Classificazione delle forme giuridiche legali – Istat 2005 – Me

SQUILIBRI, CRISI DELLO STATO E PROFESSIONISMO SOCIALE
NELLA GOVERNANCE GLOBALE
di Nicola Forlani
Premessa
Il presente contributo prende in esame tre temi di assoluto rilievo per una disamina
circostanziata delle questioni sociali.
Il primo tema intende affrontare la contemporanea dimensione della globalizzazione non in
termini ideologici, ma mettendo in evidenza i due grandi squilibri che caratterizzano l’attuale fase
dei rapporti internazionali e le responsabilità a cui l’Europa continua colpevolmente a sottrarsi: gli
squilibri economico finanziari con il deficit di partita corrente degli USA e della Gran Bretagna ed
il surplus della Cina, Giappone e, più moderatamente dell’area dell’euro; gli squilibri energetici
quale fonte degli squilibri politici, economici e commerciali a livello mondiale.
Il secondo tema affronterà la questione del ridimensionamento degli attori nazionali, ad
iniziare dallo Stato e dalla nascita di nuovi attori internazionali, imprese multinazionali,
organizzazioni internazionali, società civile, movimenti popolari. Qui le tesi sostenute sono a
confutazione, cioè contestano la visione globale come premessa di un nuovo ordinamento politico
internazionale non statale. La nuova percezione culturale del vivere in un mondo globale appartiene
già a molte correnti internazionaliste del novecento. L’originalità della proposta federalista, pur
nascendo nella più vasta dimensione del cosmopolitismo, mantiene, e per molti versi aumenta di
spessore e di forza politica, quanto più gli squilibri globali obbligheranno a governare, realmente, i
processi di cambiamento.
Il terzo tema analizzerà i rapporti tra società civile e deficit democratico all’interno del
sistema di governance europeo. Particolare attenzione verrà dedicata ad una disamina delle
organizzazioni che compongono la società civile (forme giuridiche, struttura, funzioni, risorse
umane, risorse finanziarie), alla loro opera di lobbing (rappresentazione e tutela di interessi
strutturati) all’interno del processo negoziale e funzionale del sistema comunitario. Inoltre verranno
prese in esame le funzioni delle élite tecnocratiche ed altamente professionalizzate che governano
le organizzazioni della società civile stessa ed il loro rapporto di stretta contiguità con le élite
tecnocratiche delle istituzioni comunitarie.
1
Gi squilibri globali e le responsabilità europee
Globalizzazione è un termine molto alla moda, impegnativo, ma anche estremamente
elastico, utilizzato a proposito e a sproposito, spesso per identificare una nuova realtà dove le leggi
dell’economia ed i principi della politica sembrano non trovare più una opportuna collocazione.
L'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) la definisce come:
Un processo attraverso il quale mercati e produzione nei diversi paesi diventano sempre più
interdipendenti, in virtù dello scambio di beni e servizi e del movimento di capitale e tecnologia».
Sebbene con questo termine ci si riferisca prevalentemente agli aspetti economici delle
relazioni fra popoli e grandi aziende multinazionali, il fenomeno va inquadrato anche nel contesto
dei cambiamenti sociali (squilibri tra Nord e Sud, paesi poveri e ricchi), tecnologici (reti
informatiche e di comunicazione) politici (fine dei regimi comunisti, nascita dei movimenti popolari
internazionali non global e new global). Occorre aggiungere che si sta sempre più affievolendo il
baricentro delle relazioni transatlantiche con l’emergenze delle potenze economiche asiatiche, ad
iniziare dalla Cina che vanno a modificare il quadro delle relazioni commerciali, finanziarie ed
industriali.
Non mancano intellettuali come Amartya Sen1, economista indiano e premi Nobel per
l’economia nel 1998, che tendono ad una lettura del fenomeno meno legata ad aspetti contingenti
degli ultimi tre decenni. In particolare la Sen sostiene che i processi di globalizzazione sono in
corso da almeno un millennio, attribuendo così al concetto una dimensione temporale e funzionale
niente affatto discontinua rispetto alla sviluppo economico e politico così come conosciuto anche
nel novecento.
Più che considerare il fenomeno nelle sue intrinseche qualità positive, quale strumento per lo
sviluppo dei paesi poveri del mondo o negative, quale sistema economico che tende a far perdurare
ed anzi accentuare le disparità tra il Nord ed il Sud del mondo, è opportuno identificare la natura
degli squilibri globali, e, conseguentemente, le responsabilità dell’Europa nel governo delle
relazioni internazionali.
Gli squilibri economico finanziari
Le grandi aree del mondo stanno sempre più aumentando lo squilibrio nei rapporti
economici e finanziari. Il deficit di partita corrente degli Stati Uniti, Gran Bretagna e parte
dell’America del sud continuano ad essere più che significativi. Quello USA è il 6% del Pil nel
2005. I pagamenti correnti degli altri paesi del G7 dell’area euro sono invece in surplus, come per il
1
Amartya Sen, Globalizzazione e liberta, Mondatori, 2002
2
Giappone e la Cina. Si aggiunga che lo yuan cinese, seppur abbandonato nel luglio 2005 l’aggancio
con il dollaro, per trasferirsi ad un paniere di valute, di fatto opera ancora in un sistema di cambi
fissi che ricorda il sistema di Bretton Woods che legava, negli anni sessanta, i paesi europei e gli
USA. Il deficit americano era finanziato dalla accumulazione di dollari nelle riserva europee così
come oggi la Cina e altri paesi asiatici finanziano il deficit americano. Fino a che punto il sistema
reggerà? Cosa avrà quando si passerà alla flessibilità piena della moneta cinese?
All’Europa toccherebbe raccogliere la sfida della competitività attraverso lo sviluppo delle
proprie capacità di offrire servizi avanzati, attraverso una politica di liberalizzazione del mercato dei
servizi, di cui la Cina ha ed avrà ancora più nel futuro un grande bisogno. La strategia di Lisbona
non è decollata in sviluppata all’interno di una visione intergovernativa. I piani d’azione sono stati
relegati a livello nazionale che hanno dato risultati del tutto insufficienti di fronte alla necessità di
cambiamenti strutturali. Quei cambiamenti che, inevitabilmente, andranno ad incidere anche sul
modello di welfare state (pensioni, sanità, ricerca, formazione permanente, mercato del lavoro)2.
