Lezione Immunologia 17/10/11 Prof. Palmieri Allora, la lezione di oggi è sui meccanismi che portano all'attivazione dei linfociti T. Quello che abbiamo visto nelle lezioni precedenti sono le modalità con cui il recettore per l'antigene riconosce appunto lo specifico antigene sui linfociti e a quello che ho detto che l'evento del riconoscimento è l'evento fondamentale del meccanismo che mette in moto l'attivazione del linfocita. E quello che ho detto è che, e questo vale anche per i linfociti B quindi per l'altra popolazione dell'immunità adattativa, il riconoscimento dell'antigene quindi il legame del recettore per l'antigene con il ligando specifico è un evento sì essenziale ma non sufficiente a provocare l'attivazione perché le cellule dell'immunità adattativa per potersi attivare hanno bisogno di ricevere due segnali che sono qualitativamente diversi: uno è il riconoscimento antigenico, l'altro viene chiamato segnale accessorio o segnale costimolatorio quindi quello che vedremo oggi è anche in cosa consista questo secondo segnale per il linfocita T. Allora ripartiamo dal recettore, quindi dalla struttura che effettua il riconoscimento e che deve far partire le vie di trasduzione del segnale. Vi ricordo che il T cell receptor è un eterodimero transmembranario fatto da una catena alfa e una catena beta o, in una piccola popolazione di linfociti T, fatto da una catena gamme e una catena delta, e quando ho presentato il recettore ho detto che la maggior parte di entrambe le catene è situata nella parte extracellulare. Sono entrambe transmembranarie ma hanno delle code citoplasmatiche molto corte e per poter trasdurre il segnale stimolatorio devono associarsi ad un gruppo di proteine che sono chiamate Complesso del CD3. Ora, questa organizzazione molecolare la ritroveremo in altri recettori di attivazione del sistema immunitario, cioè altri recettori che sono in grado di cambiare potentemente le funzioni della cellula che li esprime nel momento in cui trovano il loro ligando hanno questa organizzazione a complesso fatta da più catene ed essenzialmente fatto da due tipi di catene: ci sono catene che si occupano di interagire con il ligando come l'eterodimero alba-beta per il TCR, l'immunoglobulina di membrana per il BCR, o vedremo la catena alfa per recettori delle immunoglobuline che sono presenti su diversi tipi di cellule; mentre la capacità di trasdurre il segnale all'interno della cellula è separata, è affidata ad altre catene proteiche che non giocano un ruolo nel riconoscimento, come appunto le catene del complesso del CD3 nei linfociti, ma che sono importanti perché nella loro zona intracellulare portano delle sequenze che sono capaci di avviare appunto le vie enzimatiche di trasduzione del segnale. Allora il complesso del CD3 è fatto da catene gamma-epsilon o da catene delta-epsilon (gammaepsilon o delta-epsilon formano due eterodimeri) e da un omodimero di catene zeta, unite da ponti disolfuro. Cos'è che tiene unito questo complesso sulla membrana? Di fatto il linfocita non può esprimere sulla membrana il TCR se non associato alle catene del CD3. Il meccanismo che garantisce questa associazione obbligata si basa sul fatto che nelle regioni transmembranarie, sia delle catene del TCR che delle proteine del CD3, sono presenti dei residui amminoacidici carichi. Normalmente nei tratti transmembranari sono sempre presenti dei residui idrofobici apolari perché ovviamente devono interagire con il doppio strato lipidico. Quindi ognuna di queste catene da sola non è stabile in membrana perché avere una amminoacido con una carica netta positiva o negativa ovviamente disturba il posizionamento all'interno della membrana, quindi la complementarietà tra cariche opposte cioè amminoacidi carichi positivamente nelle catene del TCR e amminoacidi carichi negativamente nelle catene del complesso del CD3 garantiscono l'associazione stabile del complesso. Allora, ho detto che le catene del CD3 sono quelle che si occupano della trasduzione del segnale e lo fanno perché hanno delle sequenza specifiche conservate all'interno della regione citoplasmatica che sono chiamate sequenze ITAM e che ritroveremo anche in altre proteine che si occupano appunto di associarsi ad altri recettori di attivazione per trasdurre il segnale quindi la presenza di sequenze brevi conservate che sono caratterizzate da tirosine fosforilabili presenti in alcune posizioni critiche caratterizza appunto l'identità del motivo ITAM, che è presente in tutte le catene del CD3 anzi nelle catene zeta è presente in tre copie. Perché questi motivi ITAM sono importanti per la traduzione del segnale? Come dicevo hanno delle tirosine che sono fosforilabili e la loro fosforilazione è reversibile. Nel momento in cui le tirosine degli ITAM sono fosforilate, diventano dei siti di aggancio di legame per tutta una serie di proteine che sono proteine che contengono domini SH2. Abbiamo parlato già di domini SH2 quando abbiamo parlato della trasduzione del segnale di molti recettori per citochine: i domini SH2 sono dei domini proteici capaci di riconoscere tirosine fosforilate all'interno di sequenze particolari quindi ogni dominio SH2 ha una certa specificità perchè riconosce e si lega ad una tirosina fosforilata all'interno di una sequenza caratteristica. Quali sono i primi eventi della trasduzione cellulare del TCR? Cioè, nel momento in cui il TCR del linfocita T riconosce il complesso MHC peptide, cosa succede che avvia la trasduzione del segnale? I primi eventi che riusciamo a registrare con il linfocita T che riconosce l'antigene – e vi ricordo che a rafforzare questo riconoscimento partcipa il corecettore CD4 o CD8 – a seconda della cellula che stiamo considerando e a seconda dello specifico ligando MHC-peptide con questo questo TCR sta interagendo. Quello che sappiamo è che CD4 è in grado di legare l'MHC di classe II in una zona non polimorfica e quindi di rafforzare il riconoscimento fra un TCR che stia vedendo il suo peptide all'interno della tasca dell'MHC di classe II mentre il CD8 interagisce con le molecole MHC di classe I, sempre in una zona non polimorfica quindi lontano dalla tasca. Quindi i corecettori CD4 e CD8 non entrano nel riconoscimento ma rafforzano questa interazione che se vi ricordate ho detto che ha un'affinità abbastanza bassa. Allora, alla coda citoplasmatica sia del CD4 che del CD8 è legata una tirosinchinasi che si chiama P56LCK la quale insieme ad un'altra tirosinchinasi che si chiama FYN e che è presente nei linfociti T, sono due enzimi che sono i primi ad attivarsi in seguito al riconoscimento antigenico. Queste due tirosinchinasi appartengono alla stessa famiglia molecolare che è la famiglia SRC (pronunciato SARC) il cui primo componente ad essere stato identificato è la proteina SRC che credo voi abbiate già incontrato, dotato di un potere oncogenico. Allora, nel momento in cui TCR riconosce l'antigene l'attività enzimatica sia di LCK che di FYN si attiva e questa sono delle tirosinchiansi queindi cosa fanno? Fosforilano le tirosine presenti nelle sequenze ITAM delle catene del CD3 e nelle catene zeta. Ci siamo? Ora, perché riescono a fosforilarle? Perché si sono attivate enzimaticamente e perché sono presenti nei pressi del T cell receptor. L'enzima Fyn è una proteina che si ancora direttamente alla membrana citoplasmatica ed è localizzata nelle vicinanze del TCR o meglio del complesso TCR-CD3 e la proteina LCK è portata nelle vicinanze del TCR dal fatto che agganciata alla coda citoplasmatica del corecettore CD4 o CD8 che sta nello stesso momento interagendo con la stessa molecola MHC quindi c'è un'approssimazione molecolare: LCK viene portata vicino alle regioni citoplasmatiche del CD3 dal fatto che è agganciata alla coda del corecettore. Allora, ho detto che entrambe, FYN ed LCK, appartengono alla famiglia delle tirosinochinasi SRC, ed hanno una struttura conservata che è condivisa da tutti gli altri componenti di questa famiglia. Troveremo altri componenti della famiglia SRC in altre cellule del sistema immunitario dove svolgono un ruolo abbastanza simile, cioè partecipano all'inizio all'avvio della via di trasduzione del segnale di recettori di attivazione. La proteina è organizzata in regioni ben distinte, per esempio è dotata di un dominio SH2, un dominio SH3 che è un altro dominio proteico che permette l'interazione con regioni ricche in prolina e poi c'è il dominio chinasico ovviamente, essendo degli enzimi. Questi tre domini (SH2, SH3 e chinasico) sono comuni a tutti gli enzimi della famiglia SRC. P56LCK è dotata anche di una regione unica e specifica che è la regione che le permette di interagire con la parte citoplasmatica di CD4 e CD8, cosa che ovviamente gli altri enzimi della famiglia SRC non fanno. Quindi l'interazione con CD4 e CD8 è garantita da questa regione specifica di LCK. Un'altra caratteristica che hanno tutti gli enzimi della famiglia SRC è che vengono modificati dopo la traduzione e viene aggiunto un residuo di acido grasso, un acido miristico, che permette l'inserimento quindi l'aggancio nel doppio strato lipidico della membrana. Quindi tutti gli enzimi della famiglia SRC sono degli enzimi che non sono nel citoplasma ma stanno agganciati alle membrane quindi sono in prossimità della membrana cellulare grazie a questo acido grasso che viene aggiunto dopo la traduzione. Un'altra cosa analoga che è presente in tutti gli enzimi della famiglia e che guardiamo adesso in maniera specifica per quello che riguarda LCK è che l'attività enzimatica quindi la possibilità di fosforilare tirosine è regolata ed è regolata da due tirosine presenti nelle vicinanze del dominio chinasico. Un residuo di tirosina ha un'attività inibitoria sull'attività enzimatica di LCK cioè quando questa tirosina è fosforilata l'enzima è inattivo perché questa tirosina fosforilata permette il ripiegamento della proteina e va ad occupare il sito catalitico, a nascondere il sito catalitico; la seconda tirosina invece è una tirosina attivatoria, cosa vuol dire: quando questa tirosina è fosforilata l'enzima è pienamente attivo. Quindi l'attività enzimatica è sotto il controllo di tirosino chinasi, cioè di chinasi che fosforilano il residuo inibitorio e la chinasi in questione si chiama CSK, e tirosino fosfatasi, cioè enzimi che defosforilano le tirosine regolatorie di LCK e la fosfatasi, almeno la principale fosfatasi coinvolta si chiama CD45 e ne parliamo fra un attimo. Quindi cosa regola se LCK sarà in grado di funzionare e quindi di fosforilare le tirosine delle sequenze ITAN del CD3? È il bilancio fra l'attività sulle tirosine