POÎESIS Collana di studi e ricerche sull’eGovernment – Sezione Tecnologie e ricerca sociale – 5 Pasquale Luigi Di Viggiano – Rossella Bufano Donna e società. Partecipazione democratica e cittadinanza digitale Pasquale Luigi Di Viggiano – Rossella Bufano Donna e società. Partecipazione democratica e cittadinanza digitale Copyright © 2013 Tangram Edizioni Scientifiche Trento Gruppo Editoriale Tangram Srl – Via Verdi, 9/A – 38122 Trento www.edizioni-tangram.it – [email protected] Prima edizione: febbraio 2013 ISBN 978-88-6458-059-3 (Print) ISBN 978-88-6458-973-2 (ePub) ISBN 978-88-6458-974-9 (mobi) POÎESIS – Collana di studi e ricerche sull’eGovernment – NIC 05 Direzione André Ramos Tavares, Marco Mancarella, Gianpasquale Preite Comitato scientifico Donato A. Limone, Università Telma “La Sapienza” di Roma Antonio Anselmo Martino, Universidad de Lanus, Buenos Aires Marco Mancarella, Università del Salento Ioannis Ganas, Technological Educational Institute of Epirus André Ramos Tavares, Pontifícia Universidade Católica de São Paulo Giuseppe Schiavone, Università del Salento Mario Sirimarco, Università degli Studi di Teramo Gianpasquale Preite, Università del Salento Endrius Cocciolo, Universitat Rovira i Virgili Jean-Michel Dubois-Verdier, Président Tribunal adminsitratif de Toulon Andrea Lisi, Presidente ANORC Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione Digitale José Tomás Figueroa Padilla, Presidente Instituto Electoral y de Participación Ciudadana, Jalisco, Mexico Josep Cañabate Pérez, Universitat Autònoma de Barcelona Responsabili delle Sezioni e Redazione Evoluzione delle politiche pubbliche Gianpasquale Preite Amministrazione digitale e nuovi diritti Marco Mancarella Sistema documentale e conservazione digitale Andrea Lisi Etica, biopolitica e tecnologie Ughetta Vergari Tecnologie e ricerca sociale Luigi Di Viggiano Sviluppo del territorio e tecnologie Luca Caputo Profili giuridici della net economy Gianluigi Fioriglio Il presente volume è stato pubblicato con un contributo nell’ambito del Progetto “Andrano, Tricase, Poggiardo, Diso, Spongano 2010: Donna e Società”, Progetto finanziato dal Consorzio Universitario Interprovinciale Salentino (C.U.I.S.) nell’ambito del bando per l’erogazione di contributi – Anno 2010. Anche se la responsabilità dei capitoli presenti nel volume è da attribuirsi ai rispettivi autori, lo studio è il risultato di una piena integrazione e condivisione delle riflessioni e della ricerca illustrata. Sommario 9Prefazione Raffaele De Giorgi 15Introduzione Parte Prima DONNA E SOCIETÀ. PERCORSI FILOSOFICI, SOCIALI E POLITICI 21 Capitolo I La donna nella cultura occidentale Pasquale Luigi Di Viggiano 1.1. Le radici del pregiudizio 1.2. La donna nella società occidentale 1.3. La donna dei filosofi 1.3.1. Platone: la codifica di un dominio 1.3.2. Madre-materia: l’immagine della donna in Aristotele 1.4. Dal medioevo all’età moderna 1.4.1. Il pensiero cristiano medioevale 1.4.2. Dall’Umanesimo all’Illuminismo 1.4.3. Kant: l’“Io penso” e la coscienza dell’altro 1.4.4. Hegel e l’autocoscienza 1.5. Al principio del III millennio 1.5.1. La liberazione della donna. Genesi e sviluppo di un’idea 1.5.2. Dall’eguaglianza alla differenza 1.5.3. Il pensiero della differenza sessuale 75 21 26 31 32 37 41 41 46 54 59 63 63 69 72 Capitolo II Il principio dell’uguaglianza e le istanze della differenza Pasquale Luigi Di Viggiano 2.1. Eguaglianza e inclusione 2.2.Inclusione/esclusione 93 75 78 Capitolo III Donne e politica: cittadinanza, rappresentanza, e-democracy Rossella Bufano 3.1. Cittadinanza politica e genere 3.1.1. L’esclusione delle donne dalla cittadinanza politica 3.1.2. Sfera privata e sfera pubblica 93 96 100 3.1.3. Il divieto di accesso all’individualità e la maternità 3.1.4. Madre-cittadina e maternità sociale 3.1.5. La difficoltà delle donne a “occupare” la politica 3.2. Partecipazione e rappresentanza politica delle donne 3.2.1. Le forme della partecipazione politica 3.2.2. La partecipazione politica di genere 3.2.3. Rappresentanza politica e gap di genere 3.2.4. Le azioni positive: le quote 3.2.5. Meccanismi paritari e quote in Europa 3.2.6. Il ruolo dei partiti nella rappresentanza di genere 3.3. Democrazia digitale 3.3.1. Opportunità della Rete e digital divide 3.3.2. La rete (delle donne) nella Rete 102 103 107 111 115 117 120 124 128 129 131 135 138 Parte Seconda DONNA E SOCIETÀ. PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA E CITTADINANZA DIGITALE 145 Capitolo I Costruzione dell’identità di genere nel sud Salento Pasquale Luigi Di Viggiano 1.1. La ricerca: teorie e metodo 1.1.1. Obiettivi della ricerca 1.1.2. Fasi di realizzazione della ricerca 1.1.3. Il gruppo di lavoro 1.2. Bisogni delle donne in ambito sociale 1.2.1. Nota metodologica 1.2.2. Le donne del campione 1.2.3. Istruzione e formazione 1.2.4. Il lavoro delle donne 145 148 150 152 155 155 156 165 174 183 Capitolo II Accesso, e-democracy e politica di genere Pasquale Luigi Di Viggiano 2.1. Politica e democrazia elettronica 2.2. Internet e digital divide 2.3. Pubblico e privato 2.4. Le donne e la questione ambientale 213Conclusioni 221Bibliografia 233 Appendice – Il Questionario 184 194 199 206 Donna e società. Partecipazione democratica e cittadinanza digitale Prefazione Raffaele De Giorgi Scritti con passione e con ragionata distanza, con la forza delle certezze intellettuali e con la discrezione dell’osservazione empirica, i lavori che qui presentiamo e sui quali vorremmo invitare il lettore a riflettere, attivano insieme il volere e la rassegnazione, il desiderio di un racconto differente e l’accettazione di narrazioni che ritornano, fanno vedere orizzonti del futuro e insieme temere insuperabili barriere. Le pagine scivolano veloci, condensano pause di sdegno, si leggono come sguardi su ciò che si è visto, ma poi si sente improvvisa la rabbia per la sotterranea violenza che scorre nelle oscure interiorità della storia che qui viene riscritta, della storia del pensiero, della storia dell’essere, della natura, della terra. E quando si legge del pensiero antico si sente quanto sia ancora determinante la resistenza di quel pensiero nella memoria della società, si sente cioè la sua originaria funzione costitutiva, il suo inesauribile potenziale di produzione di forme senz’altro diverse nelle quali, però, vive la stessa sostanza. Gli autori intendevano scrivere contributi di natura storico-filosofica sulla donna, esporre riflessioni teoriche sulla uguaglianza e sulla differenza, in modo da riflettere sui caratteri dell’uguaglianza e della differenza che fa essere (o diventare) donna e poi provare, con una ricerca empirica che la differenza che fa essere (o diventare) donna si fa abisso quando viene situata in una periferia della modernità come è lo spazio geografico che chiamano sud. I contributi sono qui. Non so quanto essi informino il lettore. Dipende dalle sue conoscenze, naturalmente, dalla sua curiosità. So, però, che essi costringono il lettore a lasciarsi accompagnare dalle pagine che legge e a andare oltre, a inoltrarsi lungo i cammini non manifesti della sua riflessione, seguendo sentieri che si biforcano, come quelli di Borges, a pensare oltre, a lasciarsi turbare, sconvolgere, a chiedersi come mai? come 9 mai è possibile essere donna, cosa c’è sotto questa invenzione? Stesso turbamento prova il lettore se lungo il percorso della ricerca empirica, affidandosi al coraggio dell’intelletto, si abbandona alla domanda come mai il sud? come è possibile il sud? o, come si chiedeva Luhmann nella ultima grande lezione della sua vita: was steckt dahinter? È una ricerca sulla donna: una ricostruzione della rappresentazione della donna nel pensiero filosofico, nella immaginazione sociologica, nelle forme della determinazione religiosa, nella riflessione teorica sulla differenza; è una ricerca empirica sulla disponibilità all’uso di tecniche di partecipazione politica e all’accesso a servizi. Noi ci siamo posto le domande di cui abbiamo appena detto e abbiamo letto il lavoro come un tentativo di presentare al lettore materiale conoscitivo ed esplicativo che gli permette di accedere in quell’universo nel quale si costruisce la semantica del non detto e di ciò che non si può dire. Come un lavoro che presenta grandi racconti, ma anche piccoli segmenti di grandi racconti, attraverso i quali la società descrive se stessa e occulta accuratamente i materiali di senso che stanno sotto le trame di quei racconti e ne costituiscono il tessuto. La semantica, il patrimonio di significati che la società usa nelle descrizioni di sé che essa fornisce a se stessa e attraverso le quali si rende possibile il proprio operare, utilizza drammaturgie che poi intessono racconti, storie, che diventano realtà, e realtà di cui si parla. E così il lavoro che qui presentiamo, dice che la donna è l’altro di una differenza che rende possibile il pensiero occidentale che la produce, e che in questo modo si legittima come pensiero universale così come la questione meridionale è l’altro di una differenza che rende possibile la rappresentazione dell’unità di una delimitazione regionale della società che la produce e che in questo modo legittima le sue politiche unitarie che riproducono la differenza di cui non si può più parlare. La donna può dire la sua uguaglianza e può rivendicare la sua differenza, così come il Sud può dire la sua uguale dignità e rivendicare la sua differenza. Come il sud anche la donna: sono il risultato della loro invenzione e vengono trattati come realtà o addirittura come natura. Il lavoro si estende su tre versanti di riflessione. Il primo si occupa della rappresentazione della donna nella cultura occidentale; il secondo discute il principio dell’uguaglianza e le istanze della differenza; il terzo presenta i risultati di un’indagine empirica, svolta in alcuni piccoli agglomerati urbani del Salento, sull’accesso, e sulla conoscenza delle possibilità di 10 accesso, alla comunicazione digitale da parte delle donne e quindi sulle loro capacità di utilizzare le forme di partecipazione democratica che sono rese possibili attraverso le nuove tecnologie dell’informazione. Tre universi del discorso, tre orizzonti, tre storie, una stessa memoria. Vorrei riflettere brevemente su questa tri-unità, raccogliere i fili delle narrazioni che da essa si dipanano, accennare alle storie che può evocare. La prima è questa: La rappresentazione della donna nella cultura occidentale. Questa rappresentazione ha come suo elemento costitutivo la forma della differenza. La possibilità dell’essere donna è legata alla possibilità di pensare la differenza. Il problema, allora, è: la differenza. La questione filosofica: come si può costruire la differenza, diventa: come è possibile rendere possibile la differenza? La riflessione si orienta subito verso terreni sicuri, certi, stabili: i terreni del fondamento, dell’essenza, dell’ontologia. Nella storia del pensiero, della cultura o, come noi preferiamo dire, nella storia della semantica della società, tutte queste questioni sono state formulate come: qual è l’essenza, il fondamento della differenza che fa la differenza che è la donna? Un osservatore che voglia osservare come procede quella semantica, come si lavora alla costruzione, che voglia sapere come quella stessa costruzione si costruisce, si chiederà: qual è la funzione della differenza?. Come si può agevolmente vedere, il modo in cui viene formulata la questione intorno alla quale poi il pensiero occidentale organizzerà il suo lavoro semantico nasconde e mantiene occultata la questione reale della funzione del suo costrutto. Ha senso dire, allora, che donna è un costrutto, un’invenzione che scaturisce dalla necessità di indicare la differenza che fa la differenza. Intorno a questa grande questione si organizza un tessuto di rappresentazioni che si condensa in una drammaturgia che ha il suo patrimonio semantico nella commedia, nella triste e volgare commedia dell’ontologia, della sostanza, dell’essere: una storia che ha inizio quando il racconto di ciò che produce e tiene la rappresentazione dell’ordine del mondo, esaurita la potenza tragica, è affidato alla commedia. Prima quel racconto aveva trovato il terreno della sua rappresentazione nella tragedia, aveva offerto alla tragedia il materiale per la costruzione del suo tessuto. La tragedia, in modo specifico la tragedia di Eschilo, che conosceva il destino, come ciò che è, aveva potuto trasferire nel destino la sua rappresentazione della sostanza e della sua negazione, dell’essere e della sua negazione. La tragedia era l’unità della loro differenza. La consumazione tragica degli 11 eventi rendeva visibile la realizzazione della sostanza e insieme la violenta resistenza della sua negazione: entrambe presenti, incluse e occultate nell’unità della loro differenza. La tragedia ha raccontato donne capaci dell’essere tragico e del sentire tragico. Donne dalla colpa grandiosa, cosmica, donne dell’eroismo tragico, donne della violenza universale, della universale tragicità che è immanente all’unità della differenza della sostanza e della sua negazione. Ma non erano solo donne, naturalmente. Erano donne ed erano uomini. L’essere tragico era la sostanza dell’unità di questa differenza. La tragedia include in sé con l’unità della differenza, la sua incontenibilità, il suo potenziale esplosivo. Le Supplici dicono no; Antigone dice no; il loro no ha un esito tragico. Ma la tragedia non ha futuro, la tragedia non ha tempo: il suo esito è la consumazione del destino, la consumazione dell’unità, di ciò che non si vede perché non si può vedere. Guardare l’unità significa diventare di pietra: essere fulminati dalle Erinni, essere pietrificati, essere resi immobili per sempre per aver voluto attivare il tempo. L’osservazione richiede tempo, il tempo che essa consuma e riproduce. La funzione dell’inclusione della negazione nella sostanza, la funzione della sostanza della negazione, si esaurisce. E finisce la tragedia. Finisce il racconto di ciò che deve essere perché è. Il carattere del destino, infatti è questo. Il futuro come destino è come è, e si sa come è. Senza destino il tempo ha un futuro, i singoli, la società hanno tempo, hanno futuro. Poi avranno molti futuri. Si aprono i tempi di una nuova drammaturgia. La drammaturgia della commedia. Comincia il tempo del dovere essere, il tempo delle distinzioni, della morale, della politica, del diritto, della casualità, della molteplicità, della cattiva infinità. Il tempo della differenza. Che fa la differenza. E infatti, la drammaturgia della commedia richiede che la distinzione, una parte e l’altra parte, sia trattata come differenza. Che fa differenza. Nella commedia non c’è più l’unità, la commedia infatti comincia con l’occultamento dell’unità e con l’indicazione dell’uno e dell’altro. E dei molti, i quali sono tutti altro. Occultata l’unità, l’ordine del mondo diventa l’ordine delle differenze, diventa gerarchia. Quell’ordine si espone alla trasformazione, al cambiamento. C’è lo spazio per la negazione, perché c’è lo spazio per la differenza, per l’altro. La commedia inventa l’altro, ma lo inventa e lo tratta come altro, non come l’altra parte dell’altra parte, come in realtà è. Se così fosse stato, la sostanza si sarebbe manifestata anch’essa per ciò che realmente è: sen- 12 za sostanza. L’altro, allora, è ciò che è fuori di sé. E infatti, l’altro, come ciò che è fuori di sé, si contrappone a ciò che non è fuori di sé: il quale proprio per questo non può essere altro. Esso conferma sempre la sua superiorità. L’altro, in quanto viene costruito, riconosciuto e trattato come l’altra parte, è l’unico altro, la reale alterità: esso porta geneticamente con sé il volto dell’altro, se lo trascina addosso, è come una mancanza, come una privazione, come una specie di stigma, solo che essendo questo il suo modo d’essere, la sua sostanza si identifica con il suo essere altro. Solo essa è l’altro, non l’altro di cui essa è altro. La fine della tragedia è l’inizio di questa grande falsificazione. Una falsificazione che rende possibile l’invenzione dell’illecito come l’altro del diritto, del male come l’altro del bene, della colpa come l’altro della grazia. Ma questa stessa invenzione renderà possibile realizzare, giustificare, universalizzare ciò che nella Teoria della Società abbiamo chiamato l’autocollocamento del valore: il bene è il valore universale perché è il fondamento del bene, così come la verità è il valore universale perché è il fondamento del sapere, così come il diritto è diritto perché è il fondamento del lecito: grandi tautologie che occultano il fatto che la morale è l’unità della distinzione di bene e di male (come sa bene il Padre che discute con il Figlio di fronte al Diavolo nel Vangelo secondo Gesù Cristo di Saramago), che il diritto è l’unità della distinzione di diritto e non-diritto, che il sapere è l’unità della distinzione di vero e falso. E potremmo continuare. La grande tautologia occulta non solo l’unità della differenza, ma fa la grande falsificazione della differenza che fa la differenza. La donna, la donna della società, mi pacerebbe poter dire – così come Luhmann poteva dire il diritto della società e concludere la sua opera con la società della società – la donna è questa differenza, è l’altra parte dell’altra parte che nella drammaturgia della commedia diventa l’altro. La donna è l’altro che in più di venti secoli la semantica della società tenterà di teatralizzare, è l’altro di cui parleranno le infinite costruzioni nelle quali quella semantica si differenzia e attraverso le quali celebra la sua raffinatezza: sono le costruzioni filosofiche, politiche, giuridiche, teologiche, biologiche, morali, economiche, estetiche, lecite, illecite, oscene, sacralizzanti attraverso le quali la società apprende a costruire ciò che poi utilizza come realtà. Anche i sud sono l’altro, l’altro che fa la differenza. Anche essi sono prodotto della differenziazione, anche essi sono continuamente ricostituiti 13 come altro, come sud, appunto, come periferia di una società che ormai non ha un centro, ma che trova razionale ricostituire periferie attraverso amplificazione delle differenze. Anche questo altro è tema della semantica politica, giuridica, filosofica, e potremmo continuare fino a quella biologica, come attesta la raffinata volgarità di un linguaggio politico che dopo il settecento è stato rivitalizzato di recente in Italia. Come ha bisogno della donna, così questa società continua ad avere bisogno dei sud, dell’illecito, del male. Essa ha bisogno di trovare una collocazione per l’altro, così come ha bisogno di discutere delle modalità della sua emancipazione, della sua liberazione, del suo riscatto. Non ci soffermiamo sui risultati della ricerca empirica che chiude il volume. Essi confermano che l’alterità dell’altro lo portano a reintrodurre continuamente nella sua realtà la sua esclusione come modalità di accesso alle possibilità di accesso. Quando penso alle riflessioni che la filosofia, la teoria, la sociologia dedicano all’altro sotto la rubrica: donna, uguaglianza, sud, mi sovviene un meraviglioso articolo di Odo Marquard di alcuni anni fa dal titolo: Inkompetenzkompensationskompetenz? (Competenza a compensare l’incompetenza?). All’inizio del suo articolo Marquard racconta la seguente storia: in una competizione tra boia, che si tiene in Cina, così si dice, il secondo finalista si trova nella difficile situazione di dover superare il suo avversario, che avrebbe vinto, con una decapitazione assolutamente insuperabile. C’era tensione. Con lama affilata sferrò il colpo. Ma la testa di colui che doveva essere decapitato non cadde e il delinquente apparentemente non ancora decapitato gettò sul boia uno sguardo stupito e interrogativo. E il boia a lui: annuisca, almeno! A me interessa sapere cosa pensa questa testa prima di annuire, dice Marquard, perché questa dovrebbe avere una qualche somiglianza con i pensieri della filosofia su se stessa. 14 Introduzione Le grandi escluse nella storia dell’umanità sono le donne. Ontologicamente individuate come escluse, rimosse dalla riflessione e dalla partecipazione sociale e politica, le donne hanno intrapreso un lungo cammino di emancipazione e di differenziazione che, ultimamente, è caratterizzato da esiti importanti ma che non dirimono del tutto la questione. In questa contesa dei diritti per l’affermazione del genere femminile sono emersi evolutivamente strumenti in grado di fornire progressivamente ulteriore supporto operativo e strategico per la realizzazione delle pari opportunità e della pari dignità di carattere economico, sociale e culturale, in un contesto in cui la differenziazione di genere tende a rappresentare un valore aggiunto piuttosto che un elemento di subordinazione e di esclusione. Nell’attuale società dell’informazione e della comunicazione le donne si pongono come elemento fondamentale per la realizzazione della modernità più compiuta, proponendo una visione di genere della cittadinanza come fondamento della democrazia e della partecipazione in direzione di una sovranità e di una cittadinanza più estesa e meno particolare. In direzione di una comunità variamente connessa che si caratterizza sempre più per essere “digitale”; come costruzione sociale di un universo della comunicazione e delle reti di comunicazione (di inclusione e di esclusione) che, operando attraverso i sistemi sociali differenziati, costruiscono la propria realtà e la realtà della società contemporanea. Così, oltre a un nuovo tipo di rapporto con la famiglia, acquistano rilievo l’istruzione e il lavoro per una piena cittadinanza delle donne a tutto tondo. «La donna è, rispetto all’uomo, quello che è lo schiavo rispetto al padrone, il lavoro manuale rispetto al lavoro mentale, il barbaro rispetto al Greco. La donna è un uomo incompleto: essa se ne sta ritta su un gradino più basso nella scala dello sviluppo»1. Aristotele, De Generatione animalium, II, 3; Historia animalium, VIII, I; Politica, I, 5. 1 15 Questa idea di Aristotele, ma riscontrabile come substrato culturale comune in tutte le civiltà classiche pre-moderne, costituisce il pregiudizio strutturale contro il quale si è infranto ogni tentativo di evoluzione sociale, economica e culturale delle donne di ogni epoca, determinando livelli di esclusione ancora oggi operanti. Svelare le opacità paradossali, scaturite da questi meccanismi di esclusione sociale, rappresenta lo sforzo di questo lavoro che affronta temi diversi e complementari per descrivere le donne come periferie sociali della modernità intrappolate in pratiche concettuali e sociali dell’esclusione anche quando sembrano essere incluse. La politica, il diritto, la conoscenza e il lavoro sono le tematiche conduttrici il cui dispiegamento si descrive nella prima parte del lavoro come analisi storico-teorica dei fondamenti filosofici, politici e sociali dell’esclusione della donna da parte di una razionalità sempre pensata al maschile. L’inclusione e l’esclusione rappresentano per la donna una ricorrenza parallela e contemporanea di un sistema sociale moderno che si descrive come differenziazione dei subsistemi che lo compongono e che si alimenta di aspettative la cui delusione, o soddisfazione, determina comportamenti cognitivi o normativi in grado di produrre diritto che, nel suo normale funzionamento produce inclusione ed esclusione. La storia delle donne è una storia che si può descrivere come esiti di esclusione sociale, ma anche come tentativi di inclusione attraverso i quali è possibile osservare l’evoluzione delle aspettative di volta in volta deluse e le acquisizioni evolutive stabilizzate come diritti umani (delle donne). È possibile affermare, allora, che la storia delle donne si può descrivere come azzardo, come rischio, mentre il pensiero evolutivo sedimentato come senso intorno a questo tema si presenta come progressiva ipoteca di un futuro che tarda a incominciare. La verifica empirica e la descrizione scientifica di alcune istanze delle donne rappresentano la ricerca che caratterizza la seconda parte del lavoro. L’approvazione da parte del CUIS del progetto: Andrano, Tricase, Poggiardo, Diso e Spongano 2010: Donna e Società, ha rappresentato lo spunto e lo strumento attraverso il quale un gruppo di ricerca, formato dal Laboratorio di eGovernment (LEG) dell’Università del Salento e da esponenti dei Comuni partner del progetto, si è costituito e ha lavorato soprattutto censendo e analizzando aspettative e rappresentazione sociale, politica e culturale di un campione di donne residenti nei comuni del basso Salento interessati alla ricerca. 16 Il lavoro e la vita familiare, i rapporti con la politica e con l’ambiente, l’approccio alle nuove tecnologie della comunicazione e l’esercizio dei diritti di cittadinanza, i nuovi strumenti di democrazia e il rischio di esclusione digitale, così come espressi dalle donne campionate e suddivise per fasce di età, descrivono una realtà territoriale del Sud al femminile utile agli scienziati sociali per studiare l’evoluzione delle donne, ai politici più illuminati per programmare un nuovo modello di comunità territoriale coniugato anche al femminile e alle donne stesse (ma anche agli uomini) per costruire il proprio futuro e quello delle nuove generazioni. Per il carattere specifico di ciò che ancora non c’è, non è possibile prevedere il futuro. Tuttavia le decisioni del presente rappresentano le sedimentazioni di senso con cui orientare le scelte future. Anche per le donne. Porto Cesareo, dicembre 2012 Pasquale Luigi Di Viggiano Rossella Bufano 17 Parte Prima DONNA E SOCIETÀ. PERCORSI FILOSOFICI, SOCIALI E POLITICI Capitolo I La donna nella cultura occidentale Pasquale Luigi Di Viggiano 1.1. Le radici del pregiudizio «La donna, dopo essere stata variamente verniciata a fini spettacolari, avvolta in metafore, sepolta sotto una massa di figure stilistiche, innalzata a livelli ideali, adesso potrebbe diventare l’“oggetto” da indagare, al quale dare un’attenzione esplicita, e da immettere a questo titolo nella teoria»1. Questa riflessione di Luce Irigaray compendia significativamente un percorso già compiuto e prospetta un orizzonte d’indagine futura per quello che fino a oggi è stato per l’uomo “l’oscuro oggetto del desiderio”: la donna. Un “oggetto” con il quale l’uomo di tutte le epoche ha dovuto confrontarsi assumendo atteggiamenti contrastanti. È arrivato a negarlo nella sua essenza, a ignorarlo nella sua specifica dignità umana, a vezzeggiarlo per il suo modo irripetibile di “dare piacere” nel buio delle alcove o tra le luci scintillanti delle corti o dei salotti e, comunque, ha sempre cercato di esorcizzarlo come “altro” per un sostanziale rifiuto a conoscerlo. «Il XX secolo ha registrato una mutazione epocale: per la prima volta, dopo millenni, il pregiudizio antifemminista è stato individuato, contestato e, oggi, in termini più o meno coerenti […] superato nelle concezioni culturali generali sia formali sia informali»2 . L. Irigaray, Speculum. L’altra donna, trad. it., Milano, Feltrinelli, 1989, p. 140. S. Ulivieri, Genere e formazione scolastica nell’Italia del Novecento, in D. Demetrio et al., Con voce diversa. Pedagogia e differenza sessuale e di genere, Milano, Guerini, 2001, p. 33. 1 2 21 Questa riflessione iniziale intorno alle radici del pregiudizio dell’uomo verso la donna, più orientata agli aspetti teorico-sociali e filosofici, intende occuparsi della questione femminile e nasce dall’esigenza di assegnare una certa rilevanza a un problema che attualmente emerge e si impone all’attenzione delle scienze sociali e della filosofia che per lungo tempo hanno ostentato una mancata analisi dell’autentica essenza femminile, sebbene con approcci ed esiti differenti. Infatti, alla domanda: che cos’è la donna?, l’unica possibile risposta che la razionalità dell’uomo occidentale ha saputo fornire è stata: vivente razionale sessuato al femminile3. Definizione nella quale il senso di individuazione è interamente consegnato all’aggiunta “sessuato al femminile”. Pertanto, nell’ambito della filosofia, non si giunge a un risultato soddisfacente dal punto di vista ontologico, soprattutto in considerazione di altre risposte alla medesima domanda che hanno manifestato il loro massimo sforzo definendo la donna per attributi negativi4. La storiografia è la disciplina che racconta le emergenze, ciò che all’occhio dello storiografo-osservatore si distingue e assume un senso di distinzione. Comunemente il genere femminile è escluso dai racconti, se non quando rappresenti una eccedenza rispetto all’universo degli uomini degni di essere raccontati. Tuttavia, in Occidente, nella storiografia umanistica tradizionale manca una storia delle donne “dotte” che non avesse intenti di edificazione morale in ossequio a un criterio sempre tenuto presente che è quello di distinguere ciò che è riconducibile alle dispute politico-ideologiche del presente di chi scrive. Una storia, quindi, a carattere strumentale che distingue ciò che è vivo da ciò che è morto, metodo R. Braidotti, Commento alla relazione di Adriana Cavarero, in Aa.Vv., La ricerca delle donne, Torino, Rosenberg&Sellier, 1987, p. 191; A. Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, in Aa.Vv., Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, Milano, La tartaruga, 1987, p. 51. 4 In tutta la storia del pensiero occidentale i filosofi che si sono confrontati con il “femminile” hanno manifestato la loro capacità definitoria soprattutto nel tentativo di negare la donna, stabilendo gerarchie nelle quali i termini di confronto erano Dio e l’uomo e cercando in qualche modo di accomodare il discorso. «Le forme dell’accomodamento possono variare, tutte però implicano il paradosso di voler piegare alla stessa rappresentazione – quella del medesimo – ciò che si pone come eterogeneo, come altro – cercando sostanzialmente di negarlo nella sua specifica identità»: L. Irigaray, Speculum, cit., p. 133. Inoltre, sul percorso del pensiero occidentale in rapporto alla concezione della donna e per un itinerario storico delle donne che si sono in qualche modo interessate di filosofia, cfr. Aa.Vv., Donne in filosofia, Manduria, Lacaita, 1990. 3 22 congeniale al Croce, ma che significa misurare il passato con i parametri del presente e assumere come riferimento non la verità ma il punto di vista di un sistema di osservazione: il presente. Nel caso delle storie di donne intellettuali, anche nella produzione più recente in ambito filosofico, si riscontra un filo conduttore di lettura e di interpretazione delle fonti sorretto dal sospetto e dalla diffidenza verso l’attività intellettuale femminile5. Soprattutto quando si conviene che l’attività intellettuale e la produzione filosofica di alcune donne del passato, anche in presenza di una loro personale cultura e conoscenza pari a quella degli uomini, risulti inessenziale ai fini di un apporto significativo alla ricerca sistematica6. La donna colta del passato è una figura scomoda e inquietante; imbarazzante per chi vuole vedere la sua estraneità al linguaggio e alla cultura, al suo stesso genere quasi, al resto delle donne. La sua stessa visibilità storica diventa indizio di una metamorfosi surrettizia del femminile nel maschile, dal momento che il femminile è definito a priori come privo di voce e invisibile7. Così la donna colta, percepita come esorbitante, che esce in qualche modo dal suo sesso, è un mostro, una contaminazione inquietante di femminile e di maschile. All’interno del pensiero occidentale l’essere femminile è sempre stato visto come “Altro” e la sua differenza, il suo essere donna, è stato considerato una deviazione dal modello neutro (sessuato al maschile) o, addirittura, come realtà scarsamente comprensibile (come tale definita ininfluente e, quindi, da riassorbire nella logica dell’Uno-Identico)8. Cfr. G. A. Roggerone, Introduzione, in Aa.Vv., Donne in filosofia, cit., pp. 7-10. Singolare e paradigmatico, nello stesso tempo, è quanto riporta G. A. Roggerone, Idealità e assenza della donna nella filosofia medievale, in Aa.Vv., Donne in filosofia, cit., p. 30, quando, rivolgendosi a Eloisa, Pietro il Venerabile scrive «…tu invece, manifestando quel tuo amore allo studio, non solo hai vinto tutte le donne, ma hai anche superato quasi tutti gli uomini». È fin troppo facile rilevare come l’ammirazione dell’abate cluniacense è rivolta alla straordinaria cultura di Eloisa, non certo a un suo apporto originale e nuovo all’interno di quella filosofia sistematica, pensata secondo reti concettuali e categorie consolidate, ma sessuate al maschile. 7 Cfr. G. Pomata, Commento alla relazione di Paola Cori, in Aa.Vv., La ricerca delle donne, cit., pp. 112-120. 8 Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., pp. 9-221. Lungo tutta la prima parte del volume l’autrice si adopera per dimostrare come la totalità della cultura occidentale, a partire dalla filosofia e investendo tutte le scienze che, da una indifferenziata origine comune, 5 6 23 Un vissuto non libero, quello femminile, caratterizzato pertanto da una situazione di “necessità” e in particolare dall’assenza di una propria elaborazione conoscitiva. Agli inizi dell’800, però, le donne avvertono l’esigenza di esprimersi e significarsi, di far “sentire” in modo originale la propria voce. Inizierà allora un movimento di idee e di lotta, in vari modi configurato, ma con il preciso intento di liberare la donna dal giogo di un pensiero e da una subalternità sociale ed economica che l’avevano dominata per secoli. Gli strumenti concettuali di cui le donne si sono servite, e di cui ancora oggi, per certi versi, si servono, si inscrivevano in una logica totalizzante al maschile, per cui grande è stato il loro sforzo di cominciare a pensare e pensarsi con categorie diverse, proprie. Oggi si aprono nuove prospettive teoriche rese possibili dal “pensiero della differenza sessuale” che considera la differenza come una categoria che fonda l’umano conoscere ed esperire. «La differenza sessuale rappresenta uno dei problemi o il problema che la nostra epoca ha da pensare», è stato scritto nel 1984 da Luce Irigaray9. La mancata elaborazione della differenza sessuale si imputa, in effetti, al dominio storico a tutti i livelli esercitato dagli uomini sulle donne. Tuttavia, l’ottusità verso la potenza simbolica della differenza sessuale si riscontra soprattutto nel sapere filosofico-scientifico e non ha eguali in altri ambiti culturali come la mitologia, le religioni e le arti. Questo fatto indica che il dominio sessista di per sé non ha impedito ogni espressione simbolica della differenza sessuale poiché l’elaborazione manca soprattutto dove il pensiero umano si applica alla dimostrazione del vero. La filosofia occidentale non è certo un sapere neutro-universale; certo è il pensiero elaborato da un soggetto sessuato al maschile. In tale pensiero poi man mano hanno assunto carattere di autonomia scientifica (pedagogia, psicologia, antropologia), abbia utilizzato la reductio a unum (maschile-razionale) come principio del conoscere e del riconoscersi. Cioè come ci sia stato un continuo e costante uniformarsi all’ideologia dominante maschile. Per giungere a cercare di costruire un modo altro di essere “altro” per la donna, l’autrice alterna una evidente e acuta pars destruens a una altrettanto acuta quanto difficoltosa pars construens. La difficoltà, a nostro avviso, deriva soprattutto dalla scrittura criptica che utilizza nel tentativo di chiarire, con evidente concettualità consolidata sessuata al maschile, cosa si debba intendere per pensiero della differenza sessuale (femminile), che tuttavia non ha ancora strutture e ambiti autonomi di intervento. 9 Cfr. L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, Milano, Feltrinelli, 1985. 24 il soggetto maschile si autorappresenta e interpreta il mondo a partire da sé. Muovendo da questo presupposto, che connota tutta l’attività speculativa dell’Occidente e che vede esclusa la differenza sessuale come reale principio fondativo, Adriana Cavarero, riprendendo un lavoro di Rosi Braidotti, è portata a dire che «la filosofia rivela i meccanismi mentali, teorici e materiali utilizzati dalla cultura occidentale per perpetuare l’identificazione della coscienza umana con la razionalità ed entrambe con il maschile. La filosofia è, dunque, la quintessenza del maschile insito nel discorso»10. In tal senso la filosofia si propone come campo privilegiato per indagare i meccanismi teorici della maschilizzazione della cultura e del pensiero. Per quanto il soggetto maschile non sia l’intero dell’umano, ma sia soltanto uno dei due sessi, esso non riconosce la sua parzialità e finitezza e pretende di porsi nel pensiero come soggetto universale. In tal modo ciò che viene presentato come identico non è che il maschile e l’universale mentre ciò che viene occultato è la differenza sessuale, ossia l’originale sessuarsi della creatura umana in maschio e femmina, differenza che, come tale, rimane impensata e produce, quindi, l’impossibilità per il sesso femminile escluso di porsi come soggetto. Il pensiero della differenza sessuale postula, quindi, per la donna la necessità che essa si faccia soggetto reale di un proprio pensiero, nel quale essa possa autorappresentarsi e perciò riconoscersi. Pensiero sessuato, dunque, che denuncia la sua sessuazione e che non pretende né di assimilare l’altro sesso, né di valere anche per lui, secondo un principio di una originaria differenza sessuale non riducibile alla logica di un unico soggetto neutro e universale11. Il pensiero della differenza sessuale denuncia e rifiuta la logica di assimilazione e di omologazione insita nell’universalizzarsi del soggetto maschile e postula Cfr. A. Cavarero, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, in Aa.Vv., La ricerca delle donne, cit., p. 173. In questo saggio l’autrice cita di R. Braidotti, Modelli della dissonanza, in P. Magli (a cura di), Le donne e i segni, Urbino, Il lavoro editoriale, 1985, p. 45. 11 Cfr. A. Cavarero, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, cit., pp. 173176. Per lo stesso tema cfr. anche: L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, cit.; Aa.Vv., Diotima, cit.; A. R. Mazzotta, L’antica ferita, in Aa.Vv., Donne in filosofia, cit., pp. 145-170. In questo ultimo saggio si pone particolarmente in evidenza l’aspetto psicologico del processo di individuazione che per altri versi caratterizza il pensiero della differenza sessuale. 10 25 la necessità improcrastinabile per le donne di produrre come soggetti attivi propri ambiti di autocomprensione. Questa breve anticipazione del “problema donna” intende tracciare due degli aspetti portanti del problema. Uno riguarda la presunta inferiorità delle donne in filosofia, tradizionalmente attestata all’interno della speculazione e della storia del pensiero occidentale. L’altro, invece, si interessa dell’identità femminile e del lungo percorso culturale attraverso il quale essa è stata sempre negata, negando la donna stessa nel suo essere sessualmente differenziata. 1.2. La donna nella società occidentale A questo scopo sarà utile scorrere essenzialmente i modi attraverso i quali il problema donna si è posto nel pensiero occidentale. Sarebbe interessante, per descrivere le forme e i modi attraverso i quali l’universo femminile ha affrontato le strutture sociali dell’esclusione, soffermarsi sulle figure di donne che hanno lasciato il loro segno nella storia della filosofia, dell’arte, della scienza, della società. Poiché questo richiederebbe un non banale impegno data la delicatezza, l’importanza e l’estensione dell’argomento e in considerazione degli obiettivi di ricerca di questo lavoro, ci occuperemo del tema “donna” osservato dal punto di vista dei sistemi della filosofia e delle scienze sociali. Dalla prospettiva della riflessione filosofica vorremmo proporre alcune osservazioni e alcune ipotesi, avvalendoci di una impostazione metodologica a noi congeniale, poiché è proprio in base ad essa che abbiamo cercato di indirizzare parte della nostra ricerca. Ci vogliamo riferire alla proposta di abbandonare “un filosofare che pretenda di procedere per tesi e assiomi” per “riscoprire il senso e il gusto di un procedere per ipotesi e proposte”12 nel tentativo non di ricostruire la natura di una ragione, quanto piuttosto di costruire le ragioni di una possibile differenza di pensiero sessuato al femminile attraverso l’osservazione di secondo ordine Cfr. A. Prontera, Filosofia in George Sand, in Aa.Vv., Donne in filosofia, cit., p. 64. Importanti, ai fini di questa proposta di metodo, sono le note in calce alla pagina e i relativi riferimenti bibliografici. 12 26 dei modi attraverso i quali il pensiero al femminile ha osservato il mondo e attraverso i quali ha osservato se stesso. Il pregiudizio verso le donne che le escludeva, per ragioni di carattere ontologico, culturale e sociale, da occupazioni che non fossero quelle riproduttive e produttive all’interno dell’economia strettamente familiare, non ha impedito che, fin dall’antichità, emergessero figure femminili dotate di eccellenti capacità speculative. Esaminando i giudizi antichi e recenti che si sono prodotti intorno alle donne-filosofo13 possiamo notare che gli apprezzamenti degli uominifilosofo, al di là di specifiche particolarità, sono tutti solidali nell’indicare l’inessenzialità, se non l’assoluta mancanza, del filosofare delle donne quale apporto originale alla riflessione. Tralasciando di contestare la veridicità o meno di questi giudizi e considerando le analisi più note sulle cause storiche, sociali e culturali legate a questo argomento, vorremmo proporre una ipotesi attraverso cui guardare e descrivere ciò che è stato prodotto dalle donne in ambito filosofico, Per un approccio al problema del linguaggio e sull’ambiguità linguistica che contraddistingue la presenza femminile in filosofia, cfr. M. Forcina, Premessa, in «Nota n. 14», marzo 1991, Bollettino del Centro “Charles Péguy”, Dipartimento di Filosofia, Università degli Studi di Lecce, pp. 1-8. Del problema più generale di un uso sessista della lingua italiana si è interessata, tra gli altri, anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha pubblicato, tramite la Commissione Nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna, Il sessismo nella lingua italiana (a cura di Alma Sabatini), Roma, Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato, 1987. Secondo la Sabatini «l’uso di un termine anziché di un altro comporta una modificazione nel pensiero e nell’atteggiamento di chi lo pronuncia e quindi di chi lo ascolta. La parola è una materializzazione, un’azione vera e propria». Cfr. anche R. Rossi, Le parole delle donne, Roma, Editori Riuniti, 1978; A. Sabatini, rubrica «Chenepensi», in Quotidiano Donna, Roma, 1981. Di rilevante importanza per avvicinarsi a questo problema dal punto di vista del pensiero della differenza sessuale, cfr. L. Irigaray, Parler n’est jamais neutre, Paris, Les Editions de Minuit, 1985. Nel marzo del 2009 l’Europarlamento ha predisposto un vademecum per evitare l’uso sessista delle lingue, non solo nel linguaggio parlato, ma anche nella predisposizione di documenti ufficiali dell’EU. Appellativi come “Miss” e “Mrs”, Madame e Mademoiselle, Frau e Fraulein, Senora e Senorita, Signora e Signorina, considerati “politicamente scorretti” perché sono riferiti allo stato civile, e ormai anche all’età, usati solo per le donne, verrebbero sconsigliati, costringendo gli europarlamentari a rivolgersi alle proprie colleghe appellandole solo con il loro nome completo. 13 27 ma anche ciò che non è stato prodotto per il semplice fatto che non è mai stato documentato. È accertato, per esempio, che le donne che si sono occupate di filosofia sono state in qualche modo succubi di padri, mariti, amanti. È altrettanto documentato14 come fosse trasgressivo “filosofare al femminile” nella Grecia classica e permissiva e come l’ambito culturale e sociale in cui si produceva filosofia fosse elitario e maschilista e come fosse impossibile, non solo per le donne, pensare al di fuori di un Logos ormai accreditato e tiranno, capace di ricondurre a se stesso ciò che si poneva come “altro”. Un’epoca in cui si esaltava il Mythos, senza accorgersi che lo stesso mito era reso funzionale al Logos totalizzante15. Questa eredità, che si manifesta come un marchio infamante e indelebile, ha caratterizzato la cultura occidentale fino a oggi, relegando in ambiti marginali e negletti, ripudiati ed esorcizzati perché temuti, tutto ciò che era fantasia, immaginazione, pulsione di animi sensibili ad altro, comunque non riconducibile ai canoni imperanti della razionalità al maschile. Dallo studio della letteratura occidentale emerge come tutta la documentazione più antica sulle attività speculative delle donne si riduca al racconto di seconda mano di aneddoti, curiosità o a poche espressioni meravigliate di come alcune donne potessero addirittura eguagliare, se non superare, alcuni uomini per cultura. E anche per le opere più recenti di “donne-pensanti” i giudizi non vanno oltre un raffronto serrato con l’omologo maschile. Da tutta questa serie di considerazioni, ma anche da un nucleo di sensazioni inespresse e inesprimibili, siamo stati portati a pensare come ci sia stato nei secoli un ostracismo verso ciò di cui non si riusciva a comprendere gli ambiti e le ragioni, ritenendolo di conseguenza inessenziale e non degno di essere tramandato o riportato per iscritto se non qualificandolo Cfr. G. A. Roggerone, La figura trasgressiva della donna-filosofo nel mondo antico, in Aa.Vv., Donne in filosofia, cit., pp. 11-24. 15 Per un approccio ricco di riferimenti bibliografici sul percorso storico-ideologico seguito dal Mito, cfr. F. Jesi, Mito, Milano, Mondadori, 1989; Id., I recessi infiniti del «Mutterrecht», in J. J. Bachofen, Il Matriarcato. Ricerca sulla ginecocrazia del mondo antico nei suoi aspetti religiosi e giuridici, Torino, Einaudi, 1988, pp. XIII-XXXV, in cui è possibile trovare un lucida trattazione sul rapporto tra il mito e il simbolo e tra questi e la presenza della donna nella concettualità antica. 14 28 come bizzarria, capace tutt’al più di stupire. Questo potrebbe significare che nei secoli ci sia stato un boicottaggio, consapevole o meno, da parte di una ragione che non ammetteva ragioni diverse dalla propria. Questo processo perverso, in altre forme e con diverse strategie giustificative, si è riproposto e affermato fino a oggi. Tanto è vero, per esempio, che quando Hegel sostiene che la filosofia è come la nottola di Minerva che inizia il suo volo sul far del crepuscolo, e giunge sempre a cose fatte, quindi troppo tardi per dire come il mondo deve essere16, esprime solo l’autocontemplazione della filosofia stessa. Difatti, per Hegel, come per Aristotele, Spinoza, ecc., l’oggetto del pensiero è il necessario; il suo compito è precisamente di mostrare la necessità di ciò che esiste, cioè la razionalità del reale17. Da questo punto di vista la filosofia è la giustificazione razionale della realtà intesa non solo come natura, ma anche nel senso di istituzioni storico-sociali, cioè del mondo umano18. Di riflesso essa sanciva la subordinazione di fatto del “mondo” femminile al razionale maschile. Proprio nel “modo femminile di guardare il mondo della società” e di raccontarlo, secondo noi, si manifesta quella differenza che fa della donna un essere unico, irripetibile, diverso rispetto all’uomo e alla sua cultura. Diverso nel modo di guardare il mondo e di pensarlo, raccontandolo. Cfr. G. F. Hegel, Prefazione, in Id., Lineamenti di filosofia del diritto, Bari, Laterza, 1954. 17 Il primo gruppo di ricerche istituite da Aristotele nella Metafisica verte appunto sulla possibilità e sul principio di una scienza dell’essere. Aristotele si preoccupa in primo luogo di definire il posto di questa scienza nel sistema del sapere e i suoi rapporti con le altre scienze. Innanzi tutto, ogni scienza può avere per oggetto o il possibile o il necessario: il possibile è ciò che può essere indifferentemente in un modo o nell’altro; il necessario è ciò che non può essere in modo diverso da quello in cui è. Il dominio del possibile comprende l’azione (praxis) che ha il suo fine in se stessa, e la produzione (poiesis) che ha il suo fine nell’oggetto prodotto. Le scienze aventi per oggetto il possibile, in quanto sono normative o tecniche, possono anche essere considerate come arti; ma non c’è arte che concerna ciò che è necessario (Et. Nic., VI, 3-4). Tra le scienze del possibile, la politica e l’etica hanno per oggetto le azioni e si dicono quindi pratiche; le arti hanno per fine la produzione di cose e si dicono poietiche. Tra queste ultime, una porta nel nome stesso il sigillo del suo carattere produttivo ed è la poesia. Il dominio del necessario appartiene invece alle scienze speculative o teoretiche. Queste sono tre: la matematica, la fisica e la filosofia prima che, dopo Aristotele, si chiamerà metafisica. 18 Cfr. la voce «Filosofia», in N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, UTET, 1984. 16 29 Proprio perché la filosofia non è esclusivamente Pensiero, ma anche linguaggio inteso come ragione discorsiva che non serve solo a descrivere il mondo, ma anche a interpretarlo e a significarlo. Ma raccontare il mondo in maniera autentica vuol dire essere liberi, poiché solo gli “uomini liberi” (secondo l’idea sartriana) possono cogliere la realtà nella propria immediatezza di vita e, nel raccontarla, essere artisti, scrittori, filosofi19. Per la donna, oggi la libertà si fonda principalmente sulla presa di coscienza del proprio corpo inteso non come mero dato anatomico; si fonda sul riconoscimento di una differenza e di una appartenenza di genere originaria che si esprime soprattutto nel suo rapporto con la società del mondo e nella maniera di significarla nel racconto. Ecco che la riflessione della donna si pone allora come altra rispetto a quella maschile (razionale, totalizzante), rivestendosi di forme desuete per la costruzione sistematica, recuperando le pulsioni, le emozioni, l’intima riflessione che parte dall’avere la consapevolezza che le costruzioni universali non possono avere troppo credito. Se oggi la riflessione delle donne su se stesse ha raggiunto gradi di chiarezza e di autocomprensione notevoli, enucleando e tentando di superare i fattori di sudditanza anche culturale verso il maschile, non altrettanto chiaramente nel passato la donna è riuscita in questo intento. Tuttavia, anche se in maniera inconscia o poco chiara, ha avvertito i sintomi di un disagio e di una autonegazione che ha cercato di esplicitare con una riflessione manifestata come racconto, come diario, come epistolario. A nostro avviso, quindi la mancanza di documentazione sicura e di prima mano sulla produzione originale del pensiero delle donne oltre che da attribuirsi al fatto che gli storiografi fossero degli uomini, con criteri di giudizio maschili che li portava a trascrivere ciò che era rilevante nella loro ottica, è dovuta anche al fatto che le donne hanno preferito esprimere le loro idee servendosi di racconti e non attraverso la costruzione di sistemi filosofici. Del resto anche filosofi quali Rousseau, Kierkegaard, Agostino, Pascal, Goethe, ecc., hanno esposto le loro idee sotto forma di confessioni, diari, epistolari, raggiungendo livelli altissimi di produzione Cfr. M. Forcina, Simone de Beauvoir. L’altra metà della filosofia come l’altra metà del cielo, in Ead., Dalla ragione non totalitaria al pensiero della differenza, Cavallino di Lecce, Capone, 1990, pp. 181-197. 19 30 originale del pensiero. Tuttavia, la loro “credibilità”, qualunque fosse la forma sotto cui veniva espresso il proprio pensiero, è di gran lunga più accreditata rispetto alla “credibilità” di tante donne, tra cui Simone Weil per esempio, che nella stessa maniera hanno dato un contributo notevole alla riflessione sociale e filosofica più recente. 1.3. La donna dei filosofi Riprendiamo a occuparci della presenza del “problema donna” all’interno del pensiero filosofico occidentale cercando di cogliere gli aspetti, a nostro avviso, più significativi che l’intero discorso filosofico fornisce per delineare l’immagine femminile sostanzialmente immutata nel corso della storia del pensiero. Considerare che la storia della filosofia occidentale sia complessa e non si sviluppi secondo una logica univocamente decifrabile fa sì che l’identificazione del razionale con il maschile non sia così immediata e semplice. Si tratta infatti di una lunga storia più che bimillenaria, nel corso della quale il soggetto maschile si è pensato in vario modo, avendo la possibilità di criticarsi e di ripensarsi. Nel corso di tali ripensamenti ha avuto modo di autorappresentarsi con paradigmi diversi e anche contrari a quello della razionalità corrente20, sempre però con una costante: era lui, il soggetto maschile, a pensarsi e ripensarsi, a farsi e disfarsi, a provocare, a riconoscere e teorizzare le sue crisi e, in questa attività, il senso di sé è stato ritrovato o perduto21. Durante questo vagare del pensiero autoreferenziale maschile il suo protagonista a volte ha anche parlato di donne, addirittura del principio femminile, ma sempre a partire da sé, dalla sua definizione dell’altra come altra da sé. Così l’antica dicotomia pitagorica che elencava i contrari nella lista positiva (uomo, pari, luce, ecc.) si è sostanzialmente conservata, pur in diverse e più raffinate utilizzazioni. In questa ottica si può osservare in che modo una delle più recenti filosofie della crisi, quella variegata corrente di pensiero che in Francia è giunta a “penser le feminin” e a concettuaCfr. T. S. Kuhn, The Structure of Scientffic Revolutions (1962), trad. it. di A. Carugo, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 1978. 21 Cfr. A. Cavarero, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, cit., p. 174. 20 31 lizzare, con Derrida, il “divenire donne” della filosofia, si presenti come una strategia di interno autorinnovamento della filosofia maschile22 . Nella storia della filosofia e della società si ritrova quindi una costante: l’esclusione della differenza sessuale come reale principio fondativo; l’omosessualità maschile della filosofia occidentale non contempla la donna come soggetto attivo di autorappresentazione e autocomprensione. Di conseguenza, tutte le varie posizioni filosofiche che si sono succedute da Talete agli attuali filosofi del pensiero debole sono in egual modo sostanzialmente estranee al soggetto femminile. In effetti da Platone e da Aristotele fino ai Padri della Chiesa, in particolare Agostino e Tommaso, e poi fino a Kant e ad Hegel, i contenuti ideologici relativi alla concettualizzazione della differenza sessuale non sono diversi. I due filosofi tedeschi rappresentano, infatti, l’ultimo baluardo di un pensiero filosofico concentrato sulla volontà di potenza del soggetto, in perfetta continuità con tutto il pensiero classico23. Certo, le analisi di Kant e di Hegel forniscono le categorie concettuali dominanti relative al significato ontologico attribuito o riconosciuto alla donna. Comunque sia, la matrice filosofica attraverso cui l’emarginazione storica e l’ideologia di sesso si trasmette all’interno della civiltà occidentale è, in particolare, la metafisica platonica e aristotelica. Da qui partiremo per delineare un percorso di riflessione. 1.3.1. Platone: la codifica di un dominio Non è possibile affermare che il pensiero di Platone sulla donna sia univoco. Infatti esso si muove lungo una direttrice che considera l’essere femminile come l’ultimo gradino dell’umano e il primo passo verso l’animale quando sostiene, a proposito dei meccanismi etici che regolano la metempsicosi, che la prima degradazione dell’uomo è la donna, forma in cui si incarna l’anima abbruttita nella seconda generazione24. La frase laCfr. R. Braidotti, Donne e filosofia in Francia, in «Memoria» 15, 3, 1985. Cfr. A. Cavarero, Così ridiamo al pensiero un corpo, anzi due, in «l’Unità», 27 gennaio 1989. 24 Platone, Timeo, 76, d, a cura di G. Reale, Milano, Bompiani, 2000: «Perché quelli che ci composero sapevano che dagli uomini sarebbero nate le donne e gli altri animali»; Id., Timeo, 90, e: «…tutti quelli che nati uomini, sono stati codardi e sono 22 23 32 pidaria del Timeo, attraverso la quale Platone esprime la sua visione negativa della donna, sancisce una inferiorità ontologica e codifica all’interno di una razionalità rigorosa un’idea che circolava indefinita, ma chiara, all’interno della società aristocratica della Grecia classica25. Esiste però, nell’opera di Platone, un’altra immagine della donna, variamente utilizzata e considerata all’interno della critica filosofica. Ci riferiamo al ruolo che Platone assegna alla donna nella sua Repubblica e all’interpretazione che di esso fornisce, per esempio, il pensiero della differenziazione sessuale e l’analisi prodotta all’interno di una direttrice di ricerca connotata come “ricerca sull’utopia”. Per il pensiero della differenziazione, infatti, l’evidente tentativo di Platone in Repubblica è quello di rimuovere la specificità femminile, uniformandola al modello maschile. L’emarginazione nell’oikos (casa/famiglia), esito obbligato della condizione femminile nella Grecia classica, non appare al filosofo una strategia opportuna nei confronti della diversità della donna. Questa non può andare perduta nella città di Repubblica la quale, per sopravvivere, richiede la piena adesione del corpo sociale. Rinchiusa nella casa, in quella dimensione privata di cui è figura emblematica, essa sfugge alle direttive del legislatore. La socialità della donna non va neutralizzata solo segregandola, ma a questa tecnica se ne deve affiancare un’altra più sottile: una sua parziale integrazione nelle strutture pubbliche, sotto un diretto controllo collettivo, costretta a uniformare il suo comportamento al modello maschile. Includere per escludere. A partire da queste premesse, Platone le assegna, così, un ruolo in tutto pari a quello dell’uomo, affermando l’irrilevanza della differenza biologica rispetto alla capacità di svolgere una funzione nelle strutture comunitarie. Il filosofo poi attribuisce l’esiguità degli ambiti di pertinenza del femminile non a una natura imperfetta, bensì a una “educazione” che addestra la donna al compito di moglie e di madre. La donna si rivela così un prodotto della società. Sottoposta allo stesso “iter” educativo del guardiano, essa manifesterà la stessa ricchezza di attitudini e di qualità: «Non c’è, a mio avviso, altro modo di possedere e godere rettamente figli e donne se non procedendo nel senso da vissuti nell’ingiustizia, secondo ragione probabile si mutarono in donne nella seconda generazione. E però a quel tempo gli dei crearono l’amore per il coito». 25 Cfr. A. Giallongo, L’immagine della donna nella cultura greca, Rimini, Maggioli, 1981. 33 noi indicato fin dal principio: nel nostro discorso abbiamo cominciato a farne come tanti guardiani di un gregge. Si, ebbene, siamo coerenti e attribuiamo alle donne analoga nascita e analogo allevamento, ed esaminiamo se la cosa ci conviene o no […] Così. Non crediamo che le femmine dei cani da guardia debbano cooperare a custodire ciò che custodiscono i maschi, cacciare insieme a loro e fare ogni altra cosa in comune? O crediamo che le femmine debbano stare dentro casa perché impedite dalla filiazione o dall’allevamento dei cuccioli, e i maschi faticare per tutte le cure degli armenti? Ogni attività deve essere comune, rispose; con l’eccezione che li impieghiamo tenendo presente che le une sono più deboli, gli altri più vigorosi. È dunque possibile, ripresi, impiegare un dato animale per identici scopi, se non lo sottoponi all’identico allevamento e all’identica educazione? Non è possibile»26. In quello che sembra un programma emancipatore in realtà si coglie un’operazione ideologica di fondo: l’attuazione di una pseudo liberazione che appunto rivela una rimozione del femminile, delle sue consuetudini, dell’essere donna. La guardiana è una figura che viene esaminata in quanto compagna del guardiano e sua collaboratrice, alla quale si richiede il massimo di efficienza. Riproduce la sua fisionomia sul corrispondente maschile con l’approssimazione che può derivare dal minor vigore fisico27. La donna, dunque, è assimilabile all’uomo nel governo della polis in quanto ha un’anima maschile, la sola in cui possa trionfare la legge della ragione; in questo modo, più che emancipata, viene negata insieme alla sfera del privato al quale è intimamente connessa. Di diverso avviso risulta l’analisi prodotta da quel filone filosofico che si richiama all’utopia, pur con le sue differenziazioni e posizioni interne28. Platone, Repubblica (a cura di F. Sartori), v, 451 e, Bari, Laterza, 1970, p. 176. Cfr. A. Giallongo, L’immagine della donna nella cultura greca, cit., pp. l48-150; U. E. Paoli, La donna greca nell’antichità, Firenze, Le Monnier, 1955; E. Cantarella, L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell’antichità greca e romana, Roma, Editori Riuniti, 1981. 28 Questo filone di ricerca, presente e molto attivo all’interno dell’Università del Salento, tratta la questione inerente la donna all’interno della filosofia platonica guardandola soprattutto in relazione alla costruzione di una “società giusta e fraterna”; estranea quindi alle problematiche più recenti prodotte dal pensiero della differenza sessuale. 