La donna romana - Pianeta Scuola Gallery

Focus
La donna romana
Il tema del Focus
Nel corso della lettura del Focus tieni presente i seguenti punti, che scandiscono gli argomenti del Focus e che potrai approfondire nella tua riflessione e utilizzare come scaletta per un tema scritto o un’esposizione orale.
Delinea la figura della donna romana richiamando il compito centrale della sua vita e
ricordando le modalità del matrimonio e del divorzio, le caratteristiche della maternità e il
ruolo delle concubine.
Indica i limiti che le si imponevano relativamente ai titoli e all’amministrazione del patrimonio e accenna all’importanza dei matrimoni politici.
Infine, sulla base delle fonti antiche, metti in luce, accanto alla persistente misoginia, i
cambiamenti del costume e dei diritti verificatisi durante l’Impero e l’emergere di una
nuova concezione della donna nella lettera di un filosofo a un amico.
L’articolazione del Focus
Questo Focus si apre con una selezione di brani da storici contemporanei che ha lo
A scopo
di introdurre il tema delle due epoche della storia femminile romana:
• una, quella repubblicana, in cui le donne, destinate solo al matrimonio e alla procreazione, erano prive di personalità giuridica e, per questo, soggette alla tutela di un
uomo, fosse esso il padre, il marito o un tutore;
• l’altra, iniziata verso la fine della Repubblica, nel corso della quale ebbe luogo un lungo processo che le portò ad affrancarsi dalla tutela, ad acquisire il diritto di ereditare e
di conservare la proprietà della dote. La loro entrata nel mondo della politica e delle
professioni restò comunque vietata: alcune poche eccezioni confermano la regola.
B Una serie di fonti che mostrano i cambiamenti nelle dinamiche familiari.
C Alcuni strumenti che aiutano a chiarire punti particolari dei costumi romani.
Le esercitazioni
Alla fine di ogni DOCUMENTO troverai alcune domande di comprensione o di riflessione
che servono a focalizzare la tua attenzione sul brano che hai appena letto.
Focus
1 La donna e il suo corpo
Strumenti
Gli antichi trattati di medicina si dilungano su come
consentire alla donna di diventare al più presto fertile:
• vietato praticare sport;
• consigliate lunghe ore di riposo per non ritardare il
menarca.
La quantità di gravidanze cui veniva sottoposta
una donna sposata aveva un risvolto altrettanto
terribile della morte per parto. Il padre di un neonato, infatti, come è noto, aveva il diritto sia di
accettarlo sia di “esporlo”. Quest’ultima eventualità
accadeva molto più frequentemente alle bambine
che ai maschi. Un’antichissima norma, che si faceva
risalire addirittura a Romolo, “consigliava” di tenere
in vita almeno una femmina per famiglia, in modo
che la società non si estinguesse.
Una norma così crudele poteva essere sopportata
dalle donne solo se anche l’amore materno era, per
Il matrimonio
Nell’antichità romana le donne erano destinate unicamente
al matrimonio e alla maternità, non potevano scegliersi lo
sposo e neppure decidere l’età in cui venir maritate. Il
consenso della sposa , infatti, non compariva mai nei
contratti stipulati fra il padre della ragazza e il futuro marito. Formalmente il promesso sposo lo richiedeva a voce,
ma era il padre della ragazza a rispondere. La legge fissava
l’eetà minima del matrimonio: 12 anni, per la donna. Un
certo numero di testi, però, documenta matrimoni ancora
più precoci. Vi sono ad esempio iscrizioni funerarie che citano fanciulle sposate a 10 o 11 anni.
La maternità
Le donne dunque potevano partorire dai 13 anni ai
50. Se si pensa che in Età moderna e contemporanea
una donna sposata a 24 anni poteva mettere al mondo 7 o 8 figli, nel caso allattasse, e da 10 a 15 non
allattando, quale poteva essere il normale destino
di una ragazza romana sposata a 12 anni, tenuto
conto che il rischio di morte precoce era direttamente proporzionale al numero di gravidanze?
Lo strano ruolo delle concubine
La larghissima diffusione e la particolare situazione giuridica dei rapporti maschili con donne
schiave o liberte lascia pensare che essi svolgessero anche la funzione di proteggere le cittadine
La concubina.
