Luisa De Luca
mati alcuni elementi centrali dell’Analisi Transazionale Socio-Cognitiva e, mediante un esempio clinico, illustrate le caratteristiche concrete
dell’intervento terapeutico ad essa ispirato.
The article highlights the value of Socio-Cognitive Transactional
Analysis, in italian (ATSC) in promoting the effectiveness of the intervention in brief psychotherapy.
Within a humanistic-personalistic anthropological model, ATSC
is a guideline in analyzing both the narrative processes and those that
take place within the therapeutic relationship as well as for the specific
and focused clinical intervention on patient’s dysfunctional processes,
enhancing the effectiveness of the intervention itself.
From a review of current studies and research on brief psychotherapy, it is evident that it constitutes a choice linked to the training context, allowing the students of III and IV year of the Postgraduate School
in Psychotherapy to start and lead to term clinical work with patients of
the Clinical Center (CEPI). In the second part of the article are briefly
recalled some key elements of Socio-Cognitive Transactional Analysis
and, by means of a clinical example, are described the specific characteristics of therapeutic intervention inspired by it.
Introduzione
L’Analisi Transazionale Socio-Cognitiva (ATSC) (Scilligo, 2009) è
la nostra cornice di riferimento: mostreremo come tale modello possa
essa essere utile per accrescere l’efficacia dei processi terapeutici, in
particolare in un’ottica di terapia breve.
Ci focalizzeremo sull’uso clinico dell’ATSC per illustrare come possa
essere un’utile linea-guida per orientare l’osservazione dei processi in
corso nella relazione terapeutica e nella narrazione del cliente, per fare
ipotesi sulla patogenesi del suo disagio attuale, per individuare strategie
d’intervento ad esse correlate e per verificare l’efficacia dell’intervento
stesso mediante strumenti di analisi dei contenuti e dei processi.
Da più di trent’anni ci occupiamo di formazione alla psicoterapia in
varie Scuole3 di specializzazione con una matrice comune nel modello
3
Ci riferiamo alla Scuola Superiore in Psicologia Clinica dell’Istituto di Formazione e Ricerca per Educatori e Psicoterapeuti (SSPC-IFREP) a Roma, Cagliari e Venezia, alla Scuola Supe-
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antropologico di base, di tipo umanistico-personalistico. Abbiamo riscontrato che è potentemente arricchente promuovere circolarità tra formazione, attività clinica e ricerca sui processi e sui risultati: in tal modo
gli allievi possono avvalersi di un quadro teorico chiaro che orienti l’intervento, mettere in pratica ciò che apprendono ed avere strumenti di
indagine quantitativa e qualitativa a supporto del lavoro clinico con le
persone e come ausilio nella verifica dell’efficacia dell’intervento. I nostri allievi del terzo e del quarto anno di specializzazione, infatti, svolgono interventi di psicoterapia breve nei Centri Clinici delle Scuole con il
modello dell’ATSC, seguendo un percorso guidato e sotto supervisione,
con delle persone che accedono al centro clinico della nostra scuola. Qui
illustreremo l’attuazione di tale circolarità nella formazione clinica.
Psicoterapia breve: perché?
Una prima ragione è legata alla specificità della formazione, ad una
esigenza, cioè, di tipo formativo: vogliamo infatti accompagnare i nostri allievi nel seguire un certo numero di casi e la “brevità” del percorso garantisce loro la possibilità di sperimentarsi nell’uso del modello teorico di riferimento nei tempi di durata della scuola, attuando interventi
mirati, calibrati su quel paziente specifico, sul suo problema, con contratti chiari e ben definiti. L’intervento “breve” ci consente anche di fare
ricerca di esito, puntando a verificare nell’immediato l’efficacia dell’intervento dell’ATSC, con strumenti di tipo qualitativo e quantitativo. La
nostra scelta della terapia breve non è tanto un’opzione di tipo teorico
quanto una scelta funzionale alla realizzazione di obiettivi formativi per
i nostri allievi che hanno in questo modo l’opportunità di seguire diversi pazienti nel corso del terzo e quarto anno di training e di consolidare
in questo modo le abilità di base di uno psicoterapeuta efficace. Non
intendiamo quindi sminuire in alcun modo la complessità della psicoterapia; per la risoluzione di un disturbo grave, come ad esempio un
disturbo di personalità, è ritenuto necessario da molti esperti un tempo
riore di Specializzazione in Psicologia Clinica dell’Università Pontificia Salesiana (SSSPC-UPS)
a Roma; più recentemente, alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Transazionale della
SAPA a Latina (SSPT-SAPA) e alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Interpersonale e di
Gruppo (SSPIG) a Palermo.
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Carla de Nitto e Maria Luisa De Luca
più lungo, non meno di 3-5 anni. L’intervento di psicoterapia breve e la
possibilità di seguire per un ciclo completo un numero congruo di pazienti durante il periodo della scuola, garantisce che alla fine della loro
formazione i futuri psicoterapeuti dispongano delle capacità necessarie
ad avviare un cambiamento significativo del paziente e che su questo
nucleo solido di competenze possano poi continuare ad affinare la loro
capacità di gestire processi terapeutici di medio-lungo termine.
