Tra paura e rancore artigiani e ceti medi scelgono la speranza

9/6/2014
Tra paura e rancore artigiani e ceti - Tirava un'aria da passioni tristi nei - Il Sole 24 ORE
St a m pa l 'a r t i col o
Ch i u di
Tra paura e rancore artigiani e ceti medi scelgono
la speranza
Tirava un'aria da passioni tristi nei territori prima delle elezioni europee. Cercavo di capire dove
andavano gli interessi delle classi sociali, delle categorie economiche, delle imprese, poste di fronte
all'Europa lontana, vista dal basso. Azzardavi ragionamenti freddi sulla manifattura pesante della
Germania, su quella leggera italica che teneva in una globalizzazione a medio raggio, che andava
totalmente in crisi nel mercato interno. Si guardava alle difficoltà un po' consolatorie dei cugini francesi e
degli spagnoli che avevano puntato troppo sull'immobiliare.
Per arrivare alla City di Londra e a Francoforte, le polarità finanziarie a cui anche nei territori si è ormai
capito necessita guardare. Una volta si citava con orgoglio che l'export della provincia di Vicenza era
uguale a quello della Grecia, adesso la Grecia suscita paure. Discorsi più da bar dell'economia che da
festival di Trento. Mi servivano per cercare di capire dove andavano gli interessi, a chi davano delega
politica nell'Europa che veniva avanti allargata ad Est.
Quindi si azzardavano anche scenari di geoeconomia ed economia che toccavano l'Ucraina evocando
scenari tragici che l'Europa ha già vissuto nei Balcani… territori ben conosciuti dalle imprese alla ricerca
di delocalizzazioni competitive e nuovi mercati. Eppure più che la razionalità fredda degli interessi
orientati al voto europeo sentivi le piccole fredde passioni condensarsi nella paura, nell'incertezza e nel
rancore.
Tutte tonalità e sfumature di grigio difficilmente inseribili in sondaggi credibili, complicati dalla società
dello spettacolo a dir poco rancorosa e incarognita, dove si menavano botte da orbi virtuali prive di
interessi per gli interessi, se togliamo i mitici 80 euro, poco europei ma molto italici, del governo Renzi.
Eppure ci siamo svegliati, il giorno dopo il voto, con un invaso pacificato e pacificante di voti al Partito
Democratico per il 41%. Mi è rimasto il dubbio e la voglia di continuare a cercare e capire come si sia
formato l'invaso del consenso. Per interessi, per passioni tristi, o per speranza come giustamente sostiene
chi ha vinto. Mi chiedo, facendo il politologo dilettante, se si è formato davvero un jamboree delle tribù
di interessi convergenti con una capacità del Pd di tenere assieme il suo elettorato di riferimento e di
acquisire i ceti medi partendo dal Centro Italia, sua tana del lupo elettorale, vincendo a Sud e dilagando
nel Nord del Paese per la prima volta.
Per trovare un simile consenso popolare di ceti medi occorre tornare al '900, alla Prima Repubblica, alla
Dc. Nessuna ironia politica di comparazione tra Pd e Dc, mi interessa solo far notare che allora l'invaso
del consenso si aggregava su interessi e speranza di popolo e di ceti medi affluenti. Tant'è che fu allora
che Sylos Labini scrisse il suo saggio sulla mutata composizione sociale del Paese. Oggi, l'invaso del
consenso nella metamorfosi della crisi, ho l'impressione si stia formando attorno a dinamiche sociali
discendenti e di difficoltà sia dei ceti popolari che del ceto medio. E siamo tutti d'accordo nel ritenerli in
dissolvenza. Per dirlo fuor di metafora avevo colto nelle conversazioni da bar dell'economia che molti
capitalisti molecolari, che prima avevano battuto un voto per Grillo, o i più elitari per Monti, sceglievano
Renzi come ultima spiaggia. Così come le rappresentanze degli artigiani e dei commercianti che avevano
manifestato a Roma in piazza del Popolo, inseguiti dai forconi irriducibilmente per il No Euro e per i 5
Stelle, vedevano in Renzi e nel Pd un interlocutore. Il discorso con sfumature di rosso vale anche per il
sindacato.
Ma il problema rimane. Un conto è governare con l'invaso di composizione sociale ascendente, tenuto
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Tra paura e rancore artigiani e ceti - Tirava un'aria da passioni tristi nei - Il Sole 24 ORE
assieme dagli interessi di classe, altro è tenere assieme una moltitudine di composizione sociale in crisi,
tenuta assieme da piccole e fredde passioni tristi. Vien da pensare che ciò che resta della classe operaia
garantita, dei ceti medi, dei commercianti, degli artigiani e dei capitalisti molecolari abbiano votato presi
in mezzo dalla paura dei tempi che vengono avanti e dalla paura del rancore dilagante, attingendo a
quell'antropologia da ceto medio che teme l'apocalisse culturale del non ritrovarsi più in ciò che gli era
abituale. Qui ha ragione Renzi che usa la parola speranza, nel senso che tra paure e rancore,
nell'incertezza si sceglie chi dà un minimo di speranza. Dal punto di vista politico la questione mi pare sia
quella di come trasformare il minimo di speranza e di incertezza in fiducia. Che potrà avvenire solo
saldando le passioni tristi agli interessi socioeconomici di un Paese in metamorfosi geopolitica nella crisi.
L'invaso del '900 era tenuto da una diga fatta di ideologie e alleanza forte tra politica e corpi intermedi di
rappresentanza degli interessi, che facevano società di mezzo. Mediatori e metabolizzatori del conflitto
che si mettevano in mezzo tra politica e società, dal sindacato alla Confindustria, alle rappresentanze del
capitalismo di territorio sino alle Camere di commercio, territorialmente dentro gli interessi locali. La
capacità di autoriformarsi della società di mezzo più che la loro delegittimazione populista è
fondamentale per tessere e ritessere interessi nell'invaso della moltitudine.
Questo mi pare ponga una questione di rappresentanza che è prepolitica, nella società delle passioni tristi
che ha votato più per rappresentazione dell'incertezza che per rappresentanza degli interessi. Che sono,
solo per elencare alcuni nodi che interessano famiglie e imprese: il capire se i 400 miliardi di euro
annunciati da Francoforte per le banche potranno davvero pompare acqua e credito nell'invaso a rischio
di palude; capire come arginare lo smottamento, dati Confindustria, di 120.000 imprese nel nostro Paese
negli ultimi 10 anni con la perdita di oltre 1,1 milioni di addetti; capire come dare gambe alla speranza,
che come si sa cammina su quelle dei giovani, rendendo almeno possibile il sogno, enunciato dal rapporto
Unioncamere di 123mila di loro che vorrebbero fare una loro impresa ma che si fermano per difficoltà
burocratiche e poco credito che circola nella palude. Ci tocca sperare.
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