Una schiava-concubina di Pompei ricostruita al
computer sulla base dei suoi resti pietrificati
dall’eruzione. Indossava dei gioielli, tra cui un
bracciale d’oro con questa dedica: Dominus ancillae
suae, “Il padrone alla sua ancella”.
così dire, “raffreddato” dalla severità dei costumi
quanto lo era l’amore coniugale.
La sorte delle bambine abbandonate era
atroce. Dopo essere state deposte
fuori della porta di casa, o morivano
o venivano raccolte da un “benefattore” che, fino a dieci-dodici anni le
sfruttava per i lavori pesanti, poi le
avviava alla prostituzione o le vendeva come schiave.
La giovane sposa.
Quasi una bambina, questa giovanetta
avviata al matrimonio (Roma, Museo
Nazionale Romano).
dai rischi legati a parti troppo frequenti. La legge, infatti,
prevedeva che schiave straniere, comprate sul mercato, o
giovani schiave nate nella casa del padrone ricevessero lo
statuto di concubine che le integrava nella cerchia delle
donne rispettabili e permetteva loro di generare cittadini.
Il diritto romano regolava gli obblighi delle concubine sul
modello di quelli delle spose: 12 anni di età, fedeltà assoluta, abbigliamento uguale a quello della sposa legittima,
massima rispettabilità che consisteva nell’evitare in tutti i
modi di attirare l’attenzione. Ciò significava uscire sempre
con il capo velato o coperto da un lembo del mantello e,
comunque, molto di rado. (Ad esempio, a comprare abiti,
fare la spesa o prendere acqua alle fontane andavano
schiave anziane o bambine oppure, nelle famiglie povere, i
mariti stessi.) Il capo coperto costituiva un avvertimento:
questa è una donna rispettabile alla quale non bisogna
avvicinarsi a rischio di gravi sanzioni. La donna che usciva senza velo non era più protetta dalla legge contro eventuali aggressori. Da una moglie che fosse uscita a capo scoperto, in epoca repubblicana gli uomini
potevano addirittura divorziare.
A. ROUSSELLE, La politica dei corpi,
in G. DUBY – M. PERROT, Storia delle donne. L’antichità,
Laterza, Roma-Bari 2003
Guida alla lettura e alla riflessione
• Qual era per una donna romana lo scopo della
vita?
• A che età si sposavano le ragazze?
• Quale utilità comportava la presenza di una
concubina?
• Qual era la condizione della concubina?
• Che cosa accomunava lo status giuridico
della moglie e quello della concubina?
Focus
2 Paterfamilias e materfamilias
Strumenti
Oggi la patria potestà, salvo situazioni particolari,
spetta a entrambi i genitori e termina quando i figli di
entrambi i sessi compiono 18 anni.
In Età repubblicana l’uomo e la donna raggiungevano la
piena maturità della loro condizione di cittadini quando assumevano rispettivamente il titolo di paterfamilias e materfamilias.
Perché la donna potesse chiamarsi materfamilias non le bastava sposarsi, ma doveva aver dato figli legittimi al marito.
L’uomo, invece, era autorizzato a portare il titolo di paterfamilias anche senza aver mai generato o adottato figli.
In ogni caso, essere materfamilias non significava avere la
patria potestas. In Età repubblicana la donna sposata
non poteva ereditare dal padre né lasciare un’eredità ai fi-
gli, né adottare figli di altri: “Le donne non possono adottare in nessun modo perché non hanno nemmeno i figli naturali sotto il loro dominio”, scrisse un giurista romano.
In Età imperiale la situazione cambiò. Augusto soppresse
la tutela del marito sulle donne che avessero messo al
mondo tre figli legittimi. In seguito Claudio soppresse la
tutela per tutte le donne libere senza porre condizioni. Da
quel momento esse poterono avere un patrimonio e amministrarlo in prima persona, con l’unica eccezione della dote, che restò affidata all’amministrazione del coniuge.
Alcuni documenti mostrano che le donne dell’Impero romano erano perfettamente in grado di amministrare i propri beni e di concludere atti giuridici, ma non fu mai permesso loro di adottare un figlio.
