FIR2006-11(3) - Centro della Famiglia

annuncio pubblicitario
La riscoperta della famiglia in Germania
(2)
Robert Hettlage(1)
A partire dal dopoguerra il ruolo sociale della famiglia in Germania sta al centro dell’interesse sia
come fenomeno culturale in sé, sia come fenomeno che si contrappone o che segue i cambiamenti sociali. Tenendo presente questa prospettiva l’Autore fa un excursus partendo dagli anni ‘50 fino ai nostri
giorni. La preoccupazione per la diminuzione delle nascite si fa sempre più forte tanto che negli anni
‘90 la famiglia è considerata un’istituzione in crisi, un’istituzione che diventa sempre meno importante
nella società, sempre più privata, cioè chiusa in se stessa. A questo punto però scatta un meccanismo di
rivalutazione dell’importanza della famiglia come elemento irrinunciabile, tale rivalutazione, tuttavia,
non proviene né dalla sociologia né dalla psicologia, ma dalla demografia che spinge anche le altre
discipline a ripensare al ruolo pubblico e vitale della famiglia nella società.
Parole chiave: evoluzione familiare, diminuzione delle nascite, società tedesca, studi demografici.
The rediscovery of the family in Germany. Since the end of the Second World War the social role of the
family in Germany has been the focus of attention both as a cultural phenomenon in itself and as a fact
contrasting or following social changes. Within this perspective, the paper offers an excursus from the
1950s to the present time. The concern caused by the birthrate drop was getting increasingly stronger
and in the 1990s the family was viewed as an institution going through a crisis, less and less important
in society, more and more private, i.e. closed in itself. At this point, however, a mechanism is triggered
that gives fresh value to the importance of the family as an element that cannot be given up. This revaluation comes neither from psychology nor from sociology, but from demography that urges other
disciplines too to reconsider the public and vital role of the family within society.
Key words: family development, birthrate drop, German society, demographic input.
Secondo la sociologia culturale tutte le società si muovono entro le loro conoscenze
istituzionalizzate; da queste si formano anche le realtà sociali. Queste conoscenze non comprendono soltanto la conoscenza quotidiana di ciascun individuo, ma anche i discorsi sociali
più elaborati, cioè quelli tenuti nell’ambito della politica, dai mass-media, dalla scienza e dalla
letteratura. Le due dimensioni dei discorsi non sono tra loro indipendenti. Dalla prevalenza di
una dimensione sull’altra dipende se le interpretazioni della realtà riescono ad affermarsi.
I discorsi trattano spesso dei seguenti argomenti: l’identità nazionale, la memoria culturale, lo sviluppo collettivo, la libertà nell’agire nei confronti delle competenze statali. Grazie
alla drammaticità della storia, questi argomenti incontrano in Germania un particolare interesse. Bisogna affermare che l’interesse comprende anche l’istituzione della famiglia.
A partire dal periodo del dopoguerra il ruolo sociale della famiglia (funzione, vulnerabilità e normalità) sta al centro dell’interesse: la percezione della famiglia come fenomeno culturale intrinseco viene sostituita dalla percezione della famiglia come polo opposto ai cambia(1)
Ordinario di Sociologia della Famiglia, Università di Regensburg, Germania.
E-mail: [email protected]_regensburg.de
(2)
Traduzione dal tedesco di Trebo Vera.
Volume 11, Numero 3, 2006, pag. 207
menti sociali; negli anni ‘90 la famiglia é considerata un’istituzione in crisi, sempre meno esistente; a partire dall’inizio di questo secolo si nota una maggiore preoccupazione per la diminuzione delle nascite: mentre nel decennio precedente la famiglia era considerata un fenomeno
privato, ora si discute sempre più sulla sua irrinunciabile importanza demografica e sul suo
ruolo pubblico.
L’analisi proposta in questo articolo riguarda le tappe storiche del concetto di famiglia
partendo dagli anni ‘50.
Retrospettiva sulla percezione pubblica della famiglia
Il modello familiare del dopoguerra
Nel dopoguerra vengono introdotti mutamenti sia nella politica familiare che nell’effettiva situazione familiare. Quando i soldati ritornano dalla guerra cercano i loro famigliari
sopravvissuti e dispersi. La famiglia è l’unico motivo che li spinge ad andare avanti nella vita.
Nei due stati tedeschi (BRD e DDR) la famiglia viene considerata il centro della vita e
il germe della società. Per questo motivo viene protetta e promossa dallo Stato (art. 6 della Costituzione): nel BRD nasce nel 1953 il ministero della famiglia che si occupa specificatamente
degli assegni familiari. Poco dopo il DDR approva il Nuovo Diritto di Famiglia (1966). La
differenza delle agevolazioni tra BRD e DDR è la seguente: mentre il BRD tende a proteggere
la dimensione privata della famiglia, il DDR favorisce la dimensione socio-statale della famiglia.
La lotta per l’equiparazione della donna è una grande novità in entrambi gli Stati, anche se nel DDR le donne hanno più forza. Inizialmente il BRD non è contro la promozione del
quoziente delle nascite, ma cerca principalmente di migliorare la formazione e l’educazione
dei bambini. Il cancelliere Adenauer è dell’opinione che i figli non siano mai mancati. Il DDR
invece sostiene le donne sposate con (o senza) figli con contributi statali.
