PREVENZIONE Infertilità maschile Alla paternità si pensa anche da giovani Le cure contro il cancro possono compromettere la possibilità dei ragazzi di diventare padri. La soluzione esiste e deve essere colta senza ritrosie, perché rappresenta una concreta speranza per il futuro a cura di AGNESE CODIGNOLA ragazzi più giovani, quando si ammalano di cancro, tendono a sottostimare gli effetti che le cure possono avere sulla loro fertilità futura. Lo afferma un’indagine svolta dal National Cancer Institute statunitense che mette in luce anche quelle che sono le maggiori barriere psicologiche che impediscono di prendere le precauzioni per preservare la possibilità di diventare, un gior- I no, padri, prima tra tutte la conservazione del seme. “Si tratta di tecniche oggi più che convalidate” spiega Monica Terenziani, oncologo pediatra della Struttura complessa di pediatria dell’Istituto nazionale tumori di Milano (INT), diretta da Maura Massimino, uno dei gruppi italiani specializzati nelle neoplasie dell’adolescente. “La conservazione del seme è un intervento per nulla invasivo, che richiede soltanto un esame preliminare del sangue per la verifi- 12 | FONDAMENTALE | APRILE 2013 ca delle infezioni da epatite (B e C) e HIV, e che permette a chi ha superato la malattia di vivere negli anni successivi anche la paternità”. RITROSIE E IMBARAZZI Se l’indagine americana rivela che l’imbarazzo nel trattare un argomento che ha a che vedere con la sessualità è uno dei primi ostacoli, Terenziani, che lavora ogni giorno a contatto sia con bambini sia con adolescenti e giovani, dimostra, con la sua esperienza, che quando si affronta l’argomento con i toni giusti le difficoltà vengono presto superate. “Le famiglie di solito aderiscono subito al programma di conservazione dello sperma, perché vedono in questo un messaggio di speranza, un futuro ancora tutto da inventare. Ma anche i ragazzi, sebbene spesso all’inizio nutrano altre preoccupazioni, poi capiscono l’importanza di questo atto e danno il loro assenso, se non ci sono ostacoli tecnici”. Una struttura come la pediatria dell’INT, dove sono sempre presenti, oltre agli oncologi-pediatri, psicologi e specialisti che possono aiutare la famiglia e il malato ad affrontare anche questo aspetto, ha dei livelli molto alti di adesione ai programmi per la conservazione della fertilità. E lo stesso vale per molti dei grandi centri oncologici italiani. Terenziani, insieme a colleghi europei, per conto di PanCare (Pan Euro- IL NETWORK DEDICATO In questo articolo: fertilità chemioterapia adolescenti pean Network for Care of Survivors after Childhood and Adolescent Cancer) ha effettuato un’indagine conoscitiva tra i circa 190 centri di oncoematologia pediatrica europei. Estrapolando i dati dei soli centri italiani, ha notato che la percentuale dei centri che consigliano la raccolta del seme è molto alta (attorno all’87 per cento) e nella media continentale, rilevando che solo in quattro centri non c’è la possibilità di conservare il seme. In tutti gli altri casi, la preoccupazione per la paternità futura rientra a pieno titolo nell’approccio terapeutico, oggi sempre più globale e centrato sulla persona, più che sulla malattia. UNA RETE DI RAPIDO INTERVENTO “Qui siamo organizzati oramai da anni e in collegamento diretto con centri pubblici che analizzano la qualità del seme, lo processano e lo conservano in specifiche banche. Quando si decide di iniziare una cura chemioterapica, in genere si ha molta fretta. Per questo malato e famiglia devono decidere in fretta, nell’arco di due-tre giorni: poi vengono contattati i centri pubblici, che hanno sempre un atteggiamento di estrema collaborazione e di assoluta disponibilità” spiega Terenziani. A Milano, per esempio, i centri di riferimento sono l’Unità di andrologia dell’Ospedale San Paolo e quella dell’Istituto Regina Elena del Policlinico di Milano: in entrambi i casi, racconta l’oncologapediatra, quando arriva la telefonata, il posto per il ragazzo si trova subito e, se il paziente non può andare di persona perché ricoverato, si organizza il trasporto del campione, con grande sensibilità, unita alla consapevolezza che un gesto in fondo poco impegnativo può cambiare la vita di un (ex) paziente. “Molte delle terapie necessarie a curare il cancro danneggiano in parte o compromettono in toto la fertilità maschile, in alcuni casi già alterata dalla malattia” spiega Terenziani. “Il grado di tossicità verso le cellule riproduttive è variabile a seconda del tipo di farmaco usato e della dose somministrata. Tuttavia le indicazioni internazionali consigliano, UN LAVORO MULTIDISCIPLINARE ncologi ed esperti di fertilità e procreazione medicalmente assistita non sempre hanno un linguaggio condiviso, perché i primi sono proiettati verso la cura del tumore, mentre i secondi non sempre riescono a far comprendere appieno l’importanza di fare o non fare determinate terapie e procedure per preservare la fertilità futura. Per lavorare meglio, in piena sintonia tra specialisti diversi, e fare tutto ciò che si può per assicurare la genitorialità futura di ragazzi e ragazze, Francesco Raspagliesi, direttore della Struttura complessa di ginecologia oncologica dell’Istituto nazionale tumori di Milano, ha dato vita al progetto Cryo-Onco network, una rete che comprende, oltre agli oncologi, anche ematologi, pediatri, chirurghi insieme ad andrologi e ginecologi esperti di procreazione medicalmente assistita. Il network è aperto a tutti i medici che vogliano saperne di più ed è nato con lo scopo di favorire il dialogo per individuare e risolvere i problemi che si presentano di volta in volta, anche discutendo i singoli casi. L’idea, inoltre, è quella di individuare procedure condivise, che possano diventare standard per tutti, in modo che non si verifichino mai ostacoli dovuti a incomprensioni o a ritardi e doppioni. O Una Piccola accademia per sconfiggere i pregiudizi prima di intraprendere un trattamento chemioterapico, e nei casi in cui sia tecnicamente possibile, di suggerire sempre la raccolta del seme, poiché non si può sapere a priori che cosa succederà”. IMPORTANTI ANCHE I CONTROLLI Un recente studio dell’Università di Sheffield, in Gran Bretagna, punta invece il dito sulla fase post terapia e successiva al prelievo dello sperma. Secondo quanto verificato su 500 ex pazienti che avevano conservato il seme nei precedenti cinque anni, solo uno su tre si era sottoposto a controlli regolari, un altro terzo lo aveva fatto una sola volta e il restante 30 per cento mai. “Nel nostro caso” spiega Terenziani “quando il seme è custodito in una banca, il rapporto tra paziente, genitori e banca stes- sa non si interrompe, anche perché, allo stato attuale, il mantenimento dello stesso ha un costo annuo a carico del malato (mentre tutte le procedure precedenti sono a carico del Sistema sanitario nazionale). Gli oncologi-pediatri, dal canto loro, ricordano ai ragazzi, nel corso degli anni successivi alle terapie, di effettuare un esame dello sperma, anche se l’adesione a questa richiesta è in genere bassa”. Più complicato è, al momento, il caso di bambini prepuberi che affrontano un tumore, perché in quel caso il prelievo di tessuto testicolare è una tecnica del tutto sperimentale e non ancora supportata dai dati di efficacia nella pratica clinica: questi ragazzi, una volta cresciuti, dovranno essere correttamente informati e seguiti per la valutazione della fertilità. APRILE 2013 | FONDAMENTALE | 13