26 27 34 Secondo questa prospettiva il merito maggiore di Platone nel teorizzare la sua città ideale consiste nella proposta dell’uguaglianza dei sessi, contestualmente all’abolizione della proprietà privata e della famiglia tradizionalmente intesa, teorizzando la comunanza di donne e figli29. Da questa proposta discende una sostanziale uguaglianza etico-giuridica tra uomini e donne poiché l’istanza platonica lascia intendere che le donne “reggitori” o “custodi” possono e devono assolvere, nell’amministrazione dello Stato, le medesime funzioni assegnate ai loro “colleghi” maschi30. Contro questa proposta di Platone sorsero atteggiamenti di scherno e di satira feroce. Tra queste ricordiamo Lisistrata, Tesmoforiazuse e Ecclesiazuse di Aristofane il quale, oltre a sbeffeggiare Platone, a suo modo affronta direttamente il problema dell’emancipazione della donna31. Per quanto, pur ammettendo che Platone riconosca con certezza che la donna è per natura “più debole dell’uomo” solo fisicamente, tuttavia la diversità fisica tra uomo e donna non si tramuta in diseguaglianza sociale e politica. Questo è possibile che accada nella città di Repubblica grazie alla medesima educazione che gli appartenenti allo stesso ghenos ricevono. A questo proposito Platone considera il sesso femminile come una ricca riserva di energie intellettuali, politiche e morali che i suoi contemporanei, imbevuti di maschilismo, si ostinavano a ignorare32 . Si riconosce a Platone una dose molto alta di coraggio per il fatto che le teorie egualitarie e di apertura verso le donne espresse in Repubblica contrastavano in modo netto con le più radicate tradizioni, con il contesto politico-culturale, con la coscienza storica della sua età, ma anche con la Tuttavia, a nostro avviso, toccare la questione femminile considerando, seppur brevemente, anche questa prospettiva utopica può risultare alquanto utile per una comprensione più ampia e complessa del problema. Per la definizione del concetto di utopia così come di seguito verrà utilizzato, cfr. A. Colombo, Il destino del filosofo, Manduria, Lacaita, 1971; Id., Le società del futuro. Saggio utopico sulle società postindustriali, Bari, Dedalo, 1978. Particolarmente ricca e interessante risulta la consistente bibliografia in questo lavoro: A. Colombo (a cura di), Utopia e distopia, Milano, FrancoAngeli, 1987. 29 Cfr. C. Quarta, L’utopia platonica. Il progetto politico di un grande filosofo, Milano, FrancoAngeli, 1985, p. 251. 30 Cfr. ivi, p. 251. 31 Cfr. L. Firpo (a cura di), Storia delle idee politiche, economiche e sociali, I, L’antichità classica, Torino, UTET, 1982; S. B. Pomeroy, Donne in Atene e Roma, trad. it., Torino, Einaudi, 1978, pp. 118-121. 32 Cfr. C. Quarta, L’utopia platonica, cit., p. 257. 35 propria mentalità e le più intime convinzioni dell’aristocratico filosofo. Tanto è vero che in tutta la sua opera complessivamente si trova fondata la inferiorità ontologica della donna che si esprime nella divisione del lavoro33, nei processi biologici tipici della donna, nel suo dipendere dal “diritto del maschio”34, ma che ripone le sue radici in una degradazione etica35. Ulteriore prova del suo “maschilismo” è data dal linguaggio che egli usa in Repubblica, proprio in quelle pagine in cui si occupa del problema della parità dei sessi. Qui compaiono espressioni del tipo: «possesso delle donne»; «modo di regolare il possesso e l’uso delle donne e dei figli»36 o quando afferma: «E ai giovani valenti in guerra o in altro si devono conferire onori e altri premi, e più larga possibilità di giacersi con le donne»37. È piuttosto evidente come un tale linguaggio tradisca una convinta e radicata mentalità maschilista. Questo dimostra come la proposta dell’uguaglianza tra i sessi postulata a livello teorico venga rifiutata simultaneamente a livello pratico. Viene, tuttavia, attribuita a Platone un’altissima valenza di originalità, malgrado le aporie e le contraddizioni riscontrate, per avere in qualche modo dimostrato, teorizzando Repubblica, come non possa esserci “Stato giusto” o “Società felice” senza eguaglianza tra i sessi, senza riconoscere anche alla donna una dignità pari a quella dell’uomo38. È interessante notare come il filone utopico, anche quando si connota negativamente come distopia39, si occupa in maniera particolare della donna, preoccupandosi soprattutto di risollevare una condizione, quella femminile, che storicamente si è attestata come di subordinazione e di negazione. La distopia chiaramente con intenti contrari o comunque diversi da quelli dell’utopia. Da Platone e tutta l’età classica40, passanNell’Alcibiade primo, Platone fa dire a Socrate che vi sono conoscenze proprie della donna in quanto donna (tipo la lavorazione della lana) e dell’uomo in quanto uomo (come l’arte militare). Cfr. Platone, Alcibiade primo, 126e-127ab, Milano, BUR Rizzoli, 1995. 34 Cfr. Platone, Leggi, VI, 774e, Milano, BUR Rizzoli, 2005. 35 Cfr. Platone, Timeo, 91de, 92a ss. 36 Cfr. rispettivamente Platone, Repubblica, IV, 423e; V 451c. 37 Platone, Repubblica, V, 460b. 38 Cfr. C. Quarta, L’utopia platonica, cit., p. 276. 39 Cfr. A. Colombo (a cura di), Utopia e distopia, cit., pp. 19-121 e 321-362. 40 Cfr. C. Quarta, L’utopia platonica, cit. L’opera, molto puntuale e riccamente documentata nelle note con osservazioni, riferimenti bibliografici e rimandi, è preziosa per un approccio pluridisciplinare al problema. 33 36 do attraverso le utopie che si collocano alle soglie dell’età moderna, per giungere all’Illuminismo, e dal socialismo utopico fino a Pèguy41, è possibile osservare come il problema venga trattato con alterne vicende di pensiero, a volte anche involuto, ma tendente alla ricerca di una soluzione avvertita come fondamentale nei rapporti umani per un futuro migliore. Tuttavia, pur avvicinandosi molto sono rimasti fondamentalmente fuori dalla prospettiva che fa del problema della donna un problema della donna vista nella sua sostanziale differenza di genere, prospettiva che connota la più recente acquisizione teorica delle donne. 1.3.2. Madre-materia: l’immagine della donna in Aristotele Nell’affrontare il tema del genere femminile Aristotele pretende di essere più realista di Platone, partendo addirittura da un punto di vista scientifico-biologico, per fondare ontologicamente la carenza di razionalità della donna. Aveva osservato, da buon naturalista, che nel regno animale i maschi sono più grandi, più forti e agili rispetto alle femmine e perciò si stupiva che per la donna potesse prospettarsi l’emancipazione dall’uomo: «Riguardo alla riproduzione degli altri animali, bisogna attenersi alla spiegazione adatta a ciascun genere di essi […] si possono riconoscere a buon diritto nella femmina e nel maschio i principi della riproduzione: il maschio in quanto portatore del principio di mutamento e della generazione, la femmina di quella della materia»42 . La femmina, in quanto femmina, è passiva, e il maschio, in quanto maschio, è attivo e rappresenta ciò da cui ha principio la trasformazione43. Cfr. rispettivamente: T. More, Utopia, trad. it. a cura di L. Firpo, Napoli, Guida, 1979; T. Campanella, La Città del Sole (1617), a cura di N. Bobbio, Einaudi, Torino, 1941; J. V. Andreae, Descrizione della Repubblica di Cristianopoli (1619), Napoli, Guida, 1983; J. Harrington, La Repubblica di Oceana (1656), a cura di G. Schiavone, Milano, FrancoAngeli, 1985; A. Colombo (a cura di), Utopia e distopia, cit.; C. Pèguy, La città Armoniosa, Lecce, Milella, 1982. 42 Aristotele, La riproduzione degli animali, in Opere, Bari, Laterza, 1973, 716a. pp. 115. 43 Cfr. ivi, 729b, p. 188. 41 37 Pertanto, nella concezione aristotelica il seme maschile riveste un ruolo specificamente attivo, cui fa riscontro la passività del mestruo. D’altronde l’inerzia è prerogativa della materia, dimensione in cui rientra completamente l’apporto femminile. La massa dell’embrione è fornita interamente dal sangue mestruale, senza che lo sperma abbia parte alcuna in tale corporeità44. La sua funzione è organizzativa e informatrice: immettere il modello del nuovo individuo nell’informe residuo femminile, per trasformarlo in una potenzialità di uomo. È chiaro come tale analisi teorica assuma una trasparente valenza ideologica, codificando anche a livello biologico la subalternità e la passività del ruolo femminile. Alla sua incapacità di produrre un discorso e una forma razionale, compete la funzione di apportare una materia informe che l’uomo dovrà plasmare. La specie umana è dunque, per Aristotele, eminentemente maschile45. Il patrimonio formale che va tramandato nel tempo ha i connotati del padre: la riproduzione ottimale è una riproduzione ideologica e speculare in cui il padre produce copie identiche di se stesso, senza alcun contatto con la corporeità del femminile46. «D’altronde il bambino ha una forma femminile, e la donna è simile a un maschio sterile»47. Essa è una copia deformata del modello maschile ed è contrassegnata da un’intrinseca negatività. Rispetto all’uomo-logos, la donna-materia appare sempre inadeguata e in “potenza”; essa infatti «desidera il maschio» come «il brutto desidera il bello», «eccetto che essa non è brutta per natura ma per accidente»48. Un accidente tuttavia ben necessario per la conservazione della specie, che riafferma la centralità della donna e della materia per la riproduzione del cittadino e della A questo proposito in S. B. Pomeroy, Donne in Atene e Roma, cit., p. 68, si osserva che nell’antichità «l’ovulo dei mammiferi era sconosciuto; quindi il contributo della donna al bambino non era pienamente compreso. Ciò spiega perché una società agricola usasse una metafora come seminare per indicare l’atto sessuale: il seme maschile (visibile) era considerato la semente, sparsa in quello che pareva loro un campo – ma unicamente un campo». 45 Ma non solo per Aristotele. Tanto è vero che ad Atene, in tempo di pace, volendo conservare una popolazione stabile, si raggiungeva tale obiettivo mediante l’esposizione o l’infanticidio delle femmine neonate. Cfr. S. B. Pomeroy, Donne in Atene e Roma, cit., pp. 70-73. 46 Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit. 47 Aristotele, La riproduzione degli animali, cit., 728a, p. 185. 48 Ivi, 767b, p. 280. 44 38 città. Nel modello politico opera così lo stesso schema biologico di subordinazione del femminile; la inadeguata partecipazione della donna alla razionalità legittima la collocazione subalterna che Aristotele le assegna nell’ambito della famiglia. Inoltre, nell’autorità esercitata dall’uomo sulla donna, dal padrone sullo schiavo, dal padre sui figli, Aristotele individua l’origine e le differenze delle relazioni sociali, sottoposte a un ordine gerarchico che va riconosciuto e rispettato. In questi rapporti di subordinazione «tre sono dunque le specie di relazioni familiari, l’autorità signorile, la paterna, la coniugale»49. Dall’analisi aristotelica emerge l’esistenza di un unico individuo razionale e, in definitiva, umano: «nelle relazioni del maschio verso la femmina, l’uno è per natura superiore, l’altra inferiore, l’uno comanda l’altra è comandata – ed è necessario che fra tutti gli uomini sia proprio in questo modo»50. Al di sotto del cittadino che gestisce l’oikos, così come amministra la polis, si dispiega ordinatamente una pluralità di figure cui la carenza di razionalità nega ogni funzione attiva nella famiglia e nella città. Esse vengono poste, pertanto, ai margini della stessa sfera dell’umano e della società: «…e questo suggerisce senz’altro la condizione dell’anima: in essa infatti, c’è una parte che comanda per natura, un’altra che è comandata; noi diciamo che entrambe possiedono una loro virtù, e cioè la virtù della parte dotata di ragione e della parte irrazionale […] tutti possiedono le parti della anima, ma le possiedono in maniera diversa: perché lo schiavo non possiede in tutta la sua pienezza la parte deliberativa, la donna la possiede ma senza autorità, il ragazzo in fine la possiede, ma non sviluppata […] sicché è chiaro che […] non sono identiche la saggezza dell’uomo e quella della donna, il coraggio e la giustizia, come pensava Socrate, ma che (questi valori) nell’uomo riposano nell’attitudine a comandare, nella donna nell’attitudine a obbedire»51. Leroux ha trattato questo argomento in ordine a un principio di eguaglianza/disuguaglianza indicando una sostanziale corrispondenza tra la rappresentazione sociale dello schiavo e della donna. E infatti scriverà: «Non abbiamo potuto emancipare gli schiavi senza far sparire la schiavitù della Aristotele, Politica, Bari, Laterza, 125, 1, 1259b, p. 25. Ivi, 1260a, pp. 26-27. 51 Ivi, 1260, p. 27. 49 50 39 donna»52 . Sebbene sia portatore di un alto contenuto eversivo e innovativo, anche nel linguaggio rispetto alla mentalità corrente del periodo in cui scrive, tuttavia, per certi versi, risulta legato a una concezione limitata che rivolge lo sguardo al tentativo delle donne di liberarsi definitivamente dal giogo maschilista, con una sorta di incomprensione di fondo: «lo non sono d’accordo con coloro che hanno predicato in questi ultimi tempi l’emancipazione delle donne come un’insurrezione […] Si tratta di emanciparci tutti gli uni gli altri facendo regnare tra noi la Giustizia […] bisogna insomma che la donna si elevi grazie all’uomo e con lui, e che l’uomo si elevi grazie alla donna e con lei»53. È facile notare in queste parole come ancora ci sia il tentativo di ricondurre tutto all’uno, senza tenere conto della differenza “essenziale”, tra maschio e femmina (uomo e donna). A questo, però, si accompagna una serrata critica sia alla posizione “scientifica e politica” di Aristotele che considera la donna materia a cui solo l’uomo può dare la forma, sia ai meccanismi etico-politici che sanciscono l’inessenzialità e la subalternità della donna e degli schiavi nella filosofia platonica. Leroux insieme a Fourier54. Tornando a occuparci della posizione della donna nella speculazione filosofica antica, notiamo come la figura dell’ereditiera (immagine eccezionale), sia in Aristotele che in Platone, è causa di una degenerazione del modello a causa del potere che il denaro le conferisce, sconvolgendo la tranquilla “routine” della famiglia aristotelica: «talora poi comandano le donne che sono ereditiere: in tal caso la autorità non sorge a seconda delle virtù bensì a causa della ricchezza e del potere, come nelle oligarchie»55. L’immagine femminile elaborata dai filosofi antichi si pone così come un paradigma ideologico destinato a durare ben oltre l’ambito culturale e P. Leroux, Le ragioni dell’eguaglianza (a cura di A. Prontera), Lecce, Milella, 1991, p. 37. 53 Ivi, p. 37. 54 Cfr. J. Sabiani, 1830: Aux sources du fèminisme, in «Quaderno Filosofico», 12-13, 1985, Università degli Studi di Lecce, pp. 141-201. Molto indicativo questo saggio per la prospettiva di analisi con cui guarda e documenta i primi ufficiali movimenti d’idee e di proposte per l’emancipazione della donna in Francia. In un clima di palpabile utopia, forse le proposte di Leroux, con tutti i suoi limiti, e di George Sand rappresentano le acquisizioni più avanzate e innovative riguardo al problema dell’emancipazione della donna in quel periodo. 55 Aristotele, Etica Nicomachea, Bari, Laterza, 1 65. Libro VII, X, 1161 a, p. 222 52 40 sociale in cui si produce. La fondazione biologica, psicologica e scientifica, fornita da Aristotele, garantisce alla figura della madre-materia una consistenza autonoma, che permane immutata, al di là del variare dei sistemi concettuali in cui è, di volta in volta, inserita56. 1.4. Dal medioevo all’età moderna 1.4.1. Il pensiero cristiano medioevale Alcuni elementi culturali di base, molto diffusi nel mondo pagano esaminati precedentemente, hanno fortemente influenzato la riflessione e il pensiero cristiano tradizionale. Certamente tutte le idee cristiane sulla donna e la sessualità non si spiegano con la sola influenza pagana, ma tale influenza ha fortemente inciso sul modo di concepire molte istituzioni tipicamente cristiane, come quella della verginità consacrata e del matrimonio. Il cristianesimo, infatti, penetrava in un universo culturale già molto elaborato, che gli offriva non solo idee e concetti sulla condizione del femminile, ma anche sistemi dominali e forme di pensiero che il cristianesimo ha lentamente incorporato, facendole proprie, ma convogliandole in una ideologia salvifica57. Le vicende storiche della donna nella prima società cristiana non sono state caratterizzate, in linea con la tradizione patriarcale antica, da una condizione di dipendenza e subordinazione rispetto al maschio e rispetto a una autorità spirituale, che riguardava la sua dimensione femminile in particolare. In ordine ai ruoli che venivano assegnati alla donna nel contesto sociale in cui le era concesso muoversi, la Borresen individua tre stati sociali del femminile comunemente accettati dalla comunità cristiana58, tre ruoli, quello di “moglie”, “madre” e “vergine” in cui la donna verrà incasellata al fine di mantenere e conservare l’ordine e lo stato delle cose. Cfr. G. Duby, M. Perrot (a cura di), Storia delle donne in Occidente, Roma-Bari, Laterza, 1990-1992, 5 voll. (vol. 1, L’antichità, a cura di P. Schmitt Pantel). 57 Cfr. I. C. Colombo, Modalità della “ interpretatio” cristiana di culti pagani, in Mondo Classico e Cristianesimo, Roma, Ist. Encicl. Treccani, 1982, p. 43. 58 K. E. Borresen, Natura e ruolo della donna in Agostino e Tommaso D’Aquino, trad. it., Assisi, Cittadella Ed., 1979, p. 96 e p. 234. 56 41 Nei testi religiosi non è neppure preso in esame un eventuale ruolo della donna al di fuori di quelli canonizzati: la donna concubina, per esempio, figura presente nel mondo antico qui è negata: è la trasgressione, il peccato e, quindi, va rimossa. Il rigore cristiano si contrappone alla licenza dei costumi del popolo pagano ed è tanto più rigido nei confronti della donna, considerata già al tempo di Giovenale il simbolo della licenza morale59. Il matrimonio, sacramento indissolubile nel cristianesimo, diviene così un rimedio al peccato di concupiscenza, un argine alla prevalenza della carne sullo spirito. Dice Agostino: «La intemperanza della carne anche se in sé è da riprovare, viene rivolta all’onesto scopo di propagare la prole cosicché l’unione coniugale dal male della libidine produce un bene – e aggiunge – la concupiscenza viene frenata e in un certo qual modo arde più pudicamente perché la mitiga il sentimento della paternità e maternità»60. Si riconosce nel pensiero di Agostino l’insegnamento di Paolo, che vede nel matrimonio un rimedio al peccato di libidine61: il matrimonio è dunque permesso come misura precauzionale nei confronti del desiderio sessuale. Queste norme “igieniche” relative alla unione coniugale si situano in un contesto di subordinazione femminile. Tale subordinazione poteva avere la sua sorgente in una inferiorità “naturale” che designava la donna a essere dominata. Tommaso D’Aquino giustifica questa subalternità, che vede d’altronde indicata nel racconto della Creazione, riferendosi al naturalismo aristotelico: «dice il Filosofo che la femmina è un maschio mancato (mas occasionatus)»62 . Questo è un primo grave pregiudizio aristotelico, per cui, rispetto alla natura particolare la femmina è un essere difettoso e manchevole. Infatti, la virtù attiva racchiusa nel seme del maschio tende a produrre un essere perfetto, simile a sé, di sesso maschile. Il fatto che ne derivi una femmina, commenta Tommaso, è solo un accidente. Cfr. D. Nardo, La stessa satira di Giovenale e la tradizione erotico-elegiaca, Padova, Liviana Ed., 1973, pp. 8-63. 60 Agostino, De Bono Coniugalis, in Id., Matrimonio e Verginità, Roma, Città Nuova Ed., 1978, vol. 7/1, 3, p. 15. 61 Cfr. Paolo, I Cor. 7, 1-9. 62 T. D’aquino, Summa Theologiae, Bologna, Ed. Studio Domenicane, 1985, vol. VI, p. 92, a I, p. 192. 59 42 A questo punto nasce spontanea la domanda: perché mai Dio ha creato un essere vivente così deficitario nella fede, nella ragione e nel corpo? Nella sua universalità – risponde Tommaso – la femmina non è un essere mancato, ma è espressamente voluto così in ordine alla generazione63. La donna, dunque, deve la sua formazione in vista della sua funzione ausiliaria per la generazione della prole, funzione ordinata al bene della specie. Ma «a detta del filosofo, il maschio e la femmina si uniscono nella specie umana non solo per la necessità di generare, come negli altri animali, ma anche per la vita domestica, nella quale l’uomo e la donna hanno funzioni distinte e in cui l’uomo è capo della donna»64. Punto di partenza di questa tesi, è il pensiero di Paolo, il quale getta le fondamenta di una singolare costruzione ideologica all’insegna dell’antifemminismo più intransigente: «Le donne soggette ai loro mariti come al Signore, perché il marito è capo della donna, come Cristo è capo della Chiesa è soggetta a Cristo, così le donne siano soggette in tutto ai loro mariti»65. Questa situazione di sudditanza della moglie al marito corrisponde a uno stato di fatto, nel contesto sociale e giuridico della comunità cristiana, situazione che Agostino accetta come normale senza metterla mai in discussione66. La relazione, infatti, simboleggia l’ideale supremazia dello spirito sulla carne nell’essere umano, e impedisce alla concupiscenza di ergersi contro la ragione67. Accostandosi alla tesi di Agostino, Ambrogio ritiene finanche che il peccato e la menzogna siano da imputare al solo essere femminile: è stata, infatti, la donna l’agente dell’errore per l’uomo, e non l’uomo per la donna. Chiaramente la suggestione risale all’immagine che fornisce la Genesi di Eva tentata e tentatrice. È evidente in questi contesti come il racconto della Creazione rappresenti un piatto forte per tutti gli appetiti antifemministi. Dalle opere cristiane consultate, infatti, scaturiscono due conseguenze che svalutano grandemente il valore della donna: innanzitutto, essa era stata formata Ivi, p. 194. Ivi, p. 92, a. 2, p. 198. 65 Paolo, Efesini, 5, 22-24. 66 Cfr. Agostino, Della vera religione in Letture di filosofia, Torino, Soc. Ed. Internazionale, 1940, XLI, p. 94. 67 Paolo, I Cor., II, 7-8. 63 64 43 per essere sottomessa al dominio dell’uomo, come abbiamo visto finora; inoltre, in quanto “Altro” dall’uomo, non poteva essere “immagine di Dio”. Quest’ultimo punto non è una questione secondaria: in una società come quella ebraica o cristiana, in cui Dio è il vertice di tutto, essere sua immagine significa essere sorgente della dignità umana, quindi, dei diritti derivanti da tale dignità. Importante, a tale proposito, è la gerarchizzazione, classica in Paolo, relativa ai gradi di somiglianza con Dio: Dio, Cristo, l’uomo, la donna. Così: «l’uomo non deve coprirsi il capo, perché è immagine e riflesso di Dio; la donna invece è riflesso dell’uomo». Le argomentazioni dell’apostolo hanno avuto, come abbiamo visto, una notevole influenza in seguito, in particolare sui padri della Chiesa, Agostino e Tommaso. Il primo, a questo proposito, ritiene inizialmente, che il rapporto spirituale con Dio non sia diverso a seconda del sesso, poiché è la natura umana, in quanto tale, che è stata fatta a immagine di Dio, natura che comprende l’uno e l’altro sesso e perciò, quando si tratta di intendere l’immagine di Dio, non esclude la donna68. Il principio di somiglianza fra tutte le creature umane affonda le sue radici nella testimonianza della Genesi; si legge, infatti: «E Dio disse facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza […] Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò. Maschio e femmina li creò»69. Questo versetto suggerisce, sottolinea una contemporaneità nella creazione dell’uomo e della donna, entrambi somiglianti in immagine a Dio; tuttavia, nel passo successivo si rileva una contraddizione su questa affermazione: «Non è bene che l’uomo sia solo, gli farò un aiuto che sia simile a lui […] Allora il Signore Dio fece cadere un sonno profondo su Adamo che si addormentò. E mentre dormiva, Dio prese una delle sue costole, mettendo carne al suo posto; poi, con la costola tolta all’uomo, formò la donna e la condusse a Adamo. Questa, sì, è osso delle mie ossa e carne della mia carne! Questa sarà chiamata donna, perché è stata tratta dall’uomo»70. Tale contraddizione è di estrema importanza. Infatti, nel duale originario, della prima ipotesi, la differenza sessuale compare nelle due imCfr. Agostino, De Trinitate, Alba, Ed. Paoline, 1977, XII, 10, pp. 449-450. Genesi, l, 26-27. 70 Ivi, II, 18-23. 68 69 44 magini, allo stesso modo simili l’uno all’altra pur essendo differenti. Si individua un primo livello di somiglianza fondata in un trascendente che contiene ambedue i sessi, visto che ciascuno dei due è sua immagine; e un secondo livello, che si fonda sulla differenza originaria delle due creature sessuate: per essa le donne sono simili a Eva e gli uomini a Adamo. Questo livello è secondo in quanto dipende dal primo, ma è nel primo già contenuto. In questo primo passo della Genesi, dunque, la differenza sessuale ha origine nel trascendente, nella somiglianza con Dio, perciò nessuno dei due assimila l’altro a partire da sé71. Nel secondo passo, invece, la differenza fra l’uomo e la donna all’inizio non compare, non ha consistenza concettuale. Compare solo in un momento successivo, non rapportata però a Dio nel somigliargli, ma rapportata all’uomo che ha bisogno di una creatura simile a Lui. In questa seconda ipotesi, non solo la donna è simile all’uomo in quanto derivata dalla sua costola, e quindi in grado di godere dell’immagine di Dio solo in seconda istanza, ma anche il suo nome le è dato dall’uomo. L’essere maschile risulta così il detentore della parola nominante (immagine del verbo creatore). La donna, per parte sua, disporrà della parola ma non nominante, parola ripetitiva dei nomi imposti dall’uomo72 . «Allora il signore Dio formò dalla terra tutti gli animali della campagna e tutti gli uccelli del cielo e li condusse a Adamo per vedere con quale nome li avrebbe chiamati, poiché il nome che egli avrebbe loro imposto, sarebbe stato il loro nome»73. Questa seconda versione biblica è quella più frequentemente adottata nella tradizione cristiana; compare infatti in Paolo74, che sottolinea il fatto che la donna derivi dall’uomo, e in Agostino, il quale ritiene fondamentale che l’uomo sia stato creato unum ac singulum75, contrariamente agli animali. Tale versione, oltretutto, trova ulteriore conferma nella rappresentazione dell’incarnazione del divino: Gesù Cristo è, infatti, uomo. Il fatto che Dio abbia voluto incarnarsi in un corpo maschile, piuttosto Cfr. M. C. De Matteis, Introduzione in Id., Idee sulla donna nel medioevo, Bologna, Patron Editore, 1981, pp. 9-12. 72 A. Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, cit., pp. 6-69. 73 Genesi, II, 19. 74 Paolo, I Cor., 11, 8-12. 75 Cfr. Agostino, De Civitate Dei (trad. it. La città di Dio), Milano, Rusconi, 1984. 71 45 che in un corpo femminile, rappresenta una scelta che trova la sua giustificazione appunto nel secondo passo del libro della Genesi. Qui, l’unum ac singulum agostiniano si delinea come una creatura superiore fatta da Dio a Sua immagine e somiglianza e anche alla donna, in quanto creata da Dio simile all’uomo, si estende l’immagine divina. «Il referente diretto della donna, per il suo essere una simile fra i membri del genere umano, è l’uomo e non Dio»76. Con questi presupposti, subisce un deprezzamento anche il ruolo che la donna riveste nell’ambito della procreazione. Infatti, la funzione attiva in questo processo è una prerogativa indubbiamente maschile; la madre al contrario riveste esclusivamente un ruolo passivo. Tale differenza, tra il ruolo paterno e quello materno, trae origine dall’idea di imperfezione legata a quella di femminilità; imperfezione che riguarda in particolare la dimensione fisica, come abbiamo visto in Aristotele, perché, secondo Tommaso, la potenza generatrice della donna consiste solo nel preparare il sangue e renderlo atto a essere formato dal seme virile. In sostanza, quindi, lei non genera, ma si limita a ricevere questo seme, fornendo col suo sangue la materia per la crescita del feto. Tommaso illustra inoltre questa superiorità dell’uomo con un esempio di prassi artigianale: il padre agisce come un artigiano e si serve del seme come di un utensile, mentre la madre fornisce soltanto la materia77. In definitiva, se la donna opta per il matrimonio è per scegliere liberamente un padrone al quale sottomettersi totalmente: l’esercizio della libertà sfocia in tal modo nella rinunzia alla libertà, nella sua negazione. La sola libertà concessa alla donna è, dunque, quella di scegliersi un padrone, che eserciterà su di lei un potere servile78. 1.4.2. Dall’Umanesimo all’Illuminismo Il periodo che viene situato, con il nome di Umanesimo, alle soglie dell’età moderna è caratterizzato da una frenetica ricerca di modelli culturali desunti dallo studio e dalla rielaborazione più o meno originale del mondo classico. Questo fenomeno è molto più evidente nella letteratura gloA. Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, cit., p. 68. Cfr. T. D’Aquino, Summa Theologiae, cit., vol. XXV q. 32 a, 4, pp. 170-174. 78 Cfr. ivi, p. 195. 76 77 46 balmente intesa, tanto che gli interessi filologici si mischiano a problemi stilistici, ma anche di retorica e di filosofia, rendendo abbastanza uniforme il sapere all’interno della “comunità dei dotti”. In questo periodo l’umanista si sostituisce all’intellettuale79, contribuendo con il suo nuovo ruolo a una diversa e più ampia diffusione della cultura. Il retaggio greco e latino informa tutto il sapere colto e si preferisce lo studio e l’utilizzazione delle teorie platoniche a quelle aristoteliche che avevano trovato ampio consenso nella Scolastica, dopo la riproposta araba all’interno della latinità cristiana. In questo contesto sorge un cospicuo interesse verso la trattatistica, sull’esempio dei classici, la quale si affermerà, imponendosi, soprattutto nel Rinascimento. Uno dei filoni che la trattatistica, sia latina che volgare, predilesse fu quello che si occupava della donna. Come abbiamo avuto modo di vedere in precedenza, non solo la filosofia, ma la cultura “ufficiale” in genere aveva impresso sulla donna un marchio indelebile di inferiorità e di subalternità verso il maschio. Anche se voci di dissenso, intese a valorizzare il femminile, si erano levate in ambito medico80, giuridico, e filosofico stesso, tuttavia erano rimaste sepolte e inascoltate. All’interno della stessa Chiesa si era preferita la direttrice paolina che vedeva la donna sottomessa81 all’altra istanza egualitaria82 di Paolo che traeva la sua giustificazione dal messaggio originale di Cristo il quale promuove la donna con la sua grande rivoluzione ideologica proclaCfr. J. Le Goff, Gli intellettuali nel Medioevo, Milano, Mondadori, 1988, pp. 127168. 80 Cfr. a proposito la lucida nota di C. Colombrero, La tradizione scolastica, la medicina e le donne, in «Rivista filosofica», 18, 1980, pp. 485-495, che sottolinea da un lato il fondamentale contributo della letteratura medica alla rivalutazione della donna cui rivendica una dignità fisiologica pari a quella dell’uomo, dall’altro la giustificazione naturalistica fornita dalla medicina, in contrapposizione a quella teologica, alla tesi dell’inferiorità della donna. 81 «La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. Poiché non permetto alla donna d’insegnare, né di usare autorità sul marito, ma stia in silenzio»: Paolo, Timoteo 2, 11-15. Questa e altre analoghe affermazioni di Paolo sono state decisive per la definizione del ruolo della donna nel senso di una sua sottomissione all’uomo. Basti pensare alle sole riprese e agli sviluppi di Agostino, che influenzano e improntano a lungo la riflessione sull’argomento. Cfr. Agostino, De civitate Dei, XIV, 11, cit. 82 Cfr. Paolo, Galati, 3, 28, in Manetti D., Zulli S., (a cura di), I grandi libri della religione. La Bibbia. Nuovo Testamento, Milano, Mondadori, 2006: «non c’è né maschio né femmina». 79 47 mando l’uguaglianza dell’uomo e della donna dinanzi a Dio. Anche senza giungere agli eccessi di un Cristo femminista83, non si può non ammettere nel Vangelo un modello di donna che testimonia la promessa di salvezza, chiamata al pari dell’uomo ad ascoltare e seguire la parola di Dio84. Il discorso sulla donna giunge al Rinascimento da lontano, retaggio – trasmesso e filtrato dalla riflessione umanistica – di una tradizione millenaria che rielabora alcuni degli apporti fondamentali della cultura occidentale, biblica, greca, latina, cristiana, medioevale. Tradizione composita e intricata dove il discorso procede su diversi piani, talora intersecati, ma più spesso paralleli, intrecciandosi ai discorsi sull’amore, sulla fenomenologia amorosa e la bellezza, sul matrimonio, sulla famiglia e il governo della casa, sui comportamenti pubblici e privati, coinvolgendo generi letterari diversi, trattatistica, epica, lirica, narrativa, teatro e simultaneamente discipline diverse: filosofia, teologia, medicina, diritto e diversi ambiti delle arti figurative. I luoghi comuni, maturati da Platone e Aristotele in poi, vengono utilizzati in senso interdisciplinare per trasferire da una disciplina all’altra opinioni e conclusioni consolidate. Nella loro costante durata ad azione interdisciplinare, queste teorie per un verso alimentano una tradizione radicalmente misogina, per altro verso condizionano svariati esempi collegati nel tempo dal carattere paradossale di essere femminile capace sia di ogni vizio sia di ogni virtù. Infatti, l’esperienza umanistica e rinascimentale viene improntata e orientata anche da una linea fortemente rilevata di testi specifici sulla virtù delle donne che vanno da Plutarco a Boccaccio. In questa divaricazione Plutarco85 segna un’ulteriore svolta non solo per la divulgazione sistematica Cfr. L Swidler, Il Gesù dei Vangeli era femminista, in Aa.Vv., Crisi dell’antifemminismo, Milano, Mondadori, 1973, pp. 135-158. 84 «Chiunque fa la volontà di Dio, questi mi è fratello e sorella e madre»: Marco 3-35. 85 Cfr. K. Ziegler, Plutarco, trad. it., Brescia, Paideia, 1965; Plutarco, Sull’amore, Milano, Adelphi, 1986. Importanti sono nell’opera di Plutarco alcune posizioni, passate poi nell’Umanesimo-Rinascimento, che postulano nuovi parametri per riconsiderare il rapporto uomo-donna soprattutto riguardo al versante amoroso. Qui, accanto a una costante misogina da Plauto a Catone, da Giovenale ad Aulo Gellìo, per cui la donna è un male necessario (sul problema della misoginia e sulla topica misogina è fondamentale il volume Aa.Vv., Misoginia e Maschilismo in Grecia e Roma, Genova, Istituto di Filologia Classica e Medievale, 1981), in presenza di una legislazione romana che affida la donna alla tutela del maschio (cfr. B. Biondi, Il diritto romano, Bolo83 48 del principio stoico che attribuisce all’uomo e alla donna uguale capacità di praticare la virtù, ma anche il trattato specifico del Boccaccio intitolato De claris mulieribus86 (Delle donne illustri, secondo i volgarizzamenti cinquecenteschi), archetipo di una serie organica di enorme rilevanza e asse su cui si fondano direttamente o indirettamente tutti gli altri testi del genere87. In questi trattati vengono affrontati e risolti, spesso in favore della donna, argomenti tradizionalmente usati per condannarla a essere inferiore. La connotazione di impurità della donna88, il mestruo per esempio, che dalla tradizione giudaica, fino a Galeno e tutta la scolastica aveva fatto parte di ciò che essa aveva di più ripugnante sia dal punto di vista fisico che morale, viene trattata non come “bruttezza e immondizia”, ma “bellezza e delicatura”89. In questi trattati cinquecenteschi tutti gli argomenti tipici utilizzati in precedenza per avvalorare la inferiorità e la subordinazione della donna, sia etica che sociale, vengono presi in considerazione con l’intento preciso di ribaltare l’argomentazione e utilizzarli per dimostrare la superiorità della donna90. gna, Cappelli, 1957 e, in particolare, L. Peppe, Posizione giuridica e ruolo sociale della donna romana in età repubblicana, Milano, Giuffrè, 1984) troviamo, sorretta anche da una maggiore “libertà” delle donne romane rispetto alle donne greche, una corrente filogena. Contestualmente si sviluppa una precettistica amorosa ed erotica (Ovidio, Catullo Tibullo, Properzio) la quale, mentre fonda una topica amorosa analoga alla topica retorica, dove appunto la didattica dell’ars amandi ricalca e riproduce volutamente la didattica dell’ars dicendi, fissa un tipo di donna emancipata, libera, che rifiuta il ruolo passivo e afferma la sua individualità, che prende iniziative autonome (G. F. Capra, Della eccellenza e dignità delle donne, Roma, Bulzoni, 1988, p. 17). 86 G. Boccaccio, De mulieribus claris, a cura di V. Zaccaria, Milano, Mondadori, 1970 (vol. X di Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca), pp. 455-459 e 478-480. 87 Cfr. M. L. Doglio, Introduzione, in G. F. Capra, Della eccellenza e dignità delle donne, cit., pp. 5-53. 88 Sul concetto di impurità della donna, cfr. P. Sacchi, Storia del mondo giudaico, Torino, SEI, 1976, p. 306 (con l’elenco dei rimandi). 89 Cfr. M. L. Doglio, Introduzione, in G. F. Capra, Della eccellenza e dignità delle donne, cit., p. 36. 90 Cfr. F. Daenens, Superiore perché inferiore: il paradosso della superiorità della donna in alcuni trattati del Cinquecento, in Aa.Vv., Trasgressione tragica e norma domestica. Esemplari di tipologie femminili della letteratura europea, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1983, pp. 11-33. 49 Una immagine colpisce in particolar modo i trattatisti che può considerarsi come la novità precipua di questo periodo nel quadro del “problema donna” ed è quella della donna che affida alla scrittura, nei canoni dell’epistola, l’inquietudine angosciosa della lontananza dell’amato, le frustrazioni dell’attesa, il tarlo della gelosia, la disperazione dell’abbandono, il suo stesso modo di essere donna. Questo, oltre a consegnarla alla più tarda posterità, le permette di raggiungere un’autonoma dignità intellettuale. Tuttavia lontana dai canoni maschili della filosofia91. La filosofia dominante in questo periodo è fondamentalmente antropocentrica, anche in presenza di istanze innovatrici e rivoluzionarie come quelle di Copernico e Galileo, tendenti a scardinare l’impianto cosmologico aristotelico-tolemaico, ma anche a mettere in discussione la prospettiva dell’uomo al centro dell’universo. Montaigne, la cui riflessione si colloca in questo momento di profondi rivolgimenti, può dirsi testimone per eccellenza della crisi dei valori e del sistema di conoscenze filosofiche e scientifiche. La sua critica serrata a una morale stoica e lo scetticismo derivato dalla sua concezione della natura umana, inconoscibile per il filosofo, lo portano a combattere l’universalità, la centralità e la grandezza dell’uomo, proponendo una morale mondana e un metodo di introspezione per una reale conoscenza dell’uomo. In questa prospettiva anche la donna viene guardata in modo nuovo, tuttavia non tanto da innescare un processo veramente innovativo. La concezione della donna tra il ’500 e il ’600 si dibatteva tra le teorie platonico-cristiane che, come abbiamo potuto osservare, erano penalizzanti e ampiamente diffuse e tra i molti fermenti innovativi, soprattutto in riferimento ad alcuni concetti che assumevano allora significati nuovi e più liberali. Se Marsilio Ficino non si può dire, per quanto riguarda il concetto “donna”, difforme dalle posizioni platonico-cristiane, Pico della Mirandola, nella sua Oratio de hominis dignitate, ribadisce sostanzialmente un antropocentrismo culturale diffuso e imperante. Importante, ai fini del presente lavoro, è considerare la semantica con la quale in questo periodo si indicano i concetti di “corpo” o di “amore”. Il Concilio di Trento, pur continuando a persistere nella concezione della donna tentatrice, tuttavia, rispetto al concetto di “concupiscenza” Cfr. G. A. Roggerone, Idealità e assenza della donna nella filosofia medievale, in Id., Donne in filosofia, cit., pp. 34 e 47. 91 50 di Tommaso d’Aquino, nella Sessione V del 17 giugno 1546, codifica la concupiscenza come non un peccato vero e proprio, ma “fomite”92 del peccato. Mentre in letteratura si assiste a una rivalutazione di ambiti che coinvolgono l’amore e il corpo, in presenza anche di una morale edonistica che in qualche maniera tenta di rivalutare, non soltanto in prospettiva strumentale, la donna e una grossa fetta della sua femminilità, in filosofia gli spazi riservati alla donna sono quasi nulli. Pensiamo a Erasmo da Rotterdam, per esempio, il quale nel 1511 pubblica a Parigi lo scanzonato e profondo Encomion Morias (Elogio della Follia), salutato da Huizinga come l’unica opera di Erasmo destinata all’immortalità «perché questa mente diventava veramente profonda solo quando lo spirito la illuminava»93. Sebbene Erasmo sia da inserire in un filone di pensiero platonico, tuttavia riprende il concetto della donna che cerca il maschio, postulando che l’intrattenimento è il compito essenziale della donna che deve divertire, distrarre e distendere l’uomo ed ha tanto più valore, quanto più spensierata e aggraziata, quanto più vicina alla natura riesce a essere94. Un diverso trattamento invece aveva riservato la Riforma protestante alla figura femminile, soprattutto permettendo di fatto alle donne di svolgere il ministero e ai ministri della chiesa di sposarsi. I secoli XV, XVI e XVII sostanzialmente hanno riconfermato il concetto di razionalità sessuata al maschile, al centro della quale c’è l’uomo che in maniera autoreferenziale pensa a se stesso. Quando Cartesio pensa il suo “cogito ergo sum” è l’uomo che pensa a se stesso e questo pensarsi determina la sua esistenza: è la sostanza pensante, non solo, è la sostanza pensante che fa ritorno su se stessa e chiude il cerchio della sua soggettività95. Una volta che l’identificazione primaria si sia realizzata, almeno nel movimento dell’enunciazione, allora non solo è posta la possibilità di esistenza del soggetto in quanto tale, ma insieme è posta anche quella che Termine oggi desueto usato per indicare la “causa primaria, radice, ragione primaria, stimolo”, spesso usato in ambito religioso, associato al peccato o a una passione. 93 Cfr. J. Huizinga, Erasmus of Ratterdam, London, III ed. 1952, (1a edizione 1924. Trad. it. Erasmo, Torino, Einaudi, 1941). 94 Cfr. Erasmo Da Rotterdam, Elogio della follia, Milano, BUR Rizzoli, 1989, pp. 87-89. 95 Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., p. 170. 92 51 egli si rifletta come ciò che si dà la sua condizione di essere. Solipsismo autoaffettivo di autoattribuzione, della rappresentazione che elabora il suo sogno di potenza in solitudine appartata, indifferente, almeno per un certo tempo, al resto della storia la quale continua a svolgersi. Egli si è ben guardato dal supporre che qualche altro “io” possa pure dubitare. Si è solo chiesto se l’Altro non trovi un piacere “maligno” a farlo dubitare di tutto in presenza di una generalizzazione per fondare ogni certezza per cui essa ricorre al dubbio iperbolico, all’interrogazione sistematica di tutto96. In piena età de Lumi, J. J. Rousseau scrive e pubblica l’Emile, un’opera per certi versi geniale, scritta per l’educazione dei figli della borghesia97. In passato Locke, Fénelon, Montaigne, si erano occupati di problemi di pedagogia, ma la loro attenzione era rivolta soprattutto a formare l’aristocratico. L’opera di Rousseau, che a buon diritto può vantare tanti pregi, contiene alcuni passaggi che la rendono retrograda. Un aspetto sul quale il filosofo non è all’avanguardia del suo tempo è la sua teoria dell’educazione femminile. Fénelon dichiarava che: «l’ignoranza di una fanciulla fa sì che essa si annoi e non sappia in che cosa occuparsi innocentemente», ma dice anche: «Mantenete le fanciulle nei limiti consueti e insegnate loro che deve esservi per il loro sesso un riserbo verso la scienza quasi altrettanto delicato di quello ispirato dall’orrore del vizio»98. Rousseau non è più a questo punto. È chiaro che non si possono accettare in nessun modo le sue considerazioni sull’inferiorità intellettuale della donna. Il grande torto che egli fa a Sophie è di educarla non per se stessa, ma per il piacere di Emile. «Innanzitutto dalla buona costituzione delle madri dipende quella dei figli; dalla cura delle donne dipende la prima educazione degli uomini; dalle donne inoltre dipendono i loro costumi, le loro passioni, le Ivi, p. 171. Per un approccio ai problemi relativi all’educazione nell’Illuminismo, cfr. G. A. Roggerone, Figure e problemi dell’Età dei Lumi, Lecce, Milella, 1986; S. Moravia. Il tramonto dell’Illuminismo. Filosofia e politica nella società francese (1770-1810), Bari, Laterza, 1986. 98 Cfr. J. L. Lecercle, Introduzione, in J. J. Rousseau, Emile, Roma, Editori Riuniti, 1983, p. 31. 96 97 52 loro inclinazioni, i loro piaceri, la loro stessa felicità. Tutta l’educazione femminile deve essere quindi considerata in rapporto agli uomini. Piacergli, essergli utili, farsene amare e onorare, allevarli piccini, curarli da grandi, consigliarli, consolarli, rendere la loro vita piacevole e dolce: ecco i doveri delle donne di tutti i tempi, ecco ciò che si deve insegnar loro fin dall’infanzia»99. Ogni commento ci sembra superfluo100. Rousseau consacra in tal modo l’inferiorità della donna che la Rivoluzione francese non ha minimamente attenuato e che il codice napoleonico ha fatto perdurare fino ai giorni nostri. Pure sotto l’Ancien Règime furono molte le donne colte101, soprattutto quelle che diedero lustro ai salotti, dall’Hotel de Rambouillet fino al salotto di madame Necker. Alcune di loro, per esempio madame di Scudèry in Le Grand Cyrus, auspicarono caldamente l’istruzione del loro sesso. In questi ambienti mondani esisteva fin dall’epoca del preziosismo tutta una corrente femminista che rivendicava nelle forme più svariate l’emancipazione delle donne. Questa corrente rimase, però, limitata alle classi superiori. In Francia, con queste e altre istanze femministe, (come quelle di Olimpia de Gouges finita sulla ghigliottina); in Inghilterra con Mary Wollstonecraft102 che a buon diritto può esser considerata la prima sostenitrice del femminismo; negli Stati Uniti del 1776 con Abigail Adams, moglie del futuro presidente ispiratrice di “un’attenzione speciale” per le donne nella nascente Costituzione, in mancanza della quale le donne erano “decise a fomentare una ribellione”103; in Italia, ma soltanto qualche tempo più tardi, con Anna Maria Mozzoni, dall’800 in poi si delinea una tendenza che imporrà alla riflessione una crescente affermazione del pensiero femminile. Cfr. J. J. Rousseau, Emile, cit., LXXVII, pp. 201-202. Cfr. G. A Roggerone, Rousseau e le donne, in Id., Studi su Rousseau, Lecce, Milella, 1969, pp. 9-28. 101 Cfr. G. A. Roggerone, Cultura donne e filosofia dal Rinascimento a oggi, in Aa.Vv., Donne in filosofia, cit., pp. 49-62. 102 Cfr. M. Diurisi, Mary Wollstonecraft e la rivendicazione dei diritti della donna, Lecce, Messapica, 1975. 103 Cfr. M. T. Garutti Bellenzier, Per un “ far memoria” della questione femminile, in Aa.Vv., La donna nella Chiesa e nella società, Roma, An. Veritas Editrice, 1988. 99 100 53 1.4.3. Kant: l’“Io penso” e la coscienza dell’altro Il pensiero occidentale, lungo il percorso della sua costruzione, ha registrato in vari modi la finitezza che la creatura pensante, in quanto tale, porta in sé, tuttavia si è dimostrato incredibilmente cieco rispetto alla finitezza della differenza sessuale. Infatti si è costruito l’uomo universale neutro, accogliendo in questo concetto l’esser uomo e l’esser donna intesi come due casi ininfluenti per la tenuta del concetto stesso. Per questo si registra nella riflessione l’atteggiamento per cui l’essere uomo o l’essere donna, l’esistere come necessariamente sessuato, è piuttosto un accidente. Infatti la filosofia predica l’essenza dell’universale uomo e poi prende anche in considerazione gli accidenti temporali. Fra questi ultimi pare rientri il caso di nascere uomo oppure donna, questo secondo indubbiamente un caso sfortunato. Una conseguenza di ciò porta a non pensare la differenza sessuale, poiché uno dei due sessi viene assunto a universale, senza che mai ciò che si pone come originario differire nel sesso che ciascuno si porta nella carne, come il vivere e il morire, diventi tema d’indagine intorno al vero. Pensare la differenza sessuale a partire dall’universale uomo significa pensarla come già pensata, ossia pensarla attraverso le categorie di un pensiero che si regge sul non pensamento della differenza stessa. Per definire il “soggetto donna” bisogna percorrere una strada differente. Un soggetto infatti può dirsi tale a partire da sé e non a partire da un neutro che è l’universalizzazione che l’altro fa di sé, proponendosi però non già come l’altro, ma come il tutto104. L’uomo allora, “fonte” di identificazione, risulta, come abbiamo osservato, il garante di una produzione ideologica e, contemporaneamente, del suo modello culturale e sociale. Esso si ritrova e si riconosce come il “particolare” della sua universalizzazione. Alla donna capita invece di trovarsi solamente come particolare, come l’altro finito, compreso nel neutro-universale uomo. Per tale motivo il soggetto, nell’atto di “conoscere”, trova fuori di sé e opposto a sé non soltanto il mondo da conoscere, ma se stesso nell’altro sesso che viene posto esclusivamente come ri-conoscibile all’interno dell’identico. 104 54 Cfr. A. Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, cit., pp. 45-49. Costruzione teorica, questa, ravvisabile specie in Kant, che porta a completa maturazione i problemi dell’Illuminismo e sembra compendiare, nella sua opera, il lungo e faticoso cammino di tutta la filosofia moderna. Ma ciò si trova anche in Hegel in cui l’universale sessuato al maschile raggiunge il massimo compimento. La nostra indagine su Kant e sul pensiero relativo all’essere femminile si muove dalla considerazione della formazione filosofica kantiana e dalla influenza che l’empirismo inglese possa aver esercitato sulla impostazione del suo criticismo. Questa influenza si è, tuttavia, innestata sull’indirizzo che ha costituito la struttura fondamentale della filosofia kantiana, indirizzo che è quello dell’Illuminismo wolfiano105. Wolf e i suoi numerosi seguaci tedeschi realizzano l’ideale illuministico del metodo della ragione fondante, la quale procede mostrando a ogni passo il fondamento dei suoi concetti nella loro possibilità. La coincidenza tra fondamento e possibilità è la caratteristica di questo metodo, il quale pertanto ritiene fondato (cioè giustificato) un concetto quando se ne possa dimostrare la possibilità, cioè la mancanza di contraddizioni interiori. Si capisce come già da queste premesse la donna, intesa come accidente storico, non abbia possibilità di essere “fondata” perché solo la razionalità dell’identicouomo non ha contraddizioni interne ed è dotata di essenza. Con Kant questa posizione diventa più radicale quando egli riconosce chiaramente che una possibilità non è tale in virtù della semplice assenza di contraddizione logica. «Ogni possibilità cade non solo quando vi si trovi una contraddizione intrinseca, che è l’aspetto logico dell’impossibilità, ma anche quando non vi è da pensare un materiale, un dato»106. È chiaro che, sebbene l’esperienza dica che la donna materialmente esiste, come dato differenziato non ha dignità di esistenza propria. È possibile verificare questa posizione vagliando ciò che Kant considera filosofia, ritenuta essenzialmente ragione critica, capace cioè di delimitare in modo autonomo i suoi confini; mentre la ragione si riconosce come organo autonomo ed efficace per la guida della condotta umana nel mondo, Cfr. N. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. II, Torino, UTET, 1982, pp. 460477; anche N. Merker, L’illuminismo tedesco, Bari, Laterza, 1968. 106 E Kant, Unico argomento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio (1763), I 2, in Scritti precritici, a cura di P. Carabellese, rivista da R. Assunto e R. Hohenemser, Bari, Laterza, 1953. 105 55 ma non un’attività infinita e onnipotente che non abbia limiti né condizioni. Ragione che pensa se stessa, che si assegna dei confini, magari di volta in volta diversi, approfittando del fatto che la verifica del suo operato si riconduca al giudizio di un tribunale costituito dalla ragione stessa. È il trionfo dell’identico nella sua sfera autoreferenziale che si costituisce come mondo unico possibile in quanto unico mondo reale. Il momento decisivo della filosofia kantiana si enuclea nella Critica della ragione pura, nella prima parte della quale, con la definizione di Estetica trascendentale, il filosofo esamina la conoscenza empirica. Pone quindi la distinzione fra “sensibilità” fondata sulla ricettività del soggetto (la quale ha come suo oggetto i “fenomeni” e all’interno di essi le modalità del femminile, che non sono in se stesse in quanto individui, ma come appaiono al soggetto) e “intelletto” che costituisce una facoltà con cui il soggetto si rappresenta gli oggetti che il senso non può cogliere e che quindi sono designabili come “noumeno”107. Il fenomeno, oggetto di conoscenza, non è l’essere in sé. Tuttavia il fenomeno non è apparenza illusoria; è un oggetto e un oggetto reale, ma reale soltanto nel rapporto col soggetto conoscente, cioè con l’uomo. La cosiddetta rivoluzione copernicana di Kant dà il senso della raggiunta significazione del mondo e, quindi, anche della donna resa possibile come esperienza sensibile e non di più, poiché gli oggetti stessi sono possibili in quanto fenomeni che si modellano sulle condizioni trascendentali dell’esperienza. Si ripropone, a un diverso livello in Kant, ciò che Aristotele aveva posto come fondante l’essenza umana-maschile, cioè la superiorità della forma sulla materia. Nella sua teoria della conoscenza Kant parte dall’assunto che ogni nostra conoscenza comincia con l’esperienza, ma può darsi che non derivi tutta dall’esperienza e che sia un composto delle impressioni che derivano dall’esperienza e di ciò che vi aggiunge la nostra facoltà di conoscere, da esse stimolata. In tal caso bisogna distinguere nella conoscenza una materia, costituita dalle impressioni sensibili (tra cui anche le modalità del femminile), e una forma costituita dall’ordine e dall’unità che la nostra facoltà conoscitiva dà a tale materia. La critica della ragion pura, cioè il compito della filosofia e della ragione, ha come sua finalità precipua quella di raggiungere e realizzare la possibilità fondante Cfr. E. Kant, Critica della ragion pura, trad. it., Bari, Latenza, 1924, vol. I, pp. 9094. 107 56 della scienza, dell’autentico sapere umano. È chiaro che questa possibilità non può essere riconosciuta nella materia della conoscenza, costituita dal molteplice disordinato e amorfo delle impressioni sensibili; deve essere riconosciuta, dunque, nella forma della conoscenza, cioè negli elementi o funzioni a priori, che danno ordine e unità a quelle impressioni. In questa lucida teorizzazione Kant porta alle estreme conseguenze, attraverso strumenti della riflessione molto più raffinati di quelli di Aristotele, il costante impegno della filosofia occidentale di espungere dal suo interno qualsiasi elemento che si connotasse come “altro”. Soprattutto attenta ed efficace è stata questa opera quando l’altro si è presentato come “altro femminile”, per cui il processo della sua espulsione dall’interno dell’universale neutro maschile ha subito una raffinata trasformazione: si è attestata storicamente nell’atteggiamento di ignorare il femminile, mentre filosoficamente è stato negato nella sua precipua essenza di essere sessuato al femminile108. Compare nell’opera di Kant un altro elemento importante ai fini della nostra ricerca: l’idealità dello spazio e del tempo: concepiti come intuizioni pure, proprie del soggetto, in una dimensione aprioristica, attraverso le quali il soggetto ordina le sensazioni che riceve dal mondo degli oggetti. Un universo viene quindi costruito ed elaborato a misura d’uomo. Il tempo non è altro che la condizione per cui tutte le intuizioni possono accadere nell’universale neutro maschile, e non è nulla in se stesso, fuori dal soggetto. «Ciò nonostante rispetto a tutti i fenomeni […] che si possono presentare nell’esperienza, esso è necessariamente oggettivo»109. Queste osservazioni di Kant sulla validità oggettiva del tempo rispetto a tutte le forme oggettuali, gli consentono di trarre il concetto di idealità trascendentale del tempo. Secondo il filosofo, appunto, il tempo non è nulla, dove si prescinda dalle condizioni soggettive, non può essere, quindi, né sussistente, né inerente agli oggetti in se stessi110. La conoscenza che Kant fa partire dall’estetica trascendentale, sta nella conoscenza dell’Altro, come abbiamo visto, così come viene percepito dal soggetto. Essa dunque rappresenta gli oggetti non come sono in se stessi, ma come Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., pp. 189-198. E. Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 76. 110 Cfr. ivi, p. 77. 108 109 57 risultano nella loro relazione con il soggetto che se li rappresenta, secondo le sue forme dello spazio e del tempo. L’Altro, in questo movimento di conoscenza, viene concepito come cosa, fenomeno, e la possibilità di conoscerlo come oggetto, ove si tratti di una persona, è esclusa dallo stesso carattere rigidamente oggettivante della conoscenza. Dunque l’Io non può conoscere l’Altro come realtà in sé111. Ciò spiega, secondo Kant, il fatto che assuma l’Io, di fatto, come cosa e mezzo. Evidentemente ciò che conta non è l’esistenza dell’oggetto (in quanto tale esso è indifferente), quanto piuttosto l’effetto della sua rappresentazione sul soggetto. L’Io entra in rapporto con le cose prima di prendere coscienza di sé. Ma questo primo tempo della conoscenza viene dimenticato nella arrogante pretesa di determinare sovranamente il tutto. L’esperienza pertanto ci dà l’oggetto, ma è l’intelletto che fornisce il pensiero su di esse. Così all’estetica trascendentale, segue una logica trascendentale112 . È questa la prima operazione per passare dalla sensazione alla conoscenza; la quale originerà poi uno schematismo di concetti (categorie) che non renderà mai al sensibile quanto gli è dovuto. Quello che viene concesso alla natura le viene, quindi, subito tolto imperativamente e, ritiene Luce Irigaray, sarà servito soltanto a stabilire più fermamente il dominio su di essa. La funzione dello schema trascendentale è, di conseguenza, quella di mettere in negativo la particolarità del sensibile, che non tornerà più a essere tale. L’Altro, così, privato della sua diversità sperimentale, otterrà ora l’elaborazione del concetto di oggetto113. L’intera gamma di rappresentazioni del femminile, confluiscono e ritornano infine nella unità trascendentale dell’autocoscienza: il cosiddetto Io penso. Il quale, solo in quanto comprende in una autocoscienza la molteplicità delle rappresentazioni delle coscienze empiriche, è in essere. Se non potesse compiere questo atto, si avrebbero tanti Io differenti e variopinti quante le rappresentazioni delle quali avrebbe di volta in volta coscienza114. È dunque nell’azione del condurre il diverso verso l’unità che si attua e si manifesta (prende cioè coscienza di sé) l’unità stessa dell’Io. Questa Cfr. P. Salvucci, L’uomo di Kant, Urbino, Argalia Editore, 1975, pp. 302-303. Cfr. E. Kant, Critica della ragion pura, cit., pp. 101 ss. 113 Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., p. 193. 114 Cfr. E. Kant, Critica della ragion pura, cit., pp. 129-132. 111 112 58 attività di sintesi unitaria del diverso consente al soggetto di rappresentare a sé l’identità della coscienza nel variare delle sue rappresentazioni speculari115. Dall’affermarsi di questo tipo di filosofia, lo stesso essere della donna risulta consistere in una estraniazione. «Non solo essa si pensa pensata, ma appunto nel “suo pensarsi” è già da sempre pensata, rinchiusa e costretta in concetti estranei. In tale pensarsi essa produce tuttavia una estraneazione in atto che la differenzia essenzialmente dall’altro sesso. Pur se tale differenza essenziale può apparire come una miseria, poiché il consistere nella straniazione è tradizionalmente un negativo, tuttavia è singolare il fatto che di essa la filosofia non faccia menzione. Quasi un riguardo “pietoso” per la sfortuna di chi nasce donna»116. 1.4.4. Hegel e l’autocoscienza Una delle maniere pratiche per risolvere il problema del soggetto umano che non è uno ma due, è stata individuata dalla filosofia occidentale nella subordinazione di un sesso all’altro. In Hegel è ravvisabile la ricerca della soluzione teorica al problema utilizzando la soluzione pratica descritta dallo stato di soggezione del sesso femminile. Con il filosofo di Jena il discorso dimostrativo, da astraente e deduttivo, qual era nel pensiero classico, si è fatto mediatore e dialettico per poter comprendere il reale fino alla sua concreta singolarità e proprio grazie alla sua tesi che la sostanza è soggetto, è possibile individuare alcuni termini che consentono di formulare la questione della differenza sessuale. La politica, infatti, che ha connotato il femminismo porta un nome inequivocabilmente hegeliano: pratica dell’autocoscienza. Per Hegel, la ragione della differenza sessuale ha significato solo nella famiglia, poiché al di fuori di essa la conoscenza “non progredisce”117 scrive il filosofo. Cioè, quando il soggetto mira all’universale fuori della sfera familiare occupandosi di politica, economia, Cfr. P. Salvucci, L’uomo di Kant, cit., pp. 230-235. A. Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, cit., p. 55. 117 Cfr. G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, trad. it. di B. Croce, Bari, Laterza, 1980, voll. 2. 