regolatorie di LCK della chinasi CSK e della fosfatasi CD45. In particolare questa fosfatasi CD45 defosforila la tirosina che ha un ruolo regolatorio negativo quindi è la fosfatasi che permette l'attivazione di LCK. In quest'altro disegno è ripreso più o meno lo stesso concetto cioè l'enzima LCK può esistere in diversi stadi di attività a seconda del bilancio delle sue due tirosine regolatorie. Quindi l'enzima totalmente inattivo è quello che è la tirosina in posizione 505, quella con ruolo negativo, fosforilata ed ha la tirosina in posizione 344, quella con ruolo positivo, defosforilata. Questa è la forma enzimatica completamente inattiva chesi ripiega su se stessa ed è incapace di funzionare. domanda che non si sente sui tempi e le modalità di fosforilazione e defosforilazione risposta: Sicuramente CD45 può defosforilare entrambe le tirosine, CSK non sono sicura per la tirosina con ruolo negativo, quindi non hanno esattamente lo stesso spettro di azione. Se su questa forma totalmente inattiva agisce CD45 togliendo il fosfato alla tirosina regolatoria negativa la proteina si apre e quindi libera l'accesso al sito catalitico. Ora questa forma, che non ha nessuna delle tirosine fosforilate, né quella negativa né quella positiva, non è più completamente inattivo come enzima ma ha una capacità enzimatica limitata quindi è capace di autofosforilarsi o transfosforilarsi, cioè fosforilare altre molecole di LCK ma non può agire su altri substrati e quindi quello che succede è che la forma ad attivazione parziale, basale, è in grado di fosforilare la tirosina a funzione positiva quindi è LCK che si autofosforila arrivando quindi a questo punto allo stadio di enzima pienamente attivo. Enzima pienamente attivo significa che ha la tirosina con ruolo positivo fosforilata e la tirosina con ruolo negativo defosforilata. Questo stato di attivazione significa che LCK può fosforilare altri substrati, per esempio ma non solo, le tirosine delle sequenze ITAM delle catene del CD3 e può essere riportata nello stato inattivo dall'azione di CD45, quindi CD45 può defosforilare entrambe le tirosine con risultati opposti (quando defosforila la tirosina 505 dà l'avvio all'attività enzimatica, quando defosforila la tirosina 394 spegne l'attività dell'enzima). Quindi la tirosina positiva può essere defosforilata da CD45 e se su questa forma parzialmente attiva va ad agire la CSK fosforilando la tirosina a ruolo negativo riporta l'enzima in uno stato completamente inattivo. Ora vediamo chi è CD45, la tirosino fosfatasi che togliendo il fosfato al residuo di tirosina regolatorio negativo dà l'avvio all'enzima LCK. Siccome l'enzima LCK è fondamentale per far partire la trasduzione del segnale da parte del TCR capite bene che questa tirosina fosfatasi regola un punto critico dell'attivazione dei linfociti T. Allora, è una tirosino fosfatasi un po' particolare perché è un'enzima transmembranario, il che vuol dire che è dotato di una regione imponente transcellulare - vi ricordo che tutti i recettori presenti sulla membrana delle cellule emopoietiche hanno come nome CD seguito da un numero e anzi CD45 è uno dei primi che è stato identificato ed è presente su tutte le cellule emopoietiche, viene anche chiamato antigene PAN leucocitario perché tutte le cellule emopoietiche del sistema immunitario lo esprimono Quindi questo è un recettore transmembranario, e in realtà i suoi ligandi non sono stati ancora chiaramente identificati, che ha una grossa porzione intracellulare che appunto porta il dominio catalitico. Ne parliamo perché in realtà la tirosino fosfatasi CD45 non è una singola proteina ma è una famiglia di molecole perché a causa di eventi di splicing alternativo si possono generare una serie di isoforme di CD45 che differiscono per l'espressione delle regioni proteiche che sono codificate da tre esoni chiamati ABC che possono essere alternativamente inclusi o esclusi nell'RNAmessaggero finale. Quindi a seconda degli esoni che vengono tradotti si hanno isoforme di CD45 in cui la regione extracellulare è più lunga o è più corta a seconda che abbia o meno la parte proteica codificata da questi esoni alternativi fra l'altro questi siti portano anche maggiori siti di glicosilazione quindi le isoforme che includono il trascritto di questi esoni sono anche quelle più riccamente glicosilate. È una famiglia di molecole che vengono espresse in maniera regolata, lo vedremo già fra poco nei linfociti T perché linfociti T in diversi stadi di attivazione esprimono diverse isoforme di CD45, in particolare tutte le cellule NAIVE, quindi quelle che non hanno ancora incontrato l'antigene esprimono la forma più lunga di CD45, detta CD45RA, mentre nel momento in cui diventano cellule effettrici quindi nel processo di attivazione, proliferazione e acquisizione di capacità effettrici cambia anche l'isoforma espressa dai linfociti T. Le cellule effettrici esprimono invece l'isoforma corta chiamata invece CD45R0. Quindi per esempio attraverso lo studio delle diverse isoforme di CD45 possiamo acquisire delle informazioni sulla storia della cellula in esame, per esempio se ha mai incontrato l'antigene, se è una cellula quiescente o se è una cellula che ha iniziato il processo di riconoscimento antigenico. Allora chiuso il capitolo sul CD45, ritorniamo agli stadi precoci dell'attivazione. Allora, siamo qui, il TCR ha riconosciuto il complesso MHC-peptide, il corecettore CD4 o CD8 si è avvicinato al complesso per stabilizzare questa interazione il che ha fatto sì che, nella parte citoplasmatica del linfocita T, la tirosin chinasi LCK e la tirosin chianasi FYN, che abbiamo detto è ancorata e avvicinata alla membrana nelle vicinanze del T cell receptor, si sono avvicinate ai loro substrati, sono state attivate dall'azione del CD45 e quindi una volta diventati enzimi attivi hanno fosforilato le sequenze ITAM presenti nel CD3 e nelle catene zeta. Quindi la fosforilazione degli ITAM è uno dei primi eventi che segue il riconoscimento antigenico, ho detto che le tirosine fosforilate delle sequenze ITAM diventano a questo punto dei siti riconoscibili da proteine che abbiamo domini SH2. Ora ce ne sono tante di proteine dotate di domini SH2 e soprattutto tanti enzimi coinvolti nella trasduzione del segnale sono dotati di domini funzionali, noi ne menzioniamo soltanto due, il primo dei quali è un'altra tirosino chiansi che si chiama ZAP70. ZAP70 è una tirosino chiansi citoplasmatica, quando è inattiva è nel citoplasma ma è dotata di due domini a sacca 2. Questo cosa vuol dire? Che quando le tirosine delle sequenze ITAM sono fosforilate, ZAP70 dal citoplasma può essere reclutata per andarsi a legare alle code citoplasmatiche delle proteine del CD3, legando appunto le tirosine fosforilate. Nel momento in cui ZAP70 dal citosol viene reclutata nella zona diciamo sottomembrana, quindi agganciandosi alle code citoplasmatiche delle proteine di CD3, si viene a trovare nelle sfera di influenza di LCK che è attiva e quindi viene fosforilata a sua volta. Ora l'attività enzimatica di ZAP70 è regolata da fosforilazione di tirosine critiche nelle sequenze regolatorie quindi nel momento in cui ZAP70 si aggancia alle code citoplasmatiche di CD3, viene fosforilata da LCK e diventa enzimaticamente attiva e va a fosforilare i suoi substrati. I substrati di ZAP70 attiva sono numerosi all’interno del linfocita T, l’unico di cui parliamo è un altro enzima che è un’isoforma della fosfolipasi C, la gamma 1. La fosfolipasi C gamma 1 ha bisogno di vari segnali per attivarsi uno dei quali è la fosforilazione di alcune tirosine. Quindi nel momento in cui ZAP70, che è stata reclutata nelle vicinanze del T cell receptor, è stata fosforilata e quindi attivata da LCK, diventa attiva e fra i substrati che va a fosforilare c’è la fosfolipasi C gamma. Questo, insieme ad altri segnali, rende la fosfolipasi C gamma attiva quindi capace di svolgere la sua funzione enzimatica. Come sapete bene la fosfolipasi C gamma utilizza il fosfatidil inositolo bisfosfato di membrana e lo taglia generando due importanti secondi messaggeri che sono inositolo trifosfato e diacilglicerolo. Il DAG induce l’attivazione di una serie di isoforme di PKC, quindi a questo punto siamo su una serin treonin chinasi che va ad attivare mediante fosfilazione un’altra serie di intermedi della segnalazione; l’inositolo trifosfato sapere che è un secondo messaggero che induce la liberazione di calcio dagli store intracellulari, ed effettivamente uno degli eventi più precoci che si può registrare quando il TCR riconosce l’antigene è un aumento brusco del calcio libero intracellulare. Ora l’aumento del calcio intracellulare regola l’attività di moltissimi enzimi, come sapete, che quindi vengono attivati dall’afflusso di calcio. Le vie di trasduzione del segnale che partono dal TCR sono moltissime, non è soltanto l’attivazione di ZAP70 o l’attivazione della fosfolipasi C, vengono fosforilati altri enzimi nonché delle molecole adattatrici, cioè delle molecole che una volta fosforilate in varie residui di tirosina riescono ad agganciare altri intermedi che quindi vengono reclutati dal citoplasma nelle vicinanze del TCR che sta riconoscendo l’antigene. Si attivano, perciò, a raggiera diverse vie di traduzione del segnale, a me non interessa che voi abbiate chiari tutti gli step intermedi anche se sui testi sono riportati. Quello che è importante comprendere è che tutte queste vie di trasduzione del segnale portano all’attivazione di una serie di fattori trascrizionali che quindi vanno a cambiare il programma genetico della cellula. Quindi le vie che partono dal riconoscimento antigenico hanno un chiaro impatto sulla trascrizione genica e avviano il processo di attivazione cellulare ed effettivamente si può registrare l’attivazione di tutta una serie di geni in un linfocita T che ha riconosciuto l’antigene, geni che servono a preparare la duplicazione del DNA e quindi la proliferazione cellulare – vi ricordo che un linfocita dopo il riconoscimento antigenico come prima cosa si mette a proliferare quindi si mettono in moto tutte quelle molecole che servono a preparare la divisione cellulare. Fra i geni specifici, gli unici di cui parliamo sono il gene per la citochina interleuchina 2 e il gene che codifica per la catena alfa del recettore dell'interleuchina 2. Ne parliamo perché l'interleuchina è il principale fattore di crescita dei linfociti T, cioè è lei la responsabile della proliferazione che segue il riconoscimento antigenico. Interleuchina è una citochina e come tutte le citochine è pleiotropica, cioè non agisce solo su una cellula