Y. THOMAS,
La divisione dei sessi nel diritto romano, in DUBY – PERROT, cit.
Guida alla lettura
• Quando una donna poteva chiamarsi materfamilias?
• Quando un uomo poteva chiamarsi paterfamilias?
• Che cosa comportava per la donna non avere la patria
potestas?
Il sarcofago
dei due sposi.
Nel I secolo a.C.,
quando la Repubblica
stava ormai morendo,
sulle tombe i mariti
cominciarono a far
raffigurare o citare
anche la moglie. Questo
sarcofago, però, merita
un’attenzione
particolare. I due,
infatti, sono Marco
Porzio Catone e sua
moglie Porzia. Ma
Catone era lo stesso
personaggio di cui si
parla nei DOCUMENTI 5 e
6. Confrontali con
l’immagine affettuosa
offerta qui dai due
sposi.
• Quando la donna romana fu svincolata dalla tutela?
• Che cosa comportò per la loro vita questo cambiamento? Che cosa rimase invariato?
Focus
3 Nomi e cognomi
I Romani consideravano la donna un “uomo imperfetto” e
lo dimostrarono anche con un costume che oggi riterremmo umiliante.
Mentre infatti gli uomini erano designati con tre nomi o addirittura con quattro, le donne ne avevano soltanto uno (il
gentilizio al femminile) ed erano prive del nome personale: un fatto che sembra aver voluto ribadire il loro totale assorbimento nella famiglia, di cui venivano considerate una
frazione anonima e passiva.
Se pertanto Tucidide, nel mondo greco del V secolo a.C.,
aveva proclamato che la donna migliore era quella di cui
non si parlava mai, né per lodarla né per biasimarla, per i
Romani il massimo segno di onore verso una donna fu addirittura quello di non pronunciarne neppure il nome.
L. CRACCO-RUGGINI, Donne a Roma
Guida alla lettura e alla riflessione
• Quali sono le probabili ragioni per cui le donne romane non erano designate con i tre nomi?
Strumenti
Padre
Figlia
Padre
Figlia
Padre
Figlia
Il sistema onomastico romano
Prenome
Gentilizio
Cognome
Quinto
–
Publio
–
Gaio
–
Fabio
Fabia
Cornelio
Cornelia
Giulio
Giulia
Massimo
–
Scipione
–
Cesare
–
Prenome
Padre
1ª figlia
2ª figlia
Marco
–
–
Gentilizio
Cognome
Antonio
Antonia maggiore
Antonia minore
–
–
–
… se oggi fosse ancora così
Padre
Figlia
Padre
Figlia
Antonio
–
Giovanni
–
Corridoni
Corridona
Sambugar
Sambugara
–
–
–
–
4 Matrimoni e divorzi privi di solennità
Il matrimonio romano era un atto privato, un fatto che non
richiedeva la sanzione di nessun potere pubblico: era un
atto non scritto. Non si passava davanti all’equivalente di
un sindaco o di un parroco, tanto che non esisteva alcun
contratto matrimoniale, ma solo un contratto di dote. Nessun gesto simbolico era di rigore. Al massimo potremmo
paragonarlo a un nostro fidanzamento. Allo stesso modo,
dal punto di vista giuridico, il divorzio era facile sia per la
moglie sia per il marito: bastava che l’uno o l’altro se ne
andassero di casa con l’intenzione di divorziare.
A Roma si divorziava e ci si risposava frequentemente tanto che, quasi in ogni famiglia, convivevano sotto il medesimo tetto figli nati da unioni diverse e anche figli adottivi.
Non era infrequente che il governatore di una provincia,
tornato a Roma dopo qualche anno di assenza, scoprisse
che la moglie aveva divorziato senza neanche avvertirlo e
che suo padre l’aveva sposata con un altro. Ma, dato che i
matrimoni d’amore erano rarissimi, un fatto del genere non
era quasi mai considerato una tragedia; solo una seccatura.