115 116 59 ecc., la differenza sessuale di fatto non ha significato. Di ciò, però, ci viene fornita solo una articolata osservazione, non certo la ragione. Nella Fenomenologia118 Hegel argomenta, cercando di dare una risposta al problema, che l’uomo supera il dato naturale del suo essere uomo/ donna (che è un caso naturale dovuto alla nascita) in virtù della famiglia, dove i due sessi che sono il soggetto umano si dividono la differenza della “sostanza etica”: la donna assume su di sé la legge divina e l’uomo quella umana. Dalla dialettica di questi elementi si costituiscono appunto i rapporti tra moglie-marito, genitori-figli, fratello-sorella. Un problema ulteriore si pone quando bisogna spiegare come riesce la famiglia a dare luogo alla vita sociale e culturale, uscendo fuori da sé. Nel suo processo autoriproduttivo, infatti, la famiglia genera al suo interno esseri umani segnati dalla differenza sessuale. Tuttavia questa differenza si ripresenta in una coppia, fratello-sorella, che non essendo ordinata alla procreazione, si presenta nella forma più alta di relazione sessuale aliena da subordinazione di un sesso all’altro e di entrambi alla natura119. In questo Hegel ravvisa l’ulteriore aprirsi della famiglia al progresso spirituale. «Questa relazione (fratello-sorella)» scrive Hegel «è il limite raggiunto il quale si risolve la famiglia in sé conchiusa, procedendo oltre se stessa. Il fratello è il lato secondo cui lo spirito della famiglia diventa individualità che si volge verso altro e passa nella coscienza dell’universalità». L’ingiusto esito unilaterale di questa soluzione, secondo il filosofo, è ordinato a una superiore giustizia, tuttavia, non apprezzata dalla sorella che, per il fatto che resti in famiglia e diventando moglie, non riesce a comprendere i fini universali della comunità sociale, perché resta legata al particolare. Da ciò deriverebbe il suo atteggiamento irrisorio e irriverente verso la società che nei suoi confronti attua, giustificandola, forme di oppressione sociale. Evidentemente Hegel descrive e motiva come rispondente alla ragione, non inventa, l’oppressione che la società attua nei confronti del sesso femminile con una modalità che si autoriproduce. Questo gli consente di argomentare come femminile e maschile siano ugualmente essenziali, Cfr. G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, trad. it. di E. De Negri, Firenze, La Nuova Italia, 1973. 119 Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., pp. 119-209. 118 60 però non possono sussistere l’uno accanto all’altro perché il loro sussistere diversi e ugualmente essenziali contraddice l’unità del pensiero che si pensa. Come tali perciò tramontano. Così si ripresentano nell’unità del pensiero: il maschile come il lato che, consapevole della sua unilateralità, l’ha superata, il femminile come il lato che resta nell’immediatezza ed è tenuto all’obbedienza120. Secondo l’interpretazione delle autrici di Diotima, la teoria hegeliana della differenza sessuale lascia senza soluzione razionale due problemi. Il primo, di cui lo stesso Hegel aveva avuto sentore, è l’inevitabile oppressione cui si trova sottoposta la donna all’interno della famiglia. Infatti, quando la donna da sorella diventa moglie, perde nei confronti del marito la libertà spirituale di cui aveva goduto nei confronti del fratello. Sembra assurdo che il progresso spirituale debba procurare un simile effetto di perdita della libertà121. Il secondo problema, non avvertito da Hegel probabilmente per motivi di scarsa evidenza sociale122 , è la contraddizione in cui si trova la donna che esce dalla famiglia ed entra nella comunità politica o scientifica. Per entrare in questa dimensione estranea alla famiglia, secondo il filosofo, bisogna che il singolo assuma un carattere virile. Questo però è un processo in cui il soggetto maschile perde il suo sesso particolare per ritrovarlo nell’universale, mentre il soggetto femminile perde il suo e non lo ritrova, entrando così in contraddizione con il fatto di essere donna123. Nella filosofia hegeliana è possibile riscontrare elementi fondanti di derivazione aristotelica, volti ad argomentare il discorso sulla differenza sessuale. La consumazione del reale è possibile, secondo Hegel, solo attraverso il movimento dello spirito, essenza soggettiva (maschile), all’interno della molteplicità, verso la comprensione della totalità del reale. Totalità che, divenuta cosciente di sé, ha realizzato l’ambita meta divenendo autocoscienza. Questa si specifica nel suo rapporto con l’oggetto, del quale essa sperimenta l’estraneazione; coglie, cioè, nella materia sensibile, così come l’ha determinata l’intelletto con le sue categorie (concettuali), ciò che ha Cfr. C. Zamboni, G. Zanardo, La differenza sessuale: da scoprire e da produrre, in Aa.Vv., Diotima, cit., pp. 10-14. 121 Ivi, p. 13. 122 Ivi, p. 14. 123 Ibidem. 120 61 rapporto con il suo appetito, sicché l’oggetto rispecchia la coscienza tutta estranea a se stessa nel desiderio di appagamento124. «L’oggettualità, la materia […] è dunque l’astratta e indeterminata riflessione in Altro»125. Come uno specchio, l’Essere-coscienza-di-sé, riflette la propria immagine sull’oggetto percependo la sua oggettività, divenuta Altro. Uscita fuori di sé, dopo aver esperito la oggettualità esterna, il concetto ritorna al principio: l’immagine speculare ritorna a colui che si riflette126. La femminilità si ritrova, in questo modo, a essere mediazione effettiva ed esterna, volta a riconciliare il soggetto con se stesso. Ma il processo non si esaurisce qui: il continuo movimento dell’essere conduce il maschile verso il femminile, il soggetto verso la sua oggettualità esterna, e viceversa, in una perpetua copula priva di desiderio. Attraverso la mediazione dell’Altro, il soggetto si realizza concretamente come genere: «il genere si produce in esso come un effetto contrario alla sproporzione della sua realtà individuale, come un desiderio di ritrovare, unendosi a un altro individuo della sua specie, il sentimento di sé, di completarsi e di calare in tale modo il genere entro la sua natura portandolo all’esistenza. Questo è l’accoppiamento»127. Per un istante maschio e femmina si riconoscono in un medesimo sé. Istante in cui lei, in quanto madre-materia (eredità aristotelica) manca, però, di un proprio riconoscimento che può derivarle soltanto dall’altro; l’elemento maschile è così investito di un valore privo di reciprocità. La stesso Hegel, come abbiamo già avuto modo di osservare, conferma che affinché si realizzi tale mediazione è necessario che vi sia differenziazione fra i sessi. «Conseguenza di tale differenziazione è che l’uomo è il principio attivo, mentre la donna è il principio passivo, poiché permane nella propria unità non sviluppata»128. È evidente, qui, la vitale sopravvivenza delle idee aristoteliche; per cui nella coppia uno è attivo, l’altro è passivo e, naturalmente, la parte passiva viene affidata alla donna anche quando per un momento, nella coppia Cfr. G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., vol. I, p. 159. G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, cit., vol. I, p. 123. 126 Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., pp. 12-14. 127 G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, cit., vol. II, p. 337. 128 Ivi, p. 336. 124 125 62 fratello-sorella, sembra che la purezza di questo rapporto paritario fondi una fondamentale uguaglianza di ruoli. Ma dura solo un momento129. La differenza dei sessi proposta da Hegel appare, dunque, come diversità dei ruoli che la società produce e tramanda come stereotipi: al maschio si riconosce la necessità di agire, il diritto di praticare attività vietate alle donne; alla femmina è riconosciuta solo la “necessità” di essere e adempiere alla sua funzione sociale nella procreazione130. Questa contrapposizione dei ruoli rappresenta uno dei motivi di base della diversità fra i sessi. Diversità che ha sede nell’uomo medesimo il quale, ponendosi aprioristicamente come universale, ammette successivamente se stesso come uno dei due sessi nei quali l’universale si specifica. «Se la filosofia è stata finora e sempre, fin dalle origini greche, costruzione del luogo del Medesimo (il sé), a cui ogni alterità è stata ricondotta in nome di una relazione impersonale in un ordine universale»131, qui, in Hegel e in Kant, «gli esseri, nella loro concretezza, nella loro umana finitezza e nella differenza sessuale che li affetta, sono stati ricondotti al neutro dell’Idea, dell’Essere e del Concetto»132 . 1.5. Al principio del III millennio 1.5.1. La liberazione della donna. Genesi e sviluppo di un’idea Acquista per noi un fascino particolare la prospettiva secondo cui è possibile “leggere” la storia avendo come filo conduttore non solo le idee che si sono prodotte per connotare la donna, ma anche ciò che essa stessa ha prodotto nel corso dei secoli per scrollarsi di dosso il pesante giogo del maschio. Secondo questa ottica è possibile individuare un “filo rosso” che attraversa tutta la storia dell’umanità e che lega le vicende e le semantiche che hanno visto le donne impegnate nel proprio processo di emancipaCfr. Aa.Vv., Diotima, cit., p. 11. Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., p. 12. 131 W. Tommasi, La tentazione del neutro, in Aa.Vv., Diotima, cit., p. 96. 132 Ivi, p. 96. 129 130 63 zione. Senza con questo voler individuare necessariamente costanti della storia, proposte da alcuni settori della ricerca133. Varie sono le teorie tendenti a collocare storicamente i primi sforzi delle donne nell’intento di riacquisire quella dignità e quella singolarità legata al semplice fatto di essere differenti, ma sempre negata. La teoria di Bachofen134, basata più su congetture che su una effettiva documentazione, pone come originario il dominio delle donne inteso come diritto materno (Mutterrecht) correlato al sistema familiare e alla religione. Egli colloca la prima forma di vita sociale in un periodo di promiscuità in cui l’umanità era governata da un principio materialista arbitrario. La lussuria e la tirannia sessuale dei maschi era esercitata sulle donne, a cui veniva riconosciuta solo la maternità. Secondo Bachofen, le donne cominciarono a lottare per liberarsi da questa violenza e ci riuscirono grazie al principio religioso secondo cui «la fecondità della terra e la fecondità della donna sono equiparate l’una all’altra»135 e perché «la religione è la leva più efficace di tutta la storia della civiltà»136. In seguito a questo nuovo ordine, caratterizzato dal predominio del diritto materno, o ginecocrazia, acquistano valore le divinità femminili e sono le donne che fondano le famiglie, assumendo gradualmente le caratteristiche di amazzoni. Tuttavia questo regno ginecocratico si fonda su un principio religioso inferiore: il legame tra madre e figlio, simboleggiato dalla Madre Terra. Gli uomini si prodigano, allora, con vari mezzi per scalzare questo predominio cercando di adeguarsi al principio femminile, cioè sostanzialmente fingendo di essere madri, imitando i sintomi della maternità. Col tempo riescono quindi a imporre un nuovo principio fondato sullo spiIntendiamo riferirci alla particolare concezione secondo cui la storia sarebbe caratterizzata da costanti dell’utopia rivoluzionaria che improntano il “progetto della storia”. Cfr. A. Colombo, Il destino del filosofo, cit.; Id., Le società del futuro. Saggio utopico sulle Società postindustriali, cit.; A. Colombo (a cura di), Utopia e distopia, cit.; C. Quarta, L’utopia platonica, cit. 134 Cfr. J. J. Bachofen, Il Matriarcato, cit. Sullo stesso argomento, da un punto di vista di una antropologia più evoluta e dal punto di vista delle donne, cfr. I. Magli, La femmina dell’uomo, Bari, Laterza, 1985, pp. 5-78. 135 J. J. Bachofen, Il Matriarcato, cit., p. 58. 136 I. Magli. La femmina dell’uomo, cit., p. 41. 133 64 rito, che connota la terza epoca dell’umanità: al principio di maternità si sostituisce il principio di paternità. Partendo da questa teoria è possibile leggere i segni e le tracce lasciate dal matriarcato nella storia successiva come fossili guida, potendoli anche documentare secondo alcuni, tanto che molte discipline, non solo l’antropologia, si sono adoperate variamente per cercare il discrimine che segna il passaggio tra il diritto materno e il principio di paternità. Questo transito ha consentito ampi margini di incertezza allorquando si è cercato di decifrare i fossili sedimentati di una presunta ginecocrazia. Dice Luce Irigaray: «Certo in Sofocle, cioè nel passaggio ormai storicamente concluso dal matriarcato al patriarcato, le cose non erano ancora tanto chiare»137. Tuttavia l’ipotesi di un originario matriarcato suscita diverse perplessità anche in relazione alla sua transizione verso il patriarcato, miticamente simbolizzato dalla nascita di Atena, la prima donna non nata da donna, e dalla vittoria di Teseo sulle Amazzoni, l’ultimo baluardo del diritto materno138. Alcuni studiosi, tra cui Windelband, hanno tentato di individuare nella Grecia del V-VI secolo a. C., un movimento di idee e di rivendicazioni, documentati dalla letteratura, ma anche da alcune istanze utopiche, che in qualche modo potesse configurarsi come «movimento femminista»139. Crediamo che una interpretazione di questo tipo sia alquanto azzardata soprattutto in considerazione dei caratteri che si attribuiscono al moderno movimento femminista e di liberazione della donna non riconducibili a quanto documentato dagli autori classici. Come abbiamo avuto modo di argomentare, il medioevo è stato povero di istanze tese a rivalutare la donna. A maggior ragione non è possibile leggervi tracce di quello che noi intendiamo per femminismo, a parte L. Irigaray, Speculum, cit., p. 202. Per questa interpretazione della lotta di Bellerofonte contro le Amazzoni cfr. J. J. Bachofen, Il Matriarcato, cit., p. 58 ss. Altri studiosi ritengono che il mito delle Amazzoni, come quello delle Lemnie non rappresenti tanto «un momento di potere matriarcale», quanto piuttosto un tentativo compiuto dal potere maschile di «esorcizzare l’idea di un eventuale potere femminile»: E. Cantarella, L’ambiguo malanno, cit., pp. 26-27. 139 Cfr. C. Quarta, L’utopia platonica, cit., pp. 251 e 286; G. Windelband, Platone, trad. it., Palermo, Remo Sandron, 1914, p. 172. 137 138 65 Christine de Pisan che in una sua opera individuava già allora nei condizionamenti sociali, e in particolare nella mancanza di un’adeguata formazione culturale, l’origine della condizione svantaggiata della donna140. In età moderna bisogna aspettare la Rivoluzione francese perché le donne si organizzino in qualche maniera per rivendicare le proprie posizioni di “Liberté, égalité, fraternité”. Tuttavia le aspettative di emancipazione suscitate al nascere della rivolta, soprattutto in ordine ai diritti civili, furono tragicamente deluse. Nel 1867, Stuart Mill, davanti al Parlamento inglese pronunciava ufficialmente la prima arringa in favore del voto alle donne. Nel 1869, Lèon Richier, considerato da Simone De Beauvoir come il “vero fondatore del femminismo”141, creò un movimento di idee, i “Diritti della Donna”, e organizzò il Congresso internazionale del Diritto delle donne, tenuto nel 1878. Dalla fine del 1770 in poi si assiste all’acquisizione progressiva, da parte delle donna, di una coscienza della propria condizione che si esprimerà a seconda dell’ideologia nella quale riusciranno a incapsularla. È forte in questo periodo l’istanza, che si è protratta fino ai nostri giorni, tesa a rivendicare per le donne l’acquisizione della parità dei diritti civili142 . Il XIX secolo vede nascere due correnti di pensiero che avranno grande influenza sul “pensiero delle donne” e sul “pensiero sulle donne”. Intendiamo il marxismo e la psicoanalisi. Per quanto riguarda il marxismo, l’idea che ha accompagnato le rivendicazioni del movimento femminista di indirizzo radicale e socialista fino ai giorni nostri risiede soprattutto nell’analisi di Engels sulla famiglia143. Il problema della subordinazione delle donne, insieme alla necessità di una loro liberazione, è stato riconosciuto da tutti i grandi pensatori soCfr. M. T. Garutti Bellenzier, Per un «far memoria» della questione femminile, cit., p. 11. 141 Cfr. S. De Beauvoir, La storia dell’occupazione femminile, in S. Liaci Ruggiero, Il mutamento sociale e la donna, Bari, Il Pentagono, 1977, p. 170 142 Per una sufficiente documentazione sulle richieste e le conquiste delle donne in campo storico e giuridico-sociale cfr. ivi, compresa la copiosa e puntuale bibliografia riportata in fondo al volume; C. Saraceno, Dalla parte della donna, Bari, De Donato, 1971. 143 Cfr. F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato, Roma, Editori Riuniti, 1970. 140 66 cialisti dell’800, tuttavia nel corso del tempo ha subito una perdita di importanza, è stato trascurato. Da August Bebel, che accusava i socialisti di non riconoscere come la dipendenza della donna dall’uomo avesse lo stesso rapporto tra capitale e proletariato144, a Fourier che considerava il grado di emancipazione femminile come la misura naturale dell’emancipazione universale145, a Marx che considerava la donna un simbolo, una entità antropologica, una categoria ontologica molto astratta (negli scritti giovanili)146, fino a non nominarla più negli scritti della maturità in cui viene presa in considerazione solo la dimensione storica della famiglia147, si assiste a un progressivo disinteresse per l’argomento148. Engels porta l’analisi della condizione della donna all’interno della teoria economica marxiana e attraverso questa la esamina, facendo risalire l’ineguaglianza dei sessi a un originale antagonismo fra di essi, considerato come il primo contrasto di classe. Egli riduce il problema della donna alla sua incapacità lavorativa, attribuendo quindi alla sua debolezza fisiologica la causa primaria della sua oppressione. Di conseguenza, se l’incapacità lavorativa è la causa della sua inferiorità sociale, sarà l’attitudine al lavoro a portare verso la sua liberazione149. Lo stesso Lenin, sebbene suggerisca alcune indicazioni, non è capace di andare oltre, come il precedente pensiero socialista, di superare l’equazione aprioristica che indica la coincidenza dell’affermazione storica del socialismo con la liberazione della donna, di dimostrare concretamente come questo affermarsi ne avrebbe trasformata la condizione150. Fino a questo momento, la liberazione femminile rimane un ideale normativo, aggiunto alla teoria socialista più che strutturato integralmente in essa. Un notevole passo avanti si riscontra nella voluminosa opera di Simone De Beauvoir, Il secondo sesso, uno dei maggiori contributi sull’argomento. Il centro di interesse qui è la condizione della donna nei secoli. È inteCfr. J. M1tchell, La condizione della donna, Torino, Einaudi, 1972, p. 84. Ivi, p. 84. 146 Cfr. K. Marx, Proprietà privata e comunismo, in Id, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Torino, Einaudi, 1949, p. 110. 147 Cfr. K. Marx, Il capitale, Roma, Editori Riuniti, 1970,1, 2, p. 203. 148 Cfr. C. Saraceno, Dalla parte della donna, cit., pp. 25-29. 149 Cfr. F. Engels, Op. cit., pp. 93, 101, 193. 150 Cfr. V. Lenin, I compiti del proletariato nella rivoluzione attuale, in Id., Opere Complete, voll. 24, Roma, Editori Riuniti, 1966, pp. 9-15. 144 145 67 ressante però che il socialismo emerga da questa ricerca come soluzione stranamente contingente alla fine del libro, in un sommesso epilogo. La principale innovazione teorica della Beauvoir è la fusione delle due spiegazioni, “economica” e “riproduttiva”, della subordinazione femminile in una interpretazione psicologica di entrambe151. I classici della letteratura socialista sul problema delle donne sono, quindi, soprattutto economicisti e insistono soltanto sulla subordinazione femminile agli istituti della proprietà privata. La condizione biologica della donna accentua sia la sua debolezza come produttore nei rapporti di lavoro che la sua importanza come oggetto di proprietà nei rapporti produttivi. Il tutto si risolve con l’affermazione che il socialismo porterà con sé la liberazione delle donne come uno dei suoi “momenti costitutivi”152 . Con l’affermarsi delle teorie di Freud e della pratica psicoanalitica, un ulteriore apporto viene fornito al problema della emancipazione della donna. Le tesi di Freud, soprattutto grazie all’empirismo postfreudiano che ha bloccato tutti i tentativi freudiani di analisi delle differenze sessuali in una rigidità cruda e offensiva, hanno suscitato vivo interesse, ma anche feroci critiche tra le femministe del movimento radicale. Tuttavia dalla critica, dagli anni ’60 del secolo scorso in poi, dalle teorie psicoanalitiche si sono potute enucleare posizioni a sostegno di una analisi dell’essere donna. Infatti, per uno studio sulle donne è importante considerare i metodi di una scienza della mente, di una teoria che tenta di spiegare, prescindendo dai suoi dogmatismi, come le donne diventano donne e gli uomini diventano uomini. Dice Freud: «In accordo con la sua particolare natura, la psicoanalisi non cerca di descrivere cos’è una donna – né questo è un compito che essa sia in grado di assolvere ma si accinge a ricercare come essa divenga tale, come venga fuori una donna da una creatura infantile con disposizioni bisessuali»153. «La linea divisoria fra il piano biologico e quello sociale che trova la sua espressione nella famiglia – questa è la terra incognita che la psicoanalisi vuole esplorare, la terra in cui si origina la differenziazione dei sessi. Che poi Freud, a livello personale, avesse un atteggiamento reazionario Cfr. S. De Beauvoir, Il secondo sesso, Milano, Il Saggiatore, 1961. J. Mitchell, La condizione della donna, cit., p. 89. 153 S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, XXXIII, La femminilità, in Id., Opere, Torino, Boringhieri, 1970. 151 152 68 nei confronti delle donne, non tocca affatto la sua scienza, né di scienza si tratterebbe se così fosse»154. La riflessione delle donne sulla propria condizione deve molto alla psicologia in generale, e alla psicoanalisi in particolare, non solo alla teoria in sé, quanto piuttosto alle problematiche e alle discussioni suscitate fin dai tempi di Freud, che hanno posto in evidenza come la psicoanalisi, al di là delle specifiche e discusse teorizzazioni, tipo “l’invidia del pene”, ha rese avvertite le donne sulle potenzialità di analisi della teoria stessa in riferimento all’indagine sul problema donna. Tanto è vero che all’interno del Women’s Liberation Movement si riscontrano, oltre alle critiche, riconoscimenti epistemologici alla psicoanalisi155. Anche nell’attuale versione del femminismo, che annovera tra le tante posizioni anche il “pensiero della differenza sessuale”, è possibile riscontrare posizioni critiche156 che si accompagnano ad analisi di riconoscimento per la teoria psicoanalitica alla quale si attribuisce l’indiscusso merito di aver proposto il “desiderio” alla base prefilosofica della filosofia, «condizione fondamentale di enunciazione di un cogito femminile»157. 1.5.2. Dall’eguaglianza alla differenza La “questione femminile” si è andata alimentando man mano che un sempre maggior numero di donne prendeva coscienza della propria condizione, da sempre gravata da pesanti condizionamenti, ingiustizie e negazioni. Questa presa di coscienza ha conosciuto momenti forti, ma anche fasi di regresso e di sconfitta, traendo alimento da motivazioni sociali, culturali, economiche, scientifiche, giuridiche, filosofiche e teologiche; ha acquistato forza dalle esperienze comuni di masse femminili sollecitate e motivate a guardare con coscienza critica alla propria condizione. Ha impegnato battaglie su fronti diversi e, comunque, laddove la donna risultava trattata ingiustamente, avendo profeti lontani nel tempo e inascoltati, J. Mitchell, La condizione della donna, cit., p. 183. Cfr. ivi, pp. 168-190. 156 Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., pp. 9-126. 157 R. Braidotti, Commento alla relazione di Adriana Cavarero, cit., p. 197. Cfr. anche F. Molfino, I possibili spazi della conoscenza psicoanalitica, in Aa.Vv., La ricerca delle donne, cit., pp. 203-219. 154 155 69 e anche martiri, ha cercato vie risolutive di volta in volta più rispondenti alle mutate situazioni storiche. Il far storia delle donne assume allora una connotazione tipica: anche quando si possono individuare nomi e figure precise, in qualche modo eccezionali, pure il loro parlare, il loro lottare e operare si riferisce, si sostanzia e trae forza da tutto un mondo femminile che non aveva, e spesso non ha ancora voce ma che nel suo anonimato e nella sua non ufficialità storica è soggetto di storia158. Non è possibile, se non per una astrazione relativa al metodo della ricerca, distinguere nettamente le varie correnti o le forme attraverso cui il femminismo si è manifestato, utilizzando categorie di ordine esclusivamente ideologico. Né è altrettanto possibile distinguere nettamente le fasi che il femminismo ha percorso storicamente. È possibile, tuttavia, utilizzando alcune semplificazioni che tengono conto di elementi caratterizzanti, individuare alcune posizioni attraverso cui il movimento delle donne è passato assumendo particolari connotazioni in riferimento all’idea portante. Una delle prime espressioni, in età moderna, della coscienza femminile verso l’acquisizione di più ampi ambiti di autonomia, è stata la rivendicazione del “diritto di voto per le donne”. La lotta per il suffragio femminile si è svolta per lungo tempo, non esaurendo, tuttavia, la questione poiché dietro al rifiuto di riconoscere alle donne il diritto di recarsi alle urne si celavano culture e interessi che accomunavano il mondo ecclesiale e il mondo laico, compresi i partiti della sinistra storica che a lungo minimizzarono la questione femminile. Lo stesso sbarramento si riscontrava nei confronti di altre rivendicazioni femminili, soprattutto nel campo dell’istruzione e in campo professionale. Si giunge così a uno stadio inteso come emancipazione della donna in cui la questione femminile viene identificata quasi esclusivamente con i problemi delle lavoratrici, specie se con carichi familiari. Da questa impostazione nasce tutta una serie di rivendicazioni, sindacali, politiche e giuridiche che, per esempio, in Italia hanno prodotto la riforma del diritto di famiglia159. Questa prospettiva oggi in complesso è superata e criticata, Cfr. M. T. Garutti Bellenzier, Per un «far memoria» della questione femminile, cit., pp. 10-12. 159 Cfr. ivi, pp. 16-18; C. Saraceno, Dalla parte della donna, cit.; S. Liaci Ruggiero, Il mutamento sociale e la donna, cit. La Riforma del diritto di famiglia in Italia è una riforma realizzata attraverso la legge 19 maggio 1975, n. 151. Tale norma giu158 70 anche se nessuno nega la rilevanza dei problemi legati al lavoro della donna, il suo inserimento nella vita sociale e politica e di una legislazione che affronti e risolva nodi spesso drammatici della vita femminile. Con l’entrata in crisi del concetto di emancipazione, la questione femminile viene affrontata sotto l’ottica della “liberazione”, ottica dalla quale si intendeva guardare la questione non solo servendosi di una chiave di lettura economico-giuridica o politico-sociale, ma servendosi anche degli apporti delle scienze umane. Dall’analisi di una perenne assenza della donna come soggetto di storia e della sua condizione di emarginata dalla cultura ufficiale, emerge che la causa di emarginazione femminile risiede soprattutto nell’essere stata confinata da sempre nella sfera del privato, nella famiglia. Poiché sia il privato, come ambito giuridico, sia la famiglia come istituto sociale, non sono potuti entrare nella storia ufficiale160, anche la donna vi è stata espunta. Si arriva così al centro della questione femminile che consiste pur sempre nel problema del rapporto donna-famiglia che, per quanto dibattuto, resta un punto di riferimento ineludibile. La messa in discussione della presunta naturalità dei ruoli ha permesso di rifiutare il concetto che definisce la donna “in funzione di”. Da queste posizioni e intorno a queste tematiche di fondo si manifesta e prende corpo un movimento che assume il nome di “neofemminismo”. Questo, prendendo le mosse dal best-seller di Betty Friedan, La Mistica della femminilità, pubblicato negli anni ’60 del secolo scorso, denuncia i pesanti condizionamenti delle donne e la fine delle illusioni legate alla istruzione, alla democrazia, alla scienza e alla tecnica intese come garanzia per la parità dei sessi. Alcuni eventi che si verificano intorno agli anni ’60, come la “rivolta studentesca”, la “rivoluzione sessuale”, alcune rielaridica ha modificato sostanzialmente la disciplina del diritto di famiglia precedente attraverso la modifica e l’integrazione di alcuni articoli del codice civile. In particolare intervenendo sul principio di eguaglianza tra i coniugi (si passa dalla potestà maritale all’eguaglianza fra coniugi), sul regime patrimoniale della famiglia (separazione dei beni o comunione legale/convenzionale) e sulla revisione delle norme sulla separazione personale dei coniugi (dalla separazione per colpa alla separazione per intollerabilità della prosecuzione della convivenza). 160 Cfr. I. Magli, La donna problema aperto, Firenze, Vallecchi, 1974. Vedi in Aa.Vv., La ricerca delle donne, cit., i saggi: R. Fossati, Femminismo e storia orale, pp. 277 ss.; L. Passerini, Storia orale: dalla denuncia dell’esclusione all’interpretazione della soggettività, pp. 262 ss.; P. Di Cori, Prospettive e soggetti nella storia delle donne. Alla ricerca di radici comuni, pp. 96 ss. 71 borazioni critiche della psicoanalisi, la denuncia alla società consumistica e massificante, confluiti in una crisi culturale, riaprono la questione femminile su posizioni innovative. L’elaborazione teoretica, nel tentativo di individuare le radici della condizione negativa femminile, porta le donne del movimento a una posizione sconcertante: dopo tante proclamazioni e richieste di uguaglianza fra i sessi, questa stessa presunta uguaglianza viene rifiutata, almeno nel senso comunemente intesa. Il neofemminismo parla, quindi, ampiamente di diversità (o specificità) della donna. Si tratta, però, di una diversità intesa non più come mancanza, menomazione, ma come ricchezza, come possibilità delle donne di pensarsi diverse. Da qui, attraverso l’opera di Simone De Beauvoir, per arrivare all’attuale “pensiero della differenza sessuale”, il passo è breve. 1.5.3. Il pensiero della differenza sessuale In seguito all’affermazione del “femminismo diffuso”161 oramai riconosciuto in tutte le società occidentali, una più concreta azione giuridica e sociale in genere permette teoricamente non solo la tutela, la parità o la singolarità delle donne, ma anche la possibilità alle donne di pensare e di pensarsi. Nel campo delle scienze umane, ma soprattutto della filosofia, negli anni ’70 del XX secolo, Luce Irygaray ha prodotto un modo nuovo di pensarsi delle donne come “soggetto”, partendo dal dato originario di essere sessuate al femminile, differente dall’essere sessuati al maschile, e ponendo la differenza sessuale come problema epocale. Scrive Elda Guerra: «Con il termine femminismo intendo riferirmi a un corpus complesso di teorie e di pratiche che attraversa gran parte degli ultimi due secoli e che negli anni Sessanta e Settanta si è espresso – come d’altra parte era accaduto in altri periodi storici – nella forma visibile, allargata e coinvolgente del movimento. Tuttavia tale corpus, almeno questa è la mia convinzione, è nato e si è sviluppato con andamenti non lineari per un tempo molto più lungo venendo a costituire una delle culture politiche dell’età contemporanea. […] Di qui anche la declinazione plurale “femminismi”, sia in senso diacronico, sia in senso sincronico per tentare di dare conto delle pluralità delle forme, della molteplicità delle voci e dei gesti in cui si è incarnata l’espressione soggettività femminile, in termini di soggettività politica»: E. Guerra, Una nuova soggettività: femminismo e femminismi nel passaggio degli anni Settanta, in T. Bertilotti, A. Scattigno (a cura di), Il femminismo degli anni Settanta, Roma, Viella, 2005, pp. 26-27. 161 72 Da questo punto di vista, si imputa la mancata elaborazione, fino a ora, della differenza sessuale al dominio storico esercitato dagli uomini sulle donne. Da sempre la donna ha avuto rapporti con il mondo grazie alla mediazione dell’uomo. Sorge allora la necessità di pretendere di aprire le forme del sapere affinché sia chiaro ciò che in esse è solidale con un simbolismo sessuato al maschile e si accolgano nuove forme simboliche rispondenti all’esperienza femminile. Forme inusitate, da scoprire e da inventare. Il pensiero della differenza sessuale diventa allora inventore di mediazioni femminili. L’interrogarsi sui rapporti tra il dominio sessista e le forme del discorso dimostrativo, in filosofia e nelle scienze, diventerà il compito del pensiero della differenza sessuale. Questo interrogarsi permetterà di scollare le convinzioni psicoanalitiche di una indifferenziata esperienza sessuale originaria tra maschio e femmina e permetterà di risignificare i complessi e gli ambiti della sfera sessuale infantile. Permetterà di affermare che la scienza non è neutra. Infatti, oggi biologia e neurofisiologia ammettono e sostengono, per certi versi, la sessuazione degli atti cognitivi sulla base di una organizzazione cerebrale differenziata dei due sessi che influirebbe su alcuni ambiti del comportamento, quali quelli relativi alle competenze linguistiche, alle abilità spaziali, all’emozione. Queste diversità finora hanno contribuito ad arricchire e giustificare l’argomentare di una presunta inferiorità della donna. Manca ancora una elaborazione teorica compiuta che sappia interpretare e leggere, in opposizione agli schemi culturali correnti, il cervello e il corpo femminile in termini di alterità positiva. Tuttavia, sia la biologia, che la linguistica, sia l’antropologia, che la teologia, sia gli studi storici che la storia sociale e la sociologia ci dicono oggi di come la differenza sessuale è fondamentale nel ripensare concetti capaci di spiegare i fatti. La differenza sessuale, prima di avere un significato, è “significante”162 , per cui il processo di attribuzione di senso al mondo da parte di un soggetto la cui datità costitutiva è “essere un corpo di donna”, significa il mondo stesso in maniera differente da come può significarlo un essere maschile. Questo indica che l’indagine sulla differenza sessuale procede con l’elaborazione simbolica della differenza stessa da parte del pensiero che indaga163. Cfr. L. Muraro, Paradigma della differenza sessuale, in «Note», Università degli Studi di Lecce, anno X, marzo 1990. 163 Aa.Vv., Diotima, cit., p. 32. 162 73 Uno dei nodi che il pensiero della differenza sessuale ha cercato di sciogliere riguarda il problema di fondo della differenza sessuale: come può significarsi l’essere donna, come può uscire dalla sua intimità senza parole, in un ordine sociale e simbolico che definisce il soggetto femminile per opposizioni e somiglianze con il soggetto maschile, e questo per se medesimo? La soluzione affannosamente e, a volte dolorosamente, cercata è nella consapevolezza che la differenza sessuale, da oggetto pensato, si renda significante164, si faccia cioè pensiero pensante. Perché il femminile abbia cittadinanza e possa circolare nel discorso della scienza e della politica senza essere subalterna, occorre che la donna disponga di una mediazione femminile per rapportarsi a sé e all’altro da sé. Questo nella consapevolezza che tra il mondo degli uomini e il mondo delle donne esiste una irriducibile asimmetria: «La donna non è in rapporto dialettico col mondo maschile. Le esigenze che essa viene chiarendo non implicano un’antitesi, ma muoversi su un altro piano»165. La ricerca e la costruzione di questa struttura simbolica di mediazione mancante è l’opera teorica e politica a cui attende il pensiero della differenza sessuale. La portata di questa impostazione della riflessione filosofica è nodale per il processo di identificazione che la donna a partire dai primi anni del 1970 ha intrapreso, anche per riuscire veramente a pensare la filosofia come la scienza delle ragioni e non della Ragione. «Il compito di pensare la differenza sessuale è così un compito arduo poiché essa giace nella cancellazione sulla quale il pensiero occidentale si è fondato ed è cresciuto. Pensare la differenza sessuale a partire dall’universale uomo significa pensarla come già pensata, ossia pensarla attraverso le categorie di un pensiero che si regge sul non pensamento della differenza stessa»166. Cfr. M. Forcina, Dalla ragione non totalitaria al pensiero della differenza, cit., pp. 208-216. 165 C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, Milano, Ed. Rivolta femminile, 1974, p. 32. 166 A. Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, cit., p 48. 164 74 Capitolo II Il principio dell’uguaglianza e le istanze della differenza Pasquale Luigi Di Viggiano 2.1. Eguaglianza e inclusione La riflessione teorica e sociale in età moderna avente come argomento le istanze delle donne, che si colloca tra la fine del XX secolo e gli inizi del XXI, si arricchisce attraverso il progressivo, ma rapido, attestarsi di una innovazione tecnologica legata soprattutto all’informatica e alle sue applicazioni alle comunicazioni, fino a giungere a definire la società come esito di comunicazione1 e le connessioni sociali come agire comunicativo2 . Le stesse rivendicazioni femminili sono costrette a confrontarsi con nuove possibilità che producono nuove semantiche in relazione al principio di eguaglianza, invocato nelle espressioni di protesta dei movimenti femminili del XX secolo, ma anche con le possibilità che si intersecano con le più avanzate attestazioni della differenza di genere. La storia sociale delle donne nel rapporto con i diversi sistemi sociali si può descrivere utilizzando idee come uguaglianza, giustizia, fiducia, potere, rischio, razionalità, diritto, ecc. Un problema sociale con cui le donne si sono dovute confrontare è rappresentato dalla possibilità di una loro inclusione sociale, partendo, come già osservato, da pratiche e teorie di esclusione a cui il genere femminile è stato sottoposto nel corso dei secoli e che ancora troppo spesso si manifestano. Osservare attraverso la distinzione della forma inclusione/ esclusione quali sono i paradossi che emergono nella struttura complessa 1 2 Cfr. N. Luhmann, R. De Giorgi, Teoria della società, Milano, FrancoAngeli, 1992. J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, voll. I e II, Bologna, il Mulino, 1997. 75 della società che attraverso la differenziazione funzionale dei sistemi sociali affronta il tema di genere, può rappresentare un punto di vista altro e produrre modi diversi per considerare il ruolo delle donne e degli uomini nella società contemporanea. In particolare, l’osservazione e l’analisi attraverso il sistema sociale del diritto consente di descrivere meccanismi sociali dell’inclusione e della esclusione delle donne operata nella normale applicazione del diritto stesso. Mentre lo svelamento di paradossi e di meccanismi che hanno interessato e interessano la società moderna, resi opachi dall’ideologia dominante, consentono un altro sguardo, un altro approccio, rendono possibile costruire altre realtà di genere differenti da quelle precedenti. Nella costruzione di questa realtà sociale di genere, descritta con gli strumenti dell’osservazione resi disponibili dalla contemporanea tarda modernità, è utile riferirsi ad alcune teorie capaci di fornire un set di strumenti in grado di scardinare ontologie stantie e pregiudizi dannosi (o inutili) costruiti per offuscare e rendere opaco anche lo sguardo sul tema delle donne e della differenza di genere. Ciò è reso più evidente dalla forma della moderna società contemporanea che ha manifestato quale sia il rapporto precario della razionalità occidentale non solo nei confronti del tempo ma anche rispetto alla persona, al soggetto, all’individuo, all’identità del sé3. La società moderna comunica a due livelli: al livello dell’agire e a livello dell’osservazione dell’agire. Questo universo della comunicazione costitutivo della società moderna, rappresenta il passato e il futuro come dimensioni del presente: un passato affidato alla memoria, che è l’attività del dimenticare selettivo, e un futuro che incombe come un orizzonte di aspettative per il quale il presente cerca di costruire vincoli. Con questo meccanismo si costruiscono identità che si definiscono per differenza attraverso prestazioni particolari che tengono a distanza l’altro. Identità significa, allora, tenere a distanza. L’identità della donna, nel XXI secolo si costruisce come alterità, come differenza nell’accesso alla comunicazione sociale a cui concorrono determinati sistemi sociali, come il diritto, che usa tecniche specifiche per l’evoluzione sociale attraCfr. R. De Giorgi, Multiculturalismo, identità, diritto, in Aa.Vv., Serta giuridica. Scritti dedicati dalla Facoltà di Giurisprudenza a Francesco Grelle, tomo I, Napoli, ESI, 2011, pp. 133-148. «Una precarietà che deriva dal fatto che vecchie stabilità naturali non funzionano più, che vecchie costruzioni dell’ordine sociale legate al passato non sono più plausibili»: ivi, p. 144. 3 76 verso modi particolari della distribuzione delle differenze. Come la politica che con normali attività formalmente orientate verso l’inclusione democratica, democraticamente esclude il diverso e perpetua la propria conservazione includendo l’eguale. «Attraverso questi dispositivi la società controlla la consistenza delle operazioni della sua struttura, controlla le improbabilità evolutive alle quali si espone e si assicura stabilità»4. Attraverso le teorie costruttiviste e funzionaliste, e in particolare la teoria dei sistemi sociali di Niklas Luhmann, è possibile tentare di dare un contributo ulteriore, da una prospettiva sociologica, all’idea di differenziazione sessuale (di genere) la cui argomentazione, pur avendo raggiunto attualmente livelli di raffinatezza elevati, tuttavia continua a utilizzare prospettive e punti di vista “tradizionali”. L’approccio costruttivista si basa sull’assunto che la società moderna è funzionalmente differenziata. Meglio: i sistemi sociali attraverso i quali è possibile descrivere la modernità sono differenziati in base alla loro funzione. Quindi significa che il punto di partenza non è l’identità, non è la reductio a unum del molteplice, ma una distinzione tra sistema sociale e ambiente, a cui vengono connesse altre distinzioni: identità/differenza, attuale/possibile, inclusione/ esclusione, in quanto ogni forma è una forma a due lati e ogni forma è forma di una distinzione, di una separazione cioè di una differenza, come può essere quella tra uomo e donna. Questo orientamento a descrivere la società come distinzioni e costruire la realtà sociale come descrizione, è l’esito della decisone epistemologica di scegliere come centrale il concetto di osservazione. Per cui si può dire, con Spencer Brown e in base al suo schema euristico, che a partire da una distinzione se ne generano altre fino a costituire una rete di connessioni/distinzioni come prodotto dell’attività di un osservatore (sistema sociale o sistema psichico che sia). In questa accezione si colloca anche la differenza uomo/donna come esito di una osservazione che, nel caso della cultura tradizionale di cui abbiamo esaminato i criteri fondativi, descrive e stabilisce una cultura della subalternità, come imposizione di una generalizzazione simbolica che assume il senso dell’identità. Nel caso della teoria dell’osservatore l’identità e la differenza non sono una semplice qualità dei soggetti uomo/donna ma l’esito di una 4 Ivi, p. 146. 77 operazione di osservazione. Ma anche la forma “donna/uomo” differenziata è sempre una riduzione nei confronti della straordinaria ricchezza dei rinvii di senso che ogni donna, ma anche ogni uomo, concreti può manifestare. Ogni unità della forma differenziata, uomo/donna, è organizzata socialmente in un punto di riferimento più astratto che orienta aspettative e che chiamiamo “umanità”. Questa astrazione si individua come esito di un osservatore esterno il quale, solo nella sua riflessione costituisce l’identità di un sistema sociale5. Cosa significa, allora, eguaglianza all’interno di una identità (anche di genere) che si forma per differenza? Quali effetti producono strategie sociali di inclusione e quali sono gli esiti di osservazione che descrivono tali effetti? 2.2.Inclusione/esclusione Osservare, descrivere e capire quali sono i meccanismi e le strutture dell’inclusione e dell’esclusione sociale, significa svelare le possibilità di demistificare le demagogie egualitariste e orientare le aspettative stesse di inclusione. La descrizione della società contemporanea e delle possibilità di esistenza del suo ordine sociale attraverso gli strumenti dell’osservazione sistemica rimanda ai riferimenti semantici della distinzione “inclusione/ esclusione”. Nella società moderna, funzionalmente differenziata, ogni sistema sociale riproduce al proprio interno questa differenziazione che lo costituisce6. Ivi compreso il “sistema famiglia” all’interno del quale è collocata la comunicazione alla persona dei partecipanti. L’insieme di tutte le famiglie Cfr. E. Esposito, Identità/differenza, in C. Baraldi, G. Corsi, E. Esposito, Luhmann in glossario, Milano, FrancoAngeli, 2002, pp. 122-125; N. Luhmann, R. De Giorgi, Teoria della società, cit. 6 Cfr. N. Luhmann, La differenziazione del diritto, Bologna, il Mulino, 1990. L’analisi qui svolta per descrivere la differenziazione di un sistema sociale parziale, com’è il diritto, è strutturalmente identica alla descrizione della differenziazione di tutti gli altri sistemi sociali: per la teoria dei sistemi sociali cfr. N. Luhmann, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Bologna, il Mulino, 1990. Id., L’economia come sistema sociale, in Illuminismo sociologico, trad. it., Milano, il Saggiatore, 1983, pp. 235-269. 5 78 costituisce un sottosistema della società che ha funzione di includere la persona7. E mentre la comunicazione giuridica ha per medium il diritto e quella economica il denaro, la comunicazione familiare ha per codice l’amore. La differenziazione che caratterizza, la società del mondo non consente più la centralizzazione nella distribuzione delle possibilità di accesso alla comunicazione sociale. Questa funzione, e le forme del relativo condizionamento, sono prerogativa dei singoli sistemi sociali. La conseguenza della stabilizzazione di questo processo di differenziazione non consente più che l’inclusione in un sistema sociale implichi automaticamente anche l’inclusione in altri. L’inclusione di una donna, o di un uomo, nel sistema famiglia non significa la sua inclusione anche nel sistema economico. Emerge, in questo modo, una differenziazione tra inclusione ed esclusione che aumenta il rischio e diminuisce l’interdipendenza. E si verifica un paradosso. «E poiché c’è inclusione solo perché c’è esclusione, nella società del mondo la specificazione e la generalizzazione delle forme dell’inclusione porta a un continuo incremento dell’esclusione. Se inclusione si può intendere come la tecnica del trattamento della rilevanza dei singoli come “persone”, allora si può affermare che in questa società cresce in modo incontrollabile la quantità delle non-persone. Altre società mettevano al margine le non-persone, quando i margini naturali di una città o di uno stato segnavano i confini di una società. La società del mondo non ha queste preoccupazioni. Essa può invisibilizzare i corpi, può dimenticarli, ma li conserva sempre all’interno di uno spazio fisico che non delimita più lo spazio della comunicazione sociale»8. Il normale funzionamento dei sistemi sociali produce esclusione, ma anche inclusione e l’osservazione del loro funzionamento evidenzia i paradossi costitutivi dei singoli sistemi sociali e della società moderna. Questo vale per l’economia, per il diritto, per la politica, per la famiglia, ecc. È pensiero comune che il diritto realizzi uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e, quindi realizzi giustizia. Tuttavia: «Paradossale è il diritto perché la distinzione tra diritto e illecito comincia da se stessa; paradossale è la struttura della sovranità perché il popolo è sovrano perché Cfr. C. Baraldi, Famiglia, in C. Baraldi, G. Corsi, E. Esposito, Luhmann in glossario, cit., pp. 115-117. «Le famiglie costituiscono l’unico sistema parziale della società differenziata per funzioni nel quale gli individui vengono trattati esclusivamente come persone»: ivi, p. 115. 8 R. De Giorgi, Temi di filosofia del diritto, cit., p. 22. 7 79 è privo di potere; paradossale è l’uguaglianza perché essa è l’altra parte di una distinzione di cui l’altra parte è la disuguaglianza. Quanto più i singoli sono uguali in quanto cittadini, tanto più i cittadini sono disuguali in quanto singoli»9. Quindi il diritto produce sia inclusione e sia esclusione; sia giustizia che ingiustizia. Come produce inclusione/esclusione il sistema del diritto e quali sono i paradossi10 che tale codice genera per il semplice funzionamento del sistema? Come si struttura la forma inclusione/esclusione negli approcci di genere anche in riferimento al sistema giuridico? Le donne si possono rivolgere al diritto per avere giustizia? È possibile descrivere i meccanismi di queste operazioni. Il presupposto moderno in base al quale ognuno può accedere al diritto e nessuno si può sottrarre al diritto per avere diritto significa che ognuno è incluso e nessuno è escluso (Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge). Essere incluso significa che si può avere diritto solo tramite il diritto e questo esclude ogni possibile alternativa11. Il diritto include ma anche esclude. Il diritto penale, per esempio, opera come funzione preventiva di un rischio. Non evita invece, paradossalmente, nessun rischio e, tuttavia, criminalizza genere, razze, culture, etnie, nazionalità, fedi religiose. Il diritto penale si costruisce così come una struttura giuridica preventiva dell’esclusione. Ma anche il diritto amministrativo, il diritto civile, ecc. Con questo meccanismo il diritto produce esclusione attraverso inclusione. I cittadini di molti paesi sanno che in molte circostanze è opportuno evitare di rivolgersi al diritto per risolvere problemi sociali. Le donne (e R. De Giorgi, Condizioni della descrizione della complessità nella società del mondo, p. 17, in R. De Giorgi, S. Magnolo, Mondi della società del mondo, Lecce, Pensa, 2005. 10 «I paradossi sono circolarità che se non vengono svolte, bloccano le operazioni del sistema che essi costituiscono. Per questo i paradossi devono essere occultati. Un paradosso può essere svolto attraverso una distinzione che introduce nel sistema una asimmetria e che dispone di due parti. Si può cominciare da una parte o dall’altra parte. Nel vostro caso il paradosso costitutivo è il paradosso dell’autofondazione del diritto, dell’autoimplicazione del diritto stesso. In altri termini il fondamento del diritto è costituito dal fatto che il diritto è privo di fondamento»: R. De Giorgi, Diritto e reato nel secolo XXI, in Id., Temi di filosofia del diritto, Pensa Multimedia, Lecce, 2006, p. 84; cfr. la voce «Paradosso», in C. Baraldi, G. Corsi, E. Esposito, Luhmann in glossario, cit., pp. 171-174. 11 Cfr. R. De Giorgi, Diritto e reato nel secolo XXI, cit., pp. 83-96. 9 80 le periferie sociali della società moderna) ancora oggi usano strategie di questo tipo spesso mosse dall’osservazione del fatto che il diritto riserva un differente trattamento (giudizio) alle donne rispetto agli uomini in relazione a determinati reati (in molti casi, non solo nell’opinione comune maschilista, una donna che ha subito violenza “se l’è andata a cercare”). Allora, quali sono i sostituti funzionali che si sviluppano in questi casi? Come funzionano, se funzionano e quali conseguenze producono? E tuttavia, sappiamo quasi tutti che la fiducia nei confronti del sistema politico riguardo alla capacità di risolvere problemi è molto bassa, quindi: se non c’è fiducia, su cosa si costruisce il consenso? Se la legge e la politica non forniscono stabilità delle aspettative, ma piuttosto contribuiscono a sviarle in altre direzioni, come viene assorbita l’incertezza che deriva da tutto questo? E quando questa incertezza si collega all’incertezza per il futuro, che è molto diffusa nella società contemporanea, quali sono le strutture che permettono di orientarsi nell’azione sociale? Questo tipo di questioni legittima ancora l’osservazione della società contemporanea attraverso la distinzione di genere? In altre parole, maschio e femmina sono parti di una distinzione che ha senso? Oppure, non è piuttosto necessario pensare che si tratti di questioni concernenti la struttura della società moderna e, di conseguenza, le vecchie distinzioni sono inutili più che pericolose? Può essere utile svelare il paradosso dell’inclusione/ esclusione e superare il gap tra giustizia formale e giustizia fattuale? Ci riferiamo al fatto che può essere utile esaminare se una differenziazione può essere applicata a se stessa. Ovvero, si tratta di vedere se la differenziazione può essere basata su se stessa e in quale delle parti che lei distingue. Il diritto usa la distinzione tra legale e illegale, o, se si vuole, tra diritto e non diritto. E allora, sarebbe ragionevole chiedersi se il diritto si può fondare su se stesso. Ma distinguere la società tra maschi e femmine ha senso? E se questo ha senso, qual è il senso da attribuire alla differenziazione dei generi, sapendo che formalmente esiste un anelito giuridico egualitario ma praticamente la differenza è spesso sinonimo di esclusione? Se questa società descrive la società moderna, ha un senso allora porre la domanda: qual è la modernità della società moderna in ragione degli approcci di genere. In altri lavori abbiamo osservato che la società moderna opera come un sistema universale che non ha riferimenti esterni. I suoi riferimenti sono 81 auto-costituiti attraverso la sua stessa attuazione. Questo significa che non vi è alcuna realtà esterna, ma solo una realtà interna che si realizza attraverso gli stessi processi che la società produce. Da ciò derivano molte conseguenze. Una è questa: la società moderna è presente a se stessa nella sua esclusione universale per il fatto che essa si rappresenta come una società del mondo, del suo mondo12 . La società moderna si assume solo a se stessa e, nella sua fase più matura, non usa più le differenze di livello, di rango, di classe, di genere. Da queste premesse consegue che il sistema della società non può autocompletarsi perché questo si presuppone sempre a se stesso. In altre parole, è la società che costruisce il suo futuro, ma non perché voglia farne uno migliore, semplicemente perché non può fare altrimenti e non può sapere quale futuro si realizzerà. Tuttavia può anche essere migliore (o peggiore) sulla base di una comparazione operata da un osservatore. La società moderna, a differenza delle filosofie della storia che sono descrizioni di programmi teleologici che caratterizzano la struttura di sistemi che si autoconcludono, opera senza poter vedere il suo futuro, anche se ogni sua operazione produce un futuro. Tuttavia, è determinata dalla sua struttura. Essa, però, non può rappresentarsi questa sua determinazione: se lo facesse, si bloccherebbe, impedirebbe a se stessa di avanzare. Per questo la società della società nella società moderna si rappresenta il suo operare attraverso la semantica nella quale si condensa la pluralità delle sue prospettive delle sue osservazioni. Per questo si immagina la democrazia come forma di governo che realizza la rappresentazione degli interessi di tutti, e pertanto si può chiedere e si può sperare in più democrazia. Una democrazia che prevede la partecipazione delle donne, spesso escluse anche per ragioni di democrazia, cioè di decisioni della maggioranza di potere o di decisioni del diritto13. Cfr. N. Luhmann, R. De Giorgi, La società come sistema sociale complessivo, in Id., Teoria della società, cit., pp. 24-30. 13 «E infatti il principio: la legge è uguale per tutti, non significa altro se non che nel sistema sono ammesse solo le differenze che sono fissate dal sistema o, in altri termini, che nella decisione il giudice non può introdurre differenze diverse da quelle praticate dal diritto ed espresse nelle sue norme o impresse nei suoi principi»: R. De Giorgi, Modelli giuridici dell’uguaglianza e dell’equità, in Id., Temi di filosofia del diritto, cit., pp. 133-147 (138). 12 82 Per questo che al diritto positivo, rappresentato come una tecnica di costruzione dell’ordine sociale, si chiede più diritto. Per questo che la politica diventa il luogo della legittimità delle decisioni collettive basate sul consenso e si può chiedere un controllo politico più penetrante e una guida politica della società più diffusa. La società è rappresentata come una struttura gerarchica in cui la politica può esercitare le funzioni di programmazione, controllo e di guida. Per questo l’economia diventa il luogo per soddisfare le esigenze e si può chiedere un’economia più rispettosa delle esigenze di coloro che non hanno potere di rappresentazione. Parallelamente si afferma un’idea globalizzante secondo la quale il nuovo ordine sociale sarà affidato al mercato, nel quale si può affermare la libertà dei soggetti privati. L’assunto è: se non funziona la selezione delle decisioni pubbliche, funzionerà senza dubbio la selezione naturale del denaro e delle finanze. Gli esiti di questa premessa sono gli esiti dell’attuale crisi politica, economica e sociale che investe gran parte della popolazione mondiale. A queste istanze si aggiunge la richiesta di una maggiore uguaglianza e, al tempo stesso il suo contrario, una maggiore equità14, vale a dire, maggiore disuguaglianza, maggiore considerazione della differenza; la richiesta di una più equa distribuzione delle risorse e un più incisivo rispetto per l’ambiente; la richiesta di un riconoscimento più ampio dei soggetti cosiddetti sociali e la richiesta di una più ampia sicurezza per tutti circa il futuro. La modernità della società moderna non ha il carattere di un programma, e tanto meno la natura di un progetto. Questa non conclude un’epoca, per non parlare della storia15. Le metafisiche attraverso le quali era «E infatti, fissato nella costituzione, il principio secondo il quale tutti sono uguali di fronte alla legge, significa solo che trattamenti disuguali sono possibili, purché sufficientemente motivati. Il principio allora non esclude affatto disuguaglianza di trattamento, ma la rende possibile condizionandola. Il diritto riassume al suo interno la relazionalità dell’uguaglianza: posizioni giuridiche sono uguali o disuguali rispetto a un tertium comparationis». R. De Giorgi, Modelli giuridici dell’uguaglianza e dell’equità, cit., p. 138. Molti dei concetti che qui sono richiamati costituiscono i fondamenti della teoria dei sistemi sociali. In particolare, la loro applicazione al tema delle periferie sociali della modernità è contenuta in F. Castañeda Sabido, A. Cuéllar Vàsquez, Redes de inclusiòn. La construcciòn social de la autoridad, UNAM, México, Grupo Editorial Miguel Ángel Porrúa, 1998. 15 Sull’idea contemporanea di fine della storia, cfr. F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Milano, Rizzoli, 1992. 14 83 stata descritta si sono concluse, perché si sono realizzate. Solo adesso la modernità della società moderna comincia a estendere il suo potenziale affermando il potere della differenza e della differenziazione che non produce giustizia o equità, ma solo differenza. È possibile osservare, allora, la forma tipicamente moderna della differenziazione di questa società a seguito dell’evoluzione, e quindi, considerare un’acquisizione che permette altre acquisizioni. In altre parole, si può vedere come la realtà di questa forma della differenziazione sia la realtà concreta di operazioni senza riferimenti, cioè, di distinzioni, vale a dire, di differenze che acquisiscono strutture che possono essere anche diverse, che si trasformano attraverso la loro stabilizzazione e che, pertanto, sono altamente artificiali, cioè, storiche perché si presuppongono soltanto a se stesse. Questo spiega l’artificialità della costruzione sociale in cui la donna soccombeva all’uomo, con cui la donna si è emancipata, in cui è possibile affermare principi e azioni sulla pari dignità e costruzione delle pari opportunità per uomini e donne. Sono i livelli di civiltà conquistati (livelli di differenziazione) che descrivono il percorso evolutivo dell’attuale società, anche se non in maniera uniforme. Solo se si assume questa prospettiva si può vedere come nella società moderna, allo stesso tempo, si produce una maggiore eguaglianza e una maggiore disuguaglianza; più ricchezza e più povertà; più conoscenza e più ignoranza; più politica e meno controllo; più legalità e più illegalità e più democrazia e meno partecipazione; più sicurezza e più rischi. Solo questa simultaneità delle due parti della distinzione ci permette di osservare la modernità della società moderna; ci consente di studiare il carattere della sua artificiosità e, di conseguenza, il suo potenziale specifico per la complessità. Questa artificialità è universale perché rinvia alla struttura della società, della sua differenziazione, dei sottosistemi sociali. In assenza di riferimenti esterni, la società moderna realizza l’inclusione reale di tutti attraverso l’esclusione di ogni esteriorità, attraverso l’esclusione di ogni determinazione che non sia propria della sua struttura. Questa società è universale perché universale è la sua forma di inclusione. Non solo nessuno è fuori dalla società, ma tutto ciò che è possibile è possibile solo socialmente ed è disponibile per tutti, nessuno escluso. L’accesso alle potenzialità di ciò che è sociale è per tutti e non ci sono alternative. Le differenze, quindi, non sono differenze relative all’esteriore, 84 ma differenze che si verificano per l’esclusione universale di tutte le differenze. Pertanto, l’inclusione universale genera universale esclusione. Non c’è alternativa se non all’interno dell’esclusione. Le denominate soggettività non sono proprietà naturali, e tanto meno spirituali: queste sono prodotte nell’inclusione. “Se riconoscimento è inclusione, solo la pratica dell’inclusione genera le differenze”. Nella società moderna il trattamento dell’integrazione è affidato ai sottosistemi sociali. Ogni sistema regola forme d’inclusione, cioè le modalità del suo trattamento di inclusione. Ma la società nel suo complesso deve rinunciare alla possibilità di un regolamento universale e affidarsi all’accadere. Sembra che la distinzione tra inclusione ed esclusione attraversi tutti i sistemi sociali in direzione trasversale in relazione alle distinzioni con cui ognuno di essi opera; questa attraversa i codici dei sottosistemi e condensa o incoraggia l’integrazione16. Come deve rinunciare a una regolamentazione globale di inclusione, così la società deve rinunciare a una impossibile regolamentazione dell’esclusione anche per i sottosistemi sociali. Non c’è governo della società nell’esclusione. Nella società moderna, le uniche possibilità di controllo sono date dall’autoirritazione dei sottosistemi sociali nelle condizioni di simultaneità universale del susseguirsi e dell’evolvere degli eventi. L’accresciuta sensibilità dei sistemi è collegata con l’imprevedibilità dei comportamenti di sottosistemi e con l’impenetrabilità delle sue costruzioni dell’ambiente. Si verifica così, non tanto una possibilità di regolamentazione universale, ma piuttosto una possibilità di auto-controllo dei sistemi specificati in base alle funzioni. In altre parole, attraverso il contemporaneo aumento della sensibilità e auto-immunizzazione, si producono strutture di aspettative che possono essere plausibilmente motivate; oscillazioni che si muovono in spazi che possono essere oggetto di aspettativa. All’interno di questi spazi, il semplice funzionamento dei sistemi sociali normalizza la loro imprevedibilità e la regolarità di inclusione. La legalità, nella forma della normatività delle aspettative, costituisce un esempio di questo tipo di controllo dell’incertezza. La democrazia, e in generale i procedimenti, funzionano allo stesso modo così come le regoCfr. R. De Giorgi, Redes de la inclusión, in F. Castañeda Sabido, A. Cuéllar Vàsquez, Redes de inclusión. La construcción social de la autoridad, cit., pp. 17-28. 