e non induce una cosa sola, quindi oltre ad essere il fattore proliferativo dei linfociti T è in grado anche di stimolare o di cooperare nella proliferazione dei linfociti B e nella proliferazione per esempio delle cellule Natural Killer, oltretutto nelle cellule NK non stimola soltanto la proliferazione ma ne aumenta anche la capacità citotossica. Come fa a svolgere queste funzioni? Attraverso un recettore specifico, come tutte le citochine. Parliamo del recettore dell'interleuchina 2 un po' più in dettaglio perché mi permette di raccontarvi uno dei livelli di regolazione dei segnali delle citochine. In realtà esistono diverse possibili forme di recettore per l'interleuchina 2. C'è una forma completa che ha tre catene e questo è il recettore che ha la più alta affinità per il ligando, quindi vuol dire che riesce a legare l'interleuchina 2 anche quando questa è presente in basse concentrazioni. Ho detto che è fatta con tre catene, alfa beta e gamma. La catena gamma l'abbiamo già incontrata e l'abbiamo chiamata catena gamma comune proprio perché entra a far parte del recettore di parecchie citochine e ne abbiamo parlato perché mutazioni sul gene della gamma comune provocano una SCID, cioè la forma più grave di immuno deficienza, dato che l'interleuchina 7 il cui recettore usa la catena gamma comune è il fattore che garantisce la sopravvivenza e la proliferazione del precursore della linea linfoide quindi mutazioni della catena gamma abrogano la vitalità e la capacità del precursore della linea linfoide di avviare lo sviluppo di tutti e tre i tipi di linfociti. Allora questa è la forma completa del recettore, con catena alfa, beta e gamma, ed è il recettore ad alta affinità però accanto a questa forma esiste un altro tipo di recettore sempre per l'interleuchina 2 che è fatto soltanto da beta e gamma. Questo tipo di recettore è ancora in grado di legare interleuchina 2 anche se la lega con affinità decisamente più bassa – 100 volte cambia la costante di associazione, questo significa che è richiesta una concentrazione decisamente più alta di citochina per ingaggiare il recettore cosiddetto ad affinità intermedia – comunque è ancora un recettore che funziona perchè nel recettore le catene gamma e beta sono responsabili della trasduzinoe del segnale. È possibile anche che possa esistere sulla superficie delle cellule un recettore fatto dalla sola catena alfa, che viene detto a bassa affinità perché lega la citochina ad un'affinità che francamente è difficile fisiologicamente possa ritrovarsi nel microambiente, ed è comunque un recettore che probabilmente non è in grado di inviare segnali all'interno della cellula proprio perché sono le catene beta e gamma quelle che trasducono il segnale. Quello che succede è che l'espressione delle tre catene del recettore è regolata durante la maturazione del linfocita T. Cosa voglio dire con questo? Che le cellule T quiescenti, che non hanno ancora incontrato l'antigene, esprimono solo il recettore ad affinità intermedia cioè producono solo catena beta e catena gamma, e di fatto questo significa che è molto difficile che possano sentire il segnale dell'interleuchina 2 perché questo recettore è capace di legare il ligando soltanto quando la concentrazione dell'interleuchina 2 è abbastanza alta. Vi ricordo che le citochine hanno un'emivita molto breve, la loro sintesi è estremamente regolata, quindi la concentrazione di una certa citochina in un microambiente è tenuta sotto uno stretto controllo quindi è abbastanza difficile che un linfocita quiescente NAIVE si ritrovi in un microambiente in cui c'è una quantità sufficiente di interleuchina 2 da attivare (quindi da legare) il suo recettore ad affinità intermedia. Ora cosa succede, che nel momento in cui questo linfocita T conosce l'antigene, partono tutte le tappe che abbiamo visto precendetemente ed inizia ad essere tradotto il gene per la catena alfa, quindi le cellule attivate, quelle che hanno riconosciuto l'antigene, cominciano ad esprimere il recettore ad alta affinità e quindi sono in grado di sentire il segnale dell'interleuchina 2 anche quando questo è presente in concentrazioni basse. Non solo ma abbiamo visto che la cellula T che ha riconosciuto l'antigene comincia anche a produrre interleuchina 2, quindi produce il ligando per il recettore che si è formato. Quindi il recettore lega il ligando trasduce il segnale e ho detto che l'interleuchina 2 è il principale fattore di crescita per i linfociti T cioè stimola la proliferazione, ed è un fattore di crescita autocrino nel senso che sono le cellule T stesse che si producono il fattore di crescita al quale poi rispondono. Quindi questo meccanismo di regolazione dell'espressione delle catene recettoriali è un meccanismo che garantisce per quanto possibile che garantisce che le uniche cellule che sono in grado di iniziare a proliferare quindi che sentono il segnale mitogenico, il segnale proliferativo dell'interleuchina 2 sono quelle che hanno riconosciuto l'antigene. Ora vete immaginare perché sia necessario questo livello di regolazione. Dove avviene il riconoscimento dall'antigene e quindi l'attivazione di un linfocita T NAIVE? In un linfonodo. Il linfonodo è pieno zeppo di linfociti T ognuno con un recettore diverso per un antigene diverso quindi nel momento in cui quel raro linfocita T incontra l'antigene, inizia a produrre interleuchina 2. Se il segnale fosse sentito a distanza comincerebbero a proliferare cellule T con un recettore del tutto diverso che non hanno ancora incontrato l'antigene. Invece le uniche cellule che riescono a sentire il segnale sono quelle che esprimono il recettore completo e che quindi per aver cominciato a produrre la catena alfa, significa che hanno riconosciuto l'antigene. Quello che quindi dobbiamo immaginare è che nel momento in cui il linfocita T incontra l'antigene su un Antigen Presenting Cell professionista, mentre prima esprimeva soltanto un recettore ad affinità intermedia per l'interleuchina 2, il riconoscimento antigenico scatena la produzione sia di interleuchina 2 che l'espressione di un recettore ad alta affinità. L'interazione fra recettore ad alta affinità ed interleuchina 2 scatena la proliferazione delle cellule antigene specifiche, cioè soltanto quelle che hanno ricevuto il segnale attivatorio. Questo processo porta all'espansione clonale, si espandono solo i linfociti T che hanno riconosciuto l'antigene e durante la proliferazione dei linfociti T che avviene come dicevamo prima nel linfonodo, acquisiscono le funzioni effettrici. Queste cellule effettrici escono dal linfonodo e possono andare a svolgere la loro funzione in periferia. Ho detto che tutte le vie di trasduzione del segnale del TCR mettono in moto la trascrizione genica secondo un pattern specifico. In realtà alcune delle vie di trasduzione del segnale hanno anche un andamento laterale cioè vanno ad influenzare degli eventi citoplasmatici, non tutte arrivano fino al nucleo. L'unica di cui parliamo è quella che porta all'attivazione di recettori integrinici sul linfocita T. Voi avete sentito parlare delle integrine? Sono dei recettori di adesione al substrato, alla matrice extracellulare per l'adesione cellula – cellula. Ci sono diverse famiglie di integrine, sapete che tutte le integrine che appartengono alla stessa famiglia condividono la stessa catena beta che si associa a catene alfa diverse per formare degli eterodimeri che hanno ligandi diversi. In particolare esiste una famiglia di integrine che sono dette integrine leucocitarie proprio perché abbondantemente espresse sui leucociti che sono dette famiglia delle integrine beta2. In particolare l'integrina di cui parliamo, un componente di questa famiglia si chiama LFA1, è costituita da una catena alfa specifica associata appunto alla catena beta2. Questa è un'integrina che guida l'interazione quindi ha dei ganci cellulari quindi guida l'adesione cellula – cellula, ha vari ligandi chiamati CAM1, CAM2 e CAM3 che sono espressi abbondantemente sulle Antigen Presenting Cells ma anche su altri tipi cellulari per esempio sono espressi sull'endotelio quindi rincontreremo l'integrina LF1 quando parleremo del processo di extravasazione cioè il processo che permette ai leucociti di uscire dal circolo o per entrare nel linfonodo o per entrare nel sito di infezione. Le integrine leucocitarie a differenza delle integrine che stanno sulle cellule tissutali sono normalmente in uno stato di affinità per i loro ligandi che è basso quindi sono, credo, l'unico caso in cui l'interazione con il ligando è regolata da un cambiamento di affinità. Normalmente sui leucociti le integrine sono appunto in uno stato di avidità, più che di affinità, per il ligando bassa, il che permette a queste cellule di essere mobili normalmente, circolano nel sangue, non sono aderenti ad un substrato. Quando però, torniamo alla cellula specifica, cioè al linfocita T. quando il linfocita T riconosce l'antigene con il suo T cell receptor alcune delle vie di trasduzione del segnale che partono dal TCR vanno ad agire sulle integrine leucocitarie in particolare su LF1 che è espressa sui linfociti T e convertono lo stato di affinità di LF1 da basso ad alto per il ligando. Quindi cosa vuol dire? Che nel momento in cui un linfocita T che sta interagendo con un'APC sa riconoscere effettivamente l'antigene, le sue integrine, le sue molecole di LF1, diventano ad alta avidità per i ligandi, i CAM1, i CAM2 e i CAM3, presenti sulle APC e questo permette la stabilizzazione dell'adesione cellula – cellula e quindi conferisce a questo linfocita T la capacità di rimanere appiccicato all'APC per un po'. Ovviamente l'adesione stabile e stretta tra le due cellule facilità e prolunga nel tempo il riconoscimento antigenico quindi aiuta l'ulteriore attivazione del linfocita T. quindi cosa succede? Quando siamo in un linfonodo i linfociti T contattano le APC professioniste, le cellule dendritiche, continuamente non fanno altro che passare vicino a delle cellule dendritiche e con il loro TCR cercano il possibile antigene specifico. Se il riconoscimento non avviene, se l'adesione non avviene, il linfocita si stacca dalla dendritica e magari passa ad analizzare una seconda dendritica e così via, ma se avviene il riconoscimento antigenico quindi se incontra su quella particolare cellula dendritica lo specifico complesso MHC-peptide per cui i segnali che partono dal TCR convertono LF1 sulla superficie del linfocita T in uno stato di alta affinità per i ligandi che sono espressi sulla dendritica e questo rafforza l'interazione. Quindi quel linfocita si ferma, si