indice
Presentazione
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Introduzione
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Capitolo 1
La modalità reattiva di contatto: sintesi ragionata
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Capitolo 2
La modalità proattiva di contatto:
alla ricerca di gravi problemi esistenti
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Capitolo 3
Proattività estrema: la prevenzione come ricerca
di problemi in-esistenti
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Bibliografia
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Presentazione
«Normalmente si misura la tenuta di un ponte a partire dalla
solidità del suo pilastro più piccolo. La qualità umana di una
società dovrebbe essere misurata a partire dalla qualità della
vita dei più deboli tra i suoi membri.» Si badi: questa nota
affermazione di Bauman non dice di un dovere morale della
società, o non solo di questo. Dice di un suo preciso interesse,
di una sua concreta utilità. Senza un welfare dignitoso e ben
ponderato la società non si tiene insieme, senza investimenti
sensati nella solidarietà sociale la stessa economia di un Paese
rischia il declino.
Il welfare sarà la partita decisiva dei prossimi decenni.
Una partita tra le più complicate per le aggrovigliate variabili
in gioco e che però si tende a sottovalutare, irretiti ancora
— dietro nuovi paroloni di facciata — nelle vetuste logiche
dell’assistenzialismo («ti do le briciole, ma tu stai buono»). È
complicata la partita impersonale della redistribuzione astratta
(il welfare universalistico che ha a che fare con i diritti esigibili,
gli standard minimi, le indennità monetarie, ecc.) ed è ancor
di più complicata (concettualmente e praticamente parlando)
la partita dei cosiddetti «Servizi sociali personali», laddove
una Istituzione o un mix di Istituzioni (pubbliche e private) si
propongono di accompagnare, per il tramite di propri operatori
La grammatica del welfare
dipendenti, la vita di una persona o di una famiglia o di una
comunità locale verso il superamento di disagi conclamati o
in generale il miglioramento di condizioni date. Come una
Istituzione possa — bussando a volte con delicatezza, altre più
ruvidamente — entrare in una vita e risultare di fatto benefica
come si prefigge, e non invece scombussolarla e marchiarla di
stigma, è una questione intellettuale sempre poco considerata
e pure con insufficiente potenza. I politici che fanno le leggi,
i manager che danno le direttive o fissano le procedure, gli
operatori che affrontano le singole situazioni spesso lamentano di non riuscire a tener fermo il ragionamento e cogliere
l’essenziale. La sensazione è che manchino le categorie adeguate a una tale complessità, che i concetti e le distinzioni
analitiche non siano sufficientemente elaborati e condivisi.
Alla oggettiva complessità della materia si somma una certa
fragilità dell’impianto di pensiero ai vari livelli del sistema.
In questa piccola Grammatica del welfare ho cercato di
fissare qualche elementare coordinata per pensare il welfare
socio-assistenziale in maniera rigorosa. Una sorta di abbecedario utile per chi si accosta alla materia e anche per chi
da esperto desidera rivisitarla ripensandola secondo logica.
Milano, giugno 2011
Fabio Folgheraiter
(Università Cattolica del S. Cuore)
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Introduzione
A quel tempo non esistevano ancora dentisti,
e si deve perciò supporre che non vi fossero denti guasti
R. Walser, Jacob von Gunten: un diario
In questo libro focalizziamo il punto logico dove prendono
inizio le azioni professionali di Lavoro sociale. Osserveremo in
profondità quel momento generativo in cui scatta la cosiddetta
«relazione di aiuto», l’istante in cui si accende il primo contatto
tra un operatore, il quale ha alle spalle in genere un’Organizzazione inserita nel cosiddetto «sistema integrato» di welfare,
e un problema sociale determinato, cui quell’operatore potrà
da lì in avanti applicarsi. Definiamo t0 questo momento topico.