La seconda ragione che ci ha orientati verso la scelta strategica della
terapia breve è legata ai significativi dati di ricerca presenti già dagli
anni ’80, ad esempio nello studio di Howard et al. (1986), che hanno
dato ampio sostegno alla terapia breve come intervento d’elezione rivolto ad un ampia popolazione clinica. Per molto tempo si è ritenuto che la
terapia breve fosse superficiale e che la terapia efficace fosse un processo
a lungo termine (ad esempio in uno studio sulla psicoanalisi pubblicato
da Voth e Orth nel 1973 si riportava un numero medio di sedute pari a
853). Oggi invece, in molte parti del mondo il sistema sanitario supporta
solo terapie brevi. Negli Stati Uniti la psicoterapia breve domina nettamente il campo al punto che già nell’edizione 2004 del Bergin and Garfield’s Handbook of Psychotherapy and Behavior Change, al contrario
delle edizioni precedenti, i curatori scelsero di non dedicare uno specifico
capitolo alle terapie brevi in quanto “Quasi tutte le terapie che vengono
studiate (specialmente negli Stati Uniti) sono brevi, di durata inferiore
alle 20 sedute” (Lambert, Bergin, & Garfield, 2004, p. 10). Nell’edizione 2013 del manuale (Lambert, 2013) si specifica che studi su terapie
lunghe, europei e di ambito psicodinamico, vengono citati nell’apposito
capitolo, e sono quindi considerati un’eccezione rispetto al trend generale
che si mantiene focalizzato sulle terapie brevi. I primi studi sulla ‘dose’
di trattamento che permettesse un miglioramento significativo (Howard
et al., 1986) indicavano che il 75% dei pazienti mostravano buoni risultati dopo 26 sedute (formato simile a quello utilizzato nel Centro Clinico
delle nostre scuole). Anche studi successivi, che si sono basati sul cambiamento percepito nelle singole settimane di trattamento, dimostrano un
rapido cambiamento iniziale seguito da miglioramenti di minore entità
nelle settimane successive (Lambert, 2013): il 50% dei pazienti mostra
un cambiamento significativo dopo 13-18 sedute mentre un ulteriore
25% ottiene lo stesso tipo di miglioramento dopo 50 sedute settimanali e
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si può quindi ipotizzare che il restante 25% riguardi pazienti più complessi, quali quelli con disturbi di personalità, che necessitano di trattamenti
di più lunga durata. Dati simili sono stati rilevati anche in Australia, dove
il 50% dei pazienti migliorava significativamente dopo 14 sedute e il 70%
dopo 23 sedute (Harnett, O’Donovan, & Lambert, 2010) ed è spesso stato
verificato il mantenimento dei risultati o addirittura l’ulteriore miglioramento al follow-up (Anderson & Lambert, 2001); lo studio di Lambert,
Hansen e Finch (2001) su 6.000 pazienti riporta, infine, un 50% dei soggetti che ottiene cambiamenti significativi in 21 sedute.
Nel progettare il nostro percorso formativo ci siamo avvalsi quindi
di studi che hanno dato un sostegno forte al fatto che si potesse raggiungere una buona efficacia anche con un intervento breve ma vogliamo
anche sottolineare, con Lambert (2013) la necessità di rivedere le politiche eccessivamente orientate al trattamento breve, che non si prendono cura di quel 50% di pazienti che non migliorano significativamente
dopo 13-18 sedute e riteniamo che i nostri allievi possano avvalersi della formazione realizzata nel training che contempla un impianto teorico
e metodologico adatto a portare avanti terapie a medio-lungo termine
con i pazienti che ne necessitano.
Dopo aver evidenziato le due ragioni principali che hanno orientato la scelta formativa verso la terapia breve, vogliamo nominare un
altro aspetto rilevante nel nostro modello: la centralità dei fattori comuni piuttosto che delle tecniche e teorie specifiche e l’importanza della
persona del terapeuta come promotore del cambiamento. La ricerca sul
risultato e sul processo della psicoterapia conferma costantemente il
maggior impatto (globale) dei fattori comuni rispetto ai fattori legati
allo specifico approccio psicoterapeutico e questo, a nostro avviso, rappresenta un aspetto chiave per chi si vuole formare alla luce delle linee
filosofiche umanistico-personalistiche.
Tra i fattori più importanti per promuovere l’efficacia della terapia
c’è l’Alleanza Terapeutica, un costrutto sul quale come scuola e come
laboratorio di ricerca4 abbiamo lavorato molto (De Luca, 1996; 2004;
4
Il LaRSI (Laboratorio di Ricerca sul Sé e l’Identità) è il centro di ricerca fondato da Pio
Scilligo, che vede uniti nella collaborazione docenti della SSPC-IFREP e della SSSPC-UPS, in
stretta collaborazione con l’Istituto di Formazione e Ricerca sui Processi Intrapsichici e Relazionali (www.irpir.it).
