eBook : Donna e società. Partecipazione democratica

POÎESIS
Collana di studi e ricerche sull’eGovernment
– Sezione Tecnologie e ricerca sociale –
5
Pasquale Luigi Di Viggiano – Rossella Bufano
Donna e società.
Partecipazione democratica
e cittadinanza digitale
Pasquale Luigi Di Viggiano – Rossella Bufano
Donna e società. Partecipazione democratica e cittadinanza digitale
Copyright © 2013 Tangram Edizioni Scientifiche Trento
Gruppo Editoriale Tangram Srl – Via Verdi, 9/A – 38122 Trento
www.edizioni-tangram.it – [email protected]
Prima edizione: febbraio 2013
ISBN 978-88-6458-059-3 (Print)
ISBN 978-88-6458-973-2 (ePub)
ISBN 978-88-6458-974-9 (mobi)
POÎESIS – Collana di studi e ricerche sull’eGovernment – NIC 05
Direzione
André Ramos Tavares, Marco Mancarella, Gianpasquale Preite
Comitato scientifico
Donato A. Limone, Università Telma “La Sapienza” di Roma
Antonio Anselmo Martino, Universidad de Lanus, Buenos Aires
Marco Mancarella, Università del Salento
Ioannis Ganas, Technological Educational Institute of Epirus
André Ramos Tavares, Pontifícia Universidade Católica de São Paulo
Giuseppe Schiavone, Università del Salento
Mario Sirimarco, Università degli Studi di Teramo
Gianpasquale Preite, Università del Salento
Endrius Cocciolo, Universitat Rovira i Virgili
Jean-Michel Dubois-Verdier, Président Tribunal adminsitratif de Toulon
Andrea Lisi, Presidente ANORC Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione Digitale
José Tomás Figueroa Padilla, Presidente Instituto Electoral y de Participación Ciudadana, Jalisco, Mexico
Josep Cañabate Pérez, Universitat Autònoma de Barcelona
Responsabili delle Sezioni e Redazione
Evoluzione delle politiche pubbliche Gianpasquale Preite
Amministrazione digitale e nuovi diritti Marco Mancarella
Sistema documentale e conservazione digitale Andrea Lisi
Etica, biopolitica e tecnologie Ughetta Vergari
Tecnologie e ricerca sociale Luigi Di Viggiano
Sviluppo del territorio e tecnologie Luca Caputo
Profili giuridici della net economy Gianluigi Fioriglio
Il presente volume è stato pubblicato con un contributo nell’ambito del Progetto “Andrano,
Tricase, Poggiardo, Diso, Spongano 2010: Donna e Società”, Progetto finanziato dal Consorzio
Universitario Interprovinciale Salentino (C.U.I.S.) nell’ambito del bando per l’erogazione di
contributi – Anno 2010.
Anche se la responsabilità dei capitoli presenti nel volume è da attribuirsi ai rispettivi autori,
lo studio è il risultato di una piena integrazione e condivisione delle riflessioni e della ricerca
illustrata.
Sommario
9Prefazione
Raffaele De Giorgi
15Introduzione
Parte Prima
DONNA E SOCIETÀ.
PERCORSI FILOSOFICI, SOCIALI E POLITICI
21
Capitolo I
La donna nella cultura occidentale
Pasquale Luigi Di Viggiano
1.1. Le radici del pregiudizio
1.2. La donna nella società occidentale
1.3. La donna dei filosofi
1.3.1. Platone: la codifica di un dominio
1.3.2. Madre-materia: l’immagine della donna in Aristotele
1.4. Dal medioevo all’età moderna
1.4.1. Il pensiero cristiano medioevale
1.4.2. Dall’Umanesimo all’Illuminismo
1.4.3. Kant: l’“Io penso” e la coscienza dell’altro
1.4.4. Hegel e l’autocoscienza
1.5. Al principio del III millennio
1.5.1. La liberazione della donna. Genesi e sviluppo di un’idea
1.5.2. Dall’eguaglianza alla differenza
1.5.3. Il pensiero della differenza sessuale
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21
26
31
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41
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63
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Capitolo II
Il principio dell’uguaglianza e le istanze della
differenza
Pasquale Luigi Di Viggiano
2.1. Eguaglianza e inclusione
2.2.Inclusione/esclusione
93
75
78
Capitolo III
Donne e politica: cittadinanza, rappresentanza,
e-democracy
Rossella Bufano
3.1. Cittadinanza politica e genere
3.1.1. L’esclusione delle donne dalla cittadinanza politica
3.1.2. Sfera privata e sfera pubblica
93
96
100
3.1.3. Il divieto di accesso all’individualità e la maternità
3.1.4. Madre-cittadina e maternità sociale
3.1.5. La difficoltà delle donne a “occupare” la politica
3.2. Partecipazione e rappresentanza politica delle donne
3.2.1. Le forme della partecipazione politica
3.2.2. La partecipazione politica di genere
3.2.3. Rappresentanza politica e gap di genere
3.2.4. Le azioni positive: le quote
3.2.5. Meccanismi paritari e quote in Europa
3.2.6. Il ruolo dei partiti nella rappresentanza di genere
3.3. Democrazia digitale
3.3.1. Opportunità della Rete e digital divide
3.3.2. La rete (delle donne) nella Rete
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135
138
Parte Seconda
DONNA E SOCIETÀ. PARTECIPAZIONE
DEMOCRATICA E CITTADINANZA DIGITALE
145 Capitolo I
Costruzione dell’identità di genere nel sud Salento
Pasquale Luigi Di Viggiano
1.1. La ricerca: teorie e metodo
1.1.1. Obiettivi della ricerca
1.1.2. Fasi di realizzazione della ricerca
1.1.3. Il gruppo di lavoro
1.2. Bisogni delle donne in ambito sociale
1.2.1. Nota metodologica
1.2.2. Le donne del campione
1.2.3. Istruzione e formazione
1.2.4. Il lavoro delle donne
145
148
150
152
155
155
156
165
174
183 Capitolo II
Accesso, e-democracy e politica di genere
Pasquale Luigi Di Viggiano
2.1. Politica e democrazia elettronica
2.2. Internet e digital divide
2.3. Pubblico e privato
2.4. Le donne e la questione ambientale
213Conclusioni
221Bibliografia
233 Appendice – Il Questionario
184
194
199
206
Donna e società.
Partecipazione democratica
e cittadinanza digitale
Prefazione
Raffaele De Giorgi
Scritti con passione e con ragionata distanza, con la forza delle certezze
intellettuali e con la discrezione dell’osservazione empirica, i lavori che
qui presentiamo e sui quali vorremmo invitare il lettore a riflettere, attivano insieme il volere e la rassegnazione, il desiderio di un racconto differente e l’accettazione di narrazioni che ritornano, fanno vedere orizzonti
del futuro e insieme temere insuperabili barriere. Le pagine scivolano veloci, condensano pause di sdegno, si leggono come sguardi su ciò che si è
visto, ma poi si sente improvvisa la rabbia per la sotterranea violenza che
scorre nelle oscure interiorità della storia che qui viene riscritta, della storia del pensiero, della storia dell’essere, della natura, della terra. E quando
si legge del pensiero antico si sente quanto sia ancora determinante la resistenza di quel pensiero nella memoria della società, si sente cioè la sua
originaria funzione costitutiva, il suo inesauribile potenziale di produzione di forme senz’altro diverse nelle quali, però, vive la stessa sostanza.
Gli autori intendevano scrivere contributi di natura storico-filosofica
sulla donna, esporre riflessioni teoriche sulla uguaglianza e sulla differenza, in modo da riflettere sui caratteri dell’uguaglianza e della differenza
che fa essere (o diventare) donna e poi provare, con una ricerca empirica
che la differenza che fa essere (o diventare) donna si fa abisso quando viene situata in una periferia della modernità come è lo spazio geografico che
chiamano sud. I contributi sono qui. Non so quanto essi informino il lettore. Dipende dalle sue conoscenze, naturalmente, dalla sua curiosità. So,
però, che essi costringono il lettore a lasciarsi accompagnare dalle pagine
che legge e a andare oltre, a inoltrarsi lungo i cammini non manifesti della
sua riflessione, seguendo sentieri che si biforcano, come quelli di Borges, a
pensare oltre, a lasciarsi turbare, sconvolgere, a chiedersi come mai? come
9
mai è possibile essere donna, cosa c’è sotto questa invenzione? Stesso turbamento prova il lettore se lungo il percorso della ricerca empirica, affidandosi al coraggio dell’intelletto, si abbandona alla domanda come mai
il sud? come è possibile il sud? o, come si chiedeva Luhmann nella ultima
grande lezione della sua vita: was steckt dahinter?
È una ricerca sulla donna: una ricostruzione della rappresentazione della donna nel pensiero filosofico, nella immaginazione sociologica, nelle
forme della determinazione religiosa, nella riflessione teorica sulla differenza; è una ricerca empirica sulla disponibilità all’uso di tecniche di partecipazione politica e all’accesso a servizi. Noi ci siamo posto le domande
di cui abbiamo appena detto e abbiamo letto il lavoro come un tentativo
di presentare al lettore materiale conoscitivo ed esplicativo che gli permette di accedere in quell’universo nel quale si costruisce la semantica del
non detto e di ciò che non si può dire. Come un lavoro che presenta grandi
racconti, ma anche piccoli segmenti di grandi racconti, attraverso i quali
la società descrive se stessa e occulta accuratamente i materiali di senso
che stanno sotto le trame di quei racconti e ne costituiscono il tessuto.
La semantica, il patrimonio di significati che la società usa nelle descrizioni di sé che essa fornisce a se stessa e attraverso le quali si rende possibile il proprio operare, utilizza drammaturgie che poi intessono racconti,
storie, che diventano realtà, e realtà di cui si parla. E così il lavoro che
qui presentiamo, dice che la donna è l’altro di una differenza che rende
possibile il pensiero occidentale che la produce, e che in questo modo si
legittima come pensiero universale così come la questione meridionale è
l’altro di una differenza che rende possibile la rappresentazione dell’unità
di una delimitazione regionale della società che la produce e che in questo
modo legittima le sue politiche unitarie che riproducono la differenza di
cui non si può più parlare. La donna può dire la sua uguaglianza e può
rivendicare la sua differenza, così come il Sud può dire la sua uguale dignità e rivendicare la sua differenza. Come il sud anche la donna: sono il
risultato della loro invenzione e vengono trattati come realtà o addirittura come natura.
Il lavoro si estende su tre versanti di riflessione. Il primo si occupa della
rappresentazione della donna nella cultura occidentale; il secondo discute il principio dell’uguaglianza e le istanze della differenza; il terzo presenta i risultati di un’indagine empirica, svolta in alcuni piccoli agglomerati urbani del Salento, sull’accesso, e sulla conoscenza delle possibilità di
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accesso, alla comunicazione digitale da parte delle donne e quindi sulle
loro capacità di utilizzare le forme di partecipazione democratica che
sono rese possibili attraverso le nuove tecnologie dell’informazione. Tre
universi del discorso, tre orizzonti, tre storie, una stessa memoria.
Vorrei riflettere brevemente su questa tri-unità, raccogliere i fili delle
narrazioni che da essa si dipanano, accennare alle storie che può evocare.
La prima è questa: La rappresentazione della donna nella cultura occidentale. Questa rappresentazione ha come suo elemento costitutivo la
forma della differenza. La possibilità dell’essere donna è legata alla possibilità di pensare la differenza. Il problema, allora, è: la differenza. La
questione filosofica: come si può costruire la differenza, diventa: come
è possibile rendere possibile la differenza? La riflessione si orienta subito
verso terreni sicuri, certi, stabili: i terreni del fondamento, dell’essenza,
dell’ontologia. Nella storia del pensiero, della cultura o, come noi preferiamo dire, nella storia della semantica della società, tutte queste questioni sono state formulate come: qual è l’essenza, il fondamento della
differenza che fa la differenza che è la donna? Un osservatore che voglia
osservare come procede quella semantica, come si lavora alla costruzione,
che voglia sapere come quella stessa costruzione si costruisce, si chiederà:
qual è la funzione della differenza?. Come si può agevolmente vedere, il
modo in cui viene formulata la questione intorno alla quale poi il pensiero occidentale organizzerà il suo lavoro semantico nasconde e mantiene
occultata la questione reale della funzione del suo costrutto. Ha senso
dire, allora, che donna è un costrutto, un’invenzione che scaturisce dalla
necessità di indicare la differenza che fa la differenza.
Intorno a questa grande questione si organizza un tessuto di rappresentazioni che si condensa in una drammaturgia che ha il suo patrimonio
semantico nella commedia, nella triste e volgare commedia dell’ontologia, della sostanza, dell’essere: una storia che ha inizio quando il racconto di ciò che produce e tiene la rappresentazione dell’ordine del mondo,
esaurita la potenza tragica, è affidato alla commedia. Prima quel racconto
aveva trovato il terreno della sua rappresentazione nella tragedia, aveva
offerto alla tragedia il materiale per la costruzione del suo tessuto. La tragedia, in modo specifico la tragedia di Eschilo, che conosceva il destino,
come ciò che è, aveva potuto trasferire nel destino la sua rappresentazione
della sostanza e della sua negazione, dell’essere e della sua negazione. La
tragedia era l’unità della loro differenza. La consumazione tragica degli
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eventi rendeva visibile la realizzazione della sostanza e insieme la violenta resistenza della sua negazione: entrambe presenti, incluse e occultate
nell’unità della loro differenza. La tragedia ha raccontato donne capaci
dell’essere tragico e del sentire tragico. Donne dalla colpa grandiosa, cosmica, donne dell’eroismo tragico, donne della violenza universale, della
universale tragicità che è immanente all’unità della differenza della sostanza e della sua negazione. Ma non erano solo donne, naturalmente.
Erano donne ed erano uomini. L’essere tragico era la sostanza dell’unità
di questa differenza. La tragedia include in sé con l’unità della differenza,
la sua incontenibilità, il suo potenziale esplosivo. Le Supplici dicono no;
Antigone dice no; il loro no ha un esito tragico.
Ma la tragedia non ha futuro, la tragedia non ha tempo: il suo esito è la
consumazione del destino, la consumazione dell’unità, di ciò che non si
vede perché non si può vedere. Guardare l’unità significa diventare di pietra: essere fulminati dalle Erinni, essere pietrificati, essere resi immobili
per sempre per aver voluto attivare il tempo. L’osservazione richiede tempo, il tempo che essa consuma e riproduce. La funzione dell’inclusione
della negazione nella sostanza, la funzione della sostanza della negazione,
si esaurisce. E finisce la tragedia. Finisce il racconto di ciò che deve essere
perché è. Il carattere del destino, infatti è questo. Il futuro come destino
è come è, e si sa come è.
Senza destino il tempo ha un futuro, i singoli, la società hanno tempo,
hanno futuro. Poi avranno molti futuri. Si aprono i tempi di una nuova
drammaturgia. La drammaturgia della commedia. Comincia il tempo
del dovere essere, il tempo delle distinzioni, della morale, della politica,
del diritto, della casualità, della molteplicità, della cattiva infinità. Il tempo della differenza. Che fa la differenza. E infatti, la drammaturgia della
commedia richiede che la distinzione, una parte e l’altra parte, sia trattata
come differenza. Che fa differenza. Nella commedia non c’è più l’unità,
la commedia infatti comincia con l’occultamento dell’unità e con l’indicazione dell’uno e dell’altro. E dei molti, i quali sono tutti altro. Occultata l’unità, l’ordine del mondo diventa l’ordine delle differenze, diventa
gerarchia. Quell’ordine si espone alla trasformazione, al cambiamento.
C’è lo spazio per la negazione, perché c’è lo spazio per la differenza, per
l’altro. La commedia inventa l’altro, ma lo inventa e lo tratta come altro,
non come l’altra parte dell’altra parte, come in realtà è. Se così fosse stato,
la sostanza si sarebbe manifestata anch’essa per ciò che realmente è: sen-
12
za sostanza. L’altro, allora, è ciò che è fuori di sé. E infatti, l’altro, come
ciò che è fuori di sé, si contrappone a ciò che non è fuori di sé: il quale
proprio per questo non può essere altro. Esso conferma sempre la sua superiorità. L’altro, in quanto viene costruito, riconosciuto e trattato come
l’altra parte, è l’unico altro, la reale alterità: esso porta geneticamente con
sé il volto dell’altro, se lo trascina addosso, è come una mancanza, come
una privazione, come una specie di stigma, solo che essendo questo il suo
modo d’essere, la sua sostanza si identifica con il suo essere altro. Solo essa
è l’altro, non l’altro di cui essa è altro. La fine della tragedia è l’inizio di
questa grande falsificazione.
Una falsificazione che rende possibile l’invenzione dell’illecito come
l’altro del diritto, del male come l’altro del bene, della colpa come l’altro
della grazia. Ma questa stessa invenzione renderà possibile realizzare, giustificare, universalizzare ciò che nella Teoria della Società abbiamo chiamato l’autocollocamento del valore: il bene è il valore universale perché è
il fondamento del bene, così come la verità è il valore universale perché è il
fondamento del sapere, così come il diritto è diritto perché è il fondamento del lecito: grandi tautologie che occultano il fatto che la morale è l’unità della distinzione di bene e di male (come sa bene il Padre che discute
con il Figlio di fronte al Diavolo nel Vangelo secondo Gesù Cristo di Saramago), che il diritto è l’unità della distinzione di diritto e non-diritto, che
il sapere è l’unità della distinzione di vero e falso. E potremmo continuare. La grande tautologia occulta non solo l’unità della differenza, ma fa la
grande falsificazione della differenza che fa la differenza.
La donna, la donna della società, mi pacerebbe poter dire – così come
Luhmann poteva dire il diritto della società e concludere la sua opera con
la società della società – la donna è questa differenza, è l’altra parte dell’altra parte che nella drammaturgia della commedia diventa l’altro. La donna è l’altro che in più di venti secoli la semantica della società tenterà di
teatralizzare, è l’altro di cui parleranno le infinite costruzioni nelle quali
quella semantica si differenzia e attraverso le quali celebra la sua raffinatezza: sono le costruzioni filosofiche, politiche, giuridiche, teologiche,
biologiche, morali, economiche, estetiche, lecite, illecite, oscene, sacralizzanti attraverso le quali la società apprende a costruire ciò che poi utilizza
come realtà.
Anche i sud sono l’altro, l’altro che fa la differenza. Anche essi sono prodotto della differenziazione, anche essi sono continuamente ricostituiti
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come altro, come sud, appunto, come periferia di una società che ormai
non ha un centro, ma che trova razionale ricostituire periferie attraverso
amplificazione delle differenze. Anche questo altro è tema della semantica politica, giuridica, filosofica, e potremmo continuare fino a quella
biologica, come attesta la raffinata volgarità di un linguaggio politico che
dopo il settecento è stato rivitalizzato di recente in Italia.
Come ha bisogno della donna, così questa società continua ad avere
bisogno dei sud, dell’illecito, del male. Essa ha bisogno di trovare una
collocazione per l’altro, così come ha bisogno di discutere delle modalità
della sua emancipazione, della sua liberazione, del suo riscatto.
Non ci soffermiamo sui risultati della ricerca empirica che chiude il volume. Essi confermano che l’alterità dell’altro lo portano a reintrodurre
continuamente nella sua realtà la sua esclusione come modalità di accesso
alle possibilità di accesso.
Quando penso alle riflessioni che la filosofia, la teoria, la sociologia
dedicano all’altro sotto la rubrica: donna, uguaglianza, sud, mi sovviene
un meraviglioso articolo di Odo Marquard di alcuni anni fa dal titolo:
Inkompetenzkompensationskompetenz? (Competenza a compensare l’incompetenza?). All’inizio del suo articolo Marquard racconta la seguente
storia: in una competizione tra boia, che si tiene in Cina, così si dice, il
secondo finalista si trova nella difficile situazione di dover superare il suo
avversario, che avrebbe vinto, con una decapitazione assolutamente insuperabile. C’era tensione. Con lama affilata sferrò il colpo. Ma la testa
di colui che doveva essere decapitato non cadde e il delinquente apparentemente non ancora decapitato gettò sul boia uno sguardo stupito e
interrogativo. E il boia a lui: annuisca, almeno!
A me interessa sapere cosa pensa questa testa prima di annuire, dice
Marquard, perché questa dovrebbe avere una qualche somiglianza con i
pensieri della filosofia su se stessa.
14
Introduzione
Le grandi escluse nella storia dell’umanità sono le donne. Ontologicamente individuate come escluse, rimosse dalla riflessione e dalla partecipazione sociale e politica, le donne hanno intrapreso un lungo cammino
di emancipazione e di differenziazione che, ultimamente, è caratterizzato
da esiti importanti ma che non dirimono del tutto la questione. In questa
contesa dei diritti per l’affermazione del genere femminile sono emersi
evolutivamente strumenti in grado di fornire progressivamente ulteriore
supporto operativo e strategico per la realizzazione delle pari opportunità
e della pari dignità di carattere economico, sociale e culturale, in un contesto in cui la differenziazione di genere tende a rappresentare un valore
aggiunto piuttosto che un elemento di subordinazione e di esclusione.
Nell’attuale società dell’informazione e della comunicazione le donne si
pongono come elemento fondamentale per la realizzazione della modernità più compiuta, proponendo una visione di genere della cittadinanza
come fondamento della democrazia e della partecipazione in direzione di
una sovranità e di una cittadinanza più estesa e meno particolare. In direzione di una comunità variamente connessa che si caratterizza sempre più
per essere “digitale”; come costruzione sociale di un universo della comunicazione e delle reti di comunicazione (di inclusione e di esclusione) che,
operando attraverso i sistemi sociali differenziati, costruiscono la propria
realtà e la realtà della società contemporanea. Così, oltre a un nuovo tipo
di rapporto con la famiglia, acquistano rilievo l’istruzione e il lavoro per
una piena cittadinanza delle donne a tutto tondo.
«La donna è, rispetto all’uomo, quello che è lo schiavo rispetto al padrone, il lavoro manuale rispetto al lavoro mentale, il barbaro rispetto al
Greco. La donna è un uomo incompleto: essa se ne sta ritta su un gradino
più basso nella scala dello sviluppo»1.
Aristotele, De Generatione animalium, II, 3; Historia animalium, VIII, I; Politica, I, 5.
1
15
Questa idea di Aristotele, ma riscontrabile come substrato culturale comune in tutte le civiltà classiche pre-moderne, costituisce il pregiudizio
strutturale contro il quale si è infranto ogni tentativo di evoluzione sociale, economica e culturale delle donne di ogni epoca, determinando livelli
di esclusione ancora oggi operanti. Svelare le opacità paradossali, scaturite
da questi meccanismi di esclusione sociale, rappresenta lo sforzo di questo
lavoro che affronta temi diversi e complementari per descrivere le donne
come periferie sociali della modernità intrappolate in pratiche concettuali e sociali dell’esclusione anche quando sembrano essere incluse.
La politica, il diritto, la conoscenza e il lavoro sono le tematiche conduttrici il cui dispiegamento si descrive nella prima parte del lavoro
come analisi storico-teorica dei fondamenti filosofici, politici e sociali
dell’esclusione della donna da parte di una razionalità sempre pensata al
maschile. L’inclusione e l’esclusione rappresentano per la donna una ricorrenza parallela e contemporanea di un sistema sociale moderno che si
descrive come differenziazione dei subsistemi che lo compongono e che si
alimenta di aspettative la cui delusione, o soddisfazione, determina comportamenti cognitivi o normativi in grado di produrre diritto che, nel
suo normale funzionamento produce inclusione ed esclusione. La storia
delle donne è una storia che si può descrivere come esiti di esclusione sociale, ma anche come tentativi di inclusione attraverso i quali è possibile
osservare l’evoluzione delle aspettative di volta in volta deluse e le acquisizioni evolutive stabilizzate come diritti umani (delle donne). È possibile
affermare, allora, che la storia delle donne si può descrivere come azzardo,
come rischio, mentre il pensiero evolutivo sedimentato come senso intorno a questo tema si presenta come progressiva ipoteca di un futuro che
tarda a incominciare.
La verifica empirica e la descrizione scientifica di alcune istanze delle
donne rappresentano la ricerca che caratterizza la seconda parte del lavoro. L’approvazione da parte del CUIS del progetto: Andrano, Tricase,
Poggiardo, Diso e Spongano 2010: Donna e Società, ha rappresentato lo
spunto e lo strumento attraverso il quale un gruppo di ricerca, formato
dal Laboratorio di eGovernment (LEG) dell’Università del Salento e da
esponenti dei Comuni partner del progetto, si è costituito e ha lavorato
soprattutto censendo e analizzando aspettative e rappresentazione sociale, politica e culturale di un campione di donne residenti nei comuni del
basso Salento interessati alla ricerca.
16
Il lavoro e la vita familiare, i rapporti con la politica e con l’ambiente,
l’approccio alle nuove tecnologie della comunicazione e l’esercizio dei diritti di cittadinanza, i nuovi strumenti di democrazia e il rischio di esclusione digitale, così come espressi dalle donne campionate e suddivise per
fasce di età, descrivono una realtà territoriale del Sud al femminile utile
agli scienziati sociali per studiare l’evoluzione delle donne, ai politici più
illuminati per programmare un nuovo modello di comunità territoriale
coniugato anche al femminile e alle donne stesse (ma anche agli uomini)
per costruire il proprio futuro e quello delle nuove generazioni.
Per il carattere specifico di ciò che ancora non c’è, non è possibile prevedere il futuro. Tuttavia le decisioni del presente rappresentano le sedimentazioni di senso con cui orientare le scelte future. Anche per le donne.
Porto Cesareo, dicembre 2012
Pasquale Luigi Di Viggiano
Rossella Bufano
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Parte Prima
DONNA E SOCIETÀ.
PERCORSI FILOSOFICI, SOCIALI E POLITICI
Capitolo I
La donna nella cultura occidentale
Pasquale Luigi Di Viggiano
1.1. Le radici del pregiudizio
«La donna, dopo essere stata variamente verniciata a fini
spettacolari, avvolta in metafore, sepolta sotto una massa di
figure stilistiche, innalzata a livelli ideali, adesso potrebbe
diventare l’“oggetto” da indagare, al quale dare un’attenzione esplicita, e da immettere a questo titolo nella teoria»1.
Questa riflessione di Luce Irigaray compendia significativamente un percorso già compiuto e prospetta un orizzonte d’indagine futura per quello che fino a oggi è stato per l’uomo “l’oscuro oggetto del desiderio”: la
donna. Un “oggetto” con il quale l’uomo di tutte le epoche ha dovuto
confrontarsi assumendo atteggiamenti contrastanti. È arrivato a negarlo
nella sua essenza, a ignorarlo nella sua specifica dignità umana, a vezzeggiarlo per il suo modo irripetibile di “dare piacere” nel buio delle alcove o
tra le luci scintillanti delle corti o dei salotti e, comunque, ha sempre cercato di esorcizzarlo come “altro” per un sostanziale rifiuto a conoscerlo.
«Il XX secolo ha registrato una mutazione epocale: per la prima volta,
dopo millenni, il pregiudizio antifemminista è stato individuato, contestato e, oggi, in termini più o meno coerenti […] superato nelle concezioni
culturali generali sia formali sia informali»2 .
L. Irigaray, Speculum. L’altra donna, trad. it., Milano, Feltrinelli, 1989, p. 140.
S. Ulivieri, Genere e formazione scolastica nell’Italia del Novecento, in D. Demetrio et al., Con voce diversa. Pedagogia e differenza sessuale e di genere, Milano, Guerini, 2001, p. 33.
1
2
21
Questa riflessione iniziale intorno alle radici del pregiudizio dell’uomo
verso la donna, più orientata agli aspetti teorico-sociali e filosofici, intende
occuparsi della questione femminile e nasce dall’esigenza di assegnare una
certa rilevanza a un problema che attualmente emerge e si impone all’attenzione delle scienze sociali e della filosofia che per lungo tempo hanno
ostentato una mancata analisi dell’autentica essenza femminile, sebbene
con approcci ed esiti differenti. Infatti, alla domanda: che cos’è la donna?,
l’unica possibile risposta che la razionalità dell’uomo occidentale ha saputo
fornire è stata: vivente razionale sessuato al femminile3. Definizione nella quale il senso di individuazione è interamente consegnato all’aggiunta
“sessuato al femminile”. Pertanto, nell’ambito della filosofia, non si giunge
a un risultato soddisfacente dal punto di vista ontologico, soprattutto in
considerazione di altre risposte alla medesima domanda che hanno manifestato il loro massimo sforzo definendo la donna per attributi negativi4.
La storiografia è la disciplina che racconta le emergenze, ciò che all’occhio dello storiografo-osservatore si distingue e assume un senso di distinzione. Comunemente il genere femminile è escluso dai racconti, se
non quando rappresenti una eccedenza rispetto all’universo degli uomini
degni di essere raccontati. Tuttavia, in Occidente, nella storiografia umanistica tradizionale manca una storia delle donne “dotte” che non avesse intenti di edificazione morale in ossequio a un criterio sempre tenuto
presente che è quello di distinguere ciò che è riconducibile alle dispute
politico-ideologiche del presente di chi scrive. Una storia, quindi, a carattere strumentale che distingue ciò che è vivo da ciò che è morto, metodo
R. Braidotti, Commento alla relazione di Adriana Cavarero, in Aa.Vv., La ricerca
delle donne, Torino, Rosenberg&Sellier, 1987, p. 191; A. Cavarero, Per una teoria
della differenza sessuale, in Aa.Vv., Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, Milano, La tartaruga, 1987, p. 51.
4
In tutta la storia del pensiero occidentale i filosofi che si sono confrontati con il “femminile” hanno manifestato la loro capacità definitoria soprattutto nel tentativo di
negare la donna, stabilendo gerarchie nelle quali i termini di confronto erano Dio e
l’uomo e cercando in qualche modo di accomodare il discorso. «Le forme dell’accomodamento possono variare, tutte però implicano il paradosso di voler piegare alla
stessa rappresentazione – quella del medesimo – ciò che si pone come eterogeneo, come
altro – cercando sostanzialmente di negarlo nella sua specifica identità»: L. Irigaray,
Speculum, cit., p. 133. Inoltre, sul percorso del pensiero occidentale in rapporto alla
concezione della donna e per un itinerario storico delle donne che si sono in qualche
modo interessate di filosofia, cfr. Aa.Vv., Donne in filosofia, Manduria, Lacaita, 1990.
3
22
congeniale al Croce, ma che significa misurare il passato con i parametri
del presente e assumere come riferimento non la verità ma il punto di
vista di un sistema di osservazione: il presente.
Nel caso delle storie di donne intellettuali, anche nella produzione più
recente in ambito filosofico, si riscontra un filo conduttore di lettura e di
interpretazione delle fonti sorretto dal sospetto e dalla diffidenza verso
l’attività intellettuale femminile5. Soprattutto quando si conviene che
l’attività intellettuale e la produzione filosofica di alcune donne del passato, anche in presenza di una loro personale cultura e conoscenza pari a
quella degli uomini, risulti inessenziale ai fini di un apporto significativo
alla ricerca sistematica6.
La donna colta del passato è una figura scomoda e inquietante; imbarazzante per chi vuole vedere la sua estraneità al linguaggio e alla cultura, al suo stesso genere quasi, al resto delle donne. La sua stessa visibilità
storica diventa indizio di una metamorfosi surrettizia del femminile nel
maschile, dal momento che il femminile è definito a priori come privo
di voce e invisibile7. Così la donna colta, percepita come esorbitante, che
esce in qualche modo dal suo sesso, è un mostro, una contaminazione
inquietante di femminile e di maschile.
All’interno del pensiero occidentale l’essere femminile è sempre stato
visto come “Altro” e la sua differenza, il suo essere donna, è stato considerato una deviazione dal modello neutro (sessuato al maschile) o, addirittura, come realtà scarsamente comprensibile (come tale definita ininfluente e, quindi, da riassorbire nella logica dell’Uno-Identico)8.
Cfr. G. A. Roggerone, Introduzione, in Aa.Vv., Donne in filosofia, cit., pp. 7-10.
Singolare e paradigmatico, nello stesso tempo, è quanto riporta G. A. Roggerone,
Idealità e assenza della donna nella filosofia medievale, in Aa.Vv., Donne in filosofia,
cit., p. 30, quando, rivolgendosi a Eloisa, Pietro il Venerabile scrive «…tu invece, manifestando quel tuo amore allo studio, non solo hai vinto tutte le donne, ma hai anche superato quasi tutti gli uomini». È fin troppo facile rilevare come l’ammirazione
dell’abate cluniacense è rivolta alla straordinaria cultura di Eloisa, non certo a un suo
apporto originale e nuovo all’interno di quella filosofia sistematica, pensata secondo
reti concettuali e categorie consolidate, ma sessuate al maschile.
7
Cfr. G. Pomata, Commento alla relazione di Paola Cori, in Aa.Vv., La ricerca delle
donne, cit., pp. 112-120.
8
Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., pp. 9-221. Lungo tutta la prima parte del volume
l’autrice si adopera per dimostrare come la totalità della cultura occidentale, a partire
dalla filosofia e investendo tutte le scienze che, da una indifferenziata origine comune,
5
6
23
Un vissuto non libero, quello femminile, caratterizzato pertanto da
una situazione di “necessità” e in particolare dall’assenza di una propria
elaborazione conoscitiva.
Agli inizi dell’800, però, le donne avvertono l’esigenza di esprimersi
e significarsi, di far “sentire” in modo originale la propria voce. Inizierà
allora un movimento di idee e di lotta, in vari modi configurato, ma con
il preciso intento di liberare la donna dal giogo di un pensiero e da una
subalternità sociale ed economica che l’avevano dominata per secoli.
Gli strumenti concettuali di cui le donne si sono servite, e di cui ancora
oggi, per certi versi, si servono, si inscrivevano in una logica totalizzante
al maschile, per cui grande è stato il loro sforzo di cominciare a pensare e
pensarsi con categorie diverse, proprie. Oggi si aprono nuove prospettive
teoriche rese possibili dal “pensiero della differenza sessuale” che considera la differenza come una categoria che fonda l’umano conoscere ed
esperire.
«La differenza sessuale rappresenta uno dei problemi o il problema che
la nostra epoca ha da pensare», è stato scritto nel 1984 da Luce Irigaray9.
La mancata elaborazione della differenza sessuale si imputa, in effetti, al dominio storico a tutti i livelli esercitato dagli uomini sulle donne.
Tuttavia, l’ottusità verso la potenza simbolica della differenza sessuale si
riscontra soprattutto nel sapere filosofico-scientifico e non ha eguali in
altri ambiti culturali come la mitologia, le religioni e le arti. Questo fatto
indica che il dominio sessista di per sé non ha impedito ogni espressione
simbolica della differenza sessuale poiché l’elaborazione manca soprattutto dove il pensiero umano si applica alla dimostrazione del vero.
La filosofia occidentale non è certo un sapere neutro-universale; certo è
il pensiero elaborato da un soggetto sessuato al maschile. In tale pensiero
poi man mano hanno assunto carattere di autonomia scientifica (pedagogia, psicologia, antropologia), abbia utilizzato la reductio a unum (maschile-razionale) come principio del conoscere e del riconoscersi. Cioè come ci sia stato un continuo e costante
uniformarsi all’ideologia dominante maschile. Per giungere a cercare di costruire un
modo altro di essere “altro” per la donna, l’autrice alterna una evidente e acuta pars
destruens a una altrettanto acuta quanto difficoltosa pars construens. La difficoltà, a
nostro avviso, deriva soprattutto dalla scrittura criptica che utilizza nel tentativo di
chiarire, con evidente concettualità consolidata sessuata al maschile, cosa si debba intendere per pensiero della differenza sessuale (femminile), che tuttavia non ha ancora
strutture e ambiti autonomi di intervento.
9
Cfr. L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, Milano, Feltrinelli, 1985.
24
il soggetto maschile si autorappresenta e interpreta il mondo a partire da
sé. Muovendo da questo presupposto, che connota tutta l’attività speculativa dell’Occidente e che vede esclusa la differenza sessuale come reale
principio fondativo, Adriana Cavarero, riprendendo un lavoro di Rosi
Braidotti, è portata a dire che «la filosofia rivela i meccanismi mentali,
teorici e materiali utilizzati dalla cultura occidentale per perpetuare l’identificazione della coscienza umana con la razionalità ed entrambe con
il maschile. La filosofia è, dunque, la quintessenza del maschile insito nel
discorso»10.
In tal senso la filosofia si propone come campo privilegiato per indagare i meccanismi teorici della maschilizzazione della cultura e del pensiero.
Per quanto il soggetto maschile non sia l’intero dell’umano, ma sia soltanto uno dei due sessi, esso non riconosce la sua parzialità e finitezza e
pretende di porsi nel pensiero come soggetto universale. In tal modo ciò
che viene presentato come identico non è che il maschile e l’universale
mentre ciò che viene occultato è la differenza sessuale, ossia l’originale
sessuarsi della creatura umana in maschio e femmina, differenza che,
come tale, rimane impensata e produce, quindi, l’impossibilità per il sesso femminile escluso di porsi come soggetto. Il pensiero della differenza
sessuale postula, quindi, per la donna la necessità che essa si faccia soggetto reale di un proprio pensiero, nel quale essa possa autorappresentarsi e
perciò riconoscersi. Pensiero sessuato, dunque, che denuncia la sua sessuazione e che non pretende né di assimilare l’altro sesso, né di valere anche
per lui, secondo un principio di una originaria differenza sessuale non riducibile alla logica di un unico soggetto neutro e universale11. Il pensiero
della differenza sessuale denuncia e rifiuta la logica di assimilazione e di
omologazione insita nell’universalizzarsi del soggetto maschile e postula
Cfr. A. Cavarero, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, in Aa.Vv., La ricerca
delle donne, cit., p. 173. In questo saggio l’autrice cita di R. Braidotti, Modelli della dissonanza, in P. Magli (a cura di), Le donne e i segni, Urbino, Il lavoro editoriale, 1985, p. 45.
11
Cfr. A. Cavarero, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, cit., pp. 173176. Per lo stesso tema cfr. anche: L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, cit.;
Aa.Vv., Diotima, cit.; A. R. Mazzotta, L’antica ferita, in Aa.Vv., Donne in filosofia,
cit., pp. 145-170. In questo ultimo saggio si pone particolarmente in evidenza l’aspetto
psicologico del processo di individuazione che per altri versi caratterizza il pensiero
della differenza sessuale.
10
25
la necessità improcrastinabile per le donne di produrre come soggetti attivi propri ambiti di autocomprensione.
Questa breve anticipazione del “problema donna” intende tracciare due
degli aspetti portanti del problema. Uno riguarda la presunta inferiorità
delle donne in filosofia, tradizionalmente attestata all’interno della speculazione e della storia del pensiero occidentale. L’altro, invece, si interessa dell’identità femminile e del lungo percorso culturale attraverso il
quale essa è stata sempre negata, negando la donna stessa nel suo essere
sessualmente differenziata.
1.2. La donna nella società occidentale
A questo scopo sarà utile scorrere essenzialmente i modi attraverso i quali
il problema donna si è posto nel pensiero occidentale. Sarebbe interessante, per descrivere le forme e i modi attraverso i quali l’universo femminile
ha affrontato le strutture sociali dell’esclusione, soffermarsi sulle figure di
donne che hanno lasciato il loro segno nella storia della filosofia, dell’arte, della scienza, della società. Poiché questo richiederebbe un non banale
impegno data la delicatezza, l’importanza e l’estensione dell’argomento
e in considerazione degli obiettivi di ricerca di questo lavoro, ci occuperemo del tema “donna” osservato dal punto di vista dei sistemi della filosofia e delle scienze sociali.
Dalla prospettiva della riflessione filosofica vorremmo proporre alcune osservazioni e alcune ipotesi, avvalendoci di una impostazione metodologica a noi congeniale, poiché è proprio in base ad essa che abbiamo
cercato di indirizzare parte della nostra ricerca. Ci vogliamo riferire alla
proposta di abbandonare “un filosofare che pretenda di procedere per tesi
e assiomi” per “riscoprire il senso e il gusto di un procedere per ipotesi
e proposte”12 nel tentativo non di ricostruire la natura di una ragione,
quanto piuttosto di costruire le ragioni di una possibile differenza di pensiero sessuato al femminile attraverso l’osservazione di secondo ordine
Cfr. A. Prontera, Filosofia in George Sand, in Aa.Vv., Donne in filosofia, cit., p. 64.
Importanti, ai fini di questa proposta di metodo, sono le note in calce alla pagina e i
relativi riferimenti bibliografici.
12
26
dei modi attraverso i quali il pensiero al femminile ha osservato il mondo
e attraverso i quali ha osservato se stesso.
Il pregiudizio verso le donne che le escludeva, per ragioni di carattere
ontologico, culturale e sociale, da occupazioni che non fossero quelle riproduttive e produttive all’interno dell’economia strettamente familiare,
non ha impedito che, fin dall’antichità, emergessero figure femminili dotate di eccellenti capacità speculative.
Esaminando i giudizi antichi e recenti che si sono prodotti intorno alle
donne-filosofo13 possiamo notare che gli apprezzamenti degli uominifilosofo, al di là di specifiche particolarità, sono tutti solidali nell’indicare l’inessenzialità, se non l’assoluta mancanza, del filosofare delle donne
quale apporto originale alla riflessione.
Tralasciando di contestare la veridicità o meno di questi giudizi e considerando le analisi più note sulle cause storiche, sociali e culturali legate
a questo argomento, vorremmo proporre una ipotesi attraverso cui guardare e descrivere ciò che è stato prodotto dalle donne in ambito filosofico,
Per un approccio al problema del linguaggio e sull’ambiguità linguistica che contraddistingue la presenza femminile in filosofia, cfr. M. Forcina, Premessa, in
«Nota n. 14», marzo 1991, Bollettino del Centro “Charles Péguy”, Dipartimento
di Filosofia, Università degli Studi di Lecce, pp. 1-8. Del problema più generale di
un uso sessista della lingua italiana si è interessata, tra gli altri, anche la Presidenza
del Consiglio dei Ministri, che ha pubblicato, tramite la Commissione Nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna, Il sessismo nella
lingua italiana (a cura di Alma Sabatini), Roma, Ist. Poligrafico e Zecca dello
Stato, 1987. Secondo la Sabatini «l’uso di un termine anziché di un altro comporta
una modificazione nel pensiero e nell’atteggiamento di chi lo pronuncia e quindi
di chi lo ascolta. La parola è una materializzazione, un’azione vera e propria». Cfr.
anche R. Rossi, Le parole delle donne, Roma, Editori Riuniti, 1978; A. Sabatini,
rubrica «Chenepensi», in Quotidiano Donna, Roma, 1981. Di rilevante importanza per avvicinarsi a questo problema dal punto di vista del pensiero della differenza
sessuale, cfr. L. Irigaray, Parler n’est jamais neutre, Paris, Les Editions de Minuit,
1985. Nel marzo del 2009 l’Europarlamento ha predisposto un vademecum per
evitare l’uso sessista delle lingue, non solo nel linguaggio parlato, ma anche nella
predisposizione di documenti ufficiali dell’EU. Appellativi come “Miss” e “Mrs”,
Madame e Mademoiselle, Frau e Fraulein, Senora e Senorita, Signora e Signorina,
considerati “politicamente scorretti” perché sono riferiti allo stato civile, e ormai
anche all’età, usati solo per le donne, verrebbero sconsigliati, costringendo gli europarlamentari a rivolgersi alle proprie colleghe appellandole solo con il loro nome
completo.
13
27
ma anche ciò che non è stato prodotto per il semplice fatto che non è mai
stato documentato.
È accertato, per esempio, che le donne che si sono occupate di filosofia
sono state in qualche modo succubi di padri, mariti, amanti. È altrettanto documentato14 come fosse trasgressivo “filosofare al femminile” nella
Grecia classica e permissiva e come l’ambito culturale e sociale in cui si
produceva filosofia fosse elitario e maschilista e come fosse impossibile,
non solo per le donne, pensare al di fuori di un Logos ormai accreditato
e tiranno, capace di ricondurre a se stesso ciò che si poneva come “altro”.
Un’epoca in cui si esaltava il Mythos, senza accorgersi che lo stesso mito
era reso funzionale al Logos totalizzante15.
Questa eredità, che si manifesta come un marchio infamante e indelebile, ha caratterizzato la cultura occidentale fino a oggi, relegando in
ambiti marginali e negletti, ripudiati ed esorcizzati perché temuti, tutto
ciò che era fantasia, immaginazione, pulsione di animi sensibili ad altro,
comunque non riconducibile ai canoni imperanti della razionalità al maschile.
Dallo studio della letteratura occidentale emerge come tutta la documentazione più antica sulle attività speculative delle donne si riduca al
racconto di seconda mano di aneddoti, curiosità o a poche espressioni
meravigliate di come alcune donne potessero addirittura eguagliare, se
non superare, alcuni uomini per cultura. E anche per le opere più recenti
di “donne-pensanti” i giudizi non vanno oltre un raffronto serrato con
l’omologo maschile.
Da tutta questa serie di considerazioni, ma anche da un nucleo di sensazioni inespresse e inesprimibili, siamo stati portati a pensare come ci sia
stato nei secoli un ostracismo verso ciò di cui non si riusciva a comprendere gli ambiti e le ragioni, ritenendolo di conseguenza inessenziale e non
degno di essere tramandato o riportato per iscritto se non qualificandolo
Cfr. G. A. Roggerone, La figura trasgressiva della donna-filosofo nel mondo antico,
in Aa.Vv., Donne in filosofia, cit., pp. 11-24.
15
Per un approccio ricco di riferimenti bibliografici sul percorso storico-ideologico seguito dal Mito, cfr. F. Jesi, Mito, Milano, Mondadori, 1989; Id., I recessi infiniti del
«Mutterrecht», in J. J. Bachofen, Il Matriarcato. Ricerca sulla ginecocrazia del mondo antico nei suoi aspetti religiosi e giuridici, Torino, Einaudi, 1988, pp. XIII-XXXV,
in cui è possibile trovare un lucida trattazione sul rapporto tra il mito e il simbolo e tra
questi e la presenza della donna nella concettualità antica.
14
28
come bizzarria, capace tutt’al più di stupire. Questo potrebbe significare
che nei secoli ci sia stato un boicottaggio, consapevole o meno, da parte di
una ragione che non ammetteva ragioni diverse dalla propria.
Questo processo perverso, in altre forme e con diverse strategie giustificative, si è riproposto e affermato fino a oggi. Tanto è vero, per esempio,
che quando Hegel sostiene che la filosofia è come la nottola di Minerva
che inizia il suo volo sul far del crepuscolo, e giunge sempre a cose fatte,
quindi troppo tardi per dire come il mondo deve essere16, esprime solo
l’autocontemplazione della filosofia stessa. Difatti, per Hegel, come per
Aristotele, Spinoza, ecc., l’oggetto del pensiero è il necessario; il suo compito è precisamente di mostrare la necessità di ciò che esiste, cioè la razionalità del reale17. Da questo punto di vista la filosofia è la giustificazione
razionale della realtà intesa non solo come natura, ma anche nel senso
di istituzioni storico-sociali, cioè del mondo umano18. Di riflesso essa
sanciva la subordinazione di fatto del “mondo” femminile al razionale
maschile.
Proprio nel “modo femminile di guardare il mondo della società” e di
raccontarlo, secondo noi, si manifesta quella differenza che fa della donna
un essere unico, irripetibile, diverso rispetto all’uomo e alla sua cultura. Diverso nel modo di guardare il mondo e di pensarlo, raccontandolo.
Cfr. G. F. Hegel, Prefazione, in Id., Lineamenti di filosofia del diritto, Bari, Laterza,
1954.
17
Il primo gruppo di ricerche istituite da Aristotele nella Metafisica verte appunto
sulla possibilità e sul principio di una scienza dell’essere. Aristotele si preoccupa in
primo luogo di definire il posto di questa scienza nel sistema del sapere e i suoi rapporti
con le altre scienze. Innanzi tutto, ogni scienza può avere per oggetto o il possibile o il
necessario: il possibile è ciò che può essere indifferentemente in un modo o nell’altro;
il necessario è ciò che non può essere in modo diverso da quello in cui è. Il dominio
del possibile comprende l’azione (praxis) che ha il suo fine in se stessa, e la produzione
(poiesis) che ha il suo fine nell’oggetto prodotto. Le scienze aventi per oggetto il possibile, in quanto sono normative o tecniche, possono anche essere considerate come arti;
ma non c’è arte che concerna ciò che è necessario (Et. Nic., VI, 3-4). Tra le scienze del
possibile, la politica e l’etica hanno per oggetto le azioni e si dicono quindi pratiche; le
arti hanno per fine la produzione di cose e si dicono poietiche. Tra queste ultime, una
porta nel nome stesso il sigillo del suo carattere produttivo ed è la poesia. Il dominio
del necessario appartiene invece alle scienze speculative o teoretiche. Queste sono tre:
la matematica, la fisica e la filosofia prima che, dopo Aristotele, si chiamerà metafisica.
18
Cfr. la voce «Filosofia», in N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, UTET,
1984.
16
29
Proprio perché la filosofia non è esclusivamente Pensiero, ma anche linguaggio inteso come ragione discorsiva che non serve solo a descrivere il
mondo, ma anche a interpretarlo e a significarlo.
Ma raccontare il mondo in maniera autentica vuol dire essere liberi,
poiché solo gli “uomini liberi” (secondo l’idea sartriana) possono cogliere
la realtà nella propria immediatezza di vita e, nel raccontarla, essere artisti, scrittori, filosofi19.
Per la donna, oggi la libertà si fonda principalmente sulla presa di coscienza del proprio corpo inteso non come mero dato anatomico; si fonda sul riconoscimento di una differenza e di una appartenenza di genere
originaria che si esprime soprattutto nel suo rapporto con la società del
mondo e nella maniera di significarla nel racconto. Ecco che la riflessione
della donna si pone allora come altra rispetto a quella maschile (razionale,
totalizzante), rivestendosi di forme desuete per la costruzione sistematica,
recuperando le pulsioni, le emozioni, l’intima riflessione che parte dall’avere la consapevolezza che le costruzioni universali non possono avere
troppo credito.
Se oggi la riflessione delle donne su se stesse ha raggiunto gradi di chiarezza e di autocomprensione notevoli, enucleando e tentando di superare
i fattori di sudditanza anche culturale verso il maschile, non altrettanto
chiaramente nel passato la donna è riuscita in questo intento. Tuttavia,
anche se in maniera inconscia o poco chiara, ha avvertito i sintomi di
un disagio e di una autonegazione che ha cercato di esplicitare con una
riflessione manifestata come racconto, come diario, come epistolario. A
nostro avviso, quindi la mancanza di documentazione sicura e di prima
mano sulla produzione originale del pensiero delle donne oltre che da
attribuirsi al fatto che gli storiografi fossero degli uomini, con criteri di
giudizio maschili che li portava a trascrivere ciò che era rilevante nella
loro ottica, è dovuta anche al fatto che le donne hanno preferito esprimere le loro idee servendosi di racconti e non attraverso la costruzione di
sistemi filosofici. Del resto anche filosofi quali Rousseau, Kierkegaard,
Agostino, Pascal, Goethe, ecc., hanno esposto le loro idee sotto forma di
confessioni, diari, epistolari, raggiungendo livelli altissimi di produzione
Cfr. M. Forcina, Simone de Beauvoir. L’altra metà della filosofia come l’altra metà
del cielo, in Ead., Dalla ragione non totalitaria al pensiero della differenza, Cavallino di
Lecce, Capone, 1990, pp. 181-197.
19
30
originale del pensiero. Tuttavia, la loro “credibilità”, qualunque fosse la
forma sotto cui veniva espresso il proprio pensiero, è di gran lunga più
accreditata rispetto alla “credibilità” di tante donne, tra cui Simone Weil
per esempio, che nella stessa maniera hanno dato un contributo notevole
alla riflessione sociale e filosofica più recente.
1.3. La donna dei filosofi
Riprendiamo a occuparci della presenza del “problema donna” all’interno del pensiero filosofico occidentale cercando di cogliere gli aspetti, a
nostro avviso, più significativi che l’intero discorso filosofico fornisce
per delineare l’immagine femminile sostanzialmente immutata nel corso della storia del pensiero. Considerare che la storia della filosofia occidentale sia complessa e non si sviluppi secondo una logica univocamente
decifrabile fa sì che l’identificazione del razionale con il maschile non sia
così immediata e semplice. Si tratta infatti di una lunga storia più che bimillenaria, nel corso della quale il soggetto maschile si è pensato in vario
modo, avendo la possibilità di criticarsi e di ripensarsi. Nel corso di tali
ripensamenti ha avuto modo di autorappresentarsi con paradigmi diversi e anche contrari a quello della razionalità corrente20, sempre però con
una costante: era lui, il soggetto maschile, a pensarsi e ripensarsi, a farsi
e disfarsi, a provocare, a riconoscere e teorizzare le sue crisi e, in questa
attività, il senso di sé è stato ritrovato o perduto21.
Durante questo vagare del pensiero autoreferenziale maschile il suo
protagonista a volte ha anche parlato di donne, addirittura del principio
femminile, ma sempre a partire da sé, dalla sua definizione dell’altra come
altra da sé. Così l’antica dicotomia pitagorica che elencava i contrari nella
lista positiva (uomo, pari, luce, ecc.) si è sostanzialmente conservata, pur
in diverse e più raffinate utilizzazioni. In questa ottica si può osservare in
che modo una delle più recenti filosofie della crisi, quella variegata corrente di pensiero che in Francia è giunta a “penser le feminin” e a concettuaCfr. T. S. Kuhn, The Structure of Scientffic Revolutions (1962), trad. it. di A. Carugo, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 1978.
21
Cfr. A. Cavarero, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, cit., p. 174.
20
31
lizzare, con Derrida, il “divenire donne” della filosofia, si presenti come
una strategia di interno autorinnovamento della filosofia maschile22 .
Nella storia della filosofia e della società si ritrova quindi una costante:
l’esclusione della differenza sessuale come reale principio fondativo; l’omosessualità maschile della filosofia occidentale non contempla la donna come soggetto attivo di autorappresentazione e autocomprensione.
Di conseguenza, tutte le varie posizioni filosofiche che si sono succedute
da Talete agli attuali filosofi del pensiero debole sono in egual modo sostanzialmente estranee al soggetto femminile. In effetti da Platone e da
Aristotele fino ai Padri della Chiesa, in particolare Agostino e Tommaso,
e poi fino a Kant e ad Hegel, i contenuti ideologici relativi alla concettualizzazione della differenza sessuale non sono diversi. I due filosofi tedeschi rappresentano, infatti, l’ultimo baluardo di un pensiero filosofico
concentrato sulla volontà di potenza del soggetto, in perfetta continuità
con tutto il pensiero classico23.
Certo, le analisi di Kant e di Hegel forniscono le categorie concettuali dominanti relative al significato ontologico attribuito o riconosciuto
alla donna. Comunque sia, la matrice filosofica attraverso cui l’emarginazione storica e l’ideologia di sesso si trasmette all’interno della civiltà
occidentale è, in particolare, la metafisica platonica e aristotelica. Da qui
partiremo per delineare un percorso di riflessione.
1.3.1. Platone: la codifica di un dominio
Non è possibile affermare che il pensiero di Platone sulla donna sia univoco. Infatti esso si muove lungo una direttrice che considera l’essere
femminile come l’ultimo gradino dell’umano e il primo passo verso l’animale quando sostiene, a proposito dei meccanismi etici che regolano la
metempsicosi, che la prima degradazione dell’uomo è la donna, forma in
cui si incarna l’anima abbruttita nella seconda generazione24. La frase laCfr. R. Braidotti, Donne e filosofia in Francia, in «Memoria» 15, 3, 1985.
Cfr. A. Cavarero, Così ridiamo al pensiero un corpo, anzi due, in «l’Unità», 27
gennaio 1989.
24
Platone, Timeo, 76, d, a cura di G. Reale, Milano, Bompiani, 2000: «Perché
quelli che ci composero sapevano che dagli uomini sarebbero nate le donne e gli altri
animali»; Id., Timeo, 90, e: «…tutti quelli che nati uomini, sono stati codardi e sono
22
23
32
pidaria del Timeo, attraverso la quale Platone esprime la sua visione negativa della donna, sancisce una inferiorità ontologica e codifica all’interno
di una razionalità rigorosa un’idea che circolava indefinita, ma chiara,
all’interno della società aristocratica della Grecia classica25.
Esiste però, nell’opera di Platone, un’altra immagine della donna, variamente utilizzata e considerata all’interno della critica filosofica. Ci
riferiamo al ruolo che Platone assegna alla donna nella sua Repubblica
e all’interpretazione che di esso fornisce, per esempio, il pensiero della
differenziazione sessuale e l’analisi prodotta all’interno di una direttrice di ricerca connotata come “ricerca sull’utopia”. Per il pensiero della
differenziazione, infatti, l’evidente tentativo di Platone in Repubblica è
quello di rimuovere la specificità femminile, uniformandola al modello
maschile. L’emarginazione nell’oikos (casa/famiglia), esito obbligato della
condizione femminile nella Grecia classica, non appare al filosofo una
strategia opportuna nei confronti della diversità della donna. Questa non
può andare perduta nella città di Repubblica la quale, per sopravvivere, richiede la piena adesione del corpo sociale. Rinchiusa nella casa, in quella
dimensione privata di cui è figura emblematica, essa sfugge alle direttive
del legislatore. La socialità della donna non va neutralizzata solo segregandola, ma a questa tecnica se ne deve affiancare un’altra più sottile: una
sua parziale integrazione nelle strutture pubbliche, sotto un diretto controllo collettivo, costretta a uniformare il suo comportamento al modello
maschile. Includere per escludere. A partire da queste premesse, Platone
le assegna, così, un ruolo in tutto pari a quello dell’uomo, affermando l’irrilevanza della differenza biologica rispetto alla capacità di svolgere una
funzione nelle strutture comunitarie. Il filosofo poi attribuisce l’esiguità
degli ambiti di pertinenza del femminile non a una natura imperfetta,
bensì a una “educazione” che addestra la donna al compito di moglie e di
madre. La donna si rivela così un prodotto della società. Sottoposta allo
stesso “iter” educativo del guardiano, essa manifesterà la stessa ricchezza
di attitudini e di qualità: «Non c’è, a mio avviso, altro modo di possedere e godere rettamente figli e donne se non procedendo nel senso da
vissuti nell’ingiustizia, secondo ragione probabile si mutarono in donne nella seconda
generazione. E però a quel tempo gli dei crearono l’amore per il coito».
25
Cfr. A. Giallongo, L’immagine della donna nella cultura greca, Rimini, Maggioli,
1981.
33
noi indicato fin dal principio: nel nostro discorso abbiamo cominciato
a farne come tanti guardiani di un gregge. Si, ebbene, siamo coerenti e
attribuiamo alle donne analoga nascita e analogo allevamento, ed esaminiamo se la cosa ci conviene o no […] Così. Non crediamo che le femmine
dei cani da guardia debbano cooperare a custodire ciò che custodiscono
i maschi, cacciare insieme a loro e fare ogni altra cosa in comune? O crediamo che le femmine debbano stare dentro casa perché impedite dalla
filiazione o dall’allevamento dei cuccioli, e i maschi faticare per tutte le
cure degli armenti?
Ogni attività deve essere comune, rispose; con l’eccezione che li impieghiamo tenendo presente che le une sono più deboli, gli altri più vigorosi.
È dunque possibile, ripresi, impiegare un dato animale per identici scopi,
se non lo sottoponi all’identico allevamento e all’identica educazione?
Non è possibile»26.
In quello che sembra un programma emancipatore in realtà si coglie
un’operazione ideologica di fondo: l’attuazione di una pseudo liberazione
che appunto rivela una rimozione del femminile, delle sue consuetudini,
dell’essere donna. La guardiana è una figura che viene esaminata in quanto compagna del guardiano e sua collaboratrice, alla quale si richiede il
massimo di efficienza.
Riproduce la sua fisionomia sul corrispondente maschile con l’approssimazione che può derivare dal minor vigore fisico27.
La donna, dunque, è assimilabile all’uomo nel governo della polis in
quanto ha un’anima maschile, la sola in cui possa trionfare la legge della
ragione; in questo modo, più che emancipata, viene negata insieme alla
sfera del privato al quale è intimamente connessa.
Di diverso avviso risulta l’analisi prodotta da quel filone filosofico che si
richiama all’utopia, pur con le sue differenziazioni e posizioni interne28.
Platone, Repubblica (a cura di F. Sartori), v, 451 e, Bari, Laterza, 1970, p. 176.
Cfr. A. Giallongo, L’immagine della donna nella cultura greca, cit., pp. l48-150;
U. E. Paoli, La donna greca nell’antichità, Firenze, Le Monnier, 1955; E. Cantarella, L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell’antichità greca e
romana, Roma, Editori Riuniti, 1981.
28
Questo filone di ricerca, presente e molto attivo all’interno dell’Università del Salento, tratta la questione inerente la donna all’interno della filosofia platonica guardandola soprattutto in relazione alla costruzione di una “società giusta e fraterna”; estranea
quindi alle problematiche più recenti prodotte dal pensiero della differenza sessuale.
26
27
34
Secondo questa prospettiva il merito maggiore di Platone nel teorizzare
la sua città ideale consiste nella proposta dell’uguaglianza dei sessi, contestualmente all’abolizione della proprietà privata e della famiglia tradizionalmente intesa, teorizzando la comunanza di donne e figli29. Da questa
proposta discende una sostanziale uguaglianza etico-giuridica tra uomini
e donne poiché l’istanza platonica lascia intendere che le donne “reggitori” o “custodi” possono e devono assolvere, nell’amministrazione dello
Stato, le medesime funzioni assegnate ai loro “colleghi” maschi30. Contro
questa proposta di Platone sorsero atteggiamenti di scherno e di satira
feroce. Tra queste ricordiamo Lisistrata, Tesmoforiazuse e Ecclesiazuse di
Aristofane il quale, oltre a sbeffeggiare Platone, a suo modo affronta direttamente il problema dell’emancipazione della donna31.
Per quanto, pur ammettendo che Platone riconosca con certezza che la
donna è per natura “più debole dell’uomo” solo fisicamente, tuttavia la diversità fisica tra uomo e donna non si tramuta in diseguaglianza sociale e
politica. Questo è possibile che accada nella città di Repubblica grazie alla
medesima educazione che gli appartenenti allo stesso ghenos ricevono. A
questo proposito Platone considera il sesso femminile come una ricca riserva di energie intellettuali, politiche e morali che i suoi contemporanei,
imbevuti di maschilismo, si ostinavano a ignorare32 .