È il punto temporale che segna una sorta di spartiacque tra le
vicende avvenute dentro il mondo puro della vita prima di
questo contatto — vicende passate che l’operatore dovrà osservare per riportarle al presente più che per ricostruirne i nessi
causali — e le vicende potenziali che avverranno «dopo», in
riferimento anche (ma non solo) all’agire del nostro operatore
che per l’appunto, da quel preciso istante, entra nel fluire di
quella vita condizionandolo.
La grammatica del welfare
Il tempo t0 è il punto dove la scintilla del contatto può accendere il fuoco, che a volte può anche essere un fuocherello
a rischio di spegnersi anzitempo, del cosiddetto «intervento»
professionale. L’incontro iniziale tra «una tal situazione e un
tal professionista» in t0, da cui può scaturire un problema sociale formale, cioè riconosciuto dalle istituzioni di welfare, è
l’atto creativo di una speciale relazione di aiuto che chiamerò
«relazione guida». Nel sociale, questa relazione non è mai
puntiforme: come vedremo, essa dovrà tonificare o catalizzare,
e a volte persino sorreggere, una configurazione relazionale di
più ampio raggio (una rete) sempre coinvolta, per definizione,
nel problema sociale. Nel momento t0 si decide per intanto se
un problema avvertito dalle persone interessate nella società
diviene anche un problema per i servizi di cura e, viceversa, se
un problema avvertito dai servizi diviene anche un problema
per la società, cosicché possa partire quella che appunto in
gergo è chiamata una «relazione» di aiuto.
Questo libro non si propone di entrare in questi processi
singolari di accompagnamento professionale di vicende di vita
private, secondo l’ottica tipica della metodologia professionale
del Lavoro sociale.1 Come sappiamo, la disposizione mentale
particolaristica è quella propria dell’operatore sociale.2 Di
fronte alle svariate espressioni dei problemi sociali che incontra,
questo operatore è portato a cogliere di ciascuno la peculiare
specificità. Nel contempo la sua metodologia gli insegna come
avvicinare tutti questi innumerevoli fenomeni senza dover
re-inventare i propri schemi di riferimento di volta in volta.
Nessun professionista potrebbe reggere una sfida simile, a mo’
di Sisifo, senza la sensazione di impazzire. La metodologia è
Rimandiamo per questo al mio testo generale La logica sociale dell’aiuto:
Fondamenti di metodologia relazionale, Trento, Erickson, 2007.
2 Distinguiamo qui il livello dell’aiuto particolare, cioè mirato sulla
singola unità di problema (anche di portata collettiva), e il livello
universalistico. Il Lavoro sociale si pone per definizione nella prima
sfera, lasciando alla Politica sociale la seconda.
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Introduzione
scienza degli invarianti, del procedere fisso sul fondo a fronte
delle infinite variazioni di superficie; nel Lavoro sociale, anzi,
la metodologia è una struttura che permette l’estrinsecarsi
libero del molteplice visibile.
Resteremo qui sulla soglia di questo viaggio analitico nelle
realtà «particolari». Ci porremo su un piano di osservazione più
ampio e generale. Cercheremo di fissare qualche coordinata
per cogliere all’ingrosso la logica di come i problemi nel loro
ordine generale trovino delle porte aperte (a volte solo delle
finestre o delle feritorie) nelle mura di cinta dei cosiddetti sistemi socioassistenziali di welfare. In astratto, considereremo
come il mondo della vita, nella nota accezione husserliana,3
accetta, non sempre di buon grado, di innestare radici nel mondo
delle istituzioni di aiuto sociale e di mantenere delle connessioni vitali con esso. Il sistema dei Servizi sociali personali
ci appare nel complesso come una gigantesca sovrastruttura
della vita sociale moderna — ormai divenuta rapidamente
post-moderna4 — che si è assunta il lodevole seppur spinoso
compito di «aiutare» la società intera nel suo funzionamento
sempre più complesso ed esposto a rischi (Beck, 2000a).