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Carla de Nitto e Maria Luisa De Luca
Scilligo & De Luca, 1997). Sintetizzando i dati più significativi che
sono emersi da decenni di ricerca l’alleanza spiega una parte significativa dell’efficacia della terapia ed è rilevabile già dalle prime sedute;
questo, come afferma Lambert (2013), ha una ricaduta importante anche nella formazione in psicoterapia: “I dati sull’alleanza rafforzano
gli argomenti a favore dei fattori comuni come mediatori principali del
cambiamento e questo fatto deve essere riconosciuto dagli organismi
che sviluppano le linee guida per il trattamento, i programmi di formazione e similari. Imparare a coinvolgere il cliente in un processo di
collaborazione è più determinante ai fini dell’esito positivo di quanto
lo sia il tipo di processo (teoria del cambiamento) utilizzato” (versione
elettronica, pos. 8480).
Nel nostro protocollo rileviamo l’alleanza con diversi strumenti5
e sia dal punto di vista del terapeuta sia dal punto di vista del paziente
dalla 9° seduta (su 25 totali). Inoltre anche il terapeuta in formazione
che svolge il ruolo di osservatore, rileva la qualità della relazione terapeutica. Il dato sull’alleanza è importante per monitorare come si sta
avviando la relazione terapeutica e apportare gli opportuni correttivi
grazie al processo di supervisione.
Anche nei nostri studi è emerso che lo stabilirsi di una valida alleanza è molto legato al livello di integrazione personale raggiunto dal terapeuta (De Luca, 2004). Questo ha un chiaro riflesso sulla formazione:
nel nostro percorso formativo è previsto il lavoro di terapia personale,
individuale e di gruppo. Una valida alleanza si concretizza in transazioni Terapeuta-Paziente caratterizzate da transazioni efficaci, improntate dalle dimensioni Libertà e moderati livelli di controllo amorevole
(Henry & Strupp, 1994); queste transazioni sono quelle tipicamente
riscontrate nell’agire dei terapeuti meglio integrati a livello personale. Dai nostri dati risulta infatti che i terapeuti con un buon livello di
integrazione personale sono in grado di interagire in maniera efficace
e promuovere una valida alleanza affettiva e di lavoro con vari tipi di
pazienti, sia nel breve che nel lungo termine; essi non rimangono ag5
L’Alleanza viene rilevata, dalla prospettiva del terapeuta e del paziente, sia attraverso l’Helping Alliance Questionnaire (Alexander & Luborsky, 1986) nell’adattamento italiano a cura di De
Luca e Scilligo (De Luca, 1996), sia attraverso il sistema SASB della Benjamin (ANINT- D della
relazione Terapeuta-Paziente).
Promuovere l’efficacia della terapia breve
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ganciati dalle modalità transazionali disfunzionali che il paziente può
proporre (De Luca, 2004).
I presupposti antropologici di base
Prima di avviarci alla descrizione del modello teorico di riferimento
della nostra Scuola di Psicoterapia, diamo un accenno al modello antropologico di base, umanistico-personalistico (Scilligo, 2009, 61-87).
In questa ottica la persona è il centro di qualsiasi intervento psicologico mentre i modelli teorici sono solo uno strumento al servizio della
persona stessa, volti ad individuare la natura del suo disagio e a fornire
chiavi di lettura che ne orientano la risoluzione; il paziente è “l’esperto”
rispetto alla unicità della propria esperienza.
La persona è considerata libera dai condizionamenti genetici e contestuali ed ha possibilità di dialogare con questi, di scegliere e di rispondere creativamente, è agente e responsabile. Il potere del cambiamento
è nella persona, non nello psicoterapeuta. La relazione stessa, la relazione reale tra terapeuta e paziente, è fondamentale nella promozione
del cambiamento, ma richiede che il terapeuta sia genuinamente presente e si muova da una posizione esperienziale integrata e congruente
con se stesso, in qualità di facilitatore di processi funzionali ed efficaci.
La persona è essenzialmente relazionale, pertanto la relazione e la
qualità delle relazioni sono centrali per la comprensione della natura
del disagio psichico e centrali nella risoluzione dello stesso. È considerata in più dimensioni articolate fra loro, individuale ed esistenziale,
con il suo proprio sistema di valori, anche di natura spirituale, sociale
e culturale; pertanto è fondamentale la dialettica che la persona stessa
costruisce con il suo ambiente, fisico ed interpersonale, in senso lato.
Il benessere della persona si fonda sulla consapevolezza delle proprie condizioni esistenziali, per cui ciascuno tiene in considerazione la
propria libertà personale e quella degli altri, la limitatezza delle risorse
possibili, realtà come la sofferenza, la morte stessa. È nel fare responsabilmente i conti con queste ed altre dimensioni significative dell’esistere che la persona scopre e realizza il proprio ben-essere (de Nitto, &
Messana, 2008; Bianchini & de Nitto, 2012).