16 85 le che canalizzano l’incertezza verso percorsi alternativi, accettabili in quanto distraggono l’attenzione. Tutto ciò presuppone un elevato grado di stabilizzazione della specificazione funzionale dei sistemi sociali, compreso il sistema della famiglia che è un sistema particolare. Questa specificazione funzionale presuppone, in altre parole, un alto livello di affermazione della modernità. Questo riduce la necessità di strutture giuridiche e di interazione, e riduce anche i vincoli delle dipendenze, afferma la capacità delle differenze, anche di genere, di assumere ambiti funzionalmente differenziati e di ridurre le dipendenze. In quelle regioni di relazioni comunicative della società in cui spesso ancora si colloca il genere femminile, delimitate da particolari sistemi politici, in cui la differenziazione funzionale incontra resistenza, in cui la specificazione del sistema incontra opposizione da parte delle strutture della gerarchia e della stratificazione, non c’è spazio nemmeno per la sensibilità, e neanche per la autoimmunizzazione dei sistemi. Non vi è la razionalità tipicamente moderna dell’inclusione, non c’è spazio per le aspettative plausibilmente motivate dall’auto-controllo dei sistemi. Qui i codici stessi dei sistemi si corrompono. Qui si stabilisce l’esclusione dell’esclusione. Sono state utilizzate diverse descrizioni di questa situazione riferita al femminile. La subalternità ontologica e la dipendenza sono le più diffuse. A noi non sembra che il problema sia la forma della differenziazione, la risultante gerarchia tra sistemi, l’ipertrofia del sistema della politica e l’impossibilità che questo sistema eserciti il controllo della società per la simultaneità dell’universalizzazione degli altri sistemi e il fatto che questi sistemi abbiano raggiunto alti livelli di specificazione funzionale. In queste regioni della comunicazione sociale i sistemi sociali operano, tuttavia, nella simultaneità universale. Questo significa che i sistemi sociali sono differenziati e non sono differenziati, funzionano e non funzionano, i loro codici funzionano e sono corrotti allo stesso tempo. Accade allora che esiste allo stesso tempo il mercato e l’economia di sopravvivenza e che in questo ambiente si sviluppa una economia sommersa illegale che non può essere legalizzata. Accade allora che la politica produce il diritto attraverso il diritto che obbliga a includere le donne e che contemporaneamente la politica, il diritto, l’economia, la morale le esclude. Anche l’argomento dell’esclusione, l’altra parte della distinzione, è diventato oggetto di riflessione della società con lo sviluppo della moder- 86 nità. Autori come Foucault17 hanno mostrato con chiarezza che insieme alle trasformazioni più evidenti che hanno portato alla forma attuale della società, si sviluppa un modo completamente nuovo di considerare la relazione tra inclusione ed esclusione: i luoghi di esclusione (carceri, nosocomi, ecc.) assumono funzioni e significati diversi per la società. Essi non sono più solo luoghi di segregazione e di punizione, ma di (re) integrazione degli individui. Per la donna, nel corso del XVIII secolo si afferma un paradosso proprio in riferimento ai diritti. Parallelamente alla proclamazione dei diritti universali dell’uomo le sfere dell’azione e della morale si rafforzano: alla prima corrispondono le attività politiche, economiche, il lavoro retribuito (la sfera pubblica), alla seconda la famiglia, gli affetti e il lavoro domestico (la sfera privata). La costruzione della sfera pubblica si caratterizza come ambito specifico dell’azione maschile, mentre la sfera privata è attribuita alle donne. Ciò si osserva come nuovo ordine sociale che individua nuovi ruoli: mentre agli uomini è riconosciuta una capacità precipua di affermazione economica e sociale, alle donne viene relegato il mantenimento dei legami familiari, la crescita dei figli e la cura delle persone della cerchia familiare18. Questa differenziazione si legge come separazione da parte delle donne e come complementarietà da parte degli uomini. Anche dal versante del diritto ciò si palesa come disposizioni di esclusione delle donne da attività riservate agli uomini: le donne non potevano partecipare al governo della nazione, non potevano votare ed essere votate. L’eguaglianza di fronte alla legge non si applica alle donne e il soggetto della Dichiarazione universale è maschio. L’esclusione delle donne dai diritti era giustificata dal pregiudizio di cui ci siamo già occupati in questo lavoro. Una prima esplicita dichiarazione dei diritti delle donne la ritroviamo nella Dichiarazione della donna e della cittadina di Olympe de Gouges nel 1791 che rivede al femminile la Dichiarazione del 1789 in piena Rivoluzione francese19. Le istanze della Gouges non ebbero alcun esito e lei stessa fu ghigliottinata. Cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, Einaudi, 2008. 18 Cfr. A. Facchi, Breve storia dei diritti umani, Bologna, il Mulino, 2007, pp. 62-70. 19 O. de Gouges, Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791), Genova, Il Nuovo Melangolo, 2007. Olympe de Gouges, scrittrice e attivista nella Francia rivoluzionaria, proponeva l’estensione dei diritti cosiddetti universali anche alle donne; 17 87 Il tema dell’esclusione poi è diventato centrale nella riflessione politica, in particolare dei movimenti di protesta che, soprattutto a partire dal secolo scorso, hanno dato luogo a contrapposizioni ideologiche attive, in via residuale, ancora oggi. Per spiegare le ragioni e le cause di un fenomeno così evidente e allarmante come l’esclusione sociale e l’emarginazione buona parte della sociologia e del dibattito politico ricorrono al concetto di classe sociale. Tuttavia, questo concetto non consente, di fatto, di trattare il problema in termini soddisfacenti e questo molto semplicemente perché è abbastanza difficile ricavare dall’esistenza degli esclusi qualsiasi forma di conflitto sociale (“lotta di classe”) importante o decisiva nella vita sociale globale20. La differenza tra classi o settori sociali, che è possibile osservare oggi, non descrive adeguatamente la struttura di questa società. Non solo non ci informa su ciò che le persone possono aspettarsi secondo la loro collocazione, ma manca soprattutto la possibilità empirica, non solo teorica, di leggere nel rapporto tra inclusione ed esclusione un segno tangibile della struttura della società moderna. È stato fatto notare soprattutto che il termine “inclusione” indica semplicemente la possibilità di partecipare alla vita sociale e, di conseguenza, stabilire relazioni “normali” di aspettative, cioè che ognuno dirige ad altri e che allo stesso tempo riceve da altri. Il tipo di relazioni sociali e di partecipazione nella vita sociale, ancora di più, è delegato alla decisione individuale intesa come “libertà”: «L’uniformità e la generalizzazione della struttura primaria che dà forma alla società è bilanciata dalla possibilità di differenziare senza limiti rilevanti i comportamenti e le traiettorie individuali»21. L’esclusione sociale oscura la visibilità delle persone, nel senso che interrompe la comunicazione, che impedisce la formazione di aspettative inoltre denunciava la necessità di una mobilitazione storica delle donne, di un impegno militante a favore della lotta di liberazione contro la tirannia maschile. Ispirandosi alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, ne rielaborò i principi di uguaglianza e libertà, di democrazia e giustizia in una prospettiva di genere, conferendo anche alle donne lo stato di diritto conquistato dagli uomini. 20 Cfr. G. Corsi, Redes de la exclusión, in F. Castañeda Sabido, A. Cuéllar Vàsquez, Redes de inclusión. La construcción social de la autoridad, cit., pp. 29-43. 21 Cfr. N. Luhmann, R. De Giorgi, Teoria della società, cit. «En el lado de la exclusión valen condiciones totalmente diferentes. La exclusión de un subsistema de esta sociedad hace probable la exclusión de los otros subsistemas»: G. Corsi, Redes de la exclusión, in F. Castañeda Sabido, A. Cuéllar Vàsquez, Redes de inclusión. La construcción social de la autoridad, cit., p. 30. 88 complesse, reciproche e riflessive. Anche se qui ci si riferisce a “individui” quando si parla di inclusione o esclusione, il livello concettuale su cui si deve porre l’accento è quello della comunicazione, non dell’individuo particolare22 . Non abbiamo parlato casualmente solo di persone e di aspettative per descrivere ciò che caratterizza la differenza inclusioneesclusione: “persone” intese come punti di riferimento al fine di costruire o negare le aspettative; “persone” intese come direzioni comunicative e non come individui (corpi più menti). D’altra parte, avrà ben poco senso includere o escludere i corpi o le coscienze; come tutti sanno se solo si considera l’esperienza personale, le coscienze restano sempre isolate, inaccessibili e inosservabili. Nessuno può accedere alla mente di un altro. Se diventa rilevante per la comunicazione, questo succede non nella pienezza della propria esperienza interiore, ma solo come luogo di condensazione di aspettative e di comportamenti che la confermano o la ignorano23. Naturalmente, essere esclusi o inclusi fa differenza anche per il singolo individuo, per la sua mente e per i suoi sentimenti. Però studiare il modo in cui ognuno può fare esperienza della propria situazione sociale non ci consentirebbe di comprendere come e perché questa società crea la differenza tra inclusione ed esclusione, e tanto meno quali possibilità di reazioni abbia la stessa a sua disposizione. Il problema dell’esclusione, così come il problema dell’inclusione, come abbiamo visto, quindi, deve essere posto in termini di strutture sociali e in particolare in termini di strutture della società moderna. Il motivo delle argomentazioni che seguono rappresentano la rinuncia a considerare la società come un sistema globale differenziato al suo interno nel senso gerarchico o regionale (paesi ricchi/paesi poveri, contesti globali/contesti locali, ecc.) Il fenomeno dell’esclusione non è certamente nuovo, ogni società lo ha conosciuto, in un modo o nell’altro. Oggi di nuovo c’è la sorpresa, il meravigliarsi e indignarsi dell’opinione pubblica, vale a dire l’auto-osservazione della società. È chiaro che le forme di controllo sociale e di elaborazione semantica che guidavano la società pre-moderna non ci aiutano più, come accennato. I ghetti, le carceri, gli ospedali, l’esercito e le altre E meno ancora quello di “soggetto” o “mondo della vita”. A partire dall’idea che la società sia un insieme di individui che probabilmente nasce l’altra idea che vede l’inclusione come sinonimo di integrazione sociale. 22 23 89 istituzioni “totali” che fornivano un luogo sociale agli esclusi, oggi sono considerati periodi di passaggio o di preludio al reinserimento. Lo status sociale, d’altra parte, l’invenzione tipica della modernità, si muove in questa direzione24. Del resto, tali istituzioni ricalcavano al loro interno la struttura della società globale e la differenza tra un ufficiale e un soldato era sempre e in ogni caso, anche una differenza di dignità, piuttosto che di grado. Ovviamente, oggi differenze di questo genere sono scomparse. Non è più possibile costruire le strutture sociali e ancor meno le organizzazioni formali a partire dalla posizione sociale degli interlocutori. La differenza tra inclusione ed esclusione non appartiene ad alcun ordine sociale, non ha alcuna corrispondenza con la struttura della società, e questo è uno dei motivi che rendono del tutto fuori luogo studiare il fenomeno a partire da rappresentazioni legate alla stratificazione o alla logica del dominio25. Al posto della preselezione di potenziali contatti sociali propri della società pre-moderna è subentrata una sorta di delega della responsabilità26 delle finalità a privati; ma questa nuova differenza ha portato alla genesi di differenze paradossalmente più scandalose delle precedenti. La società è, pertanto, costretta a riflettere sulla questione dell’esclusione proprio perché è di fronte a un fenomeno che essa stessa genera, che si rigenera contemporaneamente con i tentativi di limitarlo o eliminarlo, che non ha una giustificazione o una causa. La drammaticità dell’esclusione e il disagio che genera nascono dall’impossibilità di trattare il problema con schemi di causa chiari e nitidi, che consentano, quindi, di pianificare azioni di intervento27. A questa impotenza, la società reagisce con i suoi sottosistemi i quali, a loro volta e in modi ovviamente diversi, a seconda del caso, sviluppano programmi di intervento e specifiche forme semantiche. G. Corsi, Redes de la exclusión, cit., p. 32. Ivi, p. 33. 26 Certamente non dalla prospettiva della teoria dei sistemi, H. Jonas riflette sul “principio responsabilità”, collocandosi tra il “principio speranza” di Ernest Block e il “principio disperazione” di Günther Anders nel tentativo di coniugare etica universalistica e realismo politico in un modello unitario. Cfr. H. Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, Einaudi, 2002. 27 Vedi il fallimento delle politiche di pianificazione applicate al Sud d’Italia. 24 25 90 In politica si sviluppano programmi basandosi sul contrasto tra Stato sociale allargato o ristretto. Le radici ideologiche delle due posizioni sono facili da riconoscere e, legate idealmente, di fronte alla questione della esclusione non differiscono molto, mentre sono indicati, ovviamente, come i mezzi per raggiungere l’obiettivo dell’inclusione. Per le donne in politica si inventano le quote rosa. Le esperienze maturate in questo inizio di secolo, tuttavia, registrano un certo scetticismo, in relazione a possibilità di reale inclusione attraverso questo espediente. In ogni caso il problema si ripropone continuamente e alle aspettative di ogni nuovo corso politico subentra la delusione di fronte a una realtà che cambia, pur rimanendo uguale allo stesso tempo, e ancora senza soluzione. 91 Capitolo III Donne e politica: cittadinanza, rappresentanza, e-democracy Rossella Bufano 3.1. Cittadinanza politica e genere Il passaggio dalla condizione di suddito a quella di cittadino è sancito in Europa dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Il suddito di Thomas Hobbes1 non poteva né sottoporre a giudizio, né contestare alcuna decisione del monarca. Quest’ultimo deteneva la sovranità, ovvero la legittimità e il potere di decidere per la comunità, di fare e disfare le leggi a proprio piacimento. Il popolo poteva ribellarsi in un’unica circostanza, quando il sovrano si rivelava incapace di garantirne la sicurezza. Infatti, proprio allo scopo di assicurarsi una convivenza pacifica, gli individui si erano associati, attraverso un patto d’unione che vincolava tutti coloro che lo avevano sottoscritto, e avevano rinunciato a tutti i propri diritti, cedendoli al sovrano, attraverso un patto di soggezione. Con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino la sovranità (l’autorità suprema, il potere di trasformare il potere di fatto in potere di diritto2) è, e rimane, del popolo, come avevano già teorizzato John Locke3 e Jean-Jacques Rousseau4, il primo introducendo il principio di libertà e il secondo quello di uguaglianza. Infatti, l’art. 3 della Dichiarazione dei diritti recita: «Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente Cfr. T. Hobbes, Leviatano (1651), trad. it., Roma, Editori Riuniti, 2005. Cfr. N. Matteucci, voce «Sovranità», in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino (a cura di), Dizionario di politica, Torino, UTET, 1976, pp. 973-981. 3 Cfr. J. Locke, Due trattati sul governo (1690), trad. it., Torino, UTET, 2010. 4 Cfr. J. -J. Rousseau, Il contratto sociale (1762), trad. it., Torino, Einaudi, 2005. 1 2 93 nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani direttamente da essa»5. Di conseguenza, «la Legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione»6 (art. 6). Poiché, come stabilisce l’art. 1: «Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti»7. La cittadinanza, dunque, è espressione della democrazia, ovvero del potere del popolo8. Consiste nell’esercizio della sovranità e nella titolarità di diritti e doveri in quanto membri di una comunità politica. Con Thomas Humphrey Marshall9, nel secolo scorso, la cittadinanza si arricchisce di diritti, comprendendo accanto a quelli politici (partecipare all’esercizio del potere) e civili (libertà individuale: di pensiero, di parola, di fede, ecc.), anche quelli sociali che vanno dal diritto alla garanzia minima di benessere e di sicurezza economici a tutti quei diritti che consentono di «vivere la vita di persona civile»10 che oggi sono rappresentati dal welfare state (lavoro, cure mediche, istruzione, ecc.). La cittadinanza è una categoria fondamentale per la concezione della democrazia, come afferma Danilo Zolo11. Per questo motivo molti studiosi l’hanno analizzata e hanno cercato di definirne le peculiarità. Ma, come ricorda Marisa Forcina, è anche una «nozione problematica»12 , infatti, c’è chi vi attribuisce il significato di appartenenza come Marshall13, Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, 28 agosto 1789, testo consultabile online sul sito dell’Università degli Studi di Messina: <http://www.unime.it/ didattica/donnepolitica_ primaedizione/materialedidattico/romano16112007/ Dichiarazione%20francese%201789.pdf>. 6 Ibidem. 7 Ibidem. 8 Cfr. N. Bobbio, voce «Democrazia» in G. Zaccaria (a cura di), Lessico della politica, Roma, Edizioni Lavoro, 1987, pp. 160-170. 9 T. H. Marshall, Cittadinanza e classe sociale (1964), trad. it., Torino, UTET, 1976. 10 Ivi, p. 9. 11 Cfr. D. Zolo, La strategia della cittadinanza, in D. Zolo (a cura di), Cittadinanza, appartenenza, identità, diritti, Roma-Bari, Laterza, 1994. 12 M. Forcina, Una cittadinanza di altro genere. Discorso su un’idea politica e la sua storia, Milano, FrancoAngeli, 2003, p. 8, cfr. anche pp. 7-11. 13 T. H. Marshall, Cittadinanza e classe sociale, cit. 5 94 oppure di status capace di garantire libertà e uguaglianza come Norberto Bobbio14 e Zolo15, chi ritiene che la cittadinanza esprima una modalità di organizzazione delle relazioni sociali come Niklas Luhmann16 oppure che sia un attributo giuridico che tutela ed esclude come Salvatore Veca17 o, ancora, chi vi vede la possibilità di costruire una società civile mondiale come Ralf Dahrendorf18. Di certo senza cittadinanza si parla di democrazia incompiuta, ed è per questo che la questione femminile è dirimente per la democrazia. Ma proprio le donne, come sottolinea Forcina19, vengono regolarmente escluse dalla cittadinanza, sin dalle sue prime elaborazioni, o per principio o di fatto. La nozione di cittadinanza in Occidente, infatti, come evidenzia Annarita Buttafuoco20, non è ininfluente sulla costruzione dei rapporti nella società e sul ruolo attribuito alle donne, ma «è strettamente legata alla definizione sociale del maschile e del femminile e alla conseguente attribuzione degli ambiti di intervento “appropriati” per gli uomini e per le donne»21, dando vita «a una struttura gerarchica della società basata sulla supremazia simbolica, oltre che sociale e politica, degli uni sulle altre»22 . La cittadinanza necessita della legittimazione, cioè del riconoscimento giuridico, che definisca diritti e doveri a garanzia della democrazia, eppure proprio le donne con la loro storia hanno dimostrato che la cittadinanza è possibile anche “prima” della sua legittimazione, perché essa è innanzitutto “consapevolezza” e “pratica politica” e che senza queste, la cittadinanza rimane un vuoto contenitore di astratte possibilità. N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990. D. Zolo, La strategia della cittadinanza, cit. 16 N. Luhmann, Illuminismo sociologico, trad. it., Milano, il Saggiatore, 1983. 17 S. Veca, Cittadinanza. Riflessioni filosofiche sull’idea di emancipazione, Milano, Feltrinelli, 1990. 18 R. Dahrendorf, Il conflitto sociale nella modernità. Saggio sulla politica della libertà, trad. it., Roma-Bari, Laterza, 1989. 19 Cfr. M. Forcina, Una cittadinanza di altro genere, cit., p. 9. 20 A. Buttafuoco, Questioni di cittadinanza. Donne e diritti sociali nell’Italia liberale, Siena, Protagon Editori, 1997. 21 Ivi, p. 11. 22 Ibidem. 14 15 95 3.1.1. L’esclusione delle donne dalla cittadinanza politica Negli anni Novanta del secolo scorso, in particolare in occasione del cinquantenario del diritto di voto alle donne italiane23 e del bicentenario della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791) di Olympe de Gouges, molte studiose (storiche, filosofe, politologhe, sociologhe) si interrogano sui motivi per cui la percentuale di elette in parlamento è la stessa di cinquant’anni prima e il diritto di voto ha un riscontro così vago nella coscienza individuale e collettiva. Cercano di capire quale rideterminazione della politica e allo stesso tempo dell’identità femminile è scaturita dall’esercizio del diritto di voto e da cosa ha origine la problematicità che da sempre accompagna il rapporto delle donne con la politica (cittadinanza e rappresentanza). Si interrogano anche sul perché il Risorgimento diventa un’occasione mancata per la conquista della cittadinanza da parte delle italiane e la Resistenza con la nascita della Repubblica un’occasione mancata per la loro piena integrazione in ogni settore della vita civile e politica della nazione24. La ricerca delle risposte dà nuova linfa agli studi di genere avviati negli anni Sessanta e sviluppatisi con il femminismo25. Si punta l’attenzione sulla storia politica delle donne sin dalla Rivoluzione francese (e dagli anni precedenti l’Unità Il diritto di voto alle italiane viene riconosciuto con il decreto De Gasperi-Togliatti, emanato il 1° febbraio 1945. Le donne sono chiamate alle urne per la prima volta il 2 giugno 1946, per designare i componenti dell’Assemblea costituente (al cui interno vengono elette ventuno donne, il 3,7% del totale), incaricata di redigere la nuova Carta costituzionale, e per scegliere tra monarchia e repubblica. 24 Cfr. A. Finocchiaro, Prefazione, in M. A. Selvaggio (a cura di), Desiderio e diritto di cittadinanza. Le italiane e il voto, Palermo, La Luna, 1997, pp. 7, 8; M. A. Selvaggio, ivi, pp. 9, 10. 25 Le ricerche pionieristiche sulla storia politica delle donne risalgono al 1963, svolte da Franca Pieroni Bortolotti e Paola Gaiotti De Biase. Alla prima si deve il merito di aver riscattato la visibilità delle donne nella storia politica italiana del secolo scorso, delineando la transizione dalla fase emancipazionista a quella femminista, recuperando la figura di Anna Maria Mozzoni, analizzando il rapporto socialismo-questione femminile. Gaiotti De Biase ha esaminato in particolare gli elementi di convergenza tra femminismo laico e femminismo cristiano, sottolineando il ruolo di quest’ultimo nelle battaglie per l’istruzione, per la tutela del lavoro e il riconoscimento sociale della maternità. Tra gli anni Settanta e Ottanta – accanto ai preponderanti studi di genere sul ruolo economico e produttivo della donna, delle scelte nuziali e procreative e delle opzioni educative –, si avviano le ricerche inerenti la conquista dei diritti civili e poli23 96 d’Italia) e, soprattutto, si riconcettualizza la definizione e la storia della cittadinanza26. Si indaga, inoltre, un filone di pensiero politico femminile fino ad allora ignorato27. Una riflessione ulteriormente stimolata dal centocinquantenario dell’Unità e ancor ora oggi in fieri, perché quelle domande, a distanza di vent’anni, si ripropongono attuali. Gli studi di genere giungono a una conclusione: nel momento in cui nell’Occidente europeo gli uomini da sudditi diventano cittadini, le donne (seppur definite cittadine) vengono escluse dalla cittadinanza politica in virtù della loro differenza sessuale, delineandosi così un modello di cittadinanza che rimane inalterato per quasi due secoli. I diritti sanciti dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino vengono presentati come universali, ma nel loro concreto riconoscimento, quelli politici tici e i dibattiti parlamentari relativi al suffragio politico e amministrativo femminile, che si sviluppano dagli anni Novanta in poi. 26 Si indicano solo alcuni studi: A. Buttafuoco, Vuoti di memoria. Sulla storiografia politica in Italia, in «Memoria», n. 31, 1991; D. Gagliani, M. Salvati (a cura di), La sfera pubblica femminile: percorsi di storia delle donne in età contemporanea, Bologna, Clueb, 1992; G. Bonacchi, A. Groppi (a cura di), Il dilemma della cittadinanza. Diritti e doveri delle donne, Bari, Laterza, 1993; L. Pisano, C. Veauvy, Parole inascoltate. Le donne e la costruzione dello Stato-nazione in Italia e in Francia, 17891860, Roma, Editori Riuniti, 1994; A. Rossi-Doria, Diventare cittadine. Il voto alle donne in Italia, Firenze, Giunti, 1996; F. Taricone, M. De Leo (a cura di), Elettrici ed elette. Storia, testimonianze e riflessioni a cinquant’anni dal voto alle donne, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1996; M. A. Selvaggio (a cura di), Desiderio e diritto di cittadinanza, cit.; A. Buttafuoco, Questioni di cittadinanza, cit.; D. Dell’Orco (a cura di), Oltre il suffragio, il problema della cittadinanza nella storia e nella politica delle donne, Modena, Biblioteca della Casa delle donne, 1997. Fino agli studi più recenti tra i quali si segnalano quelli di Marisa Forcina che ha scritto tra gli altri: Una cittadinanza di altro genere, cit.; Rappresentazioni politiche della differenza, Milano, FrancoAngeli, 2009. 27 Si rinvia in particolare agli studi di Ginevra Conti Odorisio a partire dal testo Storia dell’idea femminista in Italia, Torino, Eri, 1980, fino al recente Ragione e tradizione. La questione femminile nel pensiero politico, Roma, Aracne, 2005 e agli studi di Fiorenza Taricone, in particolare sull’associazionismo femminile, Per una storia dell’associazionismo femminile italiano dall’unità al fascismo, Milano, Unicopli, 1996; Teoria e prassi dell’associazionismo italiano nel XIX e XX secolo, Cassino, Edizioni scientifiche d’Ateneo, 2003. Si segnalano anche il manuale di Taricone, Elementi di storia delle dottrine politiche, Marina di Minturno, Caramanica, 2006, che dedica ampio spazio al pensiero e alla questione femminile e l’antologia del pensiero politico femminile di Conti Odorisio e Taricone, Per filo e per segno. Antologia di testi politici sulla questione femminile dal XVII al XIX secolo, Torino, Giappichelli, 2008. 97 vengono riservati solo agli uomini28. Nei dibattiti che si svolgono nelle assemblee e sui giornali dell’epoca, infatti, si stabilisce che in virtù della naturale differenza tra uomini e donne, quest’ultime non possono occuparsi del governo della cosa pubblica poiché sono nate per le virtù e per le cure domestiche29. Come afferma Angela Groppi30, i padri teorici della cittadinanza, col pretesto della loro appartenenza alla comunità familiare, soprattutto in quanto mogli e madri, le escludono dal potere politico e, quindi, dall’essere pienamente cittadine. Tale esclusione e la distinzione donna/uomo-cittadino, precisa Chiara Saraceno31, sono funzionali agli interessi della famiglia perché questi confliggono con quelli individuali della donna, mentre il ruolo che le viene attribuito li preserva. Olympe de Gouges replica alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino nel 1791 con la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, rivendicando «la compresenza politica e sociale di uomini e donne e un’eguale dignità per i due sessi»32 . Infatti, l’art. 2 recita: «Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili della Donna e dell’Uomo»33; e l’art. 3: «Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione, che è l’unione della Donna e dell’Uomo»34. Mentre la “differenza” viene utilizzata dagli uomini a scapito delle donne, per confinarle nella sfera privata e impedirne L’idea di un falso universalismo è già presente nel pensiero politico suffragista che si sviluppa dalla metà dell’Ottocento alla prima guerra mondiale. Cfr. A. Rossi-Doria, La libertà delle donne. Voci della tradizione politica suffragista, Torino, Rosenberg & Sellier, 1990. 29 Cfr. A. Groppi, Le radici di un problema, in G. Bonacchi, A. Groppi (a cura di), Il dilemma della cittadinanza, cit., pp. 3-15. L’autrice riporta brani tratti da discorsi assembleari e da giornali dell’epoca nei quali si afferma il concetto della differenza naturale dei due sessi che destina la donna alle attività di cura e la esclude dal governo. 30 Cfr. ivi, p. 7. «Va sottolineato come l’enfasi sulla sfera familiare come luogo della cura sia essenziale alla definizione della sfera pubblica come luogo del potere»: ivi, p. 8. 31 C. Saraceno, La dipendenza costruita e l’interdipendenza negata. Strutture di genere della cittadinanza, in G. Bonacchi, A. Groppi (a cura di), Il dilemma della cittadinanza, cit., pp. 166-172. 32 A. Groppi, Le radici di un problema, cit., p. 4. 33 O. de Gouges, Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1792), consultabile online sul sito della Consigliera di Parità di Roma: <http://www. consiglieraparitaroma.it/public/files/De%20Gouges%20stralci%20della%20 Dichiarazione%20dei%20diritti%20delle%20donne.pdf>. 34 Ibidem. 28 98 l’accesso alle cariche politiche, «il soggetto femminile vuole affiancarsi a quello maschile e non obliterarlo nel momento in cui afferma le sue specificità»35. A confermare l’estromissione delle donne dalla cittadinanza politica è la Costituzione francese del 1791 che attribuisce la qualifica di cittadino a chi è maggiorenne, con un reddito, indipendente economicamente e giuridicamente e capace di portare le armi. Forcina36 sottolinea come, oltre all’indipendenza economica e giuridica, l’esclusione è sottolineata dalla inadeguatezza a portare le armi. Per Buttafuoco37 più che in questo requisito (durante la Rivoluzione le donne contribuiscono anche combattendo con le armi) o in quello dell’indipendenza economica (altrettanto possibile), l’ostacolo è rappresentato dall’indipendenza giuridica, perché le donne non sono “individui” (dipendono dal padre o dal marito) e, pertanto, non possono essere titolari del diritto di cittadinanza. È vero che successivamente c’è un’apertura ai diritti civili femminili, nel 1792 viene istituito il divorzio e nel primo progetto del Codice civile francese del 1793 si prevedono l’abolizione della patria potestà e della potestà maritale, la comunione dei beni tra i coniugi e il divorzio già istituito. Ma è anche vero che comparando le qualità dell’elettore e la condizione femminile, emergono i due elementi (evidenziati dalle due studiose), cioè il dato fisico, biologico e la mancanza di individualità, che nel corso della storia del diritto di voto (soprattutto delle italiane), vengono costantemente utilizzati come pretesti per sostenere l’incapacità della donna a essere cittadina elettrice ed eleggibile. La risposta femminile alla estromissione dal potere politico arriva attraverso una serie di pratiche che attesta la volontà di essere parte del popolo sovrano: presenza nei cortei, nelle assemblee, apertura di club, richiesta di portare le armi38. Il diritto è inteso dalle donne come l’acquisizione di ciò che è dovuto in virtù di un patto e della dignità della persona, ma è anche connesso «all’assolvimento di un ruolo morale e alla realizzazione di un contributo sociale di pubblica utilità»39. Le donne puntualmente, A. Groppi, Le radici di un problema, cit., p. 5. M. Forcina, Una cittadinanza di altro genere, cit., p. 132. 37 Cfr. A. Buttafuoco, Questioni di cittadinanza, cit., pp. 13, 14. 38 Cfr. V. Fiorino, Essere cittadine francesi: una riflessione sui principi dell’89, in G. Bonacchi, A. Groppi (a cura di), Il dilemma della cittadinanza, cit., pp. 67, 68. 39 Ivi, p. 67. 35 36 99 pur non essendo “legittimate” alla cittadinanza, la “praticano” attraverso un’azione incisiva e costante nella società, animate dalla consapevolezza dei propri diritti e da un forte senso del dovere nei confronti della comunità politica. 3.1.2. Sfera privata e sfera pubblica Le ragioni del ruolo subordinato della donna nella sfera politica, come afferma Raffaella Baritono40, devono essere rintracciate in quella divisione, che si ritrova già nel pensiero greco classico, fra la sfera privata e quella pubblica, ovvero fra corpo e ragione, il primo ascrivibile alla donna, la seconda all’uomo. Secondo i filosofi greci le donne, a causa della differenza biologica e della loro funzione riproduttiva, non sono in grado di costituirsi come soggetto autonomo nella polis. Ancor più, come sottolinea Forcina, mentre il manifestarsi in pubblico assume valore positivo, perché immette nella pratica della libertà, il privato si connota come “mancanza”, perché risponde alle categorie della necessità e del bisogno41. Una mancanza che diventa “assenza”, “non riconoscimento” della donna e del suo agire politico. Il privato femminile, infatti, continua a essere considerato tale anche quando, con il capitalismo e la democrazia moderna, il privato diventa politico42 . Basti pensare che tutta l’attività svolta dalle donne nell’800 e nel ’900 è stata considerata per molto tempo “filantropia”, spogliandola della sua valenza politica43. Eppure le donne R. Baritono, I movimenti delle donne, in P. Pombeni, Introduzione alla storia contemporanea, Bologna, il Mulino, 2000, pp. 159, 160. 41 M. Forcina, Rappresentazioni politiche della differenza, cit., p. 71. 42 «Al contrario degli antichi, che non avrebbero mai intravisto un nesso tra vita privata, denominata idiota, e vita politica, noi moderni assistiamo a un primato del privato: privati sono gli strumenti di produzione, privati i capitali, private le scelte di vita, e non ci stupisce affatto che tutto ciò incida fortemente sulla politica, al punto da condizionarla, persino. E tuttavia, ancora, il privato femminile, dove centrale è, per esempio, il lavoro di cura, non è ancora considerato politicamente; anzi, si arriva al paradosso di considerare quel preciso lavoro come un non-lavoro a tutti gli effetti»: M. Forcina, Una cittadinanza di altro genere, cit., p. 22. 43 E. Scaramuzza, Dalle madri della patria alla cittadinanza sociale. Il caso lombardo, relazione presentata a Cantieri di Storia III, Bologna, 22-24 settembre 2005, p. 16, disponibile online: <http://www.sissco.it/fileadmin/user_upload/Attivita/ 40 100 si adoperano negli ambiti più vari. Come ricorda Fiorenza Taricone44, le iniziative femminili legate al movimento associativo sono imponenti. Le donne si impegnano nella gestione di case benefiche per derelitti di ambo i sessi, per l’educazione e per l’istruzione professionale della donna. Operano in ogni tipo di comitato, da quello pro-voto a quello parrocchiale, a quello costituito in occasione di grandi calamità naturali (terremoti, epidemie, inondazioni). Le donne si battono per la diffusione di buoni scritti e contro la “mala stampa”, contro l’alcolismo, per la diffusione dei principi malthusiani per il controllo delle nascite, contro la prostituzione, per il riconoscimento della paternità e per tante altre cose. La loro è un’azione politica improntata sulla cura, sulla relazione, sulla rete sia con le altre donne che con gli uomini e lo strumento fondamentale di educazione e pratica della cittadinanza è proprio l’associazionismo femminile, rimasto ignoto fino a quando non si sono sviluppati i relativi studi, soprattutto ad opera di Taricone45. L’associazionismo ha significato per le donne una rivoluzione mentale, la presa di coscienza di essere soggetto politico e di aver bisogno di uno spazio diverso da quello privato. Tuttavia, come sottolinea Ginevra Conti Odorisio46, la storiografia “politica” ha considerato a lungo le associazioni femminili “apolitiche” e, di conseguenza, è rimasta in ombra la battaglia per il voto e la cittadinanza, condotta per l’appunto da numerose associazioni. Ma, come affermano le studiose di genere, la questione femminile è parte integrante del processo dei paesi europei verso la democrazia. La storia e la storia politica sono parziali e riduttive senza la conoscenza e il riconoscimento dell’azione politica delle donne che pur esplicandosi al di fuori delle istituzioni, inConvegni/cantieriIII/famiglia_genere_nazione/Scaramuzza.pdf> (questo e tutti i link successivi indicati in questo saggio sono stati consultati l’ultima volta a gennaio 2013). 44 F. Taricone, Teoria e prassi dell’associazionismo italiano nel XIX e XX secolo, cit., p. 34. 45 Oltre ai testi già citati, tra i tanti sul tema cfr. anche F. Taricone: Associazionismo femminile e diritto di voto: rivendicazione, concessione, dovere, in M. A. Selvaggio (a cura di), Desiderio e diritto di cittadinanza, cit.; L’associazionismo femminile tra esiti politici e negazioni istituzionali, in M. Forcina (a cura di), Reti di sapere e di luoghi delle donne, Galatina, Panico, 2003. 46 Cfr. G. Conti Odorisio, Prefazione, in F. Taricone, Il Centro Italiano Femminile. Dalle origini agli anni Settanta, Milano, FrancoAngeli, 2001, pp. 7, 8. 101 cide profondamente sulla crescita della comunità politica e sulle trasformazioni istituzionali. 3.1.3. Il divieto di accesso all’individualità e la maternità Sin dalle prime riforme elettorali inglesi, l’esclusione delle donne dai diritti politici appare, osservano Buttafuoco e Anna Rossi-Doria47, legata al divieto di accesso alla individualità. Le donne, infatti, risultano prive delle due qualità essenziali che definiscono, a partire dal pensiero politico del ’600 e del ’700, il moderno concetto di individuo: l’indipendenza e il possesso della propria persona. Un’assenza radicale nelle donne sposate, soggette all’autorizzazione maritale, che restano prive di diritti civili fino alla fine dell’800 o ai primi del ’900. Infatti molti progetti di legge sul voto amministrativo femminile, proposti in questo periodo, riguardano solo le nubili e le vedove. Ma già i padri dei fondamenti democratici (Bodin per la sovranità, Locke per il liberalismo, Rousseau per la democrazia) teorizzano la soggezione e l’inferiorità della donna48. Bodin49 la esclude dalla sfera pubblica per la sua incapacità di ragionare e stabilisce che le donne devono «essere tenute lontane da tutte le magistrature, i luoghi di comando, i giudizi, le assemblee pubbliche e i consigli, dedite solo alle faccende donnesche e domestiche»50. Locke51, che sancisce il principio della libertà, non riesce a sciogliere la questione della subordinazione femminile nella famiglia. Il privato, a suo avviso, «è il potere che ogni marito ha di regolare nella sua famiglia le cose che sono di interesse privato, e di far precedere la propria volontà a quella della moglie in tutto ciò che è di loro comune Cfr. A. Buttafuoco, Questioni di cittadinanza, cit., pp. 13-17; A. Rossi-Doria, L’avvento del voto alle donne in Italia, in M. A. Selvaggio (a cura di), Desiderio e diritto di cittadinanza, cit., pp. 27-30; Ead., Diventare cittadine, cit., pp. 7-10. Cfr. anche R. Baritono, I movimenti delle donne, cit., pp. 159, 160. 48 Cfr. F. Taricone, Elementi di storia delle dottrine politiche, cit., che analizza per ciascun pensatore la posizione assunta in merito alla questione femminile; M. P. Paternò, Donne e diritti. Percorsi della politica dal Seicento a oggi, Roma, Carocci, 2012. 49 J. Bodin, I sei libri dello Stato (1583), trad. it., Torino, UTET, 1964. 50 G. Conti Odorisio, Famiglia e Stato nella “République” di Jean Bodin, Torino, Giappichelli, 1999, p. 125. 51 Cfr. J. Locke, Due trattati sul governo (1690), cit. 47 102 interesse»52 . Rousseau, che introduce l’uguaglianza, nell’Emilio53 disconosce quella dei sessi e codifica l’inferiorità femminile, quasi fosse necessario suffragarla nel momento in cui l’universalismo illuministico sembrerebbe metterla in discussione54. Per Rousseau è disdicevole che la donna abbia una cultura elevata, la sua istruzione deve essere limitata a tutto ciò che è funzionale alle esigenze del marito e all’educazione dei figli. Come afferma Rossi-Doria, «l’elemento nuovo che connota la definizione moderna di esclusione delle donne dalla individualità e quindi dalla cittadinanza, è, da Rousseau in poi, la maternità»55. Tanto che si può affermare che il femminismo «nasca e cresca come risposta a questa definizione, di cui rifiuta le alternative, in primo luogo quella tra uguaglianza (essere individui e cittadini) e differenza (essere madri)»56. È, infatti, l’unione di universalismo e specificità femminile, a connotare, secondo la studiosa, sia la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina della de Gouges che Sui diritti delle donne di Mary Wollstonecraft57, (con cui l’autrice replica proprio a Rousseau sostenendo che la diversità delle donne che ne impedisce l’accesso alla cittadinanza non è naturale ma il risultato dell’educazione che le viene imposta dall’uomo). Il valore simbolico del voto per le donne, dunque, si traduce nei vari tentativi di ridefinire nel contempo l’identità femminile e la politica proprio attraverso la valorizzazione dei ruoli domestici e materni, gli stessi che, invece, inducono gli uomini a estrometterle dalla politica nelle diverse epoche storiche. 3.1.4. Madre-cittadina e maternità sociale Come si è detto, un’occasione mancata per la cittadinanza femminile italiana risulta quella risorgimentale. Una delle cause va rintracciata nella culM. Forcina, Rappresentazioni politiche della differenza, cit., p. 74. J. -J. Rousseau, Emilio (1762), Bari, Laterza, 2006. 54 Cfr. A. Rossi-Doria, Rappresentare un corpo. Individualità e «anima collettiva» nelle lotte per il suffragio, in G. Bonacchi, A. Groppi (a cura di), Il dilemma della cittadinanza, cit., pp. 91-92. 55 Ivi, p. 93. 56 Ibidem. 57 M. Wollstonecraft, Sui diritti delle donne (1792), Milano, RCS, 2010. 52 53 103 tura dominante dell’800, dalla filosofia cattolica al positivismo, che contribuisce ad affermare l’idea che la donna è inadeguata agli affari di stato. La filosofia cattolica argomenta la subordinazione femminile assegnando alla donna tutte quelle prerogative (timidezza, dolcezza, debolezza, pazienza) che la rendono idonea a ubbidire all’uomo, al quale invece vengono attribuite tutte quelle qualità (coraggio, forza, stabilità mentale) che lo rendono adeguato a comandare58. Riproponendo quanto aveva già affermato Aristotele, si conferma la diversa funzione dei generi. Anche quando si ravvisa una parità morale, se non addirittura si riconosce la superiorità di quella femminile, tanto da essere considerata fondamento del rinnovamento etico e politico del paese, questo riconoscimento è sempre finalizzato a confinare la donna nella sfera privata. Infatti, in quanto depositaria della morale familiare e istitutrice ed esempio per i figli, è nella famiglia che può e deve esplicare questa messianica funzione59. Con il positivismo, dall’antropologo Paolo Mantegazza60 ai criminologi Cesare Lombroso e Guglielmo Ferrero61, per citarne alcuni, si sostiene la tesi che la donna è fisicamente e mentalmente più debole rispetto all’uomo, non ha alcuna capacità artistica o professionale ed è incline all’impulsività, all’instabilità, alla menzogna, alla frivolezza, alla vendetta. Tutte caratteristiche che riconfermano l’inadeguatezza della donna alla cittadinanza e che incidono sulla sua rinnovata esclusione dalla politica nonostante il contributo apportato alla nascita dello stato nazione. D’altro canto la liquidazione della donna dalla sfera pubblica italiana è favorita dal mito della madre-cittadina che si afferma durante il Risorgimento e mette in ombra il ruolo politico attivo svolto dalle donne. La madre-cittadina risorgimentale per eccellenza è Adelaide Bono-Cairoli e rappresenta la patriota che istruisce i propri figli all’amore e al sacrificio per la patria e che accetta eroicamente di perderli sui campi di battaglia in nome dell’unità italiana62 . Cfr. A. Rosmini, Filosofia del diritto, Napoli, Batelli, 1845. Cfr. M. P. Paternò, Donne e diritti, cit., pp. 108-115. 60 P. Mantegazza, Fisiologia della donna, Milano, Treves, 1893. 61 C. Lombroso, G. Ferrero, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale (1893), Varesina, Etal, 2009. 62 Sul tema della madre-cittadina cfr. tra gli altri: A. Tafuro, Madre e patriota. Adelaide Bono Cairoli, Firenze, Firenze University Press, 2011; E. Scaramuzza, Dalle madri della patria alla cittadinanza sociale, cit.; M. Forcina, Una cittadinanza di 58 59 104 La maternità, quindi, viene nuovamente utilizzata per ostacolare la presenza femminile nel “politico”, attribuendole il significato di genitrice. Questo si verifica quando le donne cercano di trasformare proprio la maternità in una specificità che ne legittimi maggiormente l’ambizione di essere cittadine63, sia rielaborando il concetto e arricchendolo di significato politico, sia attraverso la pratica della maternità sociale, cioè trasferendo in ambito sociale tutte quelle attività di cura tipiche della sfera privata, che nel ’900 si configurano come welfare state. Durante il Risorgimento, infatti, l’esclusione della donna dalla vita pubblica viene aggirata attraverso la partecipazione delle patriote, di tutte le classi sociali, a vario titolo: animando salotti, promuovendo iniziative, scrivendo su giornali, fondando scuole, dedicandosi all’assistenza di donne, bambini e bisognosi in genere, raccogliendo fondi, facendo da messaggere, partecipando alle operazioni belliche e sanitarie. «Compiti domestici e compiti sociali, affetti e politica coesistevano, favorendo la consapevolezza, da parte di migliaia di donne coinvolte delle proprie abilità e del valore del proprio contributo alla costruzione della nazione»64. Si ha così, come sostiene Emma Scaramuzza65, una domestication of politics, una politica delle donne che rompe la cesura tra spazio pubblico e privato e determina una commistione tra i due. La pratica femminile della cittadinanza assegna un significato politico al lavoro di cura che, trasferito nella sfera pubblica, si trasforma in intervento a beneficio della nazione e delle fasce più deboli, i poveri, le donne, i bambini. Un’azione reticolare di genere che, pur essendo informale, determina cambiamenti sia sociali che politici. Fondamentale è l’influenza del mazzinianesimo che rifiuta ogni forma di contrapposizione sia tra generi che tra ceti, riconosce dignità alla donna come madre e come cittadina, sostiene l’uguaglianza tra donne e uomini nei diritti e nei doveri (tra i quali vi sono quelli di adoperarsi per il progresso dello stato e dell’umanità)66. altro genere, cit., pp. 132, 133; «Genesis», Patrie e appartenenze, 1/1, 2002; F. Taricone, Una ragnatela concettuale, cit., p. 57. 63 Cfr. tra gli altri A. Buttafuoco, Questioni di cittadinanza, cit., pp. 12-13. 64 E. Scaramuzza, Dalle madri della patria alla cittadinanza sociale, cit., p. 3. 65 Cfr. ivi, p. 2. 66 Cfr. G. Mazzini, Dei doveri dell’uomo, in Id., Scritti editi e inediti, Edizione Nazionale, Imola, Cooperativa Tipografico-editrice Paolo Galeati, 1906-1961, LXIX, e tra gli altri: F. Taricone, Teoria e prassi dell’associazionismo italiano nel XIX e XX secolo, 105 Ciò avviene anche per tutto l’800 e la prima metà del ’900. Le donne pur non essendo ancora cittadine, cioè riconosciute come titolari di diritti e doveri politici, partecipano ugualmente alla sovranità, all’azione politica, mettendo in campo le loro competenze a disposizione prima della patria e poi dello stato. La donna risorgimentale italiana, dunque, non è solo la madre che sacrifica i figli alla patria, ma è una donna che si mette in gioco, che partecipa attivamente alla costruzione della nazione. Sono le emancipazioniste dell’Italia post-unitaria a riconoscere alla madre-cittadina questa valenza più ampia. Per loro la funzione materna va oltre quella meramente biologica e diventa culturale e spirituale, assumendo un duplice significato. Da un lato le donne del Risorgimento diventano le “madri simboliche”, guida e memoria collettiva67 per le giovani donne che vogliono essere cittadine e dare il proprio contributo alla nazione. Dall’altro lato, la maternità simbolica non si identifica più con la funzione riproduttiva, ma implica il riconoscimento, da parte delle stesse donne, del ruolo fondamentale che riveste ciascuna di loro per la società e per lo stato come cittadina, in qualità di madre sociale (cioè in ogni azione tesa a prendersi cura della comunità) e in qualità di educatrice, mansione a cui è deputata sia come madre biologica, essendo la prima istitutrice dei figli (che sono i futuri cittadini), sia come donna in genere, attraverso l’attività di insegnante, di giornalista, di scrittrice. La donna, più di chiunque altro, può trasmettere l’amore per la patria, per Dio, per l’umanità e formare i nuovi cittadini, spendersi per la nazione. Per queste prime femministe la madre-cittadina diventa la madre-cittadina-educatrice68. cit., pp. 72-85; L. La Puma, Giuseppe Mazzini, democratico e riformista europeo, Firenze, Olschki, 2008, pp. 157-167; L. Gazzetta, «Sposa, madre, cittadina impareggiabile». Il mazzinianesimo femminile tra maternità e cittadinanza, in C. Bertolotti (a cura di), La repubblica, la scienza, l’uguaglianza, Milano, FrancoAngeli, 2012, pp. 45-64; R. Bufano, L’influenza di Mazzini sul periodico “La Donna” (1868-1891), in F. Taricone, R. Bufano (a cura di), Pensiero politico e genere dall’Ottocento al Novecento, Melpignano, Amaltea, 2012, pp. 147-183. 67 Uno dei problemi con cui si misurano le donne, lungo tutta la loro storia, è la ricerca di modelli di pratica politica femminile precedenti con cui confrontarsi, da cui trarre stimoli e che rappresentino, in contrapposizione a chi nega il voto alle donne, la testimonianza delle loro capacità e la legittimità del loro bisogno di partecipazione politica. 68 La definizione madre-cittadina-educatrice è di chi scrive, per sottolineare la qualità fondamentale della maternità che non è più la funzione riproduttiva, ma appunto quel- 106 Un esempio emblematico è rappresentato da Gualberta Alaide Beccari, una mazziniana che dal 1868 al 1891 pubblica un periodico dal titolo «La Donna» con l’intenzione di educare la cittadina del neonato stato italiano. Educarla significa trasmetterle tutto lo scibile umano (dalla storia, all’astronomia, all’igiene, ecc.), dotarla degli strumenti di conoscenza e critici per farle acquisire consapevolezza dei propri diritti e metterla nelle condizioni di rivendicare la propria autonomia culturale, economica, legislativa. Educarla significa anche richiamarla ai propri doveri nei confronti della nazione. Una donna così emancipata, infatti, può contribuire alla formazione di validi cittadini. La maternità, che dai contemporanei positivisti viene intesa come causa di debolezza fisica e mentale, per queste donne è invece matrice di una moralità superiore, che però non le relega al focolare come per i cattolici, ma le rende più idonee degli uomini a rinnovare lo stato italiano attraverso la pratica della cittadinanza. Già le rivoluzionarie francesi cercano di dimostrare che maternità e cittadinanza non sono incompatibili e che anzi i caratteri che la connotano (altruismo, senso di equilibrio e giustizia, dedizione) esprimono una serie di valori che possono trovare una loro traduzione nella sfera politica, arricchendola, rifondando le regole del comportamento collettivo69. In seguito, le suffragiste utilizzano la maternità, la sofferenza e il rischio di morte connessi al parto per difendersi dalle accuse di non rischiare la vita difendendo la patria con le armi70. «Ma è soprattutto nella chiave della “superiorità morale” della donna che si cerca di fondare un valore collettivo delle donne»71 e di aprire un varco legittimo nell’esercizio della cittadinanza, immettendo i principi femminili, tipici della sfera privata, in ambito sociale e gettando le basi del welfare state. la educativa. Per approfondimenti sulla madre-cittadina emancipazionista si rinvia a: L. Gazzetta, Madre e cittadina. Una concezione dell’emancipazione alle origini del primo movimento politico delle donne in Italia, in «Venetica», 3, 1994, pp. 133-161; E. Scaramuzza, Dalle madri della patria alla cittadinanza sociale, cit.; R. Bufano, L’influenza di Mazzini sul periodico “La Donna” (1868-1891), cit. 69 Cfr. V. Fiorino, Essere cittadine francesi: una riflessione sui principi dell’89, cit., pp. 70-73. 70 Cfr. A. Rossi-Doria, Rappresentare un corpo, cit., pp. 96, 97. 71 Ivi, p. 96. 107 3.1.5. La difficoltà delle donne a “occupare” la politica L’emancipazionismo che dalla maggior parte della società è visto, sin dal suo esordio, come un pericolo per la moralità e l’unità della famiglia, con il fascismo viene assorbito attraverso due direttrici: potenziando il ruolo familiare delle donne e incitandone la partecipazione alla sfera pubblica attraverso le grandi organizzazioni femminili di massa. Si attua così una forma di politicizzazione senza cittadinanza come emerge dagli studi di Victoria de Grazia72 . Ma soprattutto, si torna a ridurre la maternità a mero ruolo biologico, funzionale alle esigenze della patria, e a limitare i diritti della donna come persona. Le continuità che incidono negativamente sulla partecipazione politica femminile, tra fascismo e repubblica, sono diverse. Da un lato il diritto di voto viene vissuto come una concessione e vede la continuazione di una politicizzazione senza cittadinanza e, dall’altra, i diritti delle donne continuano a essere strettamente legati al ruolo e ai doveri di madre73. I tentativi di valorizzare i ruoli domestici e materni si attuano anche nell’immediato dopoguerra, attraverso una rete di iniziative assistenziali femminili, ma sono destinati a fallire perché, come sostiene RossiDoria74, non sono in grado di sciogliere una contraddizione di fondo: la concezione patriarcale della cittadinanza che aveva contrapposto il termine “donne” a quelli di “lavoratore” e “cittadino”. La studiosa rileva le peculiarità del rapporto donne-cittadinanza politica in Italia: da un lato la disomogeneità delle culture locali e l’egemonia della cultura cattolica rendono ancora più forte l’identificazione donna/famiglia, dall’altro lo stato liberale svolge un ruolo determinante nell’inserimento delle donne nel pubblico attraverso i diritti civili piuttosto che quelli politici. La legge Sacchi sulla capacità giuridica femminile, che abolisce l’autorizzazione maritale e riconosce il libero esercizio di tutte le professioni, tranne la magistratura, la diplomazia e la giurisdizione militare è del 1919. Le itaV. de Grazia, Le donne nel regime fascista, Venezia, Marsilio, 1993. Cfr. A. Rossi-Doria, Diventare cittadine, cit.; C. Saraceno, Redifining Maternity and Paternity: Gender, Pronatalism and Social Policies in Fascist Italy, in G. Bock, P. Thane (a cura di), Maternity and Gender Policies. Women and the Rise of the European Welfare States, 1880s-1950s, London-N. Y., Routledge, 1991. 74 Cfr. A. Rossi-Doria, L’avvento del voto alle donne in Italia, cit., pp. 27-30; Ead., Diventare cittadine, cit., pp. 7-10. 72 73 108 liane si ritrovano rigidamente segregate nella sfera privata, non si vedono riconosciuti i diritti politici, ma al contempo, rispetto ad altri paesi, sono molto più politicizzate (basti pensare che a cavallo del secolo una donna, Argentina Altobelli, è alla guida della Federterra). Si consolida così un’azione politica senza cittadinanza e al di fuori delle istituzioni. Un tratto, quest’ultimo, che contraddistingue la partecipazione politica delle donne ancora oggi. La tutela della maternità è anche la priorità delle costituenti, accanto alla garanzia della parità. Ma, come sottolinea Elisabetta Palici di Suni, l’equilibrio tra le due istanze, faticosamente raggiunto all’interno dell’Assemblea costituente «non fu rispettato nel processo di attuazione della Carta costituzionale: in Italia come in altri Paesi, la protezione della maternità attraverso una normativa differenziata ebbe per molti anni il sopravvento sul riconoscimento della parità»75. L’ottenimento del diritto di voto nel 1945 in Italia come afferma Conti Odorisio «è stato definito spesso un “non evento”»76 perché non dà i risultati sperati in termini di partecipazione77 e i principi di giustizia sociale e di parità nei diritti, inseriti nella Carta costituzionale78, di fatto E. Palici di Suni, La legislazione sulle donne tra parità e differenziazione: azioni positive e quote elettorali, in A. Del Re, V. Longo, L. Perini (a cura di), I confini della cittadinanza. Genere, partecipazione politica e vita quotidiana, Milano, FrancoAngeli, 2010, p. 25. La studiosa sottolinea che l’art. 37 della costituzione esprime compiutamente la doppia esigenza della parità e della protezione della maternità, infatti recita: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti, e a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata educazione». 76 G. Conti Odorisio, Ragione e tradizione, cit., p. 215. 77 Come ricorda Rossi-Doria (Diventare cittadine, cit., pp. 11-19) l’idea della donna come cittadina è ancora debolissima e le cause sono molteplici: l’ignoranza politica comune a tutti coloro che erano cresciuti sotto il fascismo; la democrazia viene riscoperta non tanto attraverso la rivendicazione dei diritti di cittadinanza quanto attraverso l’adesione ai partiti; la società civile è debole rispetto allo stato a causa del duro colpo inferto all’associazionismo femminile in età liberale. 78 «La Costituzione segna il passaggio dall’assoluta inferiorità della donna alla parità. È un mutamento radicale di prospettiva che la Carta repubblicana non si limita a stabilire in via generale proclamando il principio fondamentale di eguaglianza dei cittadini senza distinzione di sesso – art. 3 comma 1 – ma lo afferma nei settori di maggior discriminazione: famiglia (art. 29, comma 2 “eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”, 75 109 vengono applicati solo negli anni seguenti. Le italiane ottengono il diritto di voto, attivo e passivo, mentre è ancora in vigore il codice Rocco e il vecchio regime di famiglia che ne sanciscono una condizione di minorità79. Inoltre, con l’ingresso delle donne in politica ha inizio «anche una certa marginalizzazione nei settori riconosciuti di loro competenza, come la famiglia, l’istruzione e la parità nel lavoro»80. Ancora una volta, dopo essersi spese per lo stato (l’unità prima e la liberazione dopo), le donne cercano di immettere nel pubblico i valori femminili, ma assistono alla loro depoliticizzazione. Ottengono solo la delega all’organizzazione pubblica e privata dei lavori di cura (educazione, servizi sociali, sanità) a spese di una concreta cittadinanza politica, anche a causa del modello di welfare state che si configura in Italia. Un welfare corporativo che eroga sussidi al padre di famiglia lavoratore, ma non offre servizi per la conciliazione famiglia-lavoro-politica delle donne che considera essenzialmente mogli e madri. Su di loro, pertanto, ricade il doppio onere di dover contribuire al reddito (lavorando spesso nei settori femminilizzati: sanità, formazione, ecc.) e di doversi occupare dei bisogni di cura del nucleo familiare81. L’azione delle donne nel Risorgimento, come nella Resistenza, viene svuotata del significato politico, diventa generosità femminile, abnegazione materna. Eppure le donne con la loro esperienza dimostrano che la cittadinanza non si identifica solo con la titolarità di diritti e doveri, tutelati giuridicamente, bensì esprime la capacità dei soggetti di “partecipare”, «di essere presenti nella comunità con sguardo critico e propositivo e con pratiche che traducono il desiderio soggettivo e privato in art. 30), lavoro (art. 37), elettorato (art. 48), pubblici uffici (art. 51)»: L. Carlassare, La parità dei sessi nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in A. Del Re, V. Longo, L. Perini (a cura di), I confini della cittadinanza, cit., p. 11. 