La governance europea si è limitata, e non avrebbe potuto fare altro, a codificare alcune
attività e a definire la cornice istituzionale. In particolare attraverso la definizione di obiettivi e linee
guida comuni e la successiva individuazione di indicatori comuni su cui basare la valutazione delle
performance nazionali. Inoltre ha previsto la predisposizione di piani d’azione nazionali monitorati
da Commissione e Consiglio. Un’azione di benchmarking che in cinque anni, è stata, come
ampiamente prevedibile, sostanzialmente inutile ed improduttiva.
Premessa indispensabile per lo sviluppo di una coerente politica di rilancio della
competitività è l’integrazione dei mercati finanziari europei. Giusto, Jappelli, Padula e Pagano3,
hanno valutato che il Pil europeo potrebbe aumentare sino al 10% a seguito di un’effettiva
integrazione finanziaria che poggi sulla costituzione di una borsa continentale. Altri autori, e la
Commissione stessa, si sono esercitati in numerose simulazioni di misure di politica economica
direttamente collegate alla strategia di Lisbona.
Gli squilibri energetici
La prima e la seconda legge della termodinamica regolano la trasformazione dell’energia. La
prima afferma che il contenuto totale di energia dell’universo è costante (non può essere ne creata
ne distrutta) ma si trasforma solo da uno stato all’altro. La seconda stabilisce che l’entropia totale è
in continuo aumento, cioè che l’energia cambia continuamente stato ma solo in un’unica direziona,
da disponibile ad indisponibile, dall’ordine al disordine. E’ possibile invertire il processo antropico
2
Pier Carlo Padoan, Gli squilibri globali e l’Europa, in I dilemmi dell’integrazione il futuro del modello sociale
europeo”, a cura di G. Vacca e J.L. Rhi-Sausi, Il Mulino, Bologna, 2006
3
L. Guiso, T. Jappelli, M. Padula e M. Pagano, Eu Finance and Growth, in “Economic Policy”, n. 40, ottobre 2004
3
solo utilizzando altra energia. La società umana è organizzata dal continuo sforzo di convertire
l’energia disponibile ricavata dall’ambiente al fine di sostenere l’esistenza stessa del genere.
In buona sostanza le leggi della termodinamica governano l’ascesa e la caduta dei sistemi
politici, la libertà delle nazioni, la sudditanza di alcuni popoli ad altri, i movimenti del commercio e
dell’industria. Nel mondo contemporaneo, la guerra e la pace, la ricchezza e la povertà, la
democrazia e la tirannide, troveranno nell’accesso alla produzione e alla trasformazione dell’energia
motivo primo e fondamentale di indirizzo4.
Attualmente l’80% circa dell’energia consumata nell’Ue deriva dai combustibili fossili:
petrolio, gas naturale e carbone. Di questa percentuale, una parte considerevole, in costante
aumento, proviene da paesi terzi. La dipendenza dalle importazioni di petrolio e di gas, che
attualmente è del 50%, potrebbe salire all’80% di qui al 2030. L’Unione diventerà così sempre più
sensibile alle riduzioni degli approvvigionamenti o all’aumento dei prezzi. A tutto ciò si aggiunga
che è assolutamente necessaria una riduzione del consumo dei combustibili fossili sia per invertire
la tendenza al riscaldamento globale che per rallentare l’esaurimento irreversibile di tale fonti.
Il Consiglio europeo dell’8-9 marzo 20075 ha adottato un piano d’azione riguardante la
politica energetica. L’attenzione è stata posta sul mercato interno del gas e dell’elettricità, la
sicurezza dell’approvvigionamento, la politica energetica internazionale, l’efficienza energetica e le
energie rinnovabili, le tecnologie energetiche. Il Consiglio ha altresì indicato nel 30% l’obiettivo di
riduzione dell’ emissione dei gas serra tra i paesi industrializzati successivo ad un accordo sul
regime applicabile dopo il 2012. Da parte sua l’Unione si è impegnata ad abbattere le proprie
emissioni, entro il 2020, di almeno il 20%.
Gli impegni presi dai 27 riguardano sostanzialmente un quadro di rapporti intergovernativi
che per loro natura saranno destinati ad un probabile fallimento. Ne più ne meno di quanto sta
attualmente avvenendo per la strategia di Lisbona. Si lascia alla libera determinazione degli stati
membri individuare tanto le modalità di attuazione che le risorse finanziare necessarie. In tale
quadro la Commissione è destinata a svolge un ruolo notarile, di segretariato ed al massimo di
assistenza. Un ennesimo esempio di governance che governa poco o nulla.
L’Europa manca di un mercato unico relativo alla produzione e alla commercializzazione. I
singoli stati europei stipulano singoli accordi bilaterali, sia di fornitura che di investimento in
infrastrutture, raggiungendo l’unico fatale obiettivo di aumentare il potere contrattuale della
controparte, ad iniziare dalla Russia. Solo la cooperazione con una pluralità di paesi produttori
4
Jeremy Rifkin, Economia all’idrogeno, Mondatori, Milano 2002
Consiglio europeo di Bruxelles 8-9 marzo 2007, Conclusioni della Presidenza.
http://www.consilium.europa.eu/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/it/ec/93153.pdf
5
4
potrebbe garantire stabilità economica nella fase di transizione dalle energie fossili a quelle
rinnovabili. Ma questa politica energetica avrebbe bisogno di una coerente politica estera e di
sicurezza comune, che manca oggi e che non troverà certo soluzione nemmeno nel TCE.
La sfida energetica rientra nella termodinamica, nella ragion di stato, nella sopravvivenza
delle società ricche ed industrializzate, nell’accesso di gran parte della popolazione mondiale al
modello di vita occidentale. E’ qui che si gioca il futuro o la marginalizzazione dell’Europa
all’interno del quadro sempre più dinamico delle relazioni internazionali6.