blocca ed aderisce a quella cellula dendritica anche per ora e durante questa interazione le due cellule si scambiano segnali che sono poi ottimali per permettere l'effettiva attivazione del linfocita T. Questa modalità di segnalazione in cui i segnali che partono del TCR dall'interno della cellula convertono l'avidità dell'integrina LF1 per i suoi ligandi da basso ad alto stato di attività, sono detti segnali di tipo inside/out, quindi sono segnali che vengono da dentro e che cambiano la capacità dell'integrina di interagire con i ligandi. Non lo fanno soltanto i ligandi al TCR quindi non è l'unico recettore che è capace di far cambiare l'avidità delle integrine per i loro ligandi, lo vedremo di nuovo nel processo di extravasazione quindi nell'uscita dei linfociti dal circolo sanguigno, che pure è mediata dall'interazione tra l'LF1 dei linfociti e i ligandi sull'endotelio, che per esempio recettori dei fattori chemiotattici, cioè quei fattori che sono in grado di attirare le cellule per esempio nel sito di infezione, anche i recettori per i fattori chemiotattici sono in grado di fare questa via di segnalazione inside/out, cioè quando incontrano il ligando fanno partire delle vie di trasduzione del segnale che fanno cambiare l'avidità delle integrine da uno stato chiuso (bassa avidità per il ligando) ad uno stato aperto. Però sebbene il TCR, attraverso le molecole del CD3, attraverso tutti gli enzimi che abbiamo visto riesca a far partire tante vie di trasduzione del segnale, non sono sufficienti di fatto per garantire l'attivazione dei linfociti T, cioè se il riconoscimento dall'antigene avviene in assenza di quello che è chiamato il secondo segnale, quindi se il linfocita T riceve soltanto il segnale specifico, non si attiva sebbene si mettano in moto una serie di meccanismi di trasduzione del segnale, non si arriva alla proliferazione, all'espansione clonale e alla differenziazione in cellula effettrice, ma anzi le vie di trasduzione del segnale che si attivano inducono quello che si chiama uno stato di anergia nel linfocita T, cioè un blocco funzionale. C'è bisogno per avere l'attivazione del linfocita che esso riceva un secondo segnale di natura diversa che deve essere fornito dall'APC e che soltanto la copresenza dei due segnali porta all'attivazione efficace. In cosa consiste questo secondo segnale? In realtà ci sono tante molecole che possono fungere da secondo segnale, che possono fornire questa seconda informazione che permette l'attivazione del linfocita T e il secondo segnale può essere rappresentato da una citochina, prodotta dall'Antigen Presenting Cell, e per la quale il linfocita T abbia il recettore specifico oppure possono essere rappresentati da interazioni tra recettori e ligandi di membrana presenti sulle due cellule. La cosa più importanteè che le APC professioniste non sono sempre e costitutivamente in grado di dare il secondo segnale ma l'espressione del segnale nella maggior parte dei casi è inducibile cioè deve essere indotta questa capacità sull'APC da qualcosa che l'APC abbia visto. Può essere il patogeno, l'infezione, un danno tissutale, la presenza di citochine infiammatorie, .. cioè ci deve essere qualcosa che permette all'Antigen Presentin Cell di poter iniziare a sintetizzare, ad esprimere, a fabricare quello che sarà poi il secondo segnale quando presenterà l'antigene ai linfociti T. Ci sono quindi varie molecole che possono fungere da secondo segnale ma di fatto l'unico di cui parliamo perché rappresenta un secondo segnale molto importante per molti linfociti T è fornito dal recettore o corecettore CD28. Il recettore CD28 è un recettore espresso su quasi tutti i linfociti CD4 positivi mentre è espresso su circa la metà dei CD8 positivi. Questo significa che c'è un'altra metà di CD8 positivi che ovviamente deve usare qualcos'altro come secondo segnale visto che CD28 non ce l'ha, però per la sua ampia espressione il CD28 è considerato uno dei recettori costimolatori più importanti. Quali sono i ligandi di questo recettore espresso sui linfociti T? I ligandi sono cellulari quindi stanno sulla superficie delle APC e si chiamano CD80 e CD86 detti anche B71 e B72 (da leggere B sette uno e B sette due) secondo un nome più antico. Qual'è la distribuzione del CD80 e del CD86, cioè chi è che è in grado di esprimere questi ligandi del CD28? Le cellule dendritiche mature, quindi quello che abbiamo detto durante il processo di maturazione, la dendritica acquisisce la capacità di attivare pienamente il linfocita T. Bè, buona parte di questo è dovuto al fatto che gli eventi che portano alla maturazione della dendritica cominciano a farle esprimere CD80 e CD86 però sono espressi anche sulle cellule biattivate e sui macrofagi, quindi una parola su quelle che sono le APC professioniste. Vi ricordo che i tre tipi di APC professioniste sono cellule dendritiche, linfociti B e macrofagi. Nel momento in cui questi siano attivati, cominciano ad esprimere livelli apprezzabili dei ligandi del CD28. Il CD28, una volta che abbia riconosciuto i suoi ligandi specifici sull'APC, fa a sua volta partire delle vie di trasduzione del segnale che cooperano con i segnali che partono dal TCR; sono qualitativamente diverse in alcuni casi quindi il contributo del CD28 è un contributo indipendente dall'attivazione del linfocita T ma molto spesso le vie di trasduzione del segnale di due recettori sinergizzano e i segnali del CD28 sono importanti per portare a buoni livelli di interleuchina 2 e quindi all'attivazione del linfocita T in senso proliferativo. Per riassumere, la cellula T NAIVE ha bisogno in maniera assoluta oltre che del riconoscimento antigenico anche della presenza di corecettori per poter essere attivata, il principale corecettore è il CD28 e i ligandi del CD28 vengono espressi dall'APC soltanto quando è stata attivata dalla presenza del microbo, da segnali di danno quindi da prodotti che segnalano in qualche modo stress cellulare, può essere attivata dalla presenza di citochine infiammatorie, citochine prodotte per esempio da cellule dell'immunità innata che a loro volta sono state attivate dalla presenza del microbo. L'attivazione dell'APC, della dendritica in questo caso visto che stiamo considerando la cellula NAIVE che può praticamente essere attivata solo dalla NAIVE, non porta solo all'espressione dei ligandi del CD28 ma anche alla produzione di citochine che sono anch'esse importanti pr la corretta attivazione del linfocita T. Se tutti questi segnali sono presenti nei tempi, nella qualità e nella quantità giusti, il linfocita T comincia a fare interleuchina 2, esprime il recettore ad alta affinità per l'interleuchina 2 e questo gli permette l'espansione e poi la differenziazione a cellula effettrice. Quindi abbiamo dato un'identità a quello che qui era descritto solo come un cambiamento, nella possibilità che le cellule dendritiche possano esistere in uno stato cosiddetto immaturo e in uno stato maturo. Abbiamo detto che quando sno in no stato immaturo, che poi è la situazione in cui si trovano le dendritiche nei tessuti, negli epiteli, lì dove i patogeni possono entrare, sono cellule in grado di fagocitare o per macropinocitosi acquisire efficacemente antigeni ma non sono in grado di presentarli in maniera immunogenica. Il contro con uno stimolo maturativo, definito appunto come microbo, la presenza del danno, ecc, porta appunto al cambiamento di questa cellula dendritica che diventa matura cioè capace di presentare ciò che ha captato in maniera immunogenica equesto succede sia perché aumentano i livelli di MHC di classe II sulla superficie ma anche perché inizia ad esprimere il segnale costimolatorio, cioè comincia ad esprimere sulla memebrana CD80, CD86, comincia a produrre citochine, cioè tutti quei segnali che devono essere presenti quando il linfocita riconosce l'antigene. Parallelamente acquisisce tutte queste capacità ma perde la capacità di catturare ulteriormente altri antigeni quindi presenterà in maniera immunogenica ciò che ha captato in periferia quando era nel tessuto mentre il processo di maturazione si è spostato nell'organo linfoide. Allora cominciamo a vedere quali sono i segnali che permettono la maturazione e l'attivazione delle cellule dendritiche perché questo è un passaggio cruciale per permettere l'attivazione dei linfociti T e in ultima analisi lo scatenamento di qualunque risposta immunitaria. Quindi in qualche modo la responsabilità della cellula dendritica è, attraverso gli stimoli che sente nel microambiente, di diventare cellula matura o no, e questo poi determinerà la risposta dei linfociti T ai quali presenta l'antigene, anergia o attivazione, quindi in ultima analisi tolleranza o risposta immunitaria. Capite che questo è un punto cruciale, cioè quali sono gli stimoli e i meccanismi che portano alla maturazione delle cellule dendritiche. Abbiamo detto che la prima grossa classe è la presenza del microbo. Come viene sentita la presenza del microbo dalle cellule dendritiche? Le cellule dendritiche appartengono alle cellule dell'immunità innata e noi abbiamo presentato i recettori con i quali le cellule dell'immunità innata capiscono che hanno davanti la presenza di un invasore, di un microbo, chiamandolo recettori PRR (Pattern Recognition Receptors), cioè recettori che riconoscono dei motivi molecolari, dei pattern, che sono condivisi da più microbi diversi, magari appartenenti alla stessa classe. Cominciamo a vedere chi sono questi PRR. Esistono moltissime famiglie di PRR, noi parleremo per ora in dettaglio solo di una di queste, ossia dei Tall Like Receptors, ma quello che vuole far vedere questo disegno è che recettori di tipo PRR, cioè per pattern mirobici, sono presenti in ogni compartimento cellulare, nel senso che abbiamo recettori sulla membrana che sono in grado di vedere la presenza di questi pattern nel microambiente extracellulare, ci sono altri PRR presenti nelle vescicole di endocitosi, quindi sono in grado di sentire la presenza di pattern microbici in ciò che la cellula ha preso dall'esterno, ma ci sono famiglie diverse di PRR di cui non parliamo adesso che sono presenti a livello del citoplasma, che quindi sorvegliano per la presenza di microbi citoplasmatici. Ogni compartimento è sorvegliato da questi recettori che sono in grado di sentire la presenza di pattern microbici condivisi. La famiglia di cui parliamo oggi, anche perchè è la meglio conosciuta e la meglio descritta nelle APC, è la famiglia dei Tall Like Receptors. Esistono una decina di TLR tutti transmembranari, alcuni presenti sulla superficie delle APC, altri