Il matrimonio era solo un atto della vita fra i tanti, e la sposa non era che uno degli elementi della famiglia, famiglia
in cui figli, liberti, clienti e schiavi venivano posti tutti sullo
stesso piano. “Se il tuo schiavo, il tuo liberto, tua moglie o
il tuo cliente osano replicarti, sei preso dall’ira”, scriveva
Seneca, il filosofo e precettore di Nerone. I paterfamilias illustri trattavano le loro cose tra loro, come tra potenza e
potenza, e se uno di essi doveva prendere una decisione
grave, riuniva il “consiglio degli amici” piuttosto che discuterne con la moglie.
Una donna, per i Romani, era semplicemente “una gran
bambina” che bisognava saper prendere per il suo verso
per via della dote e del nobile padre.
P. VEYNE, Il matrimonio romano,
in PH. ARIÈS – G. DUBY (a cura di),
La vita privata dall’Impero romano all’anno Mille,
Laterza, Roma-Bari 1986
Guida alla lettura e alla riflessione
• Quali differenze riscontri tra il matrimonio romano e
quello moderno?
• In quale modo si poteva divorziare?
• Che cosa rappresentava la sposa rispetto agli altri
membri della famiglia?
• Quali differenze riscontri tra l’adozione e il divorzio odierni e quelli romani?
Focus
5 Una ridda di matrimoni politici: come i Romani
fecero scuola a tutti i sovrani di età successiva
Gaio Giulio Cesare diede in sposa a Pompeo la sua unica
figlia Giulia, per suggellare mediante un legame matrimoniale l’alleanza con lui.
Da tempo questo tipo di affari apparteneva al costume romano, e spesso avveniva che un matrimonio precedesse
un’unione politica, anziché seguirla. Il triùmviro si mostrò
incurante del fatto che la ragazza fosse appena diciassettenne e che il marito avesse trent’anni più di lei. Giulia era già
fidanzata, ma ciò non costituì un ostacolo ai progetti del padre, tanto più che al giovane fu promessa in cambio la figlia
di Pompeo, la quale a sua volta avrebbe dovuto rompere il
fidanzamento con il figlio di Silla. Cesare stesso convolò a
nuove nozze unendosi, sempre per ragioni politiche, con la
giovane e affascinante Calpurnia. Era il suo quarto matrimonio. L’anno successivo, secondo i piani, al consolato salì
proprio suo suocero Calpurnio Pisone che si prodigò per
far ottenere al genero importanti comandi militari.
Catone levò una fiera protesta definendo intollerabile il sistema di prostituirsi l’un l’altro il potere a prezzo di matrimoni e
di procurarsi scambievolmente incarichi, province ed eserciti
per mezzo di donne. Ma nemmeno Catone era immune da
colpe in questo campo. Egli stesso per ragioni politiche aveva dato sua figlia Porzia in sposa a Bibulo ed era arrivato addirittura a prestare sua moglie Marzia a Quinto Ortensio.
La faccenda andò così. Quinto Ortensio, celebre oratore e
spirito bizzarro, un giorno gli chiese in moglie la figlia desiderando anch’egli “seminare” nel generoso terreno di Porzia. Se Bibulo era ancora affezionato alla moglie, egli gliela
avrebbe restituita non appena Porzia gli avesse dato un figlio. Catone nicchiò e allora Ortensio gli chiese sua moglie
Marzia. Non si sa bene perché, ma l’irreprensibile Catone,
che aveva rifiutato di dare in prestito al “degno” Ortensio
la figlia Porzia, gli concesse invece la moglie Marzia che in
quei giorni aveva messo incinta per la quarta volta.
Il Magno, ovvero il grande Pompeo, amava sinceramente la
figlia di Cesare, morta di parto a soli 29 anni, e quel matrimonio felice aveva salvaguardato anche i rapporti politici
fra genero e suocero. Quando venne a mancare quel legame così particolare, Pompeo si sentì più libero di agire in
nome di un esclusivo e personale interesse di predominio e
Roma fu sconvolta al pensiero che si spezzava un vincolo
in grado di conservare la pace in uno Stato malfermo.
Cesare cercò di riallacciare un nuovo legame sentimentale
con l’altro triumviro offrendogli in sposa una pronipote, Ottavia, e chiedendogli la mano di sua figlia Pompea. Lo straordinario intreccio matrimoniale vagheggiato da Cesare comportava la rottura di altri legami in atto: Ottavia doveva divorziare da Claudio Marcello, mentre la figlia di Pompeo doveva
rompere il rapporto con Fausto Silla. Lo stesso Cesare avrebbe dovuto lasciare Calpurnia, con la quale era unito da cinque anni. Ed egli non avrebbe esitato a sacrificarla sull’altare
della convenienza politica.