Si riconosce a Platone una dose molto alta di coraggio per il fatto che le
teorie egualitarie e di apertura verso le donne espresse in Repubblica contrastavano in modo netto con le più radicate tradizioni, con il contesto
politico-culturale, con la coscienza storica della sua età, ma anche con la
Tuttavia, a nostro avviso, toccare la questione femminile considerando, seppur brevemente, anche questa prospettiva utopica può risultare alquanto utile per una comprensione più ampia e complessa del problema. Per la definizione del concetto di utopia così
come di seguito verrà utilizzato, cfr. A. Colombo, Il destino del filosofo, Manduria,
Lacaita, 1971; Id., Le società del futuro. Saggio utopico sulle società postindustriali, Bari,
Dedalo, 1978. Particolarmente ricca e interessante risulta la consistente bibliografia in
questo lavoro: A. Colombo (a cura di), Utopia e distopia, Milano, FrancoAngeli, 1987.
29
Cfr. C. Quarta, L’utopia platonica. Il progetto politico di un grande filosofo, Milano,
FrancoAngeli, 1985, p. 251.
30
Cfr. ivi, p. 251.
31
Cfr. L. Firpo (a cura di), Storia delle idee politiche, economiche e sociali, I, L’antichità
classica, Torino, UTET, 1982; S. B. Pomeroy, Donne in Atene e Roma, trad. it., Torino, Einaudi, 1978, pp. 118-121.
32
Cfr. C. Quarta, L’utopia platonica, cit., p. 257.
35
propria mentalità e le più intime convinzioni dell’aristocratico filosofo.
Tanto è vero che in tutta la sua opera complessivamente si trova fondata la
inferiorità ontologica della donna che si esprime nella divisione del lavoro33, nei processi biologici tipici della donna, nel suo dipendere dal “diritto del maschio”34, ma che ripone le sue radici in una degradazione etica35.
Ulteriore prova del suo “maschilismo” è data dal linguaggio che egli
usa in Repubblica, proprio in quelle pagine in cui si occupa del problema della parità dei sessi. Qui compaiono espressioni del tipo: «possesso delle donne»; «modo di regolare il possesso e l’uso delle donne e dei
figli»36 o quando afferma: «E ai giovani valenti in guerra o in altro si
devono conferire onori e altri premi, e più larga possibilità di giacersi con
le donne»37. È piuttosto evidente come un tale linguaggio tradisca una
convinta e radicata mentalità maschilista. Questo dimostra come la proposta dell’uguaglianza tra i sessi postulata a livello teorico venga rifiutata
simultaneamente a livello pratico. Viene, tuttavia, attribuita a Platone
un’altissima valenza di originalità, malgrado le aporie e le contraddizioni
riscontrate, per avere in qualche modo dimostrato, teorizzando Repubblica, come non possa esserci “Stato giusto” o “Società felice” senza eguaglianza tra i sessi, senza riconoscere anche alla donna una dignità pari a
quella dell’uomo38.
È interessante notare come il filone utopico, anche quando si connota
negativamente come distopia39, si occupa in maniera particolare della
donna, preoccupandosi soprattutto di risollevare una condizione, quella femminile, che storicamente si è attestata come di subordinazione e
di negazione. La distopia chiaramente con intenti contrari o comunque
diversi da quelli dell’utopia. Da Platone e tutta l’età classica40, passanNell’Alcibiade primo, Platone fa dire a Socrate che vi sono conoscenze proprie della
donna in quanto donna (tipo la lavorazione della lana) e dell’uomo in quanto uomo (come
l’arte militare). Cfr. Platone, Alcibiade primo, 126e-127ab, Milano, BUR Rizzoli, 1995.
34
Cfr. Platone, Leggi, VI, 774e, Milano, BUR Rizzoli, 2005.
35
Cfr. Platone, Timeo, 91de, 92a ss.
36
Cfr. rispettivamente Platone, Repubblica, IV, 423e; V 451c.
37
Platone, Repubblica, V, 460b.
38
Cfr. C. Quarta, L’utopia platonica, cit., p. 276.
39
Cfr. A. Colombo (a cura di), Utopia e distopia, cit., pp. 19-121 e 321-362.
40
Cfr. C. Quarta, L’utopia platonica, cit. L’opera, molto puntuale e riccamente documentata nelle note con osservazioni, riferimenti bibliografici e rimandi, è preziosa per
un approccio pluridisciplinare al problema.
33
36
do attraverso le utopie che si collocano alle soglie dell’età moderna,
per giungere all’Illuminismo, e dal socialismo utopico fino a Pèguy41, è
possibile osservare come il problema venga trattato con alterne vicende
di pensiero, a volte anche involuto, ma tendente alla ricerca di una soluzione avvertita come fondamentale nei rapporti umani per un futuro
migliore. Tuttavia, pur avvicinandosi molto sono rimasti fondamentalmente fuori dalla prospettiva che fa del problema della donna un
problema della donna vista nella sua sostanziale differenza di genere,
prospettiva che connota la più recente acquisizione teorica delle donne.
1.3.2. Madre-materia: l’immagine della donna in Aristotele
Nell’affrontare il tema del genere femminile Aristotele pretende di essere più realista di Platone, partendo addirittura da un punto di vista
scientifico-biologico, per fondare ontologicamente la carenza di razionalità della donna. Aveva osservato, da buon naturalista, che nel regno
animale i maschi sono più grandi, più forti e agili rispetto alle femmine
e perciò si stupiva che per la donna potesse prospettarsi l’emancipazione
dall’uomo:
«Riguardo alla riproduzione degli altri animali, bisogna attenersi alla
spiegazione adatta a ciascun genere di essi […] si possono riconoscere a
buon diritto nella femmina e nel maschio i principi della riproduzione: il
maschio in quanto portatore del principio di mutamento e della generazione, la femmina di quella della materia»42 .
La femmina, in quanto femmina, è passiva, e il maschio, in quanto
maschio, è attivo e rappresenta ciò da cui ha principio la trasformazione43.
Cfr. rispettivamente: T. More, Utopia, trad. it. a cura di L. Firpo, Napoli, Guida,
1979; T. Campanella, La Città del Sole (1617), a cura di N. Bobbio, Einaudi, Torino, 1941; J. V. Andreae, Descrizione della Repubblica di Cristianopoli (1619), Napoli,
Guida, 1983; J. Harrington, La Repubblica di Oceana (1656), a cura di G. Schiavone, Milano, FrancoAngeli, 1985; A. Colombo (a cura di), Utopia e distopia, cit.;
C. Pèguy, La città Armoniosa, Lecce, Milella, 1982.
42
Aristotele, La riproduzione degli animali, in Opere, Bari, Laterza, 1973, 716a.
pp. 115.
43
Cfr. ivi, 729b, p. 188.
41
37
Pertanto, nella concezione aristotelica il seme maschile riveste un ruolo
specificamente attivo, cui fa riscontro la passività del mestruo. D’altronde
l’inerzia è prerogativa della materia, dimensione in cui rientra completamente l’apporto femminile. La massa dell’embrione è fornita interamente dal sangue mestruale, senza che lo sperma abbia parte alcuna in tale
corporeità44. La sua funzione è organizzativa e informatrice: immettere
il modello del nuovo individuo nell’informe residuo femminile, per trasformarlo in una potenzialità di uomo. È chiaro come tale analisi teorica
assuma una trasparente valenza ideologica, codificando anche a livello
biologico la subalternità e la passività del ruolo femminile. Alla sua incapacità di produrre un discorso e una forma razionale, compete la funzione di apportare una materia informe che l’uomo dovrà plasmare. La
specie umana è dunque, per Aristotele, eminentemente maschile45.
Il patrimonio formale che va tramandato nel tempo ha i connotati del
padre: la riproduzione ottimale è una riproduzione ideologica e speculare
in cui il padre produce copie identiche di se stesso, senza alcun contatto
con la corporeità del femminile46.
«D’altronde il bambino ha una forma femminile, e la donna è simile a
un maschio sterile»47. Essa è una copia deformata del modello maschile
ed è contrassegnata da un’intrinseca negatività. Rispetto all’uomo-logos,
la donna-materia appare sempre inadeguata e in “potenza”; essa infatti
«desidera il maschio» come «il brutto desidera il bello», «eccetto che
essa non è brutta per natura ma per accidente»48. Un accidente tuttavia
ben necessario per la conservazione della specie, che riafferma la centralità della donna e della materia per la riproduzione del cittadino e della
A questo proposito in S. B. Pomeroy, Donne in Atene e Roma, cit., p. 68, si osserva
che nell’antichità «l’ovulo dei mammiferi era sconosciuto; quindi il contributo della
donna al bambino non era pienamente compreso. Ciò spiega perché una società agricola usasse una metafora come seminare per indicare l’atto sessuale: il seme maschile
(visibile) era considerato la semente, sparsa in quello che pareva loro un campo – ma
unicamente un campo».
45
Ma non solo per Aristotele. Tanto è vero che ad Atene, in tempo di pace, volendo
conservare una popolazione stabile, si raggiungeva tale obiettivo mediante l’esposizione o l’infanticidio delle femmine neonate. Cfr. S. B. Pomeroy, Donne in Atene e
Roma, cit., pp. 70-73.
46
Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit.
47
Aristotele, La riproduzione degli animali, cit., 728a, p. 185.
48
Ivi, 767b, p. 280.
44
38
città. Nel modello politico opera così lo stesso schema biologico di subordinazione del femminile; la inadeguata partecipazione della donna alla
razionalità legittima la collocazione subalterna che Aristotele le assegna
nell’ambito della famiglia.
Inoltre, nell’autorità esercitata dall’uomo sulla donna, dal padrone
sullo schiavo, dal padre sui figli, Aristotele individua l’origine e le differenze delle relazioni sociali, sottoposte a un ordine gerarchico che va
riconosciuto e rispettato. In questi rapporti di subordinazione «tre sono
dunque le specie di relazioni familiari, l’autorità signorile, la paterna, la
coniugale»49. Dall’analisi aristotelica emerge l’esistenza di un unico individuo razionale e, in definitiva, umano: «nelle relazioni del maschio
verso la femmina, l’uno è per natura superiore, l’altra inferiore, l’uno comanda l’altra è comandata – ed è necessario che fra tutti gli uomini sia
proprio in questo modo»50.
Al di sotto del cittadino che gestisce l’oikos, così come amministra la
polis, si dispiega ordinatamente una pluralità di figure cui la carenza di
razionalità nega ogni funzione attiva nella famiglia e nella città. Esse vengono poste, pertanto, ai margini della stessa sfera dell’umano e della società: «…e questo suggerisce senz’altro la condizione dell’anima: in essa
infatti, c’è una parte che comanda per natura, un’altra che è comandata;
noi diciamo che entrambe possiedono una loro virtù, e cioè la virtù della
parte dotata di ragione e della parte irrazionale […] tutti possiedono le
parti della anima, ma le possiedono in maniera diversa: perché lo schiavo
non possiede in tutta la sua pienezza la parte deliberativa, la donna la possiede ma senza autorità, il ragazzo in fine la possiede, ma non sviluppata
[…] sicché è chiaro che […] non sono identiche la saggezza dell’uomo e
quella della donna, il coraggio e la giustizia, come pensava Socrate, ma
che (questi valori) nell’uomo riposano nell’attitudine a comandare, nella
donna nell’attitudine a obbedire»51.
Leroux ha trattato questo argomento in ordine a un principio di eguaglianza/disuguaglianza indicando una sostanziale corrispondenza tra la rappresentazione sociale dello schiavo e della donna. E infatti scriverà: «Non
abbiamo potuto emancipare gli schiavi senza far sparire la schiavitù della
Aristotele, Politica, Bari, Laterza, 125, 1, 1259b, p. 25.
Ivi, 1260a, pp. 26-27.
51
Ivi, 1260, p. 27.
49
50
39
donna»52 . Sebbene sia portatore di un alto contenuto eversivo e innovativo, anche nel linguaggio rispetto alla mentalità corrente del periodo in cui
scrive, tuttavia, per certi versi, risulta legato a una concezione limitata che
rivolge lo sguardo al tentativo delle donne di liberarsi definitivamente dal
giogo maschilista, con una sorta di incomprensione di fondo: «lo non sono
d’accordo con coloro che hanno predicato in questi ultimi tempi l’emancipazione delle donne come un’insurrezione […] Si tratta di emanciparci tutti
gli uni gli altri facendo regnare tra noi la Giustizia […] bisogna insomma che
la donna si elevi grazie all’uomo e con lui, e che l’uomo si elevi grazie alla
donna e con lei»53.
È facile notare in queste parole come ancora ci sia il tentativo di ricondurre tutto all’uno, senza tenere conto della differenza “essenziale”, tra
maschio e femmina (uomo e donna). A questo, però, si accompagna una
serrata critica sia alla posizione “scientifica e politica” di Aristotele che
considera la donna materia a cui solo l’uomo può dare la forma, sia ai
meccanismi etico-politici che sanciscono l’inessenzialità e la subalternità della donna e degli schiavi nella filosofia platonica. Leroux insieme a
Fourier54.
Tornando a occuparci della posizione della donna nella speculazione
filosofica antica, notiamo come la figura dell’ereditiera (immagine eccezionale), sia in Aristotele che in Platone, è causa di una degenerazione del
modello a causa del potere che il denaro le conferisce, sconvolgendo la
tranquilla “routine” della famiglia aristotelica: «talora poi comandano le
donne che sono ereditiere: in tal caso la autorità non sorge a seconda delle
virtù bensì a causa della ricchezza e del potere, come nelle oligarchie»55.
L’immagine femminile elaborata dai filosofi antichi si pone così come
un paradigma ideologico destinato a durare ben oltre l’ambito culturale e
P. Leroux, Le ragioni dell’eguaglianza (a cura di A. Prontera), Lecce, Milella,
1991, p. 37.
53
Ivi, p. 37.
54
Cfr. J. Sabiani, 1830: Aux sources du fèminisme, in «Quaderno Filosofico», 12-13,
1985, Università degli Studi di Lecce, pp. 141-201. Molto indicativo questo saggio per
la prospettiva di analisi con cui guarda e documenta i primi ufficiali movimenti d’idee
e di proposte per l’emancipazione della donna in Francia. In un clima di palpabile
utopia, forse le proposte di Leroux, con tutti i suoi limiti, e di George Sand rappresentano le acquisizioni più avanzate e innovative riguardo al problema dell’emancipazione
della donna in quel periodo.
55
Aristotele, Etica Nicomachea, Bari, Laterza, 1 65. Libro VII, X, 1161 a, p. 222
52
40
sociale in cui si produce. La fondazione biologica, psicologica e scientifica,
fornita da Aristotele, garantisce alla figura della madre-materia una consistenza autonoma, che permane immutata, al di là del variare dei sistemi
concettuali in cui è, di volta in volta, inserita56.
1.4. Dal medioevo all’età moderna
1.4.1. Il pensiero cristiano medioevale
Alcuni elementi culturali di base, molto diffusi nel mondo pagano esaminati precedentemente, hanno fortemente influenzato la riflessione e il
pensiero cristiano tradizionale. Certamente tutte le idee cristiane sulla
donna e la sessualità non si spiegano con la sola influenza pagana, ma tale
influenza ha fortemente inciso sul modo di concepire molte istituzioni
tipicamente cristiane, come quella della verginità consacrata e del matrimonio. Il cristianesimo, infatti, penetrava in un universo culturale già
molto elaborato, che gli offriva non solo idee e concetti sulla condizione
del femminile, ma anche sistemi dominali e forme di pensiero che il cristianesimo ha lentamente incorporato, facendole proprie, ma convogliandole in una ideologia salvifica57.
Le vicende storiche della donna nella prima società cristiana non sono
state caratterizzate, in linea con la tradizione patriarcale antica, da una
condizione di dipendenza e subordinazione rispetto al maschio e rispetto
a una autorità spirituale, che riguardava la sua dimensione femminile in
particolare. In ordine ai ruoli che venivano assegnati alla donna nel contesto sociale in cui le era concesso muoversi, la Borresen individua tre stati
sociali del femminile comunemente accettati dalla comunità cristiana58,
tre ruoli, quello di “moglie”, “madre” e “vergine” in cui la donna verrà
incasellata al fine di mantenere e conservare l’ordine e lo stato delle cose.
Cfr. G. Duby, M. Perrot (a cura di), Storia delle donne in Occidente, Roma-Bari,
Laterza, 1990-1992, 5 voll. (vol. 1, L’antichità, a cura di P. Schmitt Pantel).
57
Cfr. I. C. Colombo, Modalità della “ interpretatio” cristiana di culti pagani, in Mondo Classico e Cristianesimo, Roma, Ist. Encicl. Treccani, 1982, p. 43.
58
K. E. Borresen, Natura e ruolo della donna in Agostino e Tommaso D’Aquino, trad.
it., Assisi, Cittadella Ed., 1979, p. 96 e p. 234.
56
41
Nei testi religiosi non è neppure preso in esame un eventuale ruolo della
donna al di fuori di quelli canonizzati: la donna concubina, per esempio,
figura presente nel mondo antico qui è negata: è la trasgressione, il peccato e, quindi, va rimossa.
Il rigore cristiano si contrappone alla licenza dei costumi del popolo
pagano ed è tanto più rigido nei confronti della donna, considerata già
al tempo di Giovenale il simbolo della licenza morale59. Il matrimonio,
sacramento indissolubile nel cristianesimo, diviene così un rimedio al
peccato di concupiscenza, un argine alla prevalenza della carne sullo
spirito.
Dice Agostino: «La intemperanza della carne anche se in sé è da riprovare, viene rivolta all’onesto scopo di propagare la prole cosicché l’unione
coniugale dal male della libidine produce un bene – e aggiunge – la concupiscenza viene frenata e in un certo qual modo arde più pudicamente
perché la mitiga il sentimento della paternità e maternità»60.
Si riconosce nel pensiero di Agostino l’insegnamento di Paolo, che vede
nel matrimonio un rimedio al peccato di libidine61: il matrimonio è dunque permesso come misura precauzionale nei confronti del desiderio sessuale. Queste norme “igieniche” relative alla unione coniugale si situano
in un contesto di subordinazione femminile. Tale subordinazione poteva
avere la sua sorgente in una inferiorità “naturale” che designava la donna
a essere dominata.
Tommaso D’Aquino giustifica questa subalternità, che vede d’altronde indicata nel racconto della Creazione, riferendosi al naturalismo aristotelico: «dice il Filosofo che la femmina è un maschio mancato (mas
occasionatus)»62 . Questo è un primo grave pregiudizio aristotelico, per
cui, rispetto alla natura particolare la femmina è un essere difettoso e
manchevole. Infatti, la virtù attiva racchiusa nel seme del maschio tende
a produrre un essere perfetto, simile a sé, di sesso maschile. Il fatto che ne
derivi una femmina, commenta Tommaso, è solo un accidente.
Cfr. D. Nardo, La stessa satira di Giovenale e la tradizione erotico-elegiaca, Padova,
Liviana Ed., 1973, pp. 8-63.
60
Agostino, De Bono Coniugalis, in Id., Matrimonio e Verginità, Roma, Città Nuova
Ed., 1978, vol. 7/1, 3, p. 15.
61
Cfr. Paolo, I Cor. 7, 1-9.
62
T. D’aquino, Summa Theologiae, Bologna, Ed. Studio Domenicane, 1985, vol. VI,
p. 92, a I, p. 192.
59
42
A questo punto nasce spontanea la domanda: perché mai Dio ha creato
un essere vivente così deficitario nella fede, nella ragione e nel corpo?
Nella sua universalità – risponde Tommaso – la femmina non è un essere mancato, ma è espressamente voluto così in ordine alla generazione63.
La donna, dunque, deve la sua formazione in vista della sua funzione
ausiliaria per la generazione della prole, funzione ordinata al bene della
specie. Ma «a detta del filosofo, il maschio e la femmina si uniscono nella
specie umana non solo per la necessità di generare, come negli altri animali, ma anche per la vita domestica, nella quale l’uomo e la donna hanno
funzioni distinte e in cui l’uomo è capo della donna»64.
Punto di partenza di questa tesi, è il pensiero di Paolo, il quale getta le
fondamenta di una singolare costruzione ideologica all’insegna dell’antifemminismo più intransigente: «Le donne soggette ai loro mariti come
al Signore, perché il marito è capo della donna, come Cristo è capo della
Chiesa è soggetta a Cristo, così le donne siano soggette in tutto ai loro
mariti»65.
Questa situazione di sudditanza della moglie al marito corrisponde a
uno stato di fatto, nel contesto sociale e giuridico della comunità cristiana, situazione che Agostino accetta come normale senza metterla mai in
discussione66.
La relazione, infatti, simboleggia l’ideale supremazia dello spirito sulla
carne nell’essere umano, e impedisce alla concupiscenza di ergersi contro la ragione67. Accostandosi alla tesi di Agostino, Ambrogio ritiene
finanche che il peccato e la menzogna siano da imputare al solo essere
femminile: è stata, infatti, la donna l’agente dell’errore per l’uomo, e non
l’uomo per la donna. Chiaramente la suggestione risale all’immagine che
fornisce la Genesi di Eva tentata e tentatrice.
È evidente in questi contesti come il racconto della Creazione rappresenti un piatto forte per tutti gli appetiti antifemministi. Dalle opere
cristiane consultate, infatti, scaturiscono due conseguenze che svalutano
grandemente il valore della donna: innanzitutto, essa era stata formata
Ivi, p. 194.
Ivi, p. 92, a. 2, p. 198.
65
Paolo, Efesini, 5, 22-24.
66
Cfr. Agostino, Della vera religione in Letture di filosofia, Torino, Soc. Ed. Internazionale, 1940, XLI, p. 94.
67
Paolo, I Cor., II, 7-8.
63
64
43
per essere sottomessa al dominio dell’uomo, come abbiamo visto finora; inoltre, in quanto “Altro” dall’uomo, non poteva essere “immagine di
Dio”. Quest’ultimo punto non è una questione secondaria: in una società
come quella ebraica o cristiana, in cui Dio è il vertice di tutto, essere sua
immagine significa essere sorgente della dignità umana, quindi, dei diritti derivanti da tale dignità. Importante, a tale proposito, è la gerarchizzazione, classica in Paolo, relativa ai gradi di somiglianza con Dio: Dio,
Cristo, l’uomo, la donna. Così: «l’uomo non deve coprirsi il capo, perché
è immagine e riflesso di Dio; la donna invece è riflesso dell’uomo».
Le argomentazioni dell’apostolo hanno avuto, come abbiamo visto,
una notevole influenza in seguito, in particolare sui padri della Chiesa,
Agostino e Tommaso. Il primo, a questo proposito, ritiene inizialmente, che il rapporto spirituale con Dio non sia diverso a seconda del sesso,
poiché è la natura umana, in quanto tale, che è stata fatta a immagine di
Dio, natura che comprende l’uno e l’altro sesso e perciò, quando si tratta
di intendere l’immagine di Dio, non esclude la donna68.
Il principio di somiglianza fra tutte le creature umane affonda le sue
radici nella testimonianza della Genesi; si legge, infatti: «E Dio disse
facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza […]
Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò. Maschio e
femmina li creò»69.
Questo versetto suggerisce, sottolinea una contemporaneità nella creazione dell’uomo e della donna, entrambi somiglianti in immagine a Dio;
tuttavia, nel passo successivo si rileva una contraddizione su questa affermazione: «Non è bene che l’uomo sia solo, gli farò un aiuto che sia
simile a lui […] Allora il Signore Dio fece cadere un sonno profondo su
Adamo che si addormentò. E mentre dormiva, Dio prese una delle sue
costole, mettendo carne al suo posto; poi, con la costola tolta all’uomo,
formò la donna e la condusse a Adamo. Questa, sì, è osso delle mie ossa e
carne della mia carne! Questa sarà chiamata donna, perché è stata tratta
dall’uomo»70.
Tale contraddizione è di estrema importanza. Infatti, nel duale originario, della prima ipotesi, la differenza sessuale compare nelle due imCfr. Agostino, De Trinitate, Alba, Ed. Paoline, 1977, XII, 10, pp. 449-450.
Genesi, l, 26-27.
70
Ivi, II, 18-23.
68
69
44
magini, allo stesso modo simili l’uno all’altra pur essendo differenti. Si
individua un primo livello di somiglianza fondata in un trascendente che
contiene ambedue i sessi, visto che ciascuno dei due è sua immagine; e
un secondo livello, che si fonda sulla differenza originaria delle due creature sessuate: per essa le donne sono simili a Eva e gli uomini a Adamo.
Questo livello è secondo in quanto dipende dal primo, ma è nel primo
già contenuto.
In questo primo passo della Genesi, dunque, la differenza sessuale ha
origine nel trascendente, nella somiglianza con Dio, perciò nessuno dei
due assimila l’altro a partire da sé71. Nel secondo passo, invece, la differenza fra l’uomo e la donna all’inizio non compare, non ha consistenza
concettuale. Compare solo in un momento successivo, non rapportata
però a Dio nel somigliargli, ma rapportata all’uomo che ha bisogno di
una creatura simile a Lui.
In questa seconda ipotesi, non solo la donna è simile all’uomo in quanto derivata dalla sua costola, e quindi in grado di godere dell’immagine
di Dio solo in seconda istanza, ma anche il suo nome le è dato dall’uomo.
L’essere maschile risulta così il detentore della parola nominante (immagine del verbo creatore). La donna, per parte sua, disporrà della parola ma
non nominante, parola ripetitiva dei nomi imposti dall’uomo72 .
«Allora il signore Dio formò dalla terra tutti gli animali della campagna e tutti gli uccelli del cielo e li condusse a Adamo per vedere con quale
nome li avrebbe chiamati, poiché il nome che egli avrebbe loro imposto,
sarebbe stato il loro nome»73.
Questa seconda versione biblica è quella più frequentemente adottata
nella tradizione cristiana; compare infatti in Paolo74, che sottolinea il fatto che la donna derivi dall’uomo, e in Agostino, il quale ritiene fondamentale che l’uomo sia stato creato unum ac singulum75, contrariamente
agli animali. Tale versione, oltretutto, trova ulteriore conferma nella rappresentazione dell’incarnazione del divino: Gesù Cristo è, infatti, uomo.
Il fatto che Dio abbia voluto incarnarsi in un corpo maschile, piuttosto
Cfr. M. C. De Matteis, Introduzione in Id., Idee sulla donna nel medioevo, Bologna, Patron Editore, 1981, pp. 9-12.
72
A. Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, cit., pp. 6-69.
73
Genesi, II, 19.
74
Paolo, I Cor., 11, 8-12.
75
Cfr. Agostino, De Civitate Dei (trad. it. La città di Dio), Milano, Rusconi, 1984.
71
45
che in un corpo femminile, rappresenta una scelta che trova la sua giustificazione appunto nel secondo passo del libro della Genesi.
Qui, l’unum ac singulum agostiniano si delinea come una creatura superiore fatta da Dio a Sua immagine e somiglianza e anche alla donna, in
quanto creata da Dio simile all’uomo, si estende l’immagine divina.
«Il referente diretto della donna, per il suo essere una simile fra i membri del genere umano, è l’uomo e non Dio»76. Con questi presupposti,
subisce un deprezzamento anche il ruolo che la donna riveste nell’ambito
della procreazione. Infatti, la funzione attiva in questo processo è una
prerogativa indubbiamente maschile; la madre al contrario riveste esclusivamente un ruolo passivo. Tale differenza, tra il ruolo paterno e quello
materno, trae origine dall’idea di imperfezione legata a quella di femminilità; imperfezione che riguarda in particolare la dimensione fisica,
come abbiamo visto in Aristotele, perché, secondo Tommaso, la potenza
generatrice della donna consiste solo nel preparare il sangue e renderlo
atto a essere formato dal seme virile. In sostanza, quindi, lei non genera,
ma si limita a ricevere questo seme, fornendo col suo sangue la materia per
la crescita del feto. Tommaso illustra inoltre questa superiorità dell’uomo
con un esempio di prassi artigianale: il padre agisce come un artigiano e
si serve del seme come di un utensile, mentre la madre fornisce soltanto la
materia77. In definitiva, se la donna opta per il matrimonio è per scegliere liberamente un padrone al quale sottomettersi totalmente: l’esercizio
della libertà sfocia in tal modo nella rinunzia alla libertà, nella sua negazione. La sola libertà concessa alla donna è, dunque, quella di scegliersi un
padrone, che eserciterà su di lei un potere servile78.
1.4.2. Dall’Umanesimo all’Illuminismo
Il periodo che viene situato, con il nome di Umanesimo, alle soglie dell’età moderna è caratterizzato da una frenetica ricerca di modelli culturali
desunti dallo studio e dalla rielaborazione più o meno originale del mondo classico. Questo fenomeno è molto più evidente nella letteratura gloA. Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, cit., p. 68.
Cfr. T. D’Aquino, Summa Theologiae, cit., vol. XXV q. 32 a, 4, pp. 170-174.
78
Cfr. ivi, p. 195.
76
77
46
balmente intesa, tanto che gli interessi filologici si mischiano a problemi
stilistici, ma anche di retorica e di filosofia, rendendo abbastanza uniforme il sapere all’interno della “comunità dei dotti”. In questo periodo l’umanista si sostituisce all’intellettuale79, contribuendo con il suo nuovo
ruolo a una diversa e più ampia diffusione della cultura.
Il retaggio greco e latino informa tutto il sapere colto e si preferisce lo
studio e l’utilizzazione delle teorie platoniche a quelle aristoteliche che
avevano trovato ampio consenso nella Scolastica, dopo la riproposta araba all’interno della latinità cristiana. In questo contesto sorge un cospicuo interesse verso la trattatistica, sull’esempio dei classici, la quale si affermerà, imponendosi, soprattutto nel Rinascimento. Uno dei filoni che
la trattatistica, sia latina che volgare, predilesse fu quello che si occupava
della donna.
Come abbiamo avuto modo di vedere in precedenza, non solo la filosofia, ma la cultura “ufficiale” in genere aveva impresso sulla donna un
marchio indelebile di inferiorità e di subalternità verso il maschio. Anche
se voci di dissenso, intese a valorizzare il femminile, si erano levate in ambito medico80, giuridico, e filosofico stesso, tuttavia erano rimaste sepolte
e inascoltate. All’interno della stessa Chiesa si era preferita la direttrice
paolina che vedeva la donna sottomessa81 all’altra istanza egualitaria82 di
Paolo che traeva la sua giustificazione dal messaggio originale di Cristo il
quale promuove la donna con la sua grande rivoluzione ideologica proclaCfr. J. Le Goff, Gli intellettuali nel Medioevo, Milano, Mondadori, 1988, pp. 127168.
80
Cfr. a proposito la lucida nota di C. Colombrero, La tradizione scolastica, la medicina e le donne, in «Rivista filosofica», 18, 1980, pp. 485-495, che sottolinea da un
lato il fondamentale contributo della letteratura medica alla rivalutazione della donna
cui rivendica una dignità fisiologica pari a quella dell’uomo, dall’altro la giustificazione
naturalistica fornita dalla medicina, in contrapposizione a quella teologica, alla tesi
dell’inferiorità della donna.
81
«La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. Poiché non permetto alla donna d’insegnare, né di usare autorità sul marito, ma stia in silenzio»: Paolo, Timoteo
2, 11-15. Questa e altre analoghe affermazioni di Paolo sono state decisive per la definizione del ruolo della donna nel senso di una sua sottomissione all’uomo. Basti pensare
alle sole riprese e agli sviluppi di Agostino, che influenzano e improntano a lungo la
riflessione sull’argomento. Cfr. Agostino, De civitate Dei, XIV, 11, cit.
82
Cfr. Paolo, Galati, 3, 28, in Manetti D., Zulli S., (a cura di), I grandi libri della
religione. La Bibbia. Nuovo Testamento, Milano, Mondadori, 2006: «non c’è né maschio né femmina».
79
47
mando l’uguaglianza dell’uomo e della donna dinanzi a Dio. Anche senza
giungere agli eccessi di un Cristo femminista83, non si può non ammettere
nel Vangelo un modello di donna che testimonia la promessa di salvezza,
chiamata al pari dell’uomo ad ascoltare e seguire la parola di Dio84.
Il discorso sulla donna giunge al Rinascimento da lontano, retaggio
– trasmesso e filtrato dalla riflessione umanistica – di una tradizione
millenaria che rielabora alcuni degli apporti fondamentali della cultura
occidentale, biblica, greca, latina, cristiana, medioevale. Tradizione composita e intricata dove il discorso procede su diversi piani, talora intersecati, ma più spesso paralleli, intrecciandosi ai discorsi sull’amore, sulla
fenomenologia amorosa e la bellezza, sul matrimonio, sulla famiglia e il
governo della casa, sui comportamenti pubblici e privati, coinvolgendo
generi letterari diversi, trattatistica, epica, lirica, narrativa, teatro e simultaneamente discipline diverse: filosofia, teologia, medicina, diritto e
diversi ambiti delle arti figurative. I luoghi comuni, maturati da Platone
e Aristotele in poi, vengono utilizzati in senso interdisciplinare per trasferire da una disciplina all’altra opinioni e conclusioni consolidate. Nella loro costante durata ad azione interdisciplinare, queste teorie per un
verso alimentano una tradizione radicalmente misogina, per altro verso
condizionano svariati esempi collegati nel tempo dal carattere paradossale di essere femminile capace sia di ogni vizio sia di ogni virtù. Infatti,
l’esperienza umanistica e rinascimentale viene improntata e orientata
anche da una linea fortemente rilevata di testi specifici sulla virtù delle
donne che vanno da Plutarco a Boccaccio. In questa divaricazione Plutarco85 segna un’ulteriore svolta non solo per la divulgazione sistematica
Cfr. L Swidler, Il Gesù dei Vangeli era femminista, in Aa.Vv., Crisi dell’antifemminismo, Milano, Mondadori, 1973, pp. 135-158.
84
«Chiunque fa la volontà di Dio, questi mi è fratello e sorella e madre»: Marco
3-35.
85
Cfr. K. Ziegler, Plutarco, trad. it., Brescia, Paideia, 1965; Plutarco, Sull’amore,
Milano, Adelphi, 1986. Importanti sono nell’opera di Plutarco alcune posizioni, passate poi nell’Umanesimo-Rinascimento, che postulano nuovi parametri per riconsiderare il rapporto uomo-donna soprattutto riguardo al versante amoroso. Qui, accanto
a una costante misogina da Plauto a Catone, da Giovenale ad Aulo Gellìo, per cui la
donna è un male necessario (sul problema della misoginia e sulla topica misogina è
fondamentale il volume Aa.Vv., Misoginia e Maschilismo in Grecia e Roma, Genova,
Istituto di Filologia Classica e Medievale, 1981), in presenza di una legislazione romana che affida la donna alla tutela del maschio (cfr. B. Biondi, Il diritto romano, Bolo83
48
del principio stoico che attribuisce all’uomo e alla donna uguale capacità
di praticare la virtù, ma anche il trattato specifico del Boccaccio intitolato De claris mulieribus86 (Delle donne illustri, secondo i volgarizzamenti
cinquecenteschi), archetipo di una serie organica di enorme rilevanza e
asse su cui si fondano direttamente o indirettamente tutti gli altri testi
del genere87.
In questi trattati vengono affrontati e risolti, spesso in favore della donna, argomenti tradizionalmente usati per condannarla a essere inferiore.
La connotazione di impurità della donna88, il mestruo per esempio, che
dalla tradizione giudaica, fino a Galeno e tutta la scolastica aveva fatto
parte di ciò che essa aveva di più ripugnante sia dal punto di vista fisico
che morale, viene trattata non come “bruttezza e immondizia”, ma “bellezza e delicatura”89. In questi trattati cinquecenteschi tutti gli argomenti
tipici utilizzati in precedenza per avvalorare la inferiorità e la subordinazione della donna, sia etica che sociale, vengono presi in considerazione
con l’intento preciso di ribaltare l’argomentazione e utilizzarli per dimostrare la superiorità della donna90.
gna, Cappelli, 1957 e, in particolare, L. Peppe, Posizione giuridica e ruolo sociale della
donna romana in età repubblicana, Milano, Giuffrè, 1984) troviamo, sorretta anche da
una maggiore “libertà” delle donne romane rispetto alle donne greche, una corrente filogena. Contestualmente si sviluppa una precettistica amorosa ed erotica (Ovidio, Catullo Tibullo, Properzio) la quale, mentre fonda una topica amorosa analoga alla topica
retorica, dove appunto la didattica dell’ars amandi ricalca e riproduce volutamente la
didattica dell’ars dicendi, fissa un tipo di donna emancipata, libera, che rifiuta il ruolo
passivo e afferma la sua individualità, che prende iniziative autonome (G. F. Capra,
Della eccellenza e dignità delle donne, Roma, Bulzoni, 1988, p. 17).
86
G. Boccaccio, De mulieribus claris, a cura di V. Zaccaria, Milano, Mondadori,
1970 (vol. X di Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca), pp. 455-459
e 478-480.
87
Cfr. M. L. Doglio, Introduzione, in G. F. Capra, Della eccellenza e dignità delle
donne, cit., pp. 5-53.
88
Sul concetto di impurità della donna, cfr. P. Sacchi, Storia del mondo giudaico,
Torino, SEI, 1976, p. 306 (con l’elenco dei rimandi).
89
Cfr. M. L. Doglio, Introduzione, in G. F. Capra, Della eccellenza e dignità delle
donne, cit., p. 36.
90
Cfr. F. Daenens, Superiore perché inferiore: il paradosso della superiorità della donna
in alcuni trattati del Cinquecento, in Aa.Vv., Trasgressione tragica e norma domestica.
Esemplari di tipologie femminili della letteratura europea, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 1983, pp. 11-33.
49
Una immagine colpisce in particolar modo i trattatisti che può considerarsi come la novità precipua di questo periodo nel quadro del “problema
donna” ed è quella della donna che affida alla scrittura, nei canoni dell’epistola, l’inquietudine angosciosa della lontananza dell’amato, le frustrazioni dell’attesa, il tarlo della gelosia, la disperazione dell’abbandono, il
suo stesso modo di essere donna. Questo, oltre a consegnarla alla più tarda posterità, le permette di raggiungere un’autonoma dignità intellettuale. Tuttavia lontana dai canoni maschili della filosofia91.
La filosofia dominante in questo periodo è fondamentalmente antropocentrica, anche in presenza di istanze innovatrici e rivoluzionarie come
quelle di Copernico e Galileo, tendenti a scardinare l’impianto cosmologico aristotelico-tolemaico, ma anche a mettere in discussione la prospettiva dell’uomo al centro dell’universo. Montaigne, la cui riflessione si
colloca in questo momento di profondi rivolgimenti, può dirsi testimone
per eccellenza della crisi dei valori e del sistema di conoscenze filosofiche
e scientifiche. La sua critica serrata a una morale stoica e lo scetticismo
derivato dalla sua concezione della natura umana, inconoscibile per il filosofo, lo portano a combattere l’universalità, la centralità e la grandezza
dell’uomo, proponendo una morale mondana e un metodo di introspezione per una reale conoscenza dell’uomo. In questa prospettiva anche la
donna viene guardata in modo nuovo, tuttavia non tanto da innescare un
processo veramente innovativo.
La concezione della donna tra il ’500 e il ’600 si dibatteva tra le teorie
platonico-cristiane che, come abbiamo potuto osservare, erano penalizzanti e ampiamente diffuse e tra i molti fermenti innovativi, soprattutto
in riferimento ad alcuni concetti che assumevano allora significati nuovi
e più liberali. Se Marsilio Ficino non si può dire, per quanto riguarda il
concetto “donna”, difforme dalle posizioni platonico-cristiane, Pico della
Mirandola, nella sua Oratio de hominis dignitate, ribadisce sostanzialmente un antropocentrismo culturale diffuso e imperante.
Importante, ai fini del presente lavoro, è considerare la semantica con
la quale in questo periodo si indicano i concetti di “corpo” o di “amore”. Il Concilio di Trento, pur continuando a persistere nella concezione
della donna tentatrice, tuttavia, rispetto al concetto di “concupiscenza”
Cfr. G. A. Roggerone, Idealità e assenza della donna nella filosofia medievale, in
Id., Donne in filosofia, cit., pp. 34 e 47.
91
50
di Tommaso d’Aquino, nella Sessione V del 17 giugno 1546, codifica la
concupiscenza come non un peccato vero e proprio, ma “fomite”92 del
peccato.
Mentre in letteratura si assiste a una rivalutazione di ambiti che coinvolgono l’amore e il corpo, in presenza anche di una morale edonistica
che in qualche maniera tenta di rivalutare, non soltanto in prospettiva
strumentale, la donna e una grossa fetta della sua femminilità, in filosofia
gli spazi riservati alla donna sono quasi nulli.
Pensiamo a Erasmo da Rotterdam, per esempio, il quale nel 1511 pubblica a Parigi lo scanzonato e profondo Encomion Morias (Elogio della
Follia), salutato da Huizinga come l’unica opera di Erasmo destinata
all’immortalità «perché questa mente diventava veramente profonda
solo quando lo spirito la illuminava»93. Sebbene Erasmo sia da inserire in
un filone di pensiero platonico, tuttavia riprende il concetto della donna
che cerca il maschio, postulando che l’intrattenimento è il compito essenziale della donna che deve divertire, distrarre e distendere l’uomo ed
ha tanto più valore, quanto più spensierata e aggraziata, quanto più vicina
alla natura riesce a essere94.
Un diverso trattamento invece aveva riservato la Riforma protestante
alla figura femminile, soprattutto permettendo di fatto alle donne di
svolgere il ministero e ai ministri della chiesa di sposarsi.
I secoli XV, XVI e XVII sostanzialmente hanno riconfermato il concetto di razionalità sessuata al maschile, al centro della quale c’è l’uomo
che in maniera autoreferenziale pensa a se stesso. Quando Cartesio pensa
il suo “cogito ergo sum” è l’uomo che pensa a se stesso e questo pensarsi
determina la sua esistenza: è la sostanza pensante, non solo, è la sostanza
pensante che fa ritorno su se stessa e chiude il cerchio della sua soggettività95. Una volta che l’identificazione primaria si sia realizzata, almeno
nel movimento dell’enunciazione, allora non solo è posta la possibilità di
esistenza del soggetto in quanto tale, ma insieme è posta anche quella che
Termine oggi desueto usato per indicare la “causa primaria, radice, ragione primaria,
stimolo”, spesso usato in ambito religioso, associato al peccato o a una passione.
93
Cfr. J. Huizinga, Erasmus of Ratterdam, London, III ed. 1952, (1a edizione 1924.
Trad. it. Erasmo, Torino, Einaudi, 1941).
94
Cfr. Erasmo Da Rotterdam, Elogio della follia, Milano, BUR Rizzoli, 1989,
pp. 87-89.
95
Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., p. 170.
92
51
egli si rifletta come ciò che si dà la sua condizione di essere. Solipsismo
autoaffettivo di autoattribuzione, della rappresentazione che elabora il
suo sogno di potenza in solitudine appartata, indifferente, almeno per
un certo tempo, al resto della storia la quale continua a svolgersi. Egli si è
ben guardato dal supporre che qualche altro “io” possa pure dubitare. Si
è solo chiesto se l’Altro non trovi un piacere “maligno” a farlo dubitare
di tutto in presenza di una generalizzazione per fondare ogni certezza
per cui essa ricorre al dubbio iperbolico, all’interrogazione sistematica
di tutto96.
In piena età de Lumi, J. J. Rousseau scrive e pubblica l’Emile, un’opera
per certi versi geniale, scritta per l’educazione dei figli della borghesia97.
In passato Locke, Fénelon, Montaigne, si erano occupati di problemi di
pedagogia, ma la loro attenzione era rivolta soprattutto a formare l’aristocratico.
L’opera di Rousseau, che a buon diritto può vantare tanti pregi,
contiene alcuni passaggi che la rendono retrograda. Un aspetto sul
quale il filosofo non è all’avanguardia del suo tempo è la sua teoria
dell’educazione femminile. Fénelon dichiarava che: «l’ignoranza di
una fanciulla fa sì che essa si annoi e non sappia in che cosa occuparsi
innocentemente», ma dice anche: «Mantenete le fanciulle nei limiti
consueti e insegnate loro che deve esservi per il loro sesso un riserbo
verso la scienza quasi altrettanto delicato di quello ispirato dall’orrore
del vizio»98.
Rousseau non è più a questo punto. È chiaro che non si possono accettare in nessun modo le sue considerazioni sull’inferiorità intellettuale
della donna. Il grande torto che egli fa a Sophie è di educarla non per se
stessa, ma per il piacere di Emile.
«Innanzitutto dalla buona costituzione delle madri dipende quella
dei figli; dalla cura delle donne dipende la prima educazione degli uomini; dalle donne inoltre dipendono i loro costumi, le loro passioni, le
Ivi, p. 171.
Per un approccio ai problemi relativi all’educazione nell’Illuminismo, cfr. G. A.
Roggerone, Figure e problemi dell’Età dei Lumi, Lecce, Milella, 1986; S. Moravia.
Il tramonto dell’Illuminismo. Filosofia e politica nella società francese (1770-1810), Bari,
Laterza, 1986.
98
Cfr. J. L. Lecercle, Introduzione, in J. J. Rousseau, Emile, Roma, Editori Riuniti,
1983, p. 31.
96
97
52
loro inclinazioni, i loro piaceri, la loro stessa felicità. Tutta l’educazione
femminile deve essere quindi considerata in rapporto agli uomini. Piacergli, essergli utili, farsene amare e onorare, allevarli piccini, curarli da
grandi, consigliarli, consolarli, rendere la loro vita piacevole e dolce: ecco
i doveri delle donne di tutti i tempi, ecco ciò che si deve insegnar loro fin
dall’infanzia»99.
Ogni commento ci sembra superfluo100.
Rousseau consacra in tal modo l’inferiorità della donna che la Rivoluzione francese non ha minimamente attenuato e che il codice napoleonico ha fatto perdurare fino ai giorni nostri.
Pure sotto l’Ancien Règime furono molte le donne colte101, soprattutto
quelle che diedero lustro ai salotti, dall’Hotel de Rambouillet fino al salotto di madame Necker. Alcune di loro, per esempio madame di Scudèry
in Le Grand Cyrus, auspicarono caldamente l’istruzione del loro sesso.
In questi ambienti mondani esisteva fin dall’epoca del preziosismo tutta
una corrente femminista che rivendicava nelle forme più svariate l’emancipazione delle donne. Questa corrente rimase, però, limitata alle classi
superiori.
In Francia, con queste e altre istanze femministe, (come quelle di Olimpia de Gouges finita sulla ghigliottina); in Inghilterra con Mary Wollstonecraft102 che a buon diritto può esser considerata la prima sostenitrice
del femminismo; negli Stati Uniti del 1776 con Abigail Adams, moglie
del futuro presidente ispiratrice di “un’attenzione speciale” per le donne nella nascente Costituzione, in mancanza della quale le donne erano “decise a fomentare una ribellione”103; in Italia, ma soltanto qualche
tempo più tardi, con Anna Maria Mozzoni, dall’800 in poi si delinea
una tendenza che imporrà alla riflessione una crescente affermazione del
pensiero femminile.
Cfr. J. J. Rousseau, Emile, cit., LXXVII, pp. 201-202.
Cfr. G. A Roggerone, Rousseau e le donne, in Id., Studi su Rousseau, Lecce, Milella, 1969, pp. 9-28.
101
Cfr. G. A. Roggerone, Cultura donne e filosofia dal Rinascimento a oggi, in
Aa.Vv., Donne in filosofia, cit., pp. 49-62.
102
Cfr. M. Diurisi, Mary Wollstonecraft e la rivendicazione dei diritti della donna,
Lecce, Messapica, 1975.
103
Cfr. M. T. Garutti Bellenzier, Per un “ far memoria” della questione femminile,
in Aa.Vv., La donna nella Chiesa e nella società, Roma, An. Veritas Editrice, 1988.
99
100
53
1.4.3. Kant: l’“Io penso” e la coscienza dell’altro
Il pensiero occidentale, lungo il percorso della sua costruzione, ha registrato in vari modi la finitezza che la creatura pensante, in quanto tale,
porta in sé, tuttavia si è dimostrato incredibilmente cieco rispetto alla
finitezza della differenza sessuale. Infatti si è costruito l’uomo universale
neutro, accogliendo in questo concetto l’esser uomo e l’esser donna intesi
come due casi ininfluenti per la tenuta del concetto stesso. Per questo si
registra nella riflessione l’atteggiamento per cui l’essere uomo o l’essere
donna, l’esistere come necessariamente sessuato, è piuttosto un accidente. Infatti la filosofia predica l’essenza dell’universale uomo e poi prende
anche in considerazione gli accidenti temporali. Fra questi ultimi pare
rientri il caso di nascere uomo oppure donna, questo secondo indubbiamente un caso sfortunato.
Una conseguenza di ciò porta a non pensare la differenza sessuale,
poiché uno dei due sessi viene assunto a universale, senza che mai ciò
che si pone come originario differire nel sesso che ciascuno si porta
nella carne, come il vivere e il morire, diventi tema d’indagine intorno
al vero. Pensare la differenza sessuale a partire dall’universale uomo
significa pensarla come già pensata, ossia pensarla attraverso le categorie di un pensiero che si regge sul non pensamento della differenza
stessa.
Per definire il “soggetto donna” bisogna percorrere una strada differente. Un soggetto infatti può dirsi tale a partire da sé e non a partire da un
neutro che è l’universalizzazione che l’altro fa di sé, proponendosi però
non già come l’altro, ma come il tutto104.
L’uomo allora, “fonte” di identificazione, risulta, come abbiamo osservato, il garante di una produzione ideologica e, contemporaneamente, del
suo modello culturale e sociale. Esso si ritrova e si riconosce come il “particolare” della sua universalizzazione. Alla donna capita invece di trovarsi
solamente come particolare, come l’altro finito, compreso nel neutro-universale uomo. Per tale motivo il soggetto, nell’atto di “conoscere”, trova
fuori di sé e opposto a sé non soltanto il mondo da conoscere, ma se stesso
nell’altro sesso che viene posto esclusivamente come ri-conoscibile all’interno dell’identico.
104
54
Cfr. A. Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, cit., pp. 45-49.
Costruzione teorica, questa, ravvisabile specie in Kant, che porta a
completa maturazione i problemi dell’Illuminismo e sembra compendiare, nella sua opera, il lungo e faticoso cammino di tutta la filosofia moderna. Ma ciò si trova anche in Hegel in cui l’universale sessuato al maschile
raggiunge il massimo compimento.
La nostra indagine su Kant e sul pensiero relativo all’essere femminile
si muove dalla considerazione della formazione filosofica kantiana e dalla
influenza che l’empirismo inglese possa aver esercitato sulla impostazione
del suo criticismo. Questa influenza si è, tuttavia, innestata sull’indirizzo
che ha costituito la struttura fondamentale della filosofia kantiana, indirizzo che è quello dell’Illuminismo wolfiano105. Wolf e i suoi numerosi
seguaci tedeschi realizzano l’ideale illuministico del metodo della ragione fondante, la quale procede mostrando a ogni passo il fondamento
dei suoi concetti nella loro possibilità. La coincidenza tra fondamento e
possibilità è la caratteristica di questo metodo, il quale pertanto ritiene
fondato (cioè giustificato) un concetto quando se ne possa dimostrare la
possibilità, cioè la mancanza di contraddizioni interiori. Si capisce come
già da queste premesse la donna, intesa come accidente storico, non abbia possibilità di essere “fondata” perché solo la razionalità dell’identicouomo non ha contraddizioni interne ed è dotata di essenza. Con Kant
questa posizione diventa più radicale quando egli riconosce chiaramente
che una possibilità non è tale in virtù della semplice assenza di contraddizione logica.
«Ogni possibilità cade non solo quando vi si trovi una contraddizione intrinseca, che è l’aspetto logico dell’impossibilità, ma anche quando
non vi è da pensare un materiale, un dato»106.
È chiaro che, sebbene l’esperienza dica che la donna materialmente esiste, come dato differenziato non ha dignità di esistenza propria.
È possibile verificare questa posizione vagliando ciò che Kant considera
filosofia, ritenuta essenzialmente ragione critica, capace cioè di delimitare
in modo autonomo i suoi confini; mentre la ragione si riconosce come organo autonomo ed efficace per la guida della condotta umana nel mondo,
Cfr. N. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. II, Torino, UTET, 1982, pp. 460477; anche N. Merker, L’illuminismo tedesco, Bari, Laterza, 1968.
106
E Kant, Unico argomento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio
(1763), I 2, in Scritti precritici, a cura di P. Carabellese, rivista da R. Assunto e
R. Hohenemser, Bari, Laterza, 1953.
105
55
ma non un’attività infinita e onnipotente che non abbia limiti né condizioni. Ragione che pensa se stessa, che si assegna dei confini, magari di
volta in volta diversi, approfittando del fatto che la verifica del suo operato si riconduca al giudizio di un tribunale costituito dalla ragione stessa.
È il trionfo dell’identico nella sua sfera autoreferenziale che si costituisce
come mondo unico possibile in quanto unico mondo reale.
Il momento decisivo della filosofia kantiana si enuclea nella Critica
della ragione pura, nella prima parte della quale, con la definizione di
Estetica trascendentale, il filosofo esamina la conoscenza empirica. Pone
quindi la distinzione fra “sensibilità” fondata sulla ricettività del soggetto
(la quale ha come suo oggetto i “fenomeni” e all’interno di essi le modalità del femminile, che non sono in se stesse in quanto individui, ma
come appaiono al soggetto) e “intelletto” che costituisce una facoltà con
cui il soggetto si rappresenta gli oggetti che il senso non può cogliere e
che quindi sono designabili come “noumeno”107. Il fenomeno, oggetto di
conoscenza, non è l’essere in sé. Tuttavia il fenomeno non è apparenza
illusoria; è un oggetto e un oggetto reale, ma reale soltanto nel rapporto
col soggetto conoscente, cioè con l’uomo. La cosiddetta rivoluzione copernicana di Kant dà il senso della raggiunta significazione del mondo e,
quindi, anche della donna resa possibile come esperienza sensibile e non
di più, poiché gli oggetti stessi sono possibili in quanto fenomeni che si
modellano sulle condizioni trascendentali dell’esperienza.
Si ripropone, a un diverso livello in Kant, ciò che Aristotele aveva posto
come fondante l’essenza umana-maschile, cioè la superiorità della forma
sulla materia. Nella sua teoria della conoscenza Kant parte dall’assunto
che ogni nostra conoscenza comincia con l’esperienza, ma può darsi che
non derivi tutta dall’esperienza e che sia un composto delle impressioni
che derivano dall’esperienza e di ciò che vi aggiunge la nostra facoltà di
conoscere, da esse stimolata. In tal caso bisogna distinguere nella conoscenza una materia, costituita dalle impressioni sensibili (tra cui anche
le modalità del femminile), e una forma costituita dall’ordine e dall’unità che la nostra facoltà conoscitiva dà a tale materia. La critica della
ragion pura, cioè il compito della filosofia e della ragione, ha come sua
finalità precipua quella di raggiungere e realizzare la possibilità fondante
Cfr. E. Kant, Critica della ragion pura, trad. it., Bari, Latenza, 1924, vol. I, pp. 9094.
107
56
della scienza, dell’autentico sapere umano. È chiaro che questa possibilità
non può essere riconosciuta nella materia della conoscenza, costituita dal
molteplice disordinato e amorfo delle impressioni sensibili; deve essere
riconosciuta, dunque, nella forma della conoscenza, cioè negli elementi o
funzioni a priori, che danno ordine e unità a quelle impressioni.
In questa lucida teorizzazione Kant porta alle estreme conseguenze, attraverso strumenti della riflessione molto più raffinati di quelli di Aristotele, il costante impegno della filosofia occidentale di espungere dal suo
interno qualsiasi elemento che si connotasse come “altro”. Soprattutto
attenta ed efficace è stata questa opera quando l’altro si è presentato come
“altro femminile”, per cui il processo della sua espulsione dall’interno
dell’universale neutro maschile ha subito una raffinata trasformazione:
si è attestata storicamente nell’atteggiamento di ignorare il femminile,
mentre filosoficamente è stato negato nella sua precipua essenza di essere
sessuato al femminile108.
Compare nell’opera di Kant un altro elemento importante ai fini della
nostra ricerca: l’idealità dello spazio e del tempo: concepiti come intuizioni pure, proprie del soggetto, in una dimensione aprioristica, attraverso le quali il soggetto ordina le sensazioni che riceve dal mondo degli oggetti. Un universo viene quindi costruito ed elaborato a misura d’uomo.
Il tempo non è altro che la condizione per cui tutte le intuizioni possono
accadere nell’universale neutro maschile, e non è nulla in se stesso, fuori
dal soggetto.
«Ciò nonostante rispetto a tutti i fenomeni […] che si possono presentare nell’esperienza, esso è necessariamente oggettivo»109.
Queste osservazioni di Kant sulla validità oggettiva del tempo rispetto
a tutte le forme oggettuali, gli consentono di trarre il concetto di idealità trascendentale del tempo. Secondo il filosofo, appunto, il tempo non
è nulla, dove si prescinda dalle condizioni soggettive, non può essere,
quindi, né sussistente, né inerente agli oggetti in se stessi110. La conoscenza che Kant fa partire dall’estetica trascendentale, sta nella conoscenza
dell’Altro, come abbiamo visto, così come viene percepito dal soggetto.
Essa dunque rappresenta gli oggetti non come sono in se stessi, ma come
Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., pp. 189-198.
E. Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 76.
110
Cfr. ivi, p. 77.
108
109
57
risultano nella loro relazione con il soggetto che se li rappresenta, secondo le sue forme dello spazio e del tempo. L’Altro, in questo movimento
di conoscenza, viene concepito come cosa, fenomeno, e la possibilità di
conoscerlo come oggetto, ove si tratti di una persona, è esclusa dallo stesso carattere rigidamente oggettivante della conoscenza. Dunque l’Io non
può conoscere l’Altro come realtà in sé111. Ciò spiega, secondo Kant, il
fatto che assuma l’Io, di fatto, come cosa e mezzo. Evidentemente ciò che
conta non è l’esistenza dell’oggetto (in quanto tale esso è indifferente),
quanto piuttosto l’effetto della sua rappresentazione sul soggetto.
L’Io entra in rapporto con le cose prima di prendere coscienza di sé. Ma
questo primo tempo della conoscenza viene dimenticato nella arrogante
pretesa di determinare sovranamente il tutto. L’esperienza pertanto ci dà
l’oggetto, ma è l’intelletto che fornisce il pensiero su di esse. Così all’estetica trascendentale, segue una logica trascendentale112 .
È questa la prima operazione per passare dalla sensazione alla conoscenza; la quale originerà poi uno schematismo di concetti (categorie) che non
renderà mai al sensibile quanto gli è dovuto. Quello che viene concesso
alla natura le viene, quindi, subito tolto imperativamente e, ritiene Luce
Irigaray, sarà servito soltanto a stabilire più fermamente il dominio su di
essa. La funzione dello schema trascendentale è, di conseguenza, quella
di mettere in negativo la particolarità del sensibile, che non tornerà più a
essere tale. L’Altro, così, privato della sua diversità sperimentale, otterrà
ora l’elaborazione del concetto di oggetto113.
L’intera gamma di rappresentazioni del femminile, confluiscono e ritornano infine nella unità trascendentale dell’autocoscienza: il cosiddetto Io penso. Il quale, solo in quanto comprende in una autocoscienza la
molteplicità delle rappresentazioni delle coscienze empiriche, è in essere.
Se non potesse compiere questo atto, si avrebbero tanti Io differenti e variopinti quante le rappresentazioni delle quali avrebbe di volta in volta
coscienza114.
È dunque nell’azione del condurre il diverso verso l’unità che si attua
e si manifesta (prende cioè coscienza di sé) l’unità stessa dell’Io. Questa
Cfr. P. Salvucci, L’uomo di Kant, Urbino, Argalia Editore, 1975, pp. 302-303.
Cfr. E. Kant, Critica della ragion pura, cit., pp. 101 ss.
113
Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., p. 193.
114
Cfr. E. Kant, Critica della ragion pura, cit., pp. 129-132.
111
112
58
attività di sintesi unitaria del diverso consente al soggetto di rappresentare a sé l’identità della coscienza nel variare delle sue rappresentazioni
speculari115.
Dall’affermarsi di questo tipo di filosofia, lo stesso essere della donna
risulta consistere in una estraniazione.
«Non solo essa si pensa pensata, ma appunto nel “suo pensarsi” è già da
sempre pensata, rinchiusa e costretta in concetti estranei.
In tale pensarsi essa produce tuttavia una estraneazione in atto che la
differenzia essenzialmente dall’altro sesso. Pur se tale differenza essenziale può apparire come una miseria, poiché il consistere nella straniazione
è tradizionalmente un negativo, tuttavia è singolare il fatto che di essa la
filosofia non faccia menzione. Quasi un riguardo “pietoso” per la sfortuna di chi nasce donna»116.
1.4.4. Hegel e l’autocoscienza
Una delle maniere pratiche per risolvere il problema del soggetto umano
che non è uno ma due, è stata individuata dalla filosofia occidentale nella
subordinazione di un sesso all’altro. In Hegel è ravvisabile la ricerca della
soluzione teorica al problema utilizzando la soluzione pratica descritta
dallo stato di soggezione del sesso femminile. Con il filosofo di Jena il
discorso dimostrativo, da astraente e deduttivo, qual era nel pensiero classico, si è fatto mediatore e dialettico per poter comprendere il reale fino
alla sua concreta singolarità e proprio grazie alla sua tesi che la sostanza
è soggetto, è possibile individuare alcuni termini che consentono di formulare la questione della differenza sessuale. La politica, infatti, che ha
connotato il femminismo porta un nome inequivocabilmente hegeliano:
pratica dell’autocoscienza. Per Hegel, la ragione della differenza sessuale
ha significato solo nella famiglia, poiché al di fuori di essa la conoscenza
“non progredisce”117 scrive il filosofo. Cioè, quando il soggetto mira all’universale fuori della sfera familiare occupandosi di politica, economia,
Cfr. P. Salvucci, L’uomo di Kant, cit., pp. 230-235.
A. Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, cit., p. 55.
117
Cfr. G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, trad. it. di B.
Croce, Bari, Laterza, 1980, voll. 2.