Nel 1953 il matrimonio è considerato normale e ovvio. Dalle ricerche condotte risulta
che il 95% dei diciottenni, provenienti da entrambi gli Stati, ha l’intenzione di sposarsi da
grande. Solo una persona su 10, nate tra 1929 e il 1931, rimane senza figli. Più del 90% dei
figli abita insieme ad entrambi i genitori biologici. I giovani hanno l’aspettativa di sposarsi,
avere figli e di comportarsi secondo i ruoli tradizionali di padre e madre. La famiglia garantisce la sicurezza (che durante la guerra era andata perduta) e la stabilità. Infatti, questo è il periodo della stabilità familiare (nel 1962 furono celebrati 531.000 matrimoni)e del babyboom
(nel 1964 il BRD registra 1,1 milione di nascite, il DDR 293.000 nascite).
Con l’accelerazione della modernità, nella Germania, la famiglia sembra essere la risorsa stabilizzante di cultura e società. C’è fiducia che i figli promuoveranno il progresso e
garantiranno che le norme di solidarietà della società verranno rispettate. Questo periodo del
dopoguerra termina negli anni ‘60.
La rivoluzione culturale e del benessere negli anni ‘60 e ‘70
Dalla metà degli anni ‘60 in poi alcuni paesi europei subiscono un vero e proprio terremoto politico. Questo assume maggior intensità nella Germania dell’ovest dove lo stato di benessere e i conflitti generazionali sono elevati: nel BRD si registra una grande crescita economica, addirittura si parla di “miracolo economico”; la generazione cresciuta nel dopoguerra
chiede ragione ai genitori della loro storia politica. Non vuole soltanto sapere dove siano stati
nel periodo del nazismo, ma anche per quali fini politici hanno lottato dopo la guerra.
Le prime rivolte universitarie seguono anche fini politici (“Tutto é politico!”). Comincia così la rivoluzione culturale: si cerca di cacciare via il passato, di rivedere la tradizione militare e l’obiezione allo Stato, la personalità autoritaria (Adorno, 1950) e la fede alle istituzioni.
Volume 11, Numero 3, 2006, pag. 208
Il codice della rivoluzione è “il grido di emancipazione”: la liberazione dal “dominio tradizionale” dalla politica, dall’economia e dalla cultura, dai ruoli tradizionali, dalle interpretazioni
religiose, dai curricula vitae tradizionali, dalla concezione di identità e dagli scopi formativi.
Questo rinnovo è possibile grazie al miracolo economico che influenza il modo di ragionare e
la creazione di un io autonomo, fiducioso nelle proprie competenze.
Questi cambiamenti, come già accennato, mettono in crisi i fenomeni che finora sono
stati considerati “normali”: la monogamia, la divisione dei ruoli secondo il genere, le possibilità di formazione secondo il genere, l’educazione sessuale repressa, la famiglia e i figli come
scopo principale della propria vita. La rivolta giovanile considera la famiglia un ostacolo che
dev’essere superato. Lo slogan é: “Chi fa l’amore due volte con la stessa persona é noioso”.
Viene attribuito molto peso alle parole di Engels (1884), secondo il quale la famiglia borghese
ostacola i cambiamenti della società a livello emancipatorio e creativo, perché richiede che le
donne non possano dedicarsi a un lavoro fuori dalle mura domestiche, ma debbano occuparsi
esclusivamente dei figli, della cucina e della chiesa; gli uomini hanno il ruolo di mantenere la
famiglia e i figli devono subire un’educazione terrorizzante. É la cosiddetta “pedagogia nera”.
La famiglia borghese viene considerata responsabile per la generazione di questo male. Perciò
è importante rompere con queste tradizioni e regolare la propria vita in modo alternativo. L’invenzione della pillola è fondamentale per la libertà sessuale femminile.
Le riformulazioni delle prospettive sono quattro:
1. La deistituzionalizzazione del matrimonio e della famiglia: il matrimonio non esercita più il monopolio sessuale e la privatizzazione della morale sessuale.
2. Il mutamento di significato del matrimonio: il matrimonio é preceduto da un periodo
di fidanzamento; la legittimazione del rapporto (matrimonio) avviene solo quando la donna è
già incinta; non é più considerata “coppia” solo la coppia sposata, ma anche quella tra due fidanzati.
3. L’individualizzazione e il pluralismo delle forme vitali private: il matrimonio e la
famiglia ostacolano l’autorealizzazione e nascono così stili di vita alternativi.
4. I cambiamenti all’interno delle strutture familiari: la famiglia è centrata sull’individualità e sulle emozioni, è orientata sulla comunicazione e sui conflitti. Se le aspettative dei
due membri della coppia non corrispondono ci si separa. Come conseguenza alla nuova legge
sui divorzi (1976) aumentano anche i divorzi.