invece all'interno degli endosomi. Perché i TLR sono chiamati PRR, cioè che cosa effettivamente riconoscono? Come vedete ce ne sono circa una decina e avete qui segnalati i loro principali ligandi. Quello che vedete è che ogni volta il ligando risponde alla definizione di PAMP cioè di Patogen Associated Molecular Pattern. Per esempio il TLR4 riconosce il lipopolisaccaride che è presente su tutti i Gram negativi, il TLR5 riconosce la flagellina, una proteina componente del flagello di tutti i batteri flagellati, poi ogni batterio avrà una flagellina leggermente diversa ma più o meno sono tutte riconosciute dal TLR5, e così via. In particolare c'è un gruppo di TLR che è specificatamente diretto contro gli acidi nucleici: il TLR3 che riconosce molecole di RNA a doppia elica che si generano comunemente durante il ciclo replicativo di moltissimi virus; il TLR9 che riconosce sequenze di DNA ricche in CG non metilate e le isole CG, cioè le sequenze CG, sono normalmente metilate su DNA eucariotico mentre non sono metilate nel DNA batterico, quindi vedere sequenze di CG non metilate è un pattern associato al microbo anche se non è esclusivo del microbo, però probabilisticamente è molto più probabile che quel DNA venga da un batterio o da un virus piuttosto che da una cellula eucariotica; e così via. Quindi c'è un sottogruppo di TLR, il 3, il 9 e il TLR7 e l'8 che riconoscono molecole di DNA a singola elica che sono dedicati a riconoscere gli acidi nucleici visti come pattern. In realtà però questi non sono dei pattern esclusivi nei microbi. Ho detto che molecole di RNA a doppia elica si generano comunemente durante il ciclo replicativo dei virus ma zone di RNA a doppia elica sono presenti in tutti gli RNA messaggeri. Sapete che gli mRNA hanno dei ripiegamenti in cui alcune zone hanno complementarietà interna e quindi si generano dei tratti a doppia elica. Lo stesso discorso vale per il DNA CG non metilato: ci sono delle isole CG non metilate anche nel DNA eucariotico, per esempio laddove c'è un'intensa attività genica c'è una demetilazione del DNA. Ancora di più il discorso vale per i ligando TLR7 e TLR8 che sono molecole di DNA a singola elica prodotte normalmente dalle cellule. Nel caso di questi TLR diretti contro pattern di acidi nucleici che non sono esclusivi dei microbi proprio perché c'è un certo livello di sovrapposizione, quello che vi volevo far notare è che questi TLR 3, 9, 7 e 8, sono gli unici Tall Like Receptors che invece di essere espressi sulla superficie cellulare sono confinati all'interno degli endosomi, il che aiuta la discriminazione tra i loro ligandi di natura microbica e i possibili ligandi simili che invece siano eucariotici, perché è vero che zone di RNA a doppia elica sono presenti in tutti gli mRNA ma gli RNA messaggeri non vanno mai a finire negli endosomi; è vero che anche nel DNA eucariotico ci sono sequenze ricche in CG non metilate così come nel DNA batterico ma il DNA sta normalmente nel nucleo, non sta dentro gli endosomi; e così via. Quindi in alcuni casi la capacità del TLR di discriminare correttamente se il ligando che stanno incontrando sia effettivamente associato alla presenza di un microbo, laddove il ligando non è diagnostico della presenza del microbo come il lipopolisaccaride (noi non lo facciamo il lipopolisaccaride e quindi non c'è problema, non c'è dubbio che se incontrano il lipopolisaccaride c'è sicuramente un batterio in giro), però se incontrano il DNA ricco in CG non metilate non è proprio sicuro, allora una cosa che aiuta la discriminazione di questi recettori è la localizzazione, cioè sono localizzati in un compartimento dove fisiologicamente i ligandi self che loro potrebbero legare non sono presenti, perciò se incontrano il ligando è aumentata la possibilità che quello sia il segno dell'arrivo di un microbo. Tutti questi recettori, anche gli altri PRR che sorvegliano il citoplasma, sono tutti recettori che segnalano quindi che attivano vie di trasduzione citoplasmatiche che poi portano all'attivazione genica. In particolare molti di questi recettori, sicuramente i TLR, sono in grado di indurre geni per citochine proinfiammatorie, l'attivazione dei geni per i ligandi del CD28, e aumentano l'espressione delle molecole di MHC di classe II. Quindi quando l'APC incontra attraverso uno dei TLR che esprime, in uno dei compartimenti dove i TLR sono localizzati, membrana cellulare o endosomi, il ligando specifico, il legame del ligando al TLR scatena l'attivazione genica e quindi la produzione di citochine proinfiammatorie, l'esposizione di secondi segnali, per esempio ligandi del CD28 nonché la produzione di molecole che hanno direttamente una funzione antimicrobica. Questi recettori, quindi, presenti su tutte le cellule dell'immunità innata fra cui le APC, ossia macrofagi e dendritiche, da una parte sono un potente stimolo per l'attivazione di queste APC, l'attivazione della loro produzione di Antigen Presentation, dall'altra potenziano la loro funzione effettrice antimicrobica, per esempio segnali che partono da TLR rendono la fagocitosi più efficiente o megliono rendono più efficiente la produzione di mediatori tossici che portano all'uccisione di ciò che è stato fagocitato. Sono quindi delle molecole che portano sia ad una risposta immediata da parte dell'immunità innata e che attraverso anche l'esposizione di secondi segnali sono in grado di favorire la risposta adattativa. Sono un po' il ponte fra immunità innata e adattativa. Riassumendo, una cellula dendritica attraverso i suoi TLR, nel momento in cui il incontra il microbo il legame dei PAMP microbici ai suoi TLR porta all'attivazione sia di funzioni antimicrobiche dirette ma anche all'esposizione di molecole B7, ligandi del CD28, all'aumento di produzione di MHC di classe II e all'aumento di una serie di citochine che chiamiamo proinfiammatorie che servono a dare segnali non soltanto al linfocita T ma anche ad altre cellule del microambriente della presenza del microbo. Quindi il linfocita T NAIVE che incontra l'antigene insieme a tutte queste informazioni ha i segnali sufficienti per attivarsi. La famiglia dei Tall Like Receptor presenta recettori molto antichi, o almeno il nome deriva dal recettore Tall di drosophila quindi esiste un recettore simile con analogia strutturale in una specie così diversa: questo dà un'idea di quanto sia antico questo meccanismo di risposta innata per riconoscere la presenza del microbo. I recettori Tall Like nel riconoscere i ligandi microbici scatenano l'attivazione genica che porta ad una risposta innata (produzione di peptidi antimicrobici, potenziamento della fagocitosi), sono elemento essenziale per l'innesco della risposta adattativa perché inducono la maturazione delle APC, quindi esposizione di secondi segnali, produzione di citochine costimolatorie e,avando un ruolo così importante nel determinare l'ampiezza non solo della risposta innata ma anche della risposta adattativa, potete capire bene che una disregolazione della funzione di questi TLR quindi un funzionamento errato di questi recettori, è coinvolto anche nelle malattie immunomediate proprio per la loro capacità di mettere in moto non solo le risposte innate ma anche di permettere le risposte adattative. Questo è fondamentale per le risposte innate di tipo protettivo ma come capite bene è fondamentale in quelle che sono le risposte immunitarie aberranti, patologiche, come le risposte autoimmuni. Vediamo come funzionano questi Pattern Recognition Receptor sulle APC professioniste principali, quindi sulle dendritiche. Abbiamo detto che ci sono dei TLR espressi sulla superficie cellulare grazie ai quali la dendritica si può rendere conto di prodotti del microbo nel microambiente quindi all'esterno; questo permette la fagocitosi e attraverso i TLR che stanno sulla membrana e il rispettivo PAMP permette l'attivazione genica, la produzione di citochine e di molecole costimolatorie. Abbiamo detto che ci sono dei TLR anche nel citoplasma che in qualche modo sorvegliano l'ambiente citoplasmatico, potendo per esempio portare all'attivazione di una cellula dendritica nel momento in cui questa sia infettata da un virus o da un altro microbo a vita intracellulare: nel momento in cui il microbo entra nella cellula, esprimerà sicuramente dei PAMP che vengono visti da quest'altra serie di sensori citoplasmatici e che anche in questo caso sono in grado di indurre attivazione genica, produzione di citochine e di molecole costimolatorie. In una terza situazione, dato che le dendritiche sono in grado non soltanto di legare ed endocitare i microbi che vivono all'esterno ma per mestiere fagocitano ed endocitano anche i prodotti della morte cellulare e quindi per esempio i frammenti di una cellula tissutale infettata, i PRR del compartimento endosomiale sono in grado di avere accesso a dei PAMP presi dall'esterno e magari derivanti da una cellula tissutale infettata. In questo modo, attraverso recettori PRR che sorvegliano tutti i compartimenti della cellula, la cellula dendritica ha il massimo delle possibilità per rendersi conto della presenza del patogeno e in tutti questi casi i PRR scatenano la produzione di secondi segnali che quindi permettono alla cellula dendritica di presentare gli antigeni, o che ha captato all'esterno come microbi liberi, o che derivano da un'infezione diretta e che quindi vengono presentati in classe I, o che derivano dal fatto che abbia captato i detriti di una cellula infettata e uccisa da un microbo, in tutti questi casi questi recettori permettono la presentazione da parte dei dendriti in maniera immunogenica. Tutto questo dobbiamo immaginare che avvenga in un tessuto periferico laddove la dendritica è presente come cellula residente immatura, per esempio a livello della pelle sono chiamate cellule di Langerhans e hanno la possibilità di incontrare i microbi che siano stati in grado di aggirare o di interrompere la barriera epiteliale. Il riconoscimento dei PAMP induce il differenziamento di questa cellula dendritica e la sua mobilizzazione, quindi attraverso il circolo linfatico e la linfa afferente, la cellula dendritica matura che ha captato gli antigeni del patogeno si ritrova nel linfonodo regionale, dove può presentare gli antigeni del microbo in forma immunogenica, cioè essendo stata capace di esprimere i ligandi di CD28 e di produrre citochine proinfiammatorie, ai linfociti T NAIVE presnti in quel momento nel linfonodo. Quindi questa strategia di basare l'attivazione delle cellule dell'immunità innata sul riconocimento di motivi condivisi da microbi diversi, quindi un