115
116
59
ecc., la differenza sessuale di fatto non ha significato. Di ciò, però, ci viene
fornita solo una articolata osservazione, non certo la ragione.
Nella Fenomenologia118 Hegel argomenta, cercando di dare una risposta al problema, che l’uomo supera il dato naturale del suo essere uomo/
donna (che è un caso naturale dovuto alla nascita) in virtù della famiglia,
dove i due sessi che sono il soggetto umano si dividono la differenza della
“sostanza etica”: la donna assume su di sé la legge divina e l’uomo quella
umana. Dalla dialettica di questi elementi si costituiscono appunto i rapporti tra moglie-marito, genitori-figli, fratello-sorella.
Un problema ulteriore si pone quando bisogna spiegare come riesce la
famiglia a dare luogo alla vita sociale e culturale, uscendo fuori da sé. Nel
suo processo autoriproduttivo, infatti, la famiglia genera al suo interno
esseri umani segnati dalla differenza sessuale. Tuttavia questa differenza
si ripresenta in una coppia, fratello-sorella, che non essendo ordinata alla
procreazione, si presenta nella forma più alta di relazione sessuale aliena
da subordinazione di un sesso all’altro e di entrambi alla natura119. In
questo Hegel ravvisa l’ulteriore aprirsi della famiglia al progresso spirituale.
«Questa relazione (fratello-sorella)» scrive Hegel «è il limite raggiunto il quale si risolve la famiglia in sé conchiusa, procedendo oltre se stessa.
Il fratello è il lato secondo cui lo spirito della famiglia diventa individualità che si volge verso altro e passa nella coscienza dell’universalità».
L’ingiusto esito unilaterale di questa soluzione, secondo il filosofo, è
ordinato a una superiore giustizia, tuttavia, non apprezzata dalla sorella
che, per il fatto che resti in famiglia e diventando moglie, non riesce a
comprendere i fini universali della comunità sociale, perché resta legata al
particolare. Da ciò deriverebbe il suo atteggiamento irrisorio e irriverente verso la società che nei suoi confronti attua, giustificandola, forme di
oppressione sociale.
Evidentemente Hegel descrive e motiva come rispondente alla ragione, non inventa, l’oppressione che la società attua nei confronti del sesso
femminile con una modalità che si autoriproduce. Questo gli consente
di argomentare come femminile e maschile siano ugualmente essenziali,
Cfr. G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, trad. it. di E. De Negri, Firenze,
La Nuova Italia, 1973.
119
Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., pp. 119-209.
118
60
però non possono sussistere l’uno accanto all’altro perché il loro sussistere diversi e ugualmente essenziali contraddice l’unità del pensiero che si
pensa. Come tali perciò tramontano. Così si ripresentano nell’unità del
pensiero: il maschile come il lato che, consapevole della sua unilateralità,
l’ha superata, il femminile come il lato che resta nell’immediatezza ed è
tenuto all’obbedienza120.
Secondo l’interpretazione delle autrici di Diotima, la teoria hegeliana
della differenza sessuale lascia senza soluzione razionale due problemi. Il
primo, di cui lo stesso Hegel aveva avuto sentore, è l’inevitabile oppressione cui si trova sottoposta la donna all’interno della famiglia. Infatti,
quando la donna da sorella diventa moglie, perde nei confronti del marito
la libertà spirituale di cui aveva goduto nei confronti del fratello. Sembra
assurdo che il progresso spirituale debba procurare un simile effetto di
perdita della libertà121.
Il secondo problema, non avvertito da Hegel probabilmente per motivi
di scarsa evidenza sociale122 , è la contraddizione in cui si trova la donna
che esce dalla famiglia ed entra nella comunità politica o scientifica. Per
entrare in questa dimensione estranea alla famiglia, secondo il filosofo,
bisogna che il singolo assuma un carattere virile. Questo però è un processo in cui il soggetto maschile perde il suo sesso particolare per ritrovarlo nell’universale, mentre il soggetto femminile perde il suo e non lo
ritrova, entrando così in contraddizione con il fatto di essere donna123.
Nella filosofia hegeliana è possibile riscontrare elementi fondanti di
derivazione aristotelica, volti ad argomentare il discorso sulla differenza
sessuale.
La consumazione del reale è possibile, secondo Hegel, solo attraverso il
movimento dello spirito, essenza soggettiva (maschile), all’interno della
molteplicità, verso la comprensione della totalità del reale. Totalità che,
divenuta cosciente di sé, ha realizzato l’ambita meta divenendo autocoscienza. Questa si specifica nel suo rapporto con l’oggetto, del quale essa
sperimenta l’estraneazione; coglie, cioè, nella materia sensibile, così come
l’ha determinata l’intelletto con le sue categorie (concettuali), ciò che ha
Cfr. C. Zamboni, G. Zanardo, La differenza sessuale: da scoprire e da produrre,
in Aa.Vv., Diotima, cit., pp. 10-14.
121
Ivi, p. 13.
122
Ivi, p. 14.
123
Ibidem.
120
61
rapporto con il suo appetito, sicché l’oggetto rispecchia la coscienza tutta
estranea a se stessa nel desiderio di appagamento124.
«L’oggettualità, la materia […] è dunque l’astratta e indeterminata riflessione in Altro»125.
Come uno specchio, l’Essere-coscienza-di-sé, riflette la propria immagine sull’oggetto percependo la sua oggettività, divenuta Altro. Uscita
fuori di sé, dopo aver esperito la oggettualità esterna, il concetto ritorna al principio: l’immagine speculare ritorna a colui che si riflette126. La
femminilità si ritrova, in questo modo, a essere mediazione effettiva ed
esterna, volta a riconciliare il soggetto con se stesso. Ma il processo non si
esaurisce qui: il continuo movimento dell’essere conduce il maschile verso il femminile, il soggetto verso la sua oggettualità esterna, e viceversa, in
una perpetua copula priva di desiderio.
Attraverso la mediazione dell’Altro, il soggetto si realizza concretamente come genere: «il genere si produce in esso come un effetto contrario
alla sproporzione della sua realtà individuale, come un desiderio di ritrovare, unendosi a un altro individuo della sua specie, il sentimento di sé, di
completarsi e di calare in tale modo il genere entro la sua natura portandolo all’esistenza. Questo è l’accoppiamento»127.
Per un istante maschio e femmina si riconoscono in un medesimo sé.
Istante in cui lei, in quanto madre-materia (eredità aristotelica) manca,
però, di un proprio riconoscimento che può derivarle soltanto dall’altro;
l’elemento maschile è così investito di un valore privo di reciprocità. La
stesso Hegel, come abbiamo già avuto modo di osservare, conferma che
affinché si realizzi tale mediazione è necessario che vi sia differenziazione
fra i sessi.
«Conseguenza di tale differenziazione è che l’uomo è il principio attivo, mentre la donna è il principio passivo, poiché permane nella propria
unità non sviluppata»128.
È evidente, qui, la vitale sopravvivenza delle idee aristoteliche; per cui
nella coppia uno è attivo, l’altro è passivo e, naturalmente, la parte passiva
viene affidata alla donna anche quando per un momento, nella coppia
Cfr. G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., vol. I, p. 159.
G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, cit., vol. I, p. 123.
126
Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., pp. 12-14.
127
G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, cit., vol. II, p. 337.
128
Ivi, p. 336.
124
125
62
fratello-sorella, sembra che la purezza di questo rapporto paritario fondi
una fondamentale uguaglianza di ruoli. Ma dura solo un momento129.
La differenza dei sessi proposta da Hegel appare, dunque, come diversità dei ruoli che la società produce e tramanda come stereotipi: al
maschio si riconosce la necessità di agire, il diritto di praticare attività vietate alle donne; alla femmina è riconosciuta solo la “necessità”
di essere e adempiere alla sua funzione sociale nella procreazione130.
Questa contrapposizione dei ruoli rappresenta uno dei motivi di base
della diversità fra i sessi. Diversità che ha sede nell’uomo medesimo
il quale, ponendosi aprioristicamente come universale, ammette successivamente se stesso come uno dei due sessi nei quali l’universale si
specifica.
«Se la filosofia è stata finora e sempre, fin dalle origini greche, costruzione del luogo del Medesimo (il sé), a cui ogni alterità è stata ricondotta
in nome di una relazione impersonale in un ordine universale»131, qui,
in Hegel e in Kant, «gli esseri, nella loro concretezza, nella loro umana
finitezza e nella differenza sessuale che li affetta, sono stati ricondotti al
neutro dell’Idea, dell’Essere e del Concetto»132 .
1.5. Al principio del III millennio
1.5.1. La liberazione della donna. Genesi e sviluppo di un’idea
Acquista per noi un fascino particolare la prospettiva secondo cui è possibile “leggere” la storia avendo come filo conduttore non solo le idee che
si sono prodotte per connotare la donna, ma anche ciò che essa stessa ha
prodotto nel corso dei secoli per scrollarsi di dosso il pesante giogo del
maschio. Secondo questa ottica è possibile individuare un “filo rosso” che
attraversa tutta la storia dell’umanità e che lega le vicende e le semantiche
che hanno visto le donne impegnate nel proprio processo di emancipaCfr. Aa.Vv., Diotima, cit., p. 11.
Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., p. 12.
131
W. Tommasi, La tentazione del neutro, in Aa.Vv., Diotima, cit., p. 96.
132
Ivi, p. 96.
129
130
63
zione. Senza con questo voler individuare necessariamente costanti della
storia, proposte da alcuni settori della ricerca133.
Varie sono le teorie tendenti a collocare storicamente i primi sforzi delle
donne nell’intento di riacquisire quella dignità e quella singolarità legata
al semplice fatto di essere differenti, ma sempre negata.
La teoria di Bachofen134, basata più su congetture che su una effettiva documentazione, pone come originario il dominio delle donne
inteso come diritto materno (Mutterrecht) correlato al sistema familiare e alla religione. Egli colloca la prima forma di vita sociale in un
periodo di promiscuità in cui l’umanità era governata da un principio
materialista arbitrario. La lussuria e la tirannia sessuale dei maschi era
esercitata sulle donne, a cui veniva riconosciuta solo la maternità. Secondo Bachofen, le donne cominciarono a lottare per liberarsi da questa violenza e ci riuscirono grazie al principio religioso secondo cui «la
fecondità della terra e la fecondità della donna sono equiparate l’una
all’altra»135 e perché «la religione è la leva più efficace di tutta la storia
della civiltà»136.
In seguito a questo nuovo ordine, caratterizzato dal predominio del diritto materno, o ginecocrazia, acquistano valore le divinità femminili e
sono le donne che fondano le famiglie, assumendo gradualmente le caratteristiche di amazzoni.
Tuttavia questo regno ginecocratico si fonda su un principio religioso
inferiore: il legame tra madre e figlio, simboleggiato dalla Madre Terra.
Gli uomini si prodigano, allora, con vari mezzi per scalzare questo predominio cercando di adeguarsi al principio femminile, cioè sostanzialmente fingendo di essere madri, imitando i sintomi della maternità. Col
tempo riescono quindi a imporre un nuovo principio fondato sullo spiIntendiamo riferirci alla particolare concezione secondo cui la storia sarebbe caratterizzata da costanti dell’utopia rivoluzionaria che improntano il “progetto della
storia”. Cfr. A. Colombo, Il destino del filosofo, cit.; Id., Le società del futuro. Saggio
utopico sulle Società postindustriali, cit.; A. Colombo (a cura di), Utopia e distopia, cit.;
C. Quarta, L’utopia platonica, cit.
134
Cfr. J. J. Bachofen, Il Matriarcato, cit. Sullo stesso argomento, da un punto di
vista di una antropologia più evoluta e dal punto di vista delle donne, cfr. I. Magli, La
femmina dell’uomo, Bari, Laterza, 1985, pp. 5-78.
135
J. J. Bachofen, Il Matriarcato, cit., p. 58.
136
I. Magli. La femmina dell’uomo, cit., p. 41.
133
64
rito, che connota la terza epoca dell’umanità: al principio di maternità si
sostituisce il principio di paternità.
Partendo da questa teoria è possibile leggere i segni e le tracce lasciate
dal matriarcato nella storia successiva come fossili guida, potendoli anche documentare secondo alcuni, tanto che molte discipline, non solo
l’antropologia, si sono adoperate variamente per cercare il discrimine che
segna il passaggio tra il diritto materno e il principio di paternità. Questo
transito ha consentito ampi margini di incertezza allorquando si è cercato di decifrare i fossili sedimentati di una presunta ginecocrazia. Dice
Luce Irigaray: «Certo in Sofocle, cioè nel passaggio ormai storicamente
concluso dal matriarcato al patriarcato, le cose non erano ancora tanto
chiare»137.
Tuttavia l’ipotesi di un originario matriarcato suscita diverse perplessità anche in relazione alla sua transizione verso il patriarcato, miticamente
simbolizzato dalla nascita di Atena, la prima donna non nata da donna, e
dalla vittoria di Teseo sulle Amazzoni, l’ultimo baluardo del diritto materno138.
Alcuni studiosi, tra cui Windelband, hanno tentato di individuare nella Grecia del V-VI secolo a. C., un movimento di idee e di rivendicazioni,
documentati dalla letteratura, ma anche da alcune istanze utopiche, che in
qualche modo potesse configurarsi come «movimento femminista»139.
Crediamo che una interpretazione di questo tipo sia alquanto azzardata
soprattutto in considerazione dei caratteri che si attribuiscono al moderno movimento femminista e di liberazione della donna non riconducibili
a quanto documentato dagli autori classici.
Come abbiamo avuto modo di argomentare, il medioevo è stato povero
di istanze tese a rivalutare la donna. A maggior ragione non è possibile leggervi tracce di quello che noi intendiamo per femminismo, a parte
L. Irigaray, Speculum, cit., p. 202.
Per questa interpretazione della lotta di Bellerofonte contro le Amazzoni cfr. J.
J. Bachofen, Il Matriarcato, cit., p. 58 ss. Altri studiosi ritengono che il mito delle
Amazzoni, come quello delle Lemnie non rappresenti tanto «un momento di potere
matriarcale», quanto piuttosto un tentativo compiuto dal potere maschile di «esorcizzare l’idea di un eventuale potere femminile»: E. Cantarella, L’ambiguo malanno,
cit., pp. 26-27.
139
Cfr. C. Quarta, L’utopia platonica, cit., pp. 251 e 286; G. Windelband, Platone,
trad. it., Palermo, Remo Sandron, 1914, p. 172.
137
138
65
Christine de Pisan che in una sua opera individuava già allora nei condizionamenti sociali, e in particolare nella mancanza di un’adeguata formazione culturale, l’origine della condizione svantaggiata della donna140.
In età moderna bisogna aspettare la Rivoluzione francese perché le donne si organizzino in qualche maniera per rivendicare le proprie posizioni
di “Liberté, égalité, fraternité”. Tuttavia le aspettative di emancipazione
suscitate al nascere della rivolta, soprattutto in ordine ai diritti civili, furono tragicamente deluse.
Nel 1867, Stuart Mill, davanti al Parlamento inglese pronunciava ufficialmente la prima arringa in favore del voto alle donne. Nel 1869, Lèon
Richier, considerato da Simone De Beauvoir come il “vero fondatore del
femminismo”141, creò un movimento di idee, i “Diritti della Donna”, e
organizzò il Congresso internazionale del Diritto delle donne, tenuto nel
1878.
Dalla fine del 1770 in poi si assiste all’acquisizione progressiva, da parte
delle donna, di una coscienza della propria condizione che si esprimerà
a seconda dell’ideologia nella quale riusciranno a incapsularla. È forte
in questo periodo l’istanza, che si è protratta fino ai nostri giorni, tesa a
rivendicare per le donne l’acquisizione della parità dei diritti civili142 .
Il XIX secolo vede nascere due correnti di pensiero che avranno grande
influenza sul “pensiero delle donne” e sul “pensiero sulle donne”. Intendiamo il marxismo e la psicoanalisi.
Per quanto riguarda il marxismo, l’idea che ha accompagnato le rivendicazioni del movimento femminista di indirizzo radicale e socialista fino
ai giorni nostri risiede soprattutto nell’analisi di Engels sulla famiglia143.
Il problema della subordinazione delle donne, insieme alla necessità di
una loro liberazione, è stato riconosciuto da tutti i grandi pensatori soCfr. M. T. Garutti Bellenzier, Per un «far memoria» della questione femminile, cit., p. 11.
141
Cfr. S. De Beauvoir, La storia dell’occupazione femminile, in S. Liaci Ruggiero, Il mutamento sociale e la donna, Bari, Il Pentagono, 1977, p. 170
142
Per una sufficiente documentazione sulle richieste e le conquiste delle donne in
campo storico e giuridico-sociale cfr. ivi, compresa la copiosa e puntuale bibliografia
riportata in fondo al volume; C. Saraceno, Dalla parte della donna, Bari, De Donato, 1971.
143
Cfr. F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato, Roma,
Editori Riuniti, 1970.
140
66
cialisti dell’800, tuttavia nel corso del tempo ha subito una perdita di
importanza, è stato trascurato. Da August Bebel, che accusava i socialisti
di non riconoscere come la dipendenza della donna dall’uomo avesse lo
stesso rapporto tra capitale e proletariato144, a Fourier che considerava il
grado di emancipazione femminile come la misura naturale dell’emancipazione universale145, a Marx che considerava la donna un simbolo, una
entità antropologica, una categoria ontologica molto astratta (negli scritti
giovanili)146, fino a non nominarla più negli scritti della maturità in cui
viene presa in considerazione solo la dimensione storica della famiglia147,
si assiste a un progressivo disinteresse per l’argomento148.
Engels porta l’analisi della condizione della donna all’interno della
teoria economica marxiana e attraverso questa la esamina, facendo risalire l’ineguaglianza dei sessi a un originale antagonismo fra di essi, considerato come il primo contrasto di classe. Egli riduce il problema della
donna alla sua incapacità lavorativa, attribuendo quindi alla sua debolezza fisiologica la causa primaria della sua oppressione. Di conseguenza,
se l’incapacità lavorativa è la causa della sua inferiorità sociale, sarà l’attitudine al lavoro a portare verso la sua liberazione149. Lo stesso Lenin,
sebbene suggerisca alcune indicazioni, non è capace di andare oltre, come
il precedente pensiero socialista, di superare l’equazione aprioristica che
indica la coincidenza dell’affermazione storica del socialismo con la liberazione della donna, di dimostrare concretamente come questo affermarsi ne avrebbe trasformata la condizione150. Fino a questo momento, la
liberazione femminile rimane un ideale normativo, aggiunto alla teoria
socialista più che strutturato integralmente in essa.
Un notevole passo avanti si riscontra nella voluminosa opera di Simone
De Beauvoir, Il secondo sesso, uno dei maggiori contributi sull’argomento.
Il centro di interesse qui è la condizione della donna nei secoli. È inteCfr. J. M1tchell, La condizione della donna, Torino, Einaudi, 1972, p. 84.
Ivi, p. 84.
146
Cfr. K. Marx, Proprietà privata e comunismo, in Id, Manoscritti economico-filosofici
del 1844, Torino, Einaudi, 1949, p. 110.
147
Cfr. K. Marx, Il capitale, Roma, Editori Riuniti, 1970,1, 2, p. 203.
148
Cfr. C. Saraceno, Dalla parte della donna, cit., pp. 25-29.
149
Cfr. F. Engels, Op. cit., pp. 93, 101, 193.
150
Cfr. V. Lenin, I compiti del proletariato nella rivoluzione attuale, in Id., Opere Complete, voll. 24, Roma, Editori Riuniti, 1966, pp. 9-15.
144
145
67
ressante però che il socialismo emerga da questa ricerca come soluzione
stranamente contingente alla fine del libro, in un sommesso epilogo. La
principale innovazione teorica della Beauvoir è la fusione delle due spiegazioni, “economica” e “riproduttiva”, della subordinazione femminile in
una interpretazione psicologica di entrambe151.
I classici della letteratura socialista sul problema delle donne sono,
quindi, soprattutto economicisti e insistono soltanto sulla subordinazione femminile agli istituti della proprietà privata. La condizione biologica
della donna accentua sia la sua debolezza come produttore nei rapporti di
lavoro che la sua importanza come oggetto di proprietà nei rapporti produttivi. Il tutto si risolve con l’affermazione che il socialismo porterà con
sé la liberazione delle donne come uno dei suoi “momenti costitutivi”152 .
Con l’affermarsi delle teorie di Freud e della pratica psicoanalitica, un
ulteriore apporto viene fornito al problema della emancipazione della
donna. Le tesi di Freud, soprattutto grazie all’empirismo postfreudiano
che ha bloccato tutti i tentativi freudiani di analisi delle differenze sessuali in una rigidità cruda e offensiva, hanno suscitato vivo interesse, ma
anche feroci critiche tra le femministe del movimento radicale. Tuttavia
dalla critica, dagli anni ’60 del secolo scorso in poi, dalle teorie psicoanalitiche si sono potute enucleare posizioni a sostegno di una analisi dell’essere donna. Infatti, per uno studio sulle donne è importante considerare
i metodi di una scienza della mente, di una teoria che tenta di spiegare,
prescindendo dai suoi dogmatismi, come le donne diventano donne e gli
uomini diventano uomini. Dice Freud: «In accordo con la sua particolare natura, la psicoanalisi non cerca di descrivere cos’è una donna – né
questo è un compito che essa sia in grado di assolvere ma si accinge a ricercare come essa divenga tale, come venga fuori una donna da una creatura
infantile con disposizioni bisessuali»153.
«La linea divisoria fra il piano biologico e quello sociale che trova la
sua espressione nella famiglia – questa è la terra incognita che la psicoanalisi vuole esplorare, la terra in cui si origina la differenziazione dei sessi.
Che poi Freud, a livello personale, avesse un atteggiamento reazionario
Cfr. S. De Beauvoir, Il secondo sesso, Milano, Il Saggiatore, 1961.
J. Mitchell, La condizione della donna, cit., p. 89.
153
S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, XXXIII, La femminilità, in Id., Opere,
Torino, Boringhieri, 1970.
151
152
68
nei confronti delle donne, non tocca affatto la sua scienza, né di scienza si
tratterebbe se così fosse»154.
La riflessione delle donne sulla propria condizione deve molto alla psicologia in generale, e alla psicoanalisi in particolare, non solo alla teoria
in sé, quanto piuttosto alle problematiche e alle discussioni suscitate fin
dai tempi di Freud, che hanno posto in evidenza come la psicoanalisi, al
di là delle specifiche e discusse teorizzazioni, tipo “l’invidia del pene”, ha
rese avvertite le donne sulle potenzialità di analisi della teoria stessa in riferimento all’indagine sul problema donna. Tanto è vero che all’interno
del Women’s Liberation Movement si riscontrano, oltre alle critiche, riconoscimenti epistemologici alla psicoanalisi155. Anche nell’attuale versione
del femminismo, che annovera tra le tante posizioni anche il “pensiero
della differenza sessuale”, è possibile riscontrare posizioni critiche156 che
si accompagnano ad analisi di riconoscimento per la teoria psicoanalitica
alla quale si attribuisce l’indiscusso merito di aver proposto il “desiderio”
alla base prefilosofica della filosofia, «condizione fondamentale di enunciazione di un cogito femminile»157.
1.5.2. Dall’eguaglianza alla differenza
La “questione femminile” si è andata alimentando man mano che un
sempre maggior numero di donne prendeva coscienza della propria condizione, da sempre gravata da pesanti condizionamenti, ingiustizie e negazioni. Questa presa di coscienza ha conosciuto momenti forti, ma anche fasi di regresso e di sconfitta, traendo alimento da motivazioni sociali,
culturali, economiche, scientifiche, giuridiche, filosofiche e teologiche; ha
acquistato forza dalle esperienze comuni di masse femminili sollecitate e
motivate a guardare con coscienza critica alla propria condizione. Ha impegnato battaglie su fronti diversi e, comunque, laddove la donna risultava trattata ingiustamente, avendo profeti lontani nel tempo e inascoltati,
J. Mitchell, La condizione della donna, cit., p. 183.
Cfr. ivi, pp. 168-190.
156
Cfr. L. Irigaray, Speculum, cit., pp. 9-126.
157
R. Braidotti, Commento alla relazione di Adriana Cavarero, cit., p. 197. Cfr. anche F. Molfino, I possibili spazi della conoscenza psicoanalitica, in Aa.Vv., La ricerca
delle donne, cit., pp. 203-219.
154
155
69
e anche martiri, ha cercato vie risolutive di volta in volta più rispondenti
alle mutate situazioni storiche. Il far storia delle donne assume allora una
connotazione tipica: anche quando si possono individuare nomi e figure
precise, in qualche modo eccezionali, pure il loro parlare, il loro lottare e
operare si riferisce, si sostanzia e trae forza da tutto un mondo femminile
che non aveva, e spesso non ha ancora voce ma che nel suo anonimato e
nella sua non ufficialità storica è soggetto di storia158.
Non è possibile, se non per una astrazione relativa al metodo della ricerca, distinguere nettamente le varie correnti o le forme attraverso cui
il femminismo si è manifestato, utilizzando categorie di ordine esclusivamente ideologico. Né è altrettanto possibile distinguere nettamente le
fasi che il femminismo ha percorso storicamente. È possibile, tuttavia,
utilizzando alcune semplificazioni che tengono conto di elementi caratterizzanti, individuare alcune posizioni attraverso cui il movimento delle
donne è passato assumendo particolari connotazioni in riferimento all’idea portante.
Una delle prime espressioni, in età moderna, della coscienza femminile
verso l’acquisizione di più ampi ambiti di autonomia, è stata la rivendicazione del “diritto di voto per le donne”. La lotta per il suffragio femminile
si è svolta per lungo tempo, non esaurendo, tuttavia, la questione poiché
dietro al rifiuto di riconoscere alle donne il diritto di recarsi alle urne
si celavano culture e interessi che accomunavano il mondo ecclesiale e il
mondo laico, compresi i partiti della sinistra storica che a lungo minimizzarono la questione femminile. Lo stesso sbarramento si riscontrava nei
confronti di altre rivendicazioni femminili, soprattutto nel campo dell’istruzione e in campo professionale.
Si giunge così a uno stadio inteso come emancipazione della donna in
cui la questione femminile viene identificata quasi esclusivamente con i
problemi delle lavoratrici, specie se con carichi familiari. Da questa impostazione nasce tutta una serie di rivendicazioni, sindacali, politiche e giuridiche che, per esempio, in Italia hanno prodotto la riforma del diritto
di famiglia159. Questa prospettiva oggi in complesso è superata e criticata,
Cfr. M. T. Garutti Bellenzier, Per un «far memoria» della questione femminile, cit., pp. 10-12.
159
Cfr. ivi, pp. 16-18; C. Saraceno, Dalla parte della donna, cit.; S. Liaci Ruggiero, Il mutamento sociale e la donna, cit. La Riforma del diritto di famiglia in Italia
è una riforma realizzata attraverso la legge 19 maggio 1975, n. 151. Tale norma giu158
70
anche se nessuno nega la rilevanza dei problemi legati al lavoro della donna, il suo inserimento nella vita sociale e politica e di una legislazione che
affronti e risolva nodi spesso drammatici della vita femminile.
Con l’entrata in crisi del concetto di emancipazione, la questione femminile viene affrontata sotto l’ottica della “liberazione”, ottica dalla quale si intendeva guardare la questione non solo servendosi di una chiave
di lettura economico-giuridica o politico-sociale, ma servendosi anche
degli apporti delle scienze umane. Dall’analisi di una perenne assenza
della donna come soggetto di storia e della sua condizione di emarginata
dalla cultura ufficiale, emerge che la causa di emarginazione femminile risiede soprattutto nell’essere stata confinata da sempre nella sfera del
privato, nella famiglia. Poiché sia il privato, come ambito giuridico, sia
la famiglia come istituto sociale, non sono potuti entrare nella storia ufficiale160, anche la donna vi è stata espunta. Si arriva così al centro della
questione femminile che consiste pur sempre nel problema del rapporto
donna-famiglia che, per quanto dibattuto, resta un punto di riferimento
ineludibile. La messa in discussione della presunta naturalità dei ruoli ha
permesso di rifiutare il concetto che definisce la donna “in funzione di”.
Da queste posizioni e intorno a queste tematiche di fondo si manifesta
e prende corpo un movimento che assume il nome di “neofemminismo”.
Questo, prendendo le mosse dal best-seller di Betty Friedan, La Mistica
della femminilità, pubblicato negli anni ’60 del secolo scorso, denuncia
i pesanti condizionamenti delle donne e la fine delle illusioni legate alla
istruzione, alla democrazia, alla scienza e alla tecnica intese come garanzia per la parità dei sessi. Alcuni eventi che si verificano intorno agli anni
’60, come la “rivolta studentesca”, la “rivoluzione sessuale”, alcune rielaridica ha modificato sostanzialmente la disciplina del diritto di famiglia precedente
attraverso la modifica e l’integrazione di alcuni articoli del codice civile. In particolare
intervenendo sul principio di eguaglianza tra i coniugi (si passa dalla potestà maritale
all’eguaglianza fra coniugi), sul regime patrimoniale della famiglia (separazione dei
beni o comunione legale/convenzionale) e sulla revisione delle norme sulla separazione
personale dei coniugi (dalla separazione per colpa alla separazione per intollerabilità
della prosecuzione della convivenza).
160
Cfr. I. Magli, La donna problema aperto, Firenze, Vallecchi, 1974. Vedi in Aa.Vv.,
La ricerca delle donne, cit., i saggi: R. Fossati, Femminismo e storia orale, pp. 277
ss.; L. Passerini, Storia orale: dalla denuncia dell’esclusione all’interpretazione della
soggettività, pp. 262 ss.; P. Di Cori, Prospettive e soggetti nella storia delle donne. Alla
ricerca di radici comuni, pp. 96 ss.
71
borazioni critiche della psicoanalisi, la denuncia alla società consumistica
e massificante, confluiti in una crisi culturale, riaprono la questione femminile su posizioni innovative.
L’elaborazione teoretica, nel tentativo di individuare le radici della condizione negativa femminile, porta le donne del movimento a una posizione
sconcertante: dopo tante proclamazioni e richieste di uguaglianza fra i sessi,
questa stessa presunta uguaglianza viene rifiutata, almeno nel senso comunemente intesa. Il neofemminismo parla, quindi, ampiamente di diversità
(o specificità) della donna. Si tratta, però, di una diversità intesa non più
come mancanza, menomazione, ma come ricchezza, come possibilità delle
donne di pensarsi diverse. Da qui, attraverso l’opera di Simone De Beauvoir,
per arrivare all’attuale “pensiero della differenza sessuale”, il passo è breve.
1.5.3. Il pensiero della differenza sessuale
In seguito all’affermazione del “femminismo diffuso”161 oramai riconosciuto in tutte le società occidentali, una più concreta azione giuridica e sociale
in genere permette teoricamente non solo la tutela, la parità o la singolarità
delle donne, ma anche la possibilità alle donne di pensare e di pensarsi.
Nel campo delle scienze umane, ma soprattutto della filosofia, negli
anni ’70 del XX secolo, Luce Irygaray ha prodotto un modo nuovo di
pensarsi delle donne come “soggetto”, partendo dal dato originario di
essere sessuate al femminile, differente dall’essere sessuati al maschile, e
ponendo la differenza sessuale come problema epocale.
Scrive Elda Guerra: «Con il termine femminismo intendo riferirmi a un corpus
complesso di teorie e di pratiche che attraversa gran parte degli ultimi due secoli e che
negli anni Sessanta e Settanta si è espresso – come d’altra parte era accaduto in altri
periodi storici – nella forma visibile, allargata e coinvolgente del movimento. Tuttavia
tale corpus, almeno questa è la mia convinzione, è nato e si è sviluppato con andamenti
non lineari per un tempo molto più lungo venendo a costituire una delle culture politiche dell’età contemporanea. […] Di qui anche la declinazione plurale “femminismi”,
sia in senso diacronico, sia in senso sincronico per tentare di dare conto delle pluralità
delle forme, della molteplicità delle voci e dei gesti in cui si è incarnata l’espressione
soggettività femminile, in termini di soggettività politica»: E. Guerra, Una nuova
soggettività: femminismo e femminismi nel passaggio degli anni Settanta, in T. Bertilotti, A. Scattigno (a cura di), Il femminismo degli anni Settanta, Roma, Viella,
2005, pp. 26-27.
161
72
Da questo punto di vista, si imputa la mancata elaborazione, fino a ora, della differenza sessuale al dominio storico esercitato dagli uomini sulle donne.
Da sempre la donna ha avuto rapporti con il mondo grazie alla mediazione dell’uomo. Sorge allora la necessità di pretendere di aprire le forme del
sapere affinché sia chiaro ciò che in esse è solidale con un simbolismo sessuato al maschile e si accolgano nuove forme simboliche rispondenti all’esperienza femminile. Forme inusitate, da scoprire e da inventare. Il pensiero
della differenza sessuale diventa allora inventore di mediazioni femminili.
L’interrogarsi sui rapporti tra il dominio sessista e le forme del discorso
dimostrativo, in filosofia e nelle scienze, diventerà il compito del pensiero della differenza sessuale. Questo interrogarsi permetterà di scollare
le convinzioni psicoanalitiche di una indifferenziata esperienza sessuale
originaria tra maschio e femmina e permetterà di risignificare i complessi
e gli ambiti della sfera sessuale infantile. Permetterà di affermare che la
scienza non è neutra.
Infatti, oggi biologia e neurofisiologia ammettono e sostengono, per
certi versi, la sessuazione degli atti cognitivi sulla base di una organizzazione cerebrale differenziata dei due sessi che influirebbe su alcuni ambiti
del comportamento, quali quelli relativi alle competenze linguistiche, alle
abilità spaziali, all’emozione. Queste diversità finora hanno contribuito
ad arricchire e giustificare l’argomentare di una presunta inferiorità della
donna. Manca ancora una elaborazione teorica compiuta che sappia interpretare e leggere, in opposizione agli schemi culturali correnti, il cervello e
il corpo femminile in termini di alterità positiva. Tuttavia, sia la biologia,
che la linguistica, sia l’antropologia, che la teologia, sia gli studi storici che
la storia sociale e la sociologia ci dicono oggi di come la differenza sessuale
è fondamentale nel ripensare concetti capaci di spiegare i fatti.
La differenza sessuale, prima di avere un significato, è “significante”162 ,
per cui il processo di attribuzione di senso al mondo da parte di un soggetto la cui datità costitutiva è “essere un corpo di donna”, significa il mondo
stesso in maniera differente da come può significarlo un essere maschile.
Questo indica che l’indagine sulla differenza sessuale procede con l’elaborazione simbolica della differenza stessa da parte del pensiero che indaga163.
Cfr. L. Muraro, Paradigma della differenza sessuale, in «Note», Università degli
Studi di Lecce, anno X, marzo 1990.
163
Aa.Vv., Diotima, cit., p. 32.
162
73
Uno dei nodi che il pensiero della differenza sessuale ha cercato di sciogliere riguarda il problema di fondo della differenza sessuale: come può
significarsi l’essere donna, come può uscire dalla sua intimità senza parole, in un ordine sociale e simbolico che definisce il soggetto femminile
per opposizioni e somiglianze con il soggetto maschile, e questo per se
medesimo?
La soluzione affannosamente e, a volte dolorosamente, cercata è nella
consapevolezza che la differenza sessuale, da oggetto pensato, si renda significante164, si faccia cioè pensiero pensante. Perché il femminile abbia
cittadinanza e possa circolare nel discorso della scienza e della politica
senza essere subalterna, occorre che la donna disponga di una mediazione
femminile per rapportarsi a sé e all’altro da sé. Questo nella consapevolezza che tra il mondo degli uomini e il mondo delle donne esiste una irriducibile asimmetria: «La donna non è in rapporto dialettico col mondo
maschile. Le esigenze che essa viene chiarendo non implicano un’antitesi,
ma muoversi su un altro piano»165.
La ricerca e la costruzione di questa struttura simbolica di mediazione
mancante è l’opera teorica e politica a cui attende il pensiero della differenza sessuale.
La portata di questa impostazione della riflessione filosofica è nodale
per il processo di identificazione che la donna a partire dai primi anni
del 1970 ha intrapreso, anche per riuscire veramente a pensare la filosofia
come la scienza delle ragioni e non della Ragione.
«Il compito di pensare la differenza sessuale è così un compito arduo
poiché essa giace nella cancellazione sulla quale il pensiero occidentale si è
fondato ed è cresciuto. Pensare la differenza sessuale a partire dall’universale uomo significa pensarla come già pensata, ossia pensarla attraverso le
categorie di un pensiero che si regge sul non pensamento della differenza
stessa»166.
Cfr. M. Forcina, Dalla ragione non totalitaria al pensiero della differenza, cit.,
pp. 208-216.
165
C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, Milano, Ed. Rivolta femminile, 1974, p. 32.
166
A. Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, cit., p 48.
164
74
Capitolo II
Il principio dell’uguaglianza
e le istanze della differenza
Pasquale Luigi Di Viggiano
2.1. Eguaglianza e inclusione
La riflessione teorica e sociale in età moderna avente come argomento
le istanze delle donne, che si colloca tra la fine del XX secolo e gli inizi
del XXI, si arricchisce attraverso il progressivo, ma rapido, attestarsi di
una innovazione tecnologica legata soprattutto all’informatica e alle sue
applicazioni alle comunicazioni, fino a giungere a definire la società come
esito di comunicazione1 e le connessioni sociali come agire comunicativo2 .
Le stesse rivendicazioni femminili sono costrette a confrontarsi con
nuove possibilità che producono nuove semantiche in relazione al principio di eguaglianza, invocato nelle espressioni di protesta dei movimenti
femminili del XX secolo, ma anche con le possibilità che si intersecano
con le più avanzate attestazioni della differenza di genere. La storia sociale delle donne nel rapporto con i diversi sistemi sociali si può descrivere
utilizzando idee come uguaglianza, giustizia, fiducia, potere, rischio, razionalità, diritto, ecc.
Un problema sociale con cui le donne si sono dovute confrontare è
rappresentato dalla possibilità di una loro inclusione sociale, partendo,
come già osservato, da pratiche e teorie di esclusione a cui il genere femminile è stato sottoposto nel corso dei secoli e che ancora troppo spesso si
manifestano. Osservare attraverso la distinzione della forma inclusione/
esclusione quali sono i paradossi che emergono nella struttura complessa
1
2
Cfr. N. Luhmann, R. De Giorgi, Teoria della società, Milano, FrancoAngeli, 1992.
J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, voll. I e II, Bologna, il Mulino, 1997.
75
della società che attraverso la differenziazione funzionale dei sistemi sociali affronta il tema di genere, può rappresentare un punto di vista altro e
produrre modi diversi per considerare il ruolo delle donne e degli uomini
nella società contemporanea.
In particolare, l’osservazione e l’analisi attraverso il sistema sociale del
diritto consente di descrivere meccanismi sociali dell’inclusione e della esclusione delle donne operata nella normale applicazione del diritto
stesso. Mentre lo svelamento di paradossi e di meccanismi che hanno
interessato e interessano la società moderna, resi opachi dall’ideologia
dominante, consentono un altro sguardo, un altro approccio, rendono
possibile costruire altre realtà di genere differenti da quelle precedenti.
Nella costruzione di questa realtà sociale di genere, descritta con gli
strumenti dell’osservazione resi disponibili dalla contemporanea tarda
modernità, è utile riferirsi ad alcune teorie capaci di fornire un set di
strumenti in grado di scardinare ontologie stantie e pregiudizi dannosi
(o inutili) costruiti per offuscare e rendere opaco anche lo sguardo sul
tema delle donne e della differenza di genere. Ciò è reso più evidente dalla
forma della moderna società contemporanea che ha manifestato quale sia
il rapporto precario della razionalità occidentale non solo nei confronti del tempo ma anche rispetto alla persona, al soggetto, all’individuo,
all’identità del sé3. La società moderna comunica a due livelli: al livello
dell’agire e a livello dell’osservazione dell’agire. Questo universo della comunicazione costitutivo della società moderna, rappresenta il passato e il
futuro come dimensioni del presente: un passato affidato alla memoria,
che è l’attività del dimenticare selettivo, e un futuro che incombe come
un orizzonte di aspettative per il quale il presente cerca di costruire vincoli. Con questo meccanismo si costruiscono identità che si definiscono
per differenza attraverso prestazioni particolari che tengono a distanza
l’altro. Identità significa, allora, tenere a distanza. L’identità della donna,
nel XXI secolo si costruisce come alterità, come differenza nell’accesso
alla comunicazione sociale a cui concorrono determinati sistemi sociali,
come il diritto, che usa tecniche specifiche per l’evoluzione sociale attraCfr. R. De Giorgi, Multiculturalismo, identità, diritto, in Aa.Vv., Serta giuridica.
Scritti dedicati dalla Facoltà di Giurisprudenza a Francesco Grelle, tomo I, Napoli, ESI,
2011, pp. 133-148. «Una precarietà che deriva dal fatto che vecchie stabilità naturali
non funzionano più, che vecchie costruzioni dell’ordine sociale legate al passato non
sono più plausibili»: ivi, p. 144.
3
76
verso modi particolari della distribuzione delle differenze. Come la politica che con normali attività formalmente orientate verso l’inclusione
democratica, democraticamente esclude il diverso e perpetua la propria
conservazione includendo l’eguale.
«Attraverso questi dispositivi la società controlla la consistenza delle
operazioni della sua struttura, controlla le improbabilità evolutive alle
quali si espone e si assicura stabilità»4.
Attraverso le teorie costruttiviste e funzionaliste, e in particolare la teoria dei sistemi sociali di Niklas Luhmann, è possibile tentare di dare un
contributo ulteriore, da una prospettiva sociologica, all’idea di differenziazione sessuale (di genere) la cui argomentazione, pur avendo raggiunto
attualmente livelli di raffinatezza elevati, tuttavia continua a utilizzare
prospettive e punti di vista “tradizionali”. L’approccio costruttivista si
basa sull’assunto che la società moderna è funzionalmente differenziata.
Meglio: i sistemi sociali attraverso i quali è possibile descrivere la modernità sono differenziati in base alla loro funzione. Quindi significa che il
punto di partenza non è l’identità, non è la reductio a unum del molteplice, ma una distinzione tra sistema sociale e ambiente, a cui vengono connesse altre distinzioni: identità/differenza, attuale/possibile, inclusione/
esclusione, in quanto ogni forma è una forma a due lati e ogni forma è
forma di una distinzione, di una separazione cioè di una differenza, come
può essere quella tra uomo e donna. Questo orientamento a descrivere la
società come distinzioni e costruire la realtà sociale come descrizione, è
l’esito della decisone epistemologica di scegliere come centrale il concetto
di osservazione.
Per cui si può dire, con Spencer Brown e in base al suo schema euristico,
che a partire da una distinzione se ne generano altre fino a costituire una
rete di connessioni/distinzioni come prodotto dell’attività di un osservatore (sistema sociale o sistema psichico che sia). In questa accezione si
colloca anche la differenza uomo/donna come esito di una osservazione
che, nel caso della cultura tradizionale di cui abbiamo esaminato i criteri
fondativi, descrive e stabilisce una cultura della subalternità, come imposizione di una generalizzazione simbolica che assume il senso dell’identità. Nel caso della teoria dell’osservatore l’identità e la differenza non
sono una semplice qualità dei soggetti uomo/donna ma l’esito di una
4
Ivi, p. 146.
77
operazione di osservazione. Ma anche la forma “donna/uomo” differenziata è sempre una riduzione nei confronti della straordinaria ricchezza
dei rinvii di senso che ogni donna, ma anche ogni uomo, concreti può
manifestare. Ogni unità della forma differenziata, uomo/donna, è organizzata socialmente in un punto di riferimento più astratto che orienta
aspettative e che chiamiamo “umanità”. Questa astrazione si individua
come esito di un osservatore esterno il quale, solo nella sua riflessione costituisce l’identità di un sistema sociale5.
Cosa significa, allora, eguaglianza all’interno di una identità (anche di
genere) che si forma per differenza? Quali effetti producono strategie sociali
di inclusione e quali sono gli esiti di osservazione che descrivono tali effetti?
2.2.Inclusione/esclusione
Osservare, descrivere e capire quali sono i meccanismi e le strutture
dell’inclusione e dell’esclusione sociale, significa svelare le possibilità di
demistificare le demagogie egualitariste e orientare le aspettative stesse
di inclusione.
La descrizione della società contemporanea e delle possibilità di esistenza del suo ordine sociale attraverso gli strumenti dell’osservazione
sistemica rimanda ai riferimenti semantici della distinzione “inclusione/
esclusione”.
Nella società moderna, funzionalmente differenziata, ogni sistema sociale riproduce al proprio interno questa differenziazione che lo costituisce6. Ivi compreso il “sistema famiglia” all’interno del quale è collocata la
comunicazione alla persona dei partecipanti. L’insieme di tutte le famiglie
Cfr. E. Esposito, Identità/differenza, in C. Baraldi, G. Corsi, E. Esposito,
Luhmann in glossario, Milano, FrancoAngeli, 2002, pp. 122-125; N. Luhmann, R.
De Giorgi, Teoria della società, cit.
6
Cfr. N. Luhmann, La differenziazione del diritto, Bologna, il Mulino, 1990. L’analisi qui svolta per descrivere la differenziazione di un sistema sociale parziale, com’è il diritto, è strutturalmente identica alla descrizione della differenziazione di tutti gli altri
sistemi sociali: per la teoria dei sistemi sociali cfr. N. Luhmann, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Bologna, il Mulino, 1990. Id., L’economia come sistema
sociale, in Illuminismo sociologico, trad. it., Milano, il Saggiatore, 1983, pp. 235-269.
5
78
costituisce un sottosistema della società che ha funzione di includere la persona7. E mentre la comunicazione giuridica ha per medium il diritto e quella economica il denaro, la comunicazione familiare ha per codice l’amore.
La differenziazione che caratterizza, la società del mondo non consente
più la centralizzazione nella distribuzione delle possibilità di accesso alla
comunicazione sociale. Questa funzione, e le forme del relativo condizionamento, sono prerogativa dei singoli sistemi sociali. La conseguenza della
stabilizzazione di questo processo di differenziazione non consente più che
l’inclusione in un sistema sociale implichi automaticamente anche l’inclusione in altri. L’inclusione di una donna, o di un uomo, nel sistema famiglia non significa la sua inclusione anche nel sistema economico. Emerge,
in questo modo, una differenziazione tra inclusione ed esclusione che aumenta il rischio e diminuisce l’interdipendenza. E si verifica un paradosso.
«E poiché c’è inclusione solo perché c’è esclusione, nella società del
mondo la specificazione e la generalizzazione delle forme dell’inclusione
porta a un continuo incremento dell’esclusione. Se inclusione si può intendere come la tecnica del trattamento della rilevanza dei singoli come
“persone”, allora si può affermare che in questa società cresce in modo
incontrollabile la quantità delle non-persone. Altre società mettevano al
margine le non-persone, quando i margini naturali di una città o di uno
stato segnavano i confini di una società. La società del mondo non ha
queste preoccupazioni. Essa può invisibilizzare i corpi, può dimenticarli,
ma li conserva sempre all’interno di uno spazio fisico che non delimita
più lo spazio della comunicazione sociale»8.
Il normale funzionamento dei sistemi sociali produce esclusione, ma
anche inclusione e l’osservazione del loro funzionamento evidenzia i paradossi costitutivi dei singoli sistemi sociali e della società moderna. Questo vale per l’economia, per il diritto, per la politica, per la famiglia, ecc.
È pensiero comune che il diritto realizzi uguaglianza dei cittadini di
fronte alla legge e, quindi realizzi giustizia. Tuttavia: «Paradossale è il
diritto perché la distinzione tra diritto e illecito comincia da se stessa; paradossale è la struttura della sovranità perché il popolo è sovrano perché
Cfr. C. Baraldi, Famiglia, in C. Baraldi, G. Corsi, E. Esposito, Luhmann in
glossario, cit., pp. 115-117. «Le famiglie costituiscono l’unico sistema parziale della società differenziata per funzioni nel quale gli individui vengono trattati esclusivamente
come persone»: ivi, p. 115.
8
R. De Giorgi, Temi di filosofia del diritto, cit., p. 22.
7
79
è privo di potere; paradossale è l’uguaglianza perché essa è l’altra parte di
una distinzione di cui l’altra parte è la disuguaglianza. Quanto più i singoli sono uguali in quanto cittadini, tanto più i cittadini sono disuguali
in quanto singoli»9.
Quindi il diritto produce sia inclusione e sia esclusione; sia giustizia che
ingiustizia. Come produce inclusione/esclusione il sistema del diritto e
quali sono i paradossi10 che tale codice genera per il semplice funzionamento del sistema? Come si struttura la forma inclusione/esclusione negli
approcci di genere anche in riferimento al sistema giuridico? Le donne
si possono rivolgere al diritto per avere giustizia? È possibile descrivere i
meccanismi di queste operazioni.
Il presupposto moderno in base al quale ognuno può accedere al diritto
e nessuno si può sottrarre al diritto per avere diritto significa che ognuno
è incluso e nessuno è escluso (Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla
legge). Essere incluso significa che si può avere diritto solo tramite il diritto
e questo esclude ogni possibile alternativa11. Il diritto include ma anche
esclude. Il diritto penale, per esempio, opera come funzione preventiva di
un rischio. Non evita invece, paradossalmente, nessun rischio e, tuttavia,
criminalizza genere, razze, culture, etnie, nazionalità, fedi religiose. Il diritto penale si costruisce così come una struttura giuridica preventiva dell’esclusione. Ma anche il diritto amministrativo, il diritto civile, ecc. Con
questo meccanismo il diritto produce esclusione attraverso inclusione.
I cittadini di molti paesi sanno che in molte circostanze è opportuno
evitare di rivolgersi al diritto per risolvere problemi sociali. Le donne (e
R. De Giorgi, Condizioni della descrizione della complessità nella società del mondo,
p. 17, in R. De Giorgi, S. Magnolo, Mondi della società del mondo, Lecce, Pensa,
2005.
10
«I paradossi sono circolarità che se non vengono svolte, bloccano le operazioni del
sistema che essi costituiscono. Per questo i paradossi devono essere occultati. Un paradosso può essere svolto attraverso una distinzione che introduce nel sistema una asimmetria e che dispone di due parti. Si può cominciare da una parte o dall’altra parte.
Nel vostro caso il paradosso costitutivo è il paradosso dell’autofondazione del diritto,
dell’autoimplicazione del diritto stesso. In altri termini il fondamento del diritto è
costituito dal fatto che il diritto è privo di fondamento»: R. De Giorgi, Diritto e
reato nel secolo XXI, in Id., Temi di filosofia del diritto, Pensa Multimedia, Lecce, 2006,
p. 84; cfr. la voce «Paradosso», in C. Baraldi, G. Corsi, E. Esposito, Luhmann
in glossario, cit., pp. 171-174.
11
Cfr. R. De Giorgi, Diritto e reato nel secolo XXI, cit., pp. 83-96.
9
80
le periferie sociali della società moderna) ancora oggi usano strategie di
questo tipo spesso mosse dall’osservazione del fatto che il diritto riserva
un differente trattamento (giudizio) alle donne rispetto agli uomini in relazione a determinati reati (in molti casi, non solo nell’opinione comune
maschilista, una donna che ha subito violenza “se l’è andata a cercare”).
Allora, quali sono i sostituti funzionali che si sviluppano in questi casi?
Come funzionano, se funzionano e quali conseguenze producono? E tuttavia, sappiamo quasi tutti che la fiducia nei confronti del sistema politico
riguardo alla capacità di risolvere problemi è molto bassa, quindi: se non
c’è fiducia, su cosa si costruisce il consenso?
Se la legge e la politica non forniscono stabilità delle aspettative, ma piuttosto contribuiscono a sviarle in altre direzioni, come viene assorbita l’incertezza che deriva da tutto questo? E quando questa incertezza si collega
all’incertezza per il futuro, che è molto diffusa nella società contemporanea, quali sono le strutture che permettono di orientarsi nell’azione sociale?
Questo tipo di questioni legittima ancora l’osservazione della società
contemporanea attraverso la distinzione di genere? In altre parole, maschio
e femmina sono parti di una distinzione che ha senso? Oppure, non è piuttosto necessario pensare che si tratti di questioni concernenti la struttura
della società moderna e, di conseguenza, le vecchie distinzioni sono inutili
più che pericolose? Può essere utile svelare il paradosso dell’inclusione/
esclusione e superare il gap tra giustizia formale e giustizia fattuale?
Ci riferiamo al fatto che può essere utile esaminare se una differenziazione può essere applicata a se stessa. Ovvero, si tratta di vedere se la differenziazione può essere basata su se stessa e in quale delle parti che lei
distingue. Il diritto usa la distinzione tra legale e illegale, o, se si vuole,
tra diritto e non diritto. E allora, sarebbe ragionevole chiedersi se il diritto si può fondare su se stesso. Ma distinguere la società tra maschi e
femmine ha senso? E se questo ha senso, qual è il senso da attribuire alla
differenziazione dei generi, sapendo che formalmente esiste un anelito
giuridico egualitario ma praticamente la differenza è spesso sinonimo di
esclusione?
Se questa società descrive la società moderna, ha un senso allora porre
la domanda: qual è la modernità della società moderna in ragione degli
approcci di genere.
In altri lavori abbiamo osservato che la società moderna opera come un
sistema universale che non ha riferimenti esterni. I suoi riferimenti sono
81
auto-costituiti attraverso la sua stessa attuazione. Questo significa che
non vi è alcuna realtà esterna, ma solo una realtà interna che si realizza
attraverso gli stessi processi che la società produce. Da ciò derivano molte
conseguenze. Una è questa: la società moderna è presente a se stessa nella
sua esclusione universale per il fatto che essa si rappresenta come una società del mondo, del suo mondo12 . La società moderna si assume solo a se
stessa e, nella sua fase più matura, non usa più le differenze di livello, di
rango, di classe, di genere.
Da queste premesse consegue che il sistema della società non può autocompletarsi perché questo si presuppone sempre a se stesso. In altre parole, è la società che costruisce il suo futuro, ma non perché voglia farne uno
migliore, semplicemente perché non può fare altrimenti e non può sapere
quale futuro si realizzerà. Tuttavia può anche essere migliore (o peggiore)
sulla base di una comparazione operata da un osservatore.
La società moderna, a differenza delle filosofie della storia che sono descrizioni di programmi teleologici che caratterizzano la struttura di sistemi che si autoconcludono, opera senza poter vedere il suo futuro, anche
se ogni sua operazione produce un futuro. Tuttavia, è determinata dalla
sua struttura. Essa, però, non può rappresentarsi questa sua determinazione: se lo facesse, si bloccherebbe, impedirebbe a se stessa di avanzare.
Per questo la società della società nella società moderna si rappresenta il
suo operare attraverso la semantica nella quale si condensa la pluralità
delle sue prospettive delle sue osservazioni.
Per questo si immagina la democrazia come forma di governo che realizza la rappresentazione degli interessi di tutti, e pertanto si può chiedere e si può sperare in più democrazia. Una democrazia che prevede la
partecipazione delle donne, spesso escluse anche per ragioni di democrazia, cioè di decisioni della maggioranza di potere o di decisioni del
diritto13.
Cfr. N. Luhmann, R. De Giorgi, La società come sistema sociale complessivo, in
Id., Teoria della società, cit., pp. 24-30.
13
«E infatti il principio: la legge è uguale per tutti, non significa altro se non che nel
sistema sono ammesse solo le differenze che sono fissate dal sistema o, in altri termini,
che nella decisione il giudice non può introdurre differenze diverse da quelle praticate
dal diritto ed espresse nelle sue norme o impresse nei suoi principi»: R. De Giorgi,
Modelli giuridici dell’uguaglianza e dell’equità, in Id., Temi di filosofia del diritto, cit.,
pp. 133-147 (138).
12
82
Per questo che al diritto positivo, rappresentato come una tecnica di
costruzione dell’ordine sociale, si chiede più diritto. Per questo che la
politica diventa il luogo della legittimità delle decisioni collettive basate
sul consenso e si può chiedere un controllo politico più penetrante e una
guida politica della società più diffusa. La società è rappresentata come
una struttura gerarchica in cui la politica può esercitare le funzioni di
programmazione, controllo e di guida.
Per questo l’economia diventa il luogo per soddisfare le esigenze e si
può chiedere un’economia più rispettosa delle esigenze di coloro che non
hanno potere di rappresentazione. Parallelamente si afferma un’idea globalizzante secondo la quale il nuovo ordine sociale sarà affidato al mercato, nel quale si può affermare la libertà dei soggetti privati. L’assunto è:
se non funziona la selezione delle decisioni pubbliche, funzionerà senza
dubbio la selezione naturale del denaro e delle finanze. Gli esiti di questa
premessa sono gli esiti dell’attuale crisi politica, economica e sociale che
investe gran parte della popolazione mondiale.
A queste istanze si aggiunge la richiesta di una maggiore uguaglianza e,
al tempo stesso il suo contrario, una maggiore equità14, vale a dire, maggiore disuguaglianza, maggiore considerazione della differenza; la richiesta di
una più equa distribuzione delle risorse e un più incisivo rispetto per l’ambiente; la richiesta di un riconoscimento più ampio dei soggetti cosiddetti
sociali e la richiesta di una più ampia sicurezza per tutti circa il futuro.
La modernità della società moderna non ha il carattere di un programma, e tanto meno la natura di un progetto. Questa non conclude un’epoca, per non parlare della storia15. Le metafisiche attraverso le quali era
«E infatti, fissato nella costituzione, il principio secondo il quale tutti sono uguali
di fronte alla legge, significa solo che trattamenti disuguali sono possibili, purché sufficientemente motivati. Il principio allora non esclude affatto disuguaglianza di trattamento, ma la rende possibile condizionandola. Il diritto riassume al suo interno la
relazionalità dell’uguaglianza: posizioni giuridiche sono uguali o disuguali rispetto a
un tertium comparationis». R. De Giorgi, Modelli giuridici dell’uguaglianza e dell’equità, cit., p. 138. Molti dei concetti che qui sono richiamati costituiscono i fondamenti della teoria dei sistemi sociali. In particolare, la loro applicazione al tema delle
periferie sociali della modernità è contenuta in F. Castañeda Sabido, A. Cuéllar
Vàsquez, Redes de inclusiòn. La construcciòn social de la autoridad, UNAM, México,
Grupo Editorial Miguel Ángel Porrúa, 1998.
15
Sull’idea contemporanea di fine della storia, cfr. F. Fukuyama, La fine della storia
e l’ultimo uomo, Milano, Rizzoli, 1992.
14
83
stata descritta si sono concluse, perché si sono realizzate. Solo adesso la
modernità della società moderna comincia a estendere il suo potenziale
affermando il potere della differenza e della differenziazione che non produce giustizia o equità, ma solo differenza.
È possibile osservare, allora, la forma tipicamente moderna della differenziazione di questa società a seguito dell’evoluzione, e quindi, considerare un’acquisizione che permette altre acquisizioni. In altre parole,
si può vedere come la realtà di questa forma della differenziazione sia la
realtà concreta di operazioni senza riferimenti, cioè, di distinzioni, vale
a dire, di differenze che acquisiscono strutture che possono essere anche
diverse, che si trasformano attraverso la loro stabilizzazione e che, pertanto, sono altamente artificiali, cioè, storiche perché si presuppongono
soltanto a se stesse. Questo spiega l’artificialità della costruzione sociale
in cui la donna soccombeva all’uomo, con cui la donna si è emancipata, in
cui è possibile affermare principi e azioni sulla pari dignità e costruzione
delle pari opportunità per uomini e donne. Sono i livelli di civiltà conquistati (livelli di differenziazione) che descrivono il percorso evolutivo
dell’attuale società, anche se non in maniera uniforme.
Solo se si assume questa prospettiva si può vedere come nella società
moderna, allo stesso tempo, si produce una maggiore eguaglianza e una
maggiore disuguaglianza; più ricchezza e più povertà; più conoscenza e
più ignoranza; più politica e meno controllo; più legalità e più illegalità e
più democrazia e meno partecipazione; più sicurezza e più rischi.
Solo questa simultaneità delle due parti della distinzione ci permette
di osservare la modernità della società moderna; ci consente di studiare il
carattere della sua artificiosità e, di conseguenza, il suo potenziale specifico per la complessità.
Questa artificialità è universale perché rinvia alla struttura della società, della sua differenziazione, dei sottosistemi sociali. In assenza di riferimenti esterni, la società moderna realizza l’inclusione reale di tutti
attraverso l’esclusione di ogni esteriorità, attraverso l’esclusione di ogni
determinazione che non sia propria della sua struttura. Questa società è
universale perché universale è la sua forma di inclusione. Non solo nessuno è fuori dalla società, ma tutto ciò che è possibile è possibile solo
socialmente ed è disponibile per tutti, nessuno escluso.
L’accesso alle potenzialità di ciò che è sociale è per tutti e non ci sono alternative. Le differenze, quindi, non sono differenze relative all’esteriore,
84
ma differenze che si verificano per l’esclusione universale di tutte le differenze. Pertanto, l’inclusione universale genera universale esclusione. Non
c’è alternativa se non all’interno dell’esclusione. Le denominate soggettività non sono proprietà naturali, e tanto meno spirituali: queste sono
prodotte nell’inclusione. “Se riconoscimento è inclusione, solo la pratica
dell’inclusione genera le differenze”.
Nella società moderna il trattamento dell’integrazione è affidato ai
sottosistemi sociali. Ogni sistema regola forme d’inclusione, cioè le modalità del suo trattamento di inclusione. Ma la società nel suo complesso
deve rinunciare alla possibilità di un regolamento universale e affidarsi
all’accadere.
Sembra che la distinzione tra inclusione ed esclusione attraversi tutti
i sistemi sociali in direzione trasversale in relazione alle distinzioni con
cui ognuno di essi opera; questa attraversa i codici dei sottosistemi e condensa o incoraggia l’integrazione16. Come deve rinunciare a una regolamentazione globale di inclusione, così la società deve rinunciare a una
impossibile regolamentazione dell’esclusione anche per i sottosistemi
sociali. Non c’è governo della società nell’esclusione. Nella società moderna, le uniche possibilità di controllo sono date dall’autoirritazione dei
sottosistemi sociali nelle condizioni di simultaneità universale del susseguirsi e dell’evolvere degli eventi. L’accresciuta sensibilità dei sistemi è
collegata con l’imprevedibilità dei comportamenti di sottosistemi e con
l’impenetrabilità delle sue costruzioni dell’ambiente. Si verifica così, non
tanto una possibilità di regolamentazione universale, ma piuttosto una
possibilità di auto-controllo dei sistemi specificati in base alle funzioni.