La discussione negli anni ‘80 e ‘90
I cambiamenti all’interno della famiglia hanno delle conseguenze sociali sulla percezione della famiglia normale e sulla riproduzione della società. L’emancipazione e la percezione del cittadino, come essere autonomo, non permettono l’applicazione di una politica pronatalistica; essendo considerata conservativa, incorpora un tabú sociale e non rientra nei discorsi
pubblici (“lo Stato non ha niente da fare nei letti dei cittadini”):
(a) I matrimoni diminuiscono da 414.000 (1990) a 362.000 (1998); nel DDR da 168.000
(1960) a 131.000 (1989). Dopo la riunificazione dei due Stati si arriva a 51.000 (1991)
matrimoni all’anno e nel 1998 la Germania ne conta solo 55.000.
(b) Il quoziente di natalità dei figli illegittimi aumenta nel BRD dal 4,6% (1965) al 14,3%
(1997), nell’ex-DDR nel 1997 il 44,1% dei bambini nati sono illegittimi.
(c) Dal 1960 al 1997, nel BRD aumenta il numero dei matrimoni da 50.000 a 161.000; dal 1969 al 1989, nella DDR aumenta da 25.000 a 50.000. Dopo l’approvazione del divorzio nella
Germania dell’Ovest i matrimoni diminuiscono significativamente per poi risalire alla cifra di
27.000.
(d) È importante considerare l’andamento della denatalità: il numero delle nascite diminuì nel
seguente modo: nella BRD da 686.000 nel 1978 a 572.000 nel 1997; nella DDR da 293.000 nel
1960 a 199.000 nel 1989; con la riunificazione il quoziente di natalità è arrivato al suo livello
Volume 11, Numero 3, 2006, pag. 209
minimo, poi nel 1998 é risalito a 100.000 nascite annuali. All’inizio del ventesimo secolo non
nasce nemmeno un terzo del numero necessario di persone per mantenere a lungo il numero
attuale di persone (immigrati esclusi) (cfr. Peukert, 1999, 28).
Questo mutamento studiato molto negli anni ‘80, spesso viene interpretato in un altro
modo: i sociologi si chiedono se il concetto di famiglia tradizionale sia stato sostituito da uno
nuovo: i mass-media trasmettono notizie sulla famiglia “postfamiliare” e vengono tenuti molti
convegni sulla questione di abbandonare il concetto di “famiglia normale” e introdurre o meno
la libera associazione dei partner e “la sociologia del privato” (Schneider, 2002). Vengono analizzate le reti extrafamiliari, il fallimento del matrimonio e delle coppie e le diverse forme di
convivenza: il matrimonio a prova, le famiglie patchwork, le famiglie commuter, il “living apart together”, la società dei singoli, l’autonomia dei giovani vecchi. I mass-media tendono ad
apprezzare soprattutto i nuovi spazi e la libertà. Altri ricercatori basano i loro studi sulla maggior durata degli studi dei giovani e sulle conseguenze: l’età del matrimonio si sposta in avanti.
Le giovani donne, appena ottenuta la possibilità di studiare, vogliono applicare al lavoro ciò
che hanno imparato. Quindi non si concentrano più soltanto sui figli, ma si fanno tanti figli
quanti si riescono a portare avanti senza rinunciare alla propria carriera.. I demografi parlano
di una “childless society” e avvisano i cittadini che la denatalità non è un problema correggibile, perché i figli che non sono nati negli anni ‘80 non potranno mettere al mondo figli nel 2000.
Le loro preoccupazioni riguardano il numero netto di riproduzione, l’alta cifra di persone senza
figli e soprattutto la denatalità tra le persone con un alto stipendio. I demografi che cercano di
introdurre la “svolta pronatalistica” (Schmid, 1990) vengono spesso etichettati come fondamentalisti e conservatori.
Soltanto nel 2000 si nota un rovesciamento delle tendenze. Ora non é più l’emancipazione il centro dell’interesse, bensì le prospettive del futuro. Le domande poste riguardano le
prospettive dei tedeschi se non vogliono procreare e la necessità di riformulare le previsioni sul
futuro delle famiglie.
Il rovesciamento del discorso familiare al passaggio da un secolo all’altro
La società sul cammino a ristringersi
Dagli anni ‘50 agli anni ‘60 l’aumento annuale della popolazione tedesca è stato considerato normale e ovvio; a cavallo dei due secoli si diffonde l’idea che il numero di persone sta
diminuendo drammaticamente. Anche il piano internazionale ha lo stesso trend: quasi nessun
paese dell’Europa dell’Ovest è in grado di stabilizzare il numero dei cittadini e questa Europa è
diventata un continente che si sta restringendo. Per prevenire la diminuzione della popolazione
ogni donna dovrebbe infatti partorire almeno 2 volte nel corso del suo periodo fertile (210 figli
su 1000 donne). Ma la media europea corrispondeva a più di 300 figli negli anni ‘50; attualmente la media dei figli è uguale a 170 (quoziente di fertilità: 1,7). Eccezion fatta per l’Irlanda
dove ogni donna ha mediamente 2,4 figli, in Francia il quoziente è di 1,9; in Norvegia e Svezia
1,8; in Italia e in Spagna 1,3, in Germania 1,4. È la prima volta che intere popolazioni fanno lo
sciopero di riproduzione.