La risposta europea agli squilibri globali
L’integrazione finanziaria e la creazione della borsa europea possono essere mai sviluppate
all’interno del modello comunitario funzionalista senza una coerente adesione alla soluzione
statuale di tipo federale? E possibile pensare ad una politica energetica europea con lo strumento,
ami utilizzato sino ad ora, delle cooperazioni rafforzate? Si può affrontare la questione energetica
senza una politica nucleare unica? Si possono garantire la pluralità degli approvvigionamenti senza
una politica estera e di difesa e confidando solo in Mister Pesc o ministro degli affari esteri che dir
si voglia?
Tommaso Padoa Schioppa7, nella Lecture Spinelli del gennaio 2007 risponde in maniera
inequivoca:
“La cura altro non è che la scelta consapevole del modello federale, quello che crea un effettivo
potere di decidere e di agire a un livello superiore a quello degli Stati per le materie che gli Stati
non sono più in grado di affrontare da soli. Solo questa scelta può ,rimediando alla mancanza di
Europa, rimediare alle pretese mancanze dell’Europa. Una tal scelta non si traduce in realtà senza
una discontinuità nell’assetto costituzionale. È dunque una scelta di fondo che deve venire prima
della determinazione delle specifiche forme, pur tanto importanti, che può assumere il modello
federale nell’Europa ancora da costruire.”
La questione della fondazione dello stato federale si sta progressivamente affermando come
scelta ormai non più ulteriormente dilazionabile.
Crisi dello stato e governance mondiale
6
Editoriale, Il Federalista, Pavia, anno XLIX, 2007, numero 1
T. Padoa Schioppa, Mancanze d’Europa, Torino, 17 gennaio 2007. http://www.mef.gov.it/documentazione/discorsidel-ministro/media/185710_TPSSpinelli.pdf
7
5
Il sociologo tedesco Ulrich Beck8 definisce la globalizzazione quale processo irreversibile
per cui gli stati, gli attori nazionali, perdono di importanza rispetto agli attori transnazionali. In tale
visione la società non è più limitata ad uno stato ma al pianeta intero.
La globalità viene indicata quale percezione del vivere nella società globale, una sorta di
coscienza civile collettiva di appartenenza ad una nuova dimensione culturale. Infine viene definito
il concetto di globalismo quale corrente a carattere prettamente economico. Essa ritiene che il
mercato debba agire da solo, in presenza di uno stato sempre più minimale, lasciando che economia
e società globali trovino da soli i proprio strumenti di regolazione. Un sorta di liberalismo globale a
cui si contrappongono coloro che chiedono barriere protezionistiche per motivi economici,
ambientali o sociali. Alcuni di questi ultimi riprendono spesso la critica di origine marxista tra
mercato e società.
Ovviamente una disquisizione in termini filosofici o sociologici della questione dello crisi
dello stato nazionale nella prospettiva globale non risulta essere di particolare utilità ai fini di
un’analisi politica sul da farsi per l’oggi e non per un futuro indeterminato, come nella migliore
tradizione della proposta federalista9.
Si può altresì notare come le approssimazioni teoriche sulla presunta progressiva estinzione
dello stato quale forma di organizzazione ordinamentale si tentano di accreditare anche nel
pensiero giuridico costituzionale. Anche nel recente dibattito sulla Trattato costituzionale europeo
una consistente parte delle correnti politiche della sinistra radicale, che quasi sempre si riconoscono
anche nei movimenti popolari, i presunti attori politici sovrannazionali, hanno sostenuto il processo
costituzionale proprio ed in quanto aveva l’ambizione di non concretizzarsi in alcuna forma
statuale.
Angelo Bolaffi, teorico della filosofia politica è uno dei sostenitori della teoria antisovranista
in cui si afferma che unità politiche, spesso indefinibili giuridicamente, possano esistere al di la e
oltre la forma statale. In un articolo su Il Riformista”10 ha sostenuto che va definitivamente
archiviata quel combinato disposto dei sovrasti che individuano la politica solo nello stato nazione e
8
Ulrich Beck. Che cosa è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria. Carocci, Roma, 1999
9
A.S. e E.R., Problemi della federazione europea, Progetto di un Manifesto, Società Anonima Poligrafica Italiana,
Roma 22 gennaio 1944.“Con la propaganda e con l'azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami tra i
movimenti simili che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre fin d'ora gettare le fondamenta di un
movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa
e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un largo stato federale, il quale disponga di una forza
armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi
totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a
mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l'autonomia che consente una plastica articolazione e lo
sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli.”
10
Angelo Bolaffi, La sfida di darsi una Costituzione non più legata allo Stato-nazione, Il Riformista, 24 gennaio 2007
6
le posizioni del federalismo radicale per le quali l’Europa unità non potrà che esistere nella forma
dello stato federale. Secondo l’autore, che sostiene la visione dei due fuochi di legittimità, la realtà
postatale sarebbe, in buona sostanza l’Unione stessa come oggi la conosciamo che racchiude in se la
legittimità nazionale e quella comunitaria.
Ad una più attenta analisi appare evidente come l’impostazione risenta più di un
antistatalismo atavico di fonte marxista che una reale corrente all’interno del pensiero giuridico
costituzionale. Sulla questione si è esercitato il costituzionalista Maurizio Fioravanti, sostenitore,
forse non pienamente avveduto ed oggi meno convinto, della costituzione europea senza stato e di
un nuovo federalismo post statale11. In un suo intervento12 nel corso del recente del convegno “Le
Prospettive del federalismo in Europa” del 26 gennaio scorso è ritornato sull’idea dell’ellisse a due
fuochi. Egli non elude il problema delle legittimità democratica, del principio democratico ed in
ultima analisi dello stesso principio di sovranità ed aderisce al principio kelnesiano secondo cui
esiste tanto stato quanto né è previsto nella sua costituzione. Ovviamente respinge l’idea di Europa
come coesistenza di sovranità nazionali, l’ipotesi sovranista degli stati nazionali, ma pone
all’estremo opposto, non il modello federale tradizionale, ma uno scenario che definisce del tutto
improbabile, quello che prevede una più o meno rapida dissoluzione delle sovranità statali a favore
di un ordine sovrannazionale che sia, e riporto testualmente, “quasi miracolosamente capace di
tenere in equilibrio tutti gli attori pubblici e privati, comunitari e statali”.