In altre parole, attraverso il contemporaneo aumento della sensibilità e
auto-immunizzazione, si producono strutture di aspettative che possono
essere plausibilmente motivate; oscillazioni che si muovono in spazi che
possono essere oggetto di aspettativa.
All’interno di questi spazi, il semplice funzionamento dei sistemi sociali normalizza la loro imprevedibilità e la regolarità di inclusione. La
legalità, nella forma della normatività delle aspettative, costituisce un
esempio di questo tipo di controllo dell’incertezza. La democrazia, e in
generale i procedimenti, funzionano allo stesso modo così come le regoCfr. R. De Giorgi, Redes de la inclusión, in F. Castañeda Sabido, A. Cuéllar
Vàsquez, Redes de inclusión. La construcción social de la autoridad, cit., pp. 17-28.
16
85
le che canalizzano l’incertezza verso percorsi alternativi, accettabili in
quanto distraggono l’attenzione.
Tutto ciò presuppone un elevato grado di stabilizzazione della specificazione funzionale dei sistemi sociali, compreso il sistema della famiglia che
è un sistema particolare. Questa specificazione funzionale presuppone, in
altre parole, un alto livello di affermazione della modernità. Questo riduce
la necessità di strutture giuridiche e di interazione, e riduce anche i vincoli
delle dipendenze, afferma la capacità delle differenze, anche di genere, di
assumere ambiti funzionalmente differenziati e di ridurre le dipendenze.
In quelle regioni di relazioni comunicative della società in cui spesso
ancora si colloca il genere femminile, delimitate da particolari sistemi
politici, in cui la differenziazione funzionale incontra resistenza, in cui
la specificazione del sistema incontra opposizione da parte delle strutture della gerarchia e della stratificazione, non c’è spazio nemmeno per la
sensibilità, e neanche per la autoimmunizzazione dei sistemi. Non vi è
la razionalità tipicamente moderna dell’inclusione, non c’è spazio per le
aspettative plausibilmente motivate dall’auto-controllo dei sistemi. Qui
i codici stessi dei sistemi si corrompono. Qui si stabilisce l’esclusione
dell’esclusione.
Sono state utilizzate diverse descrizioni di questa situazione riferita al
femminile. La subalternità ontologica e la dipendenza sono le più diffuse. A noi non sembra che il problema sia la forma della differenziazione,
la risultante gerarchia tra sistemi, l’ipertrofia del sistema della politica e
l’impossibilità che questo sistema eserciti il controllo della società per la
simultaneità dell’universalizzazione degli altri sistemi e il fatto che questi
sistemi abbiano raggiunto alti livelli di specificazione funzionale. In queste regioni della comunicazione sociale i sistemi sociali operano, tuttavia,
nella simultaneità universale. Questo significa che i sistemi sociali sono
differenziati e non sono differenziati, funzionano e non funzionano, i
loro codici funzionano e sono corrotti allo stesso tempo. Accade allora
che esiste allo stesso tempo il mercato e l’economia di sopravvivenza e
che in questo ambiente si sviluppa una economia sommersa illegale che
non può essere legalizzata. Accade allora che la politica produce il diritto
attraverso il diritto che obbliga a includere le donne e che contemporaneamente la politica, il diritto, l’economia, la morale le esclude.
Anche l’argomento dell’esclusione, l’altra parte della distinzione, è diventato oggetto di riflessione della società con lo sviluppo della moder-
86
nità. Autori come Foucault17 hanno mostrato con chiarezza che insieme
alle trasformazioni più evidenti che hanno portato alla forma attuale
della società, si sviluppa un modo completamente nuovo di considerare
la relazione tra inclusione ed esclusione: i luoghi di esclusione (carceri,
nosocomi, ecc.) assumono funzioni e significati diversi per la società. Essi
non sono più solo luoghi di segregazione e di punizione, ma di (re) integrazione degli individui.
Per la donna, nel corso del XVIII secolo si afferma un paradosso proprio in riferimento ai diritti. Parallelamente alla proclamazione dei diritti universali dell’uomo le sfere dell’azione e della morale si rafforzano: alla prima corrispondono le attività politiche, economiche, il lavoro
retribuito (la sfera pubblica), alla seconda la famiglia, gli affetti e il lavoro domestico (la sfera privata). La costruzione della sfera pubblica si
caratterizza come ambito specifico dell’azione maschile, mentre la sfera
privata è attribuita alle donne. Ciò si osserva come nuovo ordine sociale
che individua nuovi ruoli: mentre agli uomini è riconosciuta una capacità
precipua di affermazione economica e sociale, alle donne viene relegato
il mantenimento dei legami familiari, la crescita dei figli e la cura delle
persone della cerchia familiare18. Questa differenziazione si legge come
separazione da parte delle donne e come complementarietà da parte degli uomini. Anche dal versante del diritto ciò si palesa come disposizioni
di esclusione delle donne da attività riservate agli uomini: le donne non
potevano partecipare al governo della nazione, non potevano votare ed
essere votate. L’eguaglianza di fronte alla legge non si applica alle donne
e il soggetto della Dichiarazione universale è maschio. L’esclusione delle
donne dai diritti era giustificata dal pregiudizio di cui ci siamo già occupati in questo lavoro. Una prima esplicita dichiarazione dei diritti delle
donne la ritroviamo nella Dichiarazione della donna e della cittadina di
Olympe de Gouges nel 1791 che rivede al femminile la Dichiarazione del
1789 in piena Rivoluzione francese19. Le istanze della Gouges non ebbero
alcun esito e lei stessa fu ghigliottinata.
Cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, Einaudi,
2008.
18
Cfr. A. Facchi, Breve storia dei diritti umani, Bologna, il Mulino, 2007, pp. 62-70.
19
O. de Gouges, Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791), Genova, Il Nuovo Melangolo, 2007. Olympe de Gouges, scrittrice e attivista nella Francia rivoluzionaria, proponeva l’estensione dei diritti cosiddetti universali anche alle donne;
17
87
Il tema dell’esclusione poi è diventato centrale nella riflessione politica, in particolare dei movimenti di protesta che, soprattutto a partire dal
secolo scorso, hanno dato luogo a contrapposizioni ideologiche attive, in
via residuale, ancora oggi. Per spiegare le ragioni e le cause di un fenomeno così evidente e allarmante come l’esclusione sociale e l’emarginazione
buona parte della sociologia e del dibattito politico ricorrono al concetto
di classe sociale. Tuttavia, questo concetto non consente, di fatto, di trattare il problema in termini soddisfacenti e questo molto semplicemente
perché è abbastanza difficile ricavare dall’esistenza degli esclusi qualsiasi
forma di conflitto sociale (“lotta di classe”) importante o decisiva nella
vita sociale globale20. La differenza tra classi o settori sociali, che è possibile osservare oggi, non descrive adeguatamente la struttura di questa
società. Non solo non ci informa su ciò che le persone possono aspettarsi
secondo la loro collocazione, ma manca soprattutto la possibilità empirica, non solo teorica, di leggere nel rapporto tra inclusione ed esclusione
un segno tangibile della struttura della società moderna.
È stato fatto notare soprattutto che il termine “inclusione” indica semplicemente la possibilità di partecipare alla vita sociale e, di conseguenza,
stabilire relazioni “normali” di aspettative, cioè che ognuno dirige ad altri
e che allo stesso tempo riceve da altri. Il tipo di relazioni sociali e di partecipazione nella vita sociale, ancora di più, è delegato alla decisione individuale intesa come “libertà”: «L’uniformità e la generalizzazione della struttura
primaria che dà forma alla società è bilanciata dalla possibilità di differenziare senza limiti rilevanti i comportamenti e le traiettorie individuali»21.
L’esclusione sociale oscura la visibilità delle persone, nel senso che interrompe la comunicazione, che impedisce la formazione di aspettative
inoltre denunciava la necessità di una mobilitazione storica delle donne, di un impegno
militante a favore della lotta di liberazione contro la tirannia maschile. Ispirandosi alla
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, ne rielaborò i principi di
uguaglianza e libertà, di democrazia e giustizia in una prospettiva di genere, conferendo anche alle donne lo stato di diritto conquistato dagli uomini.
20
Cfr. G. Corsi, Redes de la exclusión, in F. Castañeda Sabido, A. Cuéllar Vàsquez, Redes de inclusión. La construcción social de la autoridad, cit., pp. 29-43.
21
Cfr. N. Luhmann, R. De Giorgi, Teoria della società, cit. «En el lado de la exclusión valen condiciones totalmente diferentes. La exclusión de un subsistema de esta
sociedad hace probable la exclusión de los otros subsistemas»: G. Corsi, Redes de la
exclusión, in F. Castañeda Sabido, A. Cuéllar Vàsquez, Redes de inclusión. La
construcción social de la autoridad, cit., p. 30.
88
complesse, reciproche e riflessive. Anche se qui ci si riferisce a “individui” quando si parla di inclusione o esclusione, il livello concettuale su
cui si deve porre l’accento è quello della comunicazione, non dell’individuo particolare22 . Non abbiamo parlato casualmente solo di persone e
di aspettative per descrivere ciò che caratterizza la differenza inclusioneesclusione: “persone” intese come punti di riferimento al fine di costruire
o negare le aspettative; “persone” intese come direzioni comunicative e
non come individui (corpi più menti). D’altra parte, avrà ben poco senso
includere o escludere i corpi o le coscienze; come tutti sanno se solo si
considera l’esperienza personale, le coscienze restano sempre isolate, inaccessibili e inosservabili. Nessuno può accedere alla mente di un altro. Se
diventa rilevante per la comunicazione, questo succede non nella pienezza della propria esperienza interiore, ma solo come luogo di condensazione di aspettative e di comportamenti che la confermano o la ignorano23.
Naturalmente, essere esclusi o inclusi fa differenza anche per il singolo
individuo, per la sua mente e per i suoi sentimenti. Però studiare il modo
in cui ognuno può fare esperienza della propria situazione sociale non ci
consentirebbe di comprendere come e perché questa società crea la differenza tra inclusione ed esclusione, e tanto meno quali possibilità di reazioni abbia la stessa a sua disposizione.
Il problema dell’esclusione, così come il problema dell’inclusione, come
abbiamo visto, quindi, deve essere posto in termini di strutture sociali e
in particolare in termini di strutture della società moderna. Il motivo delle argomentazioni che seguono rappresentano la rinuncia a considerare
la società come un sistema globale differenziato al suo interno nel senso
gerarchico o regionale (paesi ricchi/paesi poveri, contesti globali/contesti
locali, ecc.)
Il fenomeno dell’esclusione non è certamente nuovo, ogni società lo
ha conosciuto, in un modo o nell’altro. Oggi di nuovo c’è la sorpresa, il
meravigliarsi e indignarsi dell’opinione pubblica, vale a dire l’auto-osservazione della società. È chiaro che le forme di controllo sociale e di elaborazione semantica che guidavano la società pre-moderna non ci aiutano
più, come accennato. I ghetti, le carceri, gli ospedali, l’esercito e le altre
E meno ancora quello di “soggetto” o “mondo della vita”.
A partire dall’idea che la società sia un insieme di individui che probabilmente nasce l’altra idea che vede l’inclusione come sinonimo di integrazione sociale.
22
23
89
istituzioni “totali” che fornivano un luogo sociale agli esclusi, oggi sono
considerati periodi di passaggio o di preludio al reinserimento. Lo status sociale, d’altra parte, l’invenzione tipica della modernità, si muove in
questa direzione24. Del resto, tali istituzioni ricalcavano al loro interno la
struttura della società globale e la differenza tra un ufficiale e un soldato
era sempre e in ogni caso, anche una differenza di dignità, piuttosto che
di grado. Ovviamente, oggi differenze di questo genere sono scomparse.
Non è più possibile costruire le strutture sociali e ancor meno le organizzazioni formali a partire dalla posizione sociale degli interlocutori.
La differenza tra inclusione ed esclusione non appartiene ad alcun ordine sociale, non ha alcuna corrispondenza con la struttura della società,
e questo è uno dei motivi che rendono del tutto fuori luogo studiare il
fenomeno a partire da rappresentazioni legate alla stratificazione o alla
logica del dominio25.
Al posto della preselezione di potenziali contatti sociali propri della società pre-moderna è subentrata una sorta di delega della responsabilità26
delle finalità a privati; ma questa nuova differenza ha portato alla genesi
di differenze paradossalmente più scandalose delle precedenti. La società
è, pertanto, costretta a riflettere sulla questione dell’esclusione proprio
perché è di fronte a un fenomeno che essa stessa genera, che si rigenera
contemporaneamente con i tentativi di limitarlo o eliminarlo, che non
ha una giustificazione o una causa. La drammaticità dell’esclusione e il
disagio che genera nascono dall’impossibilità di trattare il problema con
schemi di causa chiari e nitidi, che consentano, quindi, di pianificare
azioni di intervento27.
A questa impotenza, la società reagisce con i suoi sottosistemi i quali,
a loro volta e in modi ovviamente diversi, a seconda del caso, sviluppano
programmi di intervento e specifiche forme semantiche.
G. Corsi, Redes de la exclusión, cit., p. 32.
Ivi, p. 33.
26
Certamente non dalla prospettiva della teoria dei sistemi, H. Jonas riflette sul “principio responsabilità”, collocandosi tra il “principio speranza” di Ernest Block e il “principio disperazione” di Günther Anders nel tentativo di coniugare etica universalistica
e realismo politico in un modello unitario. Cfr. H. Jonas, Il principio responsabilità.
Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, Einaudi, 2002.
27
Vedi il fallimento delle politiche di pianificazione applicate al Sud d’Italia.
24
25
90
In politica si sviluppano programmi basandosi sul contrasto tra Stato sociale allargato o ristretto. Le radici ideologiche delle due posizioni
sono facili da riconoscere e, legate idealmente, di fronte alla questione
della esclusione non differiscono molto, mentre sono indicati, ovviamente, come i mezzi per raggiungere l’obiettivo dell’inclusione. Per le donne
in politica si inventano le quote rosa. Le esperienze maturate in questo
inizio di secolo, tuttavia, registrano un certo scetticismo, in relazione a
possibilità di reale inclusione attraverso questo espediente. In ogni caso
il problema si ripropone continuamente e alle aspettative di ogni nuovo
corso politico subentra la delusione di fronte a una realtà che cambia, pur
rimanendo uguale allo stesso tempo, e ancora senza soluzione.
91
Capitolo III
Donne e politica: cittadinanza,
rappresentanza, e-democracy
Rossella Bufano
3.1. Cittadinanza politica e genere
Il passaggio dalla condizione di suddito a quella di cittadino è sancito in
Europa dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789.
Il suddito di Thomas Hobbes1 non poteva né sottoporre a giudizio,
né contestare alcuna decisione del monarca. Quest’ultimo deteneva la
sovranità, ovvero la legittimità e il potere di decidere per la comunità, di
fare e disfare le leggi a proprio piacimento. Il popolo poteva ribellarsi in
un’unica circostanza, quando il sovrano si rivelava incapace di garantirne la sicurezza. Infatti, proprio allo scopo di assicurarsi una convivenza
pacifica, gli individui si erano associati, attraverso un patto d’unione che
vincolava tutti coloro che lo avevano sottoscritto, e avevano rinunciato a
tutti i propri diritti, cedendoli al sovrano, attraverso un patto di soggezione.
Con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino la sovranità
(l’autorità suprema, il potere di trasformare il potere di fatto in potere di
diritto2) è, e rimane, del popolo, come avevano già teorizzato John Locke3 e Jean-Jacques Rousseau4, il primo introducendo il principio di libertà e il secondo quello di uguaglianza. Infatti, l’art. 3 della Dichiarazione dei diritti recita: «Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente
Cfr. T. Hobbes, Leviatano (1651), trad. it., Roma, Editori Riuniti, 2005.
Cfr. N. Matteucci, voce «Sovranità», in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino (a cura di), Dizionario di politica, Torino, UTET, 1976, pp. 973-981.
3
Cfr. J. Locke, Due trattati sul governo (1690), trad. it., Torino, UTET, 2010.
4
Cfr. J. -J. Rousseau, Il contratto sociale (1762), trad. it., Torino, Einaudi, 2005.
1
2
93
nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che
non emani direttamente da essa»5. Di conseguenza, «la Legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere,
personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione»6
(art. 6). Poiché, come stabilisce l’art. 1: «Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti»7. La cittadinanza, dunque, è espressione
della democrazia, ovvero del potere del popolo8. Consiste nell’esercizio
della sovranità e nella titolarità di diritti e doveri in quanto membri di
una comunità politica.
Con Thomas Humphrey Marshall9, nel secolo scorso, la cittadinanza si arricchisce di diritti, comprendendo accanto a quelli politici
(partecipare all’esercizio del potere) e civili (libertà individuale: di pensiero, di parola, di fede, ecc.), anche quelli sociali che vanno dal diritto
alla garanzia minima di benessere e di sicurezza economici a tutti quei
diritti che consentono di «vivere la vita di persona civile»10 che oggi
sono rappresentati dal welfare state (lavoro, cure mediche, istruzione,
ecc.).
La cittadinanza è una categoria fondamentale per la concezione della
democrazia, come afferma Danilo Zolo11. Per questo motivo molti studiosi l’hanno analizzata e hanno cercato di definirne le peculiarità. Ma,
come ricorda Marisa Forcina, è anche una «nozione problematica»12 , infatti, c’è chi vi attribuisce il significato di appartenenza come Marshall13,
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, 28 agosto 1789, testo consultabile
online sul sito dell’Università degli Studi di Messina: <http://www.unime.it/
didattica/donnepolitica_ primaedizione/materialedidattico/romano16112007/
Dichiarazione%20francese%201789.pdf>.
6
Ibidem.
7
Ibidem.
8
Cfr. N. Bobbio, voce «Democrazia» in G. Zaccaria (a cura di), Lessico della
politica, Roma, Edizioni Lavoro, 1987, pp. 160-170.
9
T. H. Marshall, Cittadinanza e classe sociale (1964), trad. it., Torino, UTET,
1976.
10
Ivi, p. 9.
11
Cfr. D. Zolo, La strategia della cittadinanza, in D. Zolo (a cura di), Cittadinanza,
appartenenza, identità, diritti, Roma-Bari, Laterza, 1994.
12
M. Forcina, Una cittadinanza di altro genere. Discorso su un’idea politica e la sua
storia, Milano, FrancoAngeli, 2003, p. 8, cfr. anche pp. 7-11.
13
T. H. Marshall, Cittadinanza e classe sociale, cit.
5
94
oppure di status capace di garantire libertà e uguaglianza come Norberto
Bobbio14 e Zolo15, chi ritiene che la cittadinanza esprima una modalità
di organizzazione delle relazioni sociali come Niklas Luhmann16 oppure
che sia un attributo giuridico che tutela ed esclude come Salvatore Veca17
o, ancora, chi vi vede la possibilità di costruire una società civile mondiale
come Ralf Dahrendorf18.
Di certo senza cittadinanza si parla di democrazia incompiuta, ed è per
questo che la questione femminile è dirimente per la democrazia. Ma proprio le donne, come sottolinea Forcina19, vengono regolarmente escluse
dalla cittadinanza, sin dalle sue prime elaborazioni, o per principio o di
fatto. La nozione di cittadinanza in Occidente, infatti, come evidenzia
Annarita Buttafuoco20, non è ininfluente sulla costruzione dei rapporti
nella società e sul ruolo attribuito alle donne, ma «è strettamente legata
alla definizione sociale del maschile e del femminile e alla conseguente
attribuzione degli ambiti di intervento “appropriati” per gli uomini e per
le donne»21, dando vita «a una struttura gerarchica della società basata sulla supremazia simbolica, oltre che sociale e politica, degli uni sulle
altre»22 .
La cittadinanza necessita della legittimazione, cioè del riconoscimento giuridico, che definisca diritti e doveri a garanzia della democrazia, eppure proprio le donne con la loro storia hanno dimostrato
che la cittadinanza è possibile anche “prima” della sua legittimazione,
perché essa è innanzitutto “consapevolezza” e “pratica politica” e che
senza queste, la cittadinanza rimane un vuoto contenitore di astratte
possibilità.
N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990.
D. Zolo, La strategia della cittadinanza, cit.
16
N. Luhmann, Illuminismo sociologico, trad. it., Milano, il Saggiatore, 1983.
17
S. Veca, Cittadinanza. Riflessioni filosofiche sull’idea di emancipazione, Milano,
Feltrinelli, 1990.
18
R. Dahrendorf, Il conflitto sociale nella modernità. Saggio sulla politica della libertà, trad. it., Roma-Bari, Laterza, 1989.
19
Cfr. M. Forcina, Una cittadinanza di altro genere, cit., p. 9.
20
A. Buttafuoco, Questioni di cittadinanza. Donne e diritti sociali nell’Italia liberale, Siena, Protagon Editori, 1997.
21
Ivi, p. 11.
22
Ibidem.
14
15
95
3.1.1. L’esclusione delle donne dalla cittadinanza politica
Negli anni Novanta del secolo scorso, in particolare in occasione del
cinquantenario del diritto di voto alle donne italiane23 e del bicentenario della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791)
di Olympe de Gouges, molte studiose (storiche, filosofe, politologhe,
sociologhe) si interrogano sui motivi per cui la percentuale di elette in
parlamento è la stessa di cinquant’anni prima e il diritto di voto ha un
riscontro così vago nella coscienza individuale e collettiva. Cercano di capire quale rideterminazione della politica e allo stesso tempo dell’identità
femminile è scaturita dall’esercizio del diritto di voto e da cosa ha origine
la problematicità che da sempre accompagna il rapporto delle donne con
la politica (cittadinanza e rappresentanza). Si interrogano anche sul perché il Risorgimento diventa un’occasione mancata per la conquista della
cittadinanza da parte delle italiane e la Resistenza con la nascita della
Repubblica un’occasione mancata per la loro piena integrazione in ogni
settore della vita civile e politica della nazione24. La ricerca delle risposte
dà nuova linfa agli studi di genere avviati negli anni Sessanta e sviluppatisi con il femminismo25. Si punta l’attenzione sulla storia politica delle donne sin dalla Rivoluzione francese (e dagli anni precedenti l’Unità
Il diritto di voto alle italiane viene riconosciuto con il decreto De Gasperi-Togliatti,
emanato il 1° febbraio 1945. Le donne sono chiamate alle urne per la prima volta il 2
giugno 1946, per designare i componenti dell’Assemblea costituente (al cui interno
vengono elette ventuno donne, il 3,7% del totale), incaricata di redigere la nuova Carta
costituzionale, e per scegliere tra monarchia e repubblica.
24
Cfr. A. Finocchiaro, Prefazione, in M. A. Selvaggio (a cura di), Desiderio e
diritto di cittadinanza. Le italiane e il voto, Palermo, La Luna, 1997, pp. 7, 8; M. A.
Selvaggio, ivi, pp. 9, 10.
25
Le ricerche pionieristiche sulla storia politica delle donne risalgono al 1963, svolte
da Franca Pieroni Bortolotti e Paola Gaiotti De Biase. Alla prima si deve il merito di
aver riscattato la visibilità delle donne nella storia politica italiana del secolo scorso,
delineando la transizione dalla fase emancipazionista a quella femminista, recuperando la figura di Anna Maria Mozzoni, analizzando il rapporto socialismo-questione
femminile. Gaiotti De Biase ha esaminato in particolare gli elementi di convergenza
tra femminismo laico e femminismo cristiano, sottolineando il ruolo di quest’ultimo
nelle battaglie per l’istruzione, per la tutela del lavoro e il riconoscimento sociale della
maternità. Tra gli anni Settanta e Ottanta – accanto ai preponderanti studi di genere
sul ruolo economico e produttivo della donna, delle scelte nuziali e procreative e delle
opzioni educative –, si avviano le ricerche inerenti la conquista dei diritti civili e poli23
96
d’Italia) e, soprattutto, si riconcettualizza la definizione e la storia della
cittadinanza26. Si indaga, inoltre, un filone di pensiero politico femminile fino ad allora ignorato27. Una riflessione ulteriormente stimolata dal
centocinquantenario dell’Unità e ancor ora oggi in fieri, perché quelle
domande, a distanza di vent’anni, si ripropongono attuali.
Gli studi di genere giungono a una conclusione: nel momento in cui
nell’Occidente europeo gli uomini da sudditi diventano cittadini, le donne (seppur definite cittadine) vengono escluse dalla cittadinanza politica
in virtù della loro differenza sessuale, delineandosi così un modello di
cittadinanza che rimane inalterato per quasi due secoli. I diritti sanciti
dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino vengono presentati come universali, ma nel loro concreto riconoscimento, quelli politici
tici e i dibattiti parlamentari relativi al suffragio politico e amministrativo femminile,
che si sviluppano dagli anni Novanta in poi.
26
Si indicano solo alcuni studi: A. Buttafuoco, Vuoti di memoria. Sulla storiografia
politica in Italia, in «Memoria», n. 31, 1991; D. Gagliani, M. Salvati (a cura di),
La sfera pubblica femminile: percorsi di storia delle donne in età contemporanea, Bologna, Clueb, 1992; G. Bonacchi, A. Groppi (a cura di), Il dilemma della cittadinanza. Diritti e doveri delle donne, Bari, Laterza, 1993; L. Pisano, C. Veauvy, Parole
inascoltate. Le donne e la costruzione dello Stato-nazione in Italia e in Francia, 17891860, Roma, Editori Riuniti, 1994; A. Rossi-Doria, Diventare cittadine. Il voto alle
donne in Italia, Firenze, Giunti, 1996; F. Taricone, M. De Leo (a cura di), Elettrici
ed elette. Storia, testimonianze e riflessioni a cinquant’anni dal voto alle donne, Roma,
Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1996; M. A. Selvaggio (a cura di), Desiderio e diritto di cittadinanza, cit.; A. Buttafuoco, Questioni di cittadinanza, cit.; D.
Dell’Orco (a cura di), Oltre il suffragio, il problema della cittadinanza nella storia e
nella politica delle donne, Modena, Biblioteca della Casa delle donne, 1997. Fino agli
studi più recenti tra i quali si segnalano quelli di Marisa Forcina che ha scritto tra gli
altri: Una cittadinanza di altro genere, cit.; Rappresentazioni politiche della differenza,
Milano, FrancoAngeli, 2009.
27
Si rinvia in particolare agli studi di Ginevra Conti Odorisio a partire dal testo Storia
dell’idea femminista in Italia, Torino, Eri, 1980, fino al recente Ragione e tradizione.
La questione femminile nel pensiero politico, Roma, Aracne, 2005 e agli studi di Fiorenza Taricone, in particolare sull’associazionismo femminile, Per una storia dell’associazionismo femminile italiano dall’unità al fascismo, Milano, Unicopli, 1996; Teoria e
prassi dell’associazionismo italiano nel XIX e XX secolo, Cassino, Edizioni scientifiche
d’Ateneo, 2003. Si segnalano anche il manuale di Taricone, Elementi di storia delle
dottrine politiche, Marina di Minturno, Caramanica, 2006, che dedica ampio spazio
al pensiero e alla questione femminile e l’antologia del pensiero politico femminile di
Conti Odorisio e Taricone, Per filo e per segno. Antologia di testi politici sulla questione
femminile dal XVII al XIX secolo, Torino, Giappichelli, 2008.
97
vengono riservati solo agli uomini28. Nei dibattiti che si svolgono nelle
assemblee e sui giornali dell’epoca, infatti, si stabilisce che in virtù della
naturale differenza tra uomini e donne, quest’ultime non possono occuparsi del governo della cosa pubblica poiché sono nate per le virtù e per
le cure domestiche29. Come afferma Angela Groppi30, i padri teorici della
cittadinanza, col pretesto della loro appartenenza alla comunità familiare, soprattutto in quanto mogli e madri, le escludono dal potere politico e,
quindi, dall’essere pienamente cittadine. Tale esclusione e la distinzione
donna/uomo-cittadino, precisa Chiara Saraceno31, sono funzionali agli
interessi della famiglia perché questi confliggono con quelli individuali
della donna, mentre il ruolo che le viene attribuito li preserva.
Olympe de Gouges replica alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e
del cittadino nel 1791 con la Dichiarazione dei diritti della donna e della
cittadina, rivendicando «la compresenza politica e sociale di uomini e
donne e un’eguale dignità per i due sessi»32 . Infatti, l’art. 2 recita: «Lo
scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali
e imprescrittibili della Donna e dell’Uomo»33; e l’art. 3: «Il principio di
ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione, che è l’unione della
Donna e dell’Uomo»34. Mentre la “differenza” viene utilizzata dagli uomini a scapito delle donne, per confinarle nella sfera privata e impedirne
L’idea di un falso universalismo è già presente nel pensiero politico suffragista che si
sviluppa dalla metà dell’Ottocento alla prima guerra mondiale. Cfr. A. Rossi-Doria,
La libertà delle donne. Voci della tradizione politica suffragista, Torino, Rosenberg &
Sellier, 1990.
29
Cfr. A. Groppi, Le radici di un problema, in G. Bonacchi, A. Groppi (a cura di),
Il dilemma della cittadinanza, cit., pp. 3-15. L’autrice riporta brani tratti da discorsi
assembleari e da giornali dell’epoca nei quali si afferma il concetto della differenza naturale dei due sessi che destina la donna alle attività di cura e la esclude dal governo.
30
Cfr. ivi, p. 7. «Va sottolineato come l’enfasi sulla sfera familiare come luogo della
cura sia essenziale alla definizione della sfera pubblica come luogo del potere»: ivi, p. 8.
31
C. Saraceno, La dipendenza costruita e l’interdipendenza negata. Strutture di
genere della cittadinanza, in G. Bonacchi, A. Groppi (a cura di), Il dilemma della
cittadinanza, cit., pp. 166-172.
32
A. Groppi, Le radici di un problema, cit., p. 4.
33
O. de Gouges, Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1792),
consultabile online sul sito della Consigliera di Parità di Roma: <http://www.
consiglieraparitaroma.it/public/files/De%20Gouges%20stralci%20della%20
Dichiarazione%20dei%20diritti%20delle%20donne.pdf>.
34
Ibidem.
28
98
l’accesso alle cariche politiche, «il soggetto femminile vuole affiancarsi
a quello maschile e non obliterarlo nel momento in cui afferma le sue
specificità»35.
A confermare l’estromissione delle donne dalla cittadinanza politica è
la Costituzione francese del 1791 che attribuisce la qualifica di cittadino a chi è maggiorenne, con un reddito, indipendente economicamente
e giuridicamente e capace di portare le armi. Forcina36 sottolinea come,
oltre all’indipendenza economica e giuridica, l’esclusione è sottolineata
dalla inadeguatezza a portare le armi. Per Buttafuoco37 più che in questo
requisito (durante la Rivoluzione le donne contribuiscono anche combattendo con le armi) o in quello dell’indipendenza economica (altrettanto
possibile), l’ostacolo è rappresentato dall’indipendenza giuridica, perché
le donne non sono “individui” (dipendono dal padre o dal marito) e, pertanto, non possono essere titolari del diritto di cittadinanza. È vero che
successivamente c’è un’apertura ai diritti civili femminili, nel 1792 viene
istituito il divorzio e nel primo progetto del Codice civile francese del
1793 si prevedono l’abolizione della patria potestà e della potestà maritale, la comunione dei beni tra i coniugi e il divorzio già istituito. Ma è
anche vero che comparando le qualità dell’elettore e la condizione femminile, emergono i due elementi (evidenziati dalle due studiose), cioè il
dato fisico, biologico e la mancanza di individualità, che nel corso della
storia del diritto di voto (soprattutto delle italiane), vengono costantemente utilizzati come pretesti per sostenere l’incapacità della donna a
essere cittadina elettrice ed eleggibile.
La risposta femminile alla estromissione dal potere politico arriva attraverso una serie di pratiche che attesta la volontà di essere parte del popolo
sovrano: presenza nei cortei, nelle assemblee, apertura di club, richiesta
di portare le armi38. Il diritto è inteso dalle donne come l’acquisizione di
ciò che è dovuto in virtù di un patto e della dignità della persona, ma è
anche connesso «all’assolvimento di un ruolo morale e alla realizzazione
di un contributo sociale di pubblica utilità»39. Le donne puntualmente,
A. Groppi, Le radici di un problema, cit., p. 5.
M. Forcina, Una cittadinanza di altro genere, cit., p. 132.
37
Cfr. A. Buttafuoco, Questioni di cittadinanza, cit., pp. 13, 14.
38
Cfr. V. Fiorino, Essere cittadine francesi: una riflessione sui principi dell’89, in G.
Bonacchi, A. Groppi (a cura di), Il dilemma della cittadinanza, cit., pp. 67, 68.
39
Ivi, p. 67.
35
36
99
pur non essendo “legittimate” alla cittadinanza, la “praticano” attraverso
un’azione incisiva e costante nella società, animate dalla consapevolezza
dei propri diritti e da un forte senso del dovere nei confronti della comunità politica.
3.1.2. Sfera privata e sfera pubblica
Le ragioni del ruolo subordinato della donna nella sfera politica, come
afferma Raffaella Baritono40, devono essere rintracciate in quella divisione, che si ritrova già nel pensiero greco classico, fra la sfera privata e
quella pubblica, ovvero fra corpo e ragione, il primo ascrivibile alla donna, la seconda all’uomo. Secondo i filosofi greci le donne, a causa della
differenza biologica e della loro funzione riproduttiva, non sono in grado
di costituirsi come soggetto autonomo nella polis. Ancor più, come sottolinea Forcina, mentre il manifestarsi in pubblico assume valore positivo, perché immette nella pratica della libertà, il privato si connota come
“mancanza”, perché risponde alle categorie della necessità e del bisogno41.
Una mancanza che diventa “assenza”, “non riconoscimento” della donna e del suo agire politico. Il privato femminile, infatti, continua a essere
considerato tale anche quando, con il capitalismo e la democrazia moderna, il privato diventa politico42 . Basti pensare che tutta l’attività svolta dalle donne nell’800 e nel ’900 è stata considerata per molto tempo
“filantropia”, spogliandola della sua valenza politica43. Eppure le donne
R. Baritono, I movimenti delle donne, in P. Pombeni, Introduzione alla storia
contemporanea, Bologna, il Mulino, 2000, pp. 159, 160.
41
M. Forcina, Rappresentazioni politiche della differenza, cit., p. 71.
42
«Al contrario degli antichi, che non avrebbero mai intravisto un nesso tra vita privata, denominata idiota, e vita politica, noi moderni assistiamo a un primato del privato:
privati sono gli strumenti di produzione, privati i capitali, private le scelte di vita, e non
ci stupisce affatto che tutto ciò incida fortemente sulla politica, al punto da condizionarla, persino. E tuttavia, ancora, il privato femminile, dove centrale è, per esempio, il
lavoro di cura, non è ancora considerato politicamente; anzi, si arriva al paradosso di
considerare quel preciso lavoro come un non-lavoro a tutti gli effetti»: M. Forcina,
Una cittadinanza di altro genere, cit., p. 22.
43
E. Scaramuzza, Dalle madri della patria alla cittadinanza sociale. Il caso
lombardo, relazione presentata a Cantieri di Storia III, Bologna, 22-24 settembre 2005,
p. 16, disponibile online: <http://www.sissco.it/fileadmin/user_upload/Attivita/
40
100
si adoperano negli ambiti più vari. Come ricorda Fiorenza Taricone44, le
iniziative femminili legate al movimento associativo sono imponenti. Le
donne si impegnano nella gestione di case benefiche per derelitti di ambo
i sessi, per l’educazione e per l’istruzione professionale della donna. Operano in ogni tipo di comitato, da quello pro-voto a quello parrocchiale,
a quello costituito in occasione di grandi calamità naturali (terremoti,
epidemie, inondazioni). Le donne si battono per la diffusione di buoni
scritti e contro la “mala stampa”, contro l’alcolismo, per la diffusione dei
principi malthusiani per il controllo delle nascite, contro la prostituzione,
per il riconoscimento della paternità e per tante altre cose.
La loro è un’azione politica improntata sulla cura, sulla relazione, sulla
rete sia con le altre donne che con gli uomini e lo strumento fondamentale di educazione e pratica della cittadinanza è proprio l’associazionismo
femminile, rimasto ignoto fino a quando non si sono sviluppati i relativi
studi, soprattutto ad opera di Taricone45. L’associazionismo ha significato
per le donne una rivoluzione mentale, la presa di coscienza di essere soggetto politico e di aver bisogno di uno spazio diverso da quello privato.
Tuttavia, come sottolinea Ginevra Conti Odorisio46, la storiografia “politica” ha considerato a lungo le associazioni femminili “apolitiche” e, di
conseguenza, è rimasta in ombra la battaglia per il voto e la cittadinanza,
condotta per l’appunto da numerose associazioni. Ma, come affermano le
studiose di genere, la questione femminile è parte integrante del processo
dei paesi europei verso la democrazia. La storia e la storia politica sono
parziali e riduttive senza la conoscenza e il riconoscimento dell’azione
politica delle donne che pur esplicandosi al di fuori delle istituzioni, inConvegni/cantieriIII/famiglia_genere_nazione/Scaramuzza.pdf> (questo e tutti i
link successivi indicati in questo saggio sono stati consultati l’ultima volta a gennaio
2013).
44
F. Taricone, Teoria e prassi dell’associazionismo italiano nel XIX e XX secolo, cit.,
p. 34.
45
Oltre ai testi già citati, tra i tanti sul tema cfr. anche F. Taricone: Associazionismo
femminile e diritto di voto: rivendicazione, concessione, dovere, in M. A. Selvaggio (a
cura di), Desiderio e diritto di cittadinanza, cit.; L’associazionismo femminile tra esiti
politici e negazioni istituzionali, in M. Forcina (a cura di), Reti di sapere e di luoghi
delle donne, Galatina, Panico, 2003.
46
Cfr. G. Conti Odorisio, Prefazione, in F. Taricone, Il Centro Italiano Femminile. Dalle origini agli anni Settanta, Milano, FrancoAngeli, 2001, pp. 7, 8.
101
cide profondamente sulla crescita della comunità politica e sulle trasformazioni istituzionali.
3.1.3. Il divieto di accesso all’individualità e la maternità
Sin dalle prime riforme elettorali inglesi, l’esclusione delle donne dai diritti politici appare, osservano Buttafuoco e Anna Rossi-Doria47, legata
al divieto di accesso alla individualità. Le donne, infatti, risultano prive
delle due qualità essenziali che definiscono, a partire dal pensiero politico
del ’600 e del ’700, il moderno concetto di individuo: l’indipendenza e il
possesso della propria persona. Un’assenza radicale nelle donne sposate,
soggette all’autorizzazione maritale, che restano prive di diritti civili fino
alla fine dell’800 o ai primi del ’900. Infatti molti progetti di legge sul
voto amministrativo femminile, proposti in questo periodo, riguardano
solo le nubili e le vedove.
Ma già i padri dei fondamenti democratici (Bodin per la sovranità, Locke per il liberalismo, Rousseau per la democrazia) teorizzano la soggezione e l’inferiorità della donna48. Bodin49 la esclude dalla sfera pubblica
per la sua incapacità di ragionare e stabilisce che le donne devono «essere
tenute lontane da tutte le magistrature, i luoghi di comando, i giudizi, le
assemblee pubbliche e i consigli, dedite solo alle faccende donnesche e
domestiche»50. Locke51, che sancisce il principio della libertà, non riesce
a sciogliere la questione della subordinazione femminile nella famiglia.
Il privato, a suo avviso, «è il potere che ogni marito ha di regolare nella sua famiglia le cose che sono di interesse privato, e di far precedere la
propria volontà a quella della moglie in tutto ciò che è di loro comune
Cfr. A. Buttafuoco, Questioni di cittadinanza, cit., pp. 13-17; A. Rossi-Doria,
L’avvento del voto alle donne in Italia, in M. A. Selvaggio (a cura di), Desiderio e diritto
di cittadinanza, cit., pp. 27-30; Ead., Diventare cittadine, cit., pp. 7-10. Cfr. anche R.
Baritono, I movimenti delle donne, cit., pp. 159, 160.
48
Cfr. F. Taricone, Elementi di storia delle dottrine politiche, cit., che analizza per
ciascun pensatore la posizione assunta in merito alla questione femminile; M. P. Paternò, Donne e diritti. Percorsi della politica dal Seicento a oggi, Roma, Carocci, 2012.
49
J. Bodin, I sei libri dello Stato (1583), trad. it., Torino, UTET, 1964.
50
G. Conti Odorisio, Famiglia e Stato nella “République” di Jean Bodin, Torino,
Giappichelli, 1999, p. 125.
51
Cfr. J. Locke, Due trattati sul governo (1690), cit.
47
102
interesse»52 . Rousseau, che introduce l’uguaglianza, nell’Emilio53 disconosce quella dei sessi e codifica l’inferiorità femminile, quasi fosse
necessario suffragarla nel momento in cui l’universalismo illuministico
sembrerebbe metterla in discussione54. Per Rousseau è disdicevole che la
donna abbia una cultura elevata, la sua istruzione deve essere limitata a
tutto ciò che è funzionale alle esigenze del marito e all’educazione dei figli. Come afferma Rossi-Doria, «l’elemento nuovo che connota la definizione moderna di esclusione delle donne dalla individualità e quindi dalla cittadinanza, è, da Rousseau in poi, la maternità»55. Tanto che si può
affermare che il femminismo «nasca e cresca come risposta a questa definizione, di cui rifiuta le alternative, in primo luogo quella tra uguaglianza (essere individui e cittadini) e differenza (essere madri)»56. È, infatti,
l’unione di universalismo e specificità femminile, a connotare, secondo
la studiosa, sia la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina
della de Gouges che Sui diritti delle donne di Mary Wollstonecraft57, (con
cui l’autrice replica proprio a Rousseau sostenendo che la diversità delle
donne che ne impedisce l’accesso alla cittadinanza non è naturale ma il
risultato dell’educazione che le viene imposta dall’uomo).
Il valore simbolico del voto per le donne, dunque, si traduce nei vari
tentativi di ridefinire nel contempo l’identità femminile e la politica proprio attraverso la valorizzazione dei ruoli domestici e materni, gli stessi
che, invece, inducono gli uomini a estrometterle dalla politica nelle diverse epoche storiche.
3.1.4. Madre-cittadina e maternità sociale
Come si è detto, un’occasione mancata per la cittadinanza femminile italiana risulta quella risorgimentale. Una delle cause va rintracciata nella culM. Forcina, Rappresentazioni politiche della differenza, cit., p. 74.
J. -J. Rousseau, Emilio (1762), Bari, Laterza, 2006.
54
Cfr. A. Rossi-Doria, Rappresentare un corpo. Individualità e «anima collettiva»
nelle lotte per il suffragio, in G. Bonacchi, A. Groppi (a cura di), Il dilemma della
cittadinanza, cit., pp. 91-92.
55
Ivi, p. 93.
56
Ibidem.
57
M. Wollstonecraft, Sui diritti delle donne (1792), Milano, RCS, 2010.
52
53
103
tura dominante dell’800, dalla filosofia cattolica al positivismo, che contribuisce ad affermare l’idea che la donna è inadeguata agli affari di stato.
La filosofia cattolica argomenta la subordinazione femminile assegnando alla donna tutte quelle prerogative (timidezza, dolcezza, debolezza,
pazienza) che la rendono idonea a ubbidire all’uomo, al quale invece vengono attribuite tutte quelle qualità (coraggio, forza, stabilità mentale)
che lo rendono adeguato a comandare58. Riproponendo quanto aveva già
affermato Aristotele, si conferma la diversa funzione dei generi. Anche
quando si ravvisa una parità morale, se non addirittura si riconosce la superiorità di quella femminile, tanto da essere considerata fondamento del
rinnovamento etico e politico del paese, questo riconoscimento è sempre
finalizzato a confinare la donna nella sfera privata. Infatti, in quanto depositaria della morale familiare e istitutrice ed esempio per i figli, è nella
famiglia che può e deve esplicare questa messianica funzione59. Con il
positivismo, dall’antropologo Paolo Mantegazza60 ai criminologi Cesare
Lombroso e Guglielmo Ferrero61, per citarne alcuni, si sostiene la tesi che
la donna è fisicamente e mentalmente più debole rispetto all’uomo, non
ha alcuna capacità artistica o professionale ed è incline all’impulsività,
all’instabilità, alla menzogna, alla frivolezza, alla vendetta. Tutte caratteristiche che riconfermano l’inadeguatezza della donna alla cittadinanza
e che incidono sulla sua rinnovata esclusione dalla politica nonostante il
contributo apportato alla nascita dello stato nazione.
D’altro canto la liquidazione della donna dalla sfera pubblica italiana
è favorita dal mito della madre-cittadina che si afferma durante il Risorgimento e mette in ombra il ruolo politico attivo svolto dalle donne. La
madre-cittadina risorgimentale per eccellenza è Adelaide Bono-Cairoli e
rappresenta la patriota che istruisce i propri figli all’amore e al sacrificio
per la patria e che accetta eroicamente di perderli sui campi di battaglia in
nome dell’unità italiana62 .
Cfr. A. Rosmini, Filosofia del diritto, Napoli, Batelli, 1845.
Cfr. M. P. Paternò, Donne e diritti, cit., pp. 108-115.
60
P. Mantegazza, Fisiologia della donna, Milano, Treves, 1893.
61
C. Lombroso, G. Ferrero, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale (1893), Varesina, Etal, 2009.
62
Sul tema della madre-cittadina cfr. tra gli altri: A. Tafuro, Madre e patriota. Adelaide Bono Cairoli, Firenze, Firenze University Press, 2011; E. Scaramuzza, Dalle
madri della patria alla cittadinanza sociale, cit.; M. Forcina, Una cittadinanza di
58
59
104
La maternità, quindi, viene nuovamente utilizzata per ostacolare la presenza femminile nel “politico”, attribuendole il significato di genitrice.
Questo si verifica quando le donne cercano di trasformare proprio la maternità in una specificità che ne legittimi maggiormente l’ambizione di
essere cittadine63, sia rielaborando il concetto e arricchendolo di significato politico, sia attraverso la pratica della maternità sociale, cioè trasferendo in ambito sociale tutte quelle attività di cura tipiche della sfera privata,
che nel ’900 si configurano come welfare state.
Durante il Risorgimento, infatti, l’esclusione della donna dalla vita
pubblica viene aggirata attraverso la partecipazione delle patriote, di tutte le classi sociali, a vario titolo: animando salotti, promuovendo iniziative, scrivendo su giornali, fondando scuole, dedicandosi all’assistenza
di donne, bambini e bisognosi in genere, raccogliendo fondi, facendo da
messaggere, partecipando alle operazioni belliche e sanitarie. «Compiti
domestici e compiti sociali, affetti e politica coesistevano, favorendo la
consapevolezza, da parte di migliaia di donne coinvolte delle proprie abilità e del valore del proprio contributo alla costruzione della nazione»64.
Si ha così, come sostiene Emma Scaramuzza65, una domestication of politics, una politica delle donne che rompe la cesura tra spazio pubblico
e privato e determina una commistione tra i due. La pratica femminile
della cittadinanza assegna un significato politico al lavoro di cura che,
trasferito nella sfera pubblica, si trasforma in intervento a beneficio della
nazione e delle fasce più deboli, i poveri, le donne, i bambini. Un’azione
reticolare di genere che, pur essendo informale, determina cambiamenti
sia sociali che politici. Fondamentale è l’influenza del mazzinianesimo
che rifiuta ogni forma di contrapposizione sia tra generi che tra ceti, riconosce dignità alla donna come madre e come cittadina, sostiene l’uguaglianza tra donne e uomini nei diritti e nei doveri (tra i quali vi sono
quelli di adoperarsi per il progresso dello stato e dell’umanità)66.
altro genere, cit., pp. 132, 133; «Genesis», Patrie e appartenenze, 1/1, 2002; F. Taricone, Una ragnatela concettuale, cit., p. 57.
63
Cfr. tra gli altri A. Buttafuoco, Questioni di cittadinanza, cit., pp. 12-13.
64
E. Scaramuzza, Dalle madri della patria alla cittadinanza sociale, cit., p. 3.
65
Cfr. ivi, p. 2.
66
Cfr. G. Mazzini, Dei doveri dell’uomo, in Id., Scritti editi e inediti, Edizione Nazionale, Imola, Cooperativa Tipografico-editrice Paolo Galeati, 1906-1961, LXIX, e tra
gli altri: F. Taricone, Teoria e prassi dell’associazionismo italiano nel XIX e XX secolo,
105
Ciò avviene anche per tutto l’800 e la prima metà del ’900. Le donne
pur non essendo ancora cittadine, cioè riconosciute come titolari di diritti e doveri politici, partecipano ugualmente alla sovranità, all’azione politica, mettendo in campo le loro competenze a disposizione prima della
patria e poi dello stato.
La donna risorgimentale italiana, dunque, non è solo la madre che sacrifica i figli alla patria, ma è una donna che si mette in gioco, che partecipa attivamente alla costruzione della nazione. Sono le emancipazioniste
dell’Italia post-unitaria a riconoscere alla madre-cittadina questa valenza
più ampia. Per loro la funzione materna va oltre quella meramente biologica e diventa culturale e spirituale, assumendo un duplice significato. Da
un lato le donne del Risorgimento diventano le “madri simboliche”, guida e memoria collettiva67 per le giovani donne che vogliono essere cittadine e dare il proprio contributo alla nazione. Dall’altro lato, la maternità
simbolica non si identifica più con la funzione riproduttiva, ma implica
il riconoscimento, da parte delle stesse donne, del ruolo fondamentale
che riveste ciascuna di loro per la società e per lo stato come cittadina, in
qualità di madre sociale (cioè in ogni azione tesa a prendersi cura della
comunità) e in qualità di educatrice, mansione a cui è deputata sia come
madre biologica, essendo la prima istitutrice dei figli (che sono i futuri
cittadini), sia come donna in genere, attraverso l’attività di insegnante, di
giornalista, di scrittrice. La donna, più di chiunque altro, può trasmettere
l’amore per la patria, per Dio, per l’umanità e formare i nuovi cittadini,
spendersi per la nazione. Per queste prime femministe la madre-cittadina
diventa la madre-cittadina-educatrice68.
cit., pp. 72-85; L. La Puma, Giuseppe Mazzini, democratico e riformista europeo, Firenze, Olschki, 2008, pp. 157-167; L. Gazzetta, «Sposa, madre, cittadina impareggiabile». Il mazzinianesimo femminile tra maternità e cittadinanza, in C. Bertolotti (a cura di), La repubblica, la scienza, l’uguaglianza, Milano, FrancoAngeli, 2012,
pp. 45-64; R. Bufano, L’influenza di Mazzini sul periodico “La Donna” (1868-1891),
in F. Taricone, R. Bufano (a cura di), Pensiero politico e genere dall’Ottocento al
Novecento, Melpignano, Amaltea, 2012, pp. 147-183.
67
Uno dei problemi con cui si misurano le donne, lungo tutta la loro storia, è la ricerca
di modelli di pratica politica femminile precedenti con cui confrontarsi, da cui trarre
stimoli e che rappresentino, in contrapposizione a chi nega il voto alle donne, la testimonianza delle loro capacità e la legittimità del loro bisogno di partecipazione politica.
68
La definizione madre-cittadina-educatrice è di chi scrive, per sottolineare la qualità
fondamentale della maternità che non è più la funzione riproduttiva, ma appunto quel-
106
Un esempio emblematico è rappresentato da Gualberta Alaide Beccari,
una mazziniana che dal 1868 al 1891 pubblica un periodico dal titolo
«La Donna» con l’intenzione di educare la cittadina del neonato stato
italiano. Educarla significa trasmetterle tutto lo scibile umano (dalla storia, all’astronomia, all’igiene, ecc.), dotarla degli strumenti di conoscenza
e critici per farle acquisire consapevolezza dei propri diritti e metterla nelle condizioni di rivendicare la propria autonomia culturale, economica,
legislativa. Educarla significa anche richiamarla ai propri doveri nei confronti della nazione. Una donna così emancipata, infatti, può contribuire
alla formazione di validi cittadini. La maternità, che dai contemporanei
positivisti viene intesa come causa di debolezza fisica e mentale, per queste donne è invece matrice di una moralità superiore, che però non le relega al focolare come per i cattolici, ma le rende più idonee degli uomini a
rinnovare lo stato italiano attraverso la pratica della cittadinanza.
Già le rivoluzionarie francesi cercano di dimostrare che maternità e cittadinanza non sono incompatibili e che anzi i caratteri che la connotano
(altruismo, senso di equilibrio e giustizia, dedizione) esprimono una serie di valori che possono trovare una loro traduzione nella sfera politica,
arricchendola, rifondando le regole del comportamento collettivo69. In
seguito, le suffragiste utilizzano la maternità, la sofferenza e il rischio di
morte connessi al parto per difendersi dalle accuse di non rischiare la vita
difendendo la patria con le armi70. «Ma è soprattutto nella chiave della
“superiorità morale” della donna che si cerca di fondare un valore collettivo delle donne»71 e di aprire un varco legittimo nell’esercizio della
cittadinanza, immettendo i principi femminili, tipici della sfera privata,
in ambito sociale e gettando le basi del welfare state.
la educativa. Per approfondimenti sulla madre-cittadina emancipazionista si rinvia a:
L. Gazzetta, Madre e cittadina. Una concezione dell’emancipazione alle origini del
primo movimento politico delle donne in Italia, in «Venetica», 3, 1994, pp. 133-161;
E. Scaramuzza, Dalle madri della patria alla cittadinanza sociale, cit.; R. Bufano,
L’influenza di Mazzini sul periodico “La Donna” (1868-1891), cit.
69
Cfr. V. Fiorino, Essere cittadine francesi: una riflessione sui principi dell’89, cit.,
pp. 70-73.
70
Cfr. A. Rossi-Doria, Rappresentare un corpo, cit., pp. 96, 97.
71
Ivi, p. 96.
107
3.1.5. La difficoltà delle donne a “occupare” la politica
L’emancipazionismo che dalla maggior parte della società è visto, sin dal
suo esordio, come un pericolo per la moralità e l’unità della famiglia, con
il fascismo viene assorbito attraverso due direttrici: potenziando il ruolo
familiare delle donne e incitandone la partecipazione alla sfera pubblica attraverso le grandi organizzazioni femminili di massa. Si attua così
una forma di politicizzazione senza cittadinanza come emerge dagli studi
di Victoria de Grazia72 . Ma soprattutto, si torna a ridurre la maternità a
mero ruolo biologico, funzionale alle esigenze della patria, e a limitare i
diritti della donna come persona. Le continuità che incidono negativamente sulla partecipazione politica femminile, tra fascismo e repubblica,
sono diverse. Da un lato il diritto di voto viene vissuto come una concessione e vede la continuazione di una politicizzazione senza cittadinanza
e, dall’altra, i diritti delle donne continuano a essere strettamente legati
al ruolo e ai doveri di madre73.
I tentativi di valorizzare i ruoli domestici e materni si attuano anche
nell’immediato dopoguerra, attraverso una rete di iniziative assistenziali femminili, ma sono destinati a fallire perché, come sostiene RossiDoria74, non sono in grado di sciogliere una contraddizione di fondo: la
concezione patriarcale della cittadinanza che aveva contrapposto il termine “donne” a quelli di “lavoratore” e “cittadino”. La studiosa rileva le
peculiarità del rapporto donne-cittadinanza politica in Italia: da un lato
la disomogeneità delle culture locali e l’egemonia della cultura cattolica
rendono ancora più forte l’identificazione donna/famiglia, dall’altro lo
stato liberale svolge un ruolo determinante nell’inserimento delle donne
nel pubblico attraverso i diritti civili piuttosto che quelli politici. La legge
Sacchi sulla capacità giuridica femminile, che abolisce l’autorizzazione
maritale e riconosce il libero esercizio di tutte le professioni, tranne la
magistratura, la diplomazia e la giurisdizione militare è del 1919. Le itaV. de Grazia, Le donne nel regime fascista, Venezia, Marsilio, 1993.
Cfr. A. Rossi-Doria, Diventare cittadine, cit.; C. Saraceno, Redifining Maternity and Paternity: Gender, Pronatalism and Social Policies in Fascist Italy, in G. Bock,
P. Thane (a cura di), Maternity and Gender Policies. Women and the Rise of the European Welfare States, 1880s-1950s, London-N. Y., Routledge, 1991.
74
Cfr. A. Rossi-Doria, L’avvento del voto alle donne in Italia, cit., pp. 27-30; Ead.,
Diventare cittadine, cit., pp. 7-10.
72
73
108
liane si ritrovano rigidamente segregate nella sfera privata, non si vedono
riconosciuti i diritti politici, ma al contempo, rispetto ad altri paesi, sono
molto più politicizzate (basti pensare che a cavallo del secolo una donna,
Argentina Altobelli, è alla guida della Federterra). Si consolida così un’azione politica senza cittadinanza e al di fuori delle istituzioni. Un tratto,
quest’ultimo, che contraddistingue la partecipazione politica delle donne
ancora oggi.
La tutela della maternità è anche la priorità delle costituenti, accanto alla garanzia della parità. Ma, come sottolinea Elisabetta Palici di
Suni, l’equilibrio tra le due istanze, faticosamente raggiunto all’interno
dell’Assemblea costituente «non fu rispettato nel processo di attuazione
della Carta costituzionale: in Italia come in altri Paesi, la protezione della
maternità attraverso una normativa differenziata ebbe per molti anni il
sopravvento sul riconoscimento della parità»75.
L’ottenimento del diritto di voto nel 1945 in Italia come afferma Conti Odorisio «è stato definito spesso un “non evento”»76 perché non dà
i risultati sperati in termini di partecipazione77 e i principi di giustizia
sociale e di parità nei diritti, inseriti nella Carta costituzionale78, di fatto
E. Palici di Suni, La legislazione sulle donne tra parità e differenziazione: azioni
positive e quote elettorali, in A. Del Re, V. Longo, L. Perini (a cura di), I confini della
cittadinanza. Genere, partecipazione politica e vita quotidiana, Milano, FrancoAngeli,
2010, p. 25. La studiosa sottolinea che l’art. 37 della costituzione esprime compiutamente la doppia esigenza della parità e della protezione della maternità, infatti recita:
«La donna lavoratrice ha gli stessi diritti, e a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che
spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale
adeguata educazione».
76
G. Conti Odorisio, Ragione e tradizione, cit., p. 215.
77
Come ricorda Rossi-Doria (Diventare cittadine, cit., pp. 11-19) l’idea della donna
come cittadina è ancora debolissima e le cause sono molteplici: l’ignoranza politica comune a tutti coloro che erano cresciuti sotto il fascismo; la democrazia viene riscoperta non tanto attraverso la rivendicazione dei diritti di cittadinanza quanto attraverso
l’adesione ai partiti; la società civile è debole rispetto allo stato a causa del duro colpo
inferto all’associazionismo femminile in età liberale.
78
«La Costituzione segna il passaggio dall’assoluta inferiorità della donna alla parità.
È un mutamento radicale di prospettiva che la Carta repubblicana non si limita a stabilire in via generale proclamando il principio fondamentale di eguaglianza dei cittadini
senza distinzione di sesso – art. 3 comma 1 – ma lo afferma nei settori di maggior discriminazione: famiglia (art. 29, comma 2 “eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”,
75
109
vengono applicati solo negli anni seguenti. Le italiane ottengono il diritto di voto, attivo e passivo, mentre è ancora in vigore il codice Rocco e il
vecchio regime di famiglia che ne sanciscono una condizione di minorità79. Inoltre, con l’ingresso delle donne in politica ha inizio «anche una
certa marginalizzazione nei settori riconosciuti di loro competenza, come
la famiglia, l’istruzione e la parità nel lavoro»80.
Ancora una volta, dopo essersi spese per lo stato (l’unità prima e la
liberazione dopo), le donne cercano di immettere nel pubblico i valori
femminili, ma assistono alla loro depoliticizzazione. Ottengono solo la
delega all’organizzazione pubblica e privata dei lavori di cura (educazione, servizi sociali, sanità) a spese di una concreta cittadinanza politica,
anche a causa del modello di welfare state che si configura in Italia. Un
welfare corporativo che eroga sussidi al padre di famiglia lavoratore, ma
non offre servizi per la conciliazione famiglia-lavoro-politica delle donne
che considera essenzialmente mogli e madri. Su di loro, pertanto, ricade il
doppio onere di dover contribuire al reddito (lavorando spesso nei settori
femminilizzati: sanità, formazione, ecc.) e di doversi occupare dei bisogni
di cura del nucleo familiare81.
L’azione delle donne nel Risorgimento, come nella Resistenza, viene
svuotata del significato politico, diventa generosità femminile, abnegazione materna. Eppure le donne con la loro esperienza dimostrano che
la cittadinanza non si identifica solo con la titolarità di diritti e doveri,
tutelati giuridicamente, bensì esprime la capacità dei soggetti di “partecipare”, «di essere presenti nella comunità con sguardo critico e propositivo e con pratiche che traducono il desiderio soggettivo e privato in
art. 30), lavoro (art. 37), elettorato (art. 48), pubblici uffici (art. 51)»: L. Carlassare,
La parità dei sessi nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in A. Del Re, V.
Longo, L. Perini (a cura di), I confini della cittadinanza, cit., p. 11.
79
Ricordiamo che alcune tappe fondamentali per la conquista dei diritti civili saranno
le leggi del 1956 sulla presenza delle donne nelle giurie delle corti d’assise, del 1958 sulla chiusura delle case di tolleranza, del 1963 sulla parità di accesso a tutte le carriere e
sul divieto di licenziamento per matrimonio, del 1970 sul divorzio, del 1975 sul nuovo
diritto di famiglia, del 1977 sulla parità nel lavoro.
80
G. Conti Odorisio, Ragione e tradizione, cit., p. 215.
81
Cfr. M. Forcina, Una cittadinanza di altro genere, cit. Si rinvia anche a R. Bufano, Welfare state e pari opportunità a partire da Esping-Andersen, in M. Mazzotta
(a cura di), Lo stato del benessere nella società della conoscenza, Trento, Tangram, 2012.
110
un modo pubblico di apparire ed essere parte della comunità»82 . Ovvero, come afferma Forcina, la cittadinanza, come dimostrano le donne,
«funge da banco di prova della possibilità di partecipazione politica e
definisce aspettative, desideri e valori di cui sono i soggetti i primi portatori e non le istituzioni o le ideologie o i metodi astratti o le procedure
normative»83. La pratica politica delle donne, inoltre, valorizza e si attua
con la rete, l’associazionismo, il confronto e il riconoscimento, a partire
dalle preziose del ’600 che in uno scambio di opinioni scoprono di avere
tutte le stesse esigenze: cessare di essere merce di scambio nei matrimoni
combinati ed essere considerate come soggetti pensanti.