Al momento, in Europa si individuano tre livelli di fertilità: gli europei del nord, comprese l’Inghilterra e la Francia, arrivano ad una percentuale di fertilità del 50% più alta rispetto
a quella individuata nell’Europa dell’Est e nell’Europa del Sud (1,2); gli altri Stati europei arrivano ad una cifra media di 1,5. Anche se le differenze sembrano minime, esse hanno delle conseguenze devastanti, perché il quoziente di fertilità ridotto anche soltanto a 1,3, riduce complessivamente la popolazione del 25%! Conseguentemente, la popolazione tedesca si restringerebbe nel 2050 del 25% (62 milioni) e nel 2080 conterebbe solo 25 milioni di abitanti (per effetto dell’accelerazione). Se il quoziente di fertilità raggiungesse il valore di 1,9, la popolazione diminuirebbe soltanto del 15% (cfr. Esping e Andersen 2006, 78). Questi valori sono allar-
Volume 11, Numero 3, 2006, pag. 210
manti!
In Germania si nota il maggior spostamento della famiglia. La restrizione della popolazione della Germania dell’Ovest dopo il 1989-90 sembra essersi fermata soltanto per un periodo molto breve: in quel periodo il BRD aveva aggiunto i 16 milioni di cittadini con la riunificazione del DDR. Così la Germania arriva ad avere 82 milioni di abitanti ed essere considerato
lo stato più popolato dell’Europa. Presto si nota però che l’aumento dei cittadini non comporta
delle positive prospettive per il futuro: i cittadini dell’ex DDR hanno reagito all’annessione
bloccando le nascite (quoziente di fertilità nel biennio 1992-94: 0,8 con 79.000 nascite), soltanto nel 1998 sono aumentate (100.000). Nel 2000 si raggiunge un quoziente di fertilità dell’1,2.
Tutto questo porta all’aspettativa che in futuro non si potrà contare su un aumento della natalità. Nessuno però è pronto a fare i conti con la restrizione della popolazione; per questo
si cercano di riempire le lacune con gli immigrati, temendo tuttavia che questi, arrivati in Germania, si adattino al numero dei figli dei tedeschi e facciano aumentare la popolazione portando amici e parenti. Per questo la Germania vuole soltanto promuovere la migrazione per motivi
di lavoro e non ha l’intenzione di accettare molti immigrati.
Nel 2002 addirittura c’è bisogno di specialisti per i computer, chiamando degli indiani
e dando loro il permesso di soggiorno per cinque anni. Il modello di immigrazione australiano
e americano non viene accettato a priori perché, applicando questo modello sarebbe per i tedeschi una soluzione possibile soltanto in caso di eccessiva emergenza. Gran parte della popolazione considera fallita la politica che si occupa dell’integrazione e, implicitamente, rifiuta altresì di riempire le lacune demografiche con l’immigrazione.
Nuovi scenari drammatici
La diminuzione della popolazione non é da considerarsi drammatica soltanto sotto il
profilo demografico quanto piuttosto per il versante politico.
Il contratto intergenerazionale
La diminuzione della popolazione ha delle conseguenze drastiche per gli anziani e i
pensionati: nel 1997 la pensione era assicurata, nel 2000, e ancor più oggi, non lo è più. Lo
Stato sociale si è esaurito e c’è una stagnazione dell’economia che dura da 7 anni, mentre il
quoziente di riproduzione continua ad essere troppo basso. Si avverte la necessità di reagire a
livello politico: i politici trovano opportuno dire che il contratto intergenerazionale tra i lavoratori - che pagava i contributi per finanziare la pensione degli anziani - e gli anziani non è più
garantito. Finora due o tre lavoratori effettivi pagavano la pensione per un anziano; con il prolungamento della vita, si ipotizza che in breve tempo un solo lavoratore dovrà finanziare la
pensione ad un pensionato; questo significherà che il reddito dei lavoratori sarà sempre più
basso e che la pensione degli anziani non sarà più garantita.
Le soluzioni sono due: diminuire le pensioni o aumentare i contributi dei lavoratori. I
conflitti tra le due generazioni sono così pre-programmati. Anche gli attuali lavoratori, visto
che nascono sempre meno figli, devono temere di non ottenere la pensione da anziani. Questo
problema si potrebbe risolvere nel seguente modo: i lavoratori pagano dei contributi anche per
la propria pensione e si potrà andare in pensione in età sempre più avanzata (67 anni).
Con la riduzione della popolazione nasce anche un altro problema: il sistema delle assicurazioni sociali (esempio, la cassa malattia) ha a disposizione sempre meno persone che
pagano i contributi. Visto che non si può aumentare le tasse più di tanto, si cerca di aumentare
il numero dei lavoratori (diminuendo i tempi di formazione, con l’immigrazione, facendo entrare le donne nel mondo del lavoro, ecc.). A partite dal 1998, ma soprattutto dal 2002 in poi,
Volume 11, Numero 3, 2006, pag. 211
questo problema domina in tutte le campagne elettorali e si nota una grande insicurezza tra
cittadini.
La politica sociale si deve occupare delle seguenti questioni: perché é così basso il
quoziente di natalità? Come possiamo aumentarlo? Perché esiste uno sciopero delle nascite?