riconoscimento che non porta al riconoscimento di chi è il microbo in questione ma semmai alla classe di microbo con la quale abbiamo a che fare, mediata da questi recettori PRR, è una strategia che non permette solo l'attivazione rapida delle cellule dell'immunità innata nei confronti del patogeno ma, attraverso gli effetti attivatori che ha su queste cellule, in particolare sulle dendritiche e sui macrofagi, sono i PRR che sono in grado di mettere in moto la risposta adattativa. Senza i segnali dei PRR le cellule dendritiche non maturano, quindi non presentano gli antigeno e non sono in grado di presentare gli antigeni ai linfociti T. Dato che l'attivazione e le funzioni dei linfociti T sono fondamentali anche per lo sviluppo della risposta anticorpale e un po' per l'attivazione di tutto il sistema immunitario quindi è chiaro che questo è un meccanismo essenziale per lo scatenamento di qualunque risposta immunitaria sia protettiva che patologica. Abbiamo detto che però c'è un'altra via per l'attivazione delle dendritiche a parte il riconoscimento diretto dei prodotti microbici, che è il riconoscimento del danno. La presenza del danno è generalmente associato ad un'infezione ed esistono una serie di recettori che in buona parte in realtà si sovrappongono che abbiamo chiamato PRR e che quindi riconoscono i microbi, gli stessi recettori sono in qualche in grado di riconoscere segnali molecolari derivanti dalla morte cellulare o dal danno tissutale. Questo spiega perché anche in presenza di segnali che derivano dalla morte necrotica, dati dal fatto che vengano rilasciati all'esterno fattori normalmente segregati all'interno della cellula viva, si abbia attivazione delle cellule dendritiche grazie a questi recettori. Normalmente, nella maggior parte dei casi, in presenza di un'infezione, la cellula dendritica si trova esposta sia a PAMP che a DAMP, nella maggior parte dei casi le due cose coincidono, e quindi verrà attivata da una serie di recettori diversi, ognuno che incontra il proprio diverso ligando e abbiamo detto che alcuni esempi di questi pattern associati al danno, cioè DAMP, sono rappresentati per esempio dall'ATP, perché ATP a livello extracellulare non c'è normalmente a meno che non sia stato rilasciato da una cellula che muore; acido urico, vale lo stesso discorso perché è il prodotto di degradazione finale di nucleotidi purinici, quindi anche quello segnala il fatto che ci sia stato rilascio di nucleotidi quindi di DNA; le Heath Shock Proteins, sono delle chaperonine e normalmente stanno all'interno della cellula, nella maggior parte dei casi anche all'interno del reticolo; i frammenti della matrice extracellulare, questo perché normalmente la matrice extracellulare è presente in una forma organizzata ma vengono rilasciati frammenti dei suoi componenti da proteasi che spesso sono state rilasciate a causa di morte cellulare, ma ci sono tanti altri segnali, tanti altri DAMP spesso legati alla presenza di necrosi cioè ad una morte non programmata. Normalmente quello che succede è che le cellule quando muoiono si sono organizzate per morire e quindi muoiono per apoptosi mentre la necrosi è una morte accidentale dove la rapidità o l'entità del danno sono tali che non permettono di mettere in moto il meccanismo di morte programmata. Nella morte programmata la cellula si separa in una serie di corpi apoptotici quindi di vescicole che sono ancora circondate da una membrana e quindi questi DAMP normalmente non escono a meno che non rimangano in giro troppo tempo i corpi apoptotici e allora si ha necrosi secondaria. Normalmente i residui di una cellula morta per apoptosi vengono fagocitati proprio dalle cellule dell'immunità innata, dendritiche e macrofagi, che normalmente fanno da spazzini e tolgono di mezzo finchè ce la fanno le cellule che muoiono per apoptosi. Il processo di rimozione di corpi apoptotici è fisiologicamente molto efficiente proprio perché lasciare delle cellule morte in giro significa che prima o poi la cellula rilascia quello che ha dentro e questo può scaricare una risposta infiammatoria proprio perché le cellule dell'immunità innata hanno recettori per vedere il danno e quindi normalmente i fagociti presenti nei tessuti, quindi macrofagi e cellule dendritiche, non fanno altro che andare in giro e togliere le cellule che stanno morendo per apoptosi. In alcuni casi questo lavoro è veramente massiccio per esempio durante l'embriogenesi voi sapete che la separazione delle dita avviene per apoptosi massiccia di tutte le cellule che stanno tra un dito e l'altro e che vengono efficacemente e rapidamente rimosse da macrofagi tissutali, che se l'immagine si vedesse sarebbero rappresentati in blu. Come fanno i fagociti a trovare le cellule morte? Abbiamo detto che lasciare cellule apoptotiche in giro è molto pericoloso quindi vanno tolte velocemente e ci deve essere un meccanismo che renda efficiente questo lavoro di spazzino del macrofago e della dendritica: le cellule apoptotiche rilasciano dei fattori chemiotattici cioè che attirano, che inducono il reclutamento dei fagociti. Il meglio caratterizzato era l'isofosfatidilcolina, quindi durante il processo di apoptosi viene liberata l'isofosfatidilcolina che diffonde all'esterno e che fa da fattore attraente, chemiotassi è il processo di movimento direzionale secondo il gradiente di una sostanza, quindi che fa da fattore chemiotattico per i fagociti il che rende più facile l'arrivo dei fagociti e quindi la rimozione delle cellule apoptotiche. Le cellule apoptotiche non solo fanno affluire fagociti ma segnalano in qualche modo questo stato di malessere, cioè la cellula che sta andando in apoptosi subisce una serie di modifiche sulla membrana che la rendono riconoscibile e nettamente diversa da una cellula sana. Normalmente le cellule sane esprimono tutta una serie di molecole che tengono a distanza i fagociti, quindi segnali di don't eat me (non mi mangiare). Quando inizia il segnale apoptotico questi segnali vengono down regolati e invece la cellula che sta andando in apoptosi comincia ad esprimere sulla membrana tutta una serie di molecole che fanno da segnale di eat me, cioè mangiamo, questo perché i fagociti sono dotati di recettori capaci di vedere questi segnali. Come esempio abbiamo la fosfatidilserina: normalmente è espressa nel foglietto interno, quello citoplasmatico; durante l'apoptosi ci sono degli enzimi specifici che fanno il cosiddetto flip-flop cioè scambiano i lipidi che si trovano sul foglietto interno con i lipidi che stanno nel foglietto esterno e questo porta un'esposizione di fosfatidilserina che può essere riconosciuta sia da molecole plasmatiche sia da molecole che stanno sulla superficie dei fagociti. Ci sono altri segnali, oltre la fosfatidilserina, su una cellula che sta andando in apoptosi che la rendono più facilmente fagocitabile. Dato che la cellula apoptotica viene riconosciuta dal fagocita attraverso una serie di recettori specifici, questa serie di recettori non sono importanti solo perché guidano l'inglobamento e la distruzione della cellula apoptotica ma alcuni di questi sono anche in grado di inviare segnali all'interno del fagocita, e i segnali che inviano, laddove quello che sta per essere fagocitato è una cellula morta in condizioni diciamo normali, cioè per un normale turnover, sono segnali che portano alla deattivazione del fagocita come citochine con effetto antinfiammatorio che ciè sopprimono potentemente l'attivazione del macrofago stesso, di quello che sta fagocitando ma anche delle cellule che ha intorno. Quindi non soltanto una cellula che sia morta per apoptosi non rilascia i DAMP ma addirittura, venendo riconosciuta da recettori specifici invia dei segnali a chi la sta fagocitando di soppressione attraverso la produzione di fattori solubili con attività antinfiammatoria. Nel momento in cui, invece, frammenti di una cellula che sta andando in necrosi, vengono anch'essi fagocitati dai fagociti, questi frammenti vengono riconosciuti da recettori completamente diversi e quindi i segnali che il macrofago o la dendritica, ricevono nel momento in cui sta inglobando una cellula necrotica sono completamente diversi come significato e portano a funzioni completamente diverse. In questo caso, sia la presenza dei DAMP che sono stati rilasciati da questa cellula che sta morendo per necrosi, sia segnali provenienti da recettori che servono per inglobare questa cellula necrotica stimoleranno invece la produzione di citochine proinfiammatorie. I fagociti per mestiere tolgono di mezzo ciò che è morto e moribondo e ricavano informazioni da ciò che è morto o moribondo che utilizzano assumendo o un comportamento antinfiammatorio o proinfiammatorio. Quello che abbiamo visto è che nel processo che avviene normalmente, costitutivamente, in tutti i tessuti, cioè la rimozione di cellule in apoptosi per il normale turnover, il riconoscimento e l'avvicinamento di fagociti alla cellula apoptotica è favorito da segnali chemoattrattivi che appunto attirano il fagocita nelle vicinanze della cellula che sta morendo per apoptosi; il riconoscimento della cellula che sta morendo per apoptosi avviene attraveros recettori che riconoscono, ad esempio, la fosfatidilserina e che permettono al fagocita intanto che quella è una cellula apoptotica e che va inglobata e distrutta non essendo una cellula sana, ma inoltre questi recettori inviano segnali che portano alla produzione di molecole con attività antinfiammatoria come per esempio citochine Tranforming Factor Beta e IL-2. Quindi l'apoptosi normale è un meccanismo che spegne e in qualche modo contrasta l'attivazione del sistema immunitario e che quindi sicuramente non induce una risposta. Ora però la morte per apoptosi può essere dovuta a molte cause diverse: ci sono cellule che muoiono per apoptosi fisiologica durante lo sviluppo o per un turnover normale però ci sono anche, e in questo caso quello che funziona è che gli autoantigeni, che sono captati dai macrofagi e dalle dendritiche su queste cellule che sono morte fisiologicamente per un turnover normale, sono presentati in maniera tollerogenica ai linfociti T e abbiamo capito il perché: l'ingolfamento di una cellula che sta morendo per apoptosi ha inviato segnali alla dendritica portando non soltanto ad una mancata induzione della cellula dendritica e quindi evitando che quella dendritica produca secondi segnali ma addirittura si può stimolare la produzione di citochine antinfiammatorie quindi con un effetto di spegnimento sulla risposta. Questo è un meccanismo fisiologico importantissimo per tenere sotto controllo