Si sorprese sommamente quando Pompeo rifiutò di rinnovare con lui un patto privato a carattere matrimoniale. Il Magno
preferì infatti scegliere Cornelia, figlia di Scipione Metello,
dunque una patrizia, il che rendeva chiaro come egli intendesse riavvicinarsi all’aristocrazia mediante le influenti famiglie degli Scipioni e dei Metelli.
ANTONIO SPINOSA,
Cesare, Mondadori, Milano
Donne al centro
del potere.
Livia, a sinistra e
Ottavia, a destra: la
prima, moglie di
Augusto, divenne la
donna più potente di
Roma; la seconda fu
sacrificata più volte dal
fratello per i suoi
disegni politici.
Seguendo le orme del
padre adottivo, Augusto
rese infelici anche sua
figlia e la figlia di lei,
entrambe di nome
Giulia.
Focus
6 Uomini: attenti a non farvi mettere i piedi in testa!
Strumenti
Siamo nel 195 a.C. Cartagine è stata sconfitta definitivamente a Zama sette anni prima e, secondo le donne,
non ha più senso tenere in vita la Legge Oppia varata
nel 214 a.C., che vietava alle donne di possedere più di
5 grammi d’oro, di portare abiti variopinti, di servirsi in
città di un carro trainato da buoi, privandole dei loro
simboli di prestigio.
Era l’anno della battaglia di Canne e la legge si giustificava con il fatto che tutte le risorse economiche di Roma dovevano essere concentrate sulla disperata resistenza contro Annibale. Nel 195 a.C. le matrone, ritenendo superata quell’emergenza, si radunarono nel
Foro minacciando feroci rappresaglie familiari (tra
cui quella di procurarsi l’aborto) se non venivano restituiti loro “gli ornamenti di un tempo” che distinguevano
la donna di rango dalla schiava e dalla donna qualunque.
Il DOCUMENTO ricostruisce il discorso con cui il console
Marco Porzio Catone, personaggio noto per il suo moralismo contadino, ma arricchitosi con l’usura e protagonista di uno scambio matrimoniale narrato nel DOCUMENTO 5, cercò invano di opporsi all’abrogazione della
Legge Oppia, proposta da due tribuni della plebe in appoggio alle proteste delle donne.
Cani e gatti.
Il patrizio a sinistra e la
matrona a destra sembrano
fronteggiarsi in una lotta
senza quartiere.
Il discorso di Catone è riportato da Tito Livio, lo storico vissuto alla corte di Mecenate e di Augusto, autore di una
monumentale storia di Roma ab urbe còndita, cioè dalla
sua fondazione.
Se ciascuno di voi si fosse occupato di conservare in famiglia la propria autorità e la propria dignità di marito, avremmo meno da fare con tutte quante le donne; ora la
nostra libertà, abbattuta in casa dalla prepotenza femminile, viene calpestata anche qui nel Foro e, poiché non le abbiamo tenute a freno una per una, ora ce le troviamo davanti tutte insieme.
I nostri antenati vollero che le donne non sbrigassero nessuna faccenda, neppure privata, senza la guida di un tutore, ma che dipendessero dai genitori, dai fratelli, dai mariti:
noi tolleriamo che ormai esse si dedichino all’attività politica e che s’intromettano anche nella vita pubblica, nelle assemblee, nelle elezioni.
Che cos’altro, infatti, fanno nelle vie e nei crocicchi, se non
appoggiare la proposta dei tribuni della plebe e sostenere
l’abrogazione di una legge della Repubblica?
Prima allentate i freni alla loro natura incapace di dominarsi e poi sperate che siano loro stesse a porre un limite alla
loro intemperanza.
Non avete capito che vogliono la completa libertà, anzi,
per dirla tutta, la piena licenza?
Riandate con il pensiero a tutte le leggi con cui i vostri
antenati hanno limitato la loro intemperanza e a quelle
con cui le hanno rese soggette ai loro mariti: benché siano vincolate da tutte queste norme, potete a stento tenerle a freno.