Perché sempre più persone decidono di rimanere senza figli? È giusto che le famiglie debbano
pagare anche la pensione dei single? Non dovrebbero pagare meno contributi le famiglie? Non
bisognerebbe aiutare le famiglie? Non è già il fatto di formare una famiglia un “servizio sociale” che deve essere onorato?
Quelli che non hanno figli dovrebbero, quindi, pagare contributi più alti. Questo é controrivoluzionario rispetto alla rivoluzione del ‘68.
Il problema irrisolto del lavoro femminile
Spesso si ipotizza che il motivo della diminuzione dei figli sia l’edonismo delle donne.
Le donne stesse, invece, esprimono il desiderio della procreazione; vorrebbero almeno tanti
figli quanti corrispondono a quoziente di natalità adeguato. Ecco i termini del problema.
Le donne devono decidersi tra figli e carriera: spesso tendono a preferire la carriera.
Molte donne percepiscono la formazione come un capitale che non si può rischiare di perdere
per colpa della maternità. Le donne non vogliono più “solo occuparsi degli altri” (Beck e Gernshein, 1998), ma anche realizzarsi nell’ambito pubblico e nel lavoro. Si aggiunga poi che le
relazioni di coppia non durano più tutta la vita. In questo doppio orientamento i figli ricoprono
ancora un ruolo importante, ma non esclusivo.
La doppia attenzione alla famiglia e al lavoro comporta anche un incarico doppio e
questo é il motivo principale della lacuna demografica. Molte donne prendono posizione contraria verso molti bambini ma non verso uno, anche se alcune donne, che svolgono prevalentemente una professione nell’ambito accademico, prendono posizione netta contro la natalità (il
40%). Da un lato le donne che lavorano vengono criticate molto, dall’altro esse vogliono che
siano gli uomini a ricoprire il ruolo esclusivo di mantenimento della famiglia. Esistono poi
soltanto pochi “padri moderni” e normalmente questi limitano la loro attività casalinga su poche attività.
I giovani non si sentono soltanto insicuri, ma hanno anche paura di nuove crisi economiche e insuccesso lavorativo. La politica non riesce a vincere la disoccupazione. Una donna
di 40 anni viene spesso considerata già vecchia e tutto questo diminuisce le aspettative ottimistiche del futuro. Chi vuole dei figli, deve dedicare loro molto tempo, assieme ad attenzione e a
cure. Siccome non si riesce ad eliminare il rischio della disoccupazione, tante donne votano
contro una politica di accentuazione della natalità, oppure si limitano a mettere al mondo soltanto pochi figli.
Queste preoccupazioni rispecchiano un problema di vita, ma anche di identità, sorto
nel dopoguerra tedesco e manifestato come sentimento di autocompassione (Grosser, 2006,
11). Finché non si riescono a risolvere i problemi di progettazione, non si riuscirà a risolvere il
problema demografico.
La struttura dell’insediamento
Anche i comuni, le province e le regioni si occupano del calo demografico. Il problema centrale è che molti abitanti dalla Germania dell’Est migrano nella parte ovest. Questo movimento comporta lo svuotamento di alcune città e delle disparità regionali (un terzo degli appartamenti a Chemnitz è vuoto). Così i comuni dell’ovest risentono dell’aumento della popolazione.
L’effetto primario è il peggioramento della qualità di vita e delle infrastrutture dei servizi. L’effetto secondario riguarda il numero delle nascite: se una città come Essen perde il
Volume 11, Numero 3, 2006, pag. 212
20% degli abitanti, allora può provocare l’effetto secondario, cioè un ulteriore denatalità del
15%. La diminuzione degli abitanti corrisponde quindi al 35%. Si forma un circolo vizioso: gli
abitanti si spostano e non pagano più le tasse e i contributi, non ci sono abbastanza soldi per la
manutenzione delle infrastrutture, le famiglie che ne hanno bisogno sono costrette a trasferirsi,
mentre la città chiede contributi ancora più alti e gli abitanti vedono come unica soluzione il
trasferimento in altre città. Gli unici che rimangono sono gli anziani e la loro qualità di vita
non é la migliore.
Le conseguenze di queste nuove dinamiche sono devastanti: la tendenza alla deindustrializzazione, lo spostamento dell’insediamento (Standtortverschiebung), il disequilibrio nella quantità delle spese. Tutto questo non favorisce una struttura equilibrata di insediamento. I
partiti politici, ultimamente, cercano di sensibilizzare la società e di rendere le città più favorevoli e adeguate ai bambini.
Attualmente il problema della denatalità non é più un tabù. La Germania ha bisogno di
bambini, la procreazione é un contributo sociale che dovrebbe essere “pagato” da tutti. La politica familiare é diventata un’area importantissima della politica sociale. Il presidente della
Chiesa Evangelica della Germania, Wolfgang Huber, riprende il concetto della “Kindervergessenheit” (dimenticanza dei bambini) (FAZ, 2006: 35): la famiglia dev’essere compito dell’intera società. Chi vuole avere la certezza di un futuro non può solo orientarsi all’opposizione
dell’attribuzione dei ruoli secondo il genere (secondo gli stereotipi tradizionali), ma bisogna
appagare il merito delle donne che partoriscono e allevano i figli. Esse contribuiscono alla costruzione del futuro della società tanto quanto fanno i lavoratori che pagano i contributi per le
pensioni. La famiglia é ovunque. Per questo bisogna promuovere le relazioni di coppia, sostenere le ragazze madri e rinforzare i rapporti intergenerazionali.