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Carla de Nitto e Maria Luisa De Luca
L’ATSC guarda alla persona nelle sue diverse prospettive, intrapsichica, interpersonale, in un’ottica intersoggettiva e socio-culturale, con una
grande attenzione al contesto interpersonale ai fini di comprendere e dare
senso alla realtà psicologica del singolo, in quanto essere relazionale.
Gli assunti del nostro modello antropologico costituiscono la tela
dentro cui tessiamo i concetti teorici del nostro modello integrato, un
modello che fa proprio alcuni dei concetti portanti della teoria dell’AT,
del modello esperienziale, di quello interpersonale e di quello psicodinamico relazionale, avendo come filo conduttore una teoria della motivazione di carattere relazionale.
Processi, concetti chiave e strumenti dell’Analisi Transazionale Socio-Cognitiva6
Quali i processi che analizziamo usando l’ATSC? Sia quelli interpersonali che quelli intrapsichici. Tra i primi consideriamo i processi
che la persona attua nelle sue relazioni con gli altri, quelli di cui ci
parla nella situazione clinica, sia quelli in corso nella stessa relazione terapeutica, di cui facciamo direttamente esperienza e che ci coinvolgono direttamente. Tra i processi intrapsichici includiamo invece i
diversi modi con cui noi osserviamo che la persona tratta se stessa, i
suoi processi autoriflessivi, che talora manifesta sotto forma di conflittualità verso sé, talora di trascuratezza o qualsiasi modalità emerga
nella relazione della persona con se stessa. La lettura combinata di tali
processi ci consente di organizzare e comprendere la molteplicità dei
linguaggi espressivi (de Nitto, 2006, 115-138) del cliente. Attraverso il
modello dell’ATSC siamo in grado di esaminare i suddetti processi decodificandoli mediante strumenti ad hoc. Ci avvaliamo, nello specifico,
del modello di codifica dello strumento Structural Analysis of Social
Behaviour (SASB) (Benjamin, 1979; 1999) in italiano definito Analisi
Strutturale del Comportamento Interpersonale (ASCI) (Scilligo, 1993)
che l’ATSC usa come modello per descrivere gli stati dell’Io. L’allenamento a leggere la narrazione del cliente e i processi relazionali e
intrapsichici secondo le dimensioni del modello consente di avere delle
6 Per una dettagliata analisi del modello, si rimanda a Scilligo, 2009.
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lenti di osservazione che guidano la comprensione della narrazione del
cliente in un’ottica processuale e di effettuare interventi mirati, modulati in modo specifico sulla persona stessa.
Tra i concetti-chiave dell’Analisi Transazionale c’è quello di stato
dell’Io e Pio Scilligo (2009) con l’ATSC ha voluto favorire il collegamento tra la teoria clinica dell’AT con i modelli contemporanei della
mente, certamente ben diversi da quelli di cui disponeva Berne al tempo
della creazione della teoria e sulla cui base fondava la distinzione tra
aspetti strutturali e funzionali della mente, distinzione oggi poco sostenibile (De Luca & Tosi, 2012; Giordano, 2012; Allen, 2014; Tosi, De
Luca & Messana, 2014). La ridefinizione del concetto di stato dell’Io
operata dall’ATSC mira da una parte ad allineare il costrutto con i modelli neurobiologici contemporanei e dall’altra ad agganciarlo, a livello
descrittivo, con il modello SASB per operazionalizzarlo e facilitare così
la ricerca.
In ATSC definiamo quindi gli stati dell’Io come schemi mentali e
comportamentali che sono in gran parte interiorizzati a partire dai processi interpersonali vissuti sia nel passato sia nel presente, sottolineando in particolare il ruolo delle relazioni di attaccamento. Gli stati dell’Io
sono definiti quindi come schemi di natura processuale (sottolineando
quindi la distanza dai modelli di tipo strutturale) su cui si basano le
rappresentazioni di sé, dell’altro e della loro relazione (in modo simile
al concetto di MOI) e che viene a costruirsi come una ‘rete schematica’ (Schemi Sé-Altro) che viene di volta in volta attuata (esemplata) in
modi di ‘essere’ (stati dell’Io) osservabili (Scilligo, 2009).
Il modello SASB della Benjamin ha ispirato molta ricerca sui processi relazionali ed intrapsichici, grazie a superfici cartesiane costruite
dalle due dimensioni ‘Affiliazione’ e ‘Interdipendenza’ dove vengono
mappati i comportamenti interpersonali e i vissuti e le rappresentazioni
del sé in modo tale da poter rappresentare graficamente i vari atteggiamenti della persona nella relazione con l’altro e con se stessa. Per
una sintetica analisi delle superfici con le quali si descrive la relazione
interpersonale (inclusa la relazione terapeutica) e la relazione con sé
(livello intrapsichico) rimandiamo al contributo di Bianchini e Ceridono in questo numero. Questo stesso modello è stato utilizzato in varie
prospettive, come ad esempio anche da Greenberg per analizzare det-
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Carla de Nitto e Maria Luisa De Luca
tagliatamente il processo di risoluzione delle scissioni nel ‘lavoro delle
due sedie’ (Greenberg & Webster, 1982) a da Safran e Muran (2003) per
descrivere la costruzione, rottura e riparazione dell’alleanza.