79 Ricordiamo che alcune tappe fondamentali per la conquista dei diritti civili saranno le leggi del 1956 sulla presenza delle donne nelle giurie delle corti d’assise, del 1958 sulla chiusura delle case di tolleranza, del 1963 sulla parità di accesso a tutte le carriere e sul divieto di licenziamento per matrimonio, del 1970 sul divorzio, del 1975 sul nuovo diritto di famiglia, del 1977 sulla parità nel lavoro. 80 G. Conti Odorisio, Ragione e tradizione, cit., p. 215. 81 Cfr. M. Forcina, Una cittadinanza di altro genere, cit. Si rinvia anche a R. Bufano, Welfare state e pari opportunità a partire da Esping-Andersen, in M. Mazzotta (a cura di), Lo stato del benessere nella società della conoscenza, Trento, Tangram, 2012. 110 un modo pubblico di apparire ed essere parte della comunità»82 . Ovvero, come afferma Forcina, la cittadinanza, come dimostrano le donne, «funge da banco di prova della possibilità di partecipazione politica e definisce aspettative, desideri e valori di cui sono i soggetti i primi portatori e non le istituzioni o le ideologie o i metodi astratti o le procedure normative»83. La pratica politica delle donne, inoltre, valorizza e si attua con la rete, l’associazionismo, il confronto e il riconoscimento, a partire dalle preziose del ’600 che in uno scambio di opinioni scoprono di avere tutte le stesse esigenze: cessare di essere merce di scambio nei matrimoni combinati ed essere considerate come soggetti pensanti. Il paradosso è che le donne che praticano la cittadinanza anche in assenza del suo riconoscimento, quando ottengono il diritto di voto continuano a condurre la loro azione politica prevalentemente al di fuori delle istituzioni. Quando le donne riescono a liberarsi del confinamento nella vita privata, grazie soprattutto all’aumento del livello di istruzione, la loro realizzazione e la loro presenza cresce nel mondo del lavoro, ma rimane scarsa nella sfera pubblica. Ma è una scelta? O il potere istituzionale (demonizzato e rifiutato dalle femministe negli anni Sessanta/Settanta perché espressione di un potere maschile) perpetua l’esclusione femminile dalla politica? 3.2.Partecipazione e rappresentanza politica delle donne Il ’900 è stato spesso definito il “secolo delle donne”, perché in questo secolo sono stati conquistati i diritti di cittadinanza (politici, sociali e civili). Sono cresciuti i livelli di istruzione e la presenza nel mondo del lavoro (sebbene non manchino problemi di discriminazione e difficoltà ad accedere alle cariche apicali). Ma alla raggiunta uguaglianza giuridica di genere non corrisponde una cittadinanza femminile reale. Intendendosi M. Forcina, Segni di una cittadinanza femminile: partecipare, includere, intraprendere, in F. Taricone, R. Bufano (a cura di), Pensiero politico e genere dall’Ottocento al Novecento, cit., p. 69. 83 Ibidem. 82 111 per cittadinanza «la possibilità di una fruizione effettiva di quei diritti di appartenenza che fanno sì che i singoli cittadini possano “autodeterminarsi” e realizzare quella partecipazione paritaria ai processi decisionali della politica»84. Le donne sono circa la metà della popolazione mondiale, ma la loro presenza media nei parlamenti dei vari paesi si aggira intorno al 16,6%85. Inoltre, continuano a essere soggette a segregazione “verticale”, (soffitto di cristallo) e “orizzontale” (pavimento di pece). Nel primo caso incontrano difficoltà nell’avanzare di carriera e ricoprire mansioni dirigenziali, nel secondo rimangono confinate in determinati settori tradizionalmente “femminilizzati” e non riescono a occuparne altri. Questa terminologia si utilizza soprattutto in ambito lavorativo, ma è applicabile anche alla politica. Qui si adoperano più spesso, in sostituzione dell’espressione “soffitto di cristallo”, quelle di Iron Law (legge di ferro) e Lag (intervallo). Con la prima si descrive la percentuale di rappresentanza femminile che decresce all’aumentare della gerarchia del potere, con la seconda si intende la necessità che le donne eleggibili si stabilizzino a ogni livello della gerarchia prima di poter accedere a quello successivo, che raggiungono, tra l’altro, quando questo diventa meno appetibile per gli uomini86. L’uguaglianza di genere è stata “inseguita” dalle istituzioni attraverso due tipologie di politiche: “della parità” e, successivamente, “delle pari opportunità”. Le prime hanno cercato di garantire la parità attraverso il corretto funzionamento delle regole universali. Il principio è stato quello di applicare norme identiche per tutti, senza considerare le disparità di partenza. Ma l’uguaglianza è rimasta formale e le differenze sono rimaste inalterate. Le donne, come si è detto, hanno continuato a subire discriminazioni sia nel lavoro che in politica. Sono state introdotte pertanto le politiche delle pari opportunità. Per garantire concretamente uguali possibilità di partecipazione si è ricorso a forme correttive: le azioni positive. Quest’ultime consistono in trattamenti disuguali (che dovrebbero essere temporanei) a favore dei gruppi in minoranza (le donne) per riequilibrare le condizioni di accesso ai diritti (e di conseguenza la presenza nei luoghi B. Gelli, Psicologia della differenza di genere. Soggettività femminili tra vecchi pregiudizi e nuova cultura, Milano, FrancoAngeli, 2009, p. 320. 85 Cfr. ivi, p. 297. 86 Cfr. ivi, pp. 298, 299. 84 112 di lavoro e nella politica in particolare) e rendere effettiva l’uguaglianza dei risultati87. Anche l’Unione europea, dopo aver sollecitato gli stati membri all’attuazione di politiche di uguaglianza e di pari opportunità88, adotta quest’ultimo principio nel Quarto Programma di azione (1996-2000)89. Il piano «propone delle linee di intervento per le pari opportunità in tutti i settori della vita pubblica e privata: nel lavoro, nell’istruzione, nell’equa partecipazione ai livelli decisionali e nella corresponsabilità nella vita privata»90. Si afferma così, come sottolinea Conti Odorisio, il principio che «la parità di trattamento e la parità di opportunità tra le donne e gli uomini è un elemento integrante della democrazia europea»91. Il programma redatto dopo la Conferenza di Pechino ne adotta gli stessi obiettivi: l’empowerment e il mainstreaming. Con il primo termine «si intende l’attribuzione di maggiore potere alle donne rimuovendo tutti gli ostacoli che si frappongono alla attiva partecipazione delle donne a tutte le sfere della vita pubblica e privata, rendendo la loro presenza più vicina alla loro reale consistenza numerica nei processi decisionali di natura sociale, culturale e politica»92 . Con mainstreaming s’intende una trasformazione nella cultura di governo, volta a valorizzare la specificità di genere in tutte le politiche comunitarie. Nonostante tutte le sollecitazioni, la presenza delle donne in politica continua a essere molto bassa. Questo fenomeno può essere interpretato come incompiutezza della democrazia, oppure, come carenza di giustizia sociale. Cfr. tra gli altri A. Donà, Genere e politiche pubbliche. Introduzione alle pari opportunità, Milano, Mondadori, 2007. 88 Varie le direttive in tal senso, dalla 1975/117 CEE per la parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile, alle leggi contro le discriminazioni, alla 84/635/CEE 6 volta a sensibilizzare gli stati membri a introdurre azioni positive a favore delle donne (cioè interventi finalizzati a realizzare una concreta uguaglianza di opportunità e a impedire forme discriminatorie e pregiudiziali soprattutto in ambito lavorativo). 89 «Le pari opportunità per le donne e gli uomini costituiscono il compito principale dell’Unione europea e dei suoi Stati membri»: G. U. delle Comunità europee, 30/12/1995. 90 G. Conti Odorisio, Ragione e tradizione, cit., p. 243. 91 Ibidem. 92 Ivi, p. 236. 87 113 C’è chi denuncia, come Forcina, il rischio di una distanza sempre più radicale della politica dalla realtà, poiché la popolazione è prevalentemente femminile93 e «la politica non può ignorare che la realtà sociale è sempre più abitata dalle donne ed è cambiata ad opera delle donne, e quella stessa realtà deve “poter trovare voce, mediazione, rappresentanza e rappresentazione nelle istituzioni”»94. Si ritiene la specificità femminile complementare a quella maschile e necessaria in politica come nei ruoli apicali dell’economia e della finanza95, perché vi si attribuisce un carattere meno competitivo e più cooperativo, maggiore propensione a valorizzare le risorse e a riconoscere e soddisfare i bisogni della comunità, della famiglia, delle differenze, e capace di rispondere meglio alle stesse esigenze femminili (dalle politiche sociali ai consumi rosa). Posizione assunta sia da organi internazionali come l’Unione europea, che da correnti di studi come la womeneconomics e da economisti e politologi96. Inoltre, come afferma Alisa Del Re «la collocazione sociale delle donne, in questo momento storico fortemente presente nei movimenti sociali, potrebbe portare un’agenda nuova non solo composta da bisogni inediti Secondo quanto rilevato da Eurostat e comunicato a marzo 2012, nei 27 paesi dell’Ue vivono nel 2011, in totale, 257 milioni di donne e 245 milioni di uomini, ossia 105 donne ogni 100 uomini: cfr. rilevazioni Eurostat consultabile online all’indirizzo: <http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_PUBLIC/1-07032012-AP/ EN/1-07032012-AP-EN.PDF>. Secondo l’Istat, in Italia, al 9 ottobre 2011, ci sono 93,7 uomini ogni 100 donne, ovvero 28.745.507 uomini e 30.688.237 donne: cfr. rilevazione Istat consultabile online all’indirizzo: <http://www.istat.it/it/files/2012/12/ comunicato-stampa.pdf>. 94 M. Forcina, Rappresentazioni politiche della differenza, cit., p. 53. 95 È questa convinzione che sta scatenando le deliberazioni legislative, fortemente sollecitate dall’Unione europea, a favore delle quote rosa nei consigli di amministrazione delle società. In Italia la L. 120/2011 prevede che il genere sottorappresentato deve ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti. 96 Cfr. fra gli altri: M. Ferrera, Il fattore D. Perché il lavoro delle donne farà crescere l’Italia, Milano, Mondadori, 2008; “Risoluzione del Parlamento europeo del 17 giugno 2010 sugli aspetti di genere della recessione economica e della crisi finanziaria”, consultabile online sul sito del Parlamento europeo all’indirizzo <http://www. europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//NONSGML+TA+P7-TA2010-0231+0+DOC+PDF+V0//IT>; A. Wittenberg-Cox, A. Maitland, Rivoluzione womeneconomics. Perché le donne sono il motore dell’economia, Milano, Il Sole24 Ore, 2010; D. Del Boca, L. Mencarini, S. Pasqua, Valorizzare le donne conviene, Bologna, il Mulino, 2012; R. Bufano, Welfare state e pari opportunità a partire da Esping-Andersen, cit. 93 114 rispetto alle agende politiche tradizionali, ma anche ricca di relazioni e più radicata nel territorio»97. Vi è anche chi ritiene, invece, che la maggiore partecipazione e rappresentanza politica delle donne attua una maggiore giustizia sociale, ma la democrazia è già da considerarsi compiuta poiché «un eletto o un’eletta rappresentano tutti i cittadini, indipendentemente dal loro sesso»98. Al contempo, sostenere che le donne modificherebbero i contenuti e le modalità della politica è prematuro (perché non è ancora dimostrato) e deresponsabilizza gli eletti uomini (perché a loro non viene richiesto di modificare il modo di fare politica). Tuttavia, come sottolinea Vinzia Fiorino99, nelle democrazie rappresentative l’istituto della rappresentanza garantisce la presenza di qualcuno che di fatto è assente, implica cioè «la sostituzione di una persona il cui posto viene ricoperto da un’altra; ma presuppone, al tempo stesso, un rapporto di pur vaga identificazione tra i due soggetti»100. La disaffezione politica che si registra negli ultimi anni è imputabile proprio alla percezione di una distanza netta tra chi governa e chi è governato. Inoltre, come sostiene Maurizio Ferrera, affinché vengano attuate delle politiche ci deve essere una esplicita e riconoscibile domanda delle stesse, pertanto, «l’azione politica per le donne deve essere innanzitutto azione politica delle donne»101. A. Del Re, Le donne e i partiti politici in Italia e in Europa: la democrazia maschile, in A. Del Re, V. Longo, L. Perini (a cura di), I confini della cittadinanza, cit., p. 39. 98 A. Del Re, V. Longo, L. Perini (a cura di), I confini della cittadinanza, cit., p. 9. 99 V. Fiorino, Essere cittadine francesi: una riflessione sui principi dell’89, cit., pp. 72, 73 100 Ivi, p. 73. 101 M. Ferrera, Il fattore D, cit., p. 121. Come lo stesso Ferrera specifica «serve anche l’azione degli uomini, beninteso: pensiamo a Blair e Zapatero. Ma senza la spinta dei movimenti femminili dei rispettivi paesi, senza il contributo delle militanti del New Labour e del PSOE, delle ministre “rosa” e così via è assai improbabile che Blair e Zapatero avrebbero puntato così tanto sui temi della parità e della conciliazione. E senza le pressioni dal basso esercitate dall’associazionismo femminile già negli anni Settanta e Ottanta, i paesi nordici non avrebbero precocemente imboccato la strada dell’alta partecipazione/conciliazione/condivisione» (ibidem). 97 115 3.2.1. Le forme della partecipazione politica Vi sono molteplici definizioni e classificazioni di partecipazione politica102 . Da quella di Michael Rush, che la descrive come «il coinvolgimento dell’individuo nel sistema politico a vari livelli di attività, dal disinteresse totale alla titolarità di una carica politica»103, a quella di Gianfranco Pasquino104 che la connota come quell’insieme di azioni e di comportamenti che mirano a influenzare (in modo più o meno diretto e legale) la selezione e le decisioni dei detentori del potere (nel sistema politico o in singole organizzazioni politiche), con l’obiettivo di conservare o di modificare la struttura (e quindi i valori) del sistema di interessi dominanti. Giacomo Sani105 tripartisce la partecipazione in “presenza”, “attivismo” e “partecipazione” vera e propria. La prima consiste in comportamenti passivi e ricettivi (informarsi di politica, ascoltare riunioni), l’“attivismo” in una serie di attività (regolari o saltuarie) alle quali l’individuo apporta il proprio contributo (promozione in campagna elettorale, partecipazione a manifestazioni), mentre l’effettiva “partecipazione” (che coinvolge pochi soggetti) si ha quando l’individuo contribuisce direttamente o indirettamente a una decisione politica. La partecipazione è stata distinta anche tra attiva o visibile e latente o non visibile. Quest’ultima riguarda forme di coinvolgimento emotivo come interessarsi e informarsi di politica. La partecipazione attiva a sua volta è stata distinta anche in convenzionale (forme di partecipazione istituzionalmente mediate e volte a sostenere, per esempio, i partiti) e non convenzionale (raccogliere petizioni, partecipare a una manifestazione o a un boicottaggio, scrivere a un giornale, ecc.). Cfr. tra gli altri: M. Tommasoli, Lo sviluppo partecipativo, Roma, Carocci, 2001; M. Cotta, D. Della Porta, L. Morlino, Fondamenti di scienza politica, Bologna, il Mulino, 2001; A. Millefiorini, La partecipazione politica in Italia. Impegno politico e azione collettiva negli anni ottanta e novanta, Roma, Carocci, 2002; F. Raniolo, La partecipazione politica, Bologna, il Mulino, 2002; e gli autori indicati nelle successive note. 103 M. Rush, Politica e società: introduzione alla sociologia politica, trad. it., Bologna, il Mulino, 1998, p. 121. 104 G. Pasquino, Nuovo corso di scienza politica, Bologna, il Mulino, 1997, pp. 61, 62. 105 G. Sani, voce «Partecipazione politica», in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino (a cura di), Dizionario di politica, cit., pp. 703-705. 102 116 Come rilevano Bianca Gelli, Monica Legittimo, Cosimo Calò e Terri Mannarini106, la partecipazione implica anche la volontà di agire, la possibilità di scegliere tra diverse forme di partecipazione, la condivisione e l’appartenenza. «Gli individui nel partecipare hanno in comune un’azione o un’idea e, in quanto tali, condividono anche un’appartenenza che è ideologica, oltre che territoriale»107. Pertanto, il manifesto disinteresse verso la politica, soprattutto in termini di partecipazione ad attività politiche convenzionali, e la crescente sfiducia nei confronti della politica istituzionale possono essere sottoposti a due diverse letture, una pessimista e una ottimista. Se è innegabile la disaffezione verso le istituzioni e gli organismi politici, come denuncia Ulrich Beck108, soprattutto da parte dei giovani e delle donne, è altrettanto vero che aumenta la loro partecipazione nella sfera sociale (dalle associazioni al volontariato), come rileva Oscar Mazzoleni109. Si tratta di forme di partecipazione auto-organizzate dalla forte valenza espressiva, che hanno una duplice funzione: educativa, poiché sviluppano le qualità civiche di chi vi partecipa, e di testimonianza, in quanto esprimono l’esistenza e l’identità (chi sono e cosa vogliono) di quei gruppi110. Gli studiosi, dunque, registrano una trasformazione della partecipazione politica, poiché l’attivismo classicamente inteso non è antitetico a queste nuove forme, le quali anzi alimentano il senso civico e favoriscono «la partecipazione di natura più direttamente politica»111. Inoltre, il coinvolgimento attivo e la maggiore assunzione di responsabilità degli aderenti, l’instaurarsi di rapporti paritari (orizzontali), l’avere degli obiettivi comuni senza essere imbrigliati in una rigida ideologia, rende queste forme di partecipazione molto più motivanti rispetto alla militanB. Gelli, M. Legittimo, C. Talò, Le forme della partecipazione: dal politico al sociale, in B. Gelli, T. Mannarini, La partecipazione: modi e percorsi. Dai papa boys ai no global, Milano, Unicopli, 2007, pp. 17-19; B. Gelli, T. Mannarini, Introduzione, in ivi, pp. 8-11. 107 B. Gelli, M. Legittimo, C. Talò, Le forme della partecipazione: dal politico al sociale, cit., p. 19. 108 Cfr. U. Beck, Figli della libertà: contro il lamento della caduta dei valori, in «Rassegna Italiana di Sociologia», 1, 2000, pp. 3-27. 109 Cfr. O. Mazzoleni (a cura di), La politica allo specchio. Istituzioni, partecipazione politica e formazione alla cittadinanza, Lugano, Giampiero Casagrande, 2003. 110 Cfr. B. Gelli, M. Legittimo, C. Talò, Le forme della partecipazione: dal politico al sociale, cit., p. 19. 111 Ibidem. 106 117 za nelle gerarchiche e burocratizzate strutture dei partiti che confinano gli aderenti a un ruolo molto più passivo. 3.2.2. La partecipazione politica di genere Le caratteristiche della nuova modalità di partecipazione politica, descritte nel paragrafo precedente, ripropongono la formula che, come si è visto, ha sempre connotato la pratica politica femminile: azione sociale e forme di organizzazione semplici e informali (che pur riescono a influenzare, indirettamente, anche le scelte politiche). Una modalità di partecipazione che continua a essere preferita dalle donne, come si è già rilevato, che coinvolge sempre più i giovani, ma che di fatto inficia la possibilità di agire dall’interno delle istituzioni attraverso una partecipazione attiva convenzionale. La partecipazione prevalente in Italia, infatti, è di tipo invisibile, come emerge dall’indagine Istat112 del 2012. Il 76% della popolazione italiana (dai 14 anni in su) si informa di politica e il 67,5% ne parla. Ma la partecipazione è ancora più bassa tra le donne. Infatti, a informarsi di politica è il 70,5% delle donne contro l’82,5% degli uomini, mentre a parlarne è il 59,4% delle donne contro il 76,3% degli uomini. Se ne deduce che sul divario tra il numero di individui che si informano di politica e quelli che ne discutono incidono maggiormente proprio le donne, le quali sono più propense a documentarsi e meno a dibattere di politica. Se si considera la fascia di popolazione che si informa più frequentemente (da qualche volta a settimana a tutti i giorni) i valori scendono al 66,9% per gli uomini e al 52,8% per le donne. Si interessa regolarmente di politica, dunque, solo la metà delle italiane, prevalentemente tra i 45 e i 64 anni (con punte maggiori di interesse tra i 55 e i 64), essenzialmente laureate o diplomate, che svolgono prevalentemente attività autonome (imprenditrici e libere professioniste) o ricoprono cariche apicali (84,2%), oppure fanno le impiegate (82%). Le donne che ignorano completamente la politica sono quasi il doppio degli uomini (29,2% contro il 16,7%), benché le motivazioni siano le stesse: il disinteresse (ben il 65,7% delle donne con- Cfr. “Aspetti della vita quotidiana” 2012 consultabile online sul sito dell’Istat all’indirizzo: <http://www.istat.it/it/archivio/66990>. 112 118 tro il 65,2% degli uomini) e la sfiducia nella politica (25,5% delle donne contro il 27,8% degli uomini). La partecipazione politica visibile o attiva, che richiede una mobilitazione o un impegno in prima persona, l’interazione con un partito a cui dedicare tempo e lavoro gratuitamente oppure da sostenere finanziariamente, è un’esperienza che riguarda frange ristrette di popolazione italiana113. Anche qui emergono differenze di genere. Interviene a un corteo il 5,6% delle donne contro il 6,7% degli uomini, partecipa a un comizio il 3,7% delle donne contro il 7% degli uomini. Solo l’1,6% dà soldi a un partito (contro il 2,8% degli uomini) e lo 0,7% vi svolge attività gratuita (contro l’1,8% degli uomini). Ma l’indagine non prende in considerazione le forme di partecipazione non convenzionale. Se rimane innegabile che le donne partecipano in misura minore alle attività politiche tradizionali (campaignoriented) attuate principalmente attraverso i partiti e i meccanismi elettorali, alcuni studi hanno rilevato114 che, oltre a essere propense a svolgere attività sociali (civic-oriented) in associazioni e volontariato, sono inclini a impegnarsi in attività cause-oriented o attivismo di protesta, cioè nelle forme di partecipazione politica non convenzionale (petizioni, dimostrazioni, ecc.), che possono influenzare l’agenda politica senza ricorrere agli organismi istituzionali come i partiti. Come osserva Gelli «il fatto che le donne, al pari dei giovani, esercitino il più spesso un attivismo di protesta denuncia l’ancora debolezza del loro potere che conosce le forme dell’ostruzionismo, del boicottaggio, qualificabili non come negative ma come contrassegnate dall’assenza di azione in positivo»115. D’altro canto uno degli ostacoli, ampiamente riconosciuto, alla partecipazione politica delle donne è la difficoltà di conciliare i tempi della politica (ancora tipicamente maschili, si pensi alle riunioni protratte fino a tarda serata), con quelli familiari e professionali. Le attività di protesta sopperiscono a questo problema, sono a basso sforzo e impegnano per tempi limitati. Inoltre, sono fluide, poco Il 6,1% interviene a un corteo, il 5,3% partecipa a un comizio, il 2,2% dà soldi a un partito, l’1,2% svolge attività gratuita per un partito politico. 114 Cfr. R. Inglehart, P. Norris, Gender Equality and Cultural Change Around the World, Cambridge, Cambridge University Press, 2003; B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit. 115 Cfr. B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., p. 301. 113 119 burocratizzate e consentono di riconoscersi in una identità collettiva ma non richiedono appartenenze forti come i partiti. La partecipazione politica delle donne, dunque, sembra essere consistente ma non convenzionale116. Tuttavia, come sottolinea Gelli117, questo tipo di scelta incide sul gap della rappresentanza di genere. 3.2.3. Rappresentanza politica e gap di genere La “Risoluzione del Parlamento europeo del 13 marzo 2012 sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea – 2011”118, afferma che l’obiettivo dell’uguaglianza di genere richiede una migliore rappresentanza politica delle donne e denuncia che negli ultimi anni non ha registrato alcun miglioramento. L’equilibrio di genere in seno ai parlamenti nazionali dell’Unione europea è rimasto immutato, con una proporzione del 24% di donne e del 76% di uomini (in alcuni stati membri la percentuale di donne in parlamento non supera il 15%), solo il 23% dei ministri sono donne e il numero di donne vicepresidente del parlamento europeo è diminuito nella seconda metà della legislatura 2009-2014. Secondo i dati rilevati dal Global Gender Gap Report119 del 2012, per la presenza di donne in politica l’Italia è addirittura al 71esimo posto, mentre il Sud Africa è al settimo. Al primo si posiziona l’Islanda, seguita da Finlandia e Norvegia. Come sottolinea Gelli120, vi è un forte gap di genere in paesi a consolidata cultura democratica e sta quasi scomparendo B. Gelli, T. Mannarini, Il gap di genere nell’attivismo politico, in B. Gelli, T. Mannarini, La partecipazione: modi e percorsi, cit., pp. 48, 64. 117 Cfr. B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., pp. 300, 301. 118 Cfr. “Risoluzione del Parlamento europeo del 13 marzo 2012 sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea – 2011” consultabile online sul sito del Parlamento europeo, all’indirizzo: <http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-// EP//TEXT+TA+P7-TA-2012-0069+0+DOC+XML+V0//IT>. 119 Il World Economic Forum stila ogni anno una classifica dei paesi a seconda dei livelli di accesso all’istruzione, al mercato del lavoro, alle cariche pubbliche e dello stato di salute delle donne. R. Hausmann, L. D. Tyson, S. Zahidi, The Global Gender Gap Report 2012, <http://www3.weforum.org/docs/WEF_GenderGap_Report_2012. pdf>, p. 16. 120 B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., pp. 297, 298. 116 120 in paesi che stanno da poco comparendo sulla scena. Ciò dimostra che incidono diversi fattori concomitanti, da quelli sistemico-strutturale e politico ai processi di trasformazione delle identità femminili. In Italia, come denuncia Barbara Pojaghi121 nel 2010, la presenza delle donne è del 17,3% alla camera, del 14% al senato, ma ancora più esigua nei ruoli apicali, per esempio, solo 2 prime cittadine su 14 città metropolitane, 43 dirigenti sanitarie su 278 aziende, due donne a capo dell’università su 77 rettorati. «Le donne sono quindi quasi totalmente escluse dalle principali posizioni di comando al sistema di governo, sia centrale che locale; si ha qualche sporadica situazione di donna-sindaco, ma rarissime sono per esempio le donne presidenti di Regione. Egualmente, quasi totalmente escluse sono dalle strutture di partito»122 , oltre che dalle alte cariche della magistratura, delle libere professioni e del mondo imprenditoriale123. Pojaghi sostiene che questo fenomeno, però, va letto sia in termini di discriminazione che di autoesclusione. È vero che le donne sono emarginate dal potere e che sono collocate in ambiti tipicamente femminili come l’istruzione, la sanità, i servizi sociali, ma è altrettanto vero che spesso vi è una scelta consapevole: in questi settori si sentono più soddisfatte. Così come quella di non candidarsi è espressione di una volontà, per evitare di dover scegliere tra gli impegni politici e quelli familiari. I tempi della politica, infatti, sono escludenti, gli uomini vi si dedicano interamente, le donne invece cercano di integrare le varie sfere della vita. Le politiche della conciliazione aiuterebbero molto in questo senso124, ma si crea un circolo vizioso: la scarsa rappresentanza femminile rende difficile l’adozione di politiche a loro favore. Come sostiene Gelli, non si è raggiunta né la massa critica (30% circa di rappresentanza) né il tipo di presenza femminile che permetterebbero di modificare le regole e la cultura politica125. B. Pojaghi, Donne e partecipazione politica, in Comitato Pari Opportunità, Etiche e politiche di genere, Bari, Università degli Studi di Bari, 2010, p. 163. 122 Ibidem. 123 Cfr. B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., p. 299. 124 Sull’argomento e relativa bibliografia si rinvia a R. Bufano, Welfare state e pari opportunità a partire da Esping-Andersen, cit. 125 Cfr. B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., pp. 308-313. La massa critica, che si aggira intorno al 25-30% di presenza (e questo rinvia alla questione quote che verrà affrontato nel successivo paragrafo), innescherebbe un circolo virtuoso: la mag121 121 Spesso, invece, le poche donne presenti nella sfera pubblica riproducono modalità e linguaggio maschili, rinunciando alla propria specificità di genere126 e favorendo la sfiducia delle donne nelle donne che fanno politica. E quest’ultimo aspetto è un altro fattore che incide sulla scarsa presenza femminile nella sfera pubblica: le donne non votano le donne. Secondo Gelli i fattori che determinano il gap di genere in politica sono di natura strutturale-istituzionale, individuali e psicosociali127. Tra quelli strutturali sono ricompresi il “tempo”, come si è visto, la scarsità di “risorse economiche”128 che disincentivano le donne a investire in iniziative elettorali di cui non sono prevedibili e sicuri i risultati, gli scarsi “livelli di formazione”, con cui non si intende più il possesso di diplomi o lauree (avendo ampiamente superato gli uomini), ma la scarsa informazione e conoscenza dei fatti della politica. A questi si aggiunge la bassa frequenza da parte delle donne delle “agenzie di mobilitazione”, ovvero scuole di formazione politica, partiti. I fattori istituzionali che incidono sul gap riguardano, invece, le politiche poste in essere a garanzia di un’equa partecipazione (da quelle della parità a quelle delle pari opportunità di cui si è parlato). Tra i fattori individuali si annoverano l’ambizione e l’interesse per la politica. Gelli dichiara che alcune ricerche hanno dimostrato che le donne hanno una minore ambizione politica e una maggiore ansia nelle situazioni di successo ma, al contempo, sottolinea che bisogna tener conto di altri elementi: i già citati impegni familiari, la sensazione di avere o meno giore presenza di donne in politica solleciterebbe sia i partiti a una loro maggiore inclusione nelle liste, sia le altre donne alla partecipazione politica. Inoltre, consentirebbe alle donne di modificare le regole della politica, ma a tal fine è anche necessaria una rappresentanza politica di “sostanza”, cioè una presenza femminile qualificata capace di trasformare la cultura politica apportando la propria differenza di genere. 126 «Essere donna in un contesto organizzativo e culturale ancora quasi totalmente al maschile è quindi un’impresa molto impegnativa, che il più delle volte si è pensato di risolvere rinunciando alle proprie peculiarità femminili e assumendo quelle maschili, secondo un processo di deindividuazione, così ben conosciuto nei gruppi minoritari. Non si tende a valorizzare le differenze ma si richiede per lo più una omologazione. È difficile inoltre comprendere e utilizzare un linguaggio e dei codici di comportamento tipici del mondo politico, che sono ancora connotati tutti al maschile»: B. Pojaghi, Donne e partecipazione politica, in Etiche e politiche di genere, cit., p. 165. 127 Cfr. B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., pp. 302-348. 128 In Inghilterra si sono costituite delle organizzazioni femministe (Emily e Fawcett Society) che hanno incentivato la partecipazione politica delle donne attraverso finanziamenti delle campagne elettorali e corsi di formazione politica. Cfr. ivi, pp. 307, 317. 122 la possibilità di vincere, l’idea che la politica richieda un elevato bagaglio di conoscenze e di competenze specifiche, il mobbing psicologico dei colleghi uomini che favoriscono questa impressione, il contesto culturale tradizionale che tende a contenere l’ambizione femminile. La scelta di candidarsi a cariche politiche dipende anche dalla percezione della propria “efficacia” o “capacità politica”, cioè la convinzione di essere in grado di influenzare il sistema politico, che a sua volta è condizionata, oltre che dall’autostima e dall’autoefficacia, dalla percezione che le istituzioni siano ricettive alle richieste dei cittadini e suscettibili di cambiamento129. Al contrario, come rileva Pasquino130, la sfiducia nelle istituzioni e la scarsa documentazione sulla politica alimentano un circolo vizioso che induce a interessarsene ancor meno e a non parteciparvi. A incidere ancora sul gap politico di genere è la mancanza di confronto con un consistente numero di donne attive e affermate politicamente, «manca una storia, mancano modelli di azione e di interventi/cambiamenti sulla realtà sociale alle quali le donne individualmente e in gruppo possano fare riferimento»131 (e questo rientra tra i fattori psico-sociali). Sulla bassa rappresentanza femminile, inoltre, non è ininfluente né l’idea che si è affermata di “potere” tipicamente maschile, inteso come “potere su”, prevalentemente oppressivo piuttosto che costruttivo, né la conseguente tipologia di leaderismo che ne deriva. Come si è detto le poche donne che assumono cariche di comando tendono ad assimilare le modalità maschili (gerarchiche, autoritarie, competitive, conflittuali), improntando le relazioni interpersonali sul controllo, sul dominio, sulla manipolazione, anche perché sono convinte che solo assumendo questo atteggiamento può essere riconosciuta loro la capacità di successo. Ma ci sono studi che, al contrario, attestano che le donne sono anche capaci di «uno stile di leadership più “trasformativo” e metodi decisionali più Cfr. ivi pp. 332-336; B. Gelli, M. Legittimo, C. Talò, Le forme della partecipazione: dal politico al sociale, cit., pp. 22-29; G. Pasquino, voce «Capacità politica», in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino (a cura di), Dizionario di politica, cit., pp. 127, 128. 130 G. Pasquino, Una cultura poco civica, in M. Caciagli, P. Corbetta (a cura di), Le ragioni dell’elettore, Bologna, il Mulino, 2002. 131 B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., p. 343. 129 123 democratici e partecipativi e capacità di mediazione»132 e che, quindi, potrebbero apportare un importante contributo di genere alla politica. Gelli e Mannarini133 individuano anche i fattori di gap intragenere confrontando la rappresentanza politica femminile in otto paesi dell’Unione europea: Svezia, Danimarca, Finlandia, Spagna, Germania, che superano la massa critica, Inghilterra, Francia e Italia che sono al di sotto della massa critica134. Dallo studio emerge che la rappresentanza delle donne è più alta nei paesi in cui è stato ottenuto prima il suffragio135, si sono sviluppati maggiormente i movimenti femministi, hanno governato o avuto una certa influenza i partiti di sinistra, è stato adottato il sistema elettorale proporzionale e vige la religione protestante. La presenza in politica delle donne, infatti, è minima nei paesi cattolici (a eccezione della Spagna che pur essendo cattolica ha visto una crescita esponenziale della rappresentanza femminile), poiché la Chiesa influenza in modo determinante la visione della famiglia e il ruolo che la donna esercita al suo interno, soprattutto in Italia. 3.2.4. Le azioni positive: le quote Tra le azioni positive (o antidiscriminatorie) si annoverano le cosiddette quote rosa, finalizzate a indurre le donne alla candidatura e alla presenza nella sfera pubblica e, quindi, ad attuare il principio costituzionale dell’uguaglianza nella partecipazione alle cariche elettive “senza distinzione di sesso” (sancito nella Costituzione italiana dall’art. 51). Ivi, p. 351. B. Gelli, T. Mannarini, Gap di genere e gap intragenere: donne europee a confronto, in B. Gelli, G. Lavanco, M. Mandalà (a cura di), Essere donne al tempo delle nuove tecnologie, Milano, FrancoAngeli, 2007, pp. 35-73. 134 La ricerca analizza le percentuali di donne elette al parlamento nazionale (pn) e a quello europeo (pe) nel 2005. I paesi che registrano una maggiore rappresentanza femminile sono: Svezia (45,3% pn, 57,9% pe), Finlandia (37,5% pn, 35,7% pe), Danimarca (36,9% pn, 35,7% pe), Spagna (36% pn, 33,3% pe), Germania (31,8% pn, 31,3% pe). Invece registrano una scarsa rappresentanza: UK (19,7% pn, 24,4% pe), Italia (17,1% pn, 19,2% pe), Francia (12,2% pn, ma 42,3% pe). 135 Finlandia 1906, Svezia 1909, Danimarca e Germania 1920, Inghilterra 1928, Spagna 1931, Francia 1941, Italia 1945. 132 133 124 Tuttavia, proprio in virtù dell’art. 51, le azioni positive applicate alla rappresentanza politica, come sostiene Antonella Benazzo136, hanno un duplice risvolto. Il diritto antidiscriminatorio è lo strumento che rende la giustizia da formale a sostanziale, concretizzando la parità di genere, già riconosciuta e difesa all’interno delle costituzioni e delle leggi nazionali, delle direttive e normative europee, ma che di fatto non trova riscontro nella società. Le quote vengono proposte con l’intento di far aumentare la presenza delle donne in un ambito, quello politico, egemonizzato dagli uomini. Al contempo, però, le azioni positive (quindi le quote) per l’accesso alle cariche pubbliche a favore di un genere sono discriminatorie nei confronti dell’altro e contravvengono al principio meritocratico. Per questo motivo la corte costituzionale italiana con una sentenza del 1995137 boccia l’adozione delle quote di genere nelle elezioni locali138, sostenendo che l’equilibrata rappresentanza delle donne in politica non può essere imposta per legge ma deve essere ottenuta dalle stesse donne e dai partiti. Il disinteresse di questi ultimi, nonostante le successive modifiche costituzionali139, conduce a una sentenza opposta nel 2003140, motivata A. Benazzo, Eguaglianza di genere e rappresentanza politica nei Paesi dell’Unione europea, in A. Del Re, V. Longo, L. Perini (a cura di), I confini della cittadinanza, cit., pp. 59-60. 137 Corte cost., sent. n. 422/1995 cit. in ivi, p. 59. 138 La L. 25 marzo 81/1993, recante norme per l’elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale, all’art. 5, co. 2 aveva previsto che nelle liste dei candidati al consiglio comunale nessuno dei due sessi potesse essere di norma rappresentato in misura superiore ai due terzi. Questa e successive modifiche vengono bocciate dalla corte costituzionale. Cfr. Ufficio ricerche sulle questioni istituzionali, sulla giustizia e sulla cultura, Pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive, <http://www.retepariopportunita.it/ Rete_Pari_Opportunita/UserFiles/Pubblicazioni/dossier_828_completo.pdf>, p. 8. 139 Con la L. cost. 1/2003 è stato integrato l’art. 51 della Costituzione che recita «Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge», con l’aggiunta: «A tal fine, la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». E già nel 2001, la L. cost. n. 3, all’art. 117, prevede che le leggi regionali devono promuovere la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. Cfr. A. Benazzo, Eguaglianza di genere e rappresentanza politica nei Paesi dell’Unione europea, cit., p. 59. 140 Corte cost., sent. n. 49/2003 cit. in ivi, p. 60. 136 125 dal fatto che le quote nelle candidature sono ascrivibili alle scelte di chi fa le liste. La questione delle quote rosa è ulteriormente controversa perché vede l’approvazione di alcune donne, ma anche la netta opposizione di altre che le considerano una forma di ghettizzazione iniqua nei confronti di una componente della popolazione che è addirittura superiore rispetto all’altra. Ritenendo, invece, che un’equa rappresentanza e una reale parità sono garantite dalla presenza al 50% di donne e al 50% di uomini all’interno degli organi rappresentativi141. In Italia sono state elaborate delle proposte di legge, di iniziativa popolare, orientate in tal senso. Una, denominata “Norme di Democrazia Paritaria per le Assemblee elettive”142 , è stata depositata al senato nel 2007, un’altra, “Disposizioni in materia di equilibrio nella rappresentanza di genere nelle elezioni per il Consiglio regionale e il/la Presidente della Regione”143, è stata consegnata al presidente del consiglio regionale della Puglia nel 2012. La prima stabilisce che le liste per le competizioni elettorali di tutte le assemblee elettive (dai comuni al parlamento europeo) devono essere composte da un numero uguale di uomini e donne144. La seconda dispone che in ogni lista nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 50% e prevede la doppia preferenza di genere, cioè la possibilità di dare due voti, Sebbene anche il 50% da molti è considerata una quota e l’analisi delle politiche attuate dai vari paesi, anche quando sono state introdotti sistemi paritari, sono analizzati sotto il profilo delle quote. 142 Cfr. “Norme di Democrazia Paritaria per le Assemblee elettive” consultabile online all’indirizzo: <http://www.udichesiamo.org/index.php?option=com_ content&–view=article&id=60:progetto-di-leg ge-di-iniziativa-popolaren190007&catid=12&Itemid=224>. La proposta di legge e relativa campagna per la raccolta firme “50E50 …ovunque si decide!” vengono promosse dall’associazione femminile Udi (Unione donne in Italia). Della campagna si parlerà successivamente a proposito dell’azione politica delle donne e l’uso di Internet. 143 “Disposizioni in materia di equilibrio nella rappresentanza di genere nelle elezioni per il Consiglio regionale e il/la Presidente della Regione”, consultabile online all’indirizzo: <http://www.doppiapreferenza.it>. 144 “Norme di Democrazia Paritaria per le Assemblee elettive”, «art. 3 – Candidature in liste o gruppi: In ogni lista o gruppo di candidati, le candidature sono costituite da un numero uguale di donne e uomini, sono disposte in ordine alternato per sesso e, in caso di disparità numerica, lo scarto è di una unità. Liste o gruppi di candidati che non rispettano le predette norme sono irricevibili», cit. 141 126 ciascuno per un candidato di sesso diverso145. La prima proposta di legge non è mai stata discussa dalle camere. La seconda è stata bocciata il 28 novembre 2012 con voto segreto dal consiglio regionale pugliese146. Nel dibattito consiliare sono emerse motivazioni di dissenso147 che hanno attestato sia il perseverare di una cultura politica maschilista al limite della misoginia, sia il fatto che non si può parlare di democrazia compiuta con la sola rappresentanza degli uomini, visto che questi anziché perorare gli interessi dell’intera cittadinanza, e quindi anche delle cittadine, attuano pratiche di discriminazione. Queste vicende fanno interrogare sul ruolo dei partiti e confermano che le politiche per le donne sono possibili solo se ci sono più donne in politica. Queste esperienze dimostrano anche che l’uguaglianza di genere nella rappresentanza, intesa come presenza al 50%, è fortemente osteggiata (gli uomini si vedono sottrarre poltrone) e non può essere ottenuta legislativamente in un solo colpo, ma per gradi. Infatti le quote sono state approvate a livello nazionale con la L. 215/2012148. Pina Nuzzo149 (e tutte le donne allineate al pensiero da lei espresso) ha perfettamente ragione nel sostenere che le quote rafforzano «quella rappresentazione del genere come minoranza discriminata e per questo bisoCfr. “Disposizioni in materia di equilibrio nella rappresentanza di genere nelle elezioni per il Consiglio regionale e il/la Presidente della Regione”, cit. 146 Cfr. M. Terragni, Politici pugliesi, vili e machi, «Io donna. Il femminile del Corriere della Sera», consultabile online all’indirizzo: <http://blog.iodonna.it/marinaterragni/2012/11/28/pugliesi-vili-e-machi>. Un fatto simile è accaduto in Sicilia nel 2011: con voto segreto è stato bocciato un emendamento alla legge elettorale con il quale si introduceva la doppia preferenza (due voti, uno per ciascun sesso). 147 «La politica è una cosa solo per uomini»; «Come farebbe una donna di Santa Maria di Leuca a guidare fino a Bari per partecipare ai lavori del Consiglio Regionale?»; «Ci sono già donne dappertutto: basta andare negli ospedali, nelle scuole, nei tribunali»; «Bisogna rispettare la nostra sensibilità di fronte alle forme di coercizione delle masse urlanti»: ibidem. 148 La legge intitolata “Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni” approvata il 23 novembre 2012, prevede che nessuno dei due sessi può essere rappresentato nelle liste in misura superiore ai due terzi dei candidati e introduce la doppia preferenza di genere. 149 Ex responsabile nazionale dell’Udi, tra le promotrici della proposta di legge “Norme di Democrazia Paritaria per le Assemblee elettive” e fondatrice del laboratorio politico 145 127 gnosa di tutela»150, che le donne «sono soggetti di una democrazia che va rinominata, che rimetta al centro merito ovunque e per tutti, maschi e femmine»151. Tuttavia servono strumenti di diritto positivo (quindi coercitivi) per educare alla democrazia paritaria, far aumentare la partecipazione politica “visibile” delle donne e farle “contare” nelle decisioni politiche152 e anche le quote possono essere utili in tal senso. Nel 1993, con la loro adozione, si è avuto un raddoppiamento delle presenze femminili in politica, scemata dopo la loro abolizione nel 1995. Benazzo153 afferma che è stata l’applicazione delle quote a riequilibrare negli ultimi anni situazioni di tradizionale sottorappresentanza politica nei paesi europei. Esaminando tali esperienze si è riscontrato che «l’aumento delle candidature femminili porta invariabilmente a innalzare il numero delle elette, e se le quote di genere sono mantenute sufficientemente a lungo, la presenza delle donne in politica tende a stabilizzarsi con ricadute legislative in tema di parità dei sessi (Paesi Scandinavi, Germania, Spagna, Francia)»154. 3.2.5. Meccanismi paritari e quote in Europa In Europa con l’adozione di quote o leggi paritarie si interviene sulle precondizioni elettorali per garantire alle donne maggiori possibilità di essere elette155. In alcuni paesi europei le quote per favorire la maggiore partecipazione delle donne sono state scelte spontaneamente dai partiti, in altri sono state introdotte dal legislatore attraverso leggi ordinarie o costituziona«Laboratorio donnae. Laboratorio di ricerca sul pensiero e sulla rappresentazione che le donne si danno in politica», <http://laboratoriodonnae.wordpress.com>. 150 P. Nuzzo, Sembra 50E50 invece è quota, in «Laboratorio donnae», 20 luglio 2012, <http://laboratoriodonnae.wordpress.com/2012/07/20/sembra-50e50-invecee-quota/>. 151 Ibidem. 152 Cfr. anche tra gli altri: B. Pojaghi, Donne e partecipazione politica, cit., p. 166. 153 A. Benazzo, Eguaglianza di genere e rappresentanza politica nei Paesi dell’Unione europea, cit., pp. 72, 73. 154 Ivi, p. 72. 155 Cfr. ivi, p. 66. 128 li156. Nel primo caso si parla di modello scandinavo perché nei paesi del nord Europa i partiti socialdemocratici le hanno adottate autonomamente sin dagli anni Settanta del secolo scorso, ottenendo progressivamente, vent’anni dopo, una presenza di genere sostanzialmente paritaria. Dimostrando come l’iniziativa di un partito possa influenzare le scelte degli altri e favorire una cultura democratica dell’uguaglianza157. Quando le quote sono opera del legislatore si parla di modello francese, poiché la Francia è stato il paese che per primo ha adottato una legge sulla parità di genere in politica. Dopo precedenti tentativi vanificati dalla corte costituzionale, il legislatore interviene sulla Costituzione nel 1999158 stabilendo che la legge deve favorire un uguale accesso degli uomini e delle donne ai mandati elettorali e alle funzioni elettive, attribuendo ai partiti la responsabilità di contribuirvi. Nel 2000 si inserisce la parità nelle leggi elettorali e sanzioni nei rimborsi ai partiti che non la rispettano. I risultati sono scarsi nelle elezioni del 2002, gli uomini preferiscono perdere rimborsi piuttosto che poltrone. Ma nelle elezioni successive, sia pure lentamente, sono aumentate le percentuali di donne elette a tutti i livelli, benché siano ancora poche quelle che occupano ruoli apicali159. Il modello scandinavo è stato duplicato, per esempio, in Spagna dove nel 2000 l’adozione spontanea delle candidature paritarie da parte del Psoe ha sollecitato gli altri partiti ad adottare comportamenti analoghi. Nel 2007 è intervenuto anche il legislatore160, stabilendo la partecipazione equilibrata a livello costituzionale e che la presenza di ciascun sesso nelle liste dei partiti non può superare il 60% e non può essere inferiore Cfr. tra gli altri: M. Sinau, Le donne nella sfera della politica: diritti delle donne e democrazia, in G. Duby, M. Perrot (a cura di), Storia delle donne in Occidente. Il Novecento, Bari, Laterza, 1992, pp. 66-73; G. Brunelli, Donne e politica, Bologna, il Mulino, 2006; A. Benazzo, Eguaglianza di genere e rappresentanza politica nei Paesi dell’Unione europea, cit. 157 Hanno ovviamente contribuito anche altri fattori culturali e politici e l’esistenza di un welfare state che ha promosso l’uguaglianza e le pari opportunità (cfr. sul tema e relativa bibliografia: R. Bufano, Welfare state e pari opportunità a partire da EspingAndersen, cit.). 158 L. cost. 569/1999. 159 Cfr. tra gli altri: A. Del Re, Le donne e i partiti politici in Italia e in Europa: la democrazia maschile, cit., p. 37; A. Benazzo, Eguaglianza di genere e rappresentanza politica nei Paesi dell’Unione europea, cit., pp. 68-70; 160 L. 3/2007. 156 129 al 40%. Il modello francese è stato ripetuto anche in Belgio, Portogallo, Italia e Slovenia. Ma, come afferma Del Re161, tutte queste misure di fatto coinvolgono i partiti politici che continuano a detenere il monopolio della composizione delle liste elettorali e che, quindi, conservano il potere di designare la rosa dei candidati e di indirizzare l’elettorato. Per questo è importante valutare la loro influenza nell’attuazione di una democrazia veramente paritaria. 3.2.6. Il ruolo dei partiti nella rappresentanza di genere Il gap di genere in politica è chiaramente molto più basso nei paesi in cui i partiti hanno promosso la partecipazione femminile162 . Nonostante la sfiducia dei cittadini nei confronti di questi organismi sia sempre più diffusa, in particolare in Italia, tanto da far parlare di crisi degli stessi, la crisi riguarda solo il loro rapporto con la base elettorale, non le loro funzioni. Sono sempre i partiti a strutturare la competizione politica, organizzare le campagne elettorali, selezionare il personale politico elettivo, designare chi verrà eletto e a quale carica pubblica. Ed è chi viene eletto che elabora le leggi del paese, ne stabilisce la direzione politica e definisce le regole della convivenza civile163. La presenza delle donne nei partiti e nelle liste elettorali è molto bassa, sia a causa della diffidenza provata dalle stesse, sia per gli ostacoli opposti dagli uomini di partito. Le discriminazioni vengono praticate soprattutto in occasione delle selezioni per le candidature, «se vige il proporzionale alle donne si danno i collegi meno sicuri, mentre nel maggioritario senza preferenze le donne vengono collocate in fondo alle liste»164. Oppure si preferisce far candidare donne poco qualificate o ininfluenti dal punto di vista delle competenze e si osteggiano quelle che rappresentano delle temibili avversarie nella corsa alla poltrona. Quando si offrono dei ruoli di governo, si affidano alle donne i ministeri senza portafoglio, quindi di Cfr. A. Del Re, Le donne e i partiti politici in Italia e in Europa: la democrazia maschile, cit., p. 38. 162 Per una panoramica della composizione femminile nei partiti europei e italiani si veda ibidem. 163 Cfr. ivi, pp. 38, 53. 164 B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., p. 308. 161 130 fatto le si mette in condizione di poter realizzare poco. I modi e i tempi delle riunioni sono inconciliabili con il lavoro familiare e le tagliano fuori dai ruoli di comando. Come scrive Del Re, i partiti nascono maschili, con una composizione delle élite e un bacino elettorale maschile, quando la divisione sessuale dei ruoli confina la donna nel privato. Ma non si modificano minimamente con il suffragio universale, restano delle strutture maschili nella forma e nell’ideologia e qualora vi partecipano delle donne queste costituiscono un ghetto esterno o appena integrato, escluso dalla direzione. I partiti, denuncia la studiosa, sono organismi autoreferenziali, incapaci di relazionarsi con i movimenti e la base sociale, rappresentano solo se stessi «e formano un cartello per evitare che le sconfitte si ripercuotano negativamente sulle carriere individuali dei politici»165. Questo sistema rende difficile il rinnovo delle élite sia in termini di genere che di generazione. Si assiste a un aumento di donne nelle liste dei vari partiti sia di sinistra che di destra, ma spesso è funzionale all’immagine. Le candidature sono riservate a un ceto politico che eternamente ripropone se stesso, utilizzando la modalità della cooptazione anche per le poche donne attive che finiscono col riprodurre il sistema. Dall’analisi emersa in questo paragrafo, appare evidente che i partiti continuano a essere organismi fondamentali per l’istituto della democrazia e che, pertanto, la presenza delle donne dovrebbe aumentare proprio in questi per contribuire a modificare le regole della partecipazione politica e per rifondare il legame tra rappresentanti e rappresentati. 3.3. Democrazia digitale Le nuove tecnologie, come ricorda Stefano Rodotà166, hanno inciso in modo netto sulla politica e sulla figura del politico. Si pensi al fatto che i grandi dibattiti, seguiti dall’opinione pubblica, non hanno più sede in A. Del Re, Le donne e i partiti politici in Italia e in Europa: la democrazia maschile, cit., p. 42. 166 S. Rodotà, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Roma-Bari, Laterza, 1997; Id, Tecnologia e democrazia, in «Il grillo», 8 gennaio 2001, <http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=742>. 165 131 parlamento ma in televisione. Se questo rapporto più diretto con i cittadini sarebbe dovuto andare a vantaggio della trasparenza e della chiarezza, di fatto i politici hanno finito con il preoccuparsi più dell’apparenza che della coerenza e della sostanza dei loro discorsi. Il tutto a detrimento della politica, poiché la ricerca della battuta o la pratica della denigrazione dell’avversario ha comportato un impoverimento del linguaggio politico. Dunque, l’informazione politica ha finito con il lasciare il passo all’informazione spettacolarizzata dei talk show e la sfera pubblica è stata sottoposta a logiche di mercato e attraversata da tecniche proprie dell’attività imprenditoriale. Se, come sostiene Pierre Levy167, il totalitarismo si disegna tramite il carattere verticale e unidirezionale dei flussi di notizia, la novità rilevante della Rete consiste nel passaggio dalla comunicazione verticale della videosfera a quella orizzontale e interattiva della mediasfera. La Rete, per Rodotà (quando inizia a trattare il tema della tecnopolitica nel 1997), più che come strumento della democrazia, si designa come riformulazione della stessa, la cui caratteristica fondamentale è proprio quella di essere in continuo mutamento. Si è passati, infatti, dalla democrazia delle élites a quella dei partiti di massa e successivamente a una democrazia del pubblico. «La Rete implica un flusso continuo di informazioni e rapporti, che non solo accresce la possibilità di intervento di ciascuno, ma soprattutto contraddice l’idea d’una democrazia confinata al momento estremo della decisione»168 e limitata per i cittadini alla partecipazione elettorale (partecipazione intermittente). Si prospetta una democrazia continua, in cui i cittadini in numero crescente assumono il ruolo di protagonisti e si colma il loro silenzio tra un’elezione e l’altra che preoccupava Rousseau169. Ma, allerta lo studioso, serve anche una cultura politica rinnovata, altrimenti la tecnopolitica rischia di risolversi nel populismo o di svuotare di significato le pratiche democratiche. Gli studiosi, rispetto all’ipotesi della democrazia digitale, assumono posizioni diverse. Agli antipodi troviamo coloro che con Internet vedono aprirsi scenari evangelici (democrazia diretta e universale) oppure apocalittici (rischio di diffusione del terrorismo e delle dittature). Tanti altri P. Levy, Cyberdemocrazia. Saggio di filosofia politica (2002), trad. it., Milano, Mimesis, 2008. 168 S. Rodotà, Tecnopolitica, cit., p. 165. 169 Cfr. ivi, pp. 8-10. 167 132 sono perplessi sulle reali possibilità della Rete e altri ancora vi ripongono caute aspettative. Tra gli ottimisti ci sono Levy170, Derrick De Kerckhove171, Manuel Castells172 . I primi due ipotizzano un governo globale poiché, grazie alla Rete, si ridisegna lo spazio pubblico che rende possibile una democrazia partecipativa, trasparente e non più subita dall’alto. Il ciberspazio è molto più inclusivo ed è frequentato da soggetti meglio informati e più attivi politicamente, le stesse agorà virtuali sono strumento di informazione e dibattito politico, che con il voto elettronico fanno transitare al governo elettronico. Già con l’e-governement la maggior parte dei servizi offerti dalle amministrazioni sono a disposizione dei cittadini online, semplificando l’apparato burocratico, rendendo più trasparenti i processi amministrativi e riducendo, di conseguenza, la corruzione. Per Castells l’unico strumento che può salvare la democrazia rappresentativa agonizzante (spettacolarizzazione, corruzione della politica, manipolazione dei media, leaderismo che offusca il ruolo dei partiti, ecc., con conseguente sfiducia dei cittadini nel sistema politico) è la Rete, dove nascono movimenti (come i no global) e sono possibili nuove forme di democrazia partecipativa come attestano le elezioni di Obama, a partire da quella del 2008. L’utilizzo del Web 2.0 (Facebook, YouTube, Twitter, ecc.) ha messo in moto la denominata “classe creativa”, un popolo della Rete interattivo che ha manifestato bisogni e aspettative e ha contribuito a organizzare la campagna elettorale (organizzando eventi, discutendo il programma elettorale, facendo proselitismo). Un evento poco duplicabile in Italia secondo Carlo Formenti173, perché manca un uso consapevole della Rete e i network (secondo una ricerca compiuta su le elezioni amministrative in Puglia) sono utilizzati più come canale di comunicazione politica dall’alto verso il basso che come strumento di partecipazione dal P. Levy, Cyberdemocrazia, cit.; Id., Verso la ciberdemocrazia, in D. De Kerckhove, A. Tursi (a cura di), Dopo la democrazia? Il potere e la sfera pubblica nell’epoca delle reti, Milano, Apogeo, 2006, pp. 3-23. 171 D. De Kerckhove, Dalla democrazia alla ciberdemocrazia, in D. De Kerckhove, A. Tursi (a cura di), Dopo la democrazia?, cit., pp. 57-70 172 M. Castells, Comunicazione e Potere, trad. it., Milano, Bocconi Università Edizioni, 2009. 173 C. Formenti, Prefazione, in C. Formenti, P. Mele (a cura di), I politici ci mettono la faccia. Facebook e le elezioni amministrative del 2009 in Puglia, San Cesario di Lecce, Manni, 2010. 170 133 basso e di confronto orizzontale tra i cittadini. Lo studioso è tra coloro che esprimono una serie di perplessità sulla democrazia digitale174, egli denuncia i pericoli insiti nell’anarchia della Rete (perché senza regole si instaura la legge del più forte) e la sua inesattezza (i governi stanno riuscendo a controllare i nuovi media), il rischio della deriva al cyberpopulismo, le distorture della osannata trasparenza (a suo avviso sono il potere politico e economico a sapere più cose degli utenti e non viceversa), e riprendendo il binomio sfera pubblica/sfera privata, egli vi individua più una privatizzazione della prima (una somma di conversazioni private, una tendenza all’autoesibizione) che una politicizzazione della seconda. L’interesse dei “cittadini della Rete” si concentra sulla democratizzazione dell’economia e sulle relazioni personali più che sulla politica. Tra gli studiosi c’è chi denuncia l’omologazione, la povertà e la frammentarietà del linguaggio di Internet175 e chi la preformazione della mente in atto a opera delle aziende globali che producono le nuove tecnologie e governano la mutazione cognitiva176, compromettendo la libertà mentale alla base della democrazia. C’è chi dichiara non auspicabile un governo globale177, perché senza la politica, esautorando lo stato, l’alta velocità del tubo catodico rischia solo di aumentare il divario tra le diverse aree geografiche e sociali. Chi ne sottolinea l’inattuabilità178: un governo elettronico globale appare poco efficace politicamente, senza una funzione legislativa, esecutiva e giudiziaria. Non si può immaginare un governo senza un organismo territoriale che rende riconoscibile e legittima la sovranità. Tra i suoi testi più recenti sull’argomento cfr.: F. Formenti, Cybersoviet. Utopie postdemocratiche e nuovi media, Milano, Raffaello Cortina, 2008; Id., Se questa è democrazia: paradossi politico-culturali dell’era digitale, San Cesario di Lecce, Manni, 2009. 175 Cfr. L. Toschi, Maschere e luoghi della politica in Rete, in D. De Kerckhove, A. Tursi (a cura di), Dopo la democrazia?, cit., pp. 89-125. 176 Cfr. F. Berardi Bifo, Democrazia e mutazione, in D. De Kerckhove, A. Tursi (a cura di), Dopo la democrazia?, cit., pp. 73-87. 177 A. Tursi, Proliferazione della discussione, necessità della decisione, in D. De Kerckhove, A. Tursi (a cura di), Dopo la democrazia?, cit., pp. 127-146. 178 U. Vergari, La democratizzazione dell’informazione nell’era della globalizzazione, in G. Preite (a cura di), Politica e tecnologie. Spazio pubblico e privato della conoscenza nella società dell’informazione, Roma, Carocci, 2010, pp. 125, 126. 