Il paradosso è che le donne che praticano la cittadinanza anche in assenza del suo riconoscimento, quando ottengono il diritto di voto continuano a condurre la loro azione politica prevalentemente al di fuori delle
istituzioni. Quando le donne riescono a liberarsi del confinamento nella
vita privata, grazie soprattutto all’aumento del livello di istruzione, la
loro realizzazione e la loro presenza cresce nel mondo del lavoro, ma rimane scarsa nella sfera pubblica. Ma è una scelta? O il potere istituzionale
(demonizzato e rifiutato dalle femministe negli anni Sessanta/Settanta
perché espressione di un potere maschile) perpetua l’esclusione femminile dalla politica?
3.2.Partecipazione e rappresentanza politica
delle donne
Il ’900 è stato spesso definito il “secolo delle donne”, perché in questo
secolo sono stati conquistati i diritti di cittadinanza (politici, sociali e civili). Sono cresciuti i livelli di istruzione e la presenza nel mondo del lavoro (sebbene non manchino problemi di discriminazione e difficoltà ad
accedere alle cariche apicali). Ma alla raggiunta uguaglianza giuridica di
genere non corrisponde una cittadinanza femminile reale. Intendendosi
M. Forcina, Segni di una cittadinanza femminile: partecipare, includere, intraprendere, in F. Taricone, R. Bufano (a cura di), Pensiero politico e genere dall’Ottocento al Novecento, cit., p. 69.
83
Ibidem.
82
111
per cittadinanza «la possibilità di una fruizione effettiva di quei diritti di
appartenenza che fanno sì che i singoli cittadini possano “autodeterminarsi” e realizzare quella partecipazione paritaria ai processi decisionali della
politica»84. Le donne sono circa la metà della popolazione mondiale, ma
la loro presenza media nei parlamenti dei vari paesi si aggira intorno al
16,6%85. Inoltre, continuano a essere soggette a segregazione “verticale”,
(soffitto di cristallo) e “orizzontale” (pavimento di pece). Nel primo caso
incontrano difficoltà nell’avanzare di carriera e ricoprire mansioni dirigenziali, nel secondo rimangono confinate in determinati settori tradizionalmente “femminilizzati” e non riescono a occuparne altri. Questa
terminologia si utilizza soprattutto in ambito lavorativo, ma è applicabile
anche alla politica. Qui si adoperano più spesso, in sostituzione dell’espressione “soffitto di cristallo”, quelle di Iron Law (legge di ferro) e Lag
(intervallo). Con la prima si descrive la percentuale di rappresentanza femminile che decresce all’aumentare della gerarchia del potere, con la seconda si intende la necessità che le donne eleggibili si stabilizzino a ogni livello
della gerarchia prima di poter accedere a quello successivo, che raggiungono, tra l’altro, quando questo diventa meno appetibile per gli uomini86.
L’uguaglianza di genere è stata “inseguita” dalle istituzioni attraverso
due tipologie di politiche: “della parità” e, successivamente, “delle pari
opportunità”. Le prime hanno cercato di garantire la parità attraverso il
corretto funzionamento delle regole universali. Il principio è stato quello
di applicare norme identiche per tutti, senza considerare le disparità di
partenza. Ma l’uguaglianza è rimasta formale e le differenze sono rimaste
inalterate. Le donne, come si è detto, hanno continuato a subire discriminazioni sia nel lavoro che in politica. Sono state introdotte pertanto le
politiche delle pari opportunità. Per garantire concretamente uguali possibilità di partecipazione si è ricorso a forme correttive: le azioni positive.
Quest’ultime consistono in trattamenti disuguali (che dovrebbero essere
temporanei) a favore dei gruppi in minoranza (le donne) per riequilibrare
le condizioni di accesso ai diritti (e di conseguenza la presenza nei luoghi
B. Gelli, Psicologia della differenza di genere. Soggettività femminili tra vecchi pregiudizi e nuova cultura, Milano, FrancoAngeli, 2009, p. 320.
85
Cfr. ivi, p. 297.
86
Cfr. ivi, pp. 298, 299.
84
112
di lavoro e nella politica in particolare) e rendere effettiva l’uguaglianza
dei risultati87.
Anche l’Unione europea, dopo aver sollecitato gli stati membri all’attuazione di politiche di uguaglianza e di pari opportunità88, adotta
quest’ultimo principio nel Quarto Programma di azione (1996-2000)89.
Il piano «propone delle linee di intervento per le pari opportunità in tutti i settori della vita pubblica e privata: nel lavoro, nell’istruzione, nell’equa partecipazione ai livelli decisionali e nella corresponsabilità nella vita
privata»90. Si afferma così, come sottolinea Conti Odorisio, il principio
che «la parità di trattamento e la parità di opportunità tra le donne e
gli uomini è un elemento integrante della democrazia europea»91. Il
programma redatto dopo la Conferenza di Pechino ne adotta gli stessi
obiettivi: l’empowerment e il mainstreaming. Con il primo termine «si
intende l’attribuzione di maggiore potere alle donne rimuovendo tutti
gli ostacoli che si frappongono alla attiva partecipazione delle donne a
tutte le sfere della vita pubblica e privata, rendendo la loro presenza più
vicina alla loro reale consistenza numerica nei processi decisionali di natura sociale, culturale e politica»92 . Con mainstreaming s’intende una
trasformazione nella cultura di governo, volta a valorizzare la specificità
di genere in tutte le politiche comunitarie.
Nonostante tutte le sollecitazioni, la presenza delle donne in politica
continua a essere molto bassa. Questo fenomeno può essere interpretato
come incompiutezza della democrazia, oppure, come carenza di giustizia
sociale.
Cfr. tra gli altri A. Donà, Genere e politiche pubbliche. Introduzione alle pari opportunità, Milano, Mondadori, 2007.
88
Varie le direttive in tal senso, dalla 1975/117 CEE per la parità delle retribuzioni tra
lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile, alle leggi contro le discriminazioni,
alla 84/635/CEE 6 volta a sensibilizzare gli stati membri a introdurre azioni positive a
favore delle donne (cioè interventi finalizzati a realizzare una concreta uguaglianza di
opportunità e a impedire forme discriminatorie e pregiudiziali soprattutto in ambito
lavorativo).
89
«Le pari opportunità per le donne e gli uomini costituiscono il compito principale dell’Unione europea e dei suoi Stati membri»: G. U. delle Comunità europee,
30/12/1995.
90
G. Conti Odorisio, Ragione e tradizione, cit., p. 243.
91
Ibidem.
92
Ivi, p. 236.
87
113
C’è chi denuncia, come Forcina, il rischio di una distanza sempre più
radicale della politica dalla realtà, poiché la popolazione è prevalentemente femminile93 e «la politica non può ignorare che la realtà sociale
è sempre più abitata dalle donne ed è cambiata ad opera delle donne, e
quella stessa realtà deve “poter trovare voce, mediazione, rappresentanza
e rappresentazione nelle istituzioni”»94. Si ritiene la specificità femminile complementare a quella maschile e necessaria in politica come nei
ruoli apicali dell’economia e della finanza95, perché vi si attribuisce un
carattere meno competitivo e più cooperativo, maggiore propensione a
valorizzare le risorse e a riconoscere e soddisfare i bisogni della comunità,
della famiglia, delle differenze, e capace di rispondere meglio alle stesse esigenze femminili (dalle politiche sociali ai consumi rosa). Posizione
assunta sia da organi internazionali come l’Unione europea, che da correnti di studi come la womeneconomics e da economisti e politologi96.
Inoltre, come afferma Alisa Del Re «la collocazione sociale delle donne,
in questo momento storico fortemente presente nei movimenti sociali,
potrebbe portare un’agenda nuova non solo composta da bisogni inediti
Secondo quanto rilevato da Eurostat e comunicato a marzo 2012, nei 27 paesi
dell’Ue vivono nel 2011, in totale, 257 milioni di donne e 245 milioni di uomini, ossia 105 donne ogni 100 uomini: cfr. rilevazioni Eurostat consultabile online all’indirizzo: <http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_PUBLIC/1-07032012-AP/
EN/1-07032012-AP-EN.PDF>. Secondo l’Istat, in Italia, al 9 ottobre 2011, ci sono
93,7 uomini ogni 100 donne, ovvero 28.745.507 uomini e 30.688.237 donne: cfr. rilevazione Istat consultabile online all’indirizzo: <http://www.istat.it/it/files/2012/12/
comunicato-stampa.pdf>.
94
M. Forcina, Rappresentazioni politiche della differenza, cit., p. 53.
95
È questa convinzione che sta scatenando le deliberazioni legislative, fortemente sollecitate dall’Unione europea, a favore delle quote rosa nei consigli di amministrazione
delle società. In Italia la L. 120/2011 prevede che il genere sottorappresentato deve
ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti.
96
Cfr. fra gli altri: M. Ferrera, Il fattore D. Perché il lavoro delle donne farà crescere
l’Italia, Milano, Mondadori, 2008; “Risoluzione del Parlamento europeo del 17
giugno 2010 sugli aspetti di genere della recessione economica e della crisi finanziaria”,
consultabile online sul sito del Parlamento europeo all’indirizzo <http://www.
europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//NONSGML+TA+P7-TA2010-0231+0+DOC+PDF+V0//IT>; A. Wittenberg-Cox, A. Maitland,
Rivoluzione womeneconomics. Perché le donne sono il motore dell’economia, Milano, Il
Sole24 Ore, 2010; D. Del Boca, L. Mencarini, S. Pasqua, Valorizzare le donne
conviene, Bologna, il Mulino, 2012; R. Bufano, Welfare state e pari opportunità a
partire da Esping-Andersen, cit.
93
114
rispetto alle agende politiche tradizionali, ma anche ricca di relazioni e
più radicata nel territorio»97.
Vi è anche chi ritiene, invece, che la maggiore partecipazione e rappresentanza politica delle donne attua una maggiore giustizia sociale, ma la
democrazia è già da considerarsi compiuta poiché «un eletto o un’eletta rappresentano tutti i cittadini, indipendentemente dal loro sesso»98.
Al contempo, sostenere che le donne modificherebbero i contenuti e le
modalità della politica è prematuro (perché non è ancora dimostrato) e
deresponsabilizza gli eletti uomini (perché a loro non viene richiesto di
modificare il modo di fare politica).
Tuttavia, come sottolinea Vinzia Fiorino99, nelle democrazie rappresentative l’istituto della rappresentanza garantisce la presenza di qualcuno che di fatto è assente, implica cioè «la sostituzione di una persona il
cui posto viene ricoperto da un’altra; ma presuppone, al tempo stesso,
un rapporto di pur vaga identificazione tra i due soggetti»100. La disaffezione politica che si registra negli ultimi anni è imputabile proprio alla
percezione di una distanza netta tra chi governa e chi è governato. Inoltre,
come sostiene Maurizio Ferrera, affinché vengano attuate delle politiche
ci deve essere una esplicita e riconoscibile domanda delle stesse, pertanto,
«l’azione politica per le donne deve essere innanzitutto azione politica
delle donne»101.
A. Del Re, Le donne e i partiti politici in Italia e in Europa: la democrazia maschile,
in A. Del Re, V. Longo, L. Perini (a cura di), I confini della cittadinanza, cit., p. 39.
98
A. Del Re, V. Longo, L. Perini (a cura di), I confini della cittadinanza, cit., p. 9.
99
V. Fiorino, Essere cittadine francesi: una riflessione sui principi dell’89, cit., pp. 72, 73
100
Ivi, p. 73.
101
M. Ferrera, Il fattore D, cit., p. 121. Come lo stesso Ferrera specifica «serve anche
l’azione degli uomini, beninteso: pensiamo a Blair e Zapatero. Ma senza la spinta dei
movimenti femminili dei rispettivi paesi, senza il contributo delle militanti del New
Labour e del PSOE, delle ministre “rosa” e così via è assai improbabile che Blair e Zapatero avrebbero puntato così tanto sui temi della parità e della conciliazione. E senza
le pressioni dal basso esercitate dall’associazionismo femminile già negli anni Settanta
e Ottanta, i paesi nordici non avrebbero precocemente imboccato la strada dell’alta
partecipazione/conciliazione/condivisione» (ibidem).
97
115
3.2.1. Le forme della partecipazione politica
Vi sono molteplici definizioni e classificazioni di partecipazione politica102 . Da quella di Michael Rush, che la descrive come «il coinvolgimento dell’individuo nel sistema politico a vari livelli di attività, dal
disinteresse totale alla titolarità di una carica politica»103, a quella di
Gianfranco Pasquino104 che la connota come quell’insieme di azioni e di
comportamenti che mirano a influenzare (in modo più o meno diretto
e legale) la selezione e le decisioni dei detentori del potere (nel sistema
politico o in singole organizzazioni politiche), con l’obiettivo di conservare o di modificare la struttura (e quindi i valori) del sistema di interessi
dominanti.
Giacomo Sani105 tripartisce la partecipazione in “presenza”, “attivismo”
e “partecipazione” vera e propria. La prima consiste in comportamenti
passivi e ricettivi (informarsi di politica, ascoltare riunioni), l’“attivismo”
in una serie di attività (regolari o saltuarie) alle quali l’individuo apporta
il proprio contributo (promozione in campagna elettorale, partecipazione a manifestazioni), mentre l’effettiva “partecipazione” (che coinvolge
pochi soggetti) si ha quando l’individuo contribuisce direttamente o indirettamente a una decisione politica.
La partecipazione è stata distinta anche tra attiva o visibile e latente
o non visibile. Quest’ultima riguarda forme di coinvolgimento emotivo
come interessarsi e informarsi di politica. La partecipazione attiva a sua
volta è stata distinta anche in convenzionale (forme di partecipazione istituzionalmente mediate e volte a sostenere, per esempio, i partiti) e non
convenzionale (raccogliere petizioni, partecipare a una manifestazione o
a un boicottaggio, scrivere a un giornale, ecc.).
Cfr. tra gli altri: M. Tommasoli, Lo sviluppo partecipativo, Roma, Carocci, 2001;
M. Cotta, D. Della Porta, L. Morlino, Fondamenti di scienza politica, Bologna, il Mulino, 2001; A. Millefiorini, La partecipazione politica in Italia. Impegno
politico e azione collettiva negli anni ottanta e novanta, Roma, Carocci, 2002; F. Raniolo, La partecipazione politica, Bologna, il Mulino, 2002; e gli autori indicati nelle
successive note.
103
M. Rush, Politica e società: introduzione alla sociologia politica, trad. it., Bologna, il
Mulino, 1998, p. 121.
104
G. Pasquino, Nuovo corso di scienza politica, Bologna, il Mulino, 1997, pp. 61, 62.
105
G. Sani, voce «Partecipazione politica», in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino (a cura di), Dizionario di politica, cit., pp. 703-705.
102
116
Come rilevano Bianca Gelli, Monica Legittimo, Cosimo Calò e Terri
Mannarini106, la partecipazione implica anche la volontà di agire, la possibilità di scegliere tra diverse forme di partecipazione, la condivisione e l’appartenenza. «Gli individui nel partecipare hanno in comune un’azione o
un’idea e, in quanto tali, condividono anche un’appartenenza che è ideologica, oltre che territoriale»107. Pertanto, il manifesto disinteresse verso la
politica, soprattutto in termini di partecipazione ad attività politiche convenzionali, e la crescente sfiducia nei confronti della politica istituzionale
possono essere sottoposti a due diverse letture, una pessimista e una ottimista. Se è innegabile la disaffezione verso le istituzioni e gli organismi politici, come denuncia Ulrich Beck108, soprattutto da parte dei giovani e delle donne, è altrettanto vero che aumenta la loro partecipazione nella sfera
sociale (dalle associazioni al volontariato), come rileva Oscar Mazzoleni109.
Si tratta di forme di partecipazione auto-organizzate dalla forte valenza
espressiva, che hanno una duplice funzione: educativa, poiché sviluppano
le qualità civiche di chi vi partecipa, e di testimonianza, in quanto esprimono l’esistenza e l’identità (chi sono e cosa vogliono) di quei gruppi110.
Gli studiosi, dunque, registrano una trasformazione della partecipazione politica, poiché l’attivismo classicamente inteso non è antitetico a
queste nuove forme, le quali anzi alimentano il senso civico e favoriscono «la partecipazione di natura più direttamente politica»111. Inoltre,
il coinvolgimento attivo e la maggiore assunzione di responsabilità degli aderenti, l’instaurarsi di rapporti paritari (orizzontali), l’avere degli
obiettivi comuni senza essere imbrigliati in una rigida ideologia, rende
queste forme di partecipazione molto più motivanti rispetto alla militanB. Gelli, M. Legittimo, C. Talò, Le forme della partecipazione: dal politico al
sociale, in B. Gelli, T. Mannarini, La partecipazione: modi e percorsi. Dai papa boys
ai no global, Milano, Unicopli, 2007, pp. 17-19; B. Gelli, T. Mannarini, Introduzione, in ivi, pp. 8-11.
107
B. Gelli, M. Legittimo, C. Talò, Le forme della partecipazione: dal politico al
sociale, cit., p. 19.
108
Cfr. U. Beck, Figli della libertà: contro il lamento della caduta dei valori, in «Rassegna Italiana di Sociologia», 1, 2000, pp. 3-27.
109
Cfr. O. Mazzoleni (a cura di), La politica allo specchio. Istituzioni, partecipazione
politica e formazione alla cittadinanza, Lugano, Giampiero Casagrande, 2003.
110
Cfr. B. Gelli, M. Legittimo, C. Talò, Le forme della partecipazione: dal politico
al sociale, cit., p. 19.
111
Ibidem.
106
117
za nelle gerarchiche e burocratizzate strutture dei partiti che confinano
gli aderenti a un ruolo molto più passivo.
3.2.2. La partecipazione politica di genere
Le caratteristiche della nuova modalità di partecipazione politica, descritte nel paragrafo precedente, ripropongono la formula che, come si è
visto, ha sempre connotato la pratica politica femminile: azione sociale e
forme di organizzazione semplici e informali (che pur riescono a influenzare, indirettamente, anche le scelte politiche). Una modalità di partecipazione che continua a essere preferita dalle donne, come si è già rilevato,
che coinvolge sempre più i giovani, ma che di fatto inficia la possibilità
di agire dall’interno delle istituzioni attraverso una partecipazione attiva
convenzionale. La partecipazione prevalente in Italia, infatti, è di tipo invisibile, come emerge dall’indagine Istat112 del 2012. Il 76% della popolazione italiana (dai 14 anni in su) si informa di politica e il 67,5% ne parla.
Ma la partecipazione è ancora più bassa tra le donne. Infatti, a informarsi
di politica è il 70,5% delle donne contro l’82,5% degli uomini, mentre a
parlarne è il 59,4% delle donne contro il 76,3% degli uomini. Se ne deduce che sul divario tra il numero di individui che si informano di politica e
quelli che ne discutono incidono maggiormente proprio le donne, le quali sono più propense a documentarsi e meno a dibattere di politica. Se si
considera la fascia di popolazione che si informa più frequentemente (da
qualche volta a settimana a tutti i giorni) i valori scendono al 66,9% per
gli uomini e al 52,8% per le donne. Si interessa regolarmente di politica,
dunque, solo la metà delle italiane, prevalentemente tra i 45 e i 64 anni
(con punte maggiori di interesse tra i 55 e i 64), essenzialmente laureate
o diplomate, che svolgono prevalentemente attività autonome (imprenditrici e libere professioniste) o ricoprono cariche apicali (84,2%), oppure
fanno le impiegate (82%). Le donne che ignorano completamente la politica sono quasi il doppio degli uomini (29,2% contro il 16,7%), benché le
motivazioni siano le stesse: il disinteresse (ben il 65,7% delle donne con-
Cfr. “Aspetti della vita quotidiana” 2012 consultabile online sul sito dell’Istat
all’indirizzo: <http://www.istat.it/it/archivio/66990>.
112
118
tro il 65,2% degli uomini) e la sfiducia nella politica (25,5% delle donne
contro il 27,8% degli uomini).
La partecipazione politica visibile o attiva, che richiede una mobilitazione o un impegno in prima persona, l’interazione con un partito a cui
dedicare tempo e lavoro gratuitamente oppure da sostenere finanziariamente, è un’esperienza che riguarda frange ristrette di popolazione italiana113. Anche qui emergono differenze di genere. Interviene a un corteo
il 5,6% delle donne contro il 6,7% degli uomini, partecipa a un comizio
il 3,7% delle donne contro il 7% degli uomini. Solo l’1,6% dà soldi a un
partito (contro il 2,8% degli uomini) e lo 0,7% vi svolge attività gratuita
(contro l’1,8% degli uomini).
Ma l’indagine non prende in considerazione le forme di partecipazione non convenzionale. Se rimane innegabile che le donne partecipano in misura minore alle attività politiche tradizionali (campaignoriented) attuate principalmente attraverso i partiti e i meccanismi
elettorali, alcuni studi hanno rilevato114 che, oltre a essere propense a
svolgere attività sociali (civic-oriented) in associazioni e volontariato,
sono inclini a impegnarsi in attività cause-oriented o attivismo di protesta, cioè nelle forme di partecipazione politica non convenzionale
(petizioni, dimostrazioni, ecc.), che possono influenzare l’agenda politica senza ricorrere agli organismi istituzionali come i partiti. Come
osserva Gelli «il fatto che le donne, al pari dei giovani, esercitino il più
spesso un attivismo di protesta denuncia l’ancora debolezza del loro
potere che conosce le forme dell’ostruzionismo, del boicottaggio, qualificabili non come negative ma come contrassegnate dall’assenza di
azione in positivo»115. D’altro canto uno degli ostacoli, ampiamente
riconosciuto, alla partecipazione politica delle donne è la difficoltà di
conciliare i tempi della politica (ancora tipicamente maschili, si pensi
alle riunioni protratte fino a tarda serata), con quelli familiari e professionali. Le attività di protesta sopperiscono a questo problema, sono a
basso sforzo e impegnano per tempi limitati. Inoltre, sono fluide, poco
Il 6,1% interviene a un corteo, il 5,3% partecipa a un comizio, il 2,2% dà soldi a un
partito, l’1,2% svolge attività gratuita per un partito politico.
114
Cfr. R. Inglehart, P. Norris, Gender Equality and Cultural Change Around
the World, Cambridge, Cambridge University Press, 2003; B. Gelli, Psicologia della
differenza di genere, cit.
115
Cfr. B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., p. 301.
113
119
burocratizzate e consentono di riconoscersi in una identità collettiva
ma non richiedono appartenenze forti come i partiti. La partecipazione politica delle donne, dunque, sembra essere consistente ma non
convenzionale116.
Tuttavia, come sottolinea Gelli117, questo tipo di scelta incide sul gap
della rappresentanza di genere.
3.2.3. Rappresentanza politica e gap di genere
La “Risoluzione del Parlamento europeo del 13 marzo 2012 sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea – 2011”118, afferma che l’obiettivo dell’uguaglianza di genere richiede una migliore rappresentanza
politica delle donne e denuncia che negli ultimi anni non ha registrato
alcun miglioramento. L’equilibrio di genere in seno ai parlamenti nazionali dell’Unione europea è rimasto immutato, con una proporzione del
24% di donne e del 76% di uomini (in alcuni stati membri la percentuale
di donne in parlamento non supera il 15%), solo il 23% dei ministri sono
donne e il numero di donne vicepresidente del parlamento europeo è diminuito nella seconda metà della legislatura 2009-2014.
Secondo i dati rilevati dal Global Gender Gap Report119 del 2012, per
la presenza di donne in politica l’Italia è addirittura al 71esimo posto,
mentre il Sud Africa è al settimo. Al primo si posiziona l’Islanda, seguita
da Finlandia e Norvegia. Come sottolinea Gelli120, vi è un forte gap di
genere in paesi a consolidata cultura democratica e sta quasi scomparendo
B. Gelli, T. Mannarini, Il gap di genere nell’attivismo politico, in B. Gelli, T.
Mannarini, La partecipazione: modi e percorsi, cit., pp. 48, 64.
117
Cfr. B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., pp. 300, 301.
118
Cfr. “Risoluzione del Parlamento europeo del 13 marzo 2012 sulla parità tra donne
e uomini nell’Unione europea – 2011” consultabile online sul sito del Parlamento europeo, all’indirizzo: <http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//
EP//TEXT+TA+P7-TA-2012-0069+0+DOC+XML+V0//IT>.
119
Il World Economic Forum stila ogni anno una classifica dei paesi a seconda dei livelli di accesso all’istruzione, al mercato del lavoro, alle cariche pubbliche e dello stato di
salute delle donne. R. Hausmann, L. D. Tyson, S. Zahidi, The Global Gender Gap
Report 2012, <http://www3.weforum.org/docs/WEF_GenderGap_Report_2012.
pdf>, p. 16.
120
B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., pp. 297, 298.
116
120
in paesi che stanno da poco comparendo sulla scena. Ciò dimostra che
incidono diversi fattori concomitanti, da quelli sistemico-strutturale e
politico ai processi di trasformazione delle identità femminili.
In Italia, come denuncia Barbara Pojaghi121 nel 2010, la presenza delle
donne è del 17,3% alla camera, del 14% al senato, ma ancora più esigua nei
ruoli apicali, per esempio, solo 2 prime cittadine su 14 città metropolitane, 43 dirigenti sanitarie su 278 aziende, due donne a capo dell’università
su 77 rettorati. «Le donne sono quindi quasi totalmente escluse dalle
principali posizioni di comando al sistema di governo, sia centrale che
locale; si ha qualche sporadica situazione di donna-sindaco, ma rarissime sono per esempio le donne presidenti di Regione. Egualmente, quasi
totalmente escluse sono dalle strutture di partito»122 , oltre che dalle alte
cariche della magistratura, delle libere professioni e del mondo imprenditoriale123.
Pojaghi sostiene che questo fenomeno, però, va letto sia in termini di discriminazione che di autoesclusione. È vero che le donne sono emarginate dal potere e che sono collocate in ambiti tipicamente femminili come
l’istruzione, la sanità, i servizi sociali, ma è altrettanto vero che spesso vi
è una scelta consapevole: in questi settori si sentono più soddisfatte. Così
come quella di non candidarsi è espressione di una volontà, per evitare
di dover scegliere tra gli impegni politici e quelli familiari. I tempi della
politica, infatti, sono escludenti, gli uomini vi si dedicano interamente,
le donne invece cercano di integrare le varie sfere della vita. Le politiche
della conciliazione aiuterebbero molto in questo senso124, ma si crea un
circolo vizioso: la scarsa rappresentanza femminile rende difficile l’adozione di politiche a loro favore. Come sostiene Gelli, non si è raggiunta né
la massa critica (30% circa di rappresentanza) né il tipo di presenza femminile che permetterebbero di modificare le regole e la cultura politica125.
B. Pojaghi, Donne e partecipazione politica, in Comitato Pari Opportunità,
Etiche e politiche di genere, Bari, Università degli Studi di Bari, 2010, p. 163.
122
Ibidem.
123
Cfr. B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., p. 299.
124
Sull’argomento e relativa bibliografia si rinvia a R. Bufano, Welfare state e pari
opportunità a partire da Esping-Andersen, cit.
125
Cfr. B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., pp. 308-313. La massa critica, che si aggira intorno al 25-30% di presenza (e questo rinvia alla questione quote che
verrà affrontato nel successivo paragrafo), innescherebbe un circolo virtuoso: la mag121
121
Spesso, invece, le poche donne presenti nella sfera pubblica riproducono
modalità e linguaggio maschili, rinunciando alla propria specificità di genere126 e favorendo la sfiducia delle donne nelle donne che fanno politica.
E quest’ultimo aspetto è un altro fattore che incide sulla scarsa presenza
femminile nella sfera pubblica: le donne non votano le donne.
Secondo Gelli i fattori che determinano il gap di genere in politica sono
di natura strutturale-istituzionale, individuali e psicosociali127. Tra quelli
strutturali sono ricompresi il “tempo”, come si è visto, la scarsità di “risorse economiche”128 che disincentivano le donne a investire in iniziative
elettorali di cui non sono prevedibili e sicuri i risultati, gli scarsi “livelli
di formazione”, con cui non si intende più il possesso di diplomi o lauree
(avendo ampiamente superato gli uomini), ma la scarsa informazione e conoscenza dei fatti della politica. A questi si aggiunge la bassa frequenza da
parte delle donne delle “agenzie di mobilitazione”, ovvero scuole di formazione politica, partiti. I fattori istituzionali che incidono sul gap riguardano, invece, le politiche poste in essere a garanzia di un’equa partecipazione
(da quelle della parità a quelle delle pari opportunità di cui si è parlato).
Tra i fattori individuali si annoverano l’ambizione e l’interesse per la
politica. Gelli dichiara che alcune ricerche hanno dimostrato che le donne hanno una minore ambizione politica e una maggiore ansia nelle situazioni di successo ma, al contempo, sottolinea che bisogna tener conto di
altri elementi: i già citati impegni familiari, la sensazione di avere o meno
giore presenza di donne in politica solleciterebbe sia i partiti a una loro maggiore inclusione nelle liste, sia le altre donne alla partecipazione politica. Inoltre, consentirebbe
alle donne di modificare le regole della politica, ma a tal fine è anche necessaria una
rappresentanza politica di “sostanza”, cioè una presenza femminile qualificata capace
di trasformare la cultura politica apportando la propria differenza di genere.
126
«Essere donna in un contesto organizzativo e culturale ancora quasi totalmente al
maschile è quindi un’impresa molto impegnativa, che il più delle volte si è pensato di
risolvere rinunciando alle proprie peculiarità femminili e assumendo quelle maschili,
secondo un processo di deindividuazione, così ben conosciuto nei gruppi minoritari.
Non si tende a valorizzare le differenze ma si richiede per lo più una omologazione. È
difficile inoltre comprendere e utilizzare un linguaggio e dei codici di comportamento
tipici del mondo politico, che sono ancora connotati tutti al maschile»: B. Pojaghi,
Donne e partecipazione politica, in Etiche e politiche di genere, cit., p. 165.
127
Cfr. B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., pp. 302-348.
128
In Inghilterra si sono costituite delle organizzazioni femministe (Emily e Fawcett
Society) che hanno incentivato la partecipazione politica delle donne attraverso finanziamenti delle campagne elettorali e corsi di formazione politica. Cfr. ivi, pp. 307, 317.
122
la possibilità di vincere, l’idea che la politica richieda un elevato bagaglio di conoscenze e di competenze specifiche, il mobbing psicologico dei
colleghi uomini che favoriscono questa impressione, il contesto culturale
tradizionale che tende a contenere l’ambizione femminile. La scelta di
candidarsi a cariche politiche dipende anche dalla percezione della propria “efficacia” o “capacità politica”, cioè la convinzione di essere in grado
di influenzare il sistema politico, che a sua volta è condizionata, oltre che
dall’autostima e dall’autoefficacia, dalla percezione che le istituzioni siano ricettive alle richieste dei cittadini e suscettibili di cambiamento129. Al
contrario, come rileva Pasquino130, la sfiducia nelle istituzioni e la scarsa
documentazione sulla politica alimentano un circolo vizioso che induce a
interessarsene ancor meno e a non parteciparvi. A incidere ancora sul gap
politico di genere è la mancanza di confronto con un consistente numero
di donne attive e affermate politicamente, «manca una storia, mancano modelli di azione e di interventi/cambiamenti sulla realtà sociale alle
quali le donne individualmente e in gruppo possano fare riferimento»131
(e questo rientra tra i fattori psico-sociali).
Sulla bassa rappresentanza femminile, inoltre, non è ininfluente né
l’idea che si è affermata di “potere” tipicamente maschile, inteso come
“potere su”, prevalentemente oppressivo piuttosto che costruttivo, né la
conseguente tipologia di leaderismo che ne deriva. Come si è detto le
poche donne che assumono cariche di comando tendono ad assimilare
le modalità maschili (gerarchiche, autoritarie, competitive, conflittuali),
improntando le relazioni interpersonali sul controllo, sul dominio, sulla
manipolazione, anche perché sono convinte che solo assumendo questo
atteggiamento può essere riconosciuta loro la capacità di successo. Ma ci
sono studi che, al contrario, attestano che le donne sono anche capaci
di «uno stile di leadership più “trasformativo” e metodi decisionali più
Cfr. ivi pp. 332-336; B. Gelli, M. Legittimo, C. Talò, Le forme della partecipazione: dal politico al sociale, cit., pp. 22-29; G. Pasquino, voce «Capacità politica»,
in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino (a cura di), Dizionario di politica, cit.,
pp. 127, 128.
130
G. Pasquino, Una cultura poco civica, in M. Caciagli, P. Corbetta (a cura di),
Le ragioni dell’elettore, Bologna, il Mulino, 2002.
131
B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., p. 343.
129
123
democratici e partecipativi e capacità di mediazione»132 e che, quindi,
potrebbero apportare un importante contributo di genere alla politica.
Gelli e Mannarini133 individuano anche i fattori di gap intragenere
confrontando la rappresentanza politica femminile in otto paesi dell’Unione europea: Svezia, Danimarca, Finlandia, Spagna, Germania, che
superano la massa critica, Inghilterra, Francia e Italia che sono al di sotto della massa critica134. Dallo studio emerge che la rappresentanza delle
donne è più alta nei paesi in cui è stato ottenuto prima il suffragio135, si
sono sviluppati maggiormente i movimenti femministi, hanno governato
o avuto una certa influenza i partiti di sinistra, è stato adottato il sistema elettorale proporzionale e vige la religione protestante. La presenza
in politica delle donne, infatti, è minima nei paesi cattolici (a eccezione
della Spagna che pur essendo cattolica ha visto una crescita esponenziale
della rappresentanza femminile), poiché la Chiesa influenza in modo determinante la visione della famiglia e il ruolo che la donna esercita al suo
interno, soprattutto in Italia.
3.2.4. Le azioni positive: le quote
Tra le azioni positive (o antidiscriminatorie) si annoverano le cosiddette
quote rosa, finalizzate a indurre le donne alla candidatura e alla presenza
nella sfera pubblica e, quindi, ad attuare il principio costituzionale dell’uguaglianza nella partecipazione alle cariche elettive “senza distinzione di
sesso” (sancito nella Costituzione italiana dall’art. 51).
Ivi, p. 351.
B. Gelli, T. Mannarini, Gap di genere e gap intragenere: donne europee a confronto, in B. Gelli, G. Lavanco, M. Mandalà (a cura di), Essere donne al tempo delle
nuove tecnologie, Milano, FrancoAngeli, 2007, pp. 35-73.
134
La ricerca analizza le percentuali di donne elette al parlamento nazionale (pn) e a
quello europeo (pe) nel 2005. I paesi che registrano una maggiore rappresentanza femminile sono: Svezia (45,3% pn, 57,9% pe), Finlandia (37,5% pn, 35,7% pe), Danimarca
(36,9% pn, 35,7% pe), Spagna (36% pn, 33,3% pe), Germania (31,8% pn, 31,3% pe).
Invece registrano una scarsa rappresentanza: UK (19,7% pn, 24,4% pe), Italia (17,1%
pn, 19,2% pe), Francia (12,2% pn, ma 42,3% pe).
135
Finlandia 1906, Svezia 1909, Danimarca e Germania 1920, Inghilterra 1928, Spagna 1931, Francia 1941, Italia 1945.
132
133
124
Tuttavia, proprio in virtù dell’art. 51, le azioni positive applicate alla
rappresentanza politica, come sostiene Antonella Benazzo136, hanno un
duplice risvolto. Il diritto antidiscriminatorio è lo strumento che rende la
giustizia da formale a sostanziale, concretizzando la parità di genere, già
riconosciuta e difesa all’interno delle costituzioni e delle leggi nazionali,
delle direttive e normative europee, ma che di fatto non trova riscontro
nella società. Le quote vengono proposte con l’intento di far aumentare
la presenza delle donne in un ambito, quello politico, egemonizzato dagli
uomini. Al contempo, però, le azioni positive (quindi le quote) per l’accesso alle cariche pubbliche a favore di un genere sono discriminatorie nei
confronti dell’altro e contravvengono al principio meritocratico. Per questo motivo la corte costituzionale italiana con una sentenza del 1995137
boccia l’adozione delle quote di genere nelle elezioni locali138, sostenendo
che l’equilibrata rappresentanza delle donne in politica non può essere
imposta per legge ma deve essere ottenuta dalle stesse donne e dai partiti. Il disinteresse di questi ultimi, nonostante le successive modifiche
costituzionali139, conduce a una sentenza opposta nel 2003140, motivata
A. Benazzo, Eguaglianza di genere e rappresentanza politica nei Paesi dell’Unione
europea, in A. Del Re, V. Longo, L. Perini (a cura di), I confini della cittadinanza,
cit., pp. 59-60.
137
Corte cost., sent. n. 422/1995 cit. in ivi, p. 59.
138
La L. 25 marzo 81/1993, recante norme per l’elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale, all’art. 5,
co. 2 aveva previsto che nelle liste dei candidati al consiglio comunale nessuno dei due
sessi potesse essere di norma rappresentato in misura superiore ai due terzi. Questa
e successive modifiche vengono bocciate dalla corte costituzionale. Cfr. Ufficio ricerche sulle questioni istituzionali, sulla giustizia e sulla cultura,
Pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive, <http://www.retepariopportunita.it/
Rete_Pari_Opportunita/UserFiles/Pubblicazioni/dossier_828_completo.pdf>, p. 8.
139
Con la L. cost. 1/2003 è stato integrato l’art. 51 della Costituzione che recita «Tutti
i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge», con
l’aggiunta: «A tal fine, la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari
opportunità tra donne e uomini». E già nel 2001, la L. cost. n. 3, all’art. 117, prevede
che le leggi regionali devono promuovere la parità di accesso tra donne e uomini alle
cariche elettive. Cfr. A. Benazzo, Eguaglianza di genere e rappresentanza politica nei
Paesi dell’Unione europea, cit., p. 59.
140
Corte cost., sent. n. 49/2003 cit. in ivi, p. 60.
136
125
dal fatto che le quote nelle candidature sono ascrivibili alle scelte di chi
fa le liste.
La questione delle quote rosa è ulteriormente controversa perché vede
l’approvazione di alcune donne, ma anche la netta opposizione di altre
che le considerano una forma di ghettizzazione iniqua nei confronti di
una componente della popolazione che è addirittura superiore rispetto
all’altra. Ritenendo, invece, che un’equa rappresentanza e una reale parità
sono garantite dalla presenza al 50% di donne e al 50% di uomini all’interno degli organi rappresentativi141. In Italia sono state elaborate delle
proposte di legge, di iniziativa popolare, orientate in tal senso. Una, denominata “Norme di Democrazia Paritaria per le Assemblee elettive”142 ,
è stata depositata al senato nel 2007, un’altra, “Disposizioni in materia di
equilibrio nella rappresentanza di genere nelle elezioni per il Consiglio
regionale e il/la Presidente della Regione”143, è stata consegnata al presidente del consiglio regionale della Puglia nel 2012. La prima stabilisce
che le liste per le competizioni elettorali di tutte le assemblee elettive (dai
comuni al parlamento europeo) devono essere composte da un numero
uguale di uomini e donne144. La seconda dispone che in ogni lista nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 50% e
prevede la doppia preferenza di genere, cioè la possibilità di dare due voti,
Sebbene anche il 50% da molti è considerata una quota e l’analisi delle politiche attuate dai vari paesi, anche quando sono state introdotti sistemi paritari, sono analizzati
sotto il profilo delle quote.
142
Cfr. “Norme di Democrazia Paritaria per le Assemblee elettive” consultabile
online
all’indirizzo:
<http://www.udichesiamo.org/index.php?option=com_
content&–view=article&id=60:progetto-di-leg ge-di-iniziativa-popolaren190007&catid=12&Itemid=224>. La proposta di legge e relativa campagna per
la raccolta firme “50E50 …ovunque si decide!” vengono promosse dall’associazione
femminile Udi (Unione donne in Italia). Della campagna si parlerà successivamente a
proposito dell’azione politica delle donne e l’uso di Internet.
143
“Disposizioni in materia di equilibrio nella rappresentanza di genere nelle elezioni
per il Consiglio regionale e il/la Presidente della Regione”, consultabile online all’indirizzo: <http://www.doppiapreferenza.it>.
144
“Norme di Democrazia Paritaria per le Assemblee elettive”, «art. 3 – Candidature
in liste o gruppi: In ogni lista o gruppo di candidati, le candidature sono costituite da
un numero uguale di donne e uomini, sono disposte in ordine alternato per sesso e, in
caso di disparità numerica, lo scarto è di una unità. Liste o gruppi di candidati che non
rispettano le predette norme sono irricevibili», cit.
141
126
ciascuno per un candidato di sesso diverso145. La prima proposta di legge
non è mai stata discussa dalle camere. La seconda è stata bocciata il 28
novembre 2012 con voto segreto dal consiglio regionale pugliese146. Nel
dibattito consiliare sono emerse motivazioni di dissenso147 che hanno attestato sia il perseverare di una cultura politica maschilista al limite della
misoginia, sia il fatto che non si può parlare di democrazia compiuta con
la sola rappresentanza degli uomini, visto che questi anziché perorare gli
interessi dell’intera cittadinanza, e quindi anche delle cittadine, attuano
pratiche di discriminazione.
Queste vicende fanno interrogare sul ruolo dei partiti e confermano
che le politiche per le donne sono possibili solo se ci sono più donne in
politica. Queste esperienze dimostrano anche che l’uguaglianza di genere
nella rappresentanza, intesa come presenza al 50%, è fortemente osteggiata (gli uomini si vedono sottrarre poltrone) e non può essere ottenuta
legislativamente in un solo colpo, ma per gradi. Infatti le quote sono state
approvate a livello nazionale con la L. 215/2012148.
Pina Nuzzo149 (e tutte le donne allineate al pensiero da lei espresso) ha
perfettamente ragione nel sostenere che le quote rafforzano «quella rappresentazione del genere come minoranza discriminata e per questo bisoCfr. “Disposizioni in materia di equilibrio nella rappresentanza di genere nelle elezioni per il Consiglio regionale e il/la Presidente della Regione”, cit.
146
Cfr. M. Terragni, Politici pugliesi, vili e machi, «Io donna. Il femminile del Corriere della Sera», consultabile online all’indirizzo: <http://blog.iodonna.it/marinaterragni/2012/11/28/pugliesi-vili-e-machi>. Un fatto simile è accaduto in Sicilia nel
2011: con voto segreto è stato bocciato un emendamento alla legge elettorale con il
quale si introduceva la doppia preferenza (due voti, uno per ciascun sesso).
147
«La politica è una cosa solo per uomini»; «Come farebbe una donna di Santa Maria di Leuca a guidare fino a Bari per partecipare ai lavori del Consiglio Regionale?»;
«Ci sono già donne dappertutto: basta andare negli ospedali, nelle scuole, nei tribunali»; «Bisogna rispettare la nostra sensibilità di fronte alle forme di coercizione delle
masse urlanti»: ibidem.
148
La legge intitolata “Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze
di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso
nelle pubbliche amministrazioni” approvata il 23 novembre 2012, prevede che nessuno dei due sessi può essere rappresentato nelle liste in misura superiore ai due terzi dei
candidati e introduce la doppia preferenza di genere.
149
Ex responsabile nazionale dell’Udi, tra le promotrici della proposta di legge “Norme
di Democrazia Paritaria per le Assemblee elettive” e fondatrice del laboratorio politico
145
127
gnosa di tutela»150, che le donne «sono soggetti di una democrazia che
va rinominata, che rimetta al centro merito ovunque e per tutti, maschi
e femmine»151. Tuttavia servono strumenti di diritto positivo (quindi
coercitivi) per educare alla democrazia paritaria, far aumentare la partecipazione politica “visibile” delle donne e farle “contare” nelle decisioni
politiche152 e anche le quote possono essere utili in tal senso. Nel 1993,
con la loro adozione, si è avuto un raddoppiamento delle presenze femminili in politica, scemata dopo la loro abolizione nel 1995. Benazzo153
afferma che è stata l’applicazione delle quote a riequilibrare negli ultimi
anni situazioni di tradizionale sottorappresentanza politica nei paesi europei. Esaminando tali esperienze si è riscontrato che «l’aumento delle
candidature femminili porta invariabilmente a innalzare il numero delle
elette, e se le quote di genere sono mantenute sufficientemente a lungo,
la presenza delle donne in politica tende a stabilizzarsi con ricadute legislative in tema di parità dei sessi (Paesi Scandinavi, Germania, Spagna,
Francia)»154.
3.2.5. Meccanismi paritari e quote in Europa
In Europa con l’adozione di quote o leggi paritarie si interviene sulle precondizioni elettorali per garantire alle donne maggiori possibilità di essere elette155.
In alcuni paesi europei le quote per favorire la maggiore partecipazione delle donne sono state scelte spontaneamente dai partiti, in altri sono
state introdotte dal legislatore attraverso leggi ordinarie o costituziona«Laboratorio donnae. Laboratorio di ricerca sul pensiero e sulla rappresentazione che
le donne si danno in politica», <http://laboratoriodonnae.wordpress.com>.
150
P. Nuzzo, Sembra 50E50 invece è quota, in «Laboratorio donnae», 20 luglio
2012, <http://laboratoriodonnae.wordpress.com/2012/07/20/sembra-50e50-invecee-quota/>.
151
Ibidem.
152
Cfr. anche tra gli altri: B. Pojaghi, Donne e partecipazione politica, cit., p. 166.
153
A. Benazzo, Eguaglianza di genere e rappresentanza politica nei Paesi dell’Unione
europea, cit., pp. 72, 73.
154
Ivi, p. 72.
155
Cfr. ivi, p. 66.
128
li156. Nel primo caso si parla di modello scandinavo perché nei paesi del
nord Europa i partiti socialdemocratici le hanno adottate autonomamente sin dagli anni Settanta del secolo scorso, ottenendo progressivamente,
vent’anni dopo, una presenza di genere sostanzialmente paritaria. Dimostrando come l’iniziativa di un partito possa influenzare le scelte degli
altri e favorire una cultura democratica dell’uguaglianza157.
Quando le quote sono opera del legislatore si parla di modello francese,
poiché la Francia è stato il paese che per primo ha adottato una legge sulla
parità di genere in politica. Dopo precedenti tentativi vanificati dalla corte costituzionale, il legislatore interviene sulla Costituzione nel 1999158
stabilendo che la legge deve favorire un uguale accesso degli uomini e
delle donne ai mandati elettorali e alle funzioni elettive, attribuendo ai
partiti la responsabilità di contribuirvi. Nel 2000 si inserisce la parità
nelle leggi elettorali e sanzioni nei rimborsi ai partiti che non la rispettano. I risultati sono scarsi nelle elezioni del 2002, gli uomini preferiscono
perdere rimborsi piuttosto che poltrone. Ma nelle elezioni successive, sia
pure lentamente, sono aumentate le percentuali di donne elette a tutti i
livelli, benché siano ancora poche quelle che occupano ruoli apicali159.
Il modello scandinavo è stato duplicato, per esempio, in Spagna dove
nel 2000 l’adozione spontanea delle candidature paritarie da parte del
Psoe ha sollecitato gli altri partiti ad adottare comportamenti analoghi.
Nel 2007 è intervenuto anche il legislatore160, stabilendo la partecipazione equilibrata a livello costituzionale e che la presenza di ciascun sesso
nelle liste dei partiti non può superare il 60% e non può essere inferiore
Cfr. tra gli altri: M. Sinau, Le donne nella sfera della politica: diritti delle donne e
democrazia, in G. Duby, M. Perrot (a cura di), Storia delle donne in Occidente. Il
Novecento, Bari, Laterza, 1992, pp. 66-73; G. Brunelli, Donne e politica, Bologna, il
Mulino, 2006; A. Benazzo, Eguaglianza di genere e rappresentanza politica nei Paesi
dell’Unione europea, cit.
157
Hanno ovviamente contribuito anche altri fattori culturali e politici e l’esistenza
di un welfare state che ha promosso l’uguaglianza e le pari opportunità (cfr. sul tema
e relativa bibliografia: R. Bufano, Welfare state e pari opportunità a partire da EspingAndersen, cit.).
158
L. cost. 569/1999.
159
Cfr. tra gli altri: A. Del Re, Le donne e i partiti politici in Italia e in Europa: la
democrazia maschile, cit., p. 37; A. Benazzo, Eguaglianza di genere e rappresentanza
politica nei Paesi dell’Unione europea, cit., pp. 68-70;
160
L. 3/2007.
156
129
al 40%. Il modello francese è stato ripetuto anche in Belgio, Portogallo,
Italia e Slovenia.
Ma, come afferma Del Re161, tutte queste misure di fatto coinvolgono i
partiti politici che continuano a detenere il monopolio della composizione
delle liste elettorali e che, quindi, conservano il potere di designare la rosa
dei candidati e di indirizzare l’elettorato. Per questo è importante valutare
la loro influenza nell’attuazione di una democrazia veramente paritaria.
3.2.6. Il ruolo dei partiti nella rappresentanza di genere
Il gap di genere in politica è chiaramente molto più basso nei paesi in cui
i partiti hanno promosso la partecipazione femminile162 . Nonostante la
sfiducia dei cittadini nei confronti di questi organismi sia sempre più diffusa, in particolare in Italia, tanto da far parlare di crisi degli stessi, la crisi
riguarda solo il loro rapporto con la base elettorale, non le loro funzioni.
Sono sempre i partiti a strutturare la competizione politica, organizzare
le campagne elettorali, selezionare il personale politico elettivo, designare
chi verrà eletto e a quale carica pubblica. Ed è chi viene eletto che elabora
le leggi del paese, ne stabilisce la direzione politica e definisce le regole
della convivenza civile163.
La presenza delle donne nei partiti e nelle liste elettorali è molto bassa,
sia a causa della diffidenza provata dalle stesse, sia per gli ostacoli opposti
dagli uomini di partito. Le discriminazioni vengono praticate soprattutto
in occasione delle selezioni per le candidature, «se vige il proporzionale
alle donne si danno i collegi meno sicuri, mentre nel maggioritario senza
preferenze le donne vengono collocate in fondo alle liste»164. Oppure si
preferisce far candidare donne poco qualificate o ininfluenti dal punto
di vista delle competenze e si osteggiano quelle che rappresentano delle
temibili avversarie nella corsa alla poltrona. Quando si offrono dei ruoli
di governo, si affidano alle donne i ministeri senza portafoglio, quindi di
Cfr. A. Del Re, Le donne e i partiti politici in Italia e in Europa: la democrazia
maschile, cit., p. 38.
162
Per una panoramica della composizione femminile nei partiti europei e italiani si
veda ibidem.
163
Cfr. ivi, pp. 38, 53.
164
B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., p. 308.
161
130
fatto le si mette in condizione di poter realizzare poco. I modi e i tempi
delle riunioni sono inconciliabili con il lavoro familiare e le tagliano fuori
dai ruoli di comando.
Come scrive Del Re, i partiti nascono maschili, con una composizione
delle élite e un bacino elettorale maschile, quando la divisione sessuale dei
ruoli confina la donna nel privato. Ma non si modificano minimamente
con il suffragio universale, restano delle strutture maschili nella forma e
nell’ideologia e qualora vi partecipano delle donne queste costituiscono
un ghetto esterno o appena integrato, escluso dalla direzione. I partiti,
denuncia la studiosa, sono organismi autoreferenziali, incapaci di relazionarsi con i movimenti e la base sociale, rappresentano solo se stessi «e
formano un cartello per evitare che le sconfitte si ripercuotano negativamente sulle carriere individuali dei politici»165. Questo sistema rende
difficile il rinnovo delle élite sia in termini di genere che di generazione.
Si assiste a un aumento di donne nelle liste dei vari partiti sia di sinistra
che di destra, ma spesso è funzionale all’immagine. Le candidature sono
riservate a un ceto politico che eternamente ripropone se stesso, utilizzando la modalità della cooptazione anche per le poche donne attive che
finiscono col riprodurre il sistema.
Dall’analisi emersa in questo paragrafo, appare evidente che i partiti
continuano a essere organismi fondamentali per l’istituto della democrazia e che, pertanto, la presenza delle donne dovrebbe aumentare proprio
in questi per contribuire a modificare le regole della partecipazione politica e per rifondare il legame tra rappresentanti e rappresentati.
3.3. Democrazia digitale
Le nuove tecnologie, come ricorda Stefano Rodotà166, hanno inciso in
modo netto sulla politica e sulla figura del politico. Si pensi al fatto che
i grandi dibattiti, seguiti dall’opinione pubblica, non hanno più sede in
A. Del Re, Le donne e i partiti politici in Italia e in Europa: la democrazia maschile,
cit., p. 42.
166
S. Rodotà, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione,
Roma-Bari, Laterza, 1997; Id, Tecnologia e democrazia, in «Il grillo», 8 gennaio 2001,
<http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=742>.
165
131
parlamento ma in televisione. Se questo rapporto più diretto con i cittadini sarebbe dovuto andare a vantaggio della trasparenza e della chiarezza,
di fatto i politici hanno finito con il preoccuparsi più dell’apparenza che
della coerenza e della sostanza dei loro discorsi. Il tutto a detrimento della politica, poiché la ricerca della battuta o la pratica della denigrazione
dell’avversario ha comportato un impoverimento del linguaggio politico.
Dunque, l’informazione politica ha finito con il lasciare il passo all’informazione spettacolarizzata dei talk show e la sfera pubblica è stata sottoposta a logiche di mercato e attraversata da tecniche proprie dell’attività imprenditoriale. Se, come sostiene Pierre Levy167, il totalitarismo si disegna
tramite il carattere verticale e unidirezionale dei flussi di notizia, la novità
rilevante della Rete consiste nel passaggio dalla comunicazione verticale
della videosfera a quella orizzontale e interattiva della mediasfera.
La Rete, per Rodotà (quando inizia a trattare il tema della tecnopolitica nel 1997), più che come strumento della democrazia, si designa come
riformulazione della stessa, la cui caratteristica fondamentale è proprio
quella di essere in continuo mutamento. Si è passati, infatti, dalla democrazia delle élites a quella dei partiti di massa e successivamente a una
democrazia del pubblico. «La Rete implica un flusso continuo di informazioni e rapporti, che non solo accresce la possibilità di intervento di
ciascuno, ma soprattutto contraddice l’idea d’una democrazia confinata al momento estremo della decisione»168 e limitata per i cittadini alla
partecipazione elettorale (partecipazione intermittente). Si prospetta una
democrazia continua, in cui i cittadini in numero crescente assumono il
ruolo di protagonisti e si colma il loro silenzio tra un’elezione e l’altra che
preoccupava Rousseau169. Ma, allerta lo studioso, serve anche una cultura
politica rinnovata, altrimenti la tecnopolitica rischia di risolversi nel populismo o di svuotare di significato le pratiche democratiche.
Gli studiosi, rispetto all’ipotesi della democrazia digitale, assumono
posizioni diverse. Agli antipodi troviamo coloro che con Internet vedono
aprirsi scenari evangelici (democrazia diretta e universale) oppure apocalittici (rischio di diffusione del terrorismo e delle dittature). Tanti altri
P. Levy, Cyberdemocrazia. Saggio di filosofia politica (2002), trad. it., Milano, Mimesis, 2008.
168
S. Rodotà, Tecnopolitica, cit., p. 165.
169
Cfr. ivi, pp. 8-10.
167
132
sono perplessi sulle reali possibilità della Rete e altri ancora vi ripongono
caute aspettative. Tra gli ottimisti ci sono Levy170, Derrick De Kerckhove171, Manuel Castells172 . I primi due ipotizzano un governo globale poiché, grazie alla Rete, si ridisegna lo spazio pubblico che rende possibile
una democrazia partecipativa, trasparente e non più subita dall’alto. Il ciberspazio è molto più inclusivo ed è frequentato da soggetti meglio informati e più attivi politicamente, le stesse agorà virtuali sono strumento di
informazione e dibattito politico, che con il voto elettronico fanno transitare al governo elettronico. Già con l’e-governement la maggior parte
dei servizi offerti dalle amministrazioni sono a disposizione dei cittadini
online, semplificando l’apparato burocratico, rendendo più trasparenti i
processi amministrativi e riducendo, di conseguenza, la corruzione.
Per Castells l’unico strumento che può salvare la democrazia rappresentativa agonizzante (spettacolarizzazione, corruzione della politica,
manipolazione dei media, leaderismo che offusca il ruolo dei partiti, ecc.,
con conseguente sfiducia dei cittadini nel sistema politico) è la Rete, dove
nascono movimenti (come i no global) e sono possibili nuove forme di
democrazia partecipativa come attestano le elezioni di Obama, a partire
da quella del 2008. L’utilizzo del Web 2.0 (Facebook, YouTube, Twitter,
ecc.) ha messo in moto la denominata “classe creativa”, un popolo della
Rete interattivo che ha manifestato bisogni e aspettative e ha contribuito
a organizzare la campagna elettorale (organizzando eventi, discutendo il
programma elettorale, facendo proselitismo). Un evento poco duplicabile
in Italia secondo Carlo Formenti173, perché manca un uso consapevole
della Rete e i network (secondo una ricerca compiuta su le elezioni amministrative in Puglia) sono utilizzati più come canale di comunicazione
politica dall’alto verso il basso che come strumento di partecipazione dal
P. Levy, Cyberdemocrazia, cit.; Id., Verso la ciberdemocrazia, in D. De Kerckhove, A. Tursi (a cura di), Dopo la democrazia? Il potere e la sfera pubblica nell’epoca delle
reti, Milano, Apogeo, 2006, pp. 3-23.
171
D. De Kerckhove, Dalla democrazia alla ciberdemocrazia, in D. De Kerckhove, A. Tursi (a cura di), Dopo la democrazia?, cit., pp. 57-70
172
M. Castells, Comunicazione e Potere, trad. it., Milano, Bocconi Università Edizioni, 2009.
173
C. Formenti, Prefazione, in C. Formenti, P. Mele (a cura di), I politici ci mettono la faccia. Facebook e le elezioni amministrative del 2009 in Puglia, San Cesario di
Lecce, Manni, 2010.
170
133
basso e di confronto orizzontale tra i cittadini. Lo studioso è tra coloro
che esprimono una serie di perplessità sulla democrazia digitale174, egli
denuncia i pericoli insiti nell’anarchia della Rete (perché senza regole si
instaura la legge del più forte) e la sua inesattezza (i governi stanno riuscendo a controllare i nuovi media), il rischio della deriva al cyberpopulismo, le distorture della osannata trasparenza (a suo avviso sono il potere politico e economico a sapere più cose degli utenti e non viceversa),
e riprendendo il binomio sfera pubblica/sfera privata, egli vi individua
più una privatizzazione della prima (una somma di conversazioni private,
una tendenza all’autoesibizione) che una politicizzazione della seconda.
L’interesse dei “cittadini della Rete” si concentra sulla democratizzazione
dell’economia e sulle relazioni personali più che sulla politica.
Tra gli studiosi c’è chi denuncia l’omologazione, la povertà e la frammentarietà del linguaggio di Internet175 e chi la preformazione della mente in atto a opera delle aziende globali che producono le nuove tecnologie e governano la mutazione cognitiva176, compromettendo la libertà
mentale alla base della democrazia. C’è chi dichiara non auspicabile un
governo globale177, perché senza la politica, esautorando lo stato, l’alta
velocità del tubo catodico rischia solo di aumentare il divario tra le diverse aree geografiche e sociali. Chi ne sottolinea l’inattuabilità178: un
governo elettronico globale appare poco efficace politicamente, senza una
funzione legislativa, esecutiva e giudiziaria. Non si può immaginare un
governo senza un organismo territoriale che rende riconoscibile e legittima la sovranità.
Tra i suoi testi più recenti sull’argomento cfr.: F. Formenti, Cybersoviet. Utopie
postdemocratiche e nuovi media, Milano, Raffaello Cortina, 2008; Id., Se questa è democrazia: paradossi politico-culturali dell’era digitale, San Cesario di Lecce, Manni,
2009.
175
Cfr. L. Toschi, Maschere e luoghi della politica in Rete, in D. De Kerckhove, A.
Tursi (a cura di), Dopo la democrazia?, cit., pp. 89-125.
176
Cfr. F. Berardi Bifo, Democrazia e mutazione, in D. De Kerckhove, A. Tursi
(a cura di), Dopo la democrazia?, cit., pp. 73-87.
177
A. Tursi, Proliferazione della discussione, necessità della decisione, in D. De Kerckhove, A. Tursi (a cura di), Dopo la democrazia?, cit., pp. 127-146.
178
U. Vergari, La democratizzazione dell’informazione nell’era della globalizzazione, in G. Preite (a cura di), Politica e tecnologie. Spazio pubblico e privato della conoscenza nella società dell’informazione, Roma, Carocci, 2010, pp. 125, 126.
174
134
Per altri ancora179, l’e-democracy, intesa come possibilità di votare da
casa, di accedere ai servizi dell’amministrazione (e-government), di essere iperinformati, di discutere dei problemi del quartiere piuttosto che di
quelli mondiali (derritorializzazione), se rafforza le pratiche democratiche, non trova nel territorio reali mediatori da influenzare, non esistono
organizzazioni radicate che stimolano una effettiva partecipazione dei
navigatori. Tanto da far parlare Michele Prospero di “solitudine del cittadino virtuale”, superabile solo se il medium serve a mobilitare le soggettività reali, se visitare la piazza virtuale è funzionale a conquistare visibilità
nella piazza reale e a generare azione politica collettiva. «Una prospettiva
realistica può solo auspicare una convivenza tra forme della rappresentanza e possibilità di utilizzare momenti di ciberdemocrazia»180.