E’ del tutto evidente come la soluzione propugnata da Bolaffi, non venga considerata come
la sintesi dell’ipotesi dei due fuochi ma una visione radicale e per nulla sostenibile di un nuovo
ordine politico indefinibile che presuppone di poter fare a meno del principio di sovranità.
Fioravanti sostiene una terza soluzione. Accetta di scendere sul terreno del principio di
sovranità per aderire ad una sua visione “condizionata” da far esistere all’interno di una “forma
politica europea” considerata quale intero entro cui stanno gli stati nazionali. Questa è in ultima
analisi la sua proposta di ellisse a due fuochi.
A ben vedere un intero, composto da parti distinte, che tali rimangono anche trovando nuova
identità nell’intero a sovranità condizionate secondo il principio di sussidiarietà si chiama Stato
federale, ma il nostro non riesce proprio a pronunciare la parola, è una cosa troppo tradizionale.
Mario Albertini le ha chiamate cose “dure ed angolose”13. La questione viene liquidata in passaggio
11
Maurizio Fioravanti, I due fuochi vitali dell’Unione, CaffèEuropa, 26 dicembre 2005
Maurizio Fioravanti, Per un nuovo federalismo europeo, in Convegno Le prospettive del federalismo in Europa,
Roma, 26 gennaio 2007
13
Mario Albertini, Le radici storiche e culturali del federalismo europeo, in Il Federalismo: antologia e definizione, Il
Mulino, Bologna, 1979.“Opinioni di questo genere, che ignorano che la federazione e' uno stato mentre la
confederazione non lo è, che ignorano che un gruppo di stati nazionali mantiene le sue caratteristiche essenziali fino al
momento nel quale viene sostituito da uno stato federale, possono manifestarsi solo perché "le idee sono malleabili".
Ma "le cose sono dure ed angolose", ed e' per questo che le sole idee che valgono, che servono agli uomini per
12
7
emblematico che riporto testualmente :”Si dice comunemente che la soluzione a questo proposito
non può essere quella classica dello stato federale. Bene: ma allora cos’altro?”
E chi lo dice? Sicuramente i detentori del potere nazionale, i profeti dell’internazionalismo
orami orfano di ogni possibile radice ideologica. L’unica cosa certa è che lo dice chi non vuole
l’Unione politica europea. Lo Stato federale non è una buona soluzione, ma un’ottima soluzione per
la forma politica da affidare all’Unione europea.
Ovviamente della cosa non ci meravigliamo più di tanto. Gli studiosi, gli accademici,
tendono, quasi esclusivamente, ad attribuire valore teorico ai fatti politici della realtà e molto
raramente propongono soluzioni teoriche per modificare la realtà.
I migliori discepoli del ’68 sono stati culturalmente recuperati aprendogli le porte
dell’accademia. In gran parte sono diventati i migliori alleati dell’ordine costituito. Possono mai
essere i teorici di un nuovo ordine internazionale che va a scardinare le logiche di potere a cui
devono molto, forse troppo?
Peter Häberle, forse il maggior analista della realtà giuridico costituzionale europea, ha
recentemente dichiarato: “siamo tutti nani sulle spalle di Altiero Spinelli”.
Società civile e deficit democratico europeo
Il Libro bianco del 2001 della Commissione “La Governance europea” identifica nel dialogo
con la società civile una delle fonti di legittimità della Commissione e, più in generale dell’Unione
stessa. Per molti versi lo sviluppo stesso della democrazia a livello internazionale ha trovato nelle
forze dinamiche della società civile un sistema per controbilanciare la carenze di legittimità delle
organizzazioni internazionali, Nazione Unite ed Unione europea.
operare, sono quelle che fanno davvero i conti con le cose, per dure ed angolose che siano”.
8
Tali posizioni si sono andate consolidando nel corso degli anni ’90 grazie a due
fondamentali fenomeni14. Il primo si è alimentato per l’esigenza delle società postcomuniste di
ricostruire lo Stato di diritto e di realizzare il valori basilari di libertà, eguaglianza, giustizia,
sicurezza ed equità sociale. Il secondo ha riguardato in particolare i paesi occidentali a democrazia
consolidata al di qua e al di la dell’Atlantico. In questo caso si sono avanzate richieste di una nuova
divisione dei poteri tendenti ad affermare l’esigenza della solidarietà a tutela delle disuguaglianze
globali: fame nel mondo, migrazioni di massa, tutela dell’ambienta, multiculturalità.
Una vera e propria scuola propedeutica di democrazia per gli altri in cui particolare rilevanza
hanno acquistato le organizzazioni non governative a carattere internazionale. Le ONG si occupano
di questioni settoriali come la politica agraria, il rapporto tra il Nord ed il Sud del mondo, la politica
per la pace, la tutela dell’ambiente, la questione femminile. Il ruolo prepolitico delle ONG negli
anni 80 e 90 è in gran parte all’origine dei movimenti popolari internazionali new global e non
global.
Obiettivo prioritario della società civile negli anni ’90 è stata pertanto l’elaborazione di una
magna Charta dei diritti. Non è un caso che la carta dei diritti di Nizza, ora incorporata nel progetto
di trattato costituzionale del 2004 (TCE) sia strenuamente ancor oggi difesa da tali organizzazioni.
La convinzione comune è che lo Stato di diritto internazionale possa superare la concezione classica
dello Stato federale e che nel rapporto dialettico tra istituzioni e tecnocrazie europea la società civile
possa risolvere la questione del deficit democratico15.
Il dialogo con la società civile si sostanzia in un rapporto strutturale, permanente e di rete
che prevede la partecipazione ed il dialogo a tutti i livelli, dalla definizione delle politiche e alla loro
attuazione. In buona sostanza si definiscono e si rafforzano i canali attraverso i quali, specifici
interessi organizzati, sostanzialmente a carattere corporativo, fanno valere le loro istanze.
