LUCI E OMBRE SULLA PROFILASSI E TERAPIA DI TVP/EP NELLE NUOVE LINEE GUIDA Iolanda Enea Le linee guida costituiscono un punto di riferimento per il medico nella pratica clinica quotidiana essendo un valido strumento di supporto per la stratificazione del rischio trombotico ed emorragico e la scelta di una corretta gestione terapeutica. Nonostante la molteplicità delle linee guida, tuttavia, siamo consapevoli del fatto che, essendo elaborate sulla base di evidenze nate da studi clinici randomizzati controllati, meta-analisi, consenso di esperti esse forniscono per definizione evidenze “limitate nel tempo” e, nella maggior parte dei casi, non possono fornire evidenze sulle popolazioni “fragili”, generalmente non inserite nei classici studi clinici randomizzati, mi riferisco al “grande anziano”, al paziente con insufficienza renale severa, al paziente con epatopatia severa, con piastrinopenia etc.. Inoltre, esse lasciano numerosi quesiti senza risposta. Nella mia breve relazione cercherò, quindi, di evidenziare “le luci” date dalle linee guida e di soffermarmi sulle “ombre” cercando di far riferimento ai problemi che la pratica clinica quotidiana ci pone. Una delle caratteristiche essenziali delle linee guida ACCP 2012 è la revisione al ribasso del grado di raccomandazioni: tutte le raccomandazioni “1A” sono diventate “1B”, dunque, tutte le raccomandazioni delle nuove linee guida sono diventate meno solide rispetto a quelle fornite dalle linee guida 2008. Si potrebbe dire che le nostre certezze sono state nuovamente messe in discussione. Tuttavia, se consideriamo che, anche le affermazioni più “forti”, non vanno applicate pedissequamente ma pongono il medico di fronte una scelta individualizzata, a ben vedere, il fatto che alcune “raccomandazioni” siano diventate “suggerimenti” lascia maggiore spazio alle scelte cliniche. In particolare, ciò che le nuove linee guida sembrano sottolineare è che la scelta della condotta da tenere si deve basare sulla continua valutazione del bilancio tra vantaggi e possibili danni in termini assoluti. Per quanto riguarda la profilassi si sottolinea la opportunità di non utilizzare la profilassi nell’elevato rischio emorragico (1B), situazione in cui fanno il loro ingresso l’uso di calze a compressione graduata e la compressione pneumatica intermittente (2C). Si sottolinea la necessità dell’uso della profilassi nei pazienti con cancro (1B). Per meglio dire nel paziente con cancro senza fattori di rischio addizionali si suggerisce di non usare la trombo profilassi (2B). Nei pazienti con cancro e fattori di rischio addizionali si suggerisce l’uso di EBPM (2B). Nella generalità dei pazienti medici acuti ospedalizzati ad aumentato rischio trombo embolico si raccomanda l’uso di EBPM (1B); nei pazienti medici acuti ospedalizzati a basso rischio si raccomanda il non utilizzo della profilassi (1B); analogamente non la si raccomanda in quelli con emorragia in atto (1B); mentre nei pazienti medici acuti ospedalizzati con emorragia in corso ed elevato rischio trombotico si consiglia l’uso di CPI ( 2C). Nel paziente medico non si raccomanda di estendere la profilassi al domicilio, così come si consiglia di non somministrare routinariamente la profilassi ai pazienti immobilizzati (2C). E nei pazienti che hanno già avuto un primo episodio embolico? Le cose non sono così chiare: si sa che il rischio è aumentato di circa 4 volte rispetto alla popolazione generale e rimane tale per circa 8 anni dopo l’evento trombotico (Flinterman LE et al PLo S Med 9 (1) 10/1/2012). Nuovi scenari sembrano prospettarsi dopo la pubblicazione sul NEJM dello studio WARFASA primo nome C. Becattini NEJM 2012; 366:1959-67) nel quale si dimostra che l’utilizzo di ASA 100 mg riduce le recidive tromboemboliche. Per ciò che riguarda la terapia, gli obiettivi sono, sicuramente, riduzione delle recidive e riduzione del rischio emorragico. Se da un lato alcune certezze sono rimaste tali: per esempio: la durata della terapia nel paziente con trombosi post chirurgica di 3 mesi (1B); la durata della terapia nel paziente con fattore di rischio non chirurgico transitorio di 3 mesi ( 1B); meno certo è il comportamento nella forma idiopatica in cui si dice che si raccomanda una terapia di almeno 3 mesi e si valuta la prosecuzione della terapia nel basso rischio emorragico (1B) tuttavia, rimane non chiarito quanto tempo deve durare la terapia nella forma idiopatica e come e quando si decide di sospendere la terapia. Gli interrogativi esistenti sono tanti: Quale terapia per le forme superficiali? Quale la terapia delle forme distali? Come comportarsi nelle forme splancniche? Quale terapia nel paziente con insufficienza renale severa? Come comportarsi in caso di gravidanza? Quale il ruolo della genetica?