Uno dei punti di forza del SASB, e quindi dell’ATSC, è quello di facilitare il collegamento tra i processi relazionali (inclusi quelli attuati in
terapia), analizzati transazione per transazione, e i pattern relazionali interiorizzati a partire dalle relazioni di attaccamento e attuati anche in relazione a se stessi. Il valore di queste connessioni non è solo diagnostico ma
anche terapeutico: analizzando questi pattern facilitiamo gli psicoterapeuti
in formazione ad usare strategicamente la relazione terapeutica in modo da
poter essere trasformativa anche del modo in cui il paziente tratta se stesso,
processo complesso ma attuabile anche in un contesto di terapia breve.
Le dimensioni suddette ci consentono di individuare e descrivere i
tre stati dell’Io, che Berne ha distinto in Genitore, Adulto e Bambino.
Noi individuiamo come processi centrali di ciascuno degli stati dell’Io:
per il Bambino la creatività, per il Genitore la normatività e per l’Adulto l’analisi e la descrizione della realtà. In Analisi Transazionale (AT)
classica gli stati dell’Io sono diagrammati come nella fig. 1.
Fig. 1 – Rappresentazione grafica degli stati dell’Io secondo Berne: G = Genitore, A =
Adulto, B = Bambino
Nell’ATSC invece come nella fig. 2: in ciascuno dei quattro quadranti
definiti dall’incrocio della dimensione affiliazione con quella dell’Interdipendenza possiamo identificare ciascuno dei tre stati dell’Io, distribuiti
progressivamente, dall’asse dell’Affiliazione a quella dell’Interdipendenza, secondo il seguente ordine: il Bambino, l’Adulto e il Genitore, tenen-
Promuovere l’efficacia della terapia breve
45
do conto delle diverse fasce evolutive (Mahler, Benjamin). Pertanto, descrivendo la fig. 2 in senso antiorario, possiamo identificare come Liberi
il Genitore, l’Adulto e il Bambino caratterizzati da Libertà amorevole – e
indicano la capacità della persona di individuarsi e di stare in contatto
benevolo con se stesso - ; come Protettivi il Bambino, l’Adulto e il Genitore caratterizzati da Controllo amorevole – e indicano la capacità della
persona di stare in contatto con le realtà fisica ed interpersonale, tenendo
conto dei vincoli da esse derivanti - ; come Critici il Genitore, l’Adulto e
il Bambino caratterizzati da Controllo ostile – per cui la persona tende ad
imporsi normativi non dialogici, imperativi di natura critica - ; ed infine
come Ribelli il Bambino, l’Adulto e il Genitore caratterizzati da Libertà
ostile – che implica, infine, la non capacità di stare in contatto armonioso
con sé, dandosi, appunto, una libertà ostile.
Fig. 2 – Rappresentazione degli stati dell’Io in ATSC: in ciascun quadrante, accanto alle
sigle G, A e B, ci sono le iniziali degli aggettivi che lo caratterizzano, sulla base delle
due dimensioni (Affiliazione e Interdipendenza): Libero, Protettivo, Critico e Ribelle
Il profilo del benessere psicologico si caratterizza con la prevalenza
degli stati dell’Io Liberi e Protettivi rispetto a quelli Critici e Ribelli;
più specificamente con livelli medio-alti dell’Adulto e Bambino Liberi
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Carla de Nitto e Maria Luisa De Luca
e Protettivi, medio-bassi del Genitore Libero e Protettivo e bassi degli
altri stati dell’Io, Critici e Ribelli (de Nitto, Messana, 2008; de Nitto,
C., Messana, C (in preparazione) Scilligo, 2009). La familiarità con il
modello promuove il riconoscimento degli stati dell’Io prevalenti nella
realtà clinica, serve a spiegarci la natura del disagio e ad intervenire in
modo specifico, monitorando l’effetto dell’intervento.
Questi principi teorici, se applicati con sistematicità nel processo
terapeutico, potenziano l’efficacia dell’intervento breve: i dati degli
studi condotti nei CePI dimostrano un buon livello di efficacia delle
psicoterapie brevi condotte dagli allievi del terzo e quarto anno di specializzazione (Ceridono & Bastianelli, 2013). I dati relativi a pre e post
intervento terapeutico mostrano infatti un significativo aumento della
presenza degli stati dell’Io caratterizzati da affettività positiva e da livelli ottimali di interdipendenza e un abbassamento significativo degli
stati dell’Io caratterizzati da affettività negativa e livelli disfunzionali di
interdipendenza (Ceridono & Viale, 2013).