Afferma Husserl: «Il mondo-della-vita come tale è […] ciò che nella
sua tipicità ci è già da sempre familiare attraverso l’esperienza […].
È il mondo già dato naturalmente a tutti noi, a noi in quanto persone
nell’orizzonte dell’umanità […] è “il” mondo comune a tutti» (Husserl,
1961, pp. 152-153).
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Riguardo al concetto di postmodernità troviamo questa definizione in
Giddens: «Oltre al senso generico di vivere in un periodo di marcata
diversità rispetto al passato, questo termine presenta di solito uno o
più dei seguenti significati: la scoperta che nulla è dato conoscere con
certezza, dal momento che tutti i precedenti “fondamenti” dell’epistemologia si sono rivelati inattendibili; il fatto che la “storia” è priva di
ogni teleologia e che di conseguenza non si può difendere plausibilmente alcuna versione di “progresso”; e infine la nascita di un nuovo
programma sociale e politico in cui assumono crescente importanza le
preoccupazioni ecologiche e forse i nuovi movimenti sociali in genere»
(Giddens, 1994, p. 53).
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La grammatica del welfare
Vedremo qui come in generale i problemi emergenti dalla
società e gli apparati tecnici destinati a «risolverli» cerchino,
con alterne fortune, di allinearsi.
L’innesco dell’attenzione dei servizi professionali verso un
certo vivere che necessita aiuto può avvenire in differenti modi
e implicare differenti stati emotivi delle persone coinvolte.
In concreto il problema può arrivare ai Servizi sociali — per
così dire — in carne e ossa, cioè in capo a una persona che lo
vive drammaticamente, la quale viene in genere denominata
per comodità «utente».5 Tante altre persone possono tuttavia
presentarsi, in primis persone connesse in modo stretto con
il succitato utente (ad esempio, un familiare) e che quindi si
trovano coinvolte nel problema in modi forse altrettanto drammatici, sebbene collocate in differenti posizioni. Può essere
anche che il problema arrivi ai Servizi sociali attraverso una
qualche notizia incontrollata, ad esempio una generica segnalazione per lettera o per telefono, che mette sull’avviso e stimola
ad accertare. Oppure può giungere attraverso una richiesta di
verifica ufficiale da parte del Tribunale, qualora per proprio
conto sia venuto a sapere notizie che, dentro i risvolti del diritto, ne lascino trasparire altri di ordine socioassistenziale, per
i quali quindi si renda necessario l’intervento di professionisti
di quel comparto.
In tutti questi modi possibili la connessione contingente
tra la società e i Servizi sociali si produce perché la montagna
va a Maometto. I servizi istituzionali stanno immobili: è la
società che sa dove sono, che cosa possono fare e che pertanto
si indirizza loro attraverso i percorsi più vari. Anche Maometto
Le diverse dizioni «utente», «paziente», «cliente», «consumatore di
welfare» trasmettono tutte, al di là delle differenti sfumature, l’idea di
una singola persona a cui viene attribuito «il problema» che i servizi
professionali di aiuto si sono presi in carico. Tale idea intuitiva verrà
decostruita nel corso di questo libro sulla base dell’assunto relazionale
che l’utente, inteso come esclusivo possessore del problema o come
mero «ricevente» aiuto, non esiste (Folgheraiter, 2000).
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Introduzione
tuttavia ha gambe, e può muoversi. Se la montagna è ferma,
egli può scomodarsi per cercare di incontrarla. Accade spesso
che il senso di un problema della società — di qualsiasi livello,
micro o meso o macro — si formi dapprima nella sola testa di
qualche operatore sociale (o di più d’uno) nell’esercizio del suo
ruolo, sulla base di sue osservazioni e conoscenze della realtà
in cui si trova a lavorare. Nessuna persona di quella società gli
sottopone nessun problema in via diretta. È lui che, sapendo
guardare e cercare in giro, se ne fa una idea e poi forse una
certezza. Continuando ancora ad andare in giro, il che vuol dire
alzandosi dalla propria scrivania e uscendo fuori dal proprio
ufficio ogni volta che è necessario, quell’operatore dovrà poi
portare quel problema alle stesse persone che lo manifestano o
lo possiedono, ma al momento ancora cieche rispetto ad esso.
