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Alberto Braghiroli
Centro di Medicina del Sonno ad Indirizzo Respiratorio, Divisione di Pneumologia Riabilitativa, Fondazione
“Salvatore Maugeri”, I.R.C.C.S., Istituto Scientifico di Veruno, 28010 Veruno (NO).
Il trattamento ventilatorio dei DRS: principi di fisiopatologia nella scelta del trattamento
Pur essendo disponibili ipotesi chirurgiche (ORL e maxillo-facciali) e protesiche ortodontiche che possono essere
utilizzate con successo in pazienti selezionati, il trattamento elettivo della sindrome delle apnee ostruttive nel sonno
(OSAS) permane quello a pressione positiva nelle vie aeree nella forma continua (CPAP) o bilevel (BiPAP). Dati
retrospettivi mostrano una retrocessione del rischio cardiovascolare molto vicino al gruppo di controllo, oltre alla
normalizzazione della sonnolenza e dei tempi di reazioni. Non esiste invece al momento un trattamento
farmacologico efficace e il margine di intervento si limita a una modesta percentuale (circa 5%) di soggetti con
ipersonnolenza residua nonostante il trattamento ventilatorio efficace nei quali possono trovare indicazioni farmaci
utilizzati per ipersonnolenza diurna di altra origine (es. narcolessia).
Un tempo titolata esclusivamente in laboratorio del sonno, la CPAP può oggi essere prescritta dopo un iter rigoroso,
ma semplificato che consente la completa gestione ambulatoriale del paziente. E’ in tale ambito che le autoCPAP
rappresentano un alleato prezioso, ben più che per il trattamento domiciliare per il quale erano state originalmente
progettate, ma alla riprova dei fatti rivelatesi spesso una soluzione inadatta.
La somministrazione di una ventilazione non invasiva, anche in assenza di perdite attorno alla maschera o dalla
bocca aperta nel caso di utilizzo di maschera nasale, comporta una modificazione dei normali processi di
umidificazione e riscaldamento dell’aria inspirata. Il flusso forzato tende infatti a rendere meno efficace la funzione
dei turbinati che agiscono come deviatori di flusso e inducono il contatto forzato con le pareti delle cavità nasali e
paranasali, assicurando umidificazione e riscaldamento grazie ai plessi venosi sottostanti. La risposta vasomotoria
conseguente, volta in via riflessa a correggere tale alterazione, comporta una maggiore congestione nasale, da cui
derivano un aumento delle resistenze e, quindi, una tendenza a ridurre paradossalmente la pervietà nasale. Non è
infrequente che questo circolo vizioso comporti la necessità di passare ad una respirazione orale, con perdite ancora
maggiori, incremento compensatorio del flusso da parte della CPAP, comparsa di xerostomia e difficoltà da parte del
paziente all’utilizzo della ventilazione.
Il presidio che determina il miglioramento più eclatante è costituito da una maschera nasobuccale, che evita così la
dispersione dell’umidità, ma non è rara la necessità di dovere associare un umidificatore anche con questa maschera.
Se la maschera utilizzata è nasale risulta indispensabile un umidificatore a caldo in quanto il cosiddetto “pass-over”,
cioè l’umidificatore a freddo in cui il flusso di aria passa attraverso una vaschetta a temperatura ambiente, non
risulta modificare né l’umidità relativa dell’aria inalata, né le resistenze nasali.
Nel caso della CPAP l’umidificatore riscaldato rappresenta un costo supplementare consistente, a volte superiore al
costo dell’apparecchio stesso, e dovrebbe perciò essere prescritto ad hoc.