Dalla teoria alla pratica: un esempio clinico7
Prima di fare un esempio clinico per illustrare l’utilizzo dell’ATSC
nella pratica clinica, mettiamo in luce la centralità della relazione terapeutica. In altra sede (de Nitto, 2010) si è evidenziato il potere della
relazione terapeutica ai fini del cambiamento, identificando il valore di
partire dai dati osservativi, per leggerli all’interno di una cornice teorica di riferimento al fine di comprenderne il significato e promuovere
il cambiamento nella direzione desiderata e concordata con il paziente
stesso. Ciascuna delle due persone che interagiscono nella relazione
contribuisce alla costruzione dei processi emergenti nel qui ed ora.
L’ATSC ci guida nella lettura dei processi intrapsichici e interpersonali usando il modello SASB e le sue dimensioni, avvalendoci anche
di una lettura del contesto che serve come cornice essenziale per poter
esaminare i dati processuali in corso. Considerando l’ottica interpersonale ed intersoggettiva, ogni persona in interazione con l’altra esprime
se stessa, comunica con l’altro, talora in modo implicito, rivela se stessa
Questo paragrafo è una parziale rielaborazione di: De Luca & de Nitto (2012).
7
Promuovere l’efficacia della terapia breve
47
rispondendo ad un soggetto “presente” (Stern, 2005) in relazione a chi
è davanti, anche in assenza di una storia tra le due persone. Con l’ATSC
possiamo leggere i vari processi intersecantesi nella relazione clinica ed
identificare le dinamiche intrapsichiche e quelle interpersonali in modo
mirato, per intervenire efficacemente. La complessità nella lettura dei
processi aumenta se consideriamo anche l’analisi del contesto ed i processi personali di ciascuno dei due soggetti interagenti nella relazione
clinica: mentre il terapeuta e il cliente si relazionano all’interno del setting clinico, potrebbero attivare aspetti transferali e controtransferali,
connessi alle loro rappresentazioni interne.
Facciamo un esempio tratto dalla pratica clinica per mostrare come la
lettura dei processi osservabili in una relazione clinica alla luce dell’ATSC ci guidi nella comprensione del problema della persona e nell’intervenire in modo mirato, promuovendo l’efficacia dell’intervento terapeutico. Useremo un livello di analisi di tipo micro-processuale, e non
daremo elementi relativi ad un inquadramento diagnostico classico né
ad un’esplorazione di tipo anamnestico, dato il nostro scopo: individuare
gli stati dell’Io in azione nella narrazione del cliente e nei processi interpersonali ed intrapsichici emergenti, per promuovere l’attivazione degli
stati dell’Io Liberi e Protettivi, specialmente dell’Adulto. I trascritti, assai
brevi, ci consentiranno di esaminare i processi in corso e di vagliare l’efficacia di un intervento focalizzato alla luce dell’ATSC.
Una giovane donna di 30 anni, in un percorso terapeutico da pochi
mesi, si rivolge al terapeuta dicendo: “Sono confusa, con mia madre è
la solita storia!” E racconta, con sottile auto-biasimo, di una recente
conversazione con la madre, finita male, “Come al solito!”.
Esaminiamo insieme alcune frasi della conversazione tra la madre
e la figlia riportate in seduta, estrapolando poi dai vari contenuti alcuni
processi chiave del loro modo di relazionarsi.
La madre dice, con tono arrabbiato:
“È tutta colpa tua se non riesco ad usare il mio nuovo pc!”
La figlia, mortificata, risponde:
“Ma io ho cercato di aiutarti!”.
Leggiamo questo scambio comunicativo, codificandolo con il SASB
(fig. 3).
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Carla de Nitto e Maria Luisa De Luca
• La madre si pone in modo ostile verso la figlia, attaccandola e
criticandola (Controllo ostile).
• La figlia, con la sua risposta tesa a giustificarsi, risponde dallo stesso quadrante, mostrando quindi una risposta complementare che
mantiene la comunicazione stagnante, con il predominio, da parte
di entrambe, di Controllo ostile, e cioè di stati dell’Io Critici.
Fig. 3 – Gli stati dell’Io nell’interazione recente tra madre e figlia
La qualità dello scambio comunicativo nel rapporto interpersonale
tra madre e figlia, nell’esempio riportato, può essere per il terapeuta
non solo informativa sulla qualità dei processi interattivi in corso con la
madre, che costituiscono per la paziente fonte di disagio, ma anche occasione per promuovere nuova crescita e benessere della persona, mediante un’esperienza antitetica a quella del Controllo ostile, stimolando
la stessa ad una esplorazione libera, nella relazione terapeutica. Pertanto, con tale intento, osserviamo il seguente scambio comunicativo:
La terapeuta chiede alla paziente:
“Cosa senti tu mentre mamma ti dice questo?”.
E la paziente risponde:
Promuovere l’efficacia della terapia breve
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“Ehm … rabbia dentro (con tono secco), …. (e velocemente e a
bassa voce) ma mi sento in colpa per questo. Non devo arrabbiarmi con
mia madre, lei ha bisogno, ha sempre avuto bisogno!”.