Alla fine tuttavia otteniamo lo stesso effetto: appunto che un
problema «naturale» e un servizio «artificiale» si sono connessi.
In astratto possiamo quindi individuare due modalità idealtipiche che ordinano in qualche modo le svariate possibilità
attraverso cui il miracoloso e spesso aleatorio incontrarsi della
domanda e dell’offerta di aiuto sociale avviene in pratica:
a)quella in cui l’iniziativa del contatto è tutta negli interlocutori
societari e l’operatore rimane inizialmente in posizione recettiva anche se, come detto, non passiva. A suo carico rimangono inizialmente delle impegnative funzioni di decodifica
e di valutazione iniziale di quella situazione semovente che
è arrivata fino a lui. Parliamo di una modalità re-attiva di
innesco della percezione formale;
b)quella in cui il Nostro si protende attivamente verso i problemi e quasi li scova nel territorio della vita, come fa un
abile cercatore di funghi nel bosco. Parliamo qui di modalità
proattiva di innesco della percezione formale.
La dicotomia reattività/proattività è definita qui a partire
da un’arbitraria e unilaterale prospettiva: quella dei servizi
formali. Giudichiamo come «reattivo» o «proattivo» l’agire
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La grammatica del welfare
del sistema di welfare, andando a vedere rispettivamente se
esso reagisca all’iniziativa della società, ovvero se produca
reazioni in essa. Così facendo semplifichiamo le cose, e forse
in modo eccessivo. Pensiamo alla reattività e alla proattività
come fossero due opposte qualità statiche in capo a una singola
realtà unilaterale, nel nostro caso il sistema di welfare. Per
rispetto della complessità, e per abituarci subito ad articolare
il pensiero in senso relazionale, sarebbe più appropriato guardare subito le cose in modo ambivalente. Dovremmo vedere
allora che le categorie del reattivo e del proattivo sono una
diade inscindibile, due facce di una stessa medaglia, qualità
simultanee che connotano entrambe le realtà considerate:
anche la società pertanto, e non solo i servizi. Laddove il
sistema di welfare è reattivo nel recepire un problema, è
proattiva la società nell’imporlo alla sua attenzione. E così
vale al contrario: laddove il sistema dei servizi è proattivo, è
la società che resta in posizione passiva.
Attivo e passivo sono qualificazioni relazionali: si compenetrano e si sorreggono a vicenda, l’una necessaria all’altra. Tanto
più i Servizi sociali sono attivi nel cercare i problemi per farli
rientrare nel loro raggio di responsabilità, tanto più la società
potrà permettersi di rimanere passiva. Tanto più la società è
organizzata e competente nell’osservare i problemi dentro
se stessa, tanto più i Servizi potranno rimanere fermi entro i
propri confini ad attendere le segnalazioni per poi erogare le
prestazioni. Entrambi i poli sono attivi e passivi nello stesso
tempo e ognuno di questi stati o modi di essere è influenzato
dall’altro, sul filo di un qualche equilibrio.
Ragionare con le due facce della medaglia ci porta a superare
la dicotomia società/servizi e a vedere come il loro interagire
conduca alla formazione di un’unità superiore che li comprende
entrambi, come parti alla pari di una relazione, piuttosto che
come entità contrapposte. Anche nelle società dove esistono i
Servizi sociali, il benessere è una realtà emergente allo stesso
tempo dal formale e dall’informale, da istanze artificiali e natu14
Introduzione
rali, dall’agire intuitivo dei soggetti sociali e dal più smaliziato
agire tecnico di soggetti bene o male professionalizzati. Come
mi sono sforzato di argomentare in un altro testo,6 potremmo
sperare in grandi benefici intellettuali dall’adottare una concezione relazionale allargata, dove la stantia idea che la società
sia l’ambiente che contiene i problemi, e quindi un mero target
del sistema istituzionale di welfare, venga alfine accantonata.