174 134 Per altri ancora179, l’e-democracy, intesa come possibilità di votare da casa, di accedere ai servizi dell’amministrazione (e-government), di essere iperinformati, di discutere dei problemi del quartiere piuttosto che di quelli mondiali (derritorializzazione), se rafforza le pratiche democratiche, non trova nel territorio reali mediatori da influenzare, non esistono organizzazioni radicate che stimolano una effettiva partecipazione dei navigatori. Tanto da far parlare Michele Prospero di “solitudine del cittadino virtuale”, superabile solo se il medium serve a mobilitare le soggettività reali, se visitare la piazza virtuale è funzionale a conquistare visibilità nella piazza reale e a generare azione politica collettiva. «Una prospettiva realistica può solo auspicare una convivenza tra forme della rappresentanza e possibilità di utilizzare momenti di ciberdemocrazia»180. Anche Rodotà181, rivedendo la sua riflessione sulla tecnopolitica, dichiara che, a dispetto della previsione che le nuove tecnologie avrebbero sostituito le passate forme dell’agire politico, l’esperienza ha dimostrato che le «novità delle forme della politica si avvalgono delle innovazioni tecnologiche, ma non si risolvono integralmente in esse»182 . Egli ricorda come Seattle non sarebbe stata possibile senza Internet, ma che l’esperienza è diventata nota perché trasmessa dalla televisione. Quindi i nuovi media non cancellano i vecchi, ma si completano. Si tratta di sperimentazioni che partono dal basso, integrano modalità e tecnologie differenziate, ma sollecitano più la partecipazione che la decisione. L’uso della Rete in politica, inoltre, non necessariamente implica interattività, facilmente i partiti e i candidati se ne servono per rimodulare la loro comunicazione in nome del consenso a ogni costo183. Ma, per lo studioso, è incontestabile l’utilità dello strumento: «Internet e il ciberspazio devono rimanere disponibili per consentire la libera formazione della personalità, l’esercizio Cfr. S. Bentivegna, A che punto è l’e-democracy? Nel cibersbazio alla ricerca della democrazia, in D. De Kerckhove, A. Tursi (a cura di), Dopo la democrazia?, cit., pp. 169-174; M. Prospero, La solitudine del cittadino virtuale, in D. De Kerckhove, A. Tursi (a cura di), Dopo la democrazia?, cit., pp. 175-196. 180 M. Prospero, La solitudine del cittadino virtuale, cit., p. 191. 181 S. Rodotà, Dieci tesi sulla democrazia continua, in D. De Kerckhove, A. Tursi (a cura di), Dopo la democrazia?, cit., pp. 149-167. 182 Ivi, p. 150. 183 Cfr. anche M. Prospero, La solitudine del cittadino virtuale, cit. 179 135 della libertà di espressione e di associazione, lo svolgimento delle iniziative civiche, la sperimentazione di nuove forme di democrazia»184. Sicuramente, come evidenzia Ughetta Vergari185, la conoscenza dà potere, l’informazione orizzontale e la possibilità di accedere autonomamente a meccanismi fino a poca tempo fa “imboccati” significa riprendere potere nei confronti delle istituzioni politiche. Il singolo individuo che utilizza la Rete e fruisce di infinite informazioni, si riappropria «della sua sovranità individuale e della sua capacità e potenzialità di autogestione»186. 3.3.1. Opportunità della Rete e digital divide La rete (intesa nell’accezione di insieme di persone che interagiscono) come ha dimostrato la storia delle donne (straordinaria l’azione di pressione politica e di intervento sociale realizzata con l’associazionismo) e come continua a dimostrare ancora una volta l’esperienza femminile in Internet dà forza all’agire politico-sociale coinvolgendo un gran numero di individui ed educa o meglio rieduca alla cittadinanza e al riappropriarsi del concetto di sovranità. La Rete, a parere di chi scrive, non deve riformulare la democrazia, ma deve e può rivitalizzarla, dalla pratica della discussione virtuale che non può sostituirsi ma sintonizzarsi con l’agorà reale, al confronto con le istituzioni, al feedback continuo dell’azione svolta dai delegati, che appunto in quanto “delegati” dovrebbero interagire continuamente con la base elettorale (nella pratica sembrano vigere, invece, oligarchie mascherate da democrazia rappresentativa). Internet può rendere visibile e mettere in rete gruppi sociali che operano da tempo per la difesa della democrazia, ma che sono sapientemente occultati dall’informazione generalizzata e pertanto non mobilitano l’opinione pubblica e perdono potere contrattuale con le istituzioni e i rappresentanti. La Rete consente anche di bypassare il filtro (finalizzato non a difendere l’ideologia ma la gestione del potere) e gli ostacoli di natura gerarchica e burocratica che S. Rodotà, Dieci tesi sulla democrazia continua, cit., pp. 154, 155. U. Vergari, La democratizzazione dell’informazione nell’era della globalizzazione, cit., pp. 113-127. 186 Ivi, p. 119. 184 185 136 connotano i partiti di massa e che finiscono con l’escludere soprattutto le donne. Anche il diritto di voto ha generato da un lato grandi preoccupazioni per l’imprevedibilità del comportamento delle masse e dall’altro grandi speranze di risoluzione dei problemi politici e sociali della comunità. Il paragone è sicuramente improprio, poiché il suffragio universale è elemento fondamentale del processo di democratizzazione, mentre Internet è essenzialmente uno strumento. Tuttavia si possono cogliere delle analogie relative ai sentimenti generati. L’accesso al diritto di voto è stata una conquista ineludibile, ma non ha risolto tutti i problemi del corpo politico nell’immediato. Da un lato, non tutti erano in grado di esercitarlo, poiché era diffuso l’analfabetismo, e dall’altro non ha significato nel breve tempo l’esercizio della sovranità effettiva (il diritto di ognuno di prendere parte alle decisioni riguardanti ciascuno) da parte di tutti i cittadini (vedi le donne). Lo stesso vale per la democrazia digitale, è sicuramente una conquista a cui guardare positivamente, ma non può essere la panacea di tutti i mali. Inoltre, come al tempo del suffragio, siamo nuovamente di fronte al problema di un diffuso analfabetismo, questa volta digitale. Per digital divide (divario digitale)187 si intende il divario determinato dall’impossibilità di accedere e di fruire delle nuove tecnologie di comunicazione e informatiche, soprattutto di Internet. Il digital divide può avere diverse cause: infrastrutturale, la mancanza di possibilità economiche che consentano di averne la disponibilità fattiva, l’analfabetismo informatico, la qualità e la quantità dell’uso quando se ne ha l’accesso. Possono essere indisponibili le infrastrutture di base come linee telefoniche, banda di collegamento (fenomeno che riguarda soprattutto i paesi più poveri, dove spesso manca ancora l’elettricità), oppure quelle più avanzate come la banda larga. Molte famiglie non possono permettersi economicamente un computer o l’abbonamento a Internet anche nei paesi avanzati. L’analfabetismo degli individui può riguardare le conoscenze sia tecnologiche per poter utilizzare il mezzo che relative alle potenzialità della Rete. Cfr. tra gli altri: L. Sartori, Il divario digitale. Internet e le nuove disuguaglianze sociali, Bologna, il Mulino, 2006. 187 137 Nella società e nell’economia della conoscenza che riconoscono a quest’ultima una centralità assoluta, il divario digitale genera esclusione e contribuisce al crescere delle disuguaglianze. Le conseguenze sono l’accentuarsi delle disparità tra paesi poveri e paesi ricchi, ma anche all’interno delle stesse società avanzate dove aumenta il rischio di una sempre maggiore polarizzazione sociale con un’élite tecnologicamente istruita circondata da masse ignoranti. Secondo i dati di Internet World Stats188, a giugno 2012 gli internauti mondiali sono più di 2 miliardi e 400 milioni su oltre 7 miliardi di popolazione. Il divario digitale mondiale è lampante e conferma, se ce ne fosse la necessità, l’impossibilità di parlare di un governo digitale mondiale. Fatta eccezione per l’America del Nord, dove accede alla Rete il 78,6% della popolazione, ci si attesta al di sopra della metà solo in Oceania (67,6%) e in Europa (63,2%), mentre in tutte le altre aree la popolazione che utilizza Internet è inferiore alla metà: 42,9% in America Latina, 40,2% in Medio Oriente, 27,5% in Asia e 15,6% in Africa. Appare netto lo scarto tra l’area geografica con maggiore e quella con minore percentuale di popolazione che accede alla Rete (l’America e l’Africa), ma anche tra i paesi europei ci sono grossi divari. Naviga solo il 58,4% degli italiani, contro il 97,1% degli islandesi, il 92,7% degli svedesi, il 90% dei danesi, l’89% dei finlandesi, l’83% dei tedeschi, il 79,6% dei francesi, il 67,2% degli spagnoli. Secondo quanto rilevato dall’indagine Istat “Aspetti della vita quotidiana” 2012189, gli italiani che usano Internet sono anche meno, il 51,5%, mentre le donne che utilizzano la Rete sono solo il 46,7% della popolazione femminile. Ma è interessante rilevare come le donne trasformano in risorsa il fare rete in Rete. 3.3.2. La rete (delle donne) nella Rete Come afferma Vergari190 la facilità di accesso all’informazione e la libertà di espressione in Internet richiedono responsabilità, criticità, eticità e Cfr. <http://www.internetworldstats.com/stats.htm>. Cfr. “Aspetti della vita quotidiana” 2012 sul sito dell’Istat all’indirizzo: <http:// www.istat.it/it/archivio/66990>. 190 U. Vergari, La democratizzazione dell’informazione nell’era della globalizzazione, cit., pp. 114, 119. 188 189 138 rendono possibile la promozione di dibattiti politici che preparino a azioni di voto consapevoli. Le donne dimostrano ancora una volta di saper maneggiare gli strumenti della democrazia, come hanno fatto con l’associazionismo, la stampa (sin dalla Rivoluzione francese), utilizzano la Rete come un laboratorio, proprio per diffondere informazioni, allargare la base del confronto e favorire la presa di coscienza (anche della propria efficacia politica), sollecitare il dibattito politico su problemi comuni, far operare scelte consapevoli e rendere operative comunità femminili virtuali-reali che agli incontri su Internet alternano quelli in piazza, che al dibattito fanno seguire un progetto politico. La Rete nelle più svariate forme (e-mail, siti, blog, social network), è uno strumento che ne supporta la partecipazione politica attiva (sebbene prevalentemente non convenzionale). Basta leggere quello che scrivono donne che si spendono in movimenti femminili. «Pur essendo i momenti di piazza quelli che hanno dato maggiore visibilità e forza al movimento, sdoganando il termine femminista, per molti definitivamente archiviato come residuo ideologico, o semplicisticamente etichettato come “vetero”, a mio avviso gli elementi di maggiore significato e interesse sono nelle forme di partecipazione e organizzazione che stiamo sperimentando. Più che occupare uno spazio pubblico, rispetto al quale coesistono tra noi una grande pluralità di posizioni e contraddizioni, stiamo tentando di costruire uno spazio collettivo in cui discutere ed elaborare forme di lettura dell’esistente e possibili forme di azione comune. Connessione e rete sono le due parole che definiscono sia l’intenzione che il mezzo che facilita il “sommovimento” delle donne. Connessione e rete informatica, infatti, sono gli strumenti che permettono, allargano e rimodellano continuamente buona parte di questo spazio collettivo. Sono le mailing list, i blog, una web television come “donna tv” che consentono la circolazione in tempo reale di informazioni, azioni e pensiero, e che sono stati, e continuano a essere, i principali strumenti di organizzazione delle iniziative collettive. La stessa pratica della relazione tra donne è profondamente influenzata dal contesto informatico, che modifica appartenenze e può facilitare la progettualità comune. Pur non essendo questa una pratica nuova per i movimenti in buona parte lo è per quello delle donne, che tra l’altro rispetto all’uso delle tecnolo- 139 gie della comunicazione risentono spesso del gender divide»191. Questo è quanto afferma Rosy Paparella, che fa parte del movimento “Usciamo dal silenzio”192 , nato il 29 novembre 2005 per reagire al tentativo di mettere in discussione la legge sull’aborto. Un movimento che nasce proprio in Rete, da una mail che una giornalista, Assunta Sarlo, invia alle donne che conosce sollecitandole a mobilitarsi e a uscire dal silenzio, mentre altri cercano di tornare a decidere del corpo delle donne al posto delle donne. «Internet ha modificato radicalmente il modo di comunicare che è diventato più veloce, più capillare, più esteso. Una grande quantità di informazioni passano attraverso blog, siti, giornali on line e questo consente di interagire in tempo reale; con lo stesso strumento leggo una notizia, rispondo, dico la mia. Per chi voglia fare politica internet è una straordinaria fonte di conoscenza, ma anche di nuove relazioni. Le “amicizie” e le “condivisioni” di fatto ridefiniscono i contorni di una geografia politica non più riconducibile al “territorio”. Attraverso la parola scritta alcune donne, alcuni gruppi, hanno acquisito un’autorevolezza che va oltre la rete. Qui ci sono donne capaci di nominare la propria concezione della politica con una chiarezza e una consapevolezza sempre più rare nei luoghi fisici della politica»193. Da quanto scrive Nuzzo si evince come la politica delle donne si rinnova negli strumenti ma ripropone gli elementi che connotano la specificità della politica di genere sin dai primi movimenti femminili: la rete, l’amicizia194, la relazione. Internet consente alle donne di entrare in comunione superando i limiti fisici della territorialità, ma senza sostituirsi completamente all’incontro fisico che rimane fondamentale nella loro azione politica195, come avviene proprio con il 191 R. Paparella, Il movimento delle donne si fa… in Rete, in Etiche e politiche di genere, cit., pp. 158, 159. 192 Usciamodalsilenzio.org, <http://www.usciamodalsilenzio.org/chi-siamo.php>. 193 P. Nuzzo, Milit0nti e donne al tempo di internet, in «Laboratorio donnae», 24 agosto 2012, <http://laboratoriodonnae.wordpress.com/2012/08/24/milit0nti-edonne-al-tempo-di-internet/>. 194 Sull’importanza del nesso amicizia-politica cfr. E. Scaramuzza (a cura di), Politica e amicizia, Milano, FrancoAngeli, 2010. 195 «Tema tipico della storia delle donne: l’importanza dei luoghi di riunione e la differenza fra la cosiddetta sociabilità informale e formale; alla prima appartenevano luoghi tradizionali come i lavatoi, il forno, i mercati, le parrocchie, alla seconda le associazioni strutturate e politicamente organizzate. In queste ultime si creavano anche norme, in 140 “laboratorio donnae”196 della Nuzzo che ha la sua sede in Rete ma che organizza incontri reali. A suo avviso, con Internet ci si può liberare del personalismo politico e reintrodurre le idee e la progettualità politica, si possono raggiungere le donne più giovani, superare la mediazione (spesso ostativa) che connota le strutture di potere, instaurare un rapporto diretto con i cittadini, utilizzando un linguaggio chiaro e dando la possibilità alle donne di riconoscersi e di fidarsi197. La Rete favorisce anche la rete tra movimenti, campagne, associazioni. Alla campagna “50E50, ovunque si decide”198 aderisce, per esempio il citato movimento “Usciamo dal silenzio”. La campagna per la proposta di legge “Norme di Democrazia Paritaria per le Assemblee elettive”199 raccoglie 120 mila firme, di cui 14.500 circa in Puglia. La forza del movimento pugliese ha origine in un gruppo di donne che si costituisce nel 2005, durante un corso di formazione politica organizzato presso l’Università del Salento200. Il gruppo dapprima dà vita a un sito di riflessione politica modo da poter fare giustizia o elaborare norme nuove, imporle orizzontalmente o rifiutarle, trasformando coloro che ne facevano parte in una comunità separata dagli altri e integrata al suo interno da criteri comuni condivisi di valutazione»: F. Taricone, Una ragnatela concettuale, cit., pp. 67, 68. 196 «Per dare seguito al confronto avviato con donne incontrate negli ultimi dieci anni di attività politica, apro il laboratorio donnae. Un laboratorio permanente dove fare ricerca sul pensiero e sulla rappresentazione che le donne si danno in politica, dove mettere a fuoco le nostre vite fuori da letture già date, già precostituite»: P. Nuzzo, in “Chi siamo” del sito «Laboratorio donnae», <http://laboratoriodonnae.wordpress.com/about/>. 197 Il problema che le candidate non trovano sostegno tra le elettrici va rintracciato anche in questo elemento messo in luce da Nuzzo, nella mancanza del nesso riconoscimento-fiducia, problema ulteriormente favorito, come si è visto, dal fatto che le donne che fanno politica sono spesso cooptate da uomini e ne riproducono le modalità. Cfr. anche B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., p. 321. 198 Nel 2005 si discute di quote (è l’anno in cui vengono bocciate dal parlamento italiano). L’Udi prende le distanze da questa prospettiva della politica delle donne perché rafforza una rappresentazione del genere come minoranza discriminata e per questo bisognosa di tutela. L’idea è quella di diffondere una cultura paritaria della rappresentanza politica, coinvolgendo le donne, e di ottenerne l’affermazione per legge. Si elabora una proposta di legge e parte la campagna per la raccolta firme nel 2007. Lo slogan è “Squotiamo la politica” e le donne vi si riconoscono. 199 Cfr. § Le azioni positive: le quote. 200 Si tratta della II edizione di “Donne, istituzioni e politica” organizzata da Marisa Forcina. L’azione politica della campagna ha il suo nucleo originario in 4 donne: Milena Carone (allora componente del coordinamento nazionale dell’Udi e tra le autrici 141 “cittadinanze.it”201 e poi costituisce la sezione locale dell’Udi, UdiMacare Salento202 che diventa il motore della campagna regionale. La rete per queste donne (quella della relazione e quella informatica) diventa occasione e mezzo di pratica politica. Gli strumenti telematici utilizzati sono una pagina web “50E50”203 e le mailing list che si moltiplicano con ogni donna che vi aderisce. La Rete coinvolge e sollecita l’azione politica attiva delle pugliesi (per far firmare si mobilitano fisicamente, partecipano ai meeting). La campagna e la proposta di legge hanno l’obiettivo di «riformulare il concetto di ‘pari opportunità’, che ha avuto origine nella politica delle donne e che voleva dire: dare l’opportunità alle donne di gareggiare alla pari. Ed essere riconosciute per meriti e per competenze»204. La legge non è stata discussa in parlamento, ma il bilancio è che quella campagna «ha cambiato, non solo il linguaggio, ma in primo luogo ha fornito alle donne parole e strumenti per nominare la democrazia come progetto che le coinvolge e rispetta la differenza»205. Educandole a una cultura della rappresentanza paritaria e alla partecipazione attiva, sviluppandone la consapevolezza di efficacia politica. Svolgendo un’azione essenziale per un cambiamento concreto della politica206. La Rete è stata coprotagonista, strumento di supporto, acceleratore indispensabile per diffondere l’idel testo della proposta di legge), Roberta Cavallo, Enza Miceli e Loredana De Vitis (corsista della I edizione). L’esperienza dimostra l’effetto moltiplicatore della rete delle donne e l’“efficacia” dei corsi di politica sulla loro efficacia politica. «L’interesse per la politica che porta a frequentare corsi di formazione può, a parere di chi scrive, essere considerato un predittore dell’attivismo», tanto da preludere «a nuove forme di cittadinanza attiva, agendo sia a livello individuale, sia a livello di gruppo, attivando relazioni tra soggetti portatori dello stesso bisogno»: B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., p. 306. 201 In questa pagina si parla dell’occasione della nascita del gruppo e del tema dominante in quel periodo le quote: <http://www.cittadinanze.it/perche>. 202 UdiMacare Salento: <http://udimacare.wordpress.com/>. 203 <http://www.50e50.it/>. 204 P. Nuzzo, Sembra 50E50 invece è quota, cit. 205 Ibidem. 206 Si è detto che le quote sono strumento coercitivo (temporaneo) utile per far aumentare la presenza delle donne in politica, ma senza la diffusione di una cultura della rappresentanza paritaria, soprattutto tra le donne, le quote non possono dare risultati né qualitativi, né duraturi. 142 niziativa, far maturare la consapevolezza politica nelle donne, sollecitarne l’azione e far vivere loro la pratica della cittadinanza. Parte Seconda DONNA E SOCIETÀ. PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA E CITTADINANZA DIGITALE 145 146 Capitolo I Costruzione dell’identità di genere nel sud Salento Pasquale Luigi Di Viggiano 1.1. La ricerca: teorie e metodo Per realizzare la ricerca “Donne e società” che qui presentiamo ci siamo avvalsi del contributo di molte persone, dalla fase di progettazione fino alla somministrazione dello strumento d’indagine: il questionario. Abbiamo reso oggetto di discussione gli strumenti teorici, tecnologici e metodologici, nonché tutte le fasi della ricerca coinvolgendo i Comuni partner1, alcuni colleghi interessati all’argomento, i tecnici e gli esperti della rilevazione on line che ci hanno aiutato nella raccolta dei dati. In particolare, ci siamo avvalsi delle strutture e delle acquisizioni della ricerca sviluppatesi all’interno del LEG (Laboratorio di e-Government), confortati dal sostegno del Direttore, prof. Donato Limone e dal Vice Direttore prof. Marco Mancarella responsabile scientifico del progetto CUIS cui la ricerca si riferisce, nonché degli strumenti euristici resi disponibili dal Centro di Studi sul Rischio dell’Università del Salento e dal suo Direttore, prof. Raffaele De Giorgi. Questo metodo ha prodotto un continuo lavoro di revisione e di aggiustamento del set di mezzi utilizzati sia per la rilevazione e l’analisi dei dati ma anche per la costruzione della premessa teorica e metodologica. Per questo progetto di ricerca abbiamo utilizzato diversi strumenti concettuali mutuati dalle scienze sociali, in particolare dal filone funzionalista e Comuni di Andrano, Tricase, Poggiardo, Diso e Spongano, oltre all’Università del Salento. 1 147 costruttivista2 , fino a considerare principalmente le acquisizioni teoriche consolidatesi nell’ambito delle scienze sociali e dei sistemi sociali funzionalmente differenziati3. In particolare, abbiamo ritenuto utile per la nostra indagine, condotta con metodi tradizionali della survey4, ma realizzata anche con strumenti innovativi scaturiti dalla necessità di effettuare una rilevazione a carattere territoriale, proporre un apparato concettuale legato alla semantica dell’osservazione5 sviluppatasi in riferimento a una società definita complessa6 caratterizzata da aspettative7 in riferimento al genere femminile. Rilevare, analizzare e interpretare le istanze e le aspettative delle donne del territorio sud salentino verso il lavoro, la formazione, la politica e le Cfr. P. Watzlawick, La realtà inventata, Milano, Feltrinelli, 2006; J. Piaget, Introduzione all’epistemologia genetica, Milano, Emme Edizioni, 1982. Piaget sposta l’attenzione dal mondo ontologicamente inteso al mondo percepito e inizia a considerare la conoscenza come la più alta forma di adattamento di un organismo complesso. Il conoscere è, infatti, legato all’agire sull’ambiente ed ha lo scopo di costruire strutture concettuali variabili, così la mente costruendo sé stessa costruisce il mondo (Piaget, 1937). Vedi anche N. Luhmann, Conoscenza come costruzione, Roma, Armando editore, 2007; H. Foerster von, E. Glasersfeld von, Come ci si inventa, Roma, Odradek edizioni, 2001. 3 Cfr. N. Luhmann, R. De Giorgi, Teoria della società, cit.; N. Luhmann, Il sistema educativo. Problemi di riflessività, Roma, Armando, 1988; Id., Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, cit. 4 Cfr. K. D. Bailey, Metodi della ricerca sociale, Bologna, il Mulino, 1991. 5 Cfr. H. Foerster von, Sistemi che osservano, Roma, Astrolabio, 1987; H. Foerster von, B. Pörksen, La verità è l’invenzione di un bugiardo. Colloqui per scettici, Roma, Meltemi, 2001, pp. 112-117; E. Esposito, L’operazione di osservazione: costruttivismo e teoria dei sistemi sociali, Milano, FrancoAngeli, 1992. 6 Cfr. G. Bocchi, M. Ceruti (a cura di), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano 1985; Da un punto di vista sistemico, cfr. N. Luhmann, Sistemi sociali, cit., p. 94 ss., nonché i vasti riferimenti bibliografici contenuti nelle note. 7 Per una definizione sintetica, cfr. R. Schmidt, Tradurre la complessità, in N. Luhmann, Sistemi sociali, cit., Appendice, voce «Aspettativa», pp. 747-748. L’aspettativa è un insieme personale e interpersonale. Poiché la stessa si compie nell’oggi, l’aspettativa è futuro presentificato, tende a ciò che non è ancora, al non esperito, a ciò che si può solo arguire o scoprire. Speranza e paura, desiderio e volontà, preoccupazione, ma anche analisi razionale, visione ricettiva o curiosità, intervengono nell’aspettativa in quanto la costituiscono. In seguito tratteremo più approfonditamente il concetto da un punto di vista sistemico. 2 148 sue forme espressive, le innovazioni tecnologiche e sociali, la sfera pubblica dei servizi del Welfare State8 e l’ambiente, si rivela un’operazione di osservazione9 che implica tutti i rischi di una tale pratica. Ma la scelta di utilizzare per tutte le diverse fasi della ricerca un tipo di osservazione di secondo ordine10 allontana effetti dogmatici proprio perché un osservatore è solo un osservatore che osserva come altri hanno osservato e si espone al rischio di essere osservato egli stesso. Con la convinzione che non ci sono punti di osservazione o osservatori privilegiati, ma solo altri punti di vista e altri osservatori11. L’epistemologia costruttivista abbandona la credenza in una realtà indipendente dall’osservatore. La conoscenza personale, ma anche quella sociale, anziché consistere nella rappresentazione di una realtà data, si configura come vera e propria costruzione, o specificazione (distinzione), da parte dell’osservatore, al tempo stesso permessa e vincolata dalla sua propria struttura logica e linguistica12 . Tale concezione del rapporto coCfr. G. Preite, Welfare State. Storie, politiche, istituzioni, Trento, Tangram Edizioni Scientifiche, 2011. 9 Abbiamo già trattato l’argomento, relativamente ai problemi dell’apprendimento. Cfr. P. L. Di Viggiano, Strumenti di osservazione sistemica per l’analisi dei bisogni di formazione nel sociale, in «Annales Universitatis Apulensis» – Series Paedagogica – Psychologica Nr. 9/2009, Ministerul Educaţiei şi Cercetării Universitatea, “1 Decembrie 1918”, Alba Iulia 2009, pp. 100-116; F. Bochicchio, P. L. Di Viggiano, La formazione partecipata, Milano, Guerini, 2012. 10 Questo approccio viene indicato anche come cibernetica di secondo ordine e viene assunto, nella epistemologia costruttivista e dei sistemi sociali, come set di strumenti teorici in grado di consentire l’osservazione della società come sistema. L’operazione di osservazione, operata dai sistemi sociali, tiene conto della complessità che per molti versi è divenuta il metodo scientifico dell’epistemologia contemporanea sul piano della costruzione della conoscenza, caratterizzata dalla necessità di indicare il punto di vista di osservazione che produce la descrizione e la costruzione della realtà sociale. Cfr. F. Giglietto, Alle radici del futuro, Milano, FrancoAngeli, 2006, pp. 99-160; N. Luhmann, Osservazioni di secondo ordine, in Sociologia del rischio, Milano, Bruno Mondadori, 1996, pp. 246-259. 11 Per una puntuale riflessione sui gradi dell’osservazione, cfr. N. Luhmann, Sociologia del rischio, cit., pp. 80-82. Molti, in ambito sociologico, si sono cimentati nell’affrontare il tema/problema dell’osservatore dal punto di vista dei sistemi, senza, tuttavia, riuscire a rendere appieno la ricchezza e la poliedricità della questione. Cfr. per tutti, M. G. Musso, Il sistema e l’osserv-attore. Itinerari di sociologia della complessità, Milano, FrancoAngeli, 2008. 12 Cfr. S. Moscovici, Le rappresentazioni sociali, Bologna, il Mulino, 1989. 8 149 noscenza/realtà formalizzato in maniera radicale da Ernst von Glasersfeld, trova più specifiche elaborazioni nella cibernetica di secondo ordine, nel movimento del costruzionismo sociale, nella psicologia culturale, e specialmente nella teoria dei sistemi sociali di Niklas Luhmann. L’interesse di questa ricerca non è quello di ripercorrere le tappe evolutive di questo pensiero variegato, quanto individuare alcuni punti di riferimento che ci consentano di esplicitare l’indirizzo teorico e gli strumenti concettuali con i quali tenteremo di analizzare e descrivere le istanze di un campione di donne salentine emerse dal processo di osservazione operato in ambito territoriale. «Osservare è il definitivo punto di partenza, nonché il problema fondamentale di ogni tentativo di comprendere la realtà e la ragione come fenomeni del dominio umano. Invero ogni cosa detta è detta da un osservatore a un altro osservatore che può essere egli stesso»13. Lo scopo principale di questa operazione di osservazione è operare distinzioni che scindano l’ambiente dal sistema di osservazione. Questa affermazione di Maturana e l’assunto di Spencer Brown14: “traccia una distinzione”, rappresentano il presupposto paradigmatico, spesso esplicito, di ogni ricercatore sociale funzionalista e costruttivista. Nella teoria dei sistemi (sociali e autopoietici) intesi come sistemi che osservano, l’operazione fondamentale dell’osservare è la “distinzione”15 e la descrizione della parte distinta. Su queste premesse costruiremo le descrizioni della popolazione di donne osservata. 1.1.1. Obiettivi della ricerca In base alla Costituzione repubblicana, artt. 2-3-37-51-117, in Italia sussiste un principio di assoluta parità tra i sessi che riguarda ogni aspetto del Cfr. H. Maturana, Autopoiesi e cognizione: la realizzazione del vivente, Venezia, Marsilio, 1988. 14 Cfr. G. S. Brown, Laws of Form, London, Allen&Unwin, 1969. 15 Per una puntuale riflessione sugli “operatori” di Brown: il “mark” e l’“unmarket space” quali possibilità dell’osservatore di escludere da sé forme, asimmetrie, ripetizioni infinite e re-entry in uno spazio immaginario, cfr. N. Luhmann, Osservazioni sul moderno, Roma, Armando editore, 2006, pp. 139-144. 13 150 vivere civile. Tale principio, però, sotto taluni profili, non trova ancora oggi piena attuazione. Da tale presupposto, normativo e fattuale, consegue l’esigenza di un’analisi delle problematiche delle esigenze dell’universo femminile in contesti territoriali definiti, attraverso l’elaborazione di specifici dati statistici sulla base dei quali sia possibile costruire politiche pubbliche e predisporre servizi innovativi su base comunale o intercomunale. Inoltre, in base alla cd. Riforma Brunetta (Legge 150 del 2000, D. Lgs. n. 82 del 2005 – Codice dell’Amministrazione Digitale, D. Lgs. 198/2009) sussiste in capo alle Pubbliche Amministrazioni un obbligo di trasparenza e di erogazione di servizi on line anche nei confronti dell’utente-donna. A fronte, quindi, di esigenze specifiche che provengono dall’universo femminile, vi sono oggi esigenze normative che impongo agli Enti Locali una maggiore attenzione alle problematiche del vivere quotidiano della donna. Il progetto di ricerca di cui ci occupiamo è incentrato sulla necessità di monitorare le esigenze della popolazione femminile nel territorio dei Comuni di Andrano, Tricase, Poggiardo, Diso e Spongano. Tale monitoraggio è stato realizzato con l’ausilio di un questionario specifico tarato sulle esigenze di progetto e con l’utilizzo di strumenti informatici/software per la raccolta e l’elaborazione dei dati predisposti per un’analisi statistica descrittiva delle istanze e dei bisogni femminili in tema di lavoro, servizi pubblici, formazione, superamento del digital divide, democrazia elettronica e ambiente. I dati statistici raccolti ed elaborati, come previsto dal progetto CUIS, saranno resi pubblici attraverso la realizzazione di un workshop specifico per la diffusione dei risultati della ricerca e per sviluppare un dibattito con i soggetti economici, politici e sociali del territorio di riferimento maggiormente rappresentativi e operanti nei settori di interesse della ricerca (partecipazione politica, ambiente, lavoro, servizi pubblici, formazione e ambiente). La realizzazione del progetto prevede, tra i suoi obiettivi operativi, quello di sensibilizzare il tessuto sociale e politico del territorio coinvolto in riferimento alla condizione femminile, con possibili ricadute in termini di predisposizione di attività amministrative e politiche volte a colmare deficit socio-politici e di partecipazione, permettendo alle donne residenti nel territorio del sud Salento di affrontare, con strumenti di conoscenza adeguati, gap occupazionali, informativi e partecipativi. 151 1.1.2. Fasi di realizzazione della ricerca La realizzazione della ricerca campionaria è avvenuta attraverso il rispetto di un cronoprogramma che ha previsto alcune macrofasi operative. a) Presso gli Uffici competenti del Comune di Andrano, Tricase, Poggiardo, Diso e Spongano è stata effettuata la raccolta dei dati relativi alla popolazione residente, ripartiti per sesso, fasce di età e occupazione aggiornati al 31/12/2010. b) Nel mese di settembre 2011 il responsabile della ricerca campionaria ha presentato ai Comuni partner una bozza di questionario. In questa occasione, presenti i referenti tecnici e politici del Comune di Andrano, i referenti politici dei Comuni di Diso e Spongano, due componenti della Commissione Pari Opportunità del Comune di Tricase, il Responsabile del questionario, Dott. Di Viggiano e il responsabile scientifico del Progetto CUIS, Prof. Marco Mancarella, la scheda di rilevazione è stata discussa e, per larga parte, condivisa previa modifica di alcuni item. Contestualmente sono state definite le modalità operative per la somministrazione dei questionari e i soggetti che, a seguito di formazione, avrebbero provveduto alla raccolta dei dati. La scarsità di risorse economiche e la necessità di coinvolgere la maggior parte delle popolazioni dei Comuni interessati hanno indotto i ricercatori a prevedere un piano di raccolta dei dati che individuasse intervistatori con un qualche interesse per la ricerca, cha avessero la possibilità di accedere presso la popolazione locale inserita all’interno del campione a costi contenuti e che potessero essere formati, anche solo sommariamente e per aspetti specifici delle interviste, con apprezzabili ricadute positive sulla ricerca. A questo proposito sono state coinvolte le maggiori e più attive associazioni di volontariato locali, le Commissioni pari opportunità, le Parrocchie, le Associazioni Proloco e gli studenti degli ultimi anni degli Istituti superiori presenti sul territorio. In assenza, chiedendo l’ausilio delle terze classi degli studenti di Scuola media. In particolare, sono stati coinvolti nel progetto di rilevazione dei dati: –– per il Comune di Tricase: le classi quinte del Liceo Classico/Scientifico e del Liceo Pedagogico – Comi; –– per il Comune di Poggiardo: le classi quinte dell’Istituto D’Arte e dell’Istituto Professionale Alberghiero; 152 –– per i Comuni di Andrano, Diso e Spongano: le terze classi di scuola media inferiore degli Istituti Comprensivi del proprio territorio. Solo alcune delle studentesse coinvolte, avendo le caratteristiche previste dal campionamento, sono state intervistate. Mentre per tutti, maschi e femmine, il ruolo esercitato è stato quello di intervistare le componenti femmine del nucleo parentale allargato in base a un preciso piano di campionamento strutturato per fasce d’età. Particolare apprezzamento va riconosciuto all’attività formativa propedeutica esercitata dai docenti degli istituti secondari verso gli studenti delle classi coinvolte e particolare plauso deve essere rivolto ai dirigenti scolastici che hanno aderito al progetto con grande slancio. c) Contemporaneamente alla definizione del questionario, il LEG, coordinato dal responsabile della ricerca e supportato dal responsabile della divisione informatica, l’esperto di telematica Marco Folle, si occupava della progettazione e della realizzazione di un tool open source per l’acquisizione e l’elaborazione di dati statistici basato sul software LimeSurvey16. Allo scopo di raccogliere on line i dati dei questionari e per consentire alle intervistate più attrezzate tecnologicamente di inserire direttamente le risposte agli item del questionario è stata predisposta, da parte del LEG, una pagina web protetta, allocata sul proprio server e linkata sul sito del Comune di Andrano e dei Comuni partner. Nel settembre 2012, al termine della rilevazione e dell’inserimento delle informazioni richieste dal questionario, il database prodotto è stato esportato in formato SPSS per procedere con la pulizia dei dati, per effettuare l’analisi dei dati statistici raccolti e per la produzione di tabelle e grafici. A dicembre 2012 è stato completato il report finale. Per la realizzazione degli step descritti, il LEG si è avvalso della collaborazione di ricercatori e di esperti nei settori dell’informatica giuridica, LimeSurvey è un tool open source per la creazione di questionari per indagini pubblicate sul Web, che con alcune limitazioni, possono essere utilizzati anche per il data entry di questionari cartacei. LimeSurvey è un “free software” sotto licenza GNU GPL che ne permette la possibilità di distribuzione e modifica sotto i termini da essa stabiliti. LimeSurvey: <http://www.limesurvey.org>. Cfr. R. Cianchetta, D. Pagliuca, Soluzioni Open Source per il software generalizzato in Istat: il caso di PHPSurveyor, Collana Documenti Istat, n. 17, 2005. 16 153 della scienza dell’amministrazione digitale e con esperienza nell’ambito dell’attività editoriale connessa alle pubblicazioni scientifiche; di dottori di ricerca (di cui due dottoresse), esperti nel settore sociologico e politologico. L’attuazione della ricerca si pone come particolarmente innovativa nel contesto territoriale di riferimento e assolutamente propedeutica alla realizzazione di politiche di genere e di qualsivoglia politica sociale volta a sostenere il mondo femminile nella realizzazione di diritti e nella soddisfazione di legittime aspettative verso le pubbliche amministrazioni interessate17. Il progetto, data anche la partecipazione delle Amministrazioni comunali degli Enti Locali coinvolti, tra i propri obiettivi prevede ricadute importanti negli ambiti dei temi proposti e vagliati dalla ricerca, in quanto il report finale rappresenta la prima rilevazione e analisi statistica completa e originale dei bisogni femminili nel territorio, con lo scopo di “sensibilizzare” il tessuto sociale e politico del territorio sud salentino interessato in riferimento alla condizione femminile, con possibili ricadute nei territori comunali in termini di predisposizione di attività e di politiche di promozione delle pari opportunità. Con l’intento di rendere disponibili alle donne residenti nel territorio strumenti di conoscenza in grado di consentire di superare nel tempo gap informativi e partecipativi. 1.1.3. Il gruppo di lavoro Come anticipato, la Survey di cui presentiamo i risultati ha utilizzato una metodologia di lavoro che si è sviluppata secondo un modello partecipativo e di confronto che ha coinvolto, a vario titolo, Strutture dell’Università del Salento, Enti Locali partner del Progetto CUIS e organizzazioni civili e religiose del territorio interessato alla indagine. Il ruolo di ognuno degli attori intervenuti è stato determinato dallo schema scientifico della ricerca, dalle competenze richieste per la sua realizzazione, dalle sensibilità e dalla disponibilità di tutti coloro che hanno dimostrato un qualche interesse per i temi ivi trattati. Una delle poche ricerche di genere realizzate nel Salento e rivolte alle donne è riconducibile a: P. L. Di Viggiano (a cura di), Rosa Antico. Indagine sulle donne anziane del Salento, Lecce, Pensa Multimedia, 2001. 17 154 I riferimenti costanti all’interno dell’Università del Salento e l’apporto irrinunciabile che essi hanno fornito sono costituiti: –– dal Laboratorio di E-Government che ha messo a disposizione strutture, competenze e logistica. In particolare si è distinto l’apporto del Direttore, prof. Donato Limone, del Vice Direttore, Prof. Marco Mancarella, del Responsabile organizzativo, Dott. Gianpasquale Preite, e di buona parte dei componenti del Consiglio scientifico e organizzativo, tra cui chi scrive; –– dal Centro di Studi sul Rischio, in particolare dal suo Direttore, Prof. Raffaele De Giorgi, che ha reso disponibili le proprie competenze consolidatesi nel campo della ricerca sociologica in campo internazionale e le acquisizioni scientifiche sullo studio della società di cui il CSR si occupa da diversi decenni. Tutti i Comuni partner hanno svolto un ruolo propositivo, manifestando un grande impegno per la realizzazione del progetto nel quale sono stati coinvolti sia Amministratori che funzionari dipendenti delle diverse Amministrazioni. Un apporto determinante è stato fornito da Associazioni del territorio, da agenzie educative private e da scuole pubbliche di ogni ordine e grado. È possibile, quindi, tracciare un quadro delle risorse impiegate nella ricerca che ha impegnato due diversi gruppi che si sono costantemente relazionati tra di loro intraprendendo azioni spesso frutto di comuni intenti. Solo per esigenze di ordine espositivo possiamo distinguere due gruppi che hanno concorso alla realizzazione del progetto: il gruppo di progetto e di ricerca e il gruppo di lavoro che si è occupato prevalentemente di interventi per la realizzazione delle fasi di indagine sul campo, dopo aver acquisito competenze in materia a seguito di formazione. GRUPPO DI PROGETTO Per l’Università del Salento – Ente responsabile per il profilo scientifico del Progetto –– Prof. Marco Mancarella – Responsabile progettuale – UniSalento –– Dott. Pasquale Luigi Di Viggiano – Responsabile e coordinatore della survey – UniSalento 155 –– Dott. Gianpasquale Preite – Responsabile organizzativo dell’ente proponente il Progetto – Laboratorio E-Government – UniSalento –– Dott.ssa Rossella Bufano – Assegnista di ricerca –– Dott.ssa Serena Quarta – Contrattista Per il Comune di Andrano – Lead partner progettuale –– Avv. Simona Rizzo – Assessore Pari Opportunità –– Avv. Katia Botrugno – Assessore Pari Opportunità –– Antonella Botrugno – Responsabile Ufficio Europa – URP GRUPPO DI LAVORO –– Comune di Diso – Sig.ra Mastria Assunta – Responsabile Ufficio Servizi Sociali e Assistenziali –– Comune di Poggiardo: Dott. Giuseppe Luciano Colafati –– Comune di Poggiardo: Dott.ssa Tiziana Micello – Consigliere Comunale delegata alle Politiche Sociali –– Comune di Poggiardo: Dott. Antonio Ciriolo – Responsabile Settore Affari Generali –– Comune di Poggiardo: Pinuccia Esposito (Ufficio Elettorale – Pubblica Istruzione – Sport) –– Comune di Poggiardo: Dott. Pasquale De Santis – Consulente –– Comune di Spongano: Dott.ssa Maria Immacolata Corvaglia – Vice Sindaco –– Comune di Tricase: Dott. Tommaso Serrano – Funzionario –– Comune di Tricase: O. R. S. – Osservatorio Ricerca Sociale –Centro Studi, Politiche e Ricerche Sociali ISTITUTI SCOLASTICI COINVOLTI A Tricase: –– Istituto Comprensivo “Giovanni Pascoli” –– Istituto Comprensivo “Dante Alighieri” –– I. I. S. S. “Don Tonino Bello” Polo Professionale –– Liceo Statale “G. Comi” 156 Ad Andrano: –– Istituto Comprensivo “Tenente Martella” – Dirigente Scolastico Prof. Pasquale Ciriolo –– Scuola Paritaria dell’Infanzia “Don Luigi Nuzzo” A Spongano: –– Istituto Comprensivo Statale – Dirigente Scolastico Prof.ssa Eufemia Musarò –– “Asilo Fulvio Bacile” Rev. da Superiora Suor Rita Esposito A Poggiardo: –– Istituto Statale d’Arte Nino della Notte 1.2. Bisogni delle donne in ambito sociale 1.2.1. Nota metodologica L’indagine campionaria sperimentale sulle aspettative e i bisogni delle donne dell’area sud salentina individuata dai Comuni di Andrano, Diso Poggiardo, Spongano e Tricase, condotta dal LEG – Laboratorio di EGovernment – dell’Università del Salento è stata realizzata tra i mesi di aprile e di ottobre 2012, attraverso la somministrazione di un questionario ed è durata circa sei mesi. Sono stati raccolti 1233 questionari validi, una parte dei quali direttamente inseriti dalle intervistate, e quindi processati on line attraverso l’accesso controllato al database contenente il questionario trattato con LimeSurvey, mentre la rimanente parte è stata etero-somministrata da intervistatori adeguatamente formati sui contenuti dell’indagine utilizzando questionari stampati su carta. È possibile affermare, quindi, che la ricerca proprio per il suo carattere di esperimento anche operativo ha utilizzato tecniche di raccolta dei dati in parte tradizionali e in parte innovative, cioè in modalità blended, affrontando e risolvendo problemi legati all’uso dinamico del questionario on line nella gestione del quale sono stati fondamentali i suggerimenti e la segnalazione delle difficoltà riscontrate dagli intervistati in fase di pre-test. Questo ha consentito di perfezionare in itinere sia l’organizzazione della somministrazione 157 dello strumento di raccolta dati sia il supporto telematico web based, rendendolo friendly ma senza intaccare la struttura scientifica dell’indagine. Le modalità di contatto con gli intervistati è avvenuta, come anticipato, attraverso approcci predisposti occasionalmente che gli intervistatori hanno gestito sulla base di una distribuzione campionaria individuata dal gruppo di ricerca e strutturata in fasce di età di donne comprese tra 18 e n anni. Per i contatti on line abbiamo utilizzato alcune mailing list messe a disposizione dai Comuni o dalle associazioni coinvolte nel progetto. Il rischio di questa differenziazione degli accessi al questionario poteva consistere in un sovradimensionamento delle risposte positive in relazioni a domande che presupponevano una dimestichezza con i media della comunicazione digitale. Nel corso dell’analisi verificheremo se questo rischio si è materializzato o se, invece questa metodologia ha bilanciato le interviste portate a donne che, diversamente, non sarebbero mai state incluse nel campione. Il questionario è composto da 48 domande chiuse e da 91 item, distribuiti in 7 sezioni tematiche che raggruppano, in base ad ambiti omogenei, gli argomenti sui quali è stato chiesto alle intervistate di esprimersi. La struttura del questionario e le domande predisposte sono state studiate per trattare gli argomenti politically correct, cercando di spiegare alle intervistate, sia in modalità web, sia de visu, le finalità della ricerca e l’utilità delle informazioni raccolte. Il linguaggio utilizzato per formulare le domande è stato sottoposto a continua revisione e al vaglio del gruppo di ricerca al fine di rendere più chiaro possibile il senso delle domande, avvicinandolo anche alle semantiche condivise dalle comunità locali. La metodologia utilizzata per la raccolta e l’elaborazione dei dati, il software di computazione statistica adottato (SPSS) garantiscono il controllo della qualità e della coerenza delle risposte predisponendo ex ante i tracciati obbligatori che sono stati seguiti nella compilazione dei questionari strutturati, i quali sottoposti a pre-test, hanno raggiunto una dimensione funzionale e sintattica ampiamente soddisfacente. 1.2.2. Le donne del campione L’universo della ricerca è rappresentato esclusivamente da donne di età pari o superiore a 18 anni, al momento della rilevazione residenti nei 158 Comuni salentini di Andrano, Diso, Poggiardo, Spongano e Tricase. Il metodo di campionamento scelto è il modello di campionamento per quote18, non probabilistico, in cui ciascuno strato, o quota, è rappresentato nel campione nella stessa proporzione che ha nella popolazione complessiva19. Con il supporto dell’Ufficio Anagrafe dei Comuni interessati, abbiamo censito la popolazione femminile ivi residente alla data del 31/12/2010 suddividendola in tre grandi aree: la prima comprendente la popolazione femminile fino a 13 anni; la seconda comprendente la popolazione femminile compresa tra 14 e 18 anni; la terza comprendente la popolazione femminile pari o superiore a 18 anni. Solo la terza area è stata tenuta in considerazione al fine di stabilire le quote campionarie sulla base di 13 fasce di età, prevalentemente separate da intervalli di 5 anni, con esclusione della prima e dell’ultima fascia di età. Per ogni fascia di età è stata calcolata la percentuale di incidenza sull’intera popolazione e per ogni fascia di età è stato calcolato il numero di interviste da realizzare per ottenere una rappresentatività del campione, almeno per quanto riguarda la variabile: fascia di età. Misurando l’errore standard di tutte le variabili abbiamo potuto constatare come le stime campionarie siano affette da un errore standard della media sufficientemente piccolo da permetterci di affermare che il campione è caratterizzato da un alto grado di rappresentatività20. È possibile sostenere ciò anche in presenza della specificità degli obiettivi della ricerca che sono esclusivamente di carattere descrittivo, orientati, dunque, verso la descrizione più precisa possibile delle variabili dal punto di vista di un osservatore al fine di rappresentare un quadro degli orientamenti delle donne intervistate in riferimento ad alcuni gruppi di indicatori. Il piano di campionamento originario prevedeva una popolazione di genere femminile complessiva per i 5 Comuni interessati dalla ricerca di 15.708 unità a cui corrispondeva la somministrazione di 1.256 questionari suddivisi per quote percentuali tra le 13 fasce di età individuate. «Campionamento per quote: metodo di campionamento non probabilistico equivalente al campionamento stratificato: campionamento non probabilistico in cui innanzitutto si selezionano gli strati necessari e poi si raccolgono le specifiche quote di casi in ciascuno strato»: K. D. Bailey, Metodi della ricerca sociale, cit., p. 558. 19 Ivi, pp. 115-116. 20 Nell’analisi statistica delle variabili, l’errore standard della media più elevato risulta di 0,667 mentre il più basso è di 0,004. 18 159 Tab. 1 – POPOLAZIONE FEMMINILE COMUNE DI ANDRANO ALLA DATA DEL 31.12.2010 classe 100% somministrati da somministrare % di quota 18-25 245 49 26 10,75 26-30 152 21 10 6,67 31-35 160 29 11 7,02 36-40 166 14 12 7,28 41-45 192 57 16 8,42 7,76 4 14 177 46-50 51-55 196 22 17 8,60 56-60 184 39 15 8,07 61-65 172 28 13 7,54 66-70 126 21 7 5,53 71-75 125 29 7 5,48 76-80 141 20 9 6,18 oltre 81 anni 243 36 26 10,66 TOTALE 2279 369 183 100,00 Nella prima fase di analisi abbiamo potuto validare 1.233 questionari completi su una previsione di 1.256 casi attesi. Da questa numerosità dei dati e dalla scarsa percentuale di scostamento dai dati attesi (circa il 15%) possiamo affermare che il campione, oltre a essere rappresentativo è abbastanza ampio da consentire un’analisi rigorosa e attendibile, in grado di descrivere adeguatamente i fenomeni sociali manifestati dalle donne intervistate e rappresentati statisticamente dalle variabili osservate. Tab. 2 – POPOLAZIONE FEMMINILE COMUNE DI DISO ALLA DATA DEL 31.12.2010 classe 100% somministrati da somministrare % di quota 18-25 136 20 12 9,10 26-30 101 15 7 6,76 31-35 84 5 5 5,62 36-40 84 14 5 5,62 41-45 130 33 11 8,70 46-50 136 19 12 9,10 51-55 99 10 7 6,62 56-60 104 5 7 6,96 61-65 110 6 8 7,36 160 Tab. 2 – POPOLAZIONE FEMMINILE COMUNE DI DISO ALLA DATA DEL 31.12.2010 classe 100% somministrati da somministrare % di quota 66-70 97 10 6 6,49 71-75 126 12 11 8,43 76-80 130 14 11 8,70 oltre 81 anni 157 5 16 10,50 TOTALE 1494 168 119 100,00 Tab. 3 – POPOLAZIONE FEMMINILE COMUNE DI POGGIOARDO ALLA DATA DEL 31.12.2010 classe 100% somministrati da somministrare % di quota 18-25 301 24 33 11,01 26-30 186 10 13 6,80 31-35 203 13 15 7,42 36-40 220 33 18 8,04 41-45 227 46 19 8,30 46-50 234 37 20 8,56 51-55 237 12 21 8,67 56-60 201 5 15 7,35 61-65 228 12 19 8,34 66-70 149 5 8 5,45 71-75 161 9 9 5,89 76-80 186 4 13 6,80 oltre 81 anni 201 6 15 7,35 TOTALE 2734 216 217 99,96 Tab. 4 – POPOLAZIONE FEMMINILE COMUNE DI SPONGANO ALLA DATA DEL 31.12.2010 classe 100% somministrati da somministrare % di quota 18-25 183 1 20 10,89 26-30 122 11 9 7,26 31-35 111 25 7 6,61 36-40 120 58 9 7,14 41-45 146 58 13 8,69 46-50 161 54 15 9,58 51-55 136 6 11 8,10 161 Tab. 4 – POPOLAZIONE FEMMINILE COMUNE DI SPONGANO ALLA DATA DEL 31.12.2010 classe 100% somministrati da somministrare % di quota 56-60 136 27 11 8,10 61-65 115 15 8 6,85 66-70 92 0 5 5,48 71-75 118 22 8 7,02 76-80 109 1 7 6,49 7,74 1 10 oltre 81 anni 130 TOTALE 1679 279 133 99,94 Tab. 5 – POPOLAZIONE FEMMINILE COMUNE DI TRICASE ALLA DATA DEL 31.12.2010 classe 100% somministrati da somministrare % di quota 18-25 779 47 81 10,36 26-30 522 10 36 6,94 31-35 591 9 46 7,86 36-40 667 16 59 8,87 41-45 725 30 70 9,64 46-50 711 26 67 9,46 51-55 582 19 45 7,74 56-60 567 12 43 7,54 61-65 560 3 42 7,45 66-70 337 2 15 4,48 71-75 462 13 28 6,15 76-80 399 6 21 5,31 oltre 81 anni 615 8 50 8,18 TOTALE 7518 201 604 99,99 Malgrado il numero inferiore di questionari giunti da Tricase e il sovradimensionamento delle rilevazioni effettuate negli altri Comuni, tuttavia, a livello di campionamento complessivo si registra una corrispondenza elevata tra campione ideale e dati raccolti. Gli strati del campione, raggruppati per tutte le risposte valide pervenute in base alle fasce di età, presentano uno scostamento non significativo rispetto al campionamento previsto dallo schema della ricerca. Alcune fasce d’età risultano sovradimensionate rispetto allo schema di campionamento previsto. 162 Infatti l’osservazione dei dati pervenuti descrive come la fascia di età sovradimensionata riguarda soprattutto le donne la cui età è compresa tra 41 e 50 anni, mentre le donne intervistate ultra ottantenni risultano leggermente sottodimensionate rispetto alle attese. Fig. 1 – Distribuzione territoriale Fig. 1 - Distribuzione territoriale dei dati raccolti dei dati raccolti Tab. 6 – POPOLAZIONE FEMMINILE. TAVOLA DI CONTINGENZA – ETÀ * COMUNE Comune Totale Classe d’età Poggiardo Spongano Tricase Andrano Diso anni 18-25 49 20 24 1 47 141 anni 26-30 21 15 10 11 10 67 anni 31-35 29 5 13 25 9 81 anni 36-40 14 14 33 58 16 135 anni 41-45 57 33 46 58 30 224 anni 46-50 4 19 37 54 26 140 anni 51-55 22 10 12 6 19 69 anni 56-60 39 5 5 27 12 88 anni 61-65 28 6 12 15 3 64 anni 66-70 21 10 5 0 2 38 anni 71-75 29 12 9 22 13 85 anni 76-80 20 14 4 1 6 45 oltre 81 anni 36 5 6 1 8 56 Totale 369 168 216 279 201 1233 163 Classe d'età 250 200 150 100 50 0 Fig. 2 - Distribuzione per –classi d’età Fig. 2 Distribuzione per classi d’età 1800 Popolazione e campione per classi d'età 1600 1400 1200 1000 800 600 400 popolazione al 31/12/2010 200 0 18-25 26-30 31-35 36-40 41-45 46-50 51-55 56-60 61-65 66-70 71-75 76-80 oltre 81 anni Fig. 3 – Distribuzione per classi d’età rispetto alla po- Fig. 3 - Distribuzione per classiaid’età rispettoe aialla popolazione, polazione, dati attesi dati raccolti. ai dati attesi e ai dati raccolti. La descrizione del campione rileva come le donne intervistate sono al 64% circa coniugate o conviventi (1,8%) mentre coloro le quali non hanno, o non hanno più, legami coniugali rappresentano il 34% circa delle 164 risposte (nubili: 19,5%; vedove: 11,7%; separate legalmente o divorziate: 3,1%). Circa il 77% del campione dichiara di avere figli. In relazione ai figli, la media di questo dato si attesta intorno a 2,35, mentre mediana e moda coincidono (valore = 2), registrando un numero minimo di prole uguale a 1 e il numero massimo uguale a 10, con una deviazione standard21 pari a 1,028. Stato civile 800 700 600 500 400 300 200 100 0 Fig. 4 – Distribuzione per stato civile Fig. 4 - Distribuzione per stato civile Le donne intervistate dichiarano per la maggior parte di vivere “con tutta la famiglia” (59,1%), o con il “partner”, con i “figli” o con “genitori e altri parenti”, mentre solo il 11,1% indica di “vivere da sola” o con “amici”. Incrociando i dati relativi all’“Età” e “Con chi vivi prevalentemente”, utiLa deviazione standard, o “scarto tipo” è un indice di dispersione delle misure sperimentali. Vale a dire, è una stima della variabilità di una popolazione di dati o di una variabile casuale. La deviazione standard è uno dei modi per esprimere la dispersione dei dati intorno a un “indice di posizione”, quale può essere, per esempio, il valore atteso o una stima del suddetto valore atteso. La deviazione standard ha, pertanto, la stessa unità di misura dei valori osservati (al contrario della “varianza” che ha come unità di misura il quadrato dell’unità di misura dei valori di riferimento – in questo caso, uguale a 0,940). In statistica la “precisione“ si può esprimere come deviazione standard. La deviazione standard risulta tanto maggiore quanto più la variabile è dispersa e, quindi, il campionamento è suscettibile di maggiore errore. Cfr. P. Corbetta, Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Bologna, il Mulino, 1999, pp. 319, 509-510. 21 165 lizzando come variabile di controllo la “Professione esercitata prevalentemente”, emerge il dato secondo il quale le donne che dichiarano di vivere da sole sono prevalentemente casalinghe o pensionate d’età superiore a 55 anni. Il 79% di queste sono vedove. Mediamente la famiglia a cui fa riferimento il campione è composta da 3,65 persone (moda e mediana = 4), partendo da famiglie composte solo dalle intervistate fino a registrare una numerosità dei componenti familiari pari a 9. Tra le intervistate, oltre alle italiane riscontriamo la presenza di due donne svizzere, due rumene, una inglese, una colombiana, una olandese, due polacche e tre marocchine, evidentemente integrate nel contesto territoriale sud salentino. Titolo di studio 450 400 350 300 250 200 150 100 50 0 Fig. 5 – Distribuzione per titolo di studio Fig. 5 - Distribuzione per titolo di studio In riferimento al titolo di studio dichiarato, le donne intervistate si collocano prevalentemente nel livello di istruzione relativo a scuola media e scuola media superiore (65,6%). Un complessivo 14% di variamente laureati (laurea breve, specialistica e post laurea) si accompagna a un importante 20,2% di donne senza titolo di studio o con sola licenza elementare. Il quadro relativo alla professione prevalente esercitata al momento della rilevazione del campione vede come maggiormente rappresentative le donne che rispettivamente svolgono attività di casalinga (35,60%), di pensionata (16,4%) e di studentessa (9,3%). Una buona rappresentatività è co- 166 stituita da donne che sono impiegate nella pubblica amministrazione con un complessivo 13%. L’analisi dei dati riscontra una percentuale superiore al 3% individuata come “risposte mancate” dovute, con molta probabilità, alla mancata indicazione nella declaratoria delle professioni presenti nel questionario della voce “disoccupata”. Tuttavia, questa è una informazione che recuperiamo in un secondo momento nell’area dedicata al lavoro. Tab. 7 – ATTUALE PROFESSIONE PREVALENTE Professione Frequenza Percentuale Artigiana 34 2,8 Casalinga 439 35,6 Commerciante 49 4,0 Impiegata settore privato 98 7,9 Impiegata settore pubblico 84 6,8 Imprenditrice 7 ,6 Insegnante/docente 69 5,6 Lavoratore agricolo 9 ,7 Libera professionista 32 2,6 Operaia settore privato 43 3,5 Operaia settore pubblico 8 ,6 Pensionata 202 16,4 Forze armate 4 ,3 Studente 115 9,3 Totale 1193 96,8 Mancante di sistema 40 3,2 Totale 1233 100,0 In estrema sintesi, quindi, il campione è composto da donne residenti nei Comuni di Andrano, Diso, Poggiardo, Spongano e Tricase, prevalentemente casalinghe, pensionate e impiegate nella pubblica amministrazione, con livello di istruzione medio-alto, coniugate con prole che vivono con la famiglia, con un’età media di circa 47 anni. 1.2.3. Istruzione e formazione Il Rapporto ISTAT 2012 costituisce uno strumento di incisiva rappresentazione dei fenomeni rilevanti della società italiana attuale. 167 Nel documento è possibile leggere come nel mondo del lavoro restano decise differenze di genere: il tasso di occupazione femminile continua a essere nettamente più basso di quello medio europeo, malgrado le donne abbiano assunto nuovi modelli di comportamento e partecipino con successo al percorso scolastico. I dati dimostrano, infatti, che la partecipazione scolastica delle donne è superiore a quella degli uomini (93% e 91,5%, rispettivamente) e che le prime concludono il percorso formativo più frequentemente dei secondi (il 78% delle ragazze ottiene il diploma, contro soltanto il 69% dei ragazzi)22 . Nel rapporto si coglie tutta la drammaticità della condizione odierna delle giovani donne, aggravata da questa crisi prolungata che produce effetti significativi sulle scelte di vita e sulle prospettive reddituali a medio e lungo termine. La mobilità sociale, specie per le donne, risulta essere minore rispetto al passato: questo significa che per i giovani (uomini e donne) è difficile migliorare la propria posizione. Se l’istruzione è un fattore chiave per alimentare la mobilità sociale e favorire la crescita economica i dati sull’abbandono scolastico e sull’interruzione degli studi post diploma evidenziano come rimangano forti i condizionamenti della situazione di partenza e della classe sociale di appartenenza dei giovani. Il Rapporto, tuttavia, descrive come siano proprio i protagonisti “maltrattati” di queste situazioni critiche “le migliori risorse del nostro paese: i giovani” in generale, che rappresentano un potenziale innovativo che trova enormi difficoltà a esprimersi e “le donne”, in particolare, che negli ultimi venti anni hanno mostrato una dinamicità notevole sul piano dell’istruzione e del lavoro, a cui si deve il riconoscimento pieno delle capacità. Proprio perché «le donne hanno cessato di essere le beneficiarie passive di aiuti destinati a dar loro sollievo, ma sempre più vengono viste, dagli uomini e da loro stesse, come protagoniste attive del mutamento, dinamiche promotrici di trasformazioni sociali che possono modificare sia la loro vita che quelle degli uomini»23. La complessa questione del formarsi delle identità femminili con l’altrettanto articolata questione dei diritti delle donne rappresenta in OcPer un’analisi puntuale sull’abbandono scolastico e sui lavori irregolari dei minori nel Salento, cfr. P. L. Di Viggiano, Il rischio del futuro, Lecce, Pensa Multimedia, 2008. 23 Amartya Sen, Premio Nobel per l’Economia, 1998. Cfr. A. Sen, Lo sviluppo è libertà (1999), Milano, Mondadori, 2000, p. 192. 