Il superamento della “dimenticanza” dei bambini
La ristrutturazione della politica familiare.
I partiti liberali della sinistra sono sempre stati a favore all’autonomia e alla libertà
della persona e non sono mai stati considerati “amici della famiglia”, anche perché hanno giudicato di stampo conservatore ogni politica familiare (Opielka, 2002).
Attualmente, però, il loro programma politico comprende anche la politica familiare,
assieme a quella delle donne e dei bambini. Il partito SPD lotta per un “Familienaudit” nelle
fabbriche e per nuovi orari paterni e genitoriali. I Verdi si considerano il partito dei bambini. Il
partito FPD vuole promuovere l’autonomia delle famiglie. Il partito CDU/CSU sottolinea l’equilibrio tra famiglia e lavoro (Böhmer/Eichhorn 2001:14). In modo sintetico si può dire che
tutti i partiti si esprimono favorevolmente all’attenzione del mondo del lavoro che favorisca le
famiglie, a strategie di reinserimento dopo l’intervallo della maternità e ad istituzioni che si
occupano dei figli. E tutto questo é stato promesso durante la campagna elettorale del 2005.
Il nuovo discorso politico familiare in Germania
Il dodicesimo resoconto sulla famiglia e sui bambini indica che il sostegno dei figli é il
compito più importante per garantire un futuro alla società. Il ministro per la famiglia Ursula
von Leyen (CDU), madre di 7 figli, ha affermato il 9 marzo 2006: “Abbiamo trascurato finora
l’impegno personale e privato dei giovani genitori per offrire ai figli l’attenzione, l’educazione,
la formazione necessaria; sono obbligati entrambi a lavorare perché con uno stipendio solo non
si riesce a mantenere una famiglia. Rispetto ad gli altri paesi, in Germania non esistono abbastanza infrastrutture che sostengono queste famiglie. Di conseguenza notiamo come in altri
paesi la natalità sia più alta e si realizzi una migliore conciliazione tra lavoro e famiglia, assie-
Volume 11, Numero 3, 2006, pag. 213
me ad un più alto livello culturale, cioè più risorse interne. La promozione di tutto questo dev’essere l’obiettivo centrale delle nostre azioni” (Dad Parlament 13.3.2006:17).
La portavoce del FDP ha affermato: “Fate in modo che i bambini non debbano pagare
le conseguenze per la scarsità dei fondi pubblici, perché essi sono una ricchezza miracolosa.
Questa deve essere la massima delle nostre azioni”. Il partito SPD segue il seguente approccio:
“Prima iniziamo a sostenere i bambini e le famiglie, meglio è. I bambini devono avere buone
prospettive future, poiché solo una società che favorisce i bambini ha un futuro”. Il partito della sinistra si riferisce al sistema assistenziale del DDR per migliorare la situazione. I Verdi
chiedono più sostegno per le donne che devono conciliare il lavoro e i figli: “Mettiamo i bambini al centro della nostra attenzione politica; vogliamo potenziare le infrastrutture; proponiamo gli assegni familiari..., non c’è tempo da perdere!”. Sembra che tutti i partiti abbiano compreso che bisogna superare al più presto possibile la stagnazione della politica familiare degli
ultimi 30 anni. La politica familiare fa di nuovo parte della politica sociale.
La nuova regolamentazione
La Grande Coalizione (alla quale appartengono, quando si parla della promozione delle famiglie, tutti i partiti) si concentra su due obiettivi: (a) il rinnovo degli assegni; (b) il rinnovo delle infrastrutture.
Nel 2007 gli “assegni genitoriali” sostituiranno i sussidi statali per l’educazione dei
bambini. Le mamme prenderanno circa il 67% del loro ultimo reddito netto fino ai 12 mesi
dopo la nascita del figlio. Se i padri si occupano in modo sostanziale dei bambini, prenderanno
gli assegni fino ai 14 mesi. I genitori hanno la possibilità di prendere gli assegni al massimo
per due anni, riceveranno però solo il 50% del sussidio iniziale. Il valore minimo degli
“assegni genitoriali” è di 750 Euro, quello massimo è di 1800 Euro. In questo modo, lo Stato
avrà a disposizione 4,5 miliardi di Euro per il sostegno familiare. Lo Stato avrà a disposizione
1,5 miliardi di Euro per l’estensione degli asili e delle scuole materne a tempo pieno. Questi
fondi facilitano il presto ritorno al lavoro delle mamme.