Rileggiamolo con l’ATSC, focalizzandoci prima sui processi interpersonali (tra terapeuta e paziente) per poi focalizzarci sui processi intrapsichici, identificando il dialogo interno che la persona esplicita nella
sua narrazione, in risposta alla terapeuta (fig. 4).
I processi relazionali con il terapeuta
stimola l’esplorazione di sé
Fig. 4 – Gli stati dell’Io nell’interazione con il terapeuta
• La terapeuta, con la sua domanda sul vissuto emozionale, stimola la paziente all’esplorazione di sé – stimola, cioè, il quadrante
Libero.
• La paziente le comunica pensieri e sentimenti, quindi si esprime
in libertà – rispondendo dal quadrante Libero.
• Dal contenuto dell’ultima frase della paziente rileviamo il suo dialogo interno: ancora una volta riscontriamo che la paziente tratta se
stessa con Controllo ostile, si incolpa e si biasima per la sua mancata
adesione a normativi interni di contenuto critico (Controllo ostile).
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Carla de Nitto e Maria Luisa De Luca
Dal breve scambio comunicativo con la terapeuta possiamo osservare quindi che lo stimolo dato con l’intervento antitetico di promuovere lo spostamento da una posizione Critica, percepita nel rispondere
alla madre, a quella Libera è stato effettivamente efficace: la persona,
infatti, si manifesta nella relazione interpersonale con la terapeuta, in
modo aperto. Tuttavia rileviamo come sia facile per la stessa paziente richiamarsi, nel dialogo con se stessa, all’auto-biasimo (quadrante
Critico): mostra la sua conclusione critica rispetto a se stessa, facendo
peraltro riferimento alla sua storia di relazione con la madre, in cui è lei
che si “deve” prendere cura del bisogno della madre, mettendo da parte
il proprio vissuto (Non devo arrabbiarmi), lasciando ipotizzare un apprendimento di tale schema relazionale nel passato, che ora ricorre nel
qui ed ora. Pertanto, a partire da tale ipotesi e con l’intento di ampliare
la consapevolezza adulta della paziente, al fine di poter scegliere come
muoversi nel presente, la terapeuta avvia l’esplorazione riguardo alla
storia con la madre nel passato, con l’intento di dare senso ai dati emersi
nel contenuto, per stimolare, da una posizione amorevole, la riflessione
su di sé della paziente stessa. E l’interazione tra terapeuta e paziente
continua così:
La terapeuta (con tono accogliente) avvia l’esplorazione del contesto interpersonale infantile, chiedendo specificità:
“A cosa ti riferisci? Che cosa succedeva con lei quando eri piccola?
Prendi un esempio.”
La paziente, commossa e in contatto con sé, inizia a raccontare di
una situazione in cui lei aveva 6 anni:
“Rivedo mia madre sola e molto depressa, presa dal suo dolore per
la perdita di sua madre”. E racconta di come ella si incapacitasse nella
cura della casa e, senza neppure chiedere, si aspettasse che fosse lei
(la paziente) a badare a tutto, ai fratelli di poco più piccoli di lei. “E lo
pretende, con urla e rimproveri. Ma non è mai abbastanza!”.
E continua: “Giorno dopo giorno, cerco di darle supporto, di pensare a tutto ciò che avrei potuto fare per alleviarle qualsiasi peso. Ma
qualsiasi tentativo non è mai efficace: lei è lì nel letto, inerte, totalmente in preda delle sue fantasie. Ed io …. sempre più confusa … sommersa
da tanta responsabilità”.
Promuovere l’efficacia della terapia breve
51
Effettivamente il nuovo racconto evidenzia uno schema ripetuto in cui
si coglie la complementarietà tra madre e figlia. Più specificamente (fig. 5):
• La madre persa nelle sue fantasie, in un contesto che invece richiederebbe cura (la madre è in casa con tre bambini piccoli, di
cui la paziente è la più grande); la madre quindi, si prende una
libertà ostile e tratta la figlia con trascuratezza (quadrante Ribelle); inoltre pretende che la figlia si occupi dei fratellini senza
accontentarsi mai, trattandola con Controllo ostile, e imponendo
un fardello sproporzionato alle possibilità di un bambino.
• La figlia si sente confusa, cerca sollievo dalle critiche nella fantasia (Libertà ostile), rispondendo in modo complementare alla
madre trascurante. Inoltre risponde in modo complementare alle
urla e alle pretese materne cercando di adattarsi e aderire come
può ai suoi normativi impossibili da raggiungere (Controllo ostile) e sperimentando impotenza.
• Inoltre nel rapporto con se stessa si sente impotente, si attacca e
si incolpa, imponendosi rigidi e impossibili normativi (si controlla in modo ostile – processo intrapsichico).