Anche Rodotà181, rivedendo la sua riflessione sulla tecnopolitica, dichiara che, a dispetto della previsione che le nuove tecnologie avrebbero
sostituito le passate forme dell’agire politico, l’esperienza ha dimostrato
che le «novità delle forme della politica si avvalgono delle innovazioni
tecnologiche, ma non si risolvono integralmente in esse»182 . Egli ricorda
come Seattle non sarebbe stata possibile senza Internet, ma che l’esperienza è diventata nota perché trasmessa dalla televisione. Quindi i nuovi
media non cancellano i vecchi, ma si completano. Si tratta di sperimentazioni che partono dal basso, integrano modalità e tecnologie differenziate, ma sollecitano più la partecipazione che la decisione. L’uso della Rete
in politica, inoltre, non necessariamente implica interattività, facilmente
i partiti e i candidati se ne servono per rimodulare la loro comunicazione
in nome del consenso a ogni costo183. Ma, per lo studioso, è incontestabile
l’utilità dello strumento: «Internet e il ciberspazio devono rimanere disponibili per consentire la libera formazione della personalità, l’esercizio
Cfr. S. Bentivegna, A che punto è l’e-democracy? Nel cibersbazio alla ricerca della
democrazia, in D. De Kerckhove, A. Tursi (a cura di), Dopo la democrazia?, cit.,
pp. 169-174; M. Prospero, La solitudine del cittadino virtuale, in D. De Kerckhove, A. Tursi (a cura di), Dopo la democrazia?, cit., pp. 175-196.
180
M. Prospero, La solitudine del cittadino virtuale, cit., p. 191.
181
S. Rodotà, Dieci tesi sulla democrazia continua, in D. De Kerckhove, A. Tursi
(a cura di), Dopo la democrazia?, cit., pp. 149-167.
182
Ivi, p. 150.
183
Cfr. anche M. Prospero, La solitudine del cittadino virtuale, cit.
179
135
della libertà di espressione e di associazione, lo svolgimento delle iniziative civiche, la sperimentazione di nuove forme di democrazia»184.
Sicuramente, come evidenzia Ughetta Vergari185, la conoscenza dà potere, l’informazione orizzontale e la possibilità di accedere autonomamente
a meccanismi fino a poca tempo fa “imboccati” significa riprendere potere nei confronti delle istituzioni politiche. Il singolo individuo che utilizza la Rete e fruisce di infinite informazioni, si riappropria «della sua sovranità individuale e della sua capacità e potenzialità di autogestione»186.
3.3.1. Opportunità della Rete e digital divide
La rete (intesa nell’accezione di insieme di persone che interagiscono)
come ha dimostrato la storia delle donne (straordinaria l’azione di
pressione politica e di intervento sociale realizzata con l’associazionismo) e come continua a dimostrare ancora una volta l’esperienza femminile in Internet dà forza all’agire politico-sociale coinvolgendo un
gran numero di individui ed educa o meglio rieduca alla cittadinanza
e al riappropriarsi del concetto di sovranità. La Rete, a parere di chi
scrive, non deve riformulare la democrazia, ma deve e può rivitalizzarla, dalla pratica della discussione virtuale che non può sostituirsi ma
sintonizzarsi con l’agorà reale, al confronto con le istituzioni, al feedback continuo dell’azione svolta dai delegati, che appunto in quanto
“delegati” dovrebbero interagire continuamente con la base elettorale
(nella pratica sembrano vigere, invece, oligarchie mascherate da democrazia rappresentativa). Internet può rendere visibile e mettere in rete
gruppi sociali che operano da tempo per la difesa della democrazia,
ma che sono sapientemente occultati dall’informazione generalizzata
e pertanto non mobilitano l’opinione pubblica e perdono potere contrattuale con le istituzioni e i rappresentanti. La Rete consente anche
di bypassare il filtro (finalizzato non a difendere l’ideologia ma la gestione del potere) e gli ostacoli di natura gerarchica e burocratica che
S. Rodotà, Dieci tesi sulla democrazia continua, cit., pp. 154, 155.
U. Vergari, La democratizzazione dell’informazione nell’era della globalizzazione, cit., pp. 113-127.
186
Ivi, p. 119.
184
185
136
connotano i partiti di massa e che finiscono con l’escludere soprattutto
le donne.
Anche il diritto di voto ha generato da un lato grandi preoccupazioni
per l’imprevedibilità del comportamento delle masse e dall’altro grandi
speranze di risoluzione dei problemi politici e sociali della comunità. Il
paragone è sicuramente improprio, poiché il suffragio universale è elemento fondamentale del processo di democratizzazione, mentre Internet
è essenzialmente uno strumento. Tuttavia si possono cogliere delle analogie relative ai sentimenti generati.
L’accesso al diritto di voto è stata una conquista ineludibile, ma non
ha risolto tutti i problemi del corpo politico nell’immediato. Da un lato,
non tutti erano in grado di esercitarlo, poiché era diffuso l’analfabetismo,
e dall’altro non ha significato nel breve tempo l’esercizio della sovranità
effettiva (il diritto di ognuno di prendere parte alle decisioni riguardanti
ciascuno) da parte di tutti i cittadini (vedi le donne).
Lo stesso vale per la democrazia digitale, è sicuramente una conquista a
cui guardare positivamente, ma non può essere la panacea di tutti i mali.
Inoltre, come al tempo del suffragio, siamo nuovamente di fronte al problema di un diffuso analfabetismo, questa volta digitale.
Per digital divide (divario digitale)187 si intende il divario determinato
dall’impossibilità di accedere e di fruire delle nuove tecnologie di comunicazione e informatiche, soprattutto di Internet. Il digital divide può
avere diverse cause: infrastrutturale, la mancanza di possibilità economiche che consentano di averne la disponibilità fattiva, l’analfabetismo informatico, la qualità e la quantità dell’uso quando se ne ha l’accesso. Possono essere indisponibili le infrastrutture di base come linee telefoniche,
banda di collegamento (fenomeno che riguarda soprattutto i paesi più
poveri, dove spesso manca ancora l’elettricità), oppure quelle più avanzate come la banda larga. Molte famiglie non possono permettersi economicamente un computer o l’abbonamento a Internet anche nei paesi
avanzati. L’analfabetismo degli individui può riguardare le conoscenze
sia tecnologiche per poter utilizzare il mezzo che relative alle potenzialità
della Rete.
Cfr. tra gli altri: L. Sartori, Il divario digitale. Internet e le nuove disuguaglianze
sociali, Bologna, il Mulino, 2006.
187
137
Nella società e nell’economia della conoscenza che riconoscono a
quest’ultima una centralità assoluta, il divario digitale genera esclusione
e contribuisce al crescere delle disuguaglianze. Le conseguenze sono l’accentuarsi delle disparità tra paesi poveri e paesi ricchi, ma anche all’interno delle stesse società avanzate dove aumenta il rischio di una sempre
maggiore polarizzazione sociale con un’élite tecnologicamente istruita
circondata da masse ignoranti.
Secondo i dati di Internet World Stats188, a giugno 2012 gli internauti
mondiali sono più di 2 miliardi e 400 milioni su oltre 7 miliardi di popolazione. Il divario digitale mondiale è lampante e conferma, se ce ne fosse
la necessità, l’impossibilità di parlare di un governo digitale mondiale.
Fatta eccezione per l’America del Nord, dove accede alla Rete il 78,6%
della popolazione, ci si attesta al di sopra della metà solo in Oceania
(67,6%) e in Europa (63,2%), mentre in tutte le altre aree la popolazione che utilizza Internet è inferiore alla metà: 42,9% in America Latina,
40,2% in Medio Oriente, 27,5% in Asia e 15,6% in Africa. Appare netto
lo scarto tra l’area geografica con maggiore e quella con minore percentuale di popolazione che accede alla Rete (l’America e l’Africa), ma anche
tra i paesi europei ci sono grossi divari. Naviga solo il 58,4% degli italiani,
contro il 97,1% degli islandesi, il 92,7% degli svedesi, il 90% dei danesi,
l’89% dei finlandesi, l’83% dei tedeschi, il 79,6% dei francesi, il 67,2%
degli spagnoli. Secondo quanto rilevato dall’indagine Istat “Aspetti della
vita quotidiana” 2012189, gli italiani che usano Internet sono anche meno,
il 51,5%, mentre le donne che utilizzano la Rete sono solo il 46,7% della
popolazione femminile. Ma è interessante rilevare come le donne trasformano in risorsa il fare rete in Rete.
3.3.2. La rete (delle donne) nella Rete
Come afferma Vergari190 la facilità di accesso all’informazione e la libertà di espressione in Internet richiedono responsabilità, criticità, eticità e
Cfr. <http://www.internetworldstats.com/stats.htm>.
Cfr. “Aspetti della vita quotidiana” 2012 sul sito dell’Istat all’indirizzo: <http://
www.istat.it/it/archivio/66990>.
190
U. Vergari, La democratizzazione dell’informazione nell’era della globalizzazione, cit., pp. 114, 119.
188
189
138
rendono possibile la promozione di dibattiti politici che preparino a azioni di voto consapevoli. Le donne dimostrano ancora una volta di saper
maneggiare gli strumenti della democrazia, come hanno fatto con l’associazionismo, la stampa (sin dalla Rivoluzione francese), utilizzano la
Rete come un laboratorio, proprio per diffondere informazioni, allargare
la base del confronto e favorire la presa di coscienza (anche della propria
efficacia politica), sollecitare il dibattito politico su problemi comuni, far
operare scelte consapevoli e rendere operative comunità femminili virtuali-reali che agli incontri su Internet alternano quelli in piazza, che al
dibattito fanno seguire un progetto politico. La Rete nelle più svariate
forme (e-mail, siti, blog, social network), è uno strumento che ne supporta la partecipazione politica attiva (sebbene prevalentemente non convenzionale). Basta leggere quello che scrivono donne che si spendono in
movimenti femminili.
«Pur essendo i momenti di piazza quelli che hanno dato maggiore
visibilità e forza al movimento, sdoganando il termine femminista, per
molti definitivamente archiviato come residuo ideologico, o semplicisticamente etichettato come “vetero”, a mio avviso gli elementi di maggiore
significato e interesse sono nelle forme di partecipazione e organizzazione che stiamo sperimentando. Più che occupare uno spazio pubblico,
rispetto al quale coesistono tra noi una grande pluralità di posizioni e
contraddizioni, stiamo tentando di costruire uno spazio collettivo in cui
discutere ed elaborare forme di lettura dell’esistente e possibili forme di
azione comune. Connessione e rete sono le due parole che definiscono
sia l’intenzione che il mezzo che facilita il “sommovimento” delle donne.
Connessione e rete informatica, infatti, sono gli strumenti che permettono, allargano e rimodellano continuamente buona parte di questo spazio
collettivo. Sono le mailing list, i blog, una web television come “donna
tv” che consentono la circolazione in tempo reale di informazioni, azioni
e pensiero, e che sono stati, e continuano a essere, i principali strumenti
di organizzazione delle iniziative collettive. La stessa pratica della relazione tra donne è profondamente influenzata dal contesto informatico,
che modifica appartenenze e può facilitare la progettualità comune. Pur
non essendo questa una pratica nuova per i movimenti in buona parte
lo è per quello delle donne, che tra l’altro rispetto all’uso delle tecnolo-
139
gie della comunicazione risentono spesso del gender divide»191. Questo
è quanto afferma Rosy Paparella, che fa parte del movimento “Usciamo
dal silenzio”192 , nato il 29 novembre 2005 per reagire al tentativo di mettere in discussione la legge sull’aborto. Un movimento che nasce proprio
in Rete, da una mail che una giornalista, Assunta Sarlo, invia alle donne
che conosce sollecitandole a mobilitarsi e a uscire dal silenzio, mentre
altri cercano di tornare a decidere del corpo delle donne al posto delle
donne.
«Internet ha modificato radicalmente il modo di comunicare che è diventato più veloce, più capillare, più esteso. Una grande quantità di informazioni passano attraverso blog, siti, giornali on line e questo consente
di interagire in tempo reale; con lo stesso strumento leggo una notizia,
rispondo, dico la mia. Per chi voglia fare politica internet è una straordinaria fonte di conoscenza, ma anche di nuove relazioni. Le “amicizie” e le
“condivisioni” di fatto ridefiniscono i contorni di una geografia politica
non più riconducibile al “territorio”. Attraverso la parola scritta alcune
donne, alcuni gruppi, hanno acquisito un’autorevolezza che va oltre la
rete. Qui ci sono donne capaci di nominare la propria concezione della politica con una chiarezza e una consapevolezza sempre più rare nei
luoghi fisici della politica»193. Da quanto scrive Nuzzo si evince come la
politica delle donne si rinnova negli strumenti ma ripropone gli elementi
che connotano la specificità della politica di genere sin dai primi movimenti femminili: la rete, l’amicizia194, la relazione. Internet consente alle
donne di entrare in comunione superando i limiti fisici della territorialità, ma senza sostituirsi completamente all’incontro fisico che rimane
fondamentale nella loro azione politica195, come avviene proprio con il
191
R. Paparella, Il movimento delle donne si fa… in Rete, in Etiche e politiche di genere, cit., pp. 158, 159.
192
Usciamodalsilenzio.org, <http://www.usciamodalsilenzio.org/chi-siamo.php>.
193
P. Nuzzo, Milit0nti e donne al tempo di internet, in «Laboratorio donnae», 24
agosto 2012, <http://laboratoriodonnae.wordpress.com/2012/08/24/milit0nti-edonne-al-tempo-di-internet/>.
194
Sull’importanza del nesso amicizia-politica cfr. E. Scaramuzza (a cura di), Politica e amicizia, Milano, FrancoAngeli, 2010.
195
«Tema tipico della storia delle donne: l’importanza dei luoghi di riunione e la differenza fra la cosiddetta sociabilità informale e formale; alla prima appartenevano luoghi
tradizionali come i lavatoi, il forno, i mercati, le parrocchie, alla seconda le associazioni
strutturate e politicamente organizzate. In queste ultime si creavano anche norme, in
140
“laboratorio donnae”196 della Nuzzo che ha la sua sede in Rete ma che
organizza incontri reali. A suo avviso, con Internet ci si può liberare del
personalismo politico e reintrodurre le idee e la progettualità politica, si
possono raggiungere le donne più giovani, superare la mediazione (spesso
ostativa) che connota le strutture di potere, instaurare un rapporto diretto con i cittadini, utilizzando un linguaggio chiaro e dando la possibilità
alle donne di riconoscersi e di fidarsi197.
La Rete favorisce anche la rete tra movimenti, campagne, associazioni.
Alla campagna “50E50, ovunque si decide”198 aderisce, per esempio il citato movimento “Usciamo dal silenzio”. La campagna per la proposta di
legge “Norme di Democrazia Paritaria per le Assemblee elettive”199 raccoglie 120 mila firme, di cui 14.500 circa in Puglia. La forza del movimento
pugliese ha origine in un gruppo di donne che si costituisce nel 2005,
durante un corso di formazione politica organizzato presso l’Università
del Salento200. Il gruppo dapprima dà vita a un sito di riflessione politica
modo da poter fare giustizia o elaborare norme nuove, imporle orizzontalmente o rifiutarle, trasformando coloro che ne facevano parte in una comunità separata dagli altri
e integrata al suo interno da criteri comuni condivisi di valutazione»: F. Taricone,
Una ragnatela concettuale, cit., pp. 67, 68.
196
«Per dare seguito al confronto avviato con donne incontrate negli ultimi dieci anni di
attività politica, apro il laboratorio donnae. Un laboratorio permanente dove fare ricerca
sul pensiero e sulla rappresentazione che le donne si danno in politica, dove mettere a
fuoco le nostre vite fuori da letture già date, già precostituite»: P. Nuzzo, in “Chi siamo”
del sito «Laboratorio donnae», <http://laboratoriodonnae.wordpress.com/about/>.
197
Il problema che le candidate non trovano sostegno tra le elettrici va rintracciato
anche in questo elemento messo in luce da Nuzzo, nella mancanza del nesso riconoscimento-fiducia, problema ulteriormente favorito, come si è visto, dal fatto che le donne
che fanno politica sono spesso cooptate da uomini e ne riproducono le modalità. Cfr.
anche B. Gelli, Psicologia della differenza di genere, cit., p. 321.
198
Nel 2005 si discute di quote (è l’anno in cui vengono bocciate dal parlamento italiano). L’Udi prende le distanze da questa prospettiva della politica delle donne perché
rafforza una rappresentazione del genere come minoranza discriminata e per questo
bisognosa di tutela. L’idea è quella di diffondere una cultura paritaria della rappresentanza politica, coinvolgendo le donne, e di ottenerne l’affermazione per legge. Si
elabora una proposta di legge e parte la campagna per la raccolta firme nel 2007. Lo
slogan è “Squotiamo la politica” e le donne vi si riconoscono.
199
Cfr. § Le azioni positive: le quote.
200
Si tratta della II edizione di “Donne, istituzioni e politica” organizzata da Marisa
Forcina. L’azione politica della campagna ha il suo nucleo originario in 4 donne: Milena Carone (allora componente del coordinamento nazionale dell’Udi e tra le autrici
141
“cittadinanze.it”201 e poi costituisce la sezione locale dell’Udi, UdiMacare Salento202 che diventa il motore della campagna regionale. La rete per
queste donne (quella della relazione e quella informatica) diventa occasione e mezzo di pratica politica. Gli strumenti telematici utilizzati sono
una pagina web “50E50”203 e le mailing list che si moltiplicano con ogni
donna che vi aderisce. La Rete coinvolge e sollecita l’azione politica attiva
delle pugliesi (per far firmare si mobilitano fisicamente, partecipano ai
meeting).
La campagna e la proposta di legge hanno l’obiettivo di «riformulare
il concetto di ‘pari opportunità’, che ha avuto origine nella politica delle donne e che voleva dire: dare l’opportunità alle donne di gareggiare
alla pari. Ed essere riconosciute per meriti e per competenze»204. La legge
non è stata discussa in parlamento, ma il bilancio è che quella campagna
«ha cambiato, non solo il linguaggio, ma in primo luogo ha fornito alle
donne parole e strumenti per nominare la democrazia come progetto che
le coinvolge e rispetta la differenza»205. Educandole a una cultura della
rappresentanza paritaria e alla partecipazione attiva, sviluppandone la
consapevolezza di efficacia politica. Svolgendo un’azione essenziale per
un cambiamento concreto della politica206. La Rete è stata coprotagonista, strumento di supporto, acceleratore indispensabile per diffondere l’idel testo della proposta di legge), Roberta Cavallo, Enza Miceli e Loredana De Vitis
(corsista della I edizione). L’esperienza dimostra l’effetto moltiplicatore della rete delle
donne e l’“efficacia” dei corsi di politica sulla loro efficacia politica. «L’interesse per la
politica che porta a frequentare corsi di formazione può, a parere di chi scrive, essere
considerato un predittore dell’attivismo», tanto da preludere «a nuove forme di cittadinanza attiva, agendo sia a livello individuale, sia a livello di gruppo, attivando relazioni tra soggetti portatori dello stesso bisogno»: B. Gelli, Psicologia della differenza
di genere, cit., p. 306.
201
In questa pagina si parla dell’occasione della nascita del gruppo e del tema dominante in quel periodo le quote: <http://www.cittadinanze.it/perche>.
202
UdiMacare Salento: <http://udimacare.wordpress.com/>.
203
<http://www.50e50.it/>.
204
P. Nuzzo, Sembra 50E50 invece è quota, cit.
205
Ibidem.
206
Si è detto che le quote sono strumento coercitivo (temporaneo) utile per far aumentare la presenza delle donne in politica, ma senza la diffusione di una cultura della
rappresentanza paritaria, soprattutto tra le donne, le quote non possono dare risultati
né qualitativi, né duraturi.
142
niziativa, far maturare la consapevolezza politica nelle donne, sollecitarne
l’azione e far vivere loro la pratica della cittadinanza.
Parte Seconda
DONNA E SOCIETÀ. PARTECIPAZIONE
DEMOCRATICA E CITTADINANZA DIGITALE
145
146
Capitolo I
Costruzione dell’identità
di genere nel sud Salento
Pasquale Luigi Di Viggiano
1.1. La ricerca: teorie e metodo
Per realizzare la ricerca “Donne e società” che qui presentiamo ci siamo avvalsi del contributo di molte persone, dalla fase di progettazione
fino alla somministrazione dello strumento d’indagine: il questionario.
Abbiamo reso oggetto di discussione gli strumenti teorici, tecnologici e
metodologici, nonché tutte le fasi della ricerca coinvolgendo i Comuni
partner1, alcuni colleghi interessati all’argomento, i tecnici e gli esperti
della rilevazione on line che ci hanno aiutato nella raccolta dei dati. In
particolare, ci siamo avvalsi delle strutture e delle acquisizioni della ricerca sviluppatesi all’interno del LEG (Laboratorio di e-Government),
confortati dal sostegno del Direttore, prof. Donato Limone e dal Vice
Direttore prof. Marco Mancarella responsabile scientifico del progetto
CUIS cui la ricerca si riferisce, nonché degli strumenti euristici resi disponibili dal Centro di Studi sul Rischio dell’Università del Salento e dal
suo Direttore, prof. Raffaele De Giorgi.
Questo metodo ha prodotto un continuo lavoro di revisione e di aggiustamento del set di mezzi utilizzati sia per la rilevazione e l’analisi dei dati
ma anche per la costruzione della premessa teorica e metodologica. Per
questo progetto di ricerca abbiamo utilizzato diversi strumenti concettuali mutuati dalle scienze sociali, in particolare dal filone funzionalista e
Comuni di Andrano, Tricase, Poggiardo, Diso e Spongano, oltre all’Università del
Salento.
1
147
costruttivista2 , fino a considerare principalmente le acquisizioni teoriche
consolidatesi nell’ambito delle scienze sociali e dei sistemi sociali funzionalmente differenziati3.
In particolare, abbiamo ritenuto utile per la nostra indagine, condotta con metodi tradizionali della survey4, ma realizzata anche con strumenti innovativi scaturiti dalla necessità di effettuare una rilevazione a
carattere territoriale, proporre un apparato concettuale legato alla semantica dell’osservazione5 sviluppatasi in riferimento a una società definita complessa6 caratterizzata da aspettative7 in riferimento al genere
femminile.
Rilevare, analizzare e interpretare le istanze e le aspettative delle donne
del territorio sud salentino verso il lavoro, la formazione, la politica e le
Cfr. P. Watzlawick, La realtà inventata, Milano, Feltrinelli, 2006; J. Piaget,
Introduzione all’epistemologia genetica, Milano, Emme Edizioni, 1982. Piaget sposta
l’attenzione dal mondo ontologicamente inteso al mondo percepito e inizia a considerare la conoscenza come la più alta forma di adattamento di un organismo complesso.
Il conoscere è, infatti, legato all’agire sull’ambiente ed ha lo scopo di costruire strutture concettuali variabili, così la mente costruendo sé stessa costruisce il mondo (Piaget, 1937). Vedi anche N. Luhmann, Conoscenza come costruzione, Roma, Armando
editore, 2007; H. Foerster von, E. Glasersfeld von, Come ci si inventa, Roma,
Odradek edizioni, 2001.
3
Cfr. N. Luhmann, R. De Giorgi, Teoria della società, cit.; N. Luhmann, Il sistema
educativo. Problemi di riflessività, Roma, Armando, 1988; Id., Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, cit.
4
Cfr. K. D. Bailey, Metodi della ricerca sociale, Bologna, il Mulino, 1991.
5
Cfr. H. Foerster von, Sistemi che osservano, Roma, Astrolabio, 1987; H. Foerster von, B. Pörksen, La verità è l’invenzione di un bugiardo. Colloqui per scettici,
Roma, Meltemi, 2001, pp. 112-117; E. Esposito, L’operazione di osservazione: costruttivismo e teoria dei sistemi sociali, Milano, FrancoAngeli, 1992.
6
Cfr. G. Bocchi, M. Ceruti (a cura di), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano 1985; Da un punto di vista sistemico, cfr. N. Luhmann, Sistemi sociali, cit., p. 94
ss., nonché i vasti riferimenti bibliografici contenuti nelle note.
7
Per una definizione sintetica, cfr. R. Schmidt, Tradurre la complessità, in N.
Luhmann, Sistemi sociali, cit., Appendice, voce «Aspettativa», pp. 747-748. L’aspettativa è un insieme personale e interpersonale. Poiché la stessa si compie nell’oggi, l’aspettativa è futuro presentificato, tende a ciò che non è ancora, al non esperito, a ciò che
si può solo arguire o scoprire. Speranza e paura, desiderio e volontà, preoccupazione,
ma anche analisi razionale, visione ricettiva o curiosità, intervengono nell’aspettativa
in quanto la costituiscono. In seguito tratteremo più approfonditamente il concetto da
un punto di vista sistemico.
2
148
sue forme espressive, le innovazioni tecnologiche e sociali, la sfera pubblica dei servizi del Welfare State8 e l’ambiente, si rivela un’operazione di
osservazione9 che implica tutti i rischi di una tale pratica. Ma la scelta di
utilizzare per tutte le diverse fasi della ricerca un tipo di osservazione di
secondo ordine10 allontana effetti dogmatici proprio perché un osservatore è solo un osservatore che osserva come altri hanno osservato e si espone
al rischio di essere osservato egli stesso. Con la convinzione che non ci
sono punti di osservazione o osservatori privilegiati, ma solo altri punti
di vista e altri osservatori11.
L’epistemologia costruttivista abbandona la credenza in una realtà indipendente dall’osservatore. La conoscenza personale, ma anche quella
sociale, anziché consistere nella rappresentazione di una realtà data, si
configura come vera e propria costruzione, o specificazione (distinzione),
da parte dell’osservatore, al tempo stesso permessa e vincolata dalla sua
propria struttura logica e linguistica12 . Tale concezione del rapporto coCfr. G. Preite, Welfare State. Storie, politiche, istituzioni, Trento, Tangram Edizioni Scientifiche, 2011.
9
Abbiamo già trattato l’argomento, relativamente ai problemi dell’apprendimento.
Cfr. P. L. Di Viggiano, Strumenti di osservazione sistemica per l’analisi dei bisogni
di formazione nel sociale, in «Annales Universitatis Apulensis» – Series Paedagogica
– Psychologica Nr. 9/2009, Ministerul Educaţiei şi Cercetării Universitatea, “1 Decembrie 1918”, Alba Iulia 2009, pp. 100-116; F. Bochicchio, P. L. Di Viggiano, La
formazione partecipata, Milano, Guerini, 2012.
10
Questo approccio viene indicato anche come cibernetica di secondo ordine e viene
assunto, nella epistemologia costruttivista e dei sistemi sociali, come set di strumenti
teorici in grado di consentire l’osservazione della società come sistema. L’operazione
di osservazione, operata dai sistemi sociali, tiene conto della complessità che per molti versi è divenuta il metodo scientifico dell’epistemologia contemporanea sul piano
della costruzione della conoscenza, caratterizzata dalla necessità di indicare il punto
di vista di osservazione che produce la descrizione e la costruzione della realtà sociale.
Cfr. F. Giglietto, Alle radici del futuro, Milano, FrancoAngeli, 2006, pp. 99-160;
N. Luhmann, Osservazioni di secondo ordine, in Sociologia del rischio, Milano, Bruno
Mondadori, 1996, pp. 246-259.
11
Per una puntuale riflessione sui gradi dell’osservazione, cfr. N. Luhmann, Sociologia del rischio, cit., pp. 80-82. Molti, in ambito sociologico, si sono cimentati nell’affrontare il tema/problema dell’osservatore dal punto di vista dei sistemi, senza, tuttavia, riuscire a rendere appieno la ricchezza e la poliedricità della questione. Cfr. per
tutti, M. G. Musso, Il sistema e l’osserv-attore. Itinerari di sociologia della complessità,
Milano, FrancoAngeli, 2008.
12
Cfr. S. Moscovici, Le rappresentazioni sociali, Bologna, il Mulino, 1989.
8
149
noscenza/realtà formalizzato in maniera radicale da Ernst von Glasersfeld, trova più specifiche elaborazioni nella cibernetica di secondo ordine, nel movimento del costruzionismo sociale, nella psicologia culturale,
e specialmente nella teoria dei sistemi sociali di Niklas Luhmann.
L’interesse di questa ricerca non è quello di ripercorrere le tappe evolutive di questo pensiero variegato, quanto individuare alcuni punti di
riferimento che ci consentano di esplicitare l’indirizzo teorico e gli strumenti concettuali con i quali tenteremo di analizzare e descrivere le istanze di un campione di donne salentine emerse dal processo di osservazione
operato in ambito territoriale.
«Osservare è il definitivo punto di partenza, nonché il problema fondamentale di ogni tentativo di comprendere la realtà e la ragione come
fenomeni del dominio umano. Invero ogni cosa detta è detta da un osservatore a un altro osservatore che può essere egli stesso»13.
Lo scopo principale di questa operazione di osservazione è operare distinzioni che scindano l’ambiente dal sistema di osservazione.
Questa affermazione di Maturana e l’assunto di Spencer Brown14:
“traccia una distinzione”, rappresentano il presupposto paradigmatico,
spesso esplicito, di ogni ricercatore sociale funzionalista e costruttivista.
Nella teoria dei sistemi (sociali e autopoietici) intesi come sistemi che
osservano, l’operazione fondamentale dell’osservare è la “distinzione”15
e la descrizione della parte distinta. Su queste premesse costruiremo le
descrizioni della popolazione di donne osservata.
1.1.1. Obiettivi della ricerca
In base alla Costituzione repubblicana, artt. 2-3-37-51-117, in Italia sussiste un principio di assoluta parità tra i sessi che riguarda ogni aspetto del
Cfr. H. Maturana, Autopoiesi e cognizione: la realizzazione del vivente, Venezia,
Marsilio, 1988.
14
Cfr. G. S. Brown, Laws of Form, London, Allen&Unwin, 1969.
15
Per una puntuale riflessione sugli “operatori” di Brown: il “mark” e l’“unmarket space” quali possibilità dell’osservatore di escludere da sé forme, asimmetrie, ripetizioni
infinite e re-entry in uno spazio immaginario, cfr. N. Luhmann, Osservazioni sul moderno, Roma, Armando editore, 2006, pp. 139-144.
13
150
vivere civile. Tale principio, però, sotto taluni profili, non trova ancora
oggi piena attuazione. Da tale presupposto, normativo e fattuale, consegue l’esigenza di un’analisi delle problematiche delle esigenze dell’universo femminile in contesti territoriali definiti, attraverso l’elaborazione
di specifici dati statistici sulla base dei quali sia possibile costruire politiche pubbliche e predisporre servizi innovativi su base comunale o intercomunale. Inoltre, in base alla cd. Riforma Brunetta (Legge 150 del
2000, D. Lgs. n. 82 del 2005 – Codice dell’Amministrazione Digitale,
D. Lgs. 198/2009) sussiste in capo alle Pubbliche Amministrazioni un
obbligo di trasparenza e di erogazione di servizi on line anche nei confronti dell’utente-donna. A fronte, quindi, di esigenze specifiche che provengono dall’universo femminile, vi sono oggi esigenze normative che
impongo agli Enti Locali una maggiore attenzione alle problematiche del
vivere quotidiano della donna.
Il progetto di ricerca di cui ci occupiamo è incentrato sulla necessità di
monitorare le esigenze della popolazione femminile nel territorio dei Comuni di Andrano, Tricase, Poggiardo, Diso e Spongano. Tale monitoraggio è stato realizzato con l’ausilio di un questionario specifico tarato sulle
esigenze di progetto e con l’utilizzo di strumenti informatici/software
per la raccolta e l’elaborazione dei dati predisposti per un’analisi statistica
descrittiva delle istanze e dei bisogni femminili in tema di lavoro, servizi
pubblici, formazione, superamento del digital divide, democrazia elettronica e ambiente.
I dati statistici raccolti ed elaborati, come previsto dal progetto CUIS,
saranno resi pubblici attraverso la realizzazione di un workshop specifico
per la diffusione dei risultati della ricerca e per sviluppare un dibattito
con i soggetti economici, politici e sociali del territorio di riferimento
maggiormente rappresentativi e operanti nei settori di interesse della
ricerca (partecipazione politica, ambiente, lavoro, servizi pubblici, formazione e ambiente). La realizzazione del progetto prevede, tra i suoi
obiettivi operativi, quello di sensibilizzare il tessuto sociale e politico del
territorio coinvolto in riferimento alla condizione femminile, con possibili ricadute in termini di predisposizione di attività amministrative e
politiche volte a colmare deficit socio-politici e di partecipazione, permettendo alle donne residenti nel territorio del sud Salento di affrontare,
con strumenti di conoscenza adeguati, gap occupazionali, informativi e
partecipativi.
151
1.1.2. Fasi di realizzazione della ricerca
La realizzazione della ricerca campionaria è avvenuta attraverso il rispetto di un cronoprogramma che ha previsto alcune macrofasi operative.
a) Presso gli Uffici competenti del Comune di Andrano, Tricase, Poggiardo, Diso e Spongano è stata effettuata la raccolta dei dati relativi alla
popolazione residente, ripartiti per sesso, fasce di età e occupazione aggiornati al 31/12/2010.
b) Nel mese di settembre 2011 il responsabile della ricerca campionaria
ha presentato ai Comuni partner una bozza di questionario. In questa
occasione, presenti i referenti tecnici e politici del Comune di Andrano,
i referenti politici dei Comuni di Diso e Spongano, due componenti della Commissione Pari Opportunità del Comune di Tricase, il Responsabile del questionario, Dott. Di Viggiano e il responsabile scientifico del
Progetto CUIS, Prof. Marco Mancarella, la scheda di rilevazione è stata
discussa e, per larga parte, condivisa previa modifica di alcuni item. Contestualmente sono state definite le modalità operative per la somministrazione dei questionari e i soggetti che, a seguito di formazione, avrebbero provveduto alla raccolta dei dati.
La scarsità di risorse economiche e la necessità di coinvolgere la maggior
parte delle popolazioni dei Comuni interessati hanno indotto i ricercatori a prevedere un piano di raccolta dei dati che individuasse intervistatori
con un qualche interesse per la ricerca, cha avessero la possibilità di accedere presso la popolazione locale inserita all’interno del campione a costi
contenuti e che potessero essere formati, anche solo sommariamente e per
aspetti specifici delle interviste, con apprezzabili ricadute positive sulla
ricerca. A questo proposito sono state coinvolte le maggiori e più attive
associazioni di volontariato locali, le Commissioni pari opportunità, le
Parrocchie, le Associazioni Proloco e gli studenti degli ultimi anni degli
Istituti superiori presenti sul territorio. In assenza, chiedendo l’ausilio
delle terze classi degli studenti di Scuola media.
In particolare, sono stati coinvolti nel progetto di rilevazione dei dati:
–– per il Comune di Tricase: le classi quinte del Liceo Classico/Scientifico e del Liceo Pedagogico – Comi;
–– per il Comune di Poggiardo: le classi quinte dell’Istituto D’Arte e
dell’Istituto Professionale Alberghiero;
152
–– per i Comuni di Andrano, Diso e Spongano: le terze classi di scuola
media inferiore degli Istituti Comprensivi del proprio territorio.
Solo alcune delle studentesse coinvolte, avendo le caratteristiche previste
dal campionamento, sono state intervistate. Mentre per tutti, maschi e
femmine, il ruolo esercitato è stato quello di intervistare le componenti femmine del nucleo parentale allargato in base a un preciso piano di
campionamento strutturato per fasce d’età. Particolare apprezzamento
va riconosciuto all’attività formativa propedeutica esercitata dai docenti
degli istituti secondari verso gli studenti delle classi coinvolte e particolare plauso deve essere rivolto ai dirigenti scolastici che hanno aderito al
progetto con grande slancio.
c) Contemporaneamente alla definizione del questionario, il LEG, coordinato dal responsabile della ricerca e supportato dal responsabile della
divisione informatica, l’esperto di telematica Marco Folle, si occupava
della progettazione e della realizzazione di un tool open source per l’acquisizione e l’elaborazione di dati statistici basato sul software LimeSurvey16.
Allo scopo di raccogliere on line i dati dei questionari e per consentire
alle intervistate più attrezzate tecnologicamente di inserire direttamente le risposte agli item del questionario è stata predisposta, da parte del
LEG, una pagina web protetta, allocata sul proprio server e linkata sul
sito del Comune di Andrano e dei Comuni partner.
Nel settembre 2012, al termine della rilevazione e dell’inserimento
delle informazioni richieste dal questionario, il database prodotto è stato
esportato in formato SPSS per procedere con la pulizia dei dati, per effettuare l’analisi dei dati statistici raccolti e per la produzione di tabelle
e grafici.
A dicembre 2012 è stato completato il report finale.
Per la realizzazione degli step descritti, il LEG si è avvalso della collaborazione di ricercatori e di esperti nei settori dell’informatica giuridica,
LimeSurvey è un tool open source per la creazione di questionari per indagini pubblicate sul Web, che con alcune limitazioni, possono essere utilizzati anche per il data
entry di questionari cartacei. LimeSurvey è un “free software” sotto licenza GNU GPL
che ne permette la possibilità di distribuzione e modifica sotto i termini da essa stabiliti. LimeSurvey: <http://www.limesurvey.org>. Cfr. R. Cianchetta, D. Pagliuca, Soluzioni Open Source per il software generalizzato in Istat: il caso di PHPSurveyor,
Collana Documenti Istat, n. 17, 2005.
16
153
della scienza dell’amministrazione digitale e con esperienza nell’ambito
dell’attività editoriale connessa alle pubblicazioni scientifiche; di dottori
di ricerca (di cui due dottoresse), esperti nel settore sociologico e politologico.
L’attuazione della ricerca si pone come particolarmente innovativa nel
contesto territoriale di riferimento e assolutamente propedeutica alla realizzazione di politiche di genere e di qualsivoglia politica sociale volta a sostenere il mondo femminile nella realizzazione di diritti e nella soddisfazione di legittime aspettative verso le pubbliche amministrazioni interessate17.
Il progetto, data anche la partecipazione delle Amministrazioni comunali degli Enti Locali coinvolti, tra i propri obiettivi prevede ricadute importanti negli ambiti dei temi proposti e vagliati dalla ricerca, in quanto il
report finale rappresenta la prima rilevazione e analisi statistica completa
e originale dei bisogni femminili nel territorio, con lo scopo di “sensibilizzare” il tessuto sociale e politico del territorio sud salentino interessato
in riferimento alla condizione femminile, con possibili ricadute nei territori comunali in termini di predisposizione di attività e di politiche di
promozione delle pari opportunità. Con l’intento di rendere disponibili
alle donne residenti nel territorio strumenti di conoscenza in grado di
consentire di superare nel tempo gap informativi e partecipativi.
1.1.3. Il gruppo di lavoro
Come anticipato, la Survey di cui presentiamo i risultati ha utilizzato una
metodologia di lavoro che si è sviluppata secondo un modello partecipativo e di confronto che ha coinvolto, a vario titolo, Strutture dell’Università del Salento, Enti Locali partner del Progetto CUIS e organizzazioni
civili e religiose del territorio interessato alla indagine.
Il ruolo di ognuno degli attori intervenuti è stato determinato dallo
schema scientifico della ricerca, dalle competenze richieste per la sua realizzazione, dalle sensibilità e dalla disponibilità di tutti coloro che hanno
dimostrato un qualche interesse per i temi ivi trattati.
Una delle poche ricerche di genere realizzate nel Salento e rivolte alle donne è riconducibile a: P. L. Di Viggiano (a cura di), Rosa Antico. Indagine sulle donne anziane del
Salento, Lecce, Pensa Multimedia, 2001.
17
154
I riferimenti costanti all’interno dell’Università del Salento e l’apporto
irrinunciabile che essi hanno fornito sono costituiti:
–– dal Laboratorio di E-Government che ha messo a disposizione strutture, competenze e logistica. In particolare si è distinto l’apporto del
Direttore, prof. Donato Limone, del Vice Direttore, Prof. Marco
Mancarella, del Responsabile organizzativo, Dott. Gianpasquale
Preite, e di buona parte dei componenti del Consiglio scientifico e
organizzativo, tra cui chi scrive;
–– dal Centro di Studi sul Rischio, in particolare dal suo Direttore,
Prof. Raffaele De Giorgi, che ha reso disponibili le proprie competenze consolidatesi nel campo della ricerca sociologica in campo internazionale e le acquisizioni scientifiche sullo studio della società di
cui il CSR si occupa da diversi decenni.
Tutti i Comuni partner hanno svolto un ruolo propositivo, manifestando un grande impegno per la realizzazione del progetto nel quale sono
stati coinvolti sia Amministratori che funzionari dipendenti delle diverse
Amministrazioni.
Un apporto determinante è stato fornito da Associazioni del territorio,
da agenzie educative private e da scuole pubbliche di ogni ordine e grado.
È possibile, quindi, tracciare un quadro delle risorse impiegate nella ricerca che ha impegnato due diversi gruppi che si sono costantemente relazionati tra di loro intraprendendo azioni spesso frutto di comuni intenti.
Solo per esigenze di ordine espositivo possiamo distinguere due gruppi
che hanno concorso alla realizzazione del progetto: il gruppo di progetto
e di ricerca e il gruppo di lavoro che si è occupato prevalentemente di interventi per la realizzazione delle fasi di indagine sul campo, dopo aver
acquisito competenze in materia a seguito di formazione.
GRUPPO DI PROGETTO
Per l’Università del Salento – Ente responsabile per il profilo scientifico
del Progetto
–– Prof. Marco Mancarella – Responsabile progettuale – UniSalento
–– Dott. Pasquale Luigi Di Viggiano – Responsabile e coordinatore
della survey – UniSalento
155
–– Dott. Gianpasquale Preite – Responsabile organizzativo dell’ente
proponente il Progetto – Laboratorio E-Government – UniSalento
–– Dott.ssa Rossella Bufano – Assegnista di ricerca
–– Dott.ssa Serena Quarta – Contrattista
Per il Comune di Andrano – Lead partner progettuale
–– Avv. Simona Rizzo – Assessore Pari Opportunità
–– Avv. Katia Botrugno – Assessore Pari Opportunità
–– Antonella Botrugno – Responsabile Ufficio Europa – URP
GRUPPO DI LAVORO
–– Comune di Diso – Sig.ra Mastria Assunta – Responsabile Ufficio
Servizi Sociali e Assistenziali
–– Comune di Poggiardo: Dott. Giuseppe Luciano Colafati
–– Comune di Poggiardo: Dott.ssa Tiziana Micello – Consigliere Comunale delegata alle Politiche Sociali
–– Comune di Poggiardo: Dott. Antonio Ciriolo – Responsabile Settore Affari Generali
–– Comune di Poggiardo: Pinuccia Esposito (Ufficio Elettorale – Pubblica Istruzione – Sport)
–– Comune di Poggiardo: Dott. Pasquale De Santis – Consulente
–– Comune di Spongano: Dott.ssa Maria Immacolata Corvaglia –
Vice Sindaco
–– Comune di Tricase: Dott. Tommaso Serrano – Funzionario
–– Comune di Tricase: O. R. S. – Osservatorio Ricerca Sociale –Centro Studi, Politiche e Ricerche Sociali
ISTITUTI SCOLASTICI COINVOLTI
A Tricase:
–– Istituto Comprensivo “Giovanni Pascoli”
–– Istituto Comprensivo “Dante Alighieri”
–– I. I. S. S. “Don Tonino Bello” Polo Professionale
–– Liceo Statale “G. Comi”
156
Ad Andrano:
–– Istituto Comprensivo “Tenente Martella” – Dirigente Scolastico
Prof. Pasquale Ciriolo
–– Scuola Paritaria dell’Infanzia “Don Luigi Nuzzo”
A Spongano:
–– Istituto Comprensivo Statale – Dirigente Scolastico Prof.ssa Eufemia Musarò
–– “Asilo Fulvio Bacile” Rev. da Superiora Suor Rita Esposito
A Poggiardo:
–– Istituto Statale d’Arte Nino della Notte
1.2. Bisogni delle donne in ambito sociale
1.2.1. Nota metodologica
L’indagine campionaria sperimentale sulle aspettative e i bisogni delle
donne dell’area sud salentina individuata dai Comuni di Andrano, Diso
Poggiardo, Spongano e Tricase, condotta dal LEG – Laboratorio di EGovernment – dell’Università del Salento è stata realizzata tra i mesi di
aprile e di ottobre 2012, attraverso la somministrazione di un questionario
ed è durata circa sei mesi. Sono stati raccolti 1233 questionari validi, una
parte dei quali direttamente inseriti dalle intervistate, e quindi processati
on line attraverso l’accesso controllato al database contenente il questionario trattato con LimeSurvey, mentre la rimanente parte è stata etero-somministrata da intervistatori adeguatamente formati sui contenuti dell’indagine utilizzando questionari stampati su carta. È possibile affermare,
quindi, che la ricerca proprio per il suo carattere di esperimento anche
operativo ha utilizzato tecniche di raccolta dei dati in parte tradizionali
e in parte innovative, cioè in modalità blended, affrontando e risolvendo
problemi legati all’uso dinamico del questionario on line nella gestione del
quale sono stati fondamentali i suggerimenti e la segnalazione delle difficoltà riscontrate dagli intervistati in fase di pre-test. Questo ha consentito di perfezionare in itinere sia l’organizzazione della somministrazione
157
dello strumento di raccolta dati sia il supporto telematico web based, rendendolo friendly ma senza intaccare la struttura scientifica dell’indagine.
Le modalità di contatto con gli intervistati è avvenuta, come anticipato, attraverso approcci predisposti occasionalmente che gli intervistatori
hanno gestito sulla base di una distribuzione campionaria individuata
dal gruppo di ricerca e strutturata in fasce di età di donne comprese tra
18 e n anni. Per i contatti on line abbiamo utilizzato alcune mailing list
messe a disposizione dai Comuni o dalle associazioni coinvolte nel progetto. Il rischio di questa differenziazione degli accessi al questionario
poteva consistere in un sovradimensionamento delle risposte positive in
relazioni a domande che presupponevano una dimestichezza con i media
della comunicazione digitale. Nel corso dell’analisi verificheremo se questo rischio si è materializzato o se, invece questa metodologia ha bilanciato le interviste portate a donne che, diversamente, non sarebbero mai
state incluse nel campione.
Il questionario è composto da 48 domande chiuse e da 91 item, distribuiti in 7 sezioni tematiche che raggruppano, in base ad ambiti omogenei, gli argomenti sui quali è stato chiesto alle intervistate di esprimersi.
La struttura del questionario e le domande predisposte sono state studiate per trattare gli argomenti politically correct, cercando di spiegare alle
intervistate, sia in modalità web, sia de visu, le finalità della ricerca e l’utilità delle informazioni raccolte. Il linguaggio utilizzato per formulare
le domande è stato sottoposto a continua revisione e al vaglio del gruppo
di ricerca al fine di rendere più chiaro possibile il senso delle domande,
avvicinandolo anche alle semantiche condivise dalle comunità locali. La
metodologia utilizzata per la raccolta e l’elaborazione dei dati, il software di computazione statistica adottato (SPSS) garantiscono il controllo
della qualità e della coerenza delle risposte predisponendo ex ante i tracciati obbligatori che sono stati seguiti nella compilazione dei questionari
strutturati, i quali sottoposti a pre-test, hanno raggiunto una dimensione
funzionale e sintattica ampiamente soddisfacente.
1.2.2. Le donne del campione
L’universo della ricerca è rappresentato esclusivamente da donne di età
pari o superiore a 18 anni, al momento della rilevazione residenti nei
158
Comuni salentini di Andrano, Diso, Poggiardo, Spongano e Tricase. Il
metodo di campionamento scelto è il modello di campionamento per
quote18, non probabilistico, in cui ciascuno strato, o quota, è rappresentato nel campione nella stessa proporzione che ha nella popolazione complessiva19. Con il supporto dell’Ufficio Anagrafe dei Comuni interessati, abbiamo censito la popolazione femminile ivi residente alla data del
31/12/2010 suddividendola in tre grandi aree: la prima comprendente la
popolazione femminile fino a 13 anni; la seconda comprendente la popolazione femminile compresa tra 14 e 18 anni; la terza comprendente
la popolazione femminile pari o superiore a 18 anni. Solo la terza area
è stata tenuta in considerazione al fine di stabilire le quote campionarie
sulla base di 13 fasce di età, prevalentemente separate da intervalli di 5
anni, con esclusione della prima e dell’ultima fascia di età.
Per ogni fascia di età è stata calcolata la percentuale di incidenza sull’intera popolazione e per ogni fascia di età è stato calcolato il numero di
interviste da realizzare per ottenere una rappresentatività del campione,
almeno per quanto riguarda la variabile: fascia di età. Misurando l’errore
standard di tutte le variabili abbiamo potuto constatare come le stime
campionarie siano affette da un errore standard della media sufficientemente piccolo da permetterci di affermare che il campione è caratterizzato da un alto grado di rappresentatività20. È possibile sostenere ciò anche
in presenza della specificità degli obiettivi della ricerca che sono esclusivamente di carattere descrittivo, orientati, dunque, verso la descrizione più
precisa possibile delle variabili dal punto di vista di un osservatore al fine
di rappresentare un quadro degli orientamenti delle donne intervistate
in riferimento ad alcuni gruppi di indicatori. Il piano di campionamento
originario prevedeva una popolazione di genere femminile complessiva
per i 5 Comuni interessati dalla ricerca di 15.708 unità a cui corrispondeva la somministrazione di 1.256 questionari suddivisi per quote percentuali tra le 13 fasce di età individuate.
«Campionamento per quote: metodo di campionamento non probabilistico equivalente al campionamento stratificato: campionamento non probabilistico in cui innanzitutto si selezionano gli strati necessari e poi si raccolgono le specifiche quote di casi in
ciascuno strato»: K. D. Bailey, Metodi della ricerca sociale, cit., p. 558.
19
Ivi, pp. 115-116.
20
Nell’analisi statistica delle variabili, l’errore standard della media più elevato risulta
di 0,667 mentre il più basso è di 0,004.
18
159
Tab. 1 – POPOLAZIONE FEMMINILE COMUNE
DI ANDRANO ALLA DATA DEL 31.12.2010
classe
100% somministrati da somministrare % di quota
18-25
245
49
26
10,75
26-30
152
21
10
6,67
31-35
160
29
11
7,02
36-40
166
14
12
7,28
41-45
192
57
16
8,42
7,76
4
14
177
46-50
51-55
196
22
17
8,60
56-60
184
39
15
8,07
61-65
172
28
13
7,54
66-70
126
21
7
5,53
71-75
125
29
7
5,48
76-80
141
20
9
6,18
oltre 81 anni 243
36
26
10,66
TOTALE
2279
369
183
100,00
Nella prima fase di analisi abbiamo potuto validare 1.233 questionari
completi su una previsione di 1.256 casi attesi. Da questa numerosità dei
dati e dalla scarsa percentuale di scostamento dai dati attesi (circa il 15%)
possiamo affermare che il campione, oltre a essere rappresentativo è abbastanza ampio da consentire un’analisi rigorosa e attendibile, in grado
di descrivere adeguatamente i fenomeni sociali manifestati dalle donne
intervistate e rappresentati statisticamente dalle variabili osservate.
Tab. 2 – POPOLAZIONE FEMMINILE COMUNE
DI DISO ALLA DATA DEL 31.12.2010
classe
100% somministrati da somministrare % di quota
18-25
136
20
12
9,10
26-30
101
15
7
6,76
31-35
84
5
5
5,62
36-40
84
14
5
5,62
41-45
130
33
11
8,70
46-50
136
19
12
9,10
51-55
99
10
7
6,62
56-60
104
5
7
6,96
61-65
110
6
8
7,36
160
Tab. 2 – POPOLAZIONE FEMMINILE COMUNE
DI DISO ALLA DATA DEL 31.12.2010
classe
100% somministrati da somministrare % di quota
66-70
97
10
6
6,49
71-75
126
12
11
8,43
76-80
130
14
11
8,70
oltre 81 anni 157
5
16
10,50
TOTALE
1494
168
119
100,00
Tab. 3 – POPOLAZIONE FEMMINILE COMUNE DI
POGGIOARDO ALLA DATA DEL 31.12.2010
classe
100% somministrati da somministrare % di quota
18-25
301
24
33
11,01
26-30
186
10
13
6,80
31-35
203
13
15
7,42
36-40
220
33
18
8,04
41-45
227
46
19
8,30
46-50
234
37
20
8,56
51-55
237
12
21
8,67
56-60
201
5
15
7,35
61-65
228
12
19
8,34
66-70
149
5
8
5,45
71-75
161
9
9
5,89
76-80
186
4
13
6,80
oltre 81 anni 201
6
15
7,35
TOTALE
2734
216
217
99,96
Tab. 4 – POPOLAZIONE FEMMINILE COMUNE
DI SPONGANO ALLA DATA DEL 31.12.2010
classe
100% somministrati da somministrare % di quota
18-25
183
1
20
10,89
26-30
122
11
9
7,26
31-35
111
25
7
6,61
36-40
120
58
9
7,14
41-45
146
58
13
8,69
46-50
161
54
15
9,58
51-55
136
6
11
8,10
161
Tab. 4 – POPOLAZIONE FEMMINILE COMUNE
DI SPONGANO ALLA DATA DEL 31.12.2010
classe
100% somministrati da somministrare % di quota
56-60
136
27
11
8,10
61-65
115
15
8
6,85
66-70
92
0
5
5,48
71-75
118
22
8
7,02
76-80
109
1
7
6,49
7,74
1
10
oltre 81 anni 130
TOTALE
1679
279
133
99,94
Tab. 5 – POPOLAZIONE FEMMINILE COMUNE
DI TRICASE ALLA DATA DEL 31.12.2010
classe
100% somministrati da somministrare % di quota
18-25
779
47
81
10,36
26-30
522
10
36
6,94
31-35
591
9
46
7,86
36-40
667
16
59
8,87
41-45
725
30
70
9,64
46-50
711
26
67
9,46
51-55
582
19
45
7,74
56-60
567
12
43
7,54
61-65
560
3
42
7,45
66-70
337
2
15
4,48
71-75
462
13
28
6,15
76-80
399
6
21
5,31
oltre 81 anni 615
8
50
8,18
TOTALE
7518
201
604
99,99
Malgrado il numero inferiore di questionari giunti da Tricase e il sovradimensionamento delle rilevazioni effettuate negli altri Comuni, tuttavia,
a livello di campionamento complessivo si registra una corrispondenza
elevata tra campione ideale e dati raccolti.
Gli strati del campione, raggruppati per tutte le risposte valide pervenute in base alle fasce di età, presentano uno scostamento non significativo
rispetto al campionamento previsto dallo schema della ricerca. Alcune
fasce d’età risultano sovradimensionate rispetto allo schema di campionamento previsto.
162
Infatti l’osservazione dei dati pervenuti descrive come la fascia di età
sovradimensionata riguarda soprattutto le donne la cui età è compresa
tra 41 e 50 anni, mentre le donne intervistate ultra ottantenni risultano
leggermente sottodimensionate rispetto alle attese.
Fig. 1 – Distribuzione
territoriale
Fig. 1 - Distribuzione
territoriale dei dati
raccolti dei dati raccolti
Tab. 6 – POPOLAZIONE FEMMINILE.
TAVOLA DI CONTINGENZA – ETÀ * COMUNE
Comune Totale
Classe d’età
Poggiardo Spongano Tricase
Andrano Diso
anni 18-25
49
20
24
1
47
141
anni 26-30
21
15
10
11
10
67
anni 31-35
29
5
13
25
9
81
anni 36-40
14
14
33
58
16
135
anni 41-45
57
33
46
58
30
224
anni 46-50
4
19
37
54
26
140
anni 51-55
22
10
12
6
19
69
anni 56-60
39
5
5
27
12
88
anni 61-65
28
6
12
15
3
64
anni 66-70
21
10
5
0
2
38
anni 71-75
29
12
9
22
13
85
anni 76-80
20
14
4
1
6
45
oltre 81 anni
36
5
6
1
8
56
Totale
369
168
216
279
201
1233
163
Classe d'età
250
200
150
100
50
0
Fig. 2 - Distribuzione
per –classi
d’età
Fig. 2
Distribuzione
per classi d’età
1800
Popolazione e campione per classi d'età
1600
1400
1200
1000
800
600
400
popolazione al 31/12/2010
200
0
18-25 26-30 31-35 36-40 41-45 46-50 51-55 56-60 61-65 66-70 71-75 76-80 oltre
81
anni
Fig. 3 – Distribuzione per classi d’età rispetto alla po-
Fig. 3 - Distribuzione
per classiaid’età
rispettoe aialla
popolazione,
polazione,
dati attesi
dati
raccolti. ai dati attesi e ai dati raccolti.
La descrizione del campione rileva come le donne intervistate sono al
64% circa coniugate o conviventi (1,8%) mentre coloro le quali non hanno, o non hanno più, legami coniugali rappresentano il 34% circa delle
164
risposte (nubili: 19,5%; vedove: 11,7%; separate legalmente o divorziate:
3,1%).
Circa il 77% del campione dichiara di avere figli. In relazione ai figli, la
media di questo dato si attesta intorno a 2,35, mentre mediana e moda
coincidono (valore = 2), registrando un numero minimo di prole uguale
a 1 e il numero massimo uguale a 10, con una deviazione standard21 pari
a 1,028.
Stato civile
800
700
600
500
400
300
200
100
0
Fig. 4 – Distribuzione per stato civile
Fig. 4 - Distribuzione per stato civile
Le donne intervistate dichiarano per la maggior parte di vivere “con tutta
la famiglia” (59,1%), o con il “partner”, con i “figli” o con “genitori e altri
parenti”, mentre solo il 11,1% indica di “vivere da sola” o con “amici”.
Incrociando i dati relativi all’“Età” e “Con chi vivi prevalentemente”, utiLa deviazione standard, o “scarto tipo” è un indice di dispersione delle misure sperimentali. Vale a dire, è una stima della variabilità di una popolazione di dati o di una
variabile casuale. La deviazione standard è uno dei modi per esprimere la dispersione
dei dati intorno a un “indice di posizione”, quale può essere, per esempio, il valore atteso o una stima del suddetto valore atteso. La deviazione standard ha, pertanto, la stessa
unità di misura dei valori osservati (al contrario della “varianza” che ha come unità di
misura il quadrato dell’unità di misura dei valori di riferimento – in questo caso, uguale a 0,940). In statistica la “precisione“ si può esprimere come deviazione standard. La
deviazione standard risulta tanto maggiore quanto più la variabile è dispersa e, quindi,
il campionamento è suscettibile di maggiore errore. Cfr. P. Corbetta, Metodologia e
tecniche della ricerca sociale, Bologna, il Mulino, 1999, pp. 319, 509-510.
21
165
lizzando come variabile di controllo la “Professione esercitata prevalentemente”, emerge il dato secondo il quale le donne che dichiarano di vivere
da sole sono prevalentemente casalinghe o pensionate d’età superiore a 55
anni. Il 79% di queste sono vedove.
Mediamente la famiglia a cui fa riferimento il campione è composta
da 3,65 persone (moda e mediana = 4), partendo da famiglie composte
solo dalle intervistate fino a registrare una numerosità dei componenti
familiari pari a 9. Tra le intervistate, oltre alle italiane riscontriamo la presenza di due donne svizzere, due rumene, una inglese, una colombiana,
una olandese, due polacche e tre marocchine, evidentemente integrate
nel contesto territoriale sud salentino.
Titolo di studio
450
400
350
300
250
200
150
100
50
0
Fig. 5 – Distribuzione per titolo di studio
Fig. 5 - Distribuzione
per titolo di studio
In riferimento al titolo di studio dichiarato, le donne intervistate si collocano prevalentemente nel livello di istruzione relativo a scuola media e
scuola media superiore (65,6%). Un complessivo 14% di variamente laureati (laurea breve, specialistica e post laurea) si accompagna a un importante 20,2% di donne senza titolo di studio o con sola licenza elementare.
Il quadro relativo alla professione prevalente esercitata al momento della rilevazione del campione vede come maggiormente rappresentative le
donne che rispettivamente svolgono attività di casalinga (35,60%), di pensionata (16,4%) e di studentessa (9,3%). Una buona rappresentatività è co-
166
stituita da donne che sono impiegate nella pubblica amministrazione con
un complessivo 13%. L’analisi dei dati riscontra una percentuale superiore
al 3% individuata come “risposte mancate” dovute, con molta probabilità,
alla mancata indicazione nella declaratoria delle professioni presenti nel
questionario della voce “disoccupata”. Tuttavia, questa è una informazione che recuperiamo in un secondo momento nell’area dedicata al lavoro.
Tab. 7 – ATTUALE PROFESSIONE PREVALENTE
Professione
Frequenza
Percentuale
Artigiana
34
2,8
Casalinga
439
35,6
Commerciante
49
4,0
Impiegata settore privato
98
7,9
Impiegata settore pubblico
84
6,8
Imprenditrice
7
,6
Insegnante/docente
69
5,6
Lavoratore agricolo
9
,7
Libera professionista
32
2,6
Operaia settore privato
43
3,5
Operaia settore pubblico
8
,6
Pensionata
202
16,4
Forze armate
4
,3
Studente
115
9,3
Totale
1193
96,8
Mancante di sistema
40
3,2
Totale
1233
100,0
In estrema sintesi, quindi, il campione è composto da donne residenti nei
Comuni di Andrano, Diso, Poggiardo, Spongano e Tricase, prevalentemente casalinghe, pensionate e impiegate nella pubblica amministrazione, con livello di istruzione medio-alto, coniugate con prole che vivono
con la famiglia, con un’età media di circa 47 anni.
1.2.3. Istruzione e formazione
Il Rapporto ISTAT 2012 costituisce uno strumento di incisiva rappresentazione dei fenomeni rilevanti della società italiana attuale.
167
Nel documento è possibile leggere come nel mondo del lavoro restano
decise differenze di genere: il tasso di occupazione femminile continua a
essere nettamente più basso di quello medio europeo, malgrado le donne abbiano assunto nuovi modelli di comportamento e partecipino con
successo al percorso scolastico. I dati dimostrano, infatti, che la partecipazione scolastica delle donne è superiore a quella degli uomini (93% e
91,5%, rispettivamente) e che le prime concludono il percorso formativo
più frequentemente dei secondi (il 78% delle ragazze ottiene il diploma,
contro soltanto il 69% dei ragazzi)22 .
Nel rapporto si coglie tutta la drammaticità della condizione odierna
delle giovani donne, aggravata da questa crisi prolungata che produce effetti significativi sulle scelte di vita e sulle prospettive reddituali a medio e
lungo termine. La mobilità sociale, specie per le donne, risulta essere minore rispetto al passato: questo significa che per i giovani (uomini e donne) è difficile migliorare la propria posizione. Se l’istruzione è un fattore
chiave per alimentare la mobilità sociale e favorire la crescita economica i
dati sull’abbandono scolastico e sull’interruzione degli studi post diploma evidenziano come rimangano forti i condizionamenti della situazione
di partenza e della classe sociale di appartenenza dei giovani.