Bernd Rüpp (2005), il presidente della commissione che ha elaborato questi progetti,
afferma che questi regolamenti devono far parte di un progetto globale per una società che favorisce i bambini. Tutte le infrastrutture sociali devono promuovere le famiglie e i bambini,
anche, ad esempio, gli orari lavorativi. Le famiglie vengono da un lato sostenute (assegni genitoriali) ma dall’altro deprivati (diminuzione dei supplementi per la casa, degli assegni familiari, dei supplementi per i pendolari, ecc.). Così dobbiamo riattivare il dibattito sui valori, spesso
giudicato un tentativo di diversione, ma, forse, anche un’opportunità per far percepire il dibattito sulla famiglia come un’area della problematica globale.
La riproduzione familiare come compito dell’intera società
“Crollo demografico, bomba ad orologeria” è stato il titolo di un recente convegno in
Germania. Nell’Unione europea la Francia mantiene il record del quoziente di fertilità (1,9). Il
giornale ZEIT ha pubblicato che in Francia gli assegni familiari non erano considerati delle
elemosina, ma facevano parte della politica sociale e occupazionale: (a) per la nascita di un
figlio i genitori prendevano un premio di 800 Euro; (b) 450.000 donne lavoravano come assistenti materne in asili nidi statali; (c) il 70% delle donne francesi con figli tra i due e i 6 anni va
a lavorare. I figli fanno parte della vita pubblica e per le donne questo è una cosa ovvia (ZEIT,
3.8.2003).
Il fatto che in molti Stati europei venga praticata una politica che promuove i bambini,
ha spinto i tedeschi a riflettere su cosa significasse “promuovere i bambini”. Kaufmann (1967)
avrebbe voluto introdurre questo discorso già negli anni ‘80, ma il tempo non era ancora maturo. Se la Germania vuole spostarsi da una concezione di postfamiliarità (Beck-Gernsheim, 1994)
Volume 11, Numero 3, 2006, pag. 214
alla rifamiliarizzazione, visto che i fondi di finanziamento mancano, è necessario modificare i
comportamenti di ruolo, il budget familiare e l’ecologia familiare. La politica familiare persistente (Bertram, 2005) consiste meno nell’offrire degli assegni (how much) bensì in una modificazione del mondo vitale familiare dentro e fuori (how), cioè in case e condizioni di vita che
favoriscano i bambini, i quartieri poco trafficati, ecc. Lo Stato sociale è solo un anello della
catena, ma devono collaborare il mondo del consumo, del lavoro e del vicinato. Bertram dà
ragione al V Resoconto sulla Famiglia, prodotto dal governo (1994), dove si sottolinea come il
problema principale della società sia l’indifferenza verso la questione capitale se le persone
siano pronte o meno ad assumersi le responsabilità per i figli. Sono principalmente le strutture
sociali che determinano la penalizzazione delle famiglie. Questo concetto si chiama “mancanza di rispetto strutturale verso le famiglie” (Hettlage, 1998, 273).
Prospettive
I tedeschi stanno imparando dalla loro esperienza di vita che non ci sarà un futuro sociale se non si tiene conto dei bambini. Bisogna però anche affermare che i tedeschi vogliono
avere un futuro. Nel passato il fatto di volere un futuro non era sempre ovvio: l’identità tedesca
era spaccata e non si poteva parlare di certi argomenti, tra questi anche del futuro della Germania.
I programmi televisivi restano ancora fedeli al vecchio modello familiare che comporta
una distorsione della realtà: solo il 5% delle persone (riportate in Tv) hanno delle famiglie normali, l’ 86% delle donne sono single (cfr. SZ del 16.5.2006: 3).
La politica è pronta a ridefinire il concetto di “normalità”, anche la società sembra
pronta ad accettare un’inversione delle funzioni delle strutture: (a) Le società, la Germania inclusa, devono formulare un progetto per il futuro; (b) i bambini sono espressione del futuro, (c)
la famiglia deve essere al centro dell’attenzione perché questa fa convergere i problemi economici e non soltanto i valori della società.
Riferimenti bibliografici
Adorno, T. W. (1950). The authoritarian personality. New York: Harper.
Akademie für Politische Bildung Tutzing (2005). Zeitbombe Bevölkerungsschwund. Probleme – Perspektiven – Handlungsmöglichkeiten. Tutzing (09./10.12.2005).
Beck-Gernsheim, E. (1980).Das halbierte Leben. Männerwelt Beruf, Frauenwelt Familie.
Frankfurt/Main.
Beck-Gernsheim, E. (1994).Auf dem Weg in die postfamiliale Familie. Von der Notgemeinschaft zur Wahlverwandtschaft. In U. Beck, E. Beck-Gernsheim, W. Bonß, (a cura di),
Riskante Freiheiten. Individualisierung in modernen Gesellschaften (pp. 115-138).
Frankfurt/Main.
Berth, F. (2006).Sehnsucht nach Familie. In: Süddeutsche Zeitung Nr. 29 vom 04./05.02.2006:
4.
Bertram, H.(1997): Die Familie. Solidarität oder Individualität? In: L. A. (a cura di) Vaskovics, Familienleitbilder und Familienrealitäten (pp. 370-382). Opladen.
Bertram, H., Rösler, W., Ehlert, N.(2005). Zeit, Infrastruktur und Geld: Familienpolitik als
Zukunftspolitik. In: Aus Politik und Zeitgeschichte B 23-24/2005: 6-15.
Birg, H. (2004). Bevölkerungsentwicklung. In Informationen zur politischen Bildung Nr.