quotidianamente tutti quei linfociti T potenzialmente autoreattivi che abbiamo detto escono dalla maturazione timica, perché questi linfociti T circolanti si trovano continuamente a contatto con cellule dendritiche con macrofagi non maturi però, e magari produttori di interleuchina 10 e Transforming Factor beta che non fanno altro che presentargli continuamente tutta una serie di autoantigeni che hanno captato in prima analisi o diciamo in maniera più abbondante prprio da questo lavoro di spazzini che hanno fatto continuamente nei tessuti. Le cellule T, quindi, circolando negli organi linfoidi non fanno altro che incontrare il self, lo incontrano periodicamente, presentato però in un contesto tollerogenico, non immunogenico, ossia presentato da APC non mature perché se la cellula non si comporta fisiologicamente non si sono rilasciati i DAMP, se è un tessuto sano non ci sono PAMP e quindi le cellula è immatura, non solo è immatura ma in molti casi il fatto di aver inglobato una cellula apoptotica ha stimolato la produzione di citochine antinfiammatorie (TF beta e IL-10). L'insieme di questi fattori induce il linfocita T a diventare anergico quindi a bloccarsi completamente. Questo stato di anergia dura per un po' di tempo e intanto il linfocita continua a circolare e quando entrerà in un altro linfonodo probabilmente incontrerà di nuovo il self e così via tutta la vita nelle stesse condizioni. In realtà questo lavoro di spazzini porta le cellule dendritiche e i macrofagi ad inglobare non solo le cellule che sono morte per apoptosi fisiologicamente perché era arrivata la loro ora ma per esempio tutta una serie di danni, immaginate il danno da ipossia, oppure l'infezione da parte di un virus, può indurre la morte per apoptosi. Quindi in realtà esistono molti modi di morire per apoptosi a seconda del tipo di causa: può essere stato un danno tissutale, può essere stata una condizione ipossica, può essere stato un virus che ha sfruttato il macchinario biosintetico della cellula per produrre nuovi virioni e poi induce la morte della cellula per apoptosi. Queste sono tutte cellule che muoiono per apoptosi ma per motivi diversi e nel momento in cui il fagocìta le fagòcita riceve segnali diversi perché probabilmente oltre a segnali come la fosfatidilserina che vengono esposti dalle cellule che muoiono in apoptosi per qualunque motivo, cellule che muoiono per motivi diversi esprimono segnali differenti che vengono visti da recettori diversi e che quindi inviano segnali funzionali differenti alla cellula dendritica o al macrofago che li sta fagocitando, e in qualche modo acquisisce informazioni (l'APC) sui motivi per cui quella cellula è morta e si comporta di conseguenza. Per esempio, un fagocita che ingloba una cellula che sta andando in apoptosi a causa di un'infezione virale non sarà deattivato dall'ingerimento di questa cellula apoptotica ma addirittura verrà attivato, perché nel momento in cui fagocita i corpi apoptotici di questa cellula si trova dentro tutta una serie di PAMP virali, per esempio gli acidi nucleici del virus o alcune proteine virali che quindi cambieranno la sua risposta funzionale: invece di disattivarsi, si attiverà iniziando a produrre citochine proinfiammatorie e iniziando ad esprimere i ligandi del CD28. A seconda dell'evento che ha portato a morte i segnali che vengono forniti a colui che fagocita sono diversi e portano a risposte funzionali differenti. Quello che abbiamo visto finora è che in periferia le APC professioniste, in particolar modo le dendritiche sono quelle di cui ci occupiamo di più perché sono le più importanti per spiegare l'inizio della risposta immunitaria, hanno modo di sentire sia la presenza del danno sia la presenza diretta di prodotti del patogeno, che inducono, attraverso i PRR, l'attivazione e la maturazione della dendritica che migra attraverso la via linfatica al linfonodo regionale, durante la migrazione subisce quella che chiamiamo maturazione, che consiste nella capacità di esprimere oltre a molti complessi MHC-peptide anche i ligandi del corecettore CD28 e la capacità di produrre citochine. L'insieme di questi segnali sarà in grado, nel momento in cui questa dendritica incontra quei rari linfociti T antigene specifici, sarà in grado di inviare segnali sufficienti per indurne l'attivazione. C'è un terzo ed unltimo modo per indurre l'attivazione delle dendritiche, oltre ai segnali che vengono direttamente dal microbo e i segnali che vengono dal danno tissutale, questa volta il segnale viene dal sistema immunitario e consiste in un'interazione tra recettore e ligando, recettore che è presente sui linfociti attivati e che si chiama ligando del CD40 che va a legare il suo corecettore sull'APC, sulla dendritica, che si chiama CD40 incredibilmente. L'interazione fra CD40 sulla dendritica e il ligando del CD40 sul linfocita T attivato è in grado di indurre l'attivazione della cellula dendritica, quindi questo è un segnale se volete immunologico, non c'entra direttamente la presenza del ligando né il danno tissutale, c'è bisogno di una cellula già effettrice, di una cellula T effettrice il che significa che è già in corso una risposta immunitaria, quindi questo terzo meccanismo è importante nell'amplificazione delle risposte immunitarie ma sicuramente non può giocare un ruolo all'inizio delle risposte immunitarie quando ancora i T effettori non ce li abbiamo. All'inizio delle risposte immunitarie i segnali che possono far maturare le dendritiche sono segnali che direttamente partono dall'infezione però una volta che la risposta immunitaria è iniziata, uno dei meccanismi che la rpuò rendere più efficiente, che la puàò amplificare è il fatto che le cellule T effettrici esprimono il ligando del CD40 e possono portare al reclutamento di nuove cellule dendritiche nella risposta immunitaria attraverso l'interzione CD40-ligando del CD40. Perché c'è bisogno di questo meccanismo di controllo, cioè che il linfocita T non possa attivarsi semplicemente quando incontra l'antigene specifico ma ha bisogno di questo secondo tipo di informazione? Questo perché il secondo tipo di informazione segnala in maniera diretta, indiretta, traslata o ideale, la pericolosità di ciò che è stato incontrato. Dato che le risposte immunitarie sono risposte aggressive che quindi sono in grado di provocare danni ai nostri tessuti, c'è bisogno di un elemento di controllo che, se volete, convinca il sistema immunitario che valga la pena mettere in moto questo processo che porterà all'attivazione di risposte aggressive. Ciò che lo convince è che l'antigene che è stato incontrato è un antigene che sta provocando dei danni che quindi sta in qualche modo rovinando la fisiologia dei nostri tessuti. Questo meccanismo serve a focalizzare meglio le risposte immunitarie non semplicemente nei confronti del non self, ma del non self aggressivo che è l'unica cosa contro cui valga la pena di mettersi in moto. Il secondo livello di controllo esercitato da questo meccanismo in cui c'è bisogno di due segnali contemporaneamente, è che generalmente soltanto le APC professioniste sono in grado di fornire il secondo segnale quando attivate, cioè le cellule tissutali normalmente non sono in grado esprimere ligando del CD28, non sono in grado di esprimere quelle citochine che sono importanti per promuovere l'attivazione dei linfociti T e quindi in qualche modo il fatto che il linfocita T abbia bisogno di due segnali serve a limitare il fatto che si possa attivare nel momento in cui riconosca l'antigene su una cellula tissutale, cioè su una cellula che magari esprime l'MHC e quindi possa presentare un certo complesso MHC-peptide ma che sicuramente non è in grado di produrre secondi segnali. Specialmente per quello che riguarda le cellule T NAIVE che sono quelle più difficili da attivare cioè che più richiedono la copresenza di questi segnali accessori, questo spiega perché, come ho detto tante volte, le uniche cellule su cui di fatto può avvenire l'attivazione di una T NAIVE sono le APC professioniste e in particolare le dendritiche; perché le cellule normali, le cellule tissutali, se pure sono in grado di esprimere MHC e quindi di presentare peptidi, non sono in grado normalmente di fornire un secondo segnale; le uniche in grado sono le dendritiche e in particolare le dendritiche mature attivate. Invece, le cellule T effettrici o memory, hanno una soglia di attivazione molto più bassa: devono sempre rincontrare l'antigene per attivarsi e scatenare le loro funzioni effettrici ma hanno bisogno che l'incontro con l'antigene sia accompagnato da un livello molto più basso di secondo segnale per attivarsi. Sebbene una NAIVE possa attivarsi soltanto se incontra l'antigene su una dendritica matura, una cellula T una volta uscita dal linfonodo o una cellula memory, sono in grado di riattivarsi e quindi di svolgere la loro funzione effettrice anche quando incontrano l'antigene su una cellula tissutale o quando incontrano l'antigene su un'APC che non è attivata in senso ottimale, quindi che non esprime tutto l'intera gamma di segnali costimolatori. Il livello di maturazione, di attivazione delle APC è quello che detta un po' la scelta, la decisione che il linfocita T si trova a prendere nel momento in cui incontra l'antigene: se rispondere o non rispondere. Quindi il livello di maturazione di un'APC è ciò che detta se nei confronti di un certo antigene avremo risposta immunitaria o tolleranza. In situazioni diverse l'azione protettiva è diversa, per esempio, se stiamo parlando di un patogeno, la risposta protettiva è quella in cui le APC siano mature quindi siano indotte a maturare e inducano risposte immunitarie, ma se immaginiamo la risposta nei confronti si un autoantigene, l'azione protettiva è quella data da APC immature che quindi inducono anergia contribuendo a mantenere la tolleranza nei confronti dell'autoantigene. Fra i fattori che regolano la risposta dei linfociti T ed in un'ultima analisi la risposta del sistema immunitario, abbiamo già visto nella lezione precedente che la quantità o dose di antigene è un fattore critico, i linfociti T non si attivano se i livelli di antigene sono troppo bassi, il livello di segnali di pericolo o comunque di segnali che rappresentano la pericolosità dell'antigene che è arrivato nel nostro organismo sono fattori cruciali, perché attraverso quelli passa l'attivazione della cellula dendritica e quindi la capacità della cellula dendritica di indurre l'attivazione del linfocita T, così come un altro fattore importante cioè la presenza dell'antigene, o per tempi troppo brevi, o