E adesso? Credete che permettendo loro di ottenere con la
forza la soddisfazione di tutte le loro richieste diventeranno sopportabili? Appena si sentiranno alla pari con i loro
mariti si sentiranno subito superiori.
TITO LIVIo, Storia di Roma dalla fondazione XXXIV, 1-3, 2
Guida alla lettura e alla riflessione
• Secondo il DOCUMENTO 6, per quale motivo si erano
corrotti i costumi delle donne romane?
• Che cosa scandalizzava maggiormente Catone?
• Quali conseguenze avrebbe avuto, secondo lui, la
concessione di maggiori libertà alle donne?
• Quale fatto straordinario, rispetto alla condizione delle
donne di allora, emerge dalla lettura degli STRUMENTI?
Focus
7 Donne avvocato
Valerio Massimo, vissuto nel I sec. d.C., fu autore di una
raccolta di aneddoti. È grazie alla sua testimonianza che
sappiamo che nel I sec. a.C. alcune donne si presentarono
nei tribunali come avvocato.
A
B
Afrania, moglie di un senatore e soprattutto donna
sempre pronta ad attaccar briga, parlava personalmente in difesa di se stessa davanti al pretore, non perché le mancassero gli avvocati, ma a causa della propria enorme impudenza. Così, tormentando continuamente i tribunali con le
sue urla, divenne il simbolo famigerato degli intrighi femminili; al punto che le donne di cattivi costumi erano accusate
di essere delle Afranie. Visse fino al 49 a.C. Di un tale mostro
va ricordata più la data della morte che quella della nascita.
Ortensia, figlia del grande avvocato Quinto Ortensio
Ortalo, allorché le matrone furono gravate da una
pesante tassa perché contribuissero alle spese militari e
nessun uomo voleva prendere le loro difese, difese coraggiosamente e felicemente la loro causa: usando un’eloquenza degna di suo padre, ottenne che la maggior parte
del denaro che era stato riscosso fosse loro restituito.
VALERIO MASSIMO, Libri dei fatti e dei detti memorabili IX, 8, 3, 3
VALERIO MASSIMO, Libri dei fatti e dei detti memorabili IX, 8, 3, 2
Guida alla lettura e alla riflessione
Strumenti
Come attesta il DOCUMENTO, Ortensia vinse una causa
politica di enorme importanza. La conseguenza fu
che il Senato si affrettò a far emanare un editto con
cui veniva vietato alle donne di rappresentare altri
in giudizio.
• Come è giudicata Afrania? Come è giudicata Ortensia?
• Qual è la reazione del Senato romano alla vittoria di
Ortensia?
• Come giudichi il tipo di causa difeso da Ortensia?
Importante e di poco peso?
8 Guai a farsi accompagnare in missione da una donna!
Siamo ormai nell’Impero e le donne si stanno emancipando, ma non senza opposizioni. Lo storico Tacito, vissuto
fra primo e secondo secolo dopo Cristo, riporta il discorso
Non certo a caso i nostri padri avevano fissato il
divieto di tirarsi dietro le donne nelle missioni
in terre straniere; in un seguito femminile non
manca chi ritarda la pace per smania di lusso, la
guerra per paura, e chi trasforma la marcia di un
esercito romano in un’avanzata di barbari. La
femmina non è solo debole e incapace di sopportare le fatiche ma, solo che le si lasci mano
libera, è capace di reazioni furiose, intrigante, avida di potere; le donne vanno a mettersi tra i
soldati, tengono ai loro ordini i centurioni.
E i senatori dovevano riflettere che, in ogni processo per concussione, i peggiori addebiti erano
di un senatore che nel 21 d.C. propose di votare il divieto
per i governatori delle province di farsi accompagnare
dalla moglie.
rivolti alle mogli: e con loro subito facevano lega i peggiori elementi delle
province, erano le donne a trattare e
mediare affari.
E se in passato la Legge Oppia e altre ancora avevano messo loro un freno, ora,
sciolte da ogni vincolo, avevano in pugno
la vita privata, quella pubblica e ormai anche
l’esercito.