282/2004 (Bundeszentrale für politische Bildung). Bonn.
Böhmer, M. Eichhorn, M.(2001).Faire Politik für Familien. Eckpunkte einer neuen Politik für
Familien, Eltern und Kinder. CDU/CSU-Fraktion im Deutschen Bundestag. Berlin.
Bundesministerium für Familie und Senioren (Hg.) (1993). 40 Jahre Familienpolitik in der
Bundesrepublik Deutschland. Rückblick/Ausblick. Neuwied
Volume 11, Numero 3, 2006, pag. 215
Bundesministerium für Familie und Senioren (Hg.) (1994). Familien und Familienpolitik im
geeinten Deutschland. 5. Familienbericht. Bonn.
Burkart, G. (2002). Stufen der Privatheit und die diskursive Ordnung der Familie. Soziale
Welt, 53, 397-414.
Dahrendorf, R.(1983).Die Chancen der Krise. Über die Zukunft des Liberalismus. Stuttgart.
Debatte über den 12. Kinder- und Jugendbericht der Bundesregierung vom 09.03.2006. In Das
Parlament 56, Nr. 11 vom 13.03.2006: 17 ff.
Di Fabio, U. (2002). Am demographischen Abgrund. In: Frankfurter Allgemeine Zeitung
N. 237 vom 12.10.2002: 7.
Engels, F. (1884). Der Ursprung der Familie, des Privateigentums und des Staats. Hottingen/
Zürich.
Esping-Andersen, G.(2006). Warum brauchen wir eine Reform des Sozialstaats? In Leviathan.
Berliner Zeitschrift für Sozialwissenschaften, 61-81.
Frankfurter Allgemeine Zeitung Nr. 76 vom 30.03.2006: 35 (Rubrik: „Kindvergessen“).
Geißler, R. (2006). Die Sozialstruktur Deutschlands. 4. Aufl. Wiesbaden.
Grosser, A. (2006). Avant-propos. In: C. Demesmay, H. Stark (a cura di): Qui sont les Allemands? (pp. 9-11). Villeneuve d’Ascq.
Gruescu, S., Rürup, B.(2005). Nachhaltige Familienpolitik. In Aus Politik und Zeitgeschichte
B 23-24/2005, 3-6.
Güntner, J. (2006). Restauration der Werte. Statt ökonomischer Reformen halten Moraldebatten Deutschland in Atem. In Neue Zürcher Zeitung, Nr. 108 vom 11.05.2006: 43.
Hettlage, R.(1998): Familienreport. Eine Lebensform im Umbruch. 2. Aufl. München.
Kaufmann, F. X. (1995). Zukunft der Familie im vereinten Deutschland. Gesellschaftliche und
politische Bedingungen. München.
Knipp, K. (2005). Kinderkriegen als Bürgerpflicht. Folgen einer demographisch alternden Gesellschaft. In Neue Zürcher Zeitung vom 29./30.10.2005: 83.
Köcher, R. (2000). Die Bevölkerung fordert ein Einwanderungsgesetz. In Frankfurter Allgemeine Zeitung vom 20.12.2000: 5.
Mönninger, M. (2003). „Allons, les enfants.“ In Die Zeit Nr. 36 vom 28.08.2003: 18.
Nave-Herz, R. (1994). Familie heute. Darmstadt.
Onnen-Isemann, C. (2003). Familienpolitik und Fertilitätsunterschiede in Europa: Frankreich
und Deutschland. In Aus Politik und Zeitgeschichte B 44/2003: 31-38.
Opielka, Michael (2002): Familie und Beruf. Eine deutsche Geschichte. In Aus Politik und
Zeitgeschichte B 22-23/2002: 20-30.
Peuckert, R. (1999). Familienformen im sozialen Wandel. 3. Aufl. Opladen.
Schaeffer-Hegel, B. (2002). Zukunftsfaktor Kinder. In Aus Politik und Zeitgeschichte B 2223/2002: 3-6.
Schirrmacher, F. (2006). Minimum – Vom Vergehen und Neuentstehen unserer Gemeinschaft.
München
Schmid, J. (1990). Die Verschiebung der Bevölkerungsstruktur in der Bundesrepublik und ihre
Folgen. In R. Hettlage (a cura di), Die Bundesrepublik. Eine historische Bilanz (pp.
35-56). München.
Schneider, W. (2002). Von der familiensoziologischen Ordnung der Familie zu einer Soziologie des Privaten. In Soziale Welt, 53, 375-395.
Tyrell, H. (1988). Ehe und Familie – Institutionalisierung und Deinstitutionalisierung. In K.
Lüscher, (a cura di), Die „postmoderne“ Familie (pp. 145-156). Konstanz.
Ude, C.(2006). Herausforderung Stadt: Reiz und Probleme. In Zur Debatte. Themen der Katholischen Akademie in Bayern, 36, 1-4.
Veil, M. (2003). Kinderbetreuungskulturen in Europe: Schweden, Frankreich, Deutschland. In:
Aus Politik und Zeitgeschichte B 44/2003: 12-22.
Volume 11, Numero 3, 2006, pag. 216
Scarica