22 168 cidente la sconveniente “faccenda” sociale e politica delle discriminazioni delle donne, prima reclamando la parità dei diritti civili e politici e successivamente pretendendo a gran voce la liberazione sessuale. Grande merito nella rivendicazione di queste istanze è attribuito ai movimenti neofemministi degli anni Settanta del Novecento che, nelle loro diverse contestualizzazioni locali, hanno comunque posto e imposto a livello internazionale, per la prima volta nella storia umana, la questione femminile come sapere, come ambito di studio e di ricerca necessario e trasversale alla classica e rigida classificazione accademica delle scienze umane e sociali; in altre parole sono nati i Gender Studies24. L’identità, che si individua per differenza, si pone come un processo plurale e multidimensionale e il genere si rivela potente costruttore della differenziazione sociale e culturale fra gli esseri umani di sesso diverso. Da qui si aprono canali plurimi di possibilità d’azione formativa. La capacità di superare anche ripetutamente le rigide differenziazioni di genere, attribuisce alla formazione un ruolo decisivo nell’orientare criticamente e consapevolmente i processi di costruzione delle identità di genere, al fine di ridurre svantaggi, asimmetrie, gerarchie fra i generi, e dare spazio alle molteplici forme di vita umana. Nella società moderna contemporanea, individuata come “società dell’informazione e della comunicazione”, il cammino internazionale dei diritti umani delle donne25, inaugurato dalle Nazioni Unite ufficialmente nel 1975 e ancora in corso, si arricchisce continuamente di possibilità di acquisire nuovi diritti e, contemporaneamente, di esserne esclusi. La conoscenza e la capacità di aggiornare continuamente la propria formazione, anche attraverso i nuovi media della comunicazione, costituisce il presupposto per essere cittadine o per essere escluse dalla cittadinanza, ormai anche digitale. Costituisce il presupposto per accedere ai nuovi strumenti della democrazia elettronica, per soddisfare adeguatamente le proprie aspettative ma, in caso di delusione, di poter cognitivamente rivendicare ed esercitare pari dignità e identiche condizioni di partecipazione, di inclusione anche in quelle che sono le reti istituzionali della partecipazione democratica. Ai diritti umani si afCfr. R. Pace, Identità e diritti delle donne: per una cittadinanza di genere nella formazione, Firenze, Firenze University Press, 2010. 25 Diritto alla “partecipazione politica” (soggettività giuridica), all’“autonomia lavorativa” (soggettività economica), all’“istruzione” (soggettività personale). 24 169 fiancano i diritti culturali e interculturali che producono nuovi problemi e predispongono nuove soluzioni per l’esercizio della cittadinanza26. Dalla esigibilità dei diritti universali emerge la richiesta di soddisfazione dei bisogni particolari delle donne. La formazione è un fenomeno sociale che può essere studiato soltanto con riferimento al sistema complessivo della società che suppone un sistema dell’educazione e della formazione come sistema che stabilizza selezione sociale e disuguaglianza, soprattutto in riferimento al genere. Il fenomeno sociale legato alla formazione delle donne non è solo un fattore culturale, ma anche uno strumento di pari opportunità che rivela aspetti economici legati al lavoro e alla carriera. L’uguaglianza di genere costituisce da sempre uno degli obiettivi principali della strategia europea per l’occupazione ed è ritenuta imprescindibile per il raggiungimento degli obiettivi di crescita e di occupazione fissati a Lisbona. Nonostante i progressi compiuti persistono, infatti, disuguaglianze in merito all’accesso, all’istruzione e alla formazione, alla partecipazione al mercato del lavoro, alle opportunità di carriera, ai ruoli e alla retribuzione, solo per citarne alcune. Nella prospettiva europea assume particolare importanza la formazione come strumento di promozione sociale, economica e culturale di genere nella forma della LLL (Long Life Learning), sviluppata secondo modelli di formazione per gli adulti, partecipata e continua27. I dati ISTAT per gli anni 2009-2010 in relazione ai livelli di istruzione delle donne descrivono una situazione incoraggiante per l’Italia: si registrano più donne che studiano e con livelli di istruzione più alti. Nel 2010 il 37,6% delle giovani donne segue un percorso di istruzione, contro il 30,7% dei maschi (nel 2005 erano rispettivamente il 33,3% e il 27,8%). La quota è più alta nel Centro-Sud, soprattutto nella classe di età 25-29 anni la cui percentuale è pari all’11,9% nel Nord, al 18,1% nel Centro e al 21,9% nel Mezzogiorno. Nel corso di cinque anni il livello di istruzione delle giovani è aumentato più che per i coetanei: le laureate sono passate dal 10,5% al 14,9% delle Sul dibattito attuale circa il multiculturalismo, il multietnismo l’interculturalità e i diritti di cittadinanza nell’era della globalizzazione, viste da una donna, cfr. M Simeoni, La cittadinanza interculturale. Consenso e confronto, Roma, Armando Editore, 2005. 27 Cfr. F. Bochicchio, P. L. Di Viggiano, La formazione partecipata, cit. 26 170 donne della stessa fascia di età, mentre i laureati sono passati dal 6,9% al 9,4%. Le diplomate sono il 56%, una quota pari a quella dei giovani maschi, mentre il 29,2% delle giovani possiedono al massimo la licenza media (34,8% nel caso dei maschi). La percentuale di donne laureate è più elevata nel Nord (16,8%) e nel Centro (16%), più bassa nel Mezzogiorno (12,6%). Un terzo dei giovani occupati ha un titolo di studio più elevato di quello che servirebbe per svolgere il lavoro a cui sono adibiti, il che denota un forte sottoutilizzo del capitale umano. Il fenomeno del sottoutilizzo della forza lavoro femminile è in continuo aumento negli ultimi anni: dal 28,5% del 2005, si passa al 31,7% del 2007, e poi al 33,8% del 2009. Le giovani presentano una percentuale di due punti più alta dei loro coetanei (34,8% contro 32,5%). Nel Sud la distanza è maggiore (5,5 punti: 38,7% contro 33,2%). Le laureate sottoutilizzate raggiungono il 49,5% contro il 42% dei laureati. La differenza di genere in questo caso si accentua nel Sud con il 50,6% di laureate sottoutilizzate e il 39,8% di laureati. Tra i diplomati emerge una differenza di genere che, invece, penalizza la componente maschile (48,7% contro il 41,9%). Le giovani leggono libri nel tempo libero nel 64,4% dei casi contro il 41,3% dei coetanei: 23 punti percentuali in più a favore delle donne. La differenza di genere emerge anche nel numero di libri letti nell’anno: infatti, sono soprattutto le donne a leggere 12 e più libri all’anno (14,1% delle donne che leggono contro il 12,1% degli uomini) e meno quelle che leggono da 1 a 3 libri (42,8% contro 50,1%). Il vantaggio femminile è presente in tutte le ripartizioni territoriali. L’impatto del titolo di studio è molto forte sulla lettura di libri. Leggono libri l’85% delle giovani laureate rispetto al 45,4% delle giovani con titolo di studio inferiore al diploma. A parità di titolo di studio, comunque, permane un forte vantaggio femminile28. Muovendo da premesse volte a osservare e descrivere il rapporto delle donne del campione con gli strumenti utili ad acquisire conoscenza, abFonti ISTAT: Istruzione e mercato del lavoro e ruolo in famiglia sono relativi alla media dei primi tre trimestri dell’indagine Forze di lavoro 2010. Il tempo dedicato al lavoro familiare si riferisce all’indagine multiscopo Uso del tempo 2008-2009. Gli altri dati si riferiscono all’indagine multiscopo Aspetti della vita quotidiana 2010. 28 171 biamo previsto nel questionario un’area dedicata alla formazione e all’istruzione con l’intento di rilevare il livello di istruzione del campione, di individuare gli strumenti utilizzati per la propria formazione e, di riflesso, registrare le modalità di aggiornamento delle conoscenze possedute. In questa sezione viene chiesto al campione di indicare le proprie esperienze in relazione alla formazione già effettuata in passato e, sulla scorta di tali esperienze, indicare il livello di utilità che questa ha rappresentato, esplicitare se gli interventi formativi hanno risposto alla soddisfazione di un bisogno di formazione avvertito e quali sono state le agenzie formative frequentate. Sul piano cognitivo, la percezione della presenza di un bisogno formativo e l’individuazione del contenuto di tale bisogno sono influenzati dalla percezione che i soggetti hanno della propria esperienza formativa pregressa. In altri termini, esistono probabilità elevate che l’approccio alle future attività per l’apprendimento sia condizionato dalle precedenti esperienze di percezione della formazione effettuata. Nel questionario è stata prevista una domanda con la quale le donne intervistate vengono sollecitate a riflettere sulle proprie precedenti esperienze di apprendimento formulando alcuni giudizi da cui possono essere desunte, in modo indiretto, le aspettative sulla formazione di ciascuno. Alle intervistate è stata posta la seguente domanda: Se pensa alle sue precedenti esperienze di formazione, complessivamente ritiene che la formazione sia stata? Per orientare meglio le risposte sono stati utilizzati item funzionali a precisare la percezione individuale della rappresentazione della formazione all’interno di categorie semantiche predefinite. Il campione ha indicato di possedere una percezione della formazione che presenta luci e ombre anche se le tendenze centrali sono piuttosto omogenee, con scarti contenuti tra tutti i valori massimi e tutti i valori minimi (Tab. 8). In generale, però, le donne intervistate dichiarano di aver vissuto un’esperienza di apprendimento che ha presentato ampi margini di chiarezza, relativamente distante dalla realtà del loro vissuto quotidiano anziché sempre collegata ai contesti, ma abbastanza trasferibile nella pratica. Convinzioni che, sebbene non superino mediamente un terzo delle risposte, sono fortemente influenzate da una percezione della formazione che risente delle modalità con le quali in genere si caratterizzano le esperienze di apprendimento non soltanto nella scuola, ma anche nelle organizzazioni e nelle esperienze private. Significati che concorrono 172 a determinare atteggiamenti e pre-giudizi con i quali i soggetti in formazione si dispongono ad apprendere. In sintesi, la percezione di una personale formazione collegata alla realtà, coinvolgente, partecipativa, innovativa, rispondente ai bisogni e organizzata ha ottenuto un grado di risposte che si attesta mediamente intorno ai 2/3 delle risposte valide. Un dato significativo risiede anche nel fatto che le mancate risposte sono abbastanza omogene in tutti gli item proposti. Se pensa alle sue precedenti esperienze di formazione, complessivamente ritiene che la formazione sia stata? Tab. 8 PERCEZIONE DELLE PRECEDENTI ESPERIENZE DI FORMAZIONE abbaRitengo che la forper del manpoco stanmolto nulla tutto canti mazione sia stata… za Chiara Collegata alla realtà Coinvolgente Trasferibile nella pratica Partecipativa Innovativa Rispondente ai bisogni Organizzata freq. % freq. % freq. % freq. % freq. % freq. % 122 9,9 260 21,1 563 45,7 164 13,3 69 5,6 55 4,5 115 9,3 328 26,6 472 38,3 179 14,5 74 6,0 65 5,3 130 10,5 299 24,2 467 37,9 187 15,2 78 6,3 72 5,8 143 11,6 337 27,3 462 37,5 157 12,7 62 5,0 72 5,8 128 10,4 273 22,1 478 38,8 219 17,8 70 5,7 65 5,3 163 10,7 362 29,4 432 35,0 152 12,3 53 4,3 71 5,8 132 10,7 308 25,0 469 38,0 177 14,4 78 6,3 69 5,6 141 11,4 319 25,9 455 36,9 167 13,5 81 6,6 70 5,7 Abbiamo già descritto come il livello di istruzione del campione sia medio-alto. Osservando le modalità attraverso le quali il campione aggiorna il proprio bagaglio di conoscenze (Fig. 6) emerge in modo netto come la Tv rappresenti il principale strumento (36,7% delle risposte); il 25,4% del campione preferisce internet, mentre il 15,9% si aggiorna attraverso la lettura di libri. La presenza del televisore, o più di uno in ogni famiglia, i PC ormai tutti collegati in rete, disponibili in tutti i luoghi della frequenza quotidiana della comunicazione digitale (casa, ufficio, notebooks in connessione mobile, Smart phon, ecc.) conferma che l’aggiornamento attraverso l’informazione digitale (anche la Tv ormai trasmette in digita- 173 le) e la Rete di Internet è ormai una prassi quotidiana, anche se qui non è dato conoscerne il contenuto così come non è possibile controllarne i percorsi29. Il rischio è che si confonda il sapere con l’informazione presente nella Rete o veicolata dai media della comunicazione digitale. Con il grande sospetto di una teledipendenza che viene scambiata per formazione. Questo descrive le generazioni ultraquarantenni e oltre (Baby boomers), mentre coloro che una volta erano definiti “giovani” oggi si chiamano “nativi digitali” o, per distinguere intere generazioni attuali da altre in via di transizione, per poterle osservare distintamente, si individuano le ragazze e i ragazzi che la compongono con l’appellativo di “Net Generation”30. Strumenti per la formazione Nessuno Seminari, convegni e incontri Discussioni con i colleghi e amici Corsi di formazione Riviste/Quotidiani Tv Libri Internet 0 100 200 300 400 500 Fig. 6 – Distribuzione per Strumenti per la formazione Fig. 6 - Distribuzione per Strumenti usati per usati la formazione I seminari e convegni rappresentano una modalità di aggiornamento dichiaratamente residuale di cui si avvale soltanto il 2,1% del campione che, con una complessiva percentuale del 7,7%, dichiara di aggiornarsi Cfr. L. Grivet Foiaia, Web 2.0. Guida al nuovo fenomeno della Rete, Milano, Hoepli, 2007. 30 Cfr. D. Tapscott, Net Generation. Come la generazione digitale sta cambiando il mondo, Milano, FrancoAngeli, 2009. Nella prefazione Mario Gerosa definisce i ragazzi e le ragazze della Net Generation come «i gran cerimonieri del tempo che verrà, per il futuro vero» (p. 21) probabilmente senza accorgersi che il futuro è già cominciato. 29 174 attraverso la lettura di quotidiani e di riviste o con discussioni con amici e colleghi (3,2%). Infine, è interessante osservare come i corsi di formazione non hanno grande appeal per le donne intervistate a cui attribuiscono un peso statisticamente marginale (5,7%), perdendo rilevanza come strumento tradizionale di aggiornamento per eccellenza. Un 3,2% complessivo, tra le risposte mancate e l’indicazione di non usare nessuno strumento per la formazione o per aggiornare il bagaglio di conoscenze, richiama a grandi linee i medesimi punti percentuali rilevati come “mancate risposte” presenti nella Tab. 8. Malgrado le intervistate dichiarino di utilizzare strumenti un tempo irrituali per la propria formazione, almeno secondo i canoni classici della pedagogia, tuttavia, una indicazione quasi plebiscitaria individua la formazione come utile (88,3%) e solo un complessivo 11,6% considera la formazione come un esercizio inutile se non addirittura una costosa perdita di tempo (Fig. 7). Cosa pensa della formazione È una perdita di tempo costosa 4% Penso sia inutile 8% È utile 88% Fig. 7 – Opinioni sulla formazione Fig. 7 – Opinioni sulla formazione La formazione istituzionale, quella obbligatoria e quella post obbligatoria, per coloro che ne hanno usufruito, è avvenuta per l’89,5% delle donne del campione nella scuola pubblica, per il 3,0% in agenzie di formazione private, mentre il 7,5% dichiara di non aver ricevuto nessuna formazione. Le donne del campione che presentano una prevalenza di risposte secondo le quali la formazione è inutile o rappresenta una perdita di tempo 175 costosa appartengono a due fasce di età non contigue: la prima è quella compresa tra 18 e 25 anni, mentre la seconda comprende gli anni tra i 41 e i 45. In entrambe le fasce queste risposte sono in misura maggiore fornite da donne che dichiarano di essere in possesso di licenza media. 1.2.4. Il lavoro delle donne Nelle società pre-moderne, segmentate o stratificate, sia sul versante sociale ed economico che su quello giuridico, il lavoro delle donne è stato caratterizzato dall’essere storicamente invisibile. La civiltà occidentale giudaico-cristiana, attraverso le parole del Libro della Genesi31, segna il lavoro come una fatica a cui l’uomo è condannato, a differenza della donna che è condannata a partorire nel dolore. La condanna al lavoro e alla procreazione si prospetta come un destino rispettivamente per l’uomo e per la donna attraverso cui è stata operata socialmente e giuridicamente la suddivisione dei ruoli sociali individuati come produttivo e riproduttivo. Questa suddivisione “naturale” ha reso invisibile il lavoro delle donne in un’economia di sussistenza nella quale, a eccezione delle élite sociali, il costante impegno delle donne nell’economia familiare era considerato un dovere, un obbligo derivante dalla condizione femminile stessa e, quindi un “non-lavoro”. Questa idea ha rappresentato la struttura e la cultura dominante delle società occidentali fino ad almeno l’inizio del secolo scorso32 . Sia da una prospettiva sociale, che economica e giuridica. In un contesto simile non esisteva neanche il concetto giuridico di tutela del lavoratore, men che meno della lavoratrice. Tra il medioevo e l’inizio dell’età moderna l’essere femminile viene percepito in due differenti modalità: angelico e spirituale oppure stregonesco e maligno. Il Bene e il Male si incarnano nelle attività svolte dell’essere umano femminino che si allontana così dalla concretezza e soprattutto dal potere di decidere e di svolgere qualsiasi attività diversa dal suo ruolo di madre e moglie in perfetta ortodossia, fino all’età dell’Inquisizione33 Genesi, 3, 16-18. Cfr. P. L. Berger, B. Berger, Sociologia. La dimensione sociale della vita quotidiana, Bologna, il Mulino, 1977. 33 Cfr. S. Peyronel Rambaldi (a cura di), I tribunali della fede: continuità e discontinuità dal Medioevo all’età moderna, Torino, Claudiana, 2008. 31 32 176 durante la quale la paura suscitata dalle attività “inusuali” svolte dalle donne o dalla loro ribellione si trasforma in persecuzione fino al loro estremo sacrificio ritualizzato con le streghe al rogo34. Con l’avvento della modernità il lavoro delle donne acquista gradualmente un carattere sociale differenziato rispetto alle occupazioni lavorative svolte nella sfera familiare. Nell’800 la donna comincia a esercitare un ruolo riconosciuto socialmente, economicamente e giuridicamente in veste di lavoratrice. La sua forza lavoro, mai venuta meno nella storia, inizia ad avere un importante peso sociale solo in piena era industriale, soprattutto dal punto di vista economico e produttivo in funzione del mercato. L’individuo femminile comincia faticosamente a farsi riconoscere il diritto a essere un soggetto sociale, lavoratrice e cittadina, man mano sempre più autonomo rispetto alla sfera del potere maschile. Lavoratrici con le gonne, oltre che nelle campagne, si cominciano a vedere nelle fabbriche ma anche nelle scuole come maestre, nelle corsie degli ospedali come infermiere e, soprattutto, come ginecologhe conquistando un’indipendenza economica che rompe gli stretti vincoli domestici. Negli Stati Uniti, nel 1840, viene anche sancito il diritto alla libera disponibilità dei guadagni in un lento progresso verso la parità all’alba del XX secolo, quando emergono i primi riconoscimenti dei diritti politici alle donne in Nuova Zelanda (1893), poi negli Usa (1914) e, a seguire, in tutto il resto del mondo occidentale. Il ’900 è il secolo delle suffragette, del grande movimento femminista, delle conquiste dei diritti: dall’uguaglianza al voto, alla possibilità di accedere a tutte le professioni fino ad allora di esclusiva pertinenza degli uomini. La donna della seconda metà del ’900 conquista la sua libertà e la sua indipendenza economica, giuridica, politica, sessuale: diventa una persona a pieno titolo, una cittadina moderna proiettata verso la realizzazione piena della modernità. Oggi l’occupazione femminile è attestata su livelli abbastanza elevati rispetto al passato, soprattutto in ruoli che non siano di top manager35, Cfr. L. Muraro, La signora del gioco – la caccia alle streghe interpretata dalle sue vittime, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2006. 35 Se per trovare lavoro, in Italia le donne faticano più che altrove, una volta inserite, le difficoltà per accedere alle posizioni di vertice diventano insormontabili. Se da un lato, le donne all’interno del percorso scolastico e universitario risultano essere più brave dei 34 177 anche se i livelli occupazionali delle donne rimangono più bassi rispetto a quelli degli uomini e nei periodi di crisi, come quello attuale, le donne sono le prime a subire i contraccolpi occupazionali e a vedere incrementare il proprio tasso di disoccupazione36. L’ingresso delle donne nel mercato del lavoro non le ha liberate dalle attività “di cura” svolte in famiglia, con conseguenti crescenti problemi di conciliazione della vita lavorativa con quella familiare a cui si affiancano problemi circa le condizioni di accesso delle donne al mercato del lavoro e alle pari opportunità di genere. Le normative giuridiche nazionali ed europee prodotte negli ultimi anni esprimono indicazioni generali per attuare misure «volte a favorire la conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare attraverso misure fiscali e contributive, la diffusione di servizi a costo contenuto e il pieno sviluppo del part-time»37. colleghi maschi, con voti in media più alti; nel lavoro i meriti non contano più. Conta il genere, se sei maschio, fai carriera, se sei femmina, ti fermi alcuni gradini più in basso. Solo il 5% delle donne raggiunge il vertice delle aziende. Interessante è uno studio della Presidenza del Consiglio dei Ministri su 113 istituti di credito: il 72,2% dei consigli di amministrazione non ha alcuna donna; un deserto che fa da contraltare al numero di dipendenti donne degli istituti bancari, il 40%. Solo nelle aziende sanitarie nazionali crescono le percentuali: 8% dei direttori generali, 20% dei direttori sanitari. La presenza delle donne in politica è sconfortante: mai il numero delle parlamentari si è avvicinato al 20%. […] Il soffitto di vetro, quell’invisibile barriera che tiene le donne lontane dai vertici organizzativi, è spesso il risultato di sottili meccanismi di discriminazione e contemporanei processi di auto-esclusione. Cfr. F. Morgante, Il “soffitto di cristallo”, <http://www.unite.it/UniTE/Engine/RAServeFile.php/f/master0809/03_donne_ tesi.pdf>. 36 Nel 2009 il tasso di occupazione in Italia della popolazione compresa fra i 15 e i 65 anni d’età era di 68,6% per gli uomini e di 46,4% delle donne, mentre il tasso di disoccupazione riscontra il 6,8% per gli uomini e il 9,3% per le donne le quali presentano una tipologia di lavoro part-time prevalente rispetto agli uomini. Utilizzando le informazioni del sistema informativo delle C. O., che fornisce la dinamica dei lavoratori dipendenti e di quelli parasubordinati, i dati del primo trimestre 2010 indicano che circa 2 milioni di lavoratori hanno avuto un nuovo contratto di lavoro, di cui circa il 50% donne, dato costante rispetto allo stesso trimestre del 2009. Cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Donne e mercato del lavoro, <http://www. lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/4FF260F8-5BBC-4D5D-8CF4-98616A4F8D65/0/ CS_Donneemercatodellavorodatistatistici.pdf>. 37 Cfr. DPEF 2003-2006. Per una analisi di queste problematiche in Puglia Cfr. R. V. Santandrea, (a cura di), Donne e mercato del lavoro. Il caso Puglia in Italia e in Europa, IPRES, Bari, Progedit, 2003. 178 Il lavoro delle donne, specie in aree rurali del Mezzogiorno d’Italia, si è configurato e ancora si attua, attraverso forme illegali di attività produttive che si individuano come lavoro sommerso, lavoro irregolare o forme di sottoccupazione che, oltre a violare le norme in materia di occupazione, violano i diritti e la dignità stessa delle donne, ma anche di molti uomini che spesso condividono questa condizione di occultamento e di emarginazione sociale38. Nell’occuparci della sfera della ricerca dedicata al lavoro non abbiamo chiesto alle donne del campione di indicarci che lavoro svolgessero, ma abbiamo chiesto loro di qualificarsi prima dal punto di vista occupazionale, lasciando che fosse la percezione della propria condizione lavorativa a emergere, piuttosto che una classificazione dettata da tassonomie del mercato. Quindi la domanda non voleva soltanto indagare se le intervistate fossero occupate, inoccupate o disoccupate, ma pur considerando i due poli estremi della condizione lavorativa, abbiamo cercato di far emergere quelle che a livello descrittivo sono semplicemente gradazioni, ma che dal punto di vista personale e sociale rappresentano una collocazione di inclusione o di esclusione che richiamano aspettative e strategie di assorbimento della loro delusione. Coloro che si descrivono come “occupate”, indipendentemente dal tipo di attività che le tiene occupate, rappresentano un abbondante 36% delle risposte, mentre tra coloro che non sono occupate il 17% è alla ricerca di un lavoro, contrapposto a circa il 25% di coloro le quali dichiarano di non essere impegnate nel cercare un impiego. Una bassa percentuale indica la propria condizione di disoccupata perché è alla ricerca del primo lavoro o perché è inabile al lavoro. Un coraggioso 5% dichiara di essere ufficialmente non occupata, quindi di svolgere lavoro nero. Coloro che non sono occupate si possono classificare in riferimento alle aspettative che orientano la propria descrizione occupazionale: chi combatte per cercare un lavoro perché evidentemente si aspetta di trovarne uno (ottimiste) e coloro che per diverse ragioni, ma anche perché vi hanno rinunciato, non sono più interessate a cercarne uno (rinunciatarie). Il 10% del campione non si esprime. Cfr. S. De Rubertis, A. Trono (a cura di), Flessibilità e sommerso. Il lavoro irregolare femminile a Tricase, Taviano e Lecce, Lecce, Adriatica Editrice Salentina, 2003. 38 179 Tab. 9 – COME SI QUALIFICA DAL PUNTO DI VISTA DELLE ATTIVITÀ LAVORATIVE? Occupazione Frequenza Percentuale Occupata 447 36,3 Ufficialmente non occupata (lavoro in nero) 63 5,1 Disoccupata alla ricerca di una 209 17,0 nuova occupazione In cerca di prima occupazione 74 6,0 Inabile al lavoro 47 3,8 Non alla ricerca di un lavoro 264 21,4 Mancante di sistema 129 10,5 Totale 1233 100,0 Incrociando questi ultimi dati con quelli relativi alla professione prevalente, avendo come variabile di controllo la variabile “classe d’età” è possibile osservare come le donne tra i 18 e i 25 anni che dichiarano di avere un lavoro rappresentano il 16% dell’intera fascia d’età e sono in massima parte impiegate o operaie del settore privato. La restante percentuale di questa fascia (84%) variamente disoccupata è rappresentata quasi per intero da casalinghe e studentesse. È significativo come l’86,3% delle casalinghe di tutto il campione si dichiari disoccupato alla ricerca di una nuova occupazione, mentre una percentuale certamente marginale (7,2%) si definisca casalinga e contemporaneamente si percepisca come occupata. Il picco maggiore di questo fenomeno si registra nella fascia d’età compresa tra i 36 e i 50 anni. Le casalinghe sono coloro le quali dichiarano di essere poco, o per niente soddisfatte della propria occupazione e per questo ne stanno cercando un’altra. Mentre tra coloro le quali dichiarano di non essere soddisfatte del proprio lavoro e, comunque, di non cercarne un altro perché pensano di non poterne trovare uno migliore, le casalinghe rappresentano un importante 28,9%. Sono rassegnate. Le donne del campione del Comune di Andrano per il 38,2% sono poco soddisfatte del lavoro che svolgono o che hanno svolto e, per questo dato, rappresentano la punta più alta dell’insoddisfazione lavorativa di tutto il target delle poco soddisfatte, mentre le più rassegate le troviamo nel Comune di Tricase, con un significativo 34,8% di tutta la categoria delle insoddisfatte. Considerando gli incroci tra la dichiarazione del grado di soddisfazione per il proprio lavoro con il titolo di studio, si rileva che le donne più soddisfatte del proprio lavoro sono coloro che hanno un diploma di scuola media superiore 180 e, contemporaneamente sono quelle che massimamente (60,5%) non sono soddisfatte del proprio lavoro e perciò ne stanno cercando un altro. Le meno soddisfatte del proprio lavoro sono anche quelle in possesso di licenza media che, contemporaneamente, sono le più rassegnate a non cercarne un altro. La professione prevalente del campione è quella di casalinga (35,6%), seguita da quella di pensionata (16,4) e di studentessa (9,3%). Volendo considerare la restante parte del campione dalla prospettiva del lavoro autonomo o subordinato, solo il 10% delle intervistate ha indicato come attività prevalente quella di “lavoro autonomo”, mentre il 26% dichiara di svolgere un lavoro subordinato, pubblico o privato. La domanda sulla professione prevedeva, per coloro che non si identificassero in nessuna di quelle proposte nel questionario, di indicare un’ulteriore tipologia di professione e di specificarla. Tra il 2% delle risposte che hanno indicato “altro”, solo una ha dichiarato di svolgere attività di “dirigente”. Il rapporto numerico con le altre professioni è davvero irrisorio e descrive, anche nel nostro campione, la difficoltà delle donne di assurgere a posizioni lavorative apicali. Spicca, tra queste risposte, quella orgogliosa di una “mamma a tempo pieno”. Tipo di contratto A tempo determinato 8% A tempo indeterminato 20% Flessibile (Co.Co.Co., Co.Co.Pro., ecc.) 2% Non risponde 67% 4 Occasionale 3% Fig. 8 – Distribuzione per “Tipo di contratto di lavoro” Fig. 8 – Distribuzione per “Tipo di contratto di lavoro” Abbiamo chiesto al campione di esprimersi circa il tipo di contratto di lavoro in possesso. I dati relativi alla disoccupazione risultano congruenti con le risposte alle precedenti domande sull’occupazione, per cui abbiamo dichiarazioni 181 che collocano le donne intervistate per il 67% in una fascia di popolazione che non ha un’occupazione e se lavora non ha un contratto (lavora in nero). Solo il 20% delle donne del campione ha un contratto a tempo indeterminato e l’8% a tempo determinato. Il lavoro occasionale e flessibile occupa un residuale 5%. Complessivamente le donne in possesso di un contratto rappresentano il 33,7% del campione, lontano dal 46,1% del dato nazionale (ISTAT, aprile 2010). Le statistiche nazionali sull’occupazione femminile in Italia descrivono come le donne negli ultimi decenni entrano nel mondo del lavoro proprio nel momento in cui le generazioni precedenti iniziano a uscirne; hanno aspirazioni e istruzione più elevate rispetto al passato e non hanno intenzione di smettere di lavorare, anche nel Sud. La crisi attuale ha aggravato i problemi strutturali, quantitativi e, in particolare, di qualità del lavoro dell’occupazione femminile. Nel biennio 2008-2010: –– l’occupazione femminile è diminuita di 103 mila unità (-1,1%); –– è diminuita l’occupazione qualificata (-270 mila) ed è aumentata quella non qualificata (+218 mila); –– nell’industria diminuiscono più le donne (-12,7%) che gli uomini (-6,3%); –– sono aumentati i fenomeni di segregazione verticale e orizzontale; –– è cresciuto il part-time solo nella componente involontaria (soprattutto nel commercio e ristorazione e nei servizi alle famiglie); –– si è acutizzato il sottoutilizzo del capitale umano. 125 120 Maschi Femmine 115 110 105 100 95 90 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Fig. 9 – Andamento occupazione maschile e femminiFig. 9 - Andamento occupazione maschile e femminile, Fonte ISTAT - Il lavoro delle donne in Italia le, Fonte ISTAT – Il lavoro delle donne in Italia 182 Nel 2011 si registra un modesto recupero generale ma un ulteriore peggioramento per le giovani (-45 mila occupate nella media dei primi tre trimestri). Nonostante la spinta delle donne e la crescita avvenuta, meno della metà di esse oggi lavora. I dati ISTAT descrivono chiaramente questa situazione: –– tasso di occupazione 2010 del 46,1%: ultimi in Europa prima di Malta; –– il Sud scende al 30,5% contro il 56,1% del Nord; –– le donne con al massimo la licenza media sono al 28,3%; –– al Sud serve la laurea alle donne per arrivare a un tasso di occupazione superiore al 50%; –– tasso di disoccupazione femminile maggiore di quello maschile al contrario dell’Europa (9,7% vs. 7,6% in Italia contro 9,6% per entrambi i generi in Europa) ma poco significativo nel nostro paese; –– tasso di inattività in Italia molto elevato (48,9%) e superiore a quello europeo (35,5%), sintomo di un forte scoraggiamento39. Delle donne del nostro campione che dichiarano di avere un contratto di lavoro, il 22% svolge un lavoro full-time e il 10,5% è impiegato part-time, con una media oraria settimanale di 30,47, con un minimo di ore lavorate pari a 3 e un massimo di 70. Orario di lavoro prevalente No-time Part-time Full-time 0 200 400 600 800 1000 Fig. 10 –Distribuzione dell’orario di lavoro Fig. 10 –Distribuzione dell’orario di lavoro Cfr. CNEL II° Commissione – Stati Generali su “Il lavoro delle donne in Italia”, Il lavoro femminile in tempo di crisi (a cura di L. L. Sabatini), Roma, 2 febbraio 2012, <www.istat.it/it/files/2012/03/Il-lavoro-femminile-in-tempo-di-crisi.ppt>. 39 183 Il 27% delle donne che hanno un contratto a termine dichiara di aver scelto questa soluzione per conciliare lavoro e famiglia, mentre il 68% si accontenta del lavoro che ha perché non ha trovato un’occupazione a tempo indeterminato. Abbiamo chiesto alle intervistate di esprimere il proprio grado di soddisfazione in merito al lavoro che attualmente svolgono o che hanno svolto in passato. Il 71,6% di loro dichiara di essere abbastanza o molto soddisfatto della propria esperienza lavorativa attuale o pregressa, mentre circa il 3% esprime insoddisfazione e dichiara di essere impegnato a cercarne uno migliore. Le rassegnate dichiarano la propria insoddisfazione ma non cercano un lavoro migliore perché pensano di non poterlo trovare. Soddisfazione per il lavoro svolto 529 237 220 38 Molto Abbastanza Poco Per niente, ne Per niente, ma sto cercando non penso di uno migliore poterne trovare uno migliore Fig. 11 – Distribuzione delsoddisfazione livello di soddisfazione Fig. 11 - Distribuzione del livello di lavorativa lavorativa 184 46 Capitolo II Accesso, e-democracy e politica di genere Pasquale Luigi Di Viggiano Ragionando di senso del mondo, racchiuso tra istanze nazionali e globali, e di mancanza di confini, Ulrich Beck si chiede: «come può sussistere, nell’epoca della liquid modernity [Zygmunt Bauman] dei flussi e delle reti, la distinzione tra indigeni e stranieri, tra cittadini e non cittadini tra diritti umani e diritti civili nei concreti contesti sociali?»40. La possibilità non alternativa di poter continuare a parlare sociologicamente di istanze nazionali e di istanze globali, pone il problema, per alcuni teorici del post-moderno degli anni ’80 del secolo scorso41, di riaprire la questione dei fondamenti della modernità, mai veramente compiuta, mai superata. I meccanismi proposti da Beck, tuttavia, non spiegano sociologicamente l’esclusione sociale e politica delle donne né a livello nazionale né a livello globale. Ma capire perché la moderna società contemporanea è ancora moderna può essere utile per osservare e descrivere i caratteri della conU. Beck, La società cosmopolita. Prospettive dell’epoca postnazionale, Bologna, il Mulino, 2003, p. 36. 41 Postmoderno: Termine usato per connotare la condizione antropologica e culturale conseguente alla crisi e all’asserito tramonto della modernità nelle società del capitalismo maturo, entrate circa dagli anni 1960 in una fase caratterizzata dalle dimensioni planetarie dell’economia e dei mercati finanziari, dall’aggressività dei messaggi pubblicitari, dall’invadenza della televisione, dal flusso ininterrotto delle informazioni sulle reti telematiche. In connessione con tali fenomeni, e in contrasto con il carattere utopico, con la ricerca del nuovo e l’avanguardismo tipici dell’ideologia modernista, la condizione culturale p. si caratterizza soprattutto per una disincantata rilettura della storia, definitivamente sottratta a ogni finalismo, e per l’abbandono dei grandi progetti elaborati a partire dall’Illuminismo e fatti propri dalla modernità, dando luogo, sul versante creativo, più che a un nuovo stile, a una sorta di estetica della citazione e del riuso, ironico e spregiudicato, del repertorio di forme del passato, in cui è abolita ogni residua distinzione tra i prodotti “alti” della cultura e quelli della cultura di massa: <http://www.treccani.it/enciclopedia/postmoderno/>. Cfr. J. F. Lyotard, Le postmoderne expliqué aux enfants, Paris, Galilée, 1988. 40 185 dizione di inclusione e di esclusione delle donne nella dimensione sociale presente e individuare i meccanismi attraverso i quali un futuro diverso per le donne possa cominciare. Uno strumento potente per la democrazia, la politica, l’economia, il diritto e le forme della partecipazione democratica alle politiche pubbliche è dato dalle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione (ICT). La loro applicazione al governo della res publica ha prodotto un nuovo paradigma: il governo elettronico, o e-government, che fin dalle sue prime rozze e timide applicazioni si è candidato alla costruzione delle fondamenta di quello che definiamo “Stato digitale”. In questo nuovo modello della inclusione e dell’esclusione sociale, della partecipazione e del digital divide, che ruolo hanno le donne? Come possono partecipare a quella emancipazione la cui realizzazione nella tarda modernità proiettata verso un modello della partecipazione sussidiaria che libera dalla schiavitù dei pregiudizi le vede co-protagoniste? Come possono le donne già da oggi sviluppare quel modello evolutivo delle ragioni della vita connessa tramite l’intelligenza collettiva42 che sostituisce il modello illuminista della Ragione e che possiamo chiamare “Illuminismo 2.0?” 2.1. Politica e democrazia elettronica Nell’attuale società dell’informazione e della comunicazione, pur in presenza di forme di democrazia rappresentativa, i cittadini hanno la possibilità di intervenire per formare e indirizzare le decisioni politiche di attuazione della democrazia stessa attraverso nuove forme di esercizio dei propri diritti utilizzando le risorse dell’ICT. In Italia il Codice dell’amministrazione digitale, D. Lgs 82/2005 nella sua attuale configurazione, sancisce, con l’art. 9, (Partecipazione democratica elettronica), l’utilizzo delle tecnologie ICT come «strumenti di promozione della partecipazione dei cittadini al processo democratico» e come mezzi «per facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili, sia individuali che collettivi», ossia Cfr. P. Levy, L’Intelligence collective. Pour une anthropologie du cyberespace, Paris, La Découverte, 1994, (trad. it. L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Milano, Feltrinelli, 1996). 42 186 riconosce a tutti i cittadini il diritto a partecipare al processo democratico e di esercitare i diritti politici usufruendo delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, nel rispetto del principio, ormai costituzionale, della sussidiarietà. La norma riconosce le potenzialità dell’e-democracy demandando allo Stato il compito di favorirne la diffusione per le finalità legittime, anche se non specifica i programmi concreti da perseguire o i settori specifici in cui sviluppare prioritariamente questo indirizzo. Come afferma anche Rodotà, «non è possibile separare la questione dell’e-government da quella dell’e-democracy»43. L’e-government può produrre democrazia che non potrà essere affidata alla tecnologia, ma sarà appannaggio della politica proprio perché l’e-government in sé non è democratico. Diventa democratico se costruisce un conteso di governo orientato verso finalità proprie della democrazia nella sua accezione di governo pubblico. L’e-democracy, è un neologismo della lingua inglese che deriva dalla contrazione di Electronic Democracy (Democrazia Elettronica) con cui comunemente si intende l’utilizzo delle ICT all’interno dei processi di governo elettronico democratici. Considerata l’origine recente del termine (seconda metà degli anni ’90), la sua definizione è ancora abbastanza controversa sia dal punto di vista teorico sia per quanto riguarda le esperienze pratiche cui si fa riferimento. In linea generale, si può dire che nella categoria di “democrazia elettronica” sono comprese le pratiche e le sperimentazioni di utilizzo delle tecnologie telematiche (Internet in particolare, ma anche telefonia mobile) da parte dei cittadini per condizionare le scelte politiche delle istituzioni democratiche di qualsiasi livello (locale, nazionale, sopranazionale, internazionale). Il concetto di e-democracy si articola, però, in accezioni più ampie ed ha diverse dimensioni: –– la dimensione dell’inclusione sociale, precondizione essenziale, che in questo caso si traduce in inclusione nella società dell’informazione; –– la dimensione dell’accesso all’informazione, con particolare riferimento a quella prodotta dai soggetti pubblici; –– la dimensione dell’accesso alla sfera pubblica, quindi l’effettiva possibilità di produrre informazioni e partecipare alla formazione delle 43 S. Rodotà, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Roma-Bari, Laterza, 2004 (II ed.), p. XIV. 187 opinioni, il dialogare fra cittadini e con le istituzioni, in un confronto aperto tra attori sociali, politici e istituzionali, –– la dimensione elettorale. In questo contesto si inscrive una recentissima iniziativa del LEG che propone come fase sperimentale un modello di e-vote; –– la dimensione dell’iniziativa diretta da parte dei cittadini, laddove sono previsti istituti giuridici specifici (per esempio referendum, proposte di iniziativa popolare), e forme spontanee rappresentate da petizioni, appelli, costituzione di gruppi informali e associazioni; –– la dimensione del coinvolgimento dei cittadini e delle loro forme associative in specifici processi decisionali (per esempio tavoli locali di concertazione delle politiche di sviluppo locale, Agenda 21, patti territoriali, urbanistica partecipata, bilancio partecipativo, piano dei tempi, piano del traffico, piano dei rifiuti, piano sanitario, piani di zona)44. L’e-democracy è una delle pietre fondanti di quella che viene considerata la seconda fase dell’e-government; rappresenta una linea d’azione con una forte propensione sperimentale, con un’azione caratterizzata da una elevata innovatività e originalità, sia in termini di contenuti che di approccio alle nuove tecnologie, con l’obiettivo di favorire e incentivare dinamiche di adozione e sperimentazione da parte delle regioni e delle amministrazioni locali (www.forumpa.it). Nel quadro delle misure per l’attuazione della seconda fase dell’e-government è stata prevista un’azione specifica dedicata allo sviluppo dei progetti di e-democracy in ambito locale, mentre il dipartimento per l’Innovazione e le Tecnologie, d’intesa con il Dipartimento per la Funzione pubblica, nell’ambito del Progetto CRC (Centri Regionali di Competenza) e il Formez, nel 2004 ha varato le “Linee guida per la promozione della cittadinanza digitale: e-democracy”. In questo senso la disposizione in questione fornisce una esplicita e diretta copertura legislativa alla funzione promozionale assunta dalle richiamate amministrazioni statali. I progetti di e-democracy si muovono in vari settori: ambiente, territorio, urbanistica, fisco, sanità e interventi sociali. L’obiettivo è quello di dare vita a una forma di partecipazione sfruttando le nuove tecnologie, 44 Cfr. L. Marasso, Manuale dell’e-government, Rimini, Maggioli, 2005. 188 ossia di essere partecipi e quindi non “subire” il mezzo di informazione, come per esempio avviene per i giornali, la radio, la Tv. L’utilizzo dell’ICT è inteso quindi come un’opportunità per aumentare la disponibilità di informazioni utili, per consentire la consultazione a distanza e per supportare il decision-making facilitando la partecipazione del cittadino. Lo scopo è realizzare una democrazia davvero capace di integrare i nuovi strumenti dell’informazione e della comunicazione all’interno dei percorsi di mediazione e rappresentanza delle istituzioni. Al centro di questo contesto deve sempre esserci il cittadino (nella sua più completa accezione: maschio e femmina) che da fruitore e utilizzatore di pubblici servizi diviene protagonista, personalmente partecipe della cosa pubblica. L’attenzione alla soddisfazione dei bisogni dei cittadini è alla base del processo di trasformazione e modernizzazione in atto nelle PA. Tale obiettivo può essere realizzato favorendo innanzitutto un rapporto di collaborazione e di costante coinvolgimento dei cittadini alle decisioni pubbliche, superando una visione della partecipazione limitata alla sola raccolta delle preferenze e ponendo maggiore enfasi sul ruolo propositivo dei cittadini. Nel panorama degli studi politici, sta crescendo il dibattito sul concetto di democrazia deliberativa, che viene proposta come un superamento o, comunque, un completamento della democrazia rappresentativa. Il modello attuale di democrazia, si basa essenzialmente sul fatto che i cittadini delegano l’esercizio della propria sovranità, attraverso il meccanismo della rappresentanza, a uno o più eletti perché prendano le decisioni di valore comune. Gli studi della democrazia deliberativa sono seguiti con attenzione, in particolare, perché sembrano offrire un’alternativa all’imposizione dall’alto delle decisioni pubbliche. Se fino a ieri i partiti politici erano un luogo principe per la formazione ed espressione della partecipazione politica, oggi è necessario recuperare il consenso democratico passando anche all’esterno del filtro della loro azione. Se i partiti non sono più luoghi di mediazione politica efficace tra istituzioni e cittadini, i sostenitori della democrazia deliberativa propongono di costituire nuovi luoghi dove soggetti interessati a un problema possano discutere, proporre soluzioni, valutare le ragioni pro e contro le diverse alternative. Luoghi anche virtuali o telematici all’interno di una comunità della comunicazione digitale smart. L’introduzione di forme deliberative promette decisioni pubbliche sempre più vicine ai cittadini e di qualità 189 superiore. Di conseguenza, si registra grande interesse per forme di democrazia definite come partecipate, negoziate, cooperative, consensuali, deliberative. La partecipazione dei cittadini nel corso del processo di definizione e di attuazione di una decisione pubblica costituisce un ambito innovativo privilegiato per l’applicazione dell’ICT, anche se l’uso dell’ICT a sostegno della partecipazione dei cittadini alla vita delle istituzioni (e-democracy), è un campo in via d’implementazione sul quale negli ultimi anni è fortemente cresciuto l’interesse tanto dei governi e degli organismi internazionali, quanto delle comunità locali. L’ICT quindi, può essere utilizzata per agire in più direzioni per rimuovere o ridurre ostacoli (anche il digital divide) e vincoli alla partecipazione dei cittadini alla vita politica e alla programmazione e controllo del territorio. Proprio in relazione a queste nuove possibilità di partecipazione oggi si parla sempre più spesso di smar tcities come di luoghi del territorio dotati di intelligenza collettiva il cui senso è legato all’uso intelligente delle ICT. Al campione di riferimento per l’indagine, di cui qui presentiamo i risultati, è stata riservata una sezione sul tema della politica e della partecipazione agli strumenti dell’esercizio della democrazia. Il dato che emerge subito dalle risposte è che il campione può essere composto da tre tipologie di donne rispetto al loro rapporto con la politica: le “attiviste”, le “attente” e le “disinteressate”. Le “attiviste” presentano all’interno della categoria due atteggiamenti dichiarati: coloro che sono iscritte a un partito e svolgono normalmente attività politica e coloro che pur essendo iscritte non svolgono alcuna attività. La somma delle percentuali delle due posizioni è uguale a 1,7% di tutto il campione. Può significare che la stagione dell’attivismo politico sia del tutto tramontata o che sfortunatamente siamo incappati in un campione particolarmente disimpegnato dalla politica attiva. Può significare ancora che anche le donne del nostro campione sono vittime come tante di una esclusione di fatto, culturale e fattuale, che le allontana dalla politica. Le “attente” presentano un’articolazione tripartita e nella composizione della categoria manifestano atteggiamenti di distanza non solo ideale, ma anche spaziale in quanto circa il 30% delle donne dichiara che è interessata alla politica, ma la guarda da lontano, senza “sporcarsi 190 le mani”, perché legge la politica sui giornali e segue qualche dibattito in programmi televisivi. Il 20% delle donne che abbiamo catalogato come “attente” (alla politica) dichiara di interessarsi di politica saltuariamente, solo quando se ne discute in famiglia o se ne parla con gli amici, mentre il 13,3% ha un richiamo di interesse per la politica solo in occasione delle elezioni. L’intera categoria rappresenta il 63,3% di tutto il campione ed è caratterizzata da una sorta di ricerca di strumenti spaziali e temporali che immunizzino dal coinvolgimento personale nelle attività, a volte descritte come losche anche dai media, della politica senza, tuttavia, rinunciare a mantenersi in qualche maniera ancorate a essa. Il 35,4% delle donne intervistate dichiara perentoriamente di non essere affatto interessato alla politica. Le interessa la politica? Sì, sono iscritta ad un partito e faccio attività politica 1% Non mi interessa affatto 36% Saltuariamente, quando se ne discute in famiglia o tra amici 20% Sì, sono iscritta ad un partito anche se non faccio alcuna attività 2% Sì, ma mi limito a seguirla sui giornali e in televisione 28% Solo in occasione delle elezioni 13% Fig. 12 di interesse per la politica Fig. 12 - Livello di interesse per –laLivello politica Malgrado questa ostentata distanza dalla politica attiva, le donne del campione per il 70% circa dichiarano di andare a votare sempre, il 22% ogni tanto, mentre solo il 7,5% rappresenta lo “zoccolo duro” delle irriducibili antagoniste e non vanno a votare mai. 191 Sempre 70% Frequenza del voto Mai 8% Ogni tanto 22% Fig. 13 – Livello di partecipazione al voto Fig. 13 - Livello di partecipazione al voto Osservando i dati relativi alle dichiarazioni che indicano le occasioni durante le quali le donne intervistate esercitano il loro diritto di voto, si evidenziano principalmente due atteggiamenti: le donne che non vanno a votare sono, in percentuale, più numerose di quanto specificatamente dichiarato nelle risposte sulla frequenza di voto; con la percentuale di voto delle donne riscontrata per ogni occasione elettorale si può misurare quanto sia distante il Comune (il territorio di appartenenza) dall’Europa. Per le donne del campione le votazioni amministrative comunali esercitano una maggiore seduzione rispetto a quelle provinciali e regionali, rispetto ai referendum, rispetto alla elezioni politiche e, in massima parte, rispetto alle elezioni europee. Dall’osservazione della Tab. 10 si può individuare il livello di graduale riduzione di partecipazione al voto, più orientato verso il sostegno alle politiche delle autonomie locali: più ci si allontana dal territorio meno intensa è la partecipazione al voto per l’attribuzione di consensi a persone e organismi che si sentono lontani, che sono lontani. Il punto nodale della questione diventa, allora, la partecipazione delle donne alla vita politica, in particolare a quella italiana. 192 Tab. 10 IN QUALE OCCASIONE ESERCITA IL SUO DIRITTO AL VOTO? Tipo di elezioni sì% no% comunali 89,2 10,8 provinciali 61,3 38,7 regionali 59,0 41,0 referendum 56,7 43,3 politiche 55,6 44,4 63,7 36,3 europee Abbiamo già osservato nella prima parte di questo volume quali siano i meccanismi sociali di inclusione e di esclusione delle donne dalla politica e la loro pervicace esclusione, malgrado il diritto il cui funzionamento formalmente garantirebbe a tutti e due i generi la partecipazione. La partecipazione dei cittadini, e delle donne in particolare, è il risultato di dinamiche che diventano produttive al compimento della loro attuazione e, pertanto, la partecipazione alla politica e alla gestione della cosa pubblica è resa possibile da un grado alto di conoscenza (informazione), dalla trasparenza delle attività amministrative, da un contesto di gestione democratica del consenso. Per osservare e descrivere la rappresentazione che le donne hanno della partecipazione femminile alla vita politica e la loro percezione degli strumenti innovativi resi disponibili dall’applicazione dell’e-government attraverso le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in grado di consentire un esercizio rinnovato e trasparente della democrazia, abbiamo preparato un set di domande a cui le donne del campione hanno risposto nella piena totalità. Per il 47,5% del campione la partecipazione delle donne alla vita politica è fondamentale proprio perché il loro esserci rappresenta una speranza per il futuro. Di conseguenza, le donne dovrebbero costituire un partito tutto al femminile (4,5%) per governare perché, secondo il campione, le donne sono molto più coraggiose degli uomini (10,9%) e rappresentano un elemento di diversità in politica (10,1%). Questo manipolo di donne entusiaste e ottimiste rappresenta il 70% circa di tutti i dati validi. Proprio in questo momento storico, nel quale la politica nazionale registra uno scarso consenso a causa di molteplici avvenimenti che ne hanno minato seriamente la credibilità nell’opinione pubblica italiana, le donne del 193 campione ritengono possibile una politica al femminile. La controparte di questa sfida alla politica al maschile è rappresentata dal gruppo delle sfiduciate/rassegnate la cui esistenza abbiamo registrato già in occasione dell’analisi di altri item. Il profilo della donna, in relazione alla politica, che emerge dalle risposte variamente composite del rimanente 27% delle intervistate è in linea con il pensiero più conservatore e retrivo e si nutre di molti luoghi comuni e di pregiudizi che, in genere, appartengono prevalentemente alla tradizione del pensiero maschilista. Per costoro le donne devono occuparsi esclusivamente della casa e della famiglia (7,7%) in quanto non riusciranno mai a emergere veramente in politica (9,7%) e, nel caso riuscissero a emergere, si tratterebbe solo di donne manovrate da altri uomini (3,4%) corrotte al pari di altri uomini (5,9%). Sa cos'è la democrazia elettronica? 72,9 NO 26,9 SI 0,0 20,0 40,0 60,0 80,0 Fig. 14 –della Conoscenza dellaelettronica democrazia elettronica Fig. 14 - Conoscenza democrazia Il 73% delle intervistate non conosce il significato di democrazia elettronica, o e-democracy, mentre la rimanente parte del campione, a conoscenza delle semantiche relative all’idea di democrazia elettronica, prevalentemente pensa che questa sia utile perché garantisce trasparenza in ambito politico (17%), anche se per il 5% non è interessante, pur essendo percepita come utile. È indicata dall’1,7% come uno strumento che include e per altrettanta percentuale di donne risulta essere una pratica che include formalmente, ma che di fatto esclude. 194 Da un livello piuttosto generico e astratto rappresentato dalle domande precedenti, ci avventuriamo su un versante più pratico e vicino all’esperienza quotidiana delle intervistate quando chiediamo: Secondo la sua percezione, il Comune dove Lei risiede, offre possibilità di democrazia elettronica? La risposta che registra un maggior numero di casi (81%) rappresenta la totale ignoranza circa questa possibilità resa disponibile dal Comune di residenza. Parallelamente può significare che i Comuni interessati o non hanno pubblicizzato abbastanza questa possibilità di partecipazione, rendendo esplicite le modalità di accesso e principalmente l’esistenza di servizi on line che nella loro realizzazione danno contenuto al concetto di e-democracy, o dispongono di talmente pochi servizi digitali che nessuno si è accorto della loro esistenza. A dissipare questo dubbio viene in nostro soccorso un 4,9% di intervistate che precisano come il Comune offra questa possibilità, ma è talmente risicata che richiederebbe un congruo incremento. Le dichiarazioni successive aggiungono informazioni circa la possibilità si esercitare questo diritto stabilito dall’art. 3, dall’art. 4 e, in particolare, dall’art. 945 del D. Lgs. 82/2005 e ss. mm. ii. Infatti, il 3,8% dichiara che non esiste alcuna possibilità di esercitare questo diritto attraverso gli strumenti resi disponibili sul sito web del Comune di residenza mentre l’1,5% riconosce che esiste formalmente la possibilità di accedere a forme di democrazia elettronica, ma di fatto non è disponibile alcun servizio sul sito web del Comune. Solo un evanescente 0,6% dichiara che il sito web del Comune di residenza offre la possibilità di esercitare pienamente questo diritto, accompagnato da un pallido 0,3% che ammette che non solo è possibile esercitare pienamente il diritto di partecipazione democratica elettronica, ma questo può avvenire tramite sistemi multicanale resi disponibili dall’Ente Locale di riferimento. La disincantata conclusione di un malizioso manipolo (7,8%) di donne afferma che, secondo la loro opinione, gli stessi amministratori comunali non sanno cosa sia la democrazia elettronica. Articolo 9 – Partecipazione democratica elettronica – 1. Le pubbliche amministrazioni favoriscono ogni forma di uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti all’estero, al processo democratico e per facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili sia individuali che collettivi. 45 195 2.2. Internet e digital divide La dinamica della dialettica giuridica, secondo la quale una formale eguaglianza stabilita dal diritto rende diseguali di fatto, si accompagna, all’interno dei sistemi sociali, a forme dicotomiche di inclusione/esclusione sulla cui riflessione ci siamo soffermati nel secondo capitolo della prima parte di questo lavoro, a cui rimandiamo. Da una prospettiva di genere, in questa dinamica la parte prevalentemente esclusa risulta essere quella femminile. La rivoluzione tecnologica che caratterizza la moderna contemporanea società dell’informazione e della comunicazione ha consentito di coniare nuove espressioni che descrivono vecchie questioni, pur utilizzando semantiche evolute che producono senso. È il caso dell’espressione digital divide46 della cui definizione, anche in riferimento alle donne, si è occupata una sezione del capitolo terzo della prima parte del presente volume. Il termine fa la sua prima comparsa nel 1995 nel celebre rapporto Falling Through the Net: A Survey of the “Have Nots” in Rural and Urban America, diffuso dall’NTIA (National Telecommunications & Information Administration – United States Departement of Commerce) e da quel momento in poi si propone quale metafora della società dell’informazione e della comunicazione per definire l’esclusione tecnologica47. Il divario digitale è una variabile invariante ed è sostanzialmente un processo di mutazione sociale costante perché le tecnologie (la produzione, gestione e accesso ai contenuti digitali) sono in rapida e costante evoluzione. Il digital divide segna le periferie delle tecnologie digitali della modernità ai cui margini si concretizzano esperienze e persone, spesso donne, si realizzano percorsi di inclusione e nuove forme di partecipazione digitale irrimediabilmente connesse a meccanismi di esclusione sociale. L’inclusione e l’esclusione digitale si servono di molteplici “varchi digitali” (e reali al tempo stesso) che rendono dinamica la struttura sociale nell’attuale società della conoscenza e del rischio proprio nella dimensione del partecipare con i diversi protagonisti dell’agire sociale, politico, Cfr. L. Sartori, Il divario digitale. Internet e le nuove disuguaglianze sociali, Bologna, il Mulino, 2006. 47 Cfr. F. Communello, Oltre il digital divide: tecnologie abilitanti e “new media literacy”, in M. Masini, A. Lovari, S. Benenati (a cura di), Dal digital divide ai media sociali, Acireale-Roma, Bonanno, 2010, pp. 111-125. 46 196 amministrativo e culturale. Questi meccanismi governano il rapporto tra i cittadini e le istituzioni quando il medium della comunicazione ha un codice binario, quando il digitale segna il discrimine e il confine tra l’inclusione e l’esclusione. Quando parliamo di digital divide inevitabilmente facciamo riferimento alla Rete e a una delle caratteristiche basiche della comunicazione mediata dal computer: la trasparenza. Trasparenza che, sia da un punto di vista giuridico-normativo, sia dalla prospettiva delle tecnologie e dei contenuti digitali, si pone come il riferimento centrale e irrinunciabile per rendere meno virtuale e più reale possibile l’istanza di democrazia elettronica per la costruzione del bene pubblico globale nella società delle reti48. La Rete ormai rappresenta un nuovo paradigma sociale e tecnologico attraverso l’uso del quale è possibile pensare e realizzare politiche sociali pur con la consapevolezza che tecnologia e organizzazione sociale rappresentano due sottosistemi che hanno contenuti e sviluppi autonomi e la loro correlazione quasi mai è lineare49. Le ICT e le reti creano uno spazio comune di informazione per la crescita sociale nel processo di modernizzazione delle pubbliche amministrazioni e delle istituzioni di governo. In particolare consentono di fornire servizi ai cittadini e alle imprese e sono orientate nell’estendere processi di inclusione sociale. Sul tema della partecipazione sociale è forte il contributo che queste tecnologie possono offrire al processo decisionale e allo sviluppo sociale e del territorio. Tuttavia, si fa strada nell’opinione pubblica e nella riflessione di genere una diffusa utopia della partecipazione, che vede aumentare progressivamente e costantemente la platea degli inclusi digitali e che sostiene l’avvenuta conquista delle “pari opportunità digitali” da parte delle donne, tanto da affermare che il mondo di Internet sarebbe il regno dell’uguaglianza di genere50. Ma l’esistenza di fratture digitali può essere ancora letta come frutto dell’appartenenza di genere o è frutto di altre variabili? E in Italia, qual è Cfr. L. Gallino, Tecnologia e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici, Torino, Einaudi, 2007. 