Prima di analizzare i rapporti tra società civile e dinamiche di governance comunitarie sarà
bene tentare di definire le caratteristiche dell’oggetto dell’indagine. Cos’è la società civile? Quali
sono le possibile accezioni del concetto? Quali sono i soggetti che ne fanno parte? Che natura,
funzioni, struttura, bilancio patrimoniale hanno?
I soggetti che compongono la società civile
Il filosofo polacco Lesezek Kolakowski delinea tre accezioni del concetto e più
precisamente: 1) Nel senso di Rousseau, si tratta della società contrapposta allo stata di natura, e
quindi civile nel senso di civilizzata; 2) nel senso hegeliano, si tratta della società civile
14
Christine Martha Merkel. Lo sviluppo della società civile europea come base della democrazia, in Il federalismo e la
democrazia europea, a cura di Gustavo Zagrebelsky, la Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994
15
Nicola Verola, L’Europa legittima, Passigli Editore, Firenze, 2006
9
contrapposta alla Stato; 3) Comunità di cittadini che agiscono per senso civico nell’interesse della
rea pubblica.
Può altresì aiutarci la definizione di società civile così come enunciata nel libro bianco della
Commissione europea16: “La società civile comprende le organizzazioni sindacali e le associazioni
padronali (le parti sociali), le organizzazioni non governative, le associazioni professionali, le
organizzazioni di carità, le organizzazioni di base, le organizzazioni che cointeressano i cittadini
nella vita locale e comunale, con un particolare contributo delle chiese e delle comunità religiose”.
Proviamo a scendere ulteriormente nel dettaglio.
Parti sociali
Per quanto riguarda le parti sociali basti qui ricordare che il loro ruolo di dialogo interistituzionale
risente direttamente dei limiti operativi della politica sociale europea, da cui restano escluse gran
parte delle politiche del “welfare state”(pensioni, sicurezza sociale, assistenza sanitaria, diritto di
sciopero)17. A ben vedere la parti sociali svolgono un’azione incisiva a livello comunitario solo nei
settori elencati dall’articolo 137 del TUE18, quantunque scontino una oggettiva mancanza di
rappresentatività non avendo nessun reale mandato negoziale a sostegno di accordi collettivi, ma
pure funzioni consultive.
16
La Governance europea, Libro bianco della Commissione, COM (2001)428, luglio 2001
http://europa.eu.int/eur-lex/it/com/cnc/2001/com2001_0428it02.pdf
17
M. Grandi, La contrattazione collettiva europea- aspetti giuridici, in Fondazione Giulio Pastore, Diritto e politiche
del lavoro, La contrattazione collettiva europea – Profili giuridici ed economici, Franco Angeli, Milano, 2001
18
Articolo 137
1. Per conseguire gli obiettivi previsti all'articolo 136, la Comunità sostiene e completa l'azione
degli Stati membri nei seguenti settori:
a) miglioramento, in particolare, dell'ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei
lavoratori;
b) condizioni di lavoro;
c) sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori;
d) protezione dei lavoratori in caso di risoluzione del contratto di lavoro;
e) informazione e consultazione dei lavoratori;
f) rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro, compresa
la cogestione, fatto salvo il paragrafo 5;
g) condizioni di impiego dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio
della Comunità;
h) integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro, fatto salvo l'articolo 150;
i) parità tra uomini e donne per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro ed il
trattamento sul lavoro;
j) lotta contro l'esclusione sociale;
k) modernizzazione dei regimi di protezione sociale, fatto salvo il disposto della lettera c).
omissis
5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle retribuzioni, al diritto di
associazione, al diritto di sciopero né al diritto di serrata.
10
Organizzazioni non governative
Le Organizzazioni non governative generalmente, anche se non sempre, sono organizzazioni
non aventi fini di lucro indipendenti dai governi e dalle loro politiche, che ottengono almeno una
parte significativa dei loro introiti da fonti pubbliche e private. L' espressione organizzazione non
governativa, è stata menzionata per la prima volta nell'ambito delle Nazioni Unite19. Tra di esse si
distinguono quelle attive a sostengo della affermazione dei diritti umani nel campo della
cooperazione allo sviluppo, della pace e dell’ambiente. Caratteristica di queste organizzazioni è una
forte spinta ideale, finalizzata all'obiettivo di contribuire allo sviluppo globale dei paesi socialmente
ed economicamente più arretrati20. Alcune di queste ONG, poche in verità, di definiscono
antagoniste e si oppongono alle politiche di cooperazione finanziate dai governi.
In Italia le ONG riconosciute e finanziate dal Ministero degli Affari Esteri21 sono circa 180.
Esse operano nel campo della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e possono ottenere il
riconoscimento di idoneità con Decreto del MAE22. Il principale effetto di tale riconoscimento è la
possibilità per le ONG di ottenere dei contributi per lo svolgimento di attività di cooperazione da
loro promosse, in misura non superiore al 70 per cento dell'importo delle iniziative programmate.
Inoltre possono essere affidatarie di realizzare programma specifici di cooperazione i cui oneri sono
finanziati dallo stato.
19
L'articolo 71 della Carta costituzionale dell'ONU prevede infatti la possibilità che il Consiglio Economico e Sociale
possa consultare "organizzazioni non governative interessate alle questioni che rientrano nella sua competenza".
20
L'ispirazione comune degli statuti, delle carte dei principi e dei progetti dei singoli raggruppamenti fa riferimento a
valori di solidarietà e giustizia condivisi:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Sensibilizzare il Nord ai problemi del Sud del mondo attraverso l'educazione allo sviluppo.
Utilizzare adeguati metodi di raccolta fondi e realizzare azioni il cui effetto sia duraturo.
Rendere visibile un movimento mondiale di critica e opposizione al sistema di relazioni internazionali,
perseguendo condizioni di pari opportunità tra popoli, generi e culture.
Sviluppare il pensiero democratico e tutelare i diritti umani, ponendo l'accento sul disarmo, la pace, la
cooperazione allo sviluppo.