Il Rapporto, tuttavia, descrive come siano proprio i protagonisti “maltrattati” di queste situazioni critiche “le migliori risorse del nostro paese:
i giovani” in generale, che rappresentano un potenziale innovativo che
trova enormi difficoltà a esprimersi e “le donne”, in particolare, che negli ultimi venti anni hanno mostrato una dinamicità notevole sul piano
dell’istruzione e del lavoro, a cui si deve il riconoscimento pieno delle
capacità. Proprio perché «le donne hanno cessato di essere le beneficiarie
passive di aiuti destinati a dar loro sollievo, ma sempre più vengono viste,
dagli uomini e da loro stesse, come protagoniste attive del mutamento,
dinamiche promotrici di trasformazioni sociali che possono modificare
sia la loro vita che quelle degli uomini»23.
La complessa questione del formarsi delle identità femminili con l’altrettanto articolata questione dei diritti delle donne rappresenta in OcPer un’analisi puntuale sull’abbandono scolastico e sui lavori irregolari dei minori nel
Salento, cfr. P. L. Di Viggiano, Il rischio del futuro, Lecce, Pensa Multimedia, 2008.
23
Amartya Sen, Premio Nobel per l’Economia, 1998. Cfr. A. Sen, Lo sviluppo è libertà (1999), Milano, Mondadori, 2000, p. 192.
22
168
cidente la sconveniente “faccenda” sociale e politica delle discriminazioni delle donne, prima reclamando la parità dei diritti civili e politici e
successivamente pretendendo a gran voce la liberazione sessuale. Grande
merito nella rivendicazione di queste istanze è attribuito ai movimenti
neofemministi degli anni Settanta del Novecento che, nelle loro diverse
contestualizzazioni locali, hanno comunque posto e imposto a livello internazionale, per la prima volta nella storia umana, la questione femminile come sapere, come ambito di studio e di ricerca necessario e trasversale
alla classica e rigida classificazione accademica delle scienze umane e sociali; in altre parole sono nati i Gender Studies24.
L’identità, che si individua per differenza, si pone come un processo
plurale e multidimensionale e il genere si rivela potente costruttore della
differenziazione sociale e culturale fra gli esseri umani di sesso diverso.
Da qui si aprono canali plurimi di possibilità d’azione formativa. La capacità di superare anche ripetutamente le rigide differenziazioni di genere,
attribuisce alla formazione un ruolo decisivo nell’orientare criticamente e
consapevolmente i processi di costruzione delle identità di genere, al fine
di ridurre svantaggi, asimmetrie, gerarchie fra i generi, e dare spazio alle
molteplici forme di vita umana. Nella società moderna contemporanea,
individuata come “società dell’informazione e della comunicazione”, il
cammino internazionale dei diritti umani delle donne25, inaugurato dalle Nazioni Unite ufficialmente nel 1975 e ancora in corso, si arricchisce
continuamente di possibilità di acquisire nuovi diritti e, contemporaneamente, di esserne esclusi. La conoscenza e la capacità di aggiornare continuamente la propria formazione, anche attraverso i nuovi media della
comunicazione, costituisce il presupposto per essere cittadine o per essere
escluse dalla cittadinanza, ormai anche digitale. Costituisce il presupposto per accedere ai nuovi strumenti della democrazia elettronica, per
soddisfare adeguatamente le proprie aspettative ma, in caso di delusione,
di poter cognitivamente rivendicare ed esercitare pari dignità e identiche
condizioni di partecipazione, di inclusione anche in quelle che sono le
reti istituzionali della partecipazione democratica. Ai diritti umani si afCfr. R. Pace, Identità e diritti delle donne: per una cittadinanza di genere nella formazione, Firenze, Firenze University Press, 2010.
25
Diritto alla “partecipazione politica” (soggettività giuridica), all’“autonomia lavorativa” (soggettività economica), all’“istruzione” (soggettività personale).
24
169
fiancano i diritti culturali e interculturali che producono nuovi problemi
e predispongono nuove soluzioni per l’esercizio della cittadinanza26. Dalla esigibilità dei diritti universali emerge la richiesta di soddisfazione dei
bisogni particolari delle donne. La formazione è un fenomeno sociale che
può essere studiato soltanto con riferimento al sistema complessivo della
società che suppone un sistema dell’educazione e della formazione come
sistema che stabilizza selezione sociale e disuguaglianza, soprattutto in
riferimento al genere.
Il fenomeno sociale legato alla formazione delle donne non è solo un
fattore culturale, ma anche uno strumento di pari opportunità che rivela
aspetti economici legati al lavoro e alla carriera. L’uguaglianza di genere
costituisce da sempre uno degli obiettivi principali della strategia europea per l’occupazione ed è ritenuta imprescindibile per il raggiungimento
degli obiettivi di crescita e di occupazione fissati a Lisbona. Nonostante
i progressi compiuti persistono, infatti, disuguaglianze in merito all’accesso, all’istruzione e alla formazione, alla partecipazione al mercato del
lavoro, alle opportunità di carriera, ai ruoli e alla retribuzione, solo per
citarne alcune.
Nella prospettiva europea assume particolare importanza la formazione come strumento di promozione sociale, economica e culturale di
genere nella forma della LLL (Long Life Learning), sviluppata secondo
modelli di formazione per gli adulti, partecipata e continua27.
I dati ISTAT per gli anni 2009-2010 in relazione ai livelli di istruzione
delle donne descrivono una situazione incoraggiante per l’Italia: si registrano più donne che studiano e con livelli di istruzione più alti.
Nel 2010 il 37,6% delle giovani donne segue un percorso di istruzione,
contro il 30,7% dei maschi (nel 2005 erano rispettivamente il 33,3% e
il 27,8%). La quota è più alta nel Centro-Sud, soprattutto nella classe di
età 25-29 anni la cui percentuale è pari all’11,9% nel Nord, al 18,1% nel
Centro e al 21,9% nel Mezzogiorno.
Nel corso di cinque anni il livello di istruzione delle giovani è aumentato più che per i coetanei: le laureate sono passate dal 10,5% al 14,9% delle
Sul dibattito attuale circa il multiculturalismo, il multietnismo l’interculturalità
e i diritti di cittadinanza nell’era della globalizzazione, viste da una donna, cfr. M Simeoni, La cittadinanza interculturale. Consenso e confronto, Roma, Armando Editore,
2005.
27
Cfr. F. Bochicchio, P. L. Di Viggiano, La formazione partecipata, cit.
26
170
donne della stessa fascia di età, mentre i laureati sono passati dal 6,9% al
9,4%.
Le diplomate sono il 56%, una quota pari a quella dei giovani maschi,
mentre il 29,2% delle giovani possiedono al massimo la licenza media
(34,8% nel caso dei maschi).
La percentuale di donne laureate è più elevata nel Nord (16,8%) e nel
Centro (16%), più bassa nel Mezzogiorno (12,6%).
Un terzo dei giovani occupati ha un titolo di studio più elevato di quello che servirebbe per svolgere il lavoro a cui sono adibiti, il che denota
un forte sottoutilizzo del capitale umano. Il fenomeno del sottoutilizzo
della forza lavoro femminile è in continuo aumento negli ultimi anni: dal
28,5% del 2005, si passa al 31,7% del 2007, e poi al 33,8% del 2009. Le
giovani presentano una percentuale di due punti più alta dei loro coetanei
(34,8% contro 32,5%). Nel Sud la distanza è maggiore (5,5 punti: 38,7%
contro 33,2%). Le laureate sottoutilizzate raggiungono il 49,5% contro
il 42% dei laureati. La differenza di genere in questo caso si accentua nel
Sud con il 50,6% di laureate sottoutilizzate e il 39,8% di laureati. Tra i
diplomati emerge una differenza di genere che, invece, penalizza la componente maschile (48,7% contro il 41,9%).
Le giovani leggono libri nel tempo libero nel 64,4% dei casi contro il
41,3% dei coetanei: 23 punti percentuali in più a favore delle donne. La
differenza di genere emerge anche nel numero di libri letti nell’anno: infatti, sono soprattutto le donne a leggere 12 e più libri all’anno (14,1%
delle donne che leggono contro il 12,1% degli uomini) e meno quelle che
leggono da 1 a 3 libri (42,8% contro 50,1%). Il vantaggio femminile è
presente in tutte le ripartizioni territoriali. L’impatto del titolo di studio
è molto forte sulla lettura di libri. Leggono libri l’85% delle giovani laureate rispetto al 45,4% delle giovani con titolo di studio inferiore al diploma. A parità di titolo di studio, comunque, permane un forte vantaggio
femminile28.
Muovendo da premesse volte a osservare e descrivere il rapporto delle
donne del campione con gli strumenti utili ad acquisire conoscenza, abFonti ISTAT: Istruzione e mercato del lavoro e ruolo in famiglia sono relativi alla
media dei primi tre trimestri dell’indagine Forze di lavoro 2010. Il tempo dedicato al
lavoro familiare si riferisce all’indagine multiscopo Uso del tempo 2008-2009. Gli altri
dati si riferiscono all’indagine multiscopo Aspetti della vita quotidiana 2010.
28
171
biamo previsto nel questionario un’area dedicata alla formazione e all’istruzione con l’intento di rilevare il livello di istruzione del campione, di
individuare gli strumenti utilizzati per la propria formazione e, di riflesso, registrare le modalità di aggiornamento delle conoscenze possedute.
In questa sezione viene chiesto al campione di indicare le proprie esperienze in relazione alla formazione già effettuata in passato e, sulla scorta
di tali esperienze, indicare il livello di utilità che questa ha rappresentato,
esplicitare se gli interventi formativi hanno risposto alla soddisfazione di
un bisogno di formazione avvertito e quali sono state le agenzie formative
frequentate.
Sul piano cognitivo, la percezione della presenza di un bisogno formativo e l’individuazione del contenuto di tale bisogno sono influenzati
dalla percezione che i soggetti hanno della propria esperienza formativa pregressa. In altri termini, esistono probabilità elevate che l’approccio
alle future attività per l’apprendimento sia condizionato dalle precedenti
esperienze di percezione della formazione effettuata. Nel questionario è
stata prevista una domanda con la quale le donne intervistate vengono
sollecitate a riflettere sulle proprie precedenti esperienze di apprendimento formulando alcuni giudizi da cui possono essere desunte, in modo
indiretto, le aspettative sulla formazione di ciascuno. Alle intervistate è
stata posta la seguente domanda: Se pensa alle sue precedenti esperienze
di formazione, complessivamente ritiene che la formazione sia stata? Per
orientare meglio le risposte sono stati utilizzati item funzionali a precisare la percezione individuale della rappresentazione della formazione
all’interno di categorie semantiche predefinite.
Il campione ha indicato di possedere una percezione della formazione
che presenta luci e ombre anche se le tendenze centrali sono piuttosto
omogenee, con scarti contenuti tra tutti i valori massimi e tutti i valori
minimi (Tab. 8). In generale, però, le donne intervistate dichiarano di
aver vissuto un’esperienza di apprendimento che ha presentato ampi margini di chiarezza, relativamente distante dalla realtà del loro vissuto quotidiano anziché sempre collegata ai contesti, ma abbastanza trasferibile
nella pratica. Convinzioni che, sebbene non superino mediamente un
terzo delle risposte, sono fortemente influenzate da una percezione della
formazione che risente delle modalità con le quali in genere si caratterizzano le esperienze di apprendimento non soltanto nella scuola, ma anche
nelle organizzazioni e nelle esperienze private. Significati che concorrono
172
a determinare atteggiamenti e pre-giudizi con i quali i soggetti in formazione si dispongono ad apprendere.
In sintesi, la percezione di una personale formazione collegata alla
realtà, coinvolgente, partecipativa, innovativa, rispondente ai bisogni e
organizzata ha ottenuto un grado di risposte che si attesta mediamente
intorno ai 2/3 delle risposte valide. Un dato significativo risiede anche
nel fatto che le mancate risposte sono abbastanza omogene in tutti gli
item proposti.
Se pensa alle sue precedenti esperienze di formazione, complessivamente ritiene che la formazione sia stata?
Tab. 8
PERCEZIONE DELLE PRECEDENTI ESPERIENZE DI FORMAZIONE
abbaRitengo che la forper
del
manpoco
stanmolto
nulla
tutto
canti
mazione sia stata…
za
Chiara
Collegata alla realtà
Coinvolgente
Trasferibile
nella pratica
Partecipativa
Innovativa
Rispondente
ai bisogni
Organizzata
freq.
%
freq.
%
freq.
%
freq.
%
freq.
%
freq.
%
122
9,9
260
21,1
563
45,7
164
13,3
69
5,6
55
4,5
115
9,3
328
26,6
472
38,3
179
14,5
74
6,0
65
5,3
130
10,5
299
24,2
467
37,9
187
15,2
78
6,3
72
5,8
143
11,6
337
27,3
462
37,5
157
12,7
62
5,0
72
5,8
128
10,4
273
22,1
478
38,8
219
17,8
70
5,7
65
5,3
163
10,7
362
29,4
432
35,0
152
12,3
53
4,3
71
5,8
132
10,7
308
25,0
469
38,0
177
14,4
78
6,3
69
5,6
141
11,4
319
25,9
455
36,9
167
13,5
81
6,6
70
5,7
Abbiamo già descritto come il livello di istruzione del campione sia medio-alto.
Osservando le modalità attraverso le quali il campione aggiorna il proprio bagaglio di conoscenze (Fig. 6) emerge in modo netto come la Tv
rappresenti il principale strumento (36,7% delle risposte); il 25,4% del
campione preferisce internet, mentre il 15,9% si aggiorna attraverso la
lettura di libri. La presenza del televisore, o più di uno in ogni famiglia,
i PC ormai tutti collegati in rete, disponibili in tutti i luoghi della frequenza quotidiana della comunicazione digitale (casa, ufficio, notebooks
in connessione mobile, Smart phon, ecc.) conferma che l’aggiornamento
attraverso l’informazione digitale (anche la Tv ormai trasmette in digita-
173
le) e la Rete di Internet è ormai una prassi quotidiana, anche se qui non
è dato conoscerne il contenuto così come non è possibile controllarne i
percorsi29. Il rischio è che si confonda il sapere con l’informazione presente nella Rete o veicolata dai media della comunicazione digitale. Con
il grande sospetto di una teledipendenza che viene scambiata per formazione. Questo descrive le generazioni ultraquarantenni e oltre (Baby
boomers), mentre coloro che una volta erano definiti “giovani” oggi si
chiamano “nativi digitali” o, per distinguere intere generazioni attuali da
altre in via di transizione, per poterle osservare distintamente, si individuano le ragazze e i ragazzi che la compongono con l’appellativo di “Net
Generation”30.
Strumenti per la formazione
Nessuno
Seminari, convegni e incontri
Discussioni con i colleghi e amici
Corsi di formazione
Riviste/Quotidiani
Tv
Libri
Internet
0
100
200
300
400
500
Fig. 6 – Distribuzione
per Strumenti
per la formazione
Fig. 6 - Distribuzione
per Strumenti
usati per usati
la formazione
I seminari e convegni rappresentano una modalità di aggiornamento
dichiaratamente residuale di cui si avvale soltanto il 2,1% del campione
che, con una complessiva percentuale del 7,7%, dichiara di aggiornarsi
Cfr. L. Grivet Foiaia, Web 2.0. Guida al nuovo fenomeno della Rete, Milano,
Hoepli, 2007.
30
Cfr. D. Tapscott, Net Generation. Come la generazione digitale sta cambiando il
mondo, Milano, FrancoAngeli, 2009. Nella prefazione Mario Gerosa definisce i ragazzi e le ragazze della Net Generation come «i gran cerimonieri del tempo che verrà, per
il futuro vero» (p. 21) probabilmente senza accorgersi che il futuro è già cominciato.
29
174
attraverso la lettura di quotidiani e di riviste o con discussioni con amici e
colleghi (3,2%). Infine, è interessante osservare come i corsi di formazione non hanno grande appeal per le donne intervistate a cui attribuiscono
un peso statisticamente marginale (5,7%), perdendo rilevanza come strumento tradizionale di aggiornamento per eccellenza.
Un 3,2% complessivo, tra le risposte mancate e l’indicazione di non
usare nessuno strumento per la formazione o per aggiornare il bagaglio di
conoscenze, richiama a grandi linee i medesimi punti percentuali rilevati
come “mancate risposte” presenti nella Tab. 8.
Malgrado le intervistate dichiarino di utilizzare strumenti un tempo
irrituali per la propria formazione, almeno secondo i canoni classici della
pedagogia, tuttavia, una indicazione quasi plebiscitaria individua la formazione come utile (88,3%) e solo un complessivo 11,6% considera la formazione come un esercizio inutile se non addirittura una costosa perdita
di tempo (Fig. 7).
Cosa pensa della formazione
È una perdita
di tempo
costosa
4%
Penso sia
inutile
8%
È utile
88%
Fig. 7 – Opinioni sulla formazione
Fig. 7 – Opinioni sulla formazione
La formazione istituzionale, quella obbligatoria e quella post obbligatoria, per coloro che ne hanno usufruito, è avvenuta per l’89,5% delle donne
del campione nella scuola pubblica, per il 3,0% in agenzie di formazione
private, mentre il 7,5% dichiara di non aver ricevuto nessuna formazione.
Le donne del campione che presentano una prevalenza di risposte secondo le quali la formazione è inutile o rappresenta una perdita di tempo
175
costosa appartengono a due fasce di età non contigue: la prima è quella
compresa tra 18 e 25 anni, mentre la seconda comprende gli anni tra i 41 e
i 45. In entrambe le fasce queste risposte sono in misura maggiore fornite
da donne che dichiarano di essere in possesso di licenza media.
1.2.4. Il lavoro delle donne
Nelle società pre-moderne, segmentate o stratificate, sia sul versante sociale ed economico che su quello giuridico, il lavoro delle donne è stato
caratterizzato dall’essere storicamente invisibile. La civiltà occidentale
giudaico-cristiana, attraverso le parole del Libro della Genesi31, segna il
lavoro come una fatica a cui l’uomo è condannato, a differenza della donna che è condannata a partorire nel dolore. La condanna al lavoro e alla
procreazione si prospetta come un destino rispettivamente per l’uomo e
per la donna attraverso cui è stata operata socialmente e giuridicamente
la suddivisione dei ruoli sociali individuati come produttivo e riproduttivo. Questa suddivisione “naturale” ha reso invisibile il lavoro delle donne
in un’economia di sussistenza nella quale, a eccezione delle élite sociali,
il costante impegno delle donne nell’economia familiare era considerato un dovere, un obbligo derivante dalla condizione femminile stessa e,
quindi un “non-lavoro”. Questa idea ha rappresentato la struttura e la
cultura dominante delle società occidentali fino ad almeno l’inizio del
secolo scorso32 . Sia da una prospettiva sociale, che economica e giuridica.
In un contesto simile non esisteva neanche il concetto giuridico di tutela
del lavoratore, men che meno della lavoratrice.
Tra il medioevo e l’inizio dell’età moderna l’essere femminile viene percepito in due differenti modalità: angelico e spirituale oppure stregonesco
e maligno. Il Bene e il Male si incarnano nelle attività svolte dell’essere
umano femminino che si allontana così dalla concretezza e soprattutto
dal potere di decidere e di svolgere qualsiasi attività diversa dal suo ruolo
di madre e moglie in perfetta ortodossia, fino all’età dell’Inquisizione33
Genesi, 3, 16-18.
Cfr. P. L. Berger, B. Berger, Sociologia. La dimensione sociale della vita quotidiana, Bologna, il Mulino, 1977.
33
Cfr. S. Peyronel Rambaldi (a cura di), I tribunali della fede: continuità e discontinuità dal Medioevo all’età moderna, Torino, Claudiana, 2008.
31
32
176
durante la quale la paura suscitata dalle attività “inusuali” svolte dalle
donne o dalla loro ribellione si trasforma in persecuzione fino al loro
estremo sacrificio ritualizzato con le streghe al rogo34.
Con l’avvento della modernità il lavoro delle donne acquista gradualmente un carattere sociale differenziato rispetto alle occupazioni lavorative svolte nella sfera familiare.
Nell’800 la donna comincia a esercitare un ruolo riconosciuto socialmente, economicamente e giuridicamente in veste di lavoratrice. La sua
forza lavoro, mai venuta meno nella storia, inizia ad avere un importante
peso sociale solo in piena era industriale, soprattutto dal punto di vista
economico e produttivo in funzione del mercato. L’individuo femminile
comincia faticosamente a farsi riconoscere il diritto a essere un soggetto
sociale, lavoratrice e cittadina, man mano sempre più autonomo rispetto
alla sfera del potere maschile.
Lavoratrici con le gonne, oltre che nelle campagne, si cominciano a vedere nelle fabbriche ma anche nelle scuole come maestre, nelle corsie degli
ospedali come infermiere e, soprattutto, come ginecologhe conquistando
un’indipendenza economica che rompe gli stretti vincoli domestici. Negli Stati Uniti, nel 1840, viene anche sancito il diritto alla libera disponibilità dei guadagni in un lento progresso verso la parità all’alba del XX
secolo, quando emergono i primi riconoscimenti dei diritti politici alle
donne in Nuova Zelanda (1893), poi negli Usa (1914) e, a seguire, in tutto
il resto del mondo occidentale.
Il ’900 è il secolo delle suffragette, del grande movimento femminista,
delle conquiste dei diritti: dall’uguaglianza al voto, alla possibilità di accedere a tutte le professioni fino ad allora di esclusiva pertinenza degli
uomini. La donna della seconda metà del ’900 conquista la sua libertà e
la sua indipendenza economica, giuridica, politica, sessuale: diventa una
persona a pieno titolo, una cittadina moderna proiettata verso la realizzazione piena della modernità.
Oggi l’occupazione femminile è attestata su livelli abbastanza elevati
rispetto al passato, soprattutto in ruoli che non siano di top manager35,
Cfr. L. Muraro, La signora del gioco – la caccia alle streghe interpretata dalle sue
vittime, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2006.
35
Se per trovare lavoro, in Italia le donne faticano più che altrove, una volta inserite, le
difficoltà per accedere alle posizioni di vertice diventano insormontabili. Se da un lato,
le donne all’interno del percorso scolastico e universitario risultano essere più brave dei
34
177
anche se i livelli occupazionali delle donne rimangono più bassi rispetto
a quelli degli uomini e nei periodi di crisi, come quello attuale, le donne
sono le prime a subire i contraccolpi occupazionali e a vedere incrementare il proprio tasso di disoccupazione36.
L’ingresso delle donne nel mercato del lavoro non le ha liberate dalle
attività “di cura” svolte in famiglia, con conseguenti crescenti problemi di
conciliazione della vita lavorativa con quella familiare a cui si affiancano
problemi circa le condizioni di accesso delle donne al mercato del lavoro
e alle pari opportunità di genere. Le normative giuridiche nazionali ed
europee prodotte negli ultimi anni esprimono indicazioni generali per
attuare misure «volte a favorire la conciliazione tra vita lavorativa e vita
familiare attraverso misure fiscali e contributive, la diffusione di servizi a
costo contenuto e il pieno sviluppo del part-time»37.
colleghi maschi, con voti in media più alti; nel lavoro i meriti non contano più. Conta il
genere, se sei maschio, fai carriera, se sei femmina, ti fermi alcuni gradini più in basso.
Solo il 5% delle donne raggiunge il vertice delle aziende. Interessante è uno studio della
Presidenza del Consiglio dei Ministri su 113 istituti di credito: il 72,2% dei consigli di
amministrazione non ha alcuna donna; un deserto che fa da contraltare al numero di
dipendenti donne degli istituti bancari, il 40%. Solo nelle aziende sanitarie nazionali
crescono le percentuali: 8% dei direttori generali, 20% dei direttori sanitari. La presenza
delle donne in politica è sconfortante: mai il numero delle parlamentari si è avvicinato
al 20%. […] Il soffitto di vetro, quell’invisibile barriera che tiene le donne lontane dai
vertici organizzativi, è spesso il risultato di sottili meccanismi di discriminazione e
contemporanei processi di auto-esclusione. Cfr. F. Morgante, Il “soffitto di cristallo”,
<http://www.unite.it/UniTE/Engine/RAServeFile.php/f/master0809/03_donne_
tesi.pdf>.
36
Nel 2009 il tasso di occupazione in Italia della popolazione compresa fra i 15 e i 65
anni d’età era di 68,6% per gli uomini e di 46,4% delle donne, mentre il tasso di disoccupazione riscontra il 6,8% per gli uomini e il 9,3% per le donne le quali presentano
una tipologia di lavoro part-time prevalente rispetto agli uomini. Utilizzando le informazioni del sistema informativo delle C. O., che fornisce la dinamica dei lavoratori dipendenti e di quelli parasubordinati, i dati del primo trimestre 2010 indicano che circa
2 milioni di lavoratori hanno avuto un nuovo contratto di lavoro, di cui circa il 50%
donne, dato costante rispetto allo stesso trimestre del 2009. Cfr. Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali, Donne e mercato del lavoro, <http://www.
lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/4FF260F8-5BBC-4D5D-8CF4-98616A4F8D65/0/
CS_Donneemercatodellavorodatistatistici.pdf>.
37
Cfr. DPEF 2003-2006. Per una analisi di queste problematiche in Puglia Cfr. R.
V. Santandrea, (a cura di), Donne e mercato del lavoro. Il caso Puglia in Italia e in
Europa, IPRES, Bari, Progedit, 2003.
178
Il lavoro delle donne, specie in aree rurali del Mezzogiorno d’Italia, si è
configurato e ancora si attua, attraverso forme illegali di attività produttive che si individuano come lavoro sommerso, lavoro irregolare o forme di
sottoccupazione che, oltre a violare le norme in materia di occupazione,
violano i diritti e la dignità stessa delle donne, ma anche di molti uomini
che spesso condividono questa condizione di occultamento e di emarginazione sociale38.
Nell’occuparci della sfera della ricerca dedicata al lavoro non abbiamo
chiesto alle donne del campione di indicarci che lavoro svolgessero, ma
abbiamo chiesto loro di qualificarsi prima dal punto di vista occupazionale, lasciando che fosse la percezione della propria condizione lavorativa a emergere, piuttosto che una classificazione dettata da tassonomie
del mercato. Quindi la domanda non voleva soltanto indagare se le intervistate fossero occupate, inoccupate o disoccupate, ma pur considerando i due poli estremi della condizione lavorativa, abbiamo cercato di
far emergere quelle che a livello descrittivo sono semplicemente gradazioni, ma che dal punto di vista personale e sociale rappresentano una
collocazione di inclusione o di esclusione che richiamano aspettative e
strategie di assorbimento della loro delusione. Coloro che si descrivono come “occupate”, indipendentemente dal tipo di attività che le tiene
occupate, rappresentano un abbondante 36% delle risposte, mentre tra
coloro che non sono occupate il 17% è alla ricerca di un lavoro, contrapposto a circa il 25% di coloro le quali dichiarano di non essere impegnate nel cercare un impiego. Una bassa percentuale indica la propria
condizione di disoccupata perché è alla ricerca del primo lavoro o perché
è inabile al lavoro.
Un coraggioso 5% dichiara di essere ufficialmente non occupata,
quindi di svolgere lavoro nero. Coloro che non sono occupate si possono classificare in riferimento alle aspettative che orientano la propria
descrizione occupazionale: chi combatte per cercare un lavoro perché
evidentemente si aspetta di trovarne uno (ottimiste) e coloro che per
diverse ragioni, ma anche perché vi hanno rinunciato, non sono più
interessate a cercarne uno (rinunciatarie). Il 10% del campione non si
esprime.
Cfr. S. De Rubertis, A. Trono (a cura di), Flessibilità e sommerso. Il lavoro irregolare femminile a Tricase, Taviano e Lecce, Lecce, Adriatica Editrice Salentina, 2003.
38
179
Tab. 9 – COME SI QUALIFICA
DAL PUNTO DI VISTA DELLE ATTIVITÀ LAVORATIVE?
Occupazione
Frequenza Percentuale
Occupata
447
36,3
Ufficialmente non occupata (lavoro in nero)
63
5,1
Disoccupata alla ricerca di una
209
17,0
nuova occupazione
In cerca di prima occupazione
74
6,0
Inabile al lavoro
47
3,8
Non alla ricerca di un lavoro
264
21,4
Mancante di sistema
129
10,5
Totale
1233
100,0
Incrociando questi ultimi dati con quelli relativi alla professione prevalente, avendo come variabile di controllo la variabile “classe d’età” è possibile osservare come le donne tra i 18 e i 25 anni che dichiarano di avere
un lavoro rappresentano il 16% dell’intera fascia d’età e sono in massima
parte impiegate o operaie del settore privato. La restante percentuale di
questa fascia (84%) variamente disoccupata è rappresentata quasi per intero da casalinghe e studentesse. È significativo come l’86,3% delle casalinghe di tutto il campione si dichiari disoccupato alla ricerca di una nuova occupazione, mentre una percentuale certamente marginale (7,2%) si
definisca casalinga e contemporaneamente si percepisca come occupata.
Il picco maggiore di questo fenomeno si registra nella fascia d’età compresa tra i 36 e i 50 anni. Le casalinghe sono coloro le quali dichiarano di
essere poco, o per niente soddisfatte della propria occupazione e per questo ne stanno cercando un’altra. Mentre tra coloro le quali dichiarano di
non essere soddisfatte del proprio lavoro e, comunque, di non cercarne un
altro perché pensano di non poterne trovare uno migliore, le casalinghe
rappresentano un importante 28,9%. Sono rassegnate.
Le donne del campione del Comune di Andrano per il 38,2% sono poco
soddisfatte del lavoro che svolgono o che hanno svolto e, per questo dato,
rappresentano la punta più alta dell’insoddisfazione lavorativa di tutto il target delle poco soddisfatte, mentre le più rassegate le troviamo nel Comune di
Tricase, con un significativo 34,8% di tutta la categoria delle insoddisfatte.
Considerando gli incroci tra la dichiarazione del grado di soddisfazione per
il proprio lavoro con il titolo di studio, si rileva che le donne più soddisfatte del
proprio lavoro sono coloro che hanno un diploma di scuola media superiore
180
e, contemporaneamente sono quelle che massimamente (60,5%) non sono
soddisfatte del proprio lavoro e perciò ne stanno cercando un altro. Le meno
soddisfatte del proprio lavoro sono anche quelle in possesso di licenza media
che, contemporaneamente, sono le più rassegnate a non cercarne un altro.
La professione prevalente del campione è quella di casalinga (35,6%), seguita da quella di pensionata (16,4) e di studentessa (9,3%). Volendo considerare la restante parte del campione dalla prospettiva del lavoro autonomo o subordinato, solo il 10% delle intervistate ha indicato come attività
prevalente quella di “lavoro autonomo”, mentre il 26% dichiara di svolgere
un lavoro subordinato, pubblico o privato. La domanda sulla professione
prevedeva, per coloro che non si identificassero in nessuna di quelle proposte nel questionario, di indicare un’ulteriore tipologia di professione e di
specificarla. Tra il 2% delle risposte che hanno indicato “altro”, solo una ha
dichiarato di svolgere attività di “dirigente”. Il rapporto numerico con le
altre professioni è davvero irrisorio e descrive, anche nel nostro campione,
la difficoltà delle donne di assurgere a posizioni lavorative apicali. Spicca,
tra queste risposte, quella orgogliosa di una “mamma a tempo pieno”.
Tipo di contratto
A tempo
determinato
8%
A tempo
indeterminato
20%
Flessibile
(Co.Co.Co.,
Co.Co.Pro.,
ecc.)
2%
Non risponde
67%
4 Occasionale
3%
Fig. 8 – Distribuzione per “Tipo di contratto di lavoro”
Fig. 8 – Distribuzione per “Tipo di contratto di lavoro”
Abbiamo chiesto al campione di esprimersi circa il tipo di contratto di
lavoro in possesso.
I dati relativi alla disoccupazione risultano congruenti con le risposte
alle precedenti domande sull’occupazione, per cui abbiamo dichiarazioni
181
che collocano le donne intervistate per il 67% in una fascia di popolazione che non ha un’occupazione e se lavora non ha un contratto (lavora
in nero). Solo il 20% delle donne del campione ha un contratto a tempo
indeterminato e l’8% a tempo determinato. Il lavoro occasionale e flessibile occupa un residuale 5%. Complessivamente le donne in possesso di
un contratto rappresentano il 33,7% del campione, lontano dal 46,1% del
dato nazionale (ISTAT, aprile 2010).
Le statistiche nazionali sull’occupazione femminile in Italia descrivono
come le donne negli ultimi decenni entrano nel mondo del lavoro proprio
nel momento in cui le generazioni precedenti iniziano a uscirne; hanno
aspirazioni e istruzione più elevate rispetto al passato e non hanno intenzione di smettere di lavorare, anche nel Sud. La crisi attuale ha aggravato
i problemi strutturali, quantitativi e, in particolare, di qualità del lavoro
dell’occupazione femminile. Nel biennio 2008-2010:
–– l’occupazione femminile è diminuita di 103 mila unità (-1,1%);
–– è diminuita l’occupazione qualificata (-270 mila) ed è aumentata
quella non qualificata (+218 mila);
–– nell’industria diminuiscono più le donne (-12,7%) che gli uomini
(-6,3%);
–– sono aumentati i fenomeni di segregazione verticale e orizzontale;
–– è cresciuto il part-time solo nella componente involontaria (soprattutto nel commercio e ristorazione e nei servizi alle famiglie);
–– si è acutizzato il sottoutilizzo del capitale umano.
125
120
Maschi
Femmine
115
110
105
100
95
90
1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Fig. 9 – Andamento
occupazione
maschile
e femminiFig. 9 - Andamento
occupazione maschile
e femminile,
Fonte
ISTAT - Il lavoro delle donne in Italia
le, Fonte ISTAT – Il lavoro delle donne in Italia
182
Nel 2011 si registra un modesto recupero generale ma un ulteriore peggioramento per le giovani (-45 mila occupate nella media dei primi tre trimestri).
Nonostante la spinta delle donne e la crescita avvenuta, meno della metà
di esse oggi lavora. I dati ISTAT descrivono chiaramente questa situazione:
–– tasso di occupazione 2010 del 46,1%: ultimi in Europa prima di Malta;
–– il Sud scende al 30,5% contro il 56,1% del Nord;
–– le donne con al massimo la licenza media sono al 28,3%;
–– al Sud serve la laurea alle donne per arrivare a un tasso di occupazione superiore al 50%;
–– tasso di disoccupazione femminile maggiore di quello maschile al
contrario dell’Europa (9,7% vs. 7,6% in Italia contro 9,6% per entrambi i generi in Europa) ma poco significativo nel nostro paese;
–– tasso di inattività in Italia molto elevato (48,9%) e superiore a quello
europeo (35,5%), sintomo di un forte scoraggiamento39.
Delle donne del nostro campione che dichiarano di avere un contratto di
lavoro, il 22% svolge un lavoro full-time e il 10,5% è impiegato part-time,
con una media oraria settimanale di 30,47, con un minimo di ore lavorate
pari a 3 e un massimo di 70.
Orario di lavoro prevalente
No-time
Part-time
Full-time
0
200
400
600
800
1000
Fig. 10 –Distribuzione
dell’orario di lavoro
Fig. 10 –Distribuzione
dell’orario di lavoro
Cfr. CNEL II° Commissione – Stati Generali su “Il lavoro delle donne in Italia”, Il
lavoro femminile in tempo di crisi (a cura di L. L. Sabatini), Roma, 2 febbraio 2012,
<www.istat.it/it/files/2012/03/Il-lavoro-femminile-in-tempo-di-crisi.ppt>.
39
183
Il 27% delle donne che hanno un contratto a termine dichiara di aver
scelto questa soluzione per conciliare lavoro e famiglia, mentre il 68% si
accontenta del lavoro che ha perché non ha trovato un’occupazione a tempo indeterminato.
Abbiamo chiesto alle intervistate di esprimere il proprio grado di soddisfazione in merito al lavoro che attualmente svolgono o che hanno svolto in passato. Il 71,6% di loro dichiara di essere abbastanza o molto soddisfatto della propria esperienza lavorativa attuale o pregressa, mentre circa
il 3% esprime insoddisfazione e dichiara di essere impegnato a cercarne
uno migliore. Le rassegnate dichiarano la propria insoddisfazione ma
non cercano un lavoro migliore perché pensano di non poterlo trovare.
Soddisfazione per il lavoro svolto
529
237
220
38
Molto
Abbastanza
Poco
Per niente, ne Per niente, ma
sto cercando non penso di
uno migliore poterne trovare
uno migliore
Fig. 11 – Distribuzione
delsoddisfazione
livello di soddisfazione
Fig. 11 - Distribuzione
del livello di
lavorativa lavorativa
184
46
Capitolo II
Accesso, e-democracy e politica di genere
Pasquale Luigi Di Viggiano
Ragionando di senso del mondo, racchiuso tra istanze nazionali e globali,
e di mancanza di confini, Ulrich Beck si chiede: «come può sussistere,
nell’epoca della liquid modernity [Zygmunt Bauman] dei flussi e delle
reti, la distinzione tra indigeni e stranieri, tra cittadini e non cittadini tra
diritti umani e diritti civili nei concreti contesti sociali?»40. La possibilità
non alternativa di poter continuare a parlare sociologicamente di istanze nazionali e di istanze globali, pone il problema, per alcuni teorici del
post-moderno degli anni ’80 del secolo scorso41, di riaprire la questione
dei fondamenti della modernità, mai veramente compiuta, mai superata.
I meccanismi proposti da Beck, tuttavia, non spiegano sociologicamente
l’esclusione sociale e politica delle donne né a livello nazionale né a livello globale. Ma capire perché la moderna società contemporanea è ancora
moderna può essere utile per osservare e descrivere i caratteri della conU. Beck, La società cosmopolita. Prospettive dell’epoca postnazionale, Bologna, il
Mulino, 2003, p. 36.
41
Postmoderno: Termine usato per connotare la condizione antropologica e culturale conseguente alla crisi e all’asserito tramonto della modernità nelle società del
capitalismo maturo, entrate circa dagli anni 1960 in una fase caratterizzata dalle dimensioni planetarie dell’economia e dei mercati finanziari, dall’aggressività dei messaggi pubblicitari, dall’invadenza della televisione, dal flusso ininterrotto delle informazioni sulle reti telematiche. In connessione con tali fenomeni, e in contrasto con
il carattere utopico, con la ricerca del nuovo e l’avanguardismo tipici dell’ideologia
modernista, la condizione culturale p. si caratterizza soprattutto per una disincantata rilettura della storia, definitivamente sottratta a ogni finalismo, e per l’abbandono
dei grandi progetti elaborati a partire dall’Illuminismo e fatti propri dalla modernità,
dando luogo, sul versante creativo, più che a un nuovo stile, a una sorta di estetica della
citazione e del riuso, ironico e spregiudicato, del repertorio di forme del passato, in cui
è abolita ogni residua distinzione tra i prodotti “alti” della cultura e quelli della cultura
di massa: <http://www.treccani.it/enciclopedia/postmoderno/>. Cfr. J. F. Lyotard,
Le postmoderne expliqué aux enfants, Paris, Galilée, 1988.
40
185
dizione di inclusione e di esclusione delle donne nella dimensione sociale
presente e individuare i meccanismi attraverso i quali un futuro diverso
per le donne possa cominciare.
Uno strumento potente per la democrazia, la politica, l’economia, il diritto e le forme della partecipazione democratica alle politiche pubbliche
è dato dalle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione
(ICT). La loro applicazione al governo della res publica ha prodotto un
nuovo paradigma: il governo elettronico, o e-government, che fin dalle
sue prime rozze e timide applicazioni si è candidato alla costruzione delle fondamenta di quello che definiamo “Stato digitale”. In questo nuovo
modello della inclusione e dell’esclusione sociale, della partecipazione e
del digital divide, che ruolo hanno le donne? Come possono partecipare a
quella emancipazione la cui realizzazione nella tarda modernità proiettata verso un modello della partecipazione sussidiaria che libera dalla schiavitù dei pregiudizi le vede co-protagoniste? Come possono le donne già
da oggi sviluppare quel modello evolutivo delle ragioni della vita connessa tramite l’intelligenza collettiva42 che sostituisce il modello illuminista
della Ragione e che possiamo chiamare “Illuminismo 2.0?”
2.1. Politica e democrazia elettronica
Nell’attuale società dell’informazione e della comunicazione, pur in presenza di forme di democrazia rappresentativa, i cittadini hanno la possibilità di intervenire per formare e indirizzare le decisioni politiche di
attuazione della democrazia stessa attraverso nuove forme di esercizio dei
propri diritti utilizzando le risorse dell’ICT. In Italia il Codice dell’amministrazione digitale, D. Lgs 82/2005 nella sua attuale configurazione,
sancisce, con l’art. 9, (Partecipazione democratica elettronica), l’utilizzo
delle tecnologie ICT come «strumenti di promozione della partecipazione dei cittadini al processo democratico» e come mezzi «per facilitare
l’esercizio dei diritti politici e civili, sia individuali che collettivi», ossia
Cfr. P. Levy, L’Intelligence collective. Pour une anthropologie du cyberespace, Paris, La
Découverte, 1994, (trad. it. L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Milano, Feltrinelli, 1996).
42
186
riconosce a tutti i cittadini il diritto a partecipare al processo democratico
e di esercitare i diritti politici usufruendo delle possibilità offerte dalle
nuove tecnologie, nel rispetto del principio, ormai costituzionale, della
sussidiarietà. La norma riconosce le potenzialità dell’e-democracy demandando allo Stato il compito di favorirne la diffusione per le finalità legittime, anche se non specifica i programmi concreti da perseguire o i settori
specifici in cui sviluppare prioritariamente questo indirizzo.
Come afferma anche Rodotà, «non è possibile separare la questione
dell’e-government da quella dell’e-democracy»43. L’e-government può
produrre democrazia che non potrà essere affidata alla tecnologia, ma
sarà appannaggio della politica proprio perché l’e-government in sé non
è democratico. Diventa democratico se costruisce un conteso di governo
orientato verso finalità proprie della democrazia nella sua accezione di
governo pubblico. L’e-democracy, è un neologismo della lingua inglese
che deriva dalla contrazione di Electronic Democracy (Democrazia Elettronica) con cui comunemente si intende l’utilizzo delle ICT all’interno
dei processi di governo elettronico democratici. Considerata l’origine recente del termine (seconda metà degli anni ’90), la sua definizione è ancora abbastanza controversa sia dal punto di vista teorico sia per quanto
riguarda le esperienze pratiche cui si fa riferimento. In linea generale, si
può dire che nella categoria di “democrazia elettronica” sono comprese le
pratiche e le sperimentazioni di utilizzo delle tecnologie telematiche (Internet in particolare, ma anche telefonia mobile) da parte dei cittadini per
condizionare le scelte politiche delle istituzioni democratiche di qualsiasi
livello (locale, nazionale, sopranazionale, internazionale). Il concetto di
e-democracy si articola, però, in accezioni più ampie ed ha diverse dimensioni:
–– la dimensione dell’inclusione sociale, precondizione essenziale, che
in questo caso si traduce in inclusione nella società dell’informazione;
–– la dimensione dell’accesso all’informazione, con particolare riferimento a quella prodotta dai soggetti pubblici;
–– la dimensione dell’accesso alla sfera pubblica, quindi l’effettiva possibilità di produrre informazioni e partecipare alla formazione delle
43
S. Rodotà, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione,
Roma-Bari, Laterza, 2004 (II ed.), p. XIV.
187
opinioni, il dialogare fra cittadini e con le istituzioni, in un confronto aperto tra attori sociali, politici e istituzionali,
–– la dimensione elettorale. In questo contesto si inscrive una recentissima iniziativa del LEG che propone come fase sperimentale un
modello di e-vote;
–– la dimensione dell’iniziativa diretta da parte dei cittadini, laddove sono previsti istituti giuridici specifici (per esempio referendum,
proposte di iniziativa popolare), e forme spontanee rappresentate da
petizioni, appelli, costituzione di gruppi informali e associazioni;
–– la dimensione del coinvolgimento dei cittadini e delle loro forme
associative in specifici processi decisionali (per esempio tavoli locali
di concertazione delle politiche di sviluppo locale, Agenda 21, patti
territoriali, urbanistica partecipata, bilancio partecipativo, piano dei
tempi, piano del traffico, piano dei rifiuti, piano sanitario, piani di
zona)44.
L’e-democracy è una delle pietre fondanti di quella che viene considerata la seconda fase dell’e-government; rappresenta una linea d’azione
con una forte propensione sperimentale, con un’azione caratterizzata da
una elevata innovatività e originalità, sia in termini di contenuti che di
approccio alle nuove tecnologie, con l’obiettivo di favorire e incentivare
dinamiche di adozione e sperimentazione da parte delle regioni e delle
amministrazioni locali (www.forumpa.it). Nel quadro delle misure per
l’attuazione della seconda fase dell’e-government è stata prevista un’azione specifica dedicata allo sviluppo dei progetti di e-democracy in ambito
locale, mentre il dipartimento per l’Innovazione e le Tecnologie, d’intesa
con il Dipartimento per la Funzione pubblica, nell’ambito del Progetto
CRC (Centri Regionali di Competenza) e il Formez, nel 2004 ha varato
le “Linee guida per la promozione della cittadinanza digitale: e-democracy”. In questo senso la disposizione in questione fornisce una esplicita
e diretta copertura legislativa alla funzione promozionale assunta dalle
richiamate amministrazioni statali.
I progetti di e-democracy si muovono in vari settori: ambiente, territorio, urbanistica, fisco, sanità e interventi sociali. L’obiettivo è quello di
dare vita a una forma di partecipazione sfruttando le nuove tecnologie,
44
Cfr. L. Marasso, Manuale dell’e-government, Rimini, Maggioli, 2005.
188
ossia di essere partecipi e quindi non “subire” il mezzo di informazione, come per esempio avviene per i giornali, la radio, la Tv. L’utilizzo
dell’ICT è inteso quindi come un’opportunità per aumentare la disponibilità di informazioni utili, per consentire la consultazione a distanza
e per supportare il decision-making facilitando la partecipazione del cittadino. Lo scopo è realizzare una democrazia davvero capace di integrare
i nuovi strumenti dell’informazione e della comunicazione all’interno
dei percorsi di mediazione e rappresentanza delle istituzioni. Al centro
di questo contesto deve sempre esserci il cittadino (nella sua più completa
accezione: maschio e femmina) che da fruitore e utilizzatore di pubblici servizi diviene protagonista, personalmente partecipe della cosa pubblica. L’attenzione alla soddisfazione dei bisogni dei cittadini è alla base
del processo di trasformazione e modernizzazione in atto nelle PA. Tale
obiettivo può essere realizzato favorendo innanzitutto un rapporto di
collaborazione e di costante coinvolgimento dei cittadini alle decisioni
pubbliche, superando una visione della partecipazione limitata alla sola
raccolta delle preferenze e ponendo maggiore enfasi sul ruolo propositivo
dei cittadini.
Nel panorama degli studi politici, sta crescendo il dibattito sul concetto di democrazia deliberativa, che viene proposta come un superamento
o, comunque, un completamento della democrazia rappresentativa. Il
modello attuale di democrazia, si basa essenzialmente sul fatto che i cittadini delegano l’esercizio della propria sovranità, attraverso il meccanismo della rappresentanza, a uno o più eletti perché prendano le decisioni
di valore comune. Gli studi della democrazia deliberativa sono seguiti
con attenzione, in particolare, perché sembrano offrire un’alternativa
all’imposizione dall’alto delle decisioni pubbliche. Se fino a ieri i partiti
politici erano un luogo principe per la formazione ed espressione della
partecipazione politica, oggi è necessario recuperare il consenso democratico passando anche all’esterno del filtro della loro azione. Se i partiti
non sono più luoghi di mediazione politica efficace tra istituzioni e cittadini, i sostenitori della democrazia deliberativa propongono di costituire
nuovi luoghi dove soggetti interessati a un problema possano discutere,
proporre soluzioni, valutare le ragioni pro e contro le diverse alternative. Luoghi anche virtuali o telematici all’interno di una comunità della comunicazione digitale smart. L’introduzione di forme deliberative
promette decisioni pubbliche sempre più vicine ai cittadini e di qualità
189
superiore. Di conseguenza, si registra grande interesse per forme di democrazia definite come partecipate, negoziate, cooperative, consensuali,
deliberative.
La partecipazione dei cittadini nel corso del processo di definizione
e di attuazione di una decisione pubblica costituisce un ambito innovativo privilegiato per l’applicazione dell’ICT, anche se l’uso dell’ICT
a sostegno della partecipazione dei cittadini alla vita delle istituzioni
(e-democracy), è un campo in via d’implementazione sul quale negli ultimi anni è fortemente cresciuto l’interesse tanto dei governi e degli
organismi internazionali, quanto delle comunità locali. L’ICT quindi,
può essere utilizzata per agire in più direzioni per rimuovere o ridurre
ostacoli (anche il digital divide) e vincoli alla partecipazione dei cittadini alla vita politica e alla programmazione e controllo del territorio.
Proprio in relazione a queste nuove possibilità di partecipazione oggi
si parla sempre più spesso di smar tcities come di luoghi del territorio
dotati di intelligenza collettiva il cui senso è legato all’uso intelligente
delle ICT.
Al campione di riferimento per l’indagine, di cui qui presentiamo i risultati, è stata riservata una sezione sul tema della politica e della partecipazione agli strumenti dell’esercizio della democrazia. Il dato che emerge
subito dalle risposte è che il campione può essere composto da tre tipologie di donne rispetto al loro rapporto con la politica: le “attiviste”, le
“attente” e le “disinteressate”.
Le “attiviste” presentano all’interno della categoria due atteggiamenti
dichiarati: coloro che sono iscritte a un partito e svolgono normalmente attività politica e coloro che pur essendo iscritte non svolgono alcuna
attività. La somma delle percentuali delle due posizioni è uguale a 1,7%
di tutto il campione. Può significare che la stagione dell’attivismo politico sia del tutto tramontata o che sfortunatamente siamo incappati in un
campione particolarmente disimpegnato dalla politica attiva. Può significare ancora che anche le donne del nostro campione sono vittime come
tante di una esclusione di fatto, culturale e fattuale, che le allontana dalla
politica.
Le “attente” presentano un’articolazione tripartita e nella composizione della categoria manifestano atteggiamenti di distanza non solo
ideale, ma anche spaziale in quanto circa il 30% delle donne dichiara
che è interessata alla politica, ma la guarda da lontano, senza “sporcarsi
190
le mani”, perché legge la politica sui giornali e segue qualche dibattito in programmi televisivi. Il 20% delle donne che abbiamo catalogato
come “attente” (alla politica) dichiara di interessarsi di politica saltuariamente, solo quando se ne discute in famiglia o se ne parla con gli
amici, mentre il 13,3% ha un richiamo di interesse per la politica solo
in occasione delle elezioni. L’intera categoria rappresenta il 63,3% di
tutto il campione ed è caratterizzata da una sorta di ricerca di strumenti spaziali e temporali che immunizzino dal coinvolgimento personale
nelle attività, a volte descritte come losche anche dai media, della politica senza, tuttavia, rinunciare a mantenersi in qualche maniera ancorate
a essa.
Il 35,4% delle donne intervistate dichiara perentoriamente di non essere affatto interessato alla politica.
Le interessa la politica?
Sì, sono iscritta ad un
partito e faccio
attività politica
1%
Non mi interessa
affatto
36%
Saltuariamente,
quando se ne discute
in famiglia o tra amici
20%
Sì, sono iscritta ad un
partito anche se non
faccio alcuna attività
2%
Sì, ma mi limito a
seguirla sui giornali e
in televisione
28%
Solo in occasione
delle elezioni
13%
Fig. 12
di interesse per la politica
Fig. 12 - Livello di interesse
per –laLivello
politica
Malgrado questa ostentata distanza dalla politica attiva, le donne del
campione per il 70% circa dichiarano di andare a votare sempre, il 22%
ogni tanto, mentre solo il 7,5% rappresenta lo “zoccolo duro” delle irriducibili antagoniste e non vanno a votare mai.
191
Sempre
70%
Frequenza del voto
Mai
8%
Ogni tanto
22%
Fig. 13 – Livello
di partecipazione al voto
Fig. 13 - Livello di partecipazione
al voto
Osservando i dati relativi alle dichiarazioni che indicano le occasioni durante le quali le donne intervistate esercitano il loro diritto di voto, si
evidenziano principalmente due atteggiamenti: le donne che non vanno
a votare sono, in percentuale, più numerose di quanto specificatamente
dichiarato nelle risposte sulla frequenza di voto; con la percentuale di
voto delle donne riscontrata per ogni occasione elettorale si può misurare
quanto sia distante il Comune (il territorio di appartenenza) dall’Europa.
Per le donne del campione le votazioni amministrative comunali esercitano una maggiore seduzione rispetto a quelle provinciali e regionali,
rispetto ai referendum, rispetto alla elezioni politiche e, in massima parte, rispetto alle elezioni europee. Dall’osservazione della Tab. 10 si può
individuare il livello di graduale riduzione di partecipazione al voto, più
orientato verso il sostegno alle politiche delle autonomie locali: più ci si
allontana dal territorio meno intensa è la partecipazione al voto per l’attribuzione di consensi a persone e organismi che si sentono lontani, che
sono lontani.
Il punto nodale della questione diventa, allora, la partecipazione delle
donne alla vita politica, in particolare a quella italiana.
192
Tab. 10
IN QUALE OCCASIONE ESERCITA IL SUO DIRITTO AL VOTO?
Tipo di elezioni
sì%
no%
comunali
89,2
10,8
provinciali
61,3
38,7
regionali
59,0
41,0
referendum
56,7
43,3
politiche
55,6
44,4
63,7
36,3
europee
Abbiamo già osservato nella prima parte di questo volume quali siano i
meccanismi sociali di inclusione e di esclusione delle donne dalla politica
e la loro pervicace esclusione, malgrado il diritto il cui funzionamento
formalmente garantirebbe a tutti e due i generi la partecipazione.
La partecipazione dei cittadini, e delle donne in particolare, è il risultato di dinamiche che diventano produttive al compimento della loro attuazione e, pertanto, la partecipazione alla politica e alla gestione della
cosa pubblica è resa possibile da un grado alto di conoscenza (informazione), dalla trasparenza delle attività amministrative, da un contesto di
gestione democratica del consenso.
Per osservare e descrivere la rappresentazione che le donne hanno della partecipazione femminile alla vita politica e la loro percezione degli
strumenti innovativi resi disponibili dall’applicazione dell’e-government
attraverso le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione,
in grado di consentire un esercizio rinnovato e trasparente della democrazia, abbiamo preparato un set di domande a cui le donne del campione
hanno risposto nella piena totalità.
Per il 47,5% del campione la partecipazione delle donne alla vita politica è fondamentale proprio perché il loro esserci rappresenta una speranza
per il futuro. Di conseguenza, le donne dovrebbero costituire un partito
tutto al femminile (4,5%) per governare perché, secondo il campione, le
donne sono molto più coraggiose degli uomini (10,9%) e rappresentano
un elemento di diversità in politica (10,1%). Questo manipolo di donne
entusiaste e ottimiste rappresenta il 70% circa di tutti i dati validi. Proprio in questo momento storico, nel quale la politica nazionale registra
uno scarso consenso a causa di molteplici avvenimenti che ne hanno minato seriamente la credibilità nell’opinione pubblica italiana, le donne del
193
campione ritengono possibile una politica al femminile. La controparte
di questa sfida alla politica al maschile è rappresentata dal gruppo delle
sfiduciate/rassegnate la cui esistenza abbiamo registrato già in occasione
dell’analisi di altri item. Il profilo della donna, in relazione alla politica,
che emerge dalle risposte variamente composite del rimanente 27% delle
intervistate è in linea con il pensiero più conservatore e retrivo e si nutre di molti luoghi comuni e di pregiudizi che, in genere, appartengono
prevalentemente alla tradizione del pensiero maschilista. Per costoro le
donne devono occuparsi esclusivamente della casa e della famiglia (7,7%)
in quanto non riusciranno mai a emergere veramente in politica (9,7%) e,
nel caso riuscissero a emergere, si tratterebbe solo di donne manovrate da
altri uomini (3,4%) corrotte al pari di altri uomini (5,9%).
Sa cos'è la democrazia elettronica?
72,9
NO
26,9
SI
0,0
20,0
40,0
60,0
80,0
Fig. 14 –della
Conoscenza
dellaelettronica
democrazia elettronica
Fig. 14 - Conoscenza
democrazia
Il 73% delle intervistate non conosce il significato di democrazia elettronica, o e-democracy, mentre la rimanente parte del campione, a conoscenza delle semantiche relative all’idea di democrazia elettronica, prevalentemente pensa che questa sia utile perché garantisce trasparenza in
ambito politico (17%), anche se per il 5% non è interessante, pur essendo
percepita come utile. È indicata dall’1,7% come uno strumento che include e per altrettanta percentuale di donne risulta essere una pratica che
include formalmente, ma che di fatto esclude.
194
Da un livello piuttosto generico e astratto rappresentato dalle domande precedenti, ci avventuriamo su un versante più pratico e vicino all’esperienza quotidiana delle intervistate quando chiediamo: Secondo la
sua percezione, il Comune dove Lei risiede, offre possibilità di democrazia
elettronica? La risposta che registra un maggior numero di casi (81%) rappresenta la totale ignoranza circa questa possibilità resa disponibile dal
Comune di residenza. Parallelamente può significare che i Comuni interessati o non hanno pubblicizzato abbastanza questa possibilità di partecipazione, rendendo esplicite le modalità di accesso e principalmente l’esistenza di servizi on line che nella loro realizzazione danno contenuto al
concetto di e-democracy, o dispongono di talmente pochi servizi digitali
che nessuno si è accorto della loro esistenza. A dissipare questo dubbio
viene in nostro soccorso un 4,9% di intervistate che precisano come il
Comune offra questa possibilità, ma è talmente risicata che richiederebbe
un congruo incremento.
Le dichiarazioni successive aggiungono informazioni circa la possibilità si esercitare questo diritto stabilito dall’art. 3, dall’art. 4 e, in particolare, dall’art. 945 del D. Lgs. 82/2005 e ss. mm. ii. Infatti, il 3,8% dichiara
che non esiste alcuna possibilità di esercitare questo diritto attraverso gli
strumenti resi disponibili sul sito web del Comune di residenza mentre
l’1,5% riconosce che esiste formalmente la possibilità di accedere a forme
di democrazia elettronica, ma di fatto non è disponibile alcun servizio sul
sito web del Comune.
Solo un evanescente 0,6% dichiara che il sito web del Comune di residenza offre la possibilità di esercitare pienamente questo diritto, accompagnato da un pallido 0,3% che ammette che non solo è possibile
esercitare pienamente il diritto di partecipazione democratica elettronica, ma questo può avvenire tramite sistemi multicanale resi disponibili
dall’Ente Locale di riferimento. La disincantata conclusione di un malizioso manipolo (7,8%) di donne afferma che, secondo la loro opinione, gli stessi amministratori comunali non sanno cosa sia la democrazia
elettronica.
Articolo 9 – Partecipazione democratica elettronica – 1. Le pubbliche amministrazioni favoriscono ogni forma di uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti all’estero, al processo democratico e
per facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili sia individuali che collettivi.
45
195
2.2. Internet e digital divide
La dinamica della dialettica giuridica, secondo la quale una formale
eguaglianza stabilita dal diritto rende diseguali di fatto, si accompagna,
all’interno dei sistemi sociali, a forme dicotomiche di inclusione/esclusione sulla cui riflessione ci siamo soffermati nel secondo capitolo della
prima parte di questo lavoro, a cui rimandiamo. Da una prospettiva di
genere, in questa dinamica la parte prevalentemente esclusa risulta essere
quella femminile. La rivoluzione tecnologica che caratterizza la moderna contemporanea società dell’informazione e della comunicazione ha
consentito di coniare nuove espressioni che descrivono vecchie questioni,
pur utilizzando semantiche evolute che producono senso. È il caso dell’espressione digital divide46 della cui definizione, anche in riferimento alle
donne, si è occupata una sezione del capitolo terzo della prima parte del
presente volume.
Il termine fa la sua prima comparsa nel 1995 nel celebre rapporto Falling Through the Net: A Survey of the “Have Nots” in Rural and Urban
America, diffuso dall’NTIA (National Telecommunications & Information Administration – United States Departement of Commerce) e
da quel momento in poi si propone quale metafora della società dell’informazione e della comunicazione per definire l’esclusione tecnologica47.
Il divario digitale è una variabile invariante ed è sostanzialmente un
processo di mutazione sociale costante perché le tecnologie (la produzione, gestione e accesso ai contenuti digitali) sono in rapida e costante evoluzione. Il digital divide segna le periferie delle tecnologie digitali della
modernità ai cui margini si concretizzano esperienze e persone, spesso
donne, si realizzano percorsi di inclusione e nuove forme di partecipazione digitale irrimediabilmente connesse a meccanismi di esclusione sociale. L’inclusione e l’esclusione digitale si servono di molteplici “varchi
digitali” (e reali al tempo stesso) che rendono dinamica la struttura sociale nell’attuale società della conoscenza e del rischio proprio nella dimensione del partecipare con i diversi protagonisti dell’agire sociale, politico,
Cfr. L. Sartori, Il divario digitale. Internet e le nuove disuguaglianze sociali, Bologna, il Mulino, 2006.
47
Cfr. F. Communello, Oltre il digital divide: tecnologie abilitanti e “new media literacy”, in M. Masini, A. Lovari, S. Benenati (a cura di), Dal digital divide ai media
sociali, Acireale-Roma, Bonanno, 2010, pp. 111-125.
46
196
amministrativo e culturale. Questi meccanismi governano il rapporto tra
i cittadini e le istituzioni quando il medium della comunicazione ha un
codice binario, quando il digitale segna il discrimine e il confine tra l’inclusione e l’esclusione.
Quando parliamo di digital divide inevitabilmente facciamo riferimento alla Rete e a una delle caratteristiche basiche della comunicazione
mediata dal computer: la trasparenza. Trasparenza che, sia da un punto
di vista giuridico-normativo, sia dalla prospettiva delle tecnologie e dei
contenuti digitali, si pone come il riferimento centrale e irrinunciabile
per rendere meno virtuale e più reale possibile l’istanza di democrazia
elettronica per la costruzione del bene pubblico globale nella società delle
reti48.