Guida alla lettura e alla riflessione
• Perché, secondo il senatore, le donne non dovrebbero accompagnare i mariti nelle province?
• Confronta il DOCUMENTO 8 con i DOCUMENTI 6 e 7 e rifletti: le loro motivazioni ti sembrano plausibili o sono
venate di misoginia, cioè di “odio per le donne” (il greco gynè significa “donna”, come dimostra la parola
“gineceo”)?
TACITO, Annali, III, 33
La bella e la megera.
Queste due teste incarnano i
due tipi di donne detestati dai
misogini: la bellissima che,
proprio per questo, viene
accusata di essere intrigante e
capricciosa, e la vecchia,
consunta da una vita pesante
e non più desiderabile: senza
pietà, la si definisce “una
megera”.
Focus
9 Donna intelligente e fine…
perché legge le opere del marito
Nel I secolo d.C., le donne di rango non erano più ignoranti: sapevano leggere ed erano in grado di valutare la
perizia di poeti e oratori.
Ce ne viene dato un esempio da Plinio il Giovane, oratore
e uomo politico, che, in una lettera alla suocera, loda non
solo il carattere ma anche l’intelligenza e la cultura di Calpurnia, la sua terza moglie. La lettera però mostra anche
quel tipo di donna devota e non aggressiva che corrisponde
perfettamente al modello tradizionale, gradito da sempre
alla cultura romana.
Calpurnia è di un ingegno e di una semplicità eccezionali:
essa mi ama, il che è una prova della sua virtù. Aggiunge a
questi doni l’amore alle belle lettere, che le è stato ispirato
dall’affetto per me. Possiede le mie opere, le legge e rilegge, le ha imparate a memoria.
Quanta preoccupazione in lei alla vigilia di una mia arringa,
quale gioia quando è cosa fatta! Essa si organizza per trovare chi le faccia conoscere quali consensi, quali applausi io
abbia provocato, quale successo io abbia ottenuto.
Quando tengo delle letture, assiste da un locale vicino dietro una tenda e spia con avide orecchie i complimenti che
mi vengono tributati. Essa anche canta i miei versi e li modula sulla cetra, non ammaestrata da altro che dall’affetto, il
quale è un ottimo maestro. Per queste ragioni io nutro la
più fiduciosa speranza che il nostro reciproco affetto sarà
senza fine e crescerà di giorno in giorno.
PLINIO, Lettere, IV, 19
Guida alla lettura e alla riflessione
• Quali caratteristiche loda Plinio in sua moglie?
• Confronta questo documento con le epigrafi proposte dal DOCUMENTO 12. Che differenza c’è fra Calpurnia
e le altre donne?
• Secondo te si può dire che Calpurnia è una donna
“moderna”?
10 Si affaccia finalmente l’amore
Seneca, il filosofo del I secolo d.C. che fu precettore e consigliere di Nerone, tesse le lodi della propria moglie.
Qualcosa sta cambiando nella mentalità romana: è nato
l’amore coniugale.
Paolina mi raccomanda sempre la salute. Sapendo che il
suo spirito fa tutt’uno col mio, per un riguardo a lei, comincio a riguardarmi io stesso. Penso che in questo vecchio c’è
anche una giovane cui si deve attenzione.
Bisogna assecondare l’amore sincero; e qualche volta bisogna richiamare lo spirito vitale per rispetto dei propri cari:
chi non stima la moglie o un amico tanto da prolungare la
propria esistenza, chi si ostina a voler morire 1, è uno smidollato.
SENECA, Lettere a Lucilio, 1049
1 chi si ostina a voler morire: da giovane, Seneca pensò più volte al
suicidio.
Guida alla lettura e alla riflessione
• In che modo Paolina dimostra il suo amore per Seneca? In che modo egli la contraccambia?
• L’amore di Paolina lo ha cambiato?
• Confronta le figure di Paolina e di Calpurnia e il modo
in cui i rispettivi mariti ne parlano.
Quali differenze noti?
Donne letterate.
Una donna romana con in mano le tavolette cerate per scrivere
(Terenzio Neo e la moglie, Pompei).
Focus
11 Il “senatino” delle donne
Il documento è tratto dalla Historia Augusta, un’opera
della fine del IV secolo d.C., di cui non è noto l’autore.