Fig. 5 – Gli stati dell’Io Relazionali della madre e della figlia nel passato e gli stati dell’Io
Sé (Introietto) della figlia
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Carla de Nitto e Maria Luisa De Luca
L’intervento terapeutico relativo all’esplorazione del passato ha effettivamente confermato l’ipotesi, e ha consentito di individuare non
solo la complementarietà nella relazione tra madre e figlia ma anche il
“processo di copia” (Benjamin, 1999) con la madre: l’“introiezione”,
quando tratta sé come la madre la trattava (AC, GC), mantenendo così
la prossimità psichica con una madre trascurante e estremamente richiedente.
Abbiamo visto come l’ATSC sia stata una preziosa guida all’osservazione e alla comprensione dei fenomeni interpersonali in corso nella
relazione clinica e una guida all’intervento, avendo una cornice teorica
del disagio psichico che coglie la stretta interrelazione della problematica attuale in riferimento agli schemi di relazione costruiti nel tempo ai
fini di mantenere la prossimità psichica con le figure di attaccamento.
In questa situazione tale cornice teorica è stata utile per dare senso, nella relazione clinica, all’iniziale “confusione” della paziente nel
parlare di un recente “incidente” relazionale con la madre, conclusosi
come al solito, con suo auto-biasimo, nel ripetere “sempre la stessa storia”. Mediante questa breve esplorazione, che parla di una relazione
terapeutica solida, è la stessa paziente a dar senso e a riflettere sulla
propria storia, emotivamente in contatto con la sua stessa esperienza.
Inizia a cogliere come la sua soluzione di adattamento rabbioso (con
l’attivazione di uno stato dell’Io Adulto Critico) sia il risultato di una
“valutazione” che teneva conto del suo obbligo interno (l’attivazione
del suo Genitore Critico) nel rispondere alle richieste smodate della
madre (che si proponeva con lei attivando il proprio Genitore Critico),
e della sua rabbia nel vivere tale attacco.
A questo punto la terapeuta stimola la paziente a riesaminare l’incidente con la madre di oggi, che era il punto di partenza dell’incontro,
alla luce di questa più ampia cornice di riferimento (fig. 6):
“E oggi? Qual è la situazione? Chi ha comprato quel nuovo strumento tecnologico, il nuovo pc?”.
E la paziente, riflettendo sull’esperienza, recupera l’informazione
adulta sui fatti dando una nuova definizione dei fatti:
“Ah, lei! E io, a ripensarci, ho fatto il possibile per spiegarle come
funzionava ‘sto strumento! La sua è una pretesa assurda!”.
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Promuovere l’efficacia della terapia breve
La terapeuta a questo punto stimola il contatto con la sua esperienza emozionale per verificare l’impatto di questa nuova lettura dei
dati su di lei e la paziente, in contatto con sé, si esprime sentendosi
sollevata!
Stimola l’esplorazione di sé
pensieri
Fig. 6 – Gli stati dell’Io del terapeuta e della paziente nell’interazione descritta
L’esempio mostra come la terapeuta, attraverso l’uso di stati
dell’Io antitetici rispetto a quelli usati dalla paziente, promuova l’attivazione di stati dell’Io che la persona ordinariamente non utilizzava,
favorendo come in questo caso una rapida “decontaminazione”. Le
virgolette stanno a significare l’utilizzo di un termine che richiama
l’ottica strutturale, coerente con la concezione dell’AT classica ma
non in linea con la prospettiva processuale dell’ATSC. Il puntare sulle
dinamiche interpersonali per la promozione del cambiamento è un
punto essenziale nel lavorare con i pazienti, nel rispetto della loro
capacità di pensare, di decidere e di cambiare, coerentemente con i
presupposti filosofici dell’AT.
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Carla de Nitto e Maria Luisa De Luca
Conclusione
I principi di complementarietà e di antitesi tipici del modello ASCI
sono stati applicati dalla Benjamin nella terapia ricostruttiva interpersonale dei disturbi di personalità (Benjamin, 1999; 2004) e utilizzati dall’ATSC all’interno della cornice teorica analitico-transazionale.
L’applicazione sistematica di questi principi all’interazione terapeuta-paziente può arrivare a modificare, nel medio e lungo termine, un
introietto distruttivo nel paziente; certamente il processo sarà piuttosto
lungo nei casi di disturbi di personalità gravi, ma abbiamo citato precedentemente i buoni risultati ottenuti nei nostri centri clinici anche nella
terapia breve.
Abbiamo documentato e verifichiamo costantemente, nel processo
formativo degli allievi nelle nostre Scuole di Specializzazione, la realizzazione del cambiamento attraverso una relazione terapeutica sistematicamente ispirata alla realizzazione della complementarietà positiva
e strategicamente ispirata allo sviluppo degli stati dell’Io correlati al
benessere psicologico. I terapeuti si pongono in modo antitetico ai processi disfunzionali dei pazienti piuttosto che rimanervi agganciati, arrivando così a promuovere il cambiamento negli schemi che la persona
usa per gestire se stessa e la relazione con l’altro.
Il paziente, nel tempo, è sempre più in grado di operare scelte libere
e autonome, coerentemente con l’approccio umanistico-personalistico
che fonda l’ATSC.
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