La Rete ormai rappresenta un nuovo paradigma sociale e tecnologico
attraverso l’uso del quale è possibile pensare e realizzare politiche sociali
pur con la consapevolezza che tecnologia e organizzazione sociale rappresentano due sottosistemi che hanno contenuti e sviluppi autonomi e la
loro correlazione quasi mai è lineare49.
Le ICT e le reti creano uno spazio comune di informazione per la
crescita sociale nel processo di modernizzazione delle pubbliche amministrazioni e delle istituzioni di governo. In particolare consentono di
fornire servizi ai cittadini e alle imprese e sono orientate nell’estendere
processi di inclusione sociale. Sul tema della partecipazione sociale è forte
il contributo che queste tecnologie possono offrire al processo decisionale
e allo sviluppo sociale e del territorio.
Tuttavia, si fa strada nell’opinione pubblica e nella riflessione di genere
una diffusa utopia della partecipazione, che vede aumentare progressivamente e costantemente la platea degli inclusi digitali e che sostiene l’avvenuta conquista delle “pari opportunità digitali” da parte delle donne,
tanto da affermare che il mondo di Internet sarebbe il regno dell’uguaglianza di genere50.
Ma l’esistenza di fratture digitali può essere ancora letta come frutto
dell’appartenenza di genere o è frutto di altre variabili? E in Italia, qual è
Cfr. L. Gallino, Tecnologia e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come
beni pubblici, Torino, Einaudi, 2007.
49
Cfr. M. Berra, Sociologia delle reti telematiche, Roma-Bari, Laterza, 2007.
50
Cfr. R. Bracciale, Donne nella rete. Disuguaglianze digitali di genere, Milano,
FrancoAngeli, 2010.
48
197
il livello di e-Inclusion delle donne? Nei fatti, le donne sembrano vittime
di una “esclusione digitale” che le allontana dal centro della “società delle
reti”, relegandole spesso alla periferia dell’inclusione. Il miraggio di una
“società dell’informazione per tutti” si infrange così contro l’evidenza: il
cyberspazio rimane ancora una prerogativa di alcuni, mentre altri restano
intrappolati fuori dalla rete. In questo senso il Web potrebbe costituire
un grande inganno: in una Rete così globale è difficile trovare ciò di cui
si ha bisogno e ancora più difficile è valutarne l’attendibilità51, ma soprattutto, non è consentito l’accesso a tutti.
Lei utilizza internet?
NO
44%
SÌ
56%
Fig. 15 – Uso di Internet
Fig. 15 – Uso di Internet
Il campione esaminato dichiara di utilizzare Internet per il 56% e il
73,5% di queste donne indica una frequenza di utilizzo giornaliera (40%)
o di più volte alla settimana (33,5%). Il picco di utilizzo di Internet si
riscontra nella fascia d’età compresa tra 41-45 anni con una percentuale
del 21,8%, rispetto a un 20% della fascia d’età compresa tra 18-25 anni e
uno 0% che caratterizza le donne di oltre 65 anni di età.
«…la capacità d’uso di Internet da parte degli individui assume, in
questa prospettiva, i tratti di una sorta di cittadinanza digitale, che va
ad aggiungersi e a integrare quella tradizionale»52 . Questa affermazione
Cfr. F. Metitieri, Il grande inganno del Web 2.0, Roma-Bari, Laterza, 2009.
S. Bentivegna, Disuguaglianze digitali. Le nuove forme di esclusione nella società
dell’informazione, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 198.
51
52
198
di Sara Bentivegna, se è valida per il genere maschile, riteniamo assuma
massima importanza per le donne le quali, non avendo storicamente goduto di nessuna cittadinanza, o di cittadinanze di livello inferiore rispetto agli uomini, attraverso gli strumenti della rete, superando anche quel
digital divide di genere che sembra ormai inessenziale rispetto all’accesso
delle donne alle ICT, possono segnare una svolta nell’ambito delle pari
opportunità. È un processo in fieri che all’interno del genere femminile stesso discrimina le donne con maggiore età e minore scolarizzazione,
ma nella prospettiva delle due prossime generazioni potrebbe appianare
il gap oggi esistente.
Accesso a Internet
600
500
400
300
200
100
0
Tutti i giorni Più volte alla
settimana
Una volta
alla
settimana
Raramente
Mai
Fig. 16 – Frequenza dell’accesso a Internet
Fig. 16 - Frequenza
dell’accesso a Internet
Le donne che utilizzano Internet, per l’82,6% si collegano da casa e per
l’11, 6% dal lavoro (è raro il collegamento tramite device mobile) e lo fanno prevalentemente per interesse personale, per lavoro o per studio. Navigano in ricerca di informazioni (67,5%), per collegarsi a social network
o per utilizzare la posta elettronica. Raramente per accedere a servizi resi
disponibili dalla PA (3%).
Il 15,4% del campione dichiara di sapere cosa si intende per digital
divide. Il resto, o non risponde o dichiara di non conoscerne il significato.
199
Accesso a internet
600
500
400
300
200
100
0
Casa
Lavoro
Scuola /
università
Postazioni Postazioni Mobile (con
pubbliche pubbliche a palmari,
gratuite pagamento cellulari o
altro)
Fig. 17 - Luoghi
dell’accesso
a Internet
Fig. 17
– Luoghi
dell’accesso a Internet
In riferimento alla tecnologia informatico-telematica, il 40% dichiara
di non usarla, oppure con nostalgia afferma che “si stava meglio prima,
quando non c’era”; oppure, in maniera quasi rassegnata, segnala di usarla
quasi per necessità, ma “preferisce le vecchie maniere” (7,5%). Per il 44%
delle donne intervistate, tuttavia, le tecnologie informatiche e telematiche rappresentano una grande occasione di sviluppo.
La capacità di emanciparsi, di acquisire cittadinanza nel mondo globale
dei bit è determinata in massima parte anche dalla volontà di volersi emancipare. Questo campione di donne sembra prevalentemente rinunciatario
e legato ancora a culture e strutture sociali della comunicazione che appartengono a un passato che tarda a trascorrere, inattuale. Solo il 2,5% delle
intervistate interviene a definire il digital divide con espressioni corrette,
il resto, pur dichiarando di sapere a cosa si riferisce l’allocuzione, non fornisce alcune definizione o ne indica qualcuna parziale e incompleta.
17
Motivi di accesso a Internet
Mancante di sistema
Interesse personale
Studio
Lavoro
0
100
200
300
400
500
600
Fig. 18
– Motivi
dell’accesso a Internet
Fig. 18 - Motivi
dell’accesso
a Internet
200
18
2.3. Pubblico e privato
Il D. Lgs. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale – CAD) ha
previsto nuove possibilità di comunicazione della Pubblica Amministrazione con i cittadini e con le aziende, ponendo diritti che fino all’approvazione della norma solo pochi addetti ai lavori ritenevano possibili. Tuttavia, l’esigibilità di questi nuovi diritti, contenuti nell’art. 3
del CAD53, passa attraverso l’adozione da parte delle amministrazioni pubbliche, centrali e locali, di modelli organizzativi innovativi che
tengano contro delle nuove ICT (Information and Communication
Technologies)54.
Il CAD impone alle pubbliche amministrazioni norme che, nella loro
totalità, indicano un modello evoluto di pubblica amministrazione digitale che, nella fase transitoria di applicazione, tollerano una pratica mista
di attività amministrative, ma nella fase “a regime” escludono qualsiasi
procedura che non sia digitale.
Al fine di rendere i procedimenti amministrativi funzionali alla
predisposizione e alla erogazione di servizi amministrativi “on line”
(digitali)55, il dettato normativo, e la organizzazione che ne deriva, po1. I cittadini e le imprese hanno diritto a richiedere e ottenere l’uso delle tecnologie
telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni, con i soggetti di
cui all’articolo 2, comma 2, e con i gestori di pubblici servizi ai sensi di quanto previsto
dal presente codice. 4. A decorrere dal 1° gennaio 2013, salvo i casi in cui è prevista
dalla normativa vigente una diversa modalità di comunicazione o di pubblicazione in
via telematica, le amministrazioni pubbliche e i gestori o esercenti di pubblici servizi
comunicano con il cittadino esclusivamente tramite il domicilio digitale dallo stesso
dichiarato, anche ai sensi dell’articolo 21-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, senza
oneri di spedizione a suo carico. Ogni altra forma di comunicazione non può produrre
effetti pregiudizievoli per il destinatario.
54
Cfr. P. L. Di Viggiano, L’amministrazione digitale negli enti locali. I modelli organizzativi e gli strumenti tecnico-giuridici, in M. Mancarella (a cura di), Profili negoziali e organizzativi dell’amministrazione digitale, Trento, Tangram Edizioni
Scientifiche, 2009, pp. 155-186.
55
D. Lgs 82/2005 – Articolo 7. – Qualità dei servizi resi e soddisfazione dell’utenza. 1.
Le pubbliche amministrazioni provvedono alla riorganizzazione e aggiornamento dei
servizi resi; a tale fine sviluppano l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sulla base di una preventiva analisi delle reali esigenze dei cittadini e delle imprese, anche utilizzando strumenti per la valutazione del grado di soddisfazione
degli utenti.
53
201
stulano scenari che prevedono la riorganizzazione degli uffici in senso digitale (back office), la rilevazione della customer satisfaction degli
utenti e l’alfabetizzazione informatica dei cittadini. Obblighi, questi,
posti in capo alle autonomie locali che, oltre a indicare i contenuti e la
forma dei servizi, prevedono la possibilità per i cittadini di usufruirne,
avendo acquisito dimestichezza con le logiche e le pratiche informatiche.
Anche in questo caso, per la norma giuridica, “le pubbliche amministrazioni nell’organizzare autonomamente la propria attività utilizzano le
tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la realizzazione
degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione nel rispetto dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, nonché per la garanzia dei diritti dei
cittadini e delle imprese”56.
Ancora più preciso è l’art. 15 del CAD che recita:
«1. La riorganizzazione strutturale e gestionale delle pubbliche amministrazioni volta al perseguimento degli obiettivi di cui all’articolo 12,
comma 1 , avviene anche attraverso il migliore e più esteso utilizzo delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’ambito di una
coordinata strategia che garantisca il coerente sviluppo del processo di
digitalizzazione.
2. In attuazione del comma 1, le pubbliche amministrazioni provvedono in particolare a razionalizzare e semplificare i procedimenti amministrativi, le attività gestionali, i documenti, la modulistica, le modalità
di accesso e di presentazione delle istanze da parte dei cittadini e delle
imprese, assicurando che l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e
della comunicazione avvenga in conformità alle prescrizioni tecnologiche
definite nelle regole tecniche di cui all’articolo 71».
A partire da queste premesse, oggi è possibile parlare di Open Government per la pubblica amministrazione locale e centrale, basato su
un nuovo concetto di Governance che, avendo superato la fase dell’egovernment, si basa su modelli, tecnologie e strumenti che consentono
alle amministrazioni di avere un approccio aperto e trasparente con i cittadini e le imprese tale da garantire un controllo pubblico sul proprio
operato. Questo modello è fondato soprattutto sull’utilizzo delle nuove
56
Ivi, Art. 12, comma 1.
202
tecnologie della comunicazione e dell’informazione (Internet e il Web in
testa) in luogo degli strumenti più tradizionali e “analogici”. Ribadiamo,
anche in questa sede che le tecnologie sono strumenti utili a realizzare
modelli innovativi di organizzazione e non viceversa.
La CiVIT – Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche è stata la prima
Commissione istituita dal governo italiano a utilizzare il termine Open
Government in una Delibera: “L’accessibilità totale” presuppone, invece,
l’accesso da parte dell’intera collettività a tutte le “informazioni pubbliche”, secondo il paradigma della “libertà di informazione” dell’open government di origine statunitense. Una tale disciplina è idonea a radicare, se non sempre un diritto in senso tecnico, una posizione qualificata
e diffusa in capo a ciascun cittadino, rispetto all’azione delle pubbliche
amministrazioni, con il principale «scopo di favorire forme diffuse di
controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità»57.
Il LEG, nel 2011, ha svolto una indagine su tutti i siti web dei Comuni e della Provincia di Lecce dal titolo: Il rispetto degli obblighi di
pubblicazione on line da parte dei siti web dei Comuni della provincia
di Lecce, finalizzata a rilevare il grado di trasparenza delle amministrazioni interessate in relazione alle norme vigenti in materia e conformemente alla delibera CIVIT N. 105/2010. I risultati sono stati presentati pubblicamente e discussi con i rappresentanti degli Enti Locali
interessati.
Da questa indagine del 2011 (e quindi con riferimento esclusivamente
alla situazione riscontrata nell’autunno del 2011) nei Comuni del Salento
risulta prevalentemente che:
–– il processo di digitalizzazione dei siti comunali analizzati è incompleto, ancora lungo ma non più rinviabile;
–– la prima disposizione contenuta dalla Direttiva 8/2009 – obbligo
per le pubbliche amministrazioni dell’iscrizione dei propri siti al
Delibera N. 105/2010 – Linee guida per la predisposizione del Programma triennale
per la trasparenza e l’integrità (articolo 13, comma 6, lettera e, del decreto legislativo
27 ottobre 2009, n. 150): La trasparenza «è intesa come accessibilità totale […] delle
informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi
agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni
istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione […]».
57
203
––
––
––
––
dominio “gov.it” – non è rispettata da nessuno dei Comuni della
Provincia di Lecce;
nella sezione “Trasparenza, valutazione e merito”, sia del tutto assente la pubblicazione del Programma Triennale per la trasparenza e
l’integrità e il Piano delle performance;
nella presentazione dell’organizzazione e dei servizi resi, i Comuni
osservati mediamente mostrano forti punti di debolezza, in modo
particolare nell’offerta dei servizi. Risultano del tutto assenti servizi
on line così detti di interazione a due vie che consentono all’utente
di avviare, con uso di moduli on line, il procedimento e ne garantiscono la presa in carico, sempre on line. Ma risultano scarsi, anche, i
servizi di interazione a una via che permettono al cittadino di fruire
non soltanto di informazioni ma di poter trovare pubblicati moduli
per la richiesta dell’atto o del procedimento, da compilare e inoltrare attraverso canali “tradizionali”;
i Comuni osservati hanno dimostrato di avere, mediamente, recepito le prescrizioni della norma relative all’obbligo di pubblicazione
dei dati sui dirigenti e sui titolari di posizioni organizzative, mentre
sono del tutto assenti le medesime informazioni, pure richieste dalle
disposizioni contenute nel D. Lgs.150/2009, in merito a chi riveste
incarichi di indirizzo politico-amministrativo;
relativamente all’assegnazione delle consulenze e degli incarichi, si
rileva una forte disattenzione e incompletezza di informazioni sui
compensi e sulla durata dell’incarico conferito o la totale assenza del
curriculum dell’incaricato e di notizie sulle modalità utilizzate per
la selezione dello stesso.
Dai risultati elencati, complessivamente il gap tra lo stato dell’arte e il
traguardo da raggiungere prefigurato dalle norme appariva rilevante.
E se il problema di avere uno strumento tecnico a disposizione poteva
essere risolto, in definitiva, con un investimento di esigue risorse economiche e con il ricorso alle giuste competenze professionali, l’aspetto più propriamente strategico e di pianificazione di un nuovo assetto
organizzativo richiedeva, come ancora richiede, più tempo e anche la
capacità di comprendere che un tale processo di cambiamento ha bisogno di un salto culturale verso la reale possibilità per i cittadini di
partecipare.
204
Fin qui alcune riflessioni scaturite dalla ricerca LEG del 2011 sulla trasparenza dei Comuni della provincia di Lecce, compresi i Comuni partner della presente survey.
Proprio in riferimento alle norme citate e ai dati più significativi emersi dagli studi effettuati dal LEG, abbiamo previsto nel questionario una
macroarea in cui vengono affrontati i problemi relativi ai siti web dei Comuni, all’erogazione di servizi on line e alla percezione che le donne intervistate hanno delle amministrazioni di riferimento in merito a questi
temi.
Il 79% delle intervistate dichiara di non aver mai verificato la presenza
di servizi on line offerti ai cittadini sul sito web del proprio Comune.
Questo dato, che rappresenta l’atteggiamento di 4/5 del campione, lascia perplessi per l’indifferenza delle donne rispetto a questa materia. Il
restante 20% ha opinioni contrastanti: il 7,8% dei dati indica che sui siti
dei Comuni sono disponibili alcuni servizi on line e sono anche di facile
accesso, mentre, dall’altro lato, viene dichiarato che non ci sono servizi
on line o, se ci sono, risultano di difficile accesso; oppure che ci sono alcuni servizi telematici ma per la conclusione del procedimento è necessario
recarsi personalmente presso lo sportello del Comune. Fino a giungere a
un 6,4% che dichiara perentoriamente che non sono disponibili servizi
on line.
La disponibilità di servizi pubblici digitali, ma anche l’accesso per poterne fruire, dichiarati così scarsi nei Comuni, trova un versante corrispondente anche nei servizi erogati da altre amministrazioni pubbliche.
Dalla lettura della Tab. 11 possiamo ricavare la percentuale di utilizzo
che il nostro campione riserva ai servizi che sicuramente sono disponibili sui siti web di altre importanti amministrazioni pubbliche. Il portale
web dell’INPS risulta il più gettonato dalle donne intervistate con una
percentuale che supera di poco i tredici punti. Seguito da un abbondante 8% di frequenza dei siti web dei Comuni per la fruizione di servizi
telematici.
La percentuale più alta registrata per l’utilizzo dei servizi del portale web dell’INPS trova la sua spiegazione nel massiccio investimento
che l’Istituto ha operato negli ultimi 10 anni per la produzione di una
piattaforma tecnologica potente e in grado di soddisfare non solo le
richieste di un pubblico sempre più esigente ma anche di assolvere ai
compiti che le norme continuamente provvedono ad assegnargli. Oggi
205
molti servizi dell’INPS sono fruibili esclusivamente on line, in formato
digitale, senza utilizzo di supporti analogici in fase di prima comunicazione.
Tab. 11 – QUALI SERVIZI ON LINE
DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE UTILIZZA?
PA
Frequenze
Percentuale valida
INPS
164
13,3
Agenzia delle Entrate
37
3,0
INAIL
19
1,5
ASL
72
5,8
Comune
107
8,7
Provincia
58
4,7
Regione
49
4,0
Ministeri
30
2,4
Le donne del campione ritengono che la sicurezza sul posto di lavoro
sia fondamentale, accompagnata dall’importanza che riveste la prevenzione e la conoscenza dei rischi lavorativi per la tutela della propria salute. Proprio in relazione alla salute oltre il 50% delle donne
intervistate dichiara di controllarla sempre o spesso e, comunque,
quando è necessario. Un complessivo 25% dei dati indica che una
fascia importante di donne si cura troppo poco del proprio stato di
salute.
Le ragioni circa l’orientamento e l’atteggiamento assunto dalle
donne relativamente alla frequenza di controllo del proprio stato
di salute risiedono principalmente nella convinzione del 43,7% delle intervistate che dichiara la propria propensione a rischiare meno
proprio utilizzando i metodi della prevenzione che si accompagna
strettamente all’idea secondo la quale, proprio perché le donne sono
soggetti a rischio, è bene monitorare lo stato di salute al fine di avere più informazioni sui possibili rischi (23,3%). Al contrario, circa il
14% ritiene che non sia positivo controllare frequentemente il proprio
livello di salute.
206
Stato di salute
600
500
400
300
R² = 0,3656
200
100
0
Sempre
Spesso
Frequenza
Poco
Raramente
Percentuale
Solo se è
necessario
Mai
Poli. (Frequenza)
Fig. 19 –
di controllo
dello stato di salute
Fig. 17 - Frequenza
diFrequenza
controllo dello
stato di salute
Coloro che dichiarano di controllare il proprio stato di salute, sia che lo
facciano frequentemente, sia che succeda raramente, prevalentemente
utilizzano strutture e personale sanitario pubblici. Esercita un discreto
appeal lo Studio specialistico privato, mentre l’ospedale privato incontra
solo il 3,6% dei favori delle donne del campione.
Tab. 12 – QUALE STRUTTURA SANITARIA
UTILIZZA PREVALENTEMENTE PER
CONTROLLARE IL SUO STATO DI SALUTE?
Struttura
Frequenza
Percentuale
Ospedale pubblico
816
66,2
Ospedale privato
44
3,6
Medico di medicina generale
601
48,7
Poliambulatorio
72
5,8
Studio specialistico pubblico (intramoenia)
34
2,8
Studio specialistico privato
206
16,7
207
2.4. Le donne e la questione ambientale
Il ruolo delle donne sul tema dell’uguaglianza di genere in riferimento
allo sviluppo socio-economico e alla sostenibilità ambientale del territorio è cruciale, tanto che la Conferenza mondiale sulla popolazione, svoltasi al Cairo nel 1994 prima, e poi la Conferenza mondiale sulle donne
di Pechino dell’anno successivo, riconoscono che il miglioramento delle
condizioni e l’emancipazione femminili risultano fondamentali per lo
sviluppo sociale tanto da affermare che: «La promozione dell’equità di
genere è allo stesso tempo un mezzo e un fine per la realizzazione dello
sviluppo e dei diritti umani sia delle donne sia degli uomini».
Il concetto e la pratica dello sviluppo sostenibile58 si completano con il
necessario coinvolgimento delle donne. A questo proposito il Rapporto
sullo stato delle popolazioni nel mondo dell’UNFPA59 afferma che «La
comunità internazionale avrà successo nella sua lotta contro i cambiamenti climatici se le politiche, i programmi e i trattati terranno conto dei
bisogni, dei diritti e della potenzialità delle donne. Un migliore utilizzo della popolazione femminile potrebbe favorire la crescita economica,
ridurre la povertà nel mondo, migliorare il grado di benessere sociale e
aiutare ad assicurare uno sviluppo sostenibile».
Uno studio italiano del 201060 ha potuto descrivere come incrociando dati
mondiali (sia di paesi sviluppati che in via di sviluppo) si conferma il rapporto tra uguaglianza di genere, economia e sostenibilità ambientale tanto
da registrare un’evidenza secondo la quale le donne al potere producono più
La definizione, oggi ampiamente condivisa, di sviluppo sostenibile è quella contenuta
nel rapporto Brundtland, elaborato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente
e lo sviluppo e che prende il nome dall’allora premier norvegese Gro Harlem Brundtland,
che presiedeva tale Commissione: «Lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto un processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli
attuali». Cfr. G. H. Brundtland, (Rapporto), Our Common Future, 1987 – <http://
www.are.admin.ch/themen/nachhaltig/00266/00540/00542/index.html?lang=de>.
59
Cfr. R. Engelman (a cura di), Lo stato della popolazione nel mondo. In un mondo che cambia: donne, popolazione e clima, UNFPA, 2009, <http://www.aidos.it/
files/1258997240UNFPA%202009.pdf>.
60
Cfr. A. De Rose, A. De Pascale, Donne, sviluppo, ambiente, pubblicato
l’1/12/2010 su www.neodemos.it.
58
208
benessere e meno inquinamento di quanto facciano i loro colleghi maschi.
Questo significa che, dove le donne raggiungono più alti livelli di istruzione e
sono coinvolte nei processi decisionali (partecipazione) ai livelli più alti delle
istituzioni, l’attenzione istituzionale sulle problematiche ambientali cresce.
Il Comune rappresenta, nel panorama italiano, il presidio primo per
la tutela e la difesa del patrimonio paesaggistico e del territorio anche
in riferimento a programmi globali di lungo periodo promossi a livello
mondiale, come può essere Agenda 21 Locale61 che è il risultato più interessante del programma lanciato a livello planetario sullo sviluppo sostenibile con la Conferenza di Rio de Janeiro del 1992. Gli strumenti specifici a disposizione delle Autonomie locali per esercitare questo diritto/
dovere sono rappresentati dai regolamenti62 . In questo settore l’ente locale, oltre a svolgere attività di regolamentazione sull’uso del proprio territorio di riferimento, dispone di uno strumento straordinario costituito
dall’attività educativa per i cittadini, in particolar modo dell’“educazione
ambientale e allo sviluppo sostenibile”. Questa attività pedagogica esercitabile in ambiti territoriali locali è uno strumento fondamentale per
sensibilizzare i cittadini a una maggiore responsabilità verso i problemi
ambientali e alla consapevolezza della necessità di essere coinvolti nelle
politiche di governo del territorio. «Quindi un compito imprescindibile
a cui l’EA deve tendere, è un’educazione attenta a quello che avviene nel
contesto territoriale di prossimità.
L’EA si è evoluta nel tempo, da un approccio iniziale prevalentemente
incentrato sulla tutela della natura, si è passati a una maggiore attenzione
all’inquinamento, alle emergenze ambientali e alle dinamiche sociali ed
economiche, per arrivare al più ampio concetto di Educazione allo Sviluppo Sostenibile»63.
Per disamina delle istanze del programma Agenda 21 Locale in riferimento allo
sviluppo sostenibile e alla partecipazione politica, cfr. E. M. Tacchi (a cura di), Sostenibilità ambientale e partecipazione, Milano, FrancoAngeli, 2004.
62
Innovatore in questo campo resta uno studio del LEG del 2011 in cui vengono
trattati argomenti per la regolamentazione dell’abitare sostenibile. Cfr. P. L. Di Viggiano, Politiche e strumenti del territorio sostenibile. Prospettive sociologiche, in L. Caputo (a cura di), Politiche dell’ambiente e del territorio, Trento, Tangram Edizioni
Scientifiche, 2011, pp. 97-141.
63
Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del
mare, Educazione Ambientale e allo Sviluppo sostenibile, <http://94.86.40.85/
61
209
Il Comune oggi ha a disposizione le ICT per la difesa e la valorizzazione del territorio, attraverso le quali può monitorare costantemente il livello di degrado e di inquinamento dei siti naturali su cui esercita la propria
competenza; può gestire meglio la realizzazione del proprio Piano Urbanistico Generale (PUG) anche attraverso un controllo quasi millimetrico
del costruito utilizzando i satelliti geostazionari o i dati, i metadati e i servizi digitali resi disponibili dai Sistemi Informativi Territoriali (SIT). In
questo compito è di fondamentale importanza considerare l’agricoltura e
il turismo come due settori strategici la cui regolamentazione e il cui controllo consentono di preservare le risorse naturali da un rapido depauperamento e da un irreversibile degrado provocato dall’uso indiscriminato
del suolo e delle risorse naturali (terresti, marittime e aeree).
In considerazione della responsabilità dei Comuni verso i cittadini e le
cittadine, relativa alla conservazione, alla difesa e alla promozione di questo patrimonio, abbiamo posto alcune domande al campione di donne
intervistate al fine di raccoglierne le personali esperienze rispetto alla conoscenza e alla percezione che esse hanno delle attività di tutela esercitate
dal proprio Comune verso l’ambiente.
Nei confronti dell'ambiente manifesta:
Non è un problema che mi riguarda
Indifferenza
Poca sensibilità
Attenzione
Molto interesse
0
100 200 300 400 500 600 700 800
Fig. 18 - Frequenza di interesse per l’ambiente
Fig. 20 – Frequenza di interesse per l’ambiente
home_it/menu.html?mp=/menu/menu_attivita/&m=Educazione_Ambientale.
html&lang=it>.
210
La quasi totalità del campione (91%) dichiara di avere molto interesse
(32%) o di prestare attenzione (59%) all’ambiente. Una percentuale complessiva del 9% si dice poco sensibile, indifferente o, addirittura, sostiene
che quello ambientale è un problema che non la riguarda. Da un’analisi
incrociata di questi dati con la variabile “Fascia d’età” e con la variabile
“Titolo di studio”, le donne più indifferenti alle questioni ambientali risultano posizionate sia nella prima fascia d’età (18-25 anni) e sia nell’ultima (oltre 81 anni), mentre le donne meno istruite manifestano maggiore
distanza dalle problematiche ambientali.
Il campione chiamato a esprimersi in relazione alle politiche di tutela
del territorio nei settori agricolo e turistico, ritiene che l’agricoltura sia
innanzitutto un’attività che aiuta la salvaguardia del territorio e dell’ambiente (43,4%) la cui programmazione è fondamentale per la sostenibilità
ambientale (32,8%). Il restante 23% dei dati si pongono in maniera piuttosto critica nei confronti dell’agricoltura che viene indicata come un’attività che non ha nessuna relazione con la tutela dell’ambiente perché
con le sue pratiche (concimazioni chimiche, fitofarmaci, diserbanti, ecc.)
compromette l’equilibrio naturale essendo un’attività solo economica e
di sfruttamento delle risorse naturali e del suolo.
Il turismo viene considerato principalmente come una risorsa eccezionale per il territorio (50,8%), capace di valorizzarlo (27,2%) ma anche uno strumento la cui programmazione può contribuire alla tutela
dell’ambiente e del territorio. La parte più critica delle donne del campione (10%) indica nella pratica turistica, probabilmente nella maniera con
cui questa viene attuata, la realizzazione di uno degli attentati più brutali
all’integrità dell’ambiente e del territorio perché mossa solo da interessi
commerciali ed economici.
Le popolazioni dei Comuni in cui è stata condotta la ricerca abitano
una parte di territorio del sud Salento tra le più suggestive della nostra
penisola, lambita dal basso mare Adriatico, la cui vicinanza a Otranto
è servita come potente attrattore di un turismo che ormai registra presenze internazionali. Nella percezione e nell’immaginario delle popolazioni costiere il mare assume una rilevanza molto alta, ma per ragioni a
volte molto diverse fra loro. Le donne intervistate, a cui è stato chiesto
di esprimersi circa la valenza che attribuiscono al mare e alle coste salentine, ritengono (per oltre il 77%) che questi elementi naturali siano la
più straordinaria risorsa del Salento, ma anche costituiscano la possibilità
211
turistica più economica per i salentini (in maniera residuale), contro l’idea che queste risorse siano un’opportunità quasi esclusiva per il turismo
(9%). Una voce molto critica è rappresentata da un esiguo 4% che ritiene
essere il mare e le coste salentine lo specchio della cultura dello scempio
ambientale, fino a giungere a una posizione di disimpegno quando si dichiara che tutto ciò che si riferisce alle coste e al mare riguardi esclusivamente i pescatori (1,8%). Tuttavia, in maniera quasi plebiscitaria, il 92%
del campione ritiene che ogni singola persona possa contribuire a ridurre
l’inquinamento ambientale e il depauperamento delle risorse naturali.
Promozione del territorio
42,3
50,0
40,0
43,6
30,0
20,0
10,0
14,1
0,0
Si
No
Non so
Fig. 21 – Il Suo Comune di residenza ha mai intrapre-
Fig. 18 - Il Suo Comune
di residenza
ha mai del
intrapreso
iniziative di promozione del territorio?
so iniziative
di promozione
territorio?
L’attività di tutela dell’ambiente e del territorio comunale da parte
dell’Amministrazione di riferimento di ogni donna intervistata, oggetto
di una specifica domanda, è descritta in maniera impietosa e le risposte
fornite rappresentano un indicatore importante a cui gli Enti locali interessati dovrebbero rivolgere molta attenzione. Proprio in relazione alla
possibilità di accesso, quindi di inclusione o di esclusione rispetto ai flussi
informativi dell’Amministrazione comunale, le risposte fornite presentano uno schema binario in cui i dati raccolti sono distribuiti su due aree:
le donne che affermano di conoscere l’attività del proprio Comune in relazione alla tutela dell’ambiente e del territorio e quelle che affermano di
essere escluse dall’informazione (non sanno).
Nella prima area troviamo risposte che descrivono tre posizioni tra loro
alternative: il 16% afferma che il Comune di riferimento considera le
tematiche ambientali come una priorità; il 49% smentisce la precedente
affermazione perché dichiara che il Comune adotta pochi interventi a
tutela dell’ambiente, mentre l’11% smentisce entrambe le prime due risposte perché sostiene che il Comune non si occupa in nessun modo di
tutela ambientale.
La seconda area raccoglie le espressioni di coloro che o sono escluse o
si sono escluse dai flussi comunicativi non solo delle Amministrazioni di
riferimento, ma anche delle comunità di prossimità cui appartengono.
Comunità di prossimità, o di vicinato, che in terra salentina, soprattutto nei comuni con una numerosità di popolazione medio-piccola, ancora
rappresentano un ambito comunicativo strutturato e che sopravvive malgrado le pressanti avances della comunicazione digitale.
Una nuova riorganizzazione dei dati delle risposte su nuclei di senso diversi, ma non necessariamente contraddittori, descrive come le donne intervistate hanno percepito l’eventuale azione di promozione del territorio
intrapresa dagli Enti comunali di appartenenza. In questo caso, non ha
tanta importanza che il 42% ci dica che il comune ha attivato iniziative a
favore della promozione del territorio e che il 14% dica il contrario. È dirimente l’osservazione della percentuale elevata (43,6%) di coloro le quali
dichiarano di essere escluse, di non sapere di simili iniziative. In questo
caso il fenomeno è distribuito in maniera equanime in tutte le fasce di
età e per quasi tutti i livelli di istruzione. Una riflessione parzialmente
conclusiva: o l’argomento non rientra tra gli interessi delle popolazioni
intervistate, malgrado affermazioni di senso contrario, o la trasparenza
e la comunicazione istituzionale dei comuni interessati necessitano di un
robusto incremento attraverso l’applicazione dei dettati normativi e dei
modelli organizzativi più evoluti in materia, per consentire alle donne,
ma anche agli uomini, di esercitare uno dei principi cardine della democrazia moderna: esser informati per partecipare.
213
214
Conclusioni
La riflessione e la ricerca fin qui condotte hanno proposto diversi livelli
di lettura del fenomeno femminile, soprattutto utilizzando semantiche
che descrivono culture, meccanismi sociali e pratiche dell’esclusione delle
donne dalla sfera pubblica, dalla sfera della dignità umana, dalla partecipazione, dalla cittadinanza; svelando paradossi costitutivi dei sistemi
sociali i quali includono, ma a causa del loro ordinario funzionamento,
escludono: è il caso del diritto, dell’economia, della morale, della religione, della politica. Abbiamo notato, e descritto, come il pregiudizio contro
le donne, che esclude le donne, che le considera “altro”, compaia fin dalle
prime manifestazioni del pensiero occidentale, laico o religioso che sia, e
come questo si sia tramutato in presupposto ontologico e sociale di emarginazione del genere femminile, relegandolo al ruolo di ancilla.
Poi è comparsa la consapevolezza dell’artificialità della subordinazione
del genere femminile verso quello maschile ed è affiorata a livello di coscienza la possibilità di un cambiamento, la possibilità di emancipazione,
e la ribellione, una ribellione incruenta, ha cominciato a farsi strada nelle
menti, nei sentimenti e negli atteggiamenti di molte donne, ma anche di
alcuni uomini.
L’acquisizione di sempre nuovi diritti tesi a realizzare quella condizione
“assoluta” (nell’accezione etimologica del termine) che non viene più pretesa come uguaglianza di genere, ma come differenza che pretende pari
opportunità, conduce le donne a riguadagnare, con molta fatica e abbastanza lentamente, uno status che il diritto le riconosce ma che la pratica
quotidiana continua a negare: la libertà. Libertà di pensiero, di azione, di
scelta, di partecipazione verso un senso compiuto di democrazia.
Proprio con il riferimento costante alla democrazia e alla possibilità del
suo esercizio più compiuto per le donne, inteso come partecipazione, abbiamo condotto questa indagine.
215
L’analisi realizzata ci ha costretti a osservare da diverse angolazioni problemi della modernità in relazione alle donne e alla loro partecipazione
politica, alla democrazia, alla comunicazione e alla possibilità di accedervi, alla salute e alle risorse ambientali sempre in riferimento al rapporto
di genere con le pubbliche amministrazioni, in particolare con le Autonomie locali.
Abbiamo definito, con Luhmann, la società moderna come “universo
della comunicazione sociale” all’interno del quale i paradossi costitutivi
della modernità si palesano e si celano continuamente in una dialettica di
possibilità di scelta che descrivono la complessità della società moderna.
All’interno della riflessione politica moderna si è imposta l’idea dell’esistenza di una sfera pubblica della comunicazione intesa come luogo intermedio tra cittadini e istituzioni, tra società civile e Stato, che descrive la
modernità della moderna società occidentale. Questa acquisizione evolutiva della politica è indissolubilmente collegata alla comunicazione e
ai media (analogici o digitali) che ne garantiscono la diffusione ma che
contribuiscono anche alla formazione dell’opinione pubblica. L’universo
della comunicazione così definito, attualmente, viene indicato da molti
come società digitale1 o come Società dell’informazione e della comunicazione, preconizzando come unica possibilità di comunicazione quella
digitale. Tuttavia, questa tecnologia della comunicazione, veloce e pervasiva, non spiega cosa accade nella società del mondo che, per larga parte è
analogica. Proprio in riferimento alla contemporanea appartenenza a due
sistemi non escludenti, quello digitale e quello analogico, è stata avanzata
la suggestiva istanza di una doppia cittadinanza per i crescenti cittadini
della rete digitale che, però, appartengono a sistemi nazionali analogici
ben definiti. Quindi cittadini di due sistemi: uno sovrano nazionale gerarchico e uno globale mondiale a rete.
Dal confronto tra questi due tipi di cittadinanza, tradizionale e digitale, scaturisce che l’elemento discriminante è costituito dalla loro organizzazione: la sovranità nazionale (che esprime la cittadinanza tradizionale)
è basata su forme gerarchiche di potere, costruita su delega, strutturata
rigidamente e con un governo ben preciso che la esercita; la cittadinanza
digitale si basa su una struttura comunicativa a rete diretta, orizzontale e
autorganizzata.
1
Cfr. G. Granieri, La società digitale, Editori Laterza, Roma-Bari, 2006.
216
La nostra domanda è stata: in che modo le donne, escluse da sempre
dall’essere cittadine, si rapportano a questa nuova possibilità di appartenenza? Da qui la riflessione circa i rapporti nella sfera pubblica tra le
donne del sud Salento e le istituzioni locali. Rapporti mediati dalle nuove
tecnologie della comunicazione che consentono un open access2 alle informazioni e aprono nuovi orizzonti di partecipazione democratica alla
gestione e al controllo della cosa pubblica.
Con lo sviluppo del web 2.0, l’e-government (che non ha funzionato
egregiamente) apre uno spazio all’idea dell’open government3 , cioè alla
possibilità di una Pubblica Amministrazione trasparente a tutti i livelli,
che consenta al cittadino (maschio e femmina) di realizzare pienamente il principio di partecipazione. L’open government sta configurando la
fisionomia di una amministrazione pubblica che favorisce la partecipazione attraverso la pubblicità di tutti i suoi atti e delle sue decisioni; consente l’accesso a tutti i dati che produce. Tutto ciò non si configura come
un nuovo modo di presentarsi dell’organizzazione ma come un nuovo
modo di essere della stessa. Presuppone un cambiamento dei processi, del
modello gerarchico dell’organizzazione nel suo rapporto con i cittadini
che assumono anche un ruolo di controllo. Questo modello, sviluppato soprattutto dall’Amministrazione Obama in seguito all’adozione del
Memorandum dell’8.12.2009 che prende il nome di “Open Government
Directive”, è diventato un riferimento per le Nazioni Unite che nel 2010
hanno raccomandato alle pubbliche amministrazioni di adottare un siffatto schema che, nella sua evoluzione più avanzata vuole condurre alla
prassi dell’open data e cioè alla pubblicazione di tutti i dati in possesso
dell’amministrazione in formato aperto, fruibile da tutti, senza restrizioCfr. L. Paccagnella, Open access, Bologna, Il Mulino, 2010.
Nel giorno dell’insediamento del suo primo mandato, il presidente Obama ha pubblicato un Memorandum indirizzato ai dirigenti della sua amministrazione sulla trasparenza e l’Open Government che enfaticamente si apre affermando:
«La mia amministrazione si impegna a dare vita a un grado di apertura (openness) nel
governo senza precedenti. Lavoreremo assieme per assicurare la fiducia pubblica e per
stabilire un sistema basato sulla trasparenza, sulla partecipazione pubblica e sulla collaborazione. L’apertura rafforzerà la nostra democrazia e promuoverà l’efficienza e l’efficacia dell’amministrazione». B. Obama, Memorandum for the Heads of Executive
Departments and Agencies on Transparency and Open Government, 2009, disponibile
on-line all’URL: http://www.whitehouse.gov/the_press_office/Transparency_and_
Open_Government/.
2
3
217
ni di copyright, di brevetti o di altre forme di controllo che ne limitino
la riproduzione. Lo sviluppo di questi processi, coniugato con l’applicazione del web 2.0, possono far evolvere realmente verso un modello di
partecipazione attiva4.
La possibilità offerta dalle nuove tecnologie, resa cogente dalle nuove
norme sull’Amministrazione digitale, le disposizioni normative vigenti
e quelle in formazione5 conducono le Amministrazioni dello Stato, nella duplice componente di Organi politici e di strutture burocratiche, a
ripensare le modalità di esercizio della politica e della burocrazia, predisponendo la razionalizzazione delle attività amministrative in modo da
garantire un’amministrazione economica, efficace, efficiente e trasparente. In definitiva, un nuovo modello organizzativo in grado di consentire
ai cittadini l’esercizio della democrazia e della partecipazione attraverso
la conoscenza e l’accesso.
Il 2013 è stato intitolato dall’Unione Europea come “Anno europeo dei
cittadini”, con il duplice obiettivo di promuovere la conoscenza dei diritti
legati alla cittadinanza europea e di stimolare il dialogo tra i diversi livelli
di governo, la società civile e il mondo delle imprese per individuare quale
Cfr. E. Belisario, Open Government: come rendere l’amministrazione più trasparente, in «egov», http://www.egovnews.it/blog.php/5105/Open+Government%3A+
come+rendere+l’amministrazione+pi%F9+trasparente.
5
Estremamente interessante ai fini della trasparenza e della comunicazione della PA,
come attività legislativa de jure condendo, è lo Schema di decreto legislativo di attuazione dell’articolo 1, comma 35, della legge n.190 del 2012, recante riordino della disciplina sugli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni, da parte
delle pubbliche amministrazioni, prot. N. 440 del 21 gennaio 2013 della Presidenza del
Consiglio, da sottoporre al Consiglio dei Ministri. All’Art. 1 è contenuto un chiaro e
condivisibile Principio generale di trasparenza:
«1. La trasparenza è intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti
l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire
forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo
delle risorse pubbliche.
2. La trasparenza concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa
è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili,
politici e sociali, integra il diritto a una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino».
4
218
sia, da qui al 2020, l’Europa auspicata dai cittadini in termini di diritti,
di politiche e di governance.
Anche le istituzioni europee segnalano, con questa iniziativa simbolica,
come a livello internazionale, il rapporto tra governi e cittadini stia mutando fortemente fino a portare, in molti paesi, all’inaugurazione di un
nuovo modo di intendere il concetto e lo status di “cittadinanza”. E questo sta accadendo come risultato dell’interazione tra due approcci distinti
ma altamente complementari:
–– il primo approccio è legato al modello dell’open government e dell’open data, per cui nella relazione con i cittadini si adotta una logica
di accountability, traducibile nella volontà e nella capacità di render
conto dell’attività svolta. In questo modello i diritti di cittadinanza
vengono arricchiti dalla possibilità, resa concreta nelle pratiche di
amministrazione, di seguire e controllare le attività che riguardano
e interessano i cittadini stessi;
–– il secondo approccio è legato alle funzionalità stesse della pubblica
amministrazione, messe sempre più in discussione dalla drammatica riduzione delle risorse disponibili. Per questo, i governi di tutto il
mondo si trovano a dover fare di più spendendo di meno e possono
riuscirci solo con l’aiuto delle cittadine e dei cittadini.
In quest’ottica l’eGovernment è stata una promessa mancata, «un vero e
proprio fallimento strategico: i servizi offerti non rispondono ai bisogni
e agli interessi reali degli utenti; gli sforzi per includere chi è a rischio
di esclusione sono insufficienti; sussistono barriere tecniche che limitano
l’usabilità dei siti»6. Alla base di questo fallimento c’è stato l’errore di
considerare i destinatari dei servizi, i cittadini, come semplici utenti. Un
errore che il nuovo approccio non intende ripetere, coinvolgendo perciò i
cittadini in tutte le fasi che descrivono il processo di predisposizione e di
erogazione dei servizi.
Quelli brevemente tracciati, sono dunque due approcci che, partendo da
necessità apparentemente diverse, finiscono per ridefinire, arricchendolo,
il rapporto governo-cittadini, introducendo nuove forme di collaborazione
F. Di Donato, Lo stato trasparente. Linked Open Data e Cittadinanza Attiva, Pisa,
Edizioni ETS, 2010, p. 13 del PDF liberamente scaricabile dal sito: http://www.linkedopendata.it/wp-content/uploads/statotrasparente_2010.pdf.
6
219
e di partecipazione: il cittadino ha la possibilità, come mai era successo
prima d’ora, di intervenire ed essere parte attiva nella gestione della cosa
pubblica.
L’analisi dei dati, raccolti durante la ricerca attraverso le riposte delle
donne intervistate, descrive impietosamente l’emergenza di un’occasione
mancata. Le amministrazioni locali interessate sono osservate come poco
attente non solo alle istanze delle donne, ma anche degli uomini, quando
si tratti di accesso digitale che consenta l’esercizio di una nuova forma di
partecipazione democratica: l’e-democracy.
In questo caso di studio siamo di fronte a un campione che descrive
l’universo delle donne sud salentine in possesso di un grado di scolarizzazione medio-alto, anche se il loro strumento preferito per la formazione
e l’informazione risiede nella TV, ma che presentano una media alta di
accesso alle tecnologie informatiche della comunicazione. Sorprende la
presenza di internaute anche in fasce di età che, per istruzione, cultura,
interessi e perizia tecnologica sembrerebbero escluse da forme di comunicazione telematica. Si dichiarano lontane della politica.
Queste donne, pur se il loro approccio lavorativo spesso è descritto
come problematico, tuttavia, per la maggior parte navigano in internet
alla ricerca di informazioni, non tanto interessate ai social network, ma
con opinioni ben chiare e determinate circa la propria salute, la propria
sicurezza e il proprio rapporto, singolo e collettivo, con l’ambiente.
La problematicità della ricerca emerge quando descrivono i propri rapporti con le Amministrazioni locali di riferimento. Amministrazioni che
hanno dimostrato coraggio e interesse a conoscere le opinioni delle donne, mettendo in gioco la credibilità della propria azione amministrativa
quando hanno acconsentito al progetto, anzi, quando hanno preteso di
partecipare a questa ricerca, sapendo di rischiare.
Il rischio si palesa subito dopo che i dati raccolti hanno cominciato a
descrivere come la popolazione femminile (e non solo femminile) dei Comuni di Andrano, di Diso, di Poggiardo, di Spongano e di Tricase non
possa realmente esercitare il proprio diritto di partecipare alla vita politica e amministrativa dei Comuni di appartenenza attraverso le nuove tecnologie della comunicazione digitale. Emerge dai racconti delle donne,
come descritto nel report della ricerca, un grado elevato di esclusione perché mancano gli strumenti della partecipazione che, in base alle norme
vigenti, devono anche essere digitali.
Non solo, allora, il territorio e la popolazione femminile dell’area interessata dalla ricerca, ma tutto il Salento può trarre indicazioni dai risultati qui presentati per ammodernare il proprio apparato amministrativo
e politico verso un open government, verso un’amministrazione pubblica
veramente digitale. Basterebbe applicare le norme e le Linee guida già vigenti che indirizzano l’azione amministrativa in materie ben specifiche.
In questo scenario, fortunatamente dinamico e in fase di evoluzione, le
donne rischiano non solo che sia compromessa la propria partecipazione
democratica ma che godano di una sola cittadinanza, quella tradizionale,
mentre la negazione di una ulteriore cittadinanza digitale planetaria le
colloca in una periferia sociale della modernità che impedisce loro di intravedere l’orizzonte del futuro della propria emancipazione.
221
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Appendice – Il Questionario
Progetto CUIS: Indagine campionaria pilota
DONNA E SOCIETÀ
PARTENARIATO
–– Comune di Andrano (ENTE CAPOFILA)
–– Università del Salento – Dipartimento di Filologia classica e Scienze
filosofiche – LEG (Laboratorio di E-Government)
PARTNER
–– Comune di Tricase
–– Comune di Poggiardo
–– Comune di Diso
–– Comune di Spongano
Autore e coordinatore della Survey: PhD Pasquale Luigi Di Viggiano
Note per l’intervistata
Il progetto di ricerca è incentrato sulla rilevazione delle esigenze (bisogni, aspettative, attese, comportamenti, ecc.) della popolazione femminile nel territorio dei Comuni di Andrano, Tricase, Poggiardo, Diso e
Spongano.
La rilevazione dei dati necessari alla ricerca si avvale dell’ausilio di un
questionario e utilizza strumenti informatici/software per il trattamento
e l’elaborazione delle informazioni raccolte predisposti ad hoc.
La presente ricerca campionaria intende rilevare atteggiamenti, comportamenti e aspettative e si propone di effettuare un censimento con i
criteri previsti dalla metodologia della ricerca sociale e scientificamente
rilevanti in merito alle esigenze femminili in tema di lavoro, servizi pubblici, formazione, superamento del digital divide, democrazia elettronica,
ambiente.
235
I dati raccolti saranno utilizzati per la stesura del rapporto di ricerca
Il Sig. ______________________________________ è autorizzato alla somministrazione del questionario che avverrà in modo rigorosamente anonimo.
Questionario n. _ _ _ _ _
Somministrato in data |___| |___| 2012
Nel Comune ________________________________________
Responsabile della somministrazione ________________________
Sezione A – I dati personali
1) Età
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 |anni 18-25 |
|anni 26-30|
|anni 31-35|
|anni 36-40|
|anni 41-45|
|anni 46-50|
|anni 51-55|
|anni 56-60|
|anni 61-65|
|anni 66-70|
|anni 71-75|
|anni 76-80|
|oltre 81 anni
2) Specificare l’età esatta: anni _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
3) Comune di residenza
1 Andrano
2 Diso
3 Poggiardo
4 Spongano
5 Tricase
236
4) Stato civile
1 Nubile
2 Coniugata
3 Separata legalmente/divorziata
4 Vedova
5 Convivente
5) Ha figli?
1 Sì
2 No
6) (se è sì) Quanti figli ha? N. ______
7) Con chi vive prevalentemente
1 Da sola
2 Con amici
3 con genitori o con altri parenti
4 Con i figli
5 Con il partner
6 Con tutta la famiglia
8) Da quante persone è composta la sua famiglia? Num. _______
9) Nazionalità dell’intervistata _________________________
Sezione B – Formazione e istruzione
10) Titolo di studio
1 Nessun titolo
2 Licenza elementare
3 Licenza media
4 Diploma scuola media-superiore
5 Laurea triennale
6 Laurea quadriennale/specialistica/magistrale
7 Post laurea
237
11) Che tipo di strumenti utilizza prevalentemente per la sua formazione o per aggiornare il suo bagaglio di conoscenze? (Max
1 risposta)
1 Internet
2 Libri
3 Tv
4 Riviste/Quotidiani
5 Corsi di formazione
6 Discussioni con i colleghi e amici
7 Seminari, convegni e incontri
8 Nessuno
9 Altro ________________________________________
12) Se pensa alle sue precedenti esperienze di formazione, complessivamente ritiene che la formazione sia stata… (rispondere a tutte
le domande – Legenda: 1 = per nulla – 2 = poco – 3 = abbastanza – 4 = molto – 5 = del tutto)
a
b
c
d
e
f
g
h
chiara collegata alla realtà
coinvolgente trasferibile nella pratica partecipativa innovativa rispondente ai bisogni organizzata 12345
12345
12345
12345
12345
12345
12345
12345
13) Cosa pensa della formazione?
1 È utile
2 Penso sia inutile
3 È una perdita di tempo costosa
14) Il suo percorso formativo obbligatorio è avvenuto prevalentemente (o avviene)
1 Nella Scuola pubblica
2 Nella Scuola privata
3 Nessuna formazione
238
Sezione C – Sfera lavorativa
15) Come si qualifica dal punto di vista delle attività lavorative?
(una sola risposta)
1 Occupata
2 Ufficialmente non occupata (lavoro in nero)
3 Disoccupata alla ricerca di una nuova occupazione
4 In cerca di prima occupazione
5 Inabile al lavoro
6 Non alla ricerca di un lavoro
7 Altro _________________________________________
16) Attuale Professione prevalente:
1 Artigiana
2 Casalinga
3 Commerciante
4 Impiegata settore privato
5 Impiegata settore pubblico
6 Imprenditore
7 Insegnante/docente
8 Lavoratore agricolo
9 Libero professionista ( avvocato, commercialista,….)
10 Operaia settore privato
11 Operaia settore pubblico
12 Pensionata
13 Forze armate
14 Studente
15 Altro ________________________________________
17) In caso svolga attualmente attività lavorative, che tipo di contratto ha? (chi non svolge attività lavorative contrattualizzate
non deve rispondere)
A) Tipo di contratto
1 A tempo determinato
2 A tempo indeterminato
3 Flessibile (Co.Co.Co., Co.Co.Pro., ecc.)
4 Occasionale
239
B) Tipo di orario prevalente
 1 Full-time
 2 Part-time
18) Quante ore lavora, mediamente, in una settimana? (chi non
svolge attività lavorative contrattualizzate non deve rispondere)
______________________
19) (se è sì alla 17/A) Per quale motivo ha un’occupazione a termine?
1 Ho scelto il contratto a termine per conciliare lavoro e famiglia
2 Non ho trovato un lavoro a tempo indeterminato
3 Hosceltoilcontrattoatermineperaltrimotivi,specificare________
______________________________________________
20) È soddisfatta del lavoro che svolge (o che ha svolto in passato)?
1 Molto
2 Abbastanza
3 Poco
4 Per niente, ne sto cercando uno migliore
5 Per niente, ma non penso di poterne trovare uno migliore
Sezione D – Politica e democrazia elettronica
21) Le interessa la politica? (una sola risposta)
1 Sì, sono iscritta ad un partito e faccio attività politica
2 Sì, sono iscritta ad un partito anche se non faccio alcuna attività
3 Sì, ma mi limito a seguirla sui giornali e in televisione
4 Solo in occasione delle elezioni
5 Saltuariamente, quando se ne discute in famiglia o tra amici
6 Non mi interessa affatto
7 Altro, specificare _________________________________
______________________________________________
22) Con che frequenza vota?
 Sempre
 2 Ogni tanto
240
 3 Mai
23) Se lei vota, in quale occasione esercita il suo diritto al voto? (è
possibile dare più di una risposta)
1 Elezioni comunali
3 Elezioni provinciali
4 Elezioni regionali
5 Referendum
6 Elezioni politiche
7 Elezioni europee
24) Cosa pensa della partecipazione femminile alla vita politica italiana? (una sola risposta)
1 La partecipazione delle donne è fondamentale perché per me esse
rappresentano una speranza per il futuro
2 Dovrebbero costituire un partito tutto al femminile
3 Sono molto più coraggiose degli uomini
4 Secondo me una donna deve solo occuparsi della casa e della famiglia
5 Le donne rappresentano un elemento di diversità in politica
6 Non riusciranno mai realmente ad emergere nella politica italiana
7 Si tratta solo di donne manovrate da altri uomini
8 Sono solo donne corrotte al pari di uomini
25) Lei sa cosa si intende per democrazia elettronica?
 1 Sì  2 No
26) (Se è sì) che ne pensa? (una sola risposta)
1 Sono d’accordo sul criterio della trasparenza in ambito politico
2 Non sono d’accordo sul criterio della trasparenza in ambito politico
3 Credo che sia utile, ma non è di mio interesse
4 Credo che sia inutile
5 È uno strumento che include tanta gente
6 È uno strumento che include formalmente ma di fatto esclude
27) Secondo la sua percezione, il Comune dove Lei risiede, offre
possibilità di democrazia elettronica? (una sola risposta)
1 Non sono a conoscenza di questa possibilità
241
2 Il Comune offre questa possibilità, ma andrebbe incrementata
3 Non esiste alcuna possibilità di esercitare questo diritto attraverso gli strumenti resi disponibili dal sito web del Comune
4 Il sito web del Comune offre possibilità di esercitare pienamente
questo diritto
5 Formalmente la possibilità di accedere a forme di democrazia
elettronica esiste, ma di fatto non è disponibile alcun servizio di
questo genere.
6 Il Comune consente di esercitare questo diritto attraverso sistemi
multicanale (non solo sito web)
7 Secondo me gli stessi amministratori comunali non sanno cosa
sia la democrazia elettronica.
Sezione E – Internet e digital divide
28) Lei utilizza internet?
1 Sì
2 No
29) (nel caso sì alla precedente) Con che frequenza utilizza internet?
(una sola risposta)
1 Tutti i giorni
2 Più volte alla settimana
3 Una volta alla settimana
4 Raramente
5 Mai
30) Il suo accesso ad internet avviene prevalentemente da: (una sola
risposta)
1 Casa
2 Lavoro
3 Scuola / università
4 Postazioni pubbliche gratuite
5 Postazioni pubbliche a pagamento
6 Mobile ( con palmari, cellulari o altro )
7 Altro …………………………………..
242
31) Per quale motivo prevalentemente utilizza internet? (una risposta)
1 Lavoro
2 Studio
3 Interesse personale
4 Altro……………………..
32) Quali servizi di internet utilizza prevalentemente? (una risposta)
1 Navigazione web / informazione
2 E-mail
3 E-Shopping
4 Newsgroup (gruppi di discussione)
5 Chat
6 Facebook/Social Network
7 Videoconferenza
8 Servizi messi a disposizione della PA (Comune, Provincia, Regione, Ministeri, ecc.)
9 Altro _________________________________________
10 Nessuno
33) Sa cosa si intende con l’espressione digital divide?
1 Sì
2 No
34) Cosa pensa della tecnologia informatica telematica?
1 È una grande occasione di sviluppo
2 Si stava meglio prima, quando non c’era
3 Grazie alla tecnologia ho più tempo libero per me stessa
4 La uso ma preferisco le vecchie maniere
5 Non la uso
35) Qual è prevalentemente il significato che attribuisce al digital
divide? (una risposta)
1 Mancanza del Decoder per il digitale terrestre
2 Indisponibilità di tecnologie wireless
3 Accesso negato a internet da qualsiasi luogo
4 Essere informati in tempo reale su notizie di cronaca
243
5 Sono convinta che per usare la rete ci vogliano conoscenze informatiche superiori
6 Non so cosa significhi
7 Altro ………………………………………………………….
Sezione F – Servizi pubblici
36) Lei sa se il Sito web del suo Comune di residenza offre servizi
on line?
1 Non ho mai verificato
2 Ho provato a cercarli, ma non ho trovato nessun servizio
3 Alcuni servizi sono disponibili, ma è difficile accedere
4 Sono disponibili alcuni servizi e sono di facile accesso
5 Ci sono alcuni servizi on line, ma per la conclusione del procedimento è necessario recarsi personalmente presso lo sportello
6 Non sono disponibili servizi on line
7 Altro (specificare) …………………………………………………………………..
37) Quali servizi on line delle pubblica amministrazione utilizza?
(più di una risposta)
1 INPS
2 Agenzia delle Entrate
3 INAIL
4 ASL
5 Comune
6 Provincia
7 Regione
8 Nessuno
9 Altro (specificare) ……………………………………………..
38) Cosa pensa della prevenzione in relazione alla sicurezza sul posto di lavoro? (una sola risposta)
1 È fondamentale
2 È molto importante che si faccia e che se ne parli
3 È importante conoscere i rischi a cui tutti giorni siamo esposti
4 È importante fare prevenzione ma che non occupi la pausa pranzo
5 Trovo che sia inutile
244
39) Con che frequenza controlla il suo stato di salute?
1 Sempre
2 Spesso
3 Poco
4 Raramente
5 Solo se è necessario
6 Mai
40) Perché pensa sia positivo controllare frequentemente il proprio
stato di salute
(per chi ha risposto positivamente):
1 Non penso sia positivo controllare frequentemente il proprio stato di salute
2 Perché credo che le donne siano un soggetto a rischio, perciò è
bene monitorarsi
3 Mi informo sempre su i possibili rischi per la mia salute
4 Grazie alla prevenzione cerco di rischiare il meno possibile
41) Quale struttura sanitaria utilizza prevalentemente per controllare il suo stato di salute?
(max 2 risposte)
1 Ospedale pubblico
2 Ospedale privato
3 Medico di medicina generale (di base)
4 Poliambulatorio
5 Studio specialistico pubblico (intramoenia)
6 Studio specialistico privato
Sezione G – Ambiente
42) Nei confronti dell’ambiente manifesta:
1 Molto interesse
2 Attenzione
3 Poca sensibilità
4 Indifferenza
5 Non è un problema che mi riguarda
245
43) In relazione alle politiche di tutela del territorio, l’agricoltura
è: (1 Risposta)
r1 Un’attività che aiuta la salvaguardia del territorio e dell’ambiente
r2 Un’attività che non centra con la tutela dell’ambiente
r3 Un’attività solo economica che sfrutta le risorse naturali
r4 Un’attività che con le sue pratiche (concimazioni, fitofarmaci, diserbanti, ecc.) compromette l’equilibrio naturale e inquina
r5 Un’attività la cui programmazione è fondamentale per la sostenibilità del territorio e dell’ambiente
44) In relazione alle politiche di tutela del territorio, il turismo è:
(1 Risposta)
r1 Una risorsa eccezionale per il territorio
r2 Uno strumento per la valorizzazione del territorio
r3 Uno degli attentati più brutali all’integrità dell’ambiente e del
territorio
r4 Solo una pratica economica e commerciale
r5 Un possibile strumento la cui programmazione può contribuire
alla tutela del territorio e dell’ambiente
45) Il mare e le coste salentine rappresentano: (1 Risposta)
r1 La più straordinaria risorsa naturale del Salento
r2 Una opportunità quasi esclusiva per il turismo
r3 Lo specchio della cultura dello scempio ambientale
r4 La possibilità turistica più economica per i salentini
r5 Una questione che riguarda i pescatori
46) In relazione alla tutela dell’ambiente e del territorio, lei pensa
che il suo Comune
r1 Considera le tematiche ambientali come una priorità
r2 Adotta pochi interventi a tutela dell’ambiente
r3 Non si occupa in nessun modo di tutela dell’ambiente
r4 Non conosco le politiche del Comune sull’ambiente.
47) Ritiene che ogni singola persona possa contribuire a ridurre
l’inquinamento?
 Sì
 No  Non so
48) Il Suo Comune di residenza ha mai intrapreso iniziative di promozione del territorio?
 Sì
 No
 Non so