Da un punto di vista storico essa non è particolarmente
attendibile: spesso le fonti sono inventate e inoltre prevale
il gusto per gli aneddoti curiosi e moraleggianti. È in questa seconda ottica che va letto il brano proposto, relativo
alla biografia di Elagàbalo, imperatore vissuto nel III secolo d.C.
Quando tenne la prima seduta con il Senato, Elagàbalo diede ordine che sua madre fosse invitata a parteciparvi. Al
suo arrivo fu invitata a sedersi su uno degli scanni riservati
ai consoli e presenziò personalmente alla redazione del
verbale, in altre parole fu testimone della stesura del decreto senatorio; ed egli fu l’unico fra tutti gli imperatori sotto il
cui regno una donna, quasi fosse un’Eccellenza, entrò in
Senato a svolgere mansioni riservate agli uomini.
Fece inoltre costruire sul colle Quirinale un “senatino”, cioè
un Senato di donne, proprio dove in passato si riunivano le
matrone romane, ma solo in occasioni di particolari solennità. Qui furono emanati ridicoli decreti circa le regole di
comportamento per le matrone, stabilendo con quale vestito ciascuna dovesse presentarsi in pubblico, a chi dovesse
cedere il passo, quale di loro e da chi dovesse ricevere baci,
quale dovesse viaggiare in carrozza, quale a cavallo, quale
a dorso di mulo o d’asino, quale su un cocchio trainato da
muli o su uno tirato da buoi, quale potesse andare in portantina, e se questa dovesse essere rivestita di pelle, o fatta
d’ossa, o intarsiata d’avorio, o argentata, e chi di loro, infine, potesse portare calzature ornate d’oro e di pietre preziose.
Historia Augusta, Elagàbalo 4, 2-4
Guida alla lettura e alla riflessione
• Fai un paragone fra le norme emanate dal “senatino” e quelle relative alla Legge Oppia e ripensa ai motivi che indussero le matrone a chiedere l’abrogazione di quest’ultima.
• Inquadrati in una società romana in rapida evoluzione
(le donne nobili ormai potevano sposare un plebeo sen-
za perdere il proprio rango e la cittadinanza romana era
stata estesa a tutti i sudditi dell’Impero, accettando così, implicitamente, usi e costumi delle più lontane province) i decreti del senatino ti sembrano ridicoli come li
fa apparire l’anonimo autore?
12 Il mondo delle epigrafi funerarie
Nelle iscrizioni delle tombe sono citate tutte le qualità del
defunto. Spesso sono dei piccoli riassunti di tutta la vita.
Queste che proponiamo, di varie epoche, essendo state ordi-
nate evidentemente dai mariti, mettono in risalto le virtù
che i Romani attribuivano alla loro moglie ideale.
Vorrei che mia figlia avesse in sorte di vivere casta
e imparasse dal mio esempio ad amare il marito.
Vissi 25 anni.
Causa della mia morte fu il parto e l’empio fato.
Ma tu cessa di piangere, mio diletto compagno, e custodisci l’amore per il figlio nostro.
Poiché il mio spirito è ormai tra gli astri del cielo.
Sposa, che per anni mi fosti tanto diletta,
con la tua abnegazione hai superato il marito.
Tutto ciò che abbiamo l’hai procurato con il tuo lavoro.
Amico, non è molto quello che ho da dirti, ma fermati e leggi.1
Questo è il modesto sepolcro di una donna bella.
I genitori le diedero il nome di Claudia.
Amò suo marito, con tutto il suo cuore.
Allevò due figli, uno dei quali lasciò in vita, l’altro sotto terra.
Sapeva conversare piacevolmente, camminava con grazia.
Lavorò la lana e custodì la casa.
Questo è tutto. Puoi andare.
Guida alla lettura
e alla riflessione
• Elenca le qualità che si
richiedevano alle donne
di età imperiale distinguendole tra nuove e tradizionali.
1 fermati e leggi: la tomba, anche
piccola, era un monumento, dunque un ricordo tangibile del defunto. Situate lungo le vie principali
fuori dalla città, le loro iscrizioni erano fatte in modo da attirare l’attenzione dei passanti affinché le
leggessero.