49 Cfr. M. Berra, Sociologia delle reti telematiche, Roma-Bari, Laterza, 2007. 50 Cfr. R. Bracciale, Donne nella rete. Disuguaglianze digitali di genere, Milano, FrancoAngeli, 2010. 48 197 il livello di e-Inclusion delle donne? Nei fatti, le donne sembrano vittime di una “esclusione digitale” che le allontana dal centro della “società delle reti”, relegandole spesso alla periferia dell’inclusione. Il miraggio di una “società dell’informazione per tutti” si infrange così contro l’evidenza: il cyberspazio rimane ancora una prerogativa di alcuni, mentre altri restano intrappolati fuori dalla rete. In questo senso il Web potrebbe costituire un grande inganno: in una Rete così globale è difficile trovare ciò di cui si ha bisogno e ancora più difficile è valutarne l’attendibilità51, ma soprattutto, non è consentito l’accesso a tutti. Lei utilizza internet? NO 44% SÌ 56% Fig. 15 – Uso di Internet Fig. 15 – Uso di Internet Il campione esaminato dichiara di utilizzare Internet per il 56% e il 73,5% di queste donne indica una frequenza di utilizzo giornaliera (40%) o di più volte alla settimana (33,5%). Il picco di utilizzo di Internet si riscontra nella fascia d’età compresa tra 41-45 anni con una percentuale del 21,8%, rispetto a un 20% della fascia d’età compresa tra 18-25 anni e uno 0% che caratterizza le donne di oltre 65 anni di età. «…la capacità d’uso di Internet da parte degli individui assume, in questa prospettiva, i tratti di una sorta di cittadinanza digitale, che va ad aggiungersi e a integrare quella tradizionale»52 . Questa affermazione Cfr. F. Metitieri, Il grande inganno del Web 2.0, Roma-Bari, Laterza, 2009. S. Bentivegna, Disuguaglianze digitali. Le nuove forme di esclusione nella società dell’informazione, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 198. 51 52 198 di Sara Bentivegna, se è valida per il genere maschile, riteniamo assuma massima importanza per le donne le quali, non avendo storicamente goduto di nessuna cittadinanza, o di cittadinanze di livello inferiore rispetto agli uomini, attraverso gli strumenti della rete, superando anche quel digital divide di genere che sembra ormai inessenziale rispetto all’accesso delle donne alle ICT, possono segnare una svolta nell’ambito delle pari opportunità. È un processo in fieri che all’interno del genere femminile stesso discrimina le donne con maggiore età e minore scolarizzazione, ma nella prospettiva delle due prossime generazioni potrebbe appianare il gap oggi esistente. Accesso a Internet 600 500 400 300 200 100 0 Tutti i giorni Più volte alla settimana Una volta alla settimana Raramente Mai Fig. 16 – Frequenza dell’accesso a Internet Fig. 16 - Frequenza dell’accesso a Internet Le donne che utilizzano Internet, per l’82,6% si collegano da casa e per l’11, 6% dal lavoro (è raro il collegamento tramite device mobile) e lo fanno prevalentemente per interesse personale, per lavoro o per studio. Navigano in ricerca di informazioni (67,5%), per collegarsi a social network o per utilizzare la posta elettronica. Raramente per accedere a servizi resi disponibili dalla PA (3%). Il 15,4% del campione dichiara di sapere cosa si intende per digital divide. Il resto, o non risponde o dichiara di non conoscerne il significato. 199 Accesso a internet 600 500 400 300 200 100 0 Casa Lavoro Scuola / università Postazioni Postazioni Mobile (con pubbliche pubbliche a palmari, gratuite pagamento cellulari o altro) Fig. 17 - Luoghi dell’accesso a Internet Fig. 17 – Luoghi dell’accesso a Internet In riferimento alla tecnologia informatico-telematica, il 40% dichiara di non usarla, oppure con nostalgia afferma che “si stava meglio prima, quando non c’era”; oppure, in maniera quasi rassegnata, segnala di usarla quasi per necessità, ma “preferisce le vecchie maniere” (7,5%). Per il 44% delle donne intervistate, tuttavia, le tecnologie informatiche e telematiche rappresentano una grande occasione di sviluppo. La capacità di emanciparsi, di acquisire cittadinanza nel mondo globale dei bit è determinata in massima parte anche dalla volontà di volersi emancipare. Questo campione di donne sembra prevalentemente rinunciatario e legato ancora a culture e strutture sociali della comunicazione che appartengono a un passato che tarda a trascorrere, inattuale. Solo il 2,5% delle intervistate interviene a definire il digital divide con espressioni corrette, il resto, pur dichiarando di sapere a cosa si riferisce l’allocuzione, non fornisce alcune definizione o ne indica qualcuna parziale e incompleta. 17 Motivi di accesso a Internet Mancante di sistema Interesse personale Studio Lavoro 0 100 200 300 400 500 600 Fig. 18 – Motivi dell’accesso a Internet Fig. 18 - Motivi dell’accesso a Internet 200 18 2.3. Pubblico e privato Il D. Lgs. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale – CAD) ha previsto nuove possibilità di comunicazione della Pubblica Amministrazione con i cittadini e con le aziende, ponendo diritti che fino all’approvazione della norma solo pochi addetti ai lavori ritenevano possibili. Tuttavia, l’esigibilità di questi nuovi diritti, contenuti nell’art. 3 del CAD53, passa attraverso l’adozione da parte delle amministrazioni pubbliche, centrali e locali, di modelli organizzativi innovativi che tengano contro delle nuove ICT (Information and Communication Technologies)54. Il CAD impone alle pubbliche amministrazioni norme che, nella loro totalità, indicano un modello evoluto di pubblica amministrazione digitale che, nella fase transitoria di applicazione, tollerano una pratica mista di attività amministrative, ma nella fase “a regime” escludono qualsiasi procedura che non sia digitale. Al fine di rendere i procedimenti amministrativi funzionali alla predisposizione e alla erogazione di servizi amministrativi “on line” (digitali)55, il dettato normativo, e la organizzazione che ne deriva, po1. I cittadini e le imprese hanno diritto a richiedere e ottenere l’uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni, con i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, e con i gestori di pubblici servizi ai sensi di quanto previsto dal presente codice. 4. A decorrere dal 1° gennaio 2013, salvo i casi in cui è prevista dalla normativa vigente una diversa modalità di comunicazione o di pubblicazione in via telematica, le amministrazioni pubbliche e i gestori o esercenti di pubblici servizi comunicano con il cittadino esclusivamente tramite il domicilio digitale dallo stesso dichiarato, anche ai sensi dell’articolo 21-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, senza oneri di spedizione a suo carico. Ogni altra forma di comunicazione non può produrre effetti pregiudizievoli per il destinatario. 54 Cfr. P. L. Di Viggiano, L’amministrazione digitale negli enti locali. I modelli organizzativi e gli strumenti tecnico-giuridici, in M. Mancarella (a cura di), Profili negoziali e organizzativi dell’amministrazione digitale, Trento, Tangram Edizioni Scientifiche, 2009, pp. 155-186. 55 D. Lgs 82/2005 – Articolo 7. – Qualità dei servizi resi e soddisfazione dell’utenza. 1. Le pubbliche amministrazioni provvedono alla riorganizzazione e aggiornamento dei servizi resi; a tale fine sviluppano l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sulla base di una preventiva analisi delle reali esigenze dei cittadini e delle imprese, anche utilizzando strumenti per la valutazione del grado di soddisfazione degli utenti. 53 201 stulano scenari che prevedono la riorganizzazione degli uffici in senso digitale (back office), la rilevazione della customer satisfaction degli utenti e l’alfabetizzazione informatica dei cittadini. Obblighi, questi, posti in capo alle autonomie locali che, oltre a indicare i contenuti e la forma dei servizi, prevedono la possibilità per i cittadini di usufruirne, avendo acquisito dimestichezza con le logiche e le pratiche informatiche. Anche in questo caso, per la norma giuridica, “le pubbliche amministrazioni nell’organizzare autonomamente la propria attività utilizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione nel rispetto dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, nonché per la garanzia dei diritti dei cittadini e delle imprese”56. Ancora più preciso è l’art. 15 del CAD che recita: «1. La riorganizzazione strutturale e gestionale delle pubbliche amministrazioni volta al perseguimento degli obiettivi di cui all’articolo 12, comma 1 , avviene anche attraverso il migliore e più esteso utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’ambito di una coordinata strategia che garantisca il coerente sviluppo del processo di digitalizzazione. 2. In attuazione del comma 1, le pubbliche amministrazioni provvedono in particolare a razionalizzare e semplificare i procedimenti amministrativi, le attività gestionali, i documenti, la modulistica, le modalità di accesso e di presentazione delle istanze da parte dei cittadini e delle imprese, assicurando che l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione avvenga in conformità alle prescrizioni tecnologiche definite nelle regole tecniche di cui all’articolo 71». A partire da queste premesse, oggi è possibile parlare di Open Government per la pubblica amministrazione locale e centrale, basato su un nuovo concetto di Governance che, avendo superato la fase dell’egovernment, si basa su modelli, tecnologie e strumenti che consentono alle amministrazioni di avere un approccio aperto e trasparente con i cittadini e le imprese tale da garantire un controllo pubblico sul proprio operato. Questo modello è fondato soprattutto sull’utilizzo delle nuove 56 Ivi, Art. 12, comma 1. 202 tecnologie della comunicazione e dell’informazione (Internet e il Web in testa) in luogo degli strumenti più tradizionali e “analogici”. Ribadiamo, anche in questa sede che le tecnologie sono strumenti utili a realizzare modelli innovativi di organizzazione e non viceversa. La CiVIT – Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche è stata la prima Commissione istituita dal governo italiano a utilizzare il termine Open Government in una Delibera: “L’accessibilità totale” presuppone, invece, l’accesso da parte dell’intera collettività a tutte le “informazioni pubbliche”, secondo il paradigma della “libertà di informazione” dell’open government di origine statunitense. Una tale disciplina è idonea a radicare, se non sempre un diritto in senso tecnico, una posizione qualificata e diffusa in capo a ciascun cittadino, rispetto all’azione delle pubbliche amministrazioni, con il principale «scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità»57. Il LEG, nel 2011, ha svolto una indagine su tutti i siti web dei Comuni e della Provincia di Lecce dal titolo: Il rispetto degli obblighi di pubblicazione on line da parte dei siti web dei Comuni della provincia di Lecce, finalizzata a rilevare il grado di trasparenza delle amministrazioni interessate in relazione alle norme vigenti in materia e conformemente alla delibera CIVIT N. 105/2010. I risultati sono stati presentati pubblicamente e discussi con i rappresentanti degli Enti Locali interessati. Da questa indagine del 2011 (e quindi con riferimento esclusivamente alla situazione riscontrata nell’autunno del 2011) nei Comuni del Salento risulta prevalentemente che: –– il processo di digitalizzazione dei siti comunali analizzati è incompleto, ancora lungo ma non più rinviabile; –– la prima disposizione contenuta dalla Direttiva 8/2009 – obbligo per le pubbliche amministrazioni dell’iscrizione dei propri siti al Delibera N. 105/2010 – Linee guida per la predisposizione del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità (articolo 13, comma 6, lettera e, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150): La trasparenza «è intesa come accessibilità totale […] delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione […]». 57 203 –– –– –– –– dominio “gov.it” – non è rispettata da nessuno dei Comuni della Provincia di Lecce; nella sezione “Trasparenza, valutazione e merito”, sia del tutto assente la pubblicazione del Programma Triennale per la trasparenza e l’integrità e il Piano delle performance; nella presentazione dell’organizzazione e dei servizi resi, i Comuni osservati mediamente mostrano forti punti di debolezza, in modo particolare nell’offerta dei servizi. Risultano del tutto assenti servizi on line così detti di interazione a due vie che consentono all’utente di avviare, con uso di moduli on line, il procedimento e ne garantiscono la presa in carico, sempre on line. Ma risultano scarsi, anche, i servizi di interazione a una via che permettono al cittadino di fruire non soltanto di informazioni ma di poter trovare pubblicati moduli per la richiesta dell’atto o del procedimento, da compilare e inoltrare attraverso canali “tradizionali”; i Comuni osservati hanno dimostrato di avere, mediamente, recepito le prescrizioni della norma relative all’obbligo di pubblicazione dei dati sui dirigenti e sui titolari di posizioni organizzative, mentre sono del tutto assenti le medesime informazioni, pure richieste dalle disposizioni contenute nel D. Lgs.150/2009, in merito a chi riveste incarichi di indirizzo politico-amministrativo; relativamente all’assegnazione delle consulenze e degli incarichi, si rileva una forte disattenzione e incompletezza di informazioni sui compensi e sulla durata dell’incarico conferito o la totale assenza del curriculum dell’incaricato e di notizie sulle modalità utilizzate per la selezione dello stesso. Dai risultati elencati, complessivamente il gap tra lo stato dell’arte e il traguardo da raggiungere prefigurato dalle norme appariva rilevante. E se il problema di avere uno strumento tecnico a disposizione poteva essere risolto, in definitiva, con un investimento di esigue risorse economiche e con il ricorso alle giuste competenze professionali, l’aspetto più propriamente strategico e di pianificazione di un nuovo assetto organizzativo richiedeva, come ancora richiede, più tempo e anche la capacità di comprendere che un tale processo di cambiamento ha bisogno di un salto culturale verso la reale possibilità per i cittadini di partecipare. 204 Fin qui alcune riflessioni scaturite dalla ricerca LEG del 2011 sulla trasparenza dei Comuni della provincia di Lecce, compresi i Comuni partner della presente survey. Proprio in riferimento alle norme citate e ai dati più significativi emersi dagli studi effettuati dal LEG, abbiamo previsto nel questionario una macroarea in cui vengono affrontati i problemi relativi ai siti web dei Comuni, all’erogazione di servizi on line e alla percezione che le donne intervistate hanno delle amministrazioni di riferimento in merito a questi temi. Il 79% delle intervistate dichiara di non aver mai verificato la presenza di servizi on line offerti ai cittadini sul sito web del proprio Comune. Questo dato, che rappresenta l’atteggiamento di 4/5 del campione, lascia perplessi per l’indifferenza delle donne rispetto a questa materia. Il restante 20% ha opinioni contrastanti: il 7,8% dei dati indica che sui siti dei Comuni sono disponibili alcuni servizi on line e sono anche di facile accesso, mentre, dall’altro lato, viene dichiarato che non ci sono servizi on line o, se ci sono, risultano di difficile accesso; oppure che ci sono alcuni servizi telematici ma per la conclusione del procedimento è necessario recarsi personalmente presso lo sportello del Comune. Fino a giungere a un 6,4% che dichiara perentoriamente che non sono disponibili servizi on line. La disponibilità di servizi pubblici digitali, ma anche l’accesso per poterne fruire, dichiarati così scarsi nei Comuni, trova un versante corrispondente anche nei servizi erogati da altre amministrazioni pubbliche. Dalla lettura della Tab. 11 possiamo ricavare la percentuale di utilizzo che il nostro campione riserva ai servizi che sicuramente sono disponibili sui siti web di altre importanti amministrazioni pubbliche. Il portale web dell’INPS risulta il più gettonato dalle donne intervistate con una percentuale che supera di poco i tredici punti. Seguito da un abbondante 8% di frequenza dei siti web dei Comuni per la fruizione di servizi telematici. La percentuale più alta registrata per l’utilizzo dei servizi del portale web dell’INPS trova la sua spiegazione nel massiccio investimento che l’Istituto ha operato negli ultimi 10 anni per la produzione di una piattaforma tecnologica potente e in grado di soddisfare non solo le richieste di un pubblico sempre più esigente ma anche di assolvere ai compiti che le norme continuamente provvedono ad assegnargli. Oggi 205 molti servizi dell’INPS sono fruibili esclusivamente on line, in formato digitale, senza utilizzo di supporti analogici in fase di prima comunicazione. Tab. 11 – QUALI SERVIZI ON LINE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE UTILIZZA? PA Frequenze Percentuale valida INPS 164 13,3 Agenzia delle Entrate 37 3,0 INAIL 19 1,5 ASL 72 5,8 Comune 107 8,7 Provincia 58 4,7 Regione 49 4,0 Ministeri 30 2,4 Le donne del campione ritengono che la sicurezza sul posto di lavoro sia fondamentale, accompagnata dall’importanza che riveste la prevenzione e la conoscenza dei rischi lavorativi per la tutela della propria salute. Proprio in relazione alla salute oltre il 50% delle donne intervistate dichiara di controllarla sempre o spesso e, comunque, quando è necessario. Un complessivo 25% dei dati indica che una fascia importante di donne si cura troppo poco del proprio stato di salute. Le ragioni circa l’orientamento e l’atteggiamento assunto dalle donne relativamente alla frequenza di controllo del proprio stato di salute risiedono principalmente nella convinzione del 43,7% delle intervistate che dichiara la propria propensione a rischiare meno proprio utilizzando i metodi della prevenzione che si accompagna strettamente all’idea secondo la quale, proprio perché le donne sono soggetti a rischio, è bene monitorare lo stato di salute al fine di avere più informazioni sui possibili rischi (23,3%). Al contrario, circa il 14% ritiene che non sia positivo controllare frequentemente il proprio livello di salute. 206 Stato di salute 600 500 400 300 R² = 0,3656 200 100 0 Sempre Spesso Frequenza Poco Raramente Percentuale Solo se è necessario Mai Poli. (Frequenza) Fig. 19 – di controllo dello stato di salute Fig. 17 - Frequenza diFrequenza controllo dello stato di salute Coloro che dichiarano di controllare il proprio stato di salute, sia che lo facciano frequentemente, sia che succeda raramente, prevalentemente utilizzano strutture e personale sanitario pubblici. Esercita un discreto appeal lo Studio specialistico privato, mentre l’ospedale privato incontra solo il 3,6% dei favori delle donne del campione. Tab. 12 – QUALE STRUTTURA SANITARIA UTILIZZA PREVALENTEMENTE PER CONTROLLARE IL SUO STATO DI SALUTE? Struttura Frequenza Percentuale Ospedale pubblico 816 66,2 Ospedale privato 44 3,6 Medico di medicina generale 601 48,7 Poliambulatorio 72 5,8 Studio specialistico pubblico (intramoenia) 34 2,8 Studio specialistico privato 206 16,7 207 2.4. Le donne e la questione ambientale Il ruolo delle donne sul tema dell’uguaglianza di genere in riferimento allo sviluppo socio-economico e alla sostenibilità ambientale del territorio è cruciale, tanto che la Conferenza mondiale sulla popolazione, svoltasi al Cairo nel 1994 prima, e poi la Conferenza mondiale sulle donne di Pechino dell’anno successivo, riconoscono che il miglioramento delle condizioni e l’emancipazione femminili risultano fondamentali per lo sviluppo sociale tanto da affermare che: «La promozione dell’equità di genere è allo stesso tempo un mezzo e un fine per la realizzazione dello sviluppo e dei diritti umani sia delle donne sia degli uomini». Il concetto e la pratica dello sviluppo sostenibile58 si completano con il necessario coinvolgimento delle donne. A questo proposito il Rapporto sullo stato delle popolazioni nel mondo dell’UNFPA59 afferma che «La comunità internazionale avrà successo nella sua lotta contro i cambiamenti climatici se le politiche, i programmi e i trattati terranno conto dei bisogni, dei diritti e della potenzialità delle donne. Un migliore utilizzo della popolazione femminile potrebbe favorire la crescita economica, ridurre la povertà nel mondo, migliorare il grado di benessere sociale e aiutare ad assicurare uno sviluppo sostenibile». Uno studio italiano del 201060 ha potuto descrivere come incrociando dati mondiali (sia di paesi sviluppati che in via di sviluppo) si conferma il rapporto tra uguaglianza di genere, economia e sostenibilità ambientale tanto da registrare un’evidenza secondo la quale le donne al potere producono più La definizione, oggi ampiamente condivisa, di sviluppo sostenibile è quella contenuta nel rapporto Brundtland, elaborato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo e che prende il nome dall’allora premier norvegese Gro Harlem Brundtland, che presiedeva tale Commissione: «Lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto un processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali». Cfr. G. H. Brundtland, (Rapporto), Our Common Future, 1987 – <http:// www.are.admin.ch/themen/nachhaltig/00266/00540/00542/index.html?lang=de>. 59 Cfr. R. Engelman (a cura di), Lo stato della popolazione nel mondo. In un mondo che cambia: donne, popolazione e clima, UNFPA, 2009, <http://www.aidos.it/ files/1258997240UNFPA%202009.pdf>. 60 Cfr. A. De Rose, A. De Pascale, Donne, sviluppo, ambiente, pubblicato l’1/12/2010 su www.neodemos.it. 58 208 benessere e meno inquinamento di quanto facciano i loro colleghi maschi. Questo significa che, dove le donne raggiungono più alti livelli di istruzione e sono coinvolte nei processi decisionali (partecipazione) ai livelli più alti delle istituzioni, l’attenzione istituzionale sulle problematiche ambientali cresce. Il Comune rappresenta, nel panorama italiano, il presidio primo per la tutela e la difesa del patrimonio paesaggistico e del territorio anche in riferimento a programmi globali di lungo periodo promossi a livello mondiale, come può essere Agenda 21 Locale61 che è il risultato più interessante del programma lanciato a livello planetario sullo sviluppo sostenibile con la Conferenza di Rio de Janeiro del 1992. Gli strumenti specifici a disposizione delle Autonomie locali per esercitare questo diritto/ dovere sono rappresentati dai regolamenti62 . In questo settore l’ente locale, oltre a svolgere attività di regolamentazione sull’uso del proprio territorio di riferimento, dispone di uno strumento straordinario costituito dall’attività educativa per i cittadini, in particolar modo dell’“educazione ambientale e allo sviluppo sostenibile”. Questa attività pedagogica esercitabile in ambiti territoriali locali è uno strumento fondamentale per sensibilizzare i cittadini a una maggiore responsabilità verso i problemi ambientali e alla consapevolezza della necessità di essere coinvolti nelle politiche di governo del territorio. «Quindi un compito imprescindibile a cui l’EA deve tendere, è un’educazione attenta a quello che avviene nel contesto territoriale di prossimità. L’EA si è evoluta nel tempo, da un approccio iniziale prevalentemente incentrato sulla tutela della natura, si è passati a una maggiore attenzione all’inquinamento, alle emergenze ambientali e alle dinamiche sociali ed economiche, per arrivare al più ampio concetto di Educazione allo Sviluppo Sostenibile»63. Per disamina delle istanze del programma Agenda 21 Locale in riferimento allo sviluppo sostenibile e alla partecipazione politica, cfr. E. M. Tacchi (a cura di), Sostenibilità ambientale e partecipazione, Milano, FrancoAngeli, 2004. 62 Innovatore in questo campo resta uno studio del LEG del 2011 in cui vengono trattati argomenti per la regolamentazione dell’abitare sostenibile. Cfr. P. L. Di Viggiano, Politiche e strumenti del territorio sostenibile. Prospettive sociologiche, in L. Caputo (a cura di), Politiche dell’ambiente e del territorio, Trento, Tangram Edizioni Scientifiche, 2011, pp. 97-141. 63 Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, Educazione Ambientale e allo Sviluppo sostenibile, <http://94.86.40.85/ 61 209 Il Comune oggi ha a disposizione le ICT per la difesa e la valorizzazione del territorio, attraverso le quali può monitorare costantemente il livello di degrado e di inquinamento dei siti naturali su cui esercita la propria competenza; può gestire meglio la realizzazione del proprio Piano Urbanistico Generale (PUG) anche attraverso un controllo quasi millimetrico del costruito utilizzando i satelliti geostazionari o i dati, i metadati e i servizi digitali resi disponibili dai Sistemi Informativi Territoriali (SIT). In questo compito è di fondamentale importanza considerare l’agricoltura e il turismo come due settori strategici la cui regolamentazione e il cui controllo consentono di preservare le risorse naturali da un rapido depauperamento e da un irreversibile degrado provocato dall’uso indiscriminato del suolo e delle risorse naturali (terresti, marittime e aeree). In considerazione della responsabilità dei Comuni verso i cittadini e le cittadine, relativa alla conservazione, alla difesa e alla promozione di questo patrimonio, abbiamo posto alcune domande al campione di donne intervistate al fine di raccoglierne le personali esperienze rispetto alla conoscenza e alla percezione che esse hanno delle attività di tutela esercitate dal proprio Comune verso l’ambiente. Nei confronti dell'ambiente manifesta: Non è un problema che mi riguarda Indifferenza Poca sensibilità Attenzione Molto interesse 0 100 200 300 400 500 600 700 800 Fig. 18 - Frequenza di interesse per l’ambiente Fig. 20 – Frequenza di interesse per l’ambiente home_it/menu.html?mp=/menu/menu_attivita/&m=Educazione_Ambientale. html&lang=it>. 210 La quasi totalità del campione (91%) dichiara di avere molto interesse (32%) o di prestare attenzione (59%) all’ambiente. Una percentuale complessiva del 9% si dice poco sensibile, indifferente o, addirittura, sostiene che quello ambientale è un problema che non la riguarda. Da un’analisi incrociata di questi dati con la variabile “Fascia d’età” e con la variabile “Titolo di studio”, le donne più indifferenti alle questioni ambientali risultano posizionate sia nella prima fascia d’età (18-25 anni) e sia nell’ultima (oltre 81 anni), mentre le donne meno istruite manifestano maggiore distanza dalle problematiche ambientali. Il campione chiamato a esprimersi in relazione alle politiche di tutela del territorio nei settori agricolo e turistico, ritiene che l’agricoltura sia innanzitutto un’attività che aiuta la salvaguardia del territorio e dell’ambiente (43,4%) la cui programmazione è fondamentale per la sostenibilità ambientale (32,8%). Il restante 23% dei dati si pongono in maniera piuttosto critica nei confronti dell’agricoltura che viene indicata come un’attività che non ha nessuna relazione con la tutela dell’ambiente perché con le sue pratiche (concimazioni chimiche, fitofarmaci, diserbanti, ecc.) compromette l’equilibrio naturale essendo un’attività solo economica e di sfruttamento delle risorse naturali e del suolo. Il turismo viene considerato principalmente come una risorsa eccezionale per il territorio (50,8%), capace di valorizzarlo (27,2%) ma anche uno strumento la cui programmazione può contribuire alla tutela dell’ambiente e del territorio. La parte più critica delle donne del campione (10%) indica nella pratica turistica, probabilmente nella maniera con cui questa viene attuata, la realizzazione di uno degli attentati più brutali all’integrità dell’ambiente e del territorio perché mossa solo da interessi commerciali ed economici. Le popolazioni dei Comuni in cui è stata condotta la ricerca abitano una parte di territorio del sud Salento tra le più suggestive della nostra penisola, lambita dal basso mare Adriatico, la cui vicinanza a Otranto è servita come potente attrattore di un turismo che ormai registra presenze internazionali. Nella percezione e nell’immaginario delle popolazioni costiere il mare assume una rilevanza molto alta, ma per ragioni a volte molto diverse fra loro. Le donne intervistate, a cui è stato chiesto di esprimersi circa la valenza che attribuiscono al mare e alle coste salentine, ritengono (per oltre il 77%) che questi elementi naturali siano la più straordinaria risorsa del Salento, ma anche costituiscano la possibilità 211 turistica più economica per i salentini (in maniera residuale), contro l’idea che queste risorse siano un’opportunità quasi esclusiva per il turismo (9%). Una voce molto critica è rappresentata da un esiguo 4% che ritiene essere il mare e le coste salentine lo specchio della cultura dello scempio ambientale, fino a giungere a una posizione di disimpegno quando si dichiara che tutto ciò che si riferisce alle coste e al mare riguardi esclusivamente i pescatori (1,8%). Tuttavia, in maniera quasi plebiscitaria, il 92% del campione ritiene che ogni singola persona possa contribuire a ridurre l’inquinamento ambientale e il depauperamento delle risorse naturali. Promozione del territorio 42,3 50,0 40,0 43,6 30,0 20,0 10,0 14,1 0,0 Si No Non so Fig. 21 – Il Suo Comune di residenza ha mai intrapre- Fig. 18 - Il Suo Comune di residenza ha mai del intrapreso iniziative di promozione del territorio? so iniziative di promozione territorio? L’attività di tutela dell’ambiente e del territorio comunale da parte dell’Amministrazione di riferimento di ogni donna intervistata, oggetto di una specifica domanda, è descritta in maniera impietosa e le risposte fornite rappresentano un indicatore importante a cui gli Enti locali interessati dovrebbero rivolgere molta attenzione. Proprio in relazione alla possibilità di accesso, quindi di inclusione o di esclusione rispetto ai flussi informativi dell’Amministrazione comunale, le risposte fornite presentano uno schema binario in cui i dati raccolti sono distribuiti su due aree: le donne che affermano di conoscere l’attività del proprio Comune in relazione alla tutela dell’ambiente e del territorio e quelle che affermano di essere escluse dall’informazione (non sanno). Nella prima area troviamo risposte che descrivono tre posizioni tra loro alternative: il 16% afferma che il Comune di riferimento considera le tematiche ambientali come una priorità; il 49% smentisce la precedente affermazione perché dichiara che il Comune adotta pochi interventi a tutela dell’ambiente, mentre l’11% smentisce entrambe le prime due risposte perché sostiene che il Comune non si occupa in nessun modo di tutela ambientale. La seconda area raccoglie le espressioni di coloro che o sono escluse o si sono escluse dai flussi comunicativi non solo delle Amministrazioni di riferimento, ma anche delle comunità di prossimità cui appartengono. Comunità di prossimità, o di vicinato, che in terra salentina, soprattutto nei comuni con una numerosità di popolazione medio-piccola, ancora rappresentano un ambito comunicativo strutturato e che sopravvive malgrado le pressanti avances della comunicazione digitale. Una nuova riorganizzazione dei dati delle risposte su nuclei di senso diversi, ma non necessariamente contraddittori, descrive come le donne intervistate hanno percepito l’eventuale azione di promozione del territorio intrapresa dagli Enti comunali di appartenenza. In questo caso, non ha tanta importanza che il 42% ci dica che il comune ha attivato iniziative a favore della promozione del territorio e che il 14% dica il contrario. È dirimente l’osservazione della percentuale elevata (43,6%) di coloro le quali dichiarano di essere escluse, di non sapere di simili iniziative. In questo caso il fenomeno è distribuito in maniera equanime in tutte le fasce di età e per quasi tutti i livelli di istruzione. Una riflessione parzialmente conclusiva: o l’argomento non rientra tra gli interessi delle popolazioni intervistate, malgrado affermazioni di senso contrario, o la trasparenza e la comunicazione istituzionale dei comuni interessati necessitano di un robusto incremento attraverso l’applicazione dei dettati normativi e dei modelli organizzativi più evoluti in materia, per consentire alle donne, ma anche agli uomini, di esercitare uno dei principi cardine della democrazia moderna: esser informati per partecipare. 213 214 Conclusioni La riflessione e la ricerca fin qui condotte hanno proposto diversi livelli di lettura del fenomeno femminile, soprattutto utilizzando semantiche che descrivono culture, meccanismi sociali e pratiche dell’esclusione delle donne dalla sfera pubblica, dalla sfera della dignità umana, dalla partecipazione, dalla cittadinanza; svelando paradossi costitutivi dei sistemi sociali i quali includono, ma a causa del loro ordinario funzionamento, escludono: è il caso del diritto, dell’economia, della morale, della religione, della politica. Abbiamo notato, e descritto, come il pregiudizio contro le donne, che esclude le donne, che le considera “altro”, compaia fin dalle prime manifestazioni del pensiero occidentale, laico o religioso che sia, e come questo si sia tramutato in presupposto ontologico e sociale di emarginazione del genere femminile, relegandolo al ruolo di ancilla. Poi è comparsa la consapevolezza dell’artificialità della subordinazione del genere femminile verso quello maschile ed è affiorata a livello di coscienza la possibilità di un cambiamento, la possibilità di emancipazione, e la ribellione, una ribellione incruenta, ha cominciato a farsi strada nelle menti, nei sentimenti e negli atteggiamenti di molte donne, ma anche di alcuni uomini. L’acquisizione di sempre nuovi diritti tesi a realizzare quella condizione “assoluta” (nell’accezione etimologica del termine) che non viene più pretesa come uguaglianza di genere, ma come differenza che pretende pari opportunità, conduce le donne a riguadagnare, con molta fatica e abbastanza lentamente, uno status che il diritto le riconosce ma che la pratica quotidiana continua a negare: la libertà. Libertà di pensiero, di azione, di scelta, di partecipazione verso un senso compiuto di democrazia. Proprio con il riferimento costante alla democrazia e alla possibilità del suo esercizio più compiuto per le donne, inteso come partecipazione, abbiamo condotto questa indagine. 215 L’analisi realizzata ci ha costretti a osservare da diverse angolazioni problemi della modernità in relazione alle donne e alla loro partecipazione politica, alla democrazia, alla comunicazione e alla possibilità di accedervi, alla salute e alle risorse ambientali sempre in riferimento al rapporto di genere con le pubbliche amministrazioni, in particolare con le Autonomie locali. Abbiamo definito, con Luhmann, la società moderna come “universo della comunicazione sociale” all’interno del quale i paradossi costitutivi della modernità si palesano e si celano continuamente in una dialettica di possibilità di scelta che descrivono la complessità della società moderna. All’interno della riflessione politica moderna si è imposta l’idea dell’esistenza di una sfera pubblica della comunicazione intesa come luogo intermedio tra cittadini e istituzioni, tra società civile e Stato, che descrive la modernità della moderna società occidentale. Questa acquisizione evolutiva della politica è indissolubilmente collegata alla comunicazione e ai media (analogici o digitali) che ne garantiscono la diffusione ma che contribuiscono anche alla formazione dell’opinione pubblica. L’universo della comunicazione così definito, attualmente, viene indicato da molti come società digitale1 o come Società dell’informazione e della comunicazione, preconizzando come unica possibilità di comunicazione quella digitale. Tuttavia, questa tecnologia della comunicazione, veloce e pervasiva, non spiega cosa accade nella società del mondo che, per larga parte è analogica. Proprio in riferimento alla contemporanea appartenenza a due sistemi non escludenti, quello digitale e quello analogico, è stata avanzata la suggestiva istanza di una doppia cittadinanza per i crescenti cittadini della rete digitale che, però, appartengono a sistemi nazionali analogici ben definiti. Quindi cittadini di due sistemi: uno sovrano nazionale gerarchico e uno globale mondiale a rete. Dal confronto tra questi due tipi di cittadinanza, tradizionale e digitale, scaturisce che l’elemento discriminante è costituito dalla loro organizzazione: la sovranità nazionale (che esprime la cittadinanza tradizionale) è basata su forme gerarchiche di potere, costruita su delega, strutturata rigidamente e con un governo ben preciso che la esercita; la cittadinanza digitale si basa su una struttura comunicativa a rete diretta, orizzontale e autorganizzata. 1 Cfr. G. Granieri, La società digitale, Editori Laterza, Roma-Bari, 2006. 216 La nostra domanda è stata: in che modo le donne, escluse da sempre dall’essere cittadine, si rapportano a questa nuova possibilità di appartenenza? Da qui la riflessione circa i rapporti nella sfera pubblica tra le donne del sud Salento e le istituzioni locali. Rapporti mediati dalle nuove tecnologie della comunicazione che consentono un open access2 alle informazioni e aprono nuovi orizzonti di partecipazione democratica alla gestione e al controllo della cosa pubblica. Con lo sviluppo del web 2.0, l’e-government (che non ha funzionato egregiamente) apre uno spazio all’idea dell’open government3 , cioè alla possibilità di una Pubblica Amministrazione trasparente a tutti i livelli, che consenta al cittadino (maschio e femmina) di realizzare pienamente il principio di partecipazione. L’open government sta configurando la fisionomia di una amministrazione pubblica che favorisce la partecipazione attraverso la pubblicità di tutti i suoi atti e delle sue decisioni; consente l’accesso a tutti i dati che produce. Tutto ciò non si configura come un nuovo modo di presentarsi dell’organizzazione ma come un nuovo modo di essere della stessa. Presuppone un cambiamento dei processi, del modello gerarchico dell’organizzazione nel suo rapporto con i cittadini che assumono anche un ruolo di controllo. Questo modello, sviluppato soprattutto dall’Amministrazione Obama in seguito all’adozione del Memorandum dell’8.12.2009 che prende il nome di “Open Government Directive”, è diventato un riferimento per le Nazioni Unite che nel 2010 hanno raccomandato alle pubbliche amministrazioni di adottare un siffatto schema che, nella sua evoluzione più avanzata vuole condurre alla prassi dell’open data e cioè alla pubblicazione di tutti i dati in possesso dell’amministrazione in formato aperto, fruibile da tutti, senza restrizioCfr. L. Paccagnella, Open access, Bologna, Il Mulino, 2010. Nel giorno dell’insediamento del suo primo mandato, il presidente Obama ha pubblicato un Memorandum indirizzato ai dirigenti della sua amministrazione sulla trasparenza e l’Open Government che enfaticamente si apre affermando: «La mia amministrazione si impegna a dare vita a un grado di apertura (openness) nel governo senza precedenti. Lavoreremo assieme per assicurare la fiducia pubblica e per stabilire un sistema basato sulla trasparenza, sulla partecipazione pubblica e sulla collaborazione. L’apertura rafforzerà la nostra democrazia e promuoverà l’efficienza e l’efficacia dell’amministrazione». B. Obama, Memorandum for the Heads of Executive Departments and Agencies on Transparency and Open Government, 2009, disponibile on-line all’URL: http://www.whitehouse.gov/the_press_office/Transparency_and_ Open_Government/. 2 3 217 ni di copyright, di brevetti o di altre forme di controllo che ne limitino la riproduzione. Lo sviluppo di questi processi, coniugato con l’applicazione del web 2.0, possono far evolvere realmente verso un modello di partecipazione attiva4. La possibilità offerta dalle nuove tecnologie, resa cogente dalle nuove norme sull’Amministrazione digitale, le disposizioni normative vigenti e quelle in formazione5 conducono le Amministrazioni dello Stato, nella duplice componente di Organi politici e di strutture burocratiche, a ripensare le modalità di esercizio della politica e della burocrazia, predisponendo la razionalizzazione delle attività amministrative in modo da garantire un’amministrazione economica, efficace, efficiente e trasparente. In definitiva, un nuovo modello organizzativo in grado di consentire ai cittadini l’esercizio della democrazia e della partecipazione attraverso la conoscenza e l’accesso. Il 2013 è stato intitolato dall’Unione Europea come “Anno europeo dei cittadini”, con il duplice obiettivo di promuovere la conoscenza dei diritti legati alla cittadinanza europea e di stimolare il dialogo tra i diversi livelli di governo, la società civile e il mondo delle imprese per individuare quale Cfr. E. Belisario, Open Government: come rendere l’amministrazione più trasparente, in «egov», http://www.egovnews.it/blog.php/5105/Open+Government%3A+ come+rendere+l’amministrazione+pi%F9+trasparente. 5 Estremamente interessante ai fini della trasparenza e della comunicazione della PA, come attività legislativa de jure condendo, è lo Schema di decreto legislativo di attuazione dell’articolo 1, comma 35, della legge n.190 del 2012, recante riordino della disciplina sugli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni, da parte delle pubbliche amministrazioni, prot. N. 440 del 21 gennaio 2013 della Presidenza del Consiglio, da sottoporre al Consiglio dei Ministri. All’Art. 1 è contenuto un chiaro e condivisibile Principio generale di trasparenza: «1. La trasparenza è intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche. 2. La trasparenza concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto a una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino». 4 218 sia, da qui al 2020, l’Europa auspicata dai cittadini in termini di diritti, di politiche e di governance. Anche le istituzioni europee segnalano, con questa iniziativa simbolica, come a livello internazionale, il rapporto tra governi e cittadini stia mutando fortemente fino a portare, in molti paesi, all’inaugurazione di un nuovo modo di intendere il concetto e lo status di “cittadinanza”. E questo sta accadendo come risultato dell’interazione tra due approcci distinti ma altamente complementari: –– il primo approccio è legato al modello dell’open government e dell’open data, per cui nella relazione con i cittadini si adotta una logica di accountability, traducibile nella volontà e nella capacità di render conto dell’attività svolta. In questo modello i diritti di cittadinanza vengono arricchiti dalla possibilità, resa concreta nelle pratiche di amministrazione, di seguire e controllare le attività che riguardano e interessano i cittadini stessi; –– il secondo approccio è legato alle funzionalità stesse della pubblica amministrazione, messe sempre più in discussione dalla drammatica riduzione delle risorse disponibili. Per questo, i governi di tutto il mondo si trovano a dover fare di più spendendo di meno e possono riuscirci solo con l’aiuto delle cittadine e dei cittadini. In quest’ottica l’eGovernment è stata una promessa mancata, «un vero e proprio fallimento strategico: i servizi offerti non rispondono ai bisogni e agli interessi reali degli utenti; gli sforzi per includere chi è a rischio di esclusione sono insufficienti; sussistono barriere tecniche che limitano l’usabilità dei siti»6. Alla base di questo fallimento c’è stato l’errore di considerare i destinatari dei servizi, i cittadini, come semplici utenti. Un errore che il nuovo approccio non intende ripetere, coinvolgendo perciò i cittadini in tutte le fasi che descrivono il processo di predisposizione e di erogazione dei servizi. Quelli brevemente tracciati, sono dunque due approcci che, partendo da necessità apparentemente diverse, finiscono per ridefinire, arricchendolo, il rapporto governo-cittadini, introducendo nuove forme di collaborazione F. Di Donato, Lo stato trasparente. Linked Open Data e Cittadinanza Attiva, Pisa, Edizioni ETS, 2010, p. 13 del PDF liberamente scaricabile dal sito: http://www.linkedopendata.it/wp-content/uploads/statotrasparente_2010.pdf. 6 219 e di partecipazione: il cittadino ha la possibilità, come mai era successo prima d’ora, di intervenire ed essere parte attiva nella gestione della cosa pubblica. L’analisi dei dati, raccolti durante la ricerca attraverso le riposte delle donne intervistate, descrive impietosamente l’emergenza di un’occasione mancata. Le amministrazioni locali interessate sono osservate come poco attente non solo alle istanze delle donne, ma anche degli uomini, quando si tratti di accesso digitale che consenta l’esercizio di una nuova forma di partecipazione democratica: l’e-democracy. In questo caso di studio siamo di fronte a un campione che descrive l’universo delle donne sud salentine in possesso di un grado di scolarizzazione medio-alto, anche se il loro strumento preferito per la formazione e l’informazione risiede nella TV, ma che presentano una media alta di accesso alle tecnologie informatiche della comunicazione. Sorprende la presenza di internaute anche in fasce di età che, per istruzione, cultura, interessi e perizia tecnologica sembrerebbero escluse da forme di comunicazione telematica. Si dichiarano lontane della politica. Queste donne, pur se il loro approccio lavorativo spesso è descritto come problematico, tuttavia, per la maggior parte navigano in internet alla ricerca di informazioni, non tanto interessate ai social network, ma con opinioni ben chiare e determinate circa la propria salute, la propria sicurezza e il proprio rapporto, singolo e collettivo, con l’ambiente. La problematicità della ricerca emerge quando descrivono i propri rapporti con le Amministrazioni locali di riferimento. Amministrazioni che hanno dimostrato coraggio e interesse a conoscere le opinioni delle donne, mettendo in gioco la credibilità della propria azione amministrativa quando hanno acconsentito al progetto, anzi, quando hanno preteso di partecipare a questa ricerca, sapendo di rischiare. Il rischio si palesa subito dopo che i dati raccolti hanno cominciato a descrivere come la popolazione femminile (e non solo femminile) dei Comuni di Andrano, di Diso, di Poggiardo, di Spongano e di Tricase non possa realmente esercitare il proprio diritto di partecipare alla vita politica e amministrativa dei Comuni di appartenenza attraverso le nuove tecnologie della comunicazione digitale. Emerge dai racconti delle donne, come descritto nel report della ricerca, un grado elevato di esclusione perché mancano gli strumenti della partecipazione che, in base alle norme vigenti, devono anche essere digitali. Non solo, allora, il territorio e la popolazione femminile dell’area interessata dalla ricerca, ma tutto il Salento può trarre indicazioni dai risultati qui presentati per ammodernare il proprio apparato amministrativo e politico verso un open government, verso un’amministrazione pubblica veramente digitale. Basterebbe applicare le norme e le Linee guida già vigenti che indirizzano l’azione amministrativa in materie ben specifiche. In questo scenario, fortunatamente dinamico e in fase di evoluzione, le donne rischiano non solo che sia compromessa la propria partecipazione democratica ma che godano di una sola cittadinanza, quella tradizionale, mentre la negazione di una ulteriore cittadinanza digitale planetaria le colloca in una periferia sociale della modernità che impedisce loro di intravedere l’orizzonte del futuro della propria emancipazione. 221 222 Bibliografia Aa.Vv., Crisi dell’antifemminismo, Milano, Mondadori, 1973. Aa.Vv., Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, Milano, La tartaruga, 1987. Aa.Vv., Donne in filosofia, Manduria, Lacaita, 1990. Aa.Vv., La donna nella Chiesa e nella società, Roma, An. Veritas Editrice, 1988. Aa.Vv., La ricerca delle donne, Torino, Rosenberg&Sellier, 1987. 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(a cura di), Cittadinanza, appartenenza, identità, diritti, RomaBari, Laterza, 1994. 234 Appendice – Il Questionario Progetto CUIS: Indagine campionaria pilota DONNA E SOCIETÀ PARTENARIATO –– Comune di Andrano (ENTE CAPOFILA) –– Università del Salento – Dipartimento di Filologia classica e Scienze filosofiche – LEG (Laboratorio di E-Government) PARTNER –– Comune di Tricase –– Comune di Poggiardo –– Comune di Diso –– Comune di Spongano Autore e coordinatore della Survey: PhD Pasquale Luigi Di Viggiano Note per l’intervistata Il progetto di ricerca è incentrato sulla rilevazione delle esigenze (bisogni, aspettative, attese, comportamenti, ecc.) della popolazione femminile nel territorio dei Comuni di Andrano, Tricase, Poggiardo, Diso e Spongano. La rilevazione dei dati necessari alla ricerca si avvale dell’ausilio di un questionario e utilizza strumenti informatici/software per il trattamento e l’elaborazione delle informazioni raccolte predisposti ad hoc. La presente ricerca campionaria intende rilevare atteggiamenti, comportamenti e aspettative e si propone di effettuare un censimento con i criteri previsti dalla metodologia della ricerca sociale e scientificamente rilevanti in merito alle esigenze femminili in tema di lavoro, servizi pubblici, formazione, superamento del digital divide, democrazia elettronica, ambiente. 235 I dati raccolti saranno utilizzati per la stesura del rapporto di ricerca Il Sig. ______________________________________ è autorizzato alla somministrazione del questionario che avverrà in modo rigorosamente anonimo. Questionario n. _ _ _ _ _ Somministrato in data |___| |___| 2012 Nel Comune ________________________________________ Responsabile della somministrazione ________________________ Sezione A – I dati personali 1) Età 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 |anni 18-25 | |anni 26-30| |anni 31-35| |anni 36-40| |anni 41-45| |anni 46-50| |anni 51-55| |anni 56-60| |anni 61-65| |anni 66-70| |anni 71-75| |anni 76-80| |oltre 81 anni 2) Specificare l’età esatta: anni _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 3) Comune di residenza 1 Andrano 2 Diso 3 Poggiardo 4 Spongano 5 Tricase 236 4) Stato civile 1 Nubile 2 Coniugata 3 Separata legalmente/divorziata 4 Vedova 5 Convivente 5) Ha figli? 1 Sì 2 No 6) (se è sì) Quanti figli ha? N. ______ 7) Con chi vive prevalentemente 1 Da sola 2 Con amici 3 con genitori o con altri parenti 4 Con i figli 5 Con il partner 6 Con tutta la famiglia 8) Da quante persone è composta la sua famiglia? Num. _______ 9) Nazionalità dell’intervistata _________________________ Sezione B – Formazione e istruzione 10) Titolo di studio 1 Nessun titolo 2 Licenza elementare 3 Licenza media 4 Diploma scuola media-superiore 5 Laurea triennale 6 Laurea quadriennale/specialistica/magistrale 7 Post laurea 237 11) Che tipo di strumenti utilizza prevalentemente per la sua formazione o per aggiornare il suo bagaglio di conoscenze? (Max 1 risposta) 1 Internet 2 Libri 3 Tv 4 Riviste/Quotidiani 5 Corsi di formazione 6 Discussioni con i colleghi e amici 7 Seminari, convegni e incontri 8 Nessuno 9 Altro ________________________________________ 12) Se pensa alle sue precedenti esperienze di formazione, complessivamente ritiene che la formazione sia stata… (rispondere a tutte le domande – Legenda: 1 = per nulla – 2 = poco – 3 = abbastanza – 4 = molto – 5 = del tutto) a b c d e f g h chiara collegata alla realtà coinvolgente trasferibile nella pratica partecipativa innovativa rispondente ai bisogni organizzata 12345 12345 12345 12345 12345 12345 12345 12345 13) Cosa pensa della formazione? 1 È utile 2 Penso sia inutile 3 È una perdita di tempo costosa 14) Il suo percorso formativo obbligatorio è avvenuto prevalentemente (o avviene) 1 Nella Scuola pubblica 2 Nella Scuola privata 3 Nessuna formazione 238 Sezione C – Sfera lavorativa 15) Come si qualifica dal punto di vista delle attività lavorative? (una sola risposta) 1 Occupata 2 Ufficialmente non occupata (lavoro in nero) 3 Disoccupata alla ricerca di una nuova occupazione 4 In cerca di prima occupazione 5 Inabile al lavoro 6 Non alla ricerca di un lavoro 7 Altro _________________________________________ 16) Attuale Professione prevalente: 1 Artigiana 2 Casalinga 3 Commerciante 4 Impiegata settore privato 5 Impiegata settore pubblico 6 Imprenditore 7 Insegnante/docente 8 Lavoratore agricolo 9 Libero professionista ( avvocato, commercialista,….) 10 Operaia settore privato 11 Operaia settore pubblico 12 Pensionata 13 Forze armate 14 Studente 15 Altro ________________________________________ 17) In caso svolga attualmente attività lavorative, che tipo di contratto ha? (chi non svolge attività lavorative contrattualizzate non deve rispondere) A) Tipo di contratto 1 A tempo determinato 2 A tempo indeterminato 3 Flessibile (Co.Co.Co., Co.Co.Pro., ecc.) 4 Occasionale 239 B) Tipo di orario prevalente 1 Full-time 2 Part-time 18) Quante ore lavora, mediamente, in una settimana? (chi non svolge attività lavorative contrattualizzate non deve rispondere) ______________________ 19) (se è sì alla 17/A) Per quale motivo ha un’occupazione a termine? 1 Ho scelto il contratto a termine per conciliare lavoro e famiglia 2 Non ho trovato un lavoro a tempo indeterminato 3 Hosceltoilcontrattoatermineperaltrimotivi,specificare________ ______________________________________________ 20) È soddisfatta del lavoro che svolge (o che ha svolto in passato)? 1 Molto 2 Abbastanza 3 Poco 4 Per niente, ne sto cercando uno migliore 5 Per niente, ma non penso di poterne trovare uno migliore Sezione D – Politica e democrazia elettronica 21) Le interessa la politica? (una sola risposta) 1 Sì, sono iscritta ad un partito e faccio attività politica 2 Sì, sono iscritta ad un partito anche se non faccio alcuna attività 3 Sì, ma mi limito a seguirla sui giornali e in televisione 4 Solo in occasione delle elezioni 5 Saltuariamente, quando se ne discute in famiglia o tra amici 6 Non mi interessa affatto 7 Altro, specificare _________________________________ ______________________________________________ 22) Con che frequenza vota? Sempre 2 Ogni tanto 240 3 Mai 23) Se lei vota, in quale occasione esercita il suo diritto al voto? (è possibile dare più di una risposta) 1 Elezioni comunali 3 Elezioni provinciali 4 Elezioni regionali 5 Referendum 6 Elezioni politiche 7 Elezioni europee 24) Cosa pensa della partecipazione femminile alla vita politica italiana? (una sola risposta) 1 La partecipazione delle donne è fondamentale perché per me esse rappresentano una speranza per il futuro 2 Dovrebbero costituire un partito tutto al femminile 3 Sono molto più coraggiose degli uomini 4 Secondo me una donna deve solo occuparsi della casa e della famiglia 5 Le donne rappresentano un elemento di diversità in politica 6 Non riusciranno mai realmente ad emergere nella politica italiana 7 Si tratta solo di donne manovrate da altri uomini 8 Sono solo donne corrotte al pari di uomini 25) Lei sa cosa si intende per democrazia elettronica? 1 Sì 2 No 26) (Se è sì) che ne pensa? (una sola risposta) 1 Sono d’accordo sul criterio della trasparenza in ambito politico 2 Non sono d’accordo sul criterio della trasparenza in ambito politico 3 Credo che sia utile, ma non è di mio interesse 4 Credo che sia inutile 5 È uno strumento che include tanta gente 6 È uno strumento che include formalmente ma di fatto esclude 27) Secondo la sua percezione, il Comune dove Lei risiede, offre possibilità di democrazia elettronica? (una sola risposta) 1 Non sono a conoscenza di questa possibilità 241 2 Il Comune offre questa possibilità, ma andrebbe incrementata 3 Non esiste alcuna possibilità di esercitare questo diritto attraverso gli strumenti resi disponibili dal sito web del Comune 4 Il sito web del Comune offre possibilità di esercitare pienamente questo diritto 5 Formalmente la possibilità di accedere a forme di democrazia elettronica esiste, ma di fatto non è disponibile alcun servizio di questo genere. 6 Il Comune consente di esercitare questo diritto attraverso sistemi multicanale (non solo sito web) 7 Secondo me gli stessi amministratori comunali non sanno cosa sia la democrazia elettronica. Sezione E – Internet e digital divide 28) Lei utilizza internet? 1 Sì 2 No 29) (nel caso sì alla precedente) Con che frequenza utilizza internet? (una sola risposta) 1 Tutti i giorni 2 Più volte alla settimana 3 Una volta alla settimana 4 Raramente 5 Mai 30) Il suo accesso ad internet avviene prevalentemente da: (una sola risposta) 1 Casa 2 Lavoro 3 Scuola / università 4 Postazioni pubbliche gratuite 5 Postazioni pubbliche a pagamento 6 Mobile ( con palmari, cellulari o altro ) 7 Altro ………………………………….. 242 31) Per quale motivo prevalentemente utilizza internet? (una risposta) 1 Lavoro 2 Studio 3 Interesse personale 4 Altro…………………….. 32) Quali servizi di internet utilizza prevalentemente? (una risposta) 1 Navigazione web / informazione 2 E-mail 3 E-Shopping 4 Newsgroup (gruppi di discussione) 5 Chat 6 Facebook/Social Network 7 Videoconferenza 8 Servizi messi a disposizione della PA (Comune, Provincia, Regione, Ministeri, ecc.) 9 Altro _________________________________________ 10 Nessuno 33) Sa cosa si intende con l’espressione digital divide? 1 Sì 2 No 34) Cosa pensa della tecnologia informatica telematica? 1 È una grande occasione di sviluppo 2 Si stava meglio prima, quando non c’era 3 Grazie alla tecnologia ho più tempo libero per me stessa 4 La uso ma preferisco le vecchie maniere 5 Non la uso 35) Qual è prevalentemente il significato che attribuisce al digital divide? (una risposta) 1 Mancanza del Decoder per il digitale terrestre 2 Indisponibilità di tecnologie wireless 3 Accesso negato a internet da qualsiasi luogo 4 Essere informati in tempo reale su notizie di cronaca 243 5 Sono convinta che per usare la rete ci vogliano conoscenze informatiche superiori 6 Non so cosa significhi 7 Altro …………………………………………………………. Sezione F – Servizi pubblici 36) Lei sa se il Sito web del suo Comune di residenza offre servizi on line? 1 Non ho mai verificato 2 Ho provato a cercarli, ma non ho trovato nessun servizio 3 Alcuni servizi sono disponibili, ma è difficile accedere 4 Sono disponibili alcuni servizi e sono di facile accesso 5 Ci sono alcuni servizi on line, ma per la conclusione del procedimento è necessario recarsi personalmente presso lo sportello 6 Non sono disponibili servizi on line 7 Altro (specificare) ………………………………………………………………….. 37) Quali servizi on line delle pubblica amministrazione utilizza? (più di una risposta) 1 INPS 2 Agenzia delle Entrate 3 INAIL 4 ASL 5 Comune 6 Provincia 7 Regione 8 Nessuno 9 Altro (specificare) …………………………………………….. 38) Cosa pensa della prevenzione in relazione alla sicurezza sul posto di lavoro? (una sola risposta) 1 È fondamentale 2 È molto importante che si faccia e che se ne parli 3 È importante conoscere i rischi a cui tutti giorni siamo esposti 4 È importante fare prevenzione ma che non occupi la pausa pranzo 5 Trovo che sia inutile 244 39) Con che frequenza controlla il suo stato di salute? 1 Sempre 2 Spesso 3 Poco 4 Raramente 5 Solo se è necessario 6 Mai 40) Perché pensa sia positivo controllare frequentemente il proprio stato di salute (per chi ha risposto positivamente): 1 Non penso sia positivo controllare frequentemente il proprio stato di salute 2 Perché credo che le donne siano un soggetto a rischio, perciò è bene monitorarsi 3 Mi informo sempre su i possibili rischi per la mia salute 4 Grazie alla prevenzione cerco di rischiare il meno possibile 41) Quale struttura sanitaria utilizza prevalentemente per controllare il suo stato di salute? (max 2 risposte) 1 Ospedale pubblico 2 Ospedale privato 3 Medico di medicina generale (di base) 4 Poliambulatorio 5 Studio specialistico pubblico (intramoenia) 6 Studio specialistico privato Sezione G – Ambiente 42) Nei confronti dell’ambiente manifesta: 1 Molto interesse 2 Attenzione 3 Poca sensibilità 4 Indifferenza 5 Non è un problema che mi riguarda 245 43) In relazione alle politiche di tutela del territorio, l’agricoltura è: (1 Risposta) r1 Un’attività che aiuta la salvaguardia del territorio e dell’ambiente r2 Un’attività che non centra con la tutela dell’ambiente r3 Un’attività solo economica che sfrutta le risorse naturali r4 Un’attività che con le sue pratiche (concimazioni, fitofarmaci, diserbanti, ecc.) compromette l’equilibrio naturale e inquina r5 Un’attività la cui programmazione è fondamentale per la sostenibilità del territorio e dell’ambiente 44) In relazione alle politiche di tutela del territorio, il turismo è: (1 Risposta) r1 Una risorsa eccezionale per il territorio r2 Uno strumento per la valorizzazione del territorio r3 Uno degli attentati più brutali all’integrità dell’ambiente e del territorio r4 Solo una pratica economica e commerciale r5 Un possibile strumento la cui programmazione può contribuire alla tutela del territorio e dell’ambiente 45) Il mare e le coste salentine rappresentano: (1 Risposta) r1 La più straordinaria risorsa naturale del Salento r2 Una opportunità quasi esclusiva per il turismo r3 Lo specchio della cultura dello scempio ambientale r4 La possibilità turistica più economica per i salentini r5 Una questione che riguarda i pescatori 46) In relazione alla tutela dell’ambiente e del territorio, lei pensa che il suo Comune r1 Considera le tematiche ambientali come una priorità r2 Adotta pochi interventi a tutela dell’ambiente r3 Non si occupa in nessun modo di tutela dell’ambiente r4 Non conosco le politiche del Comune sull’ambiente. 47) Ritiene che ogni singola persona possa contribuire a ridurre l’inquinamento? Sì No Non so 48) Il Suo Comune di residenza ha mai intrapreso iniziative di promozione del territorio? Sì No Non so