Facendo attenzione, si vede che il welfare viene fuori — per
così dire — da tutti i pori della società. Questa evidenza ci
porta a una concezione della politica sociale che chiamiamo
per l’appunto «societaria» o «relazionale».7
Perché quindi qui poniamo l’accento solo sulla visuale del
sistema di welfare e dei professionisti accolti al suo interno?
La scelta di fondo, perciò, è quella di guardare la realtà e ragionarla secondo un’ottica di parte, quella professionale. Se
questo libro fosse scritto per i soggetti sociali (per gli utenti
o i carer o i volontari o i cittadini attivi, ecc.) si potrebbe impostare da qui in avanti la trattazione dal loro punto di vista,
sempre avvertendo che tale punto di vista è soltanto il loro, e
quindi parziale nello stesso modo di quello professionale da
noi privilegiato. L’ideale sarebbe sviluppare una trattazione
centrata su entrambe le istanze in contemporanea. Ma, primo,
chi scrive avrebbe il suo bel da fare e, secondo, anche potendo,
lo stile espositivo si complicherebbe forse oltre il limite.
Si veda Folgheraiter (2007).
Con questa espressione si intendono, con le parole di Donati, «politiche
relazionali orientate: a de-statalizzare il welfare senza incorrere nella
mercificazione del mercato tipicamente capitalistico; a differenziare
potere politico e amministrazione sociale attraverso organizzazioni ad
hoc che siano espressione della sussidiarietà verticale e orizzontale fra
pubblica amministrazione e società civile; a porre controlli di carattere
valutativo ed equitativo all’interno delle attività e delle organizzazioni
che devono implementare le misure di politica sociale (ciò significa:
cittadinanza societaria e soluzione statutaria per il privato sociale)»
(Donati, 2005, p. 20).
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La grammatica del welfare
L’accento arbitrario sui professionisti e sul sistema artificiale dei Servizi è comunque giustificato dal fatto che i
contatti e l’interpenetrazione tra mondo della vita e mondo
delle istituzioni di welfare,8 anche qualora questi contatti si
producano in modo spontaneo, debbono essere sempre pensati
e favoriti con precisa intenzione da quest’ultima sfera. Nelle
responsabilità istituzionali di sovra-intendere alle questioni del
welfare locale che sono attribuite ai Servizi sociali degli enti
pubblici rientrano anche quelle di aprire connessioni, sia tra
loro medesimi all’interno del sistema — vincendo quelle inerzie
che li portano a essere autoreferenziali — sia con le formazioni
sociali al loro esterno. La società ha ogni diritto — per così
dire — di essere reattiva, potendo essa essere quello che è senza
render conto a nessuno. Per i Servizi sociali è invece un dovere
«stare» sui problemi sociali nel migliore modo possibile. Ogni
scollegamento dalla società va letto come una loro mancanza,
perché così è stabilito nei loro statuti.
Il tema dell’interpenetrazione delle azioni individuali entro i sistemi
sociali è una complicata questione sociologica che Luhmann tratta
in questi termini: «Una persona interpenetra con ciascuna delle sue
azioni in questo o in quel sistema sociale. E, viceversa, quella quantità
di azioni che costituisce un sistema sociale si realizza solo col fatto
che una pluralità di persone si mette a disposizione con le sue azioni
[…]. L’interpenetrazione è possibile nel rapporto fra persone e sistemi
sociali solo per il tramite della donazione di senso. […] Le possibilità
di collegamento rappresentano selezioni specifiche che possono essere
diverse per ogni sistema e tuttavia possono essere riferite le une alle
altre in modo dotato di senso» (Luhmann, 1990, pp. 122-123, p. 125).
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