Non cedere all'illusione dello strumento militare quale risoluzione dei conflitti.
Rimuovere le cause del sottosviluppo, con particolare attenzione ai problemi dell'alimentazione, aumentando la
produzione agricola.
Sostenere lo sviluppo di una società multi etnica.
Combattere lo sfruttamento minorile.
Eliminare le disparità tra i sessi, rafforzando il ruolo delle donne nel tessuto economico.
Tutelare le zone ecologicamente fragili, promuovendo l'uso non distruttivo delle risorse.
21
Secondo quanto stabilito dall'art. 28 della legge 49 del 26.02.1987 ("Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia
con i Paesi in via di sviluppo") e dal relativo Regolamento di esecuzione (artt. 30, 40 e 41),
22
Elenco delle ONG riconosciute dal MAE: http://www.esteri.it/ita/4_28_66_75_249.asp
11
Per gli altri soggetti componenti la società civile, secondo la definizione del libro bianco
della Commissione, occorre tentare di proseguire nell’analisi facendo riferimento al caso italiano e
prendendo come riferimento la Classificazione delle forme giuridiche legali così come sviluppate
dall’ISTAT nella pubblicazione Metodi enorme n. 26 del 200523.
Società cooperativa sociale
Le cooperative sociali24, disciplinate con L. n. 381/1991, si distinguono dalla tipologia
classica delle cooperative per il perseguimento di un fine che è esterno al gruppo sociale che le
costituisce, ossia l’interesse sociale alla “promozione umana” e alla “integrazione sociale dei
cittadini” diversamente dal perseguimento degli interessi dei soci della cooperativa. Le attività che
le cooperative sociali svolgono sono essenzialmente due: quella della gestione di servizi sociosanitari ed educativi e lo svolgimento di attività diverse (agricole, industriali, commerciali o di
servizi) volte all’inserimento di persone svantaggiate.
Associazione riconosciuta
Per associazione riconosciuta si intende un ente di diritto privato, dotato di personalità
giuridica e caratterizzato da una struttura associativa, a base contrattuale e con la partecipazione di
una pluralità di persone. Tali enti non hanno una finalità lucrativa e sono caratterizzati dalla
preminenza della volontà degli associati. Elementi costitutivi sono la pluralità di persone e lo scopo
comune. In tali associazioni l’intervento dello Stato assume connotati più penetranti. Il legislatore,
infatti, provvede a sancire una serie di regole volte fondamentalmente a garantire il raggiungimento
dello scopo dell’ente e a tutelare sia le persone fisiche che ne fanno parte, sia i terzi che con questo
entrino in contatto.
Fondazione (esclusa fondazione bancaria)
Per fondazioni25 si intendono quegli enti a struttura istituzionale forniti di personalità
giuridica, costituiti da volontà unilaterale di un costituente o fondatore. Tali enti sono caratterizzati
dalla preminenza della volontà del fondatore e, quindi, dall’assenza dell’organo assembleare. Esse
non hanno per scopo lo svolgimento di attività economiche e si distinguono dalle associazioni per la
preminenza dell’elemento patrimoniale su quello personale. Elementi costitutivi della fondazione
sono, pertanto, il patrimonio e lo scopo.
23
24
25
http://www.istat.it/dati/catalogo/20060215_00/
Base giuridica. L. n. 381/1991, l. n. 52/1996, d.l. n. 510/1996, l. n. 193/2000.
Base giuridica. Art. 14 e seguenti del c.c.
12
Ente ecclesiastico
Per ente ecclesiastico26 si intende una categoria giuridica propria dell’ordinamento statale e
non dell’ordinamento canonico. Tale nozione è attribuita dallo Stato in stretta relazione con
l’attività effettivamente espletata dall’ente che deve perseguire fini di religione o di culto. Gli enti
ecclesiastici vengono riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili e sono tenuti
all’iscrizione nel registro delle persone giuridiche private in modo da rendere conoscibili le norme
interne di funzionamento ed i poteri degli organi di rappresentanza. Anche gli enti delle confessioni
non cattoliche sono enti ecclesiastici. Sono considerate attività di religione e di culto quelle dirette
all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi
missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana.
Società di mutuo soccorso
Per società di mutuo soccorso27 si intendono quegli enti che si propongono il fine di
assicurare ai soci un sussidio nei casi di malattia, di impotenza al lavoro o di vecchiaia e venire in
aiuto alle famiglie dei soci defunti. Tali società possono conseguire la personalità giuridica nei modi
stabiliti dalla l. n. 3818/1886. In via generale il mutuo soccorso può essere considerato come
un’operazione attraverso la quale, al fine di raccogliere mezzi economici per ripartire i rischi, un
gruppo di persone, a quegli stessi rischi potenzialmente soggetti, si quota per un certo importo.
Caratteristica fondamentale deve necessariamente essere la totale mancanza del fine lucrativo.
L’attività svolta dalle società di mutuo soccorso, specie di quelle di più recente costituzione si è
spostata verso spazi di intervento rivolti all’assistenza sanitaria integrativa. Questi organismi
beneficiano di agevolazioni ed esenzioni sia per l’imposizione diretta che indiretta.
Associazione non riconosciuta
Per associazione non riconosciuta28 si intende un gruppo di persone organizzatosi spontaneamente e
stabilmente per perseguire uno scopo di comune interesse a carattere non economico, senza il riconoscimento
statale e quindi privo della personalità giuridica. Lo scopo perseguito dalle associazioni non riconosciute non
è lucrativo. La finalità di tali enti è una finalità ideale: politica, sindacale, culturale, sportiva, eccetera.
L’associazione non riconosciuta è caratterizzata da una struttura aperta del rapporto, e cioè vi è la possibilità
che nuovi membri aderiscano liberamente al gruppo.
26
27
Base giuridica. Art. 2 l. n. 1159/1929 e art. 10 r.d. 28 febbraio 1930, n. 289.
Base giuridica. L. n. 3818/1886, l. 15 aprile 1886 n. 3818.
28
Base giuridica. Art. 39 e seguenti del c.c.
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Comitato
Il comitato è composto da un gruppo di persone che, attraverso un’aggregazione di mezzi materiali,
si propone il raggiungimento di uno scopo altruistico. Il comitato mira alla formazione di un patrimonio
destinato ad uno scopo. Il vincolo di destinazione che grava sui fondi raccolti non può essere modificato
successivamente dai componenti il comitato. I casi di comitati più frequenti nella pratica sono: i comitati di
soccorso, di beneficenza, di promozione di opere pubbliche, monumenti, esposizioni, mostre, festeggiamenti
e così via.
Le Cooperative sociali in Italia
Particolare rilievo sociale ed economico è assunto dalle cooperative sociali. Per una analisi
della loro natura e funzioni si fa riferimento alla relativa pubblicazione dell’Istat29. I base alla legge
381 del 1991, esse si distinguono in quattro tipologie:
cooperative di tipo A, se svolgono attività finalizzate all’offerta di servizi socio-sanitari ed educativi;
cooperative di tipo B, se svolgono attività finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate;
cooperative ad oggetto misto (A+B), se svolgono sia attività relative all’offerta di servizi sociosanitari ed
educativi, sia attività finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate;
consorzi sociali, cioè consorzi costituiti come società cooperative aventi la base sociale formata in misura
non inferiore al settanta per cento da cooperative sociali.
Le cooperative sociali attive in Italia al 31 dicembre 2003 sono 6.159. Rispetto ai risultati della
rilevazione precedente, riferiti al 2001, il numero delle cooperative sociali attive è cresciuto del 11,7 per
cento. La metà delle cooperative è localizzata nell’Italia settentrionale (2.926 cooperative, pari al 47,5 per
cento del totale), mentre nel Centro e nel Mezzogiorno opera, rispettivamente, il 20,1 per cento (pari a 1.235
cooperative) e il 32,4 per cento (pari a 1.998).
I soci delle cooperative sociali sono 220.464, distinti in 214.970 persone fisiche e 5.494 persone
giuridiche. Il 96,7 per cento delle cooperative impiega personale retribuito (dipendenti, collaboratori e
lavoratori interinali). I lavoratori occupati sono in tutto 189 mila, con una media di 30,7 lavoratori per
cooperativa.
Dal punto di vista economico le cooperative sociali fanno registrare nel 2003 un valore della
produzione complessivamente pari a 4.652 milioni di euro, con un importo medio per cooperativa di circa
755 mila euro.
29
Le cooperative sociali in Italia, ISTAT, anno 2003. http://www.istat.it/dati/catalogo/20061211_00/
14
Nelle cooperative sociali operano con 221.013 persone, di cui 161.248 dipendenti, 27.389 lavoratori
con contratto di collaborazione, 27.715 volontari, 3.357 volontari del servizio civile1, 807 religiosi e 497
lavoratori interinali.
Così come per i soci anche per il personale non si può fare a meno di notare la significativa presenza
di donne. La quota di donne sul totale è, infatti, pari al 69,7 per cento. Tale quota sale al 73,1 per cento tra i
dipendenti, mentre scende rispettivamente al 52,9 per cento e al 33,0 per cento tra i volontari e i religiosi.
Il totale delle entrate delle cooperative è composto in misura prevalente dai ricavi delle vendite e
delle prestazioni di fonte pubblica e di fonte privata (pari al 68,9 per cento e al 26,1 per cento,
rispettivamente), e da una quota residuale di altri ricavi2 (5,0 per cento). La prevalenza del ricorso al
finanziamento pubblico è relativamente più accentuata per le cooperative di tipo A (71,9 per cento), mentre
lo è meno per le cooperative di tipo B (50,4 per cento).
Il costo della produzione vede la prevalenza di spese per il personale (56,1 per cento) e, in via
secondaria, di spese per servizi (28,9 per cento), per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci (7,2
per cento), di altri costi (7,8 per cento).
15
Le istituzioni non profit in Italia
Per una disamina relativa alle organizzazioni non profit, con una particolare attenzione a quelle
operanti nel settore della cooperazione allo sviluppo si è preso in esame la rilevazione censuaria dell’ISTAT
del 199930.
Sono 221.412 gli enti non profit censiti nel 1999 di cui 165.336 svolgono attività regolare tutto
l’anno. Tali enti si distinguono in Associazioni riconosciute, Fondazioni, Associazione non riconosciuta,
Comitati, Cooperativa sociale ed altre forme. Sono 2.570 le imprese controllate dagli enti non profit. Quelle
operanti nel settore ambientale sono 3.277.
Nella cooperazione e solidarietà internazionale operano 1.433 enti. Di queste 420 sono associazioni
riconosciute, 36 Fondazioni, 845 sono associazioni non riconosciute, 90 sono comitati, 10 le cooperative
sociali, e 30 hanno altra forma giuridica.
Le non profit censite nel 1999 hanno in totale 531.926 lavoratori dipendenti, 17.546 distaccati o
comandati, 79.940 a collaborazione continuata e continuativa, 3.221.185 volontari, 96.048 religiosi, 27.788
obiettori.
Le organizzazioni operanti nel settore della cooperazione e solidarietà internazionale impiegano 908
dipendenti, 154 lavoratori distaccati, 597 a co.co.co., 34.230 volontari, 1.241 religiosi e 293 obiettori.
Le entrate delle istituzioni non profit ammontano ad un totale di 73.116,868 miliardi di lire di cui
839,881 sono le entrate delle non profit operanti nella cooperazione e solidarietà internazionale. Le uscite
sono pari a 68.911,900 miliardi, con 817,805 miliardi per quelle della comparazione e solidarietà
internazionale.
Le fonti di entrate sono costituite da 26.368,799 miliardi di lire di fonte pubblica provenienti da
contributi a titolo gratuito e ricavi per contratti e/o convenzioni con istituzioni e enti pubblici nazionali ed
internazionali. 12.180,167 miliardi sono i contributi degli aderenti. 10.279,716 miliardi sono i ricavi
provenienti dalla vendita di beni e servizi, 2.394,400 da donazioni e lasciti, 5.915,171 miliardi sono i redditi
finanziari e patrimoniali e 6.978, 614 miliardi sono le altre entrate di fonte privata.
Nelle uscite le principali destinazioni sono 24.936,388 miliardi di lire per il personale dipendente e
19.800, 230 miliardi per acquisto di beni e servizi.
30
Istituzioni non profit in Italia, ISTAT, Rilevazione censuaria del 1999. Dati pubblicati il 7 ottobre 2002.
http://www.istat.it/dati/catalogo/20020710_01/
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Nel settore della cooperazione e solidarietà internazionale 118,453 miliardi di lire provengono da
sussidi e contributi pubblici a titolo gratuito. 171,423 miliardi di lire provengono da contratti e convenzioni
con enti pollici nazionali ed internazionali. 51,412 sono i miliardi di lire versati dai soci, 64,881 miliardi
sono i ricavi provenienti dalla vendita di beni e servizi, 29,.878 da donazioni e lasciti, 20,420 da redditi
finanziari e patrimoniali e 117,414 miliardi sono le altre entrate di fonte privata per un totale di 839,881
miliardi di lire.
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La società civile quale rappresentanza funzionale di interessi nell’azione di lobbing
comunitario
I dati e le rilevazioni sopra riportate, seppur attinenti esclusivamente al caso italiano,
possono sicuramente essere sufficienti per tratteggiare un quadro complessivo degli interessi sociali,
politici, economici e finanziari rappresentanti dalle istituzioni che compongono la società civile.
I grandi interessi attenti al trasferimento delle competenze a livello comunitario trovano tra
Bruxelles e Strasburgo un’ampia gamma di rappresentanza. Le grandi imprese, le rappresentanze di
alcuni settori economici, le regioni della aree forti, transfrontaliere ed ultraperiferiche esercitano
un’azione di lobbing, oltre che sulla Commissione e Parlamento, sui Governi nazionali in sede di
Consiglio. I Governi sono molto sensibili per ovvi motivi elettorali e di raccolta del consenso
politico.
Tra questi gruppi di interesse si colloca a tutti gli effetti anche la società civile come
precedentemente identificata portatrice di interessi diffusi, ma molto più spesso di argomentazioni
tecniche e settoriali che hanno esclusivo riferimento ai proprio interessi consolidati e strutturati.
Si aggiunga che il dialogo sociale europeo subisce una serie di limiti intrinseci che con
aiutano di certo a sostenere una reale e diffusa partecipazione dei cittadini, i rappresentati della
società civile.
Solo pochi privilegiati hanno accesso e partecipano alla vita comunitaria sotto forma di
gruppi di pressione organizzati. Essi sono delle vere e proprie élite che tendono a rafforzarsi sempre
più nelle proprie risorse finanziare e concettuali. I coordinamenti europei delle organizzazioni della
società civile sono riconosciuti e finanziati dalla Commissione stessa, né più ne meno che i partiti
politici europei31.
31
Il Regolamento (CE) n. 2004/2003 definisce lo statuto ed al finanziamento dei partiti politici a livello europeo. Un
partito politico europeo, per essere riconosciuto e ottenere il finanziamento, deve essere rappresentato in almeno un
quarto degli Stati membri da deputati al Parlamento europeo o da deputati dei parlamenti nazionali o delle assemblee
regionali o, in alternativa, esso deve aver ottenuto in almeno un quarto degli Stati membri un minimo del 3% dei voti
alle ultime elezioni europee. Con questo regolamento è stata formalizzata l’idea che i partiti europei, diversamente dal
ruolo previsto per i partiti politici nelle Costituzioni nazionali, dove essi sono espressione della società civile e non
emanazioni dello Stato, sono invece subordinati ai Trattati e alle istituzioni dell’Unione europea. E’ il Parlamento
europeo che ne approva l'esistenza, che giudica se il loro Statuto è conforme o no ai principi e ai Trattati su cui si fonda
l'Ue riguardo libertà, democrazia, diritti umani e norme di legge, e che può quindi, in casi limite, deciderne lo
scioglimento. Occorre notare che il diritto di eliminare un partito per decisione di un Parlamento è una inquietante
novità nella democrazia liberale.
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Da questo punto di vista il dialogo con la società civile non è certo un modo per risolvere il
problema del deficit democratico. Le decisioni di governo, e le relative iniziative politiche, non
sono più democratiche quanto più è diffusa la comunicazione, la consultazione e la partecipazione.
La legittimità democratica si acquista attraverso il dibattito politico e l’investitura popolare.
Si tenga inoltre presente che le elite tecnocratiche della società civile sono selezionate e
finanziate esse stesse dal livello di governo e che la verifica della reale rappresentatività, senza
consultazione popolare e ben poco compatibile con i postulati democratici che prevedono i
meccanismi tipici del voto individuale. La legittimità del dialogo sociale e conseguentemente
dell’azione delle organizzazioni della società civile, è esclusivamente funzionale e si inquadra
all’interno del metodo comunitario che si caratterizza per fenomeni sostanzialmente neocooporativi. Ogni rafforzamento del dialogo sociale può non favorire, anzi talvolta può contraddire,
la legittimità democratica che viene arbitrariamente perseguita.
Identiche considerazioni possono essere formulata in merito al ruolo svolto dalla società
civile nel rendere il più possibile pubblica e trasparente la riflessione sulla futuro dell’Europa e
sugli assetti istituzionali dell’Unione in seno ai lavori della Convenzione di Bruxelles. Agli incontri
hanno partecipato un numero estremamente ristretto di rappresentati della società civile organizzata,
elitè in assoluto rapporto di contiguità istituzionale con la tecnocrazia di Bruxelles. Non si può non
sottolineare come il dibattito abbia in ogni caso sostenuto la dialettica dei partiti politici e come le
opinioni pubbliche nazionali siano state parzialmente coinvolte anche grazie ad una maggiore
attenzione dei media. In ogni caso ancora troppo poco rispetto all’obiettivo di una vera
politicizzazione del dibattito europeo.
Campoleone, 27 aprile 2007
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