al contrario per tempi troppo lunghi, quindi in maniera cronica, contribuisce a deattivare i linfociti T. allora se questi sono tre parametri che regolano la capacità dei linfociti T di attivarsi nei confronti dell'antigene, se li applichiamo a situazioni patologiche diverse, e quindi risposte diverse, vediamo che per esempio, sicuramente, la presenza di un virus, di un patogeno, è quella in grado di dare al massimo tutti questi segnali quindi ci spiega perché le risposte contro i patogeni sono solamente delle risposte molto robuste . Il patogeno, all'inizio, nel momento in cui entra nel nostro organismo è in grado di replicarsi, quindi è in grado di fornire antigene per un tempo e una quantità sufficente perché i linfociti T lo possano vedere, sicuramente induce segnali di pericolo, perché usa le nostre risorse, quindi induce danno tissutale, poi esprime PAMPs, quindi è ben visibile, è in grado di indurre potentemente l'attivazione delle dendritiche, e quindi questo spiega appunto perché le risposte antimicrobiche sono delle risposte molto forti in genere, specialmente se le mettiamo a confronto con le risposte immunitarie contro i tumori, che sono invece solitamente più deboli. Non perché non ci siano degli antigeni associati ai tumori, ma perché la situazione del tumore non si porta dietro tutti quei segnali che servono a mettere in moto l'attivazione delle dendritiche così efficientemente come un patogeno. Perché spesso il tumore cresce molto lentamente, oppure è confinato in un tessuto e quindi dà pochi segni di danno tissutale, ovviamente non si porta dietro i PAMPs, a meno che non sia un tumore di origine oncovirale, fatto dai virus oncogeni, e quindi sono pochi e sono deboli tutti quei segnali che la dendritica dovrebbe ricevere per maturare opportunamente. Questo significa che nel momento in cui presenta gli antigeni tumorali, o tumore associati ai linfociti T, li presenta spesso in un contesto di bassa pericolosità, e questo induce un'attivazione debole dei linfociti T e una debole risposta immunitaria. all'altro estremo dello spettro ci sono gli antigeni self che non generano segnali di danno, che non hanno PAMPs e che quindi vengono fisiologicamente presentati in maniera tollerogenica, cioè da dendritiche immature che quindi inducono anergia e non attivazione. PAUSA - PAUSA - PAUSA - PAUSA - PAUSA - PAUSA - PAUSA - PAUSA - PAUSA - PAUSA !!! Allora il comportamento, il modo in cui questa cellula, la dendritica, decodifica i segnalo che gli vengono dall'ambiente ha delle conseguenze cruciali sulla risposta immunitaria che si può o non si può instaurare nei confronti di un qualunque antigene, questo perché attraverso tutta una serie di recettori, tutti capaci di segnalare la cellula dendritica tissutale è in grado di raccogliere informazioni dal microambiente, informazioni sulla presenza di componenti microbiche, informazioni sulla presenza di danno tissutale, eventualmente dovuto come conseguenza dell'infezione, non solo ma la cellula dendritica è dotata di una serie di recettori per citochine, quindi è anche sensibile ai segnali che altre cellule, immunitarie e non possono fornire nel microambiente, nel sito di infezione. Vi ho detto che è sempre crescente la consapevolezza che oltre alle cellule che, di mestiere, sono cellule immunitarie, le cellule della linea emopoietica, si comincia a pensare che anche le cellule tissutali partecipino all'organizzazione delle risposte immunitarie, per esempio le cellule epiteliali, sia della pelle, che degli epiteli di rivestimento, che sono le prime cellule che in qualche modo il patogeno deve contattare Ora le cellule effettrici sono quindi in grado di entrare in qualunque distretto dell’organismo e sono in grado quindi di svolgere la loro funzione antimicrobica là dove il patogeno è entrato. Un’altra capacità funzionale che cambia nel passaggio da cellula naive a cellula effettrice, è che, mentre le cellule naive nel momento in cui incontrano l’antigene, l’abbiamo visto oggi, cominciano a produrre interleuchina II, e l’interleuchina 2 gli serve come fattore autocrino di proliferazione, ma è l’unica citochina che riescono a produrre nelle prime fasi dell’attivazione, le cellule T effettrici hanno la capacità invece di produrre molte citochine diverse, che quindi vanno a influenzare in maniera molto variegata le funzioni di altre cellule del sistema immunitario. E questo lo vedremo la prossima lezione in cui parleremo in particolare delle cellule effettrici di tipo helper. Abbiamo già definito le cellule T helper come le cellule in grado di fare citochine. Attraverso le citochine vanno a cambiare il comportamento di altri tipi cellulari. Vedremo che è molto ampio il parco di citochine, che una cellula T helper è in grado di fare, al contrario di una cellula recentemente attivata, che ha appena riconosciuto l’antigene, che è in grado di produrre soltanto interleuchina II praticamente. Tutti questi motivi, fanno sì che la soglia di attivazione per indurre, appunto, l’attivazione di una cellula così detta effettrice che ha già incontrato l’antigene una volta, sia molto più bassa rispetto alla soglia di attivazione di una cellula naive. Quindi c’è bisogno di più antigene, di più co-segnali, di un migliore assetto, diciamo, del sistema, per far partire l’attivazione delle cellule naive. Le cellule, invece, già attivate, effettrici, si attivano in risposta a meno antigene, a APC meno perfette, a una presenza di co-segnali più scarsa. L’altro estremo, diciamo, sono invece le cellule più tolleranti, le cellule anergiche,, che come vedete, praticamente non riescono ad attivarsi se non vedono una barca di antigeni, una barca di co-segnali, cose che sono realizzabili in vitro, come questo esperimento, ma che in vivo non si osservano mai. Allora come ho già accennato prima, tutto questo, tutto quello che abbiamo visto oggi avviene all’interno dell’organo linfoide secondario, dove i linfociti sono arrivati dal sangue, mentre l’antigene, o meglio, le APC professioniste, maturate in periferia, presentano l’antigene, qui avviene l’espansione clonale e la differenziazione, le cellule effettrici CD4 o CD8 escono dal linfonodo e attraverso il circolo sanguigno vanno nei tessuti. In quali tessuti? Ovviamente non escono dai tessuti a caso, vedremo che il processo di circolazione linfocitaria, di traffico linfocitario, così come si dice, è guidato da tutta una serie di segnali perché ovviamente sennò l’estensione del nostro organismo è enorme, se le cellule non sapessero benissimo dove uscire dal circolo, a livello di quale organo o di quale tessuto là dove eventualmente sia richiesta la loro presenza, sarebbero totalmente inefficaci. Quindi vedremo che ci sono tutta una serie di segnali, probabilmente più visibili di quello che si vede qua, che guidano, che orientano il traffico delle cellule effettrici al sito d’infezione. Nel sito d’infezione queste cellule ritroveranno l’antigene, perché comunque nel sito d’infezione ci saranno APC professioniste, dendritiche, macrofagi, che avranno presentato gli antigeni che vengono dal patogeno e che sono in grado di presentarle sia ai CD4 che ai CD8, scatenando le loro funzioni effettrici. Per quello che riguarda i CD8 la funzione effettrice è l’uccisione della cellula che gli presenta l’antigene di classe I, e questo può avvenire appunto anche se chi gli presenta l’antigene è una cellula tissutale infettata, per esempio, quindi una cellula che sicuramente non è capace di fornirgli alcun secondo segnale. Ma la cellula CD8 effettrice è in grado di attivarsi, proprio perché ha già subito un processo di attivazione, e di uccidere quindi di fare la sua risposta funzionale, anche in queste condizioni. La cellula CD4 effettrice helper nel momento in cui incontra l’antigene si mette a produrre quelle citochine che servono a organizzare e potenziare la risposta immunitaria nel tessuto, quindi nei confronti del patogeno. Allora, abbiamo visto quindi che l’assenza di secondo segnale rappresenta un livello di regolazione che restringe, diciamo, che limita la possibilità di dare risposte improprie, per esempio in assenza di danno, in assenza di un patogeno che stia veramente generando un danno. Ora, questo non è l’unico meccanismo che fa da baluardo al corretto funzionamento del sistema immunitario, adesso parliamo di un secondo meccanismo di regolazione negativa della risposta dei linfociti T che si basa su un recettore. Allora abbiamo detto che il CD28 è il principale co-recettore dei linfociti T in grado di avviare vie del segnale che portano appunto a questi famosi secondi segnali che sono essenziali se ricevuti contemporaneamente al segnale del Tcell recepito per l’attivazione del linfocita T. Ora in realtà il CD28 fa parte di una famiglia di recettori, molto ampia di cui non parleremo, parliamo soltanto di un componente di questa famiglia che è il recettore CTLA-4. CTLA-4 ha una certa omologia strutturale con il CD28 e l’omologia non si ferma qua, perché anche il CTLA-4 è in grado di riconoscere il CD80 e il CD86, quindi CD28 e CTLA-4 condividono gli stessi legandi sull’APC. La differenza qual è? Che il CTLA-4 è in grado di attivare vie di trasduzione del segnale che antagonizzano, quindi che bloccano, che interferiscono con le vie che partono dal CD28. E quindi il recettore CTLA-4 è un esempio, il primo esempio che incontriamo, di recettore inibitorio, sulla superficie dei linfociti. Vedremo che in realtà questo concetto del fatto che l’attivazione e l’attività del le cellule del sistema immunitario, è regolata, è tenuta sotto controllo, da recettori con funzione inibitoria, lo incontreremo anche in altri tipi cellulari, è una modalità diciamo comune che serve a focalizzare meglio, a regolare meglio, le attività funzionali delle cellule del sistema immunitario. Allora, quindi, due recettori condividono i ligandi e inviano ed attivano vie di trasduzione di segno opposto. C’è un’altra differenza e cioè che mentre il CD28 è espresso su tutte le cellule CD4, come dicevo, su circa la metà dei CD8, ma è espresso comunque sulla cellula naive, quindi è espresso sul linfocita T così come esce dal timo, in realtà il CTLA-4 è un recettore inducibile, cioè non è espresso sui linfociti T quiescenti, ma comincia ad essere espresso, i suoi livelli salgono progressivamente, sulle cellule T attivate. Quindi cosa succede, quando una cellula T naive incontra per la prima volta l’antigene, se presentato opportunamente da una APC matura che esprime i ligandi CD80 e CD86, il suo CD28 lega CD80 e CD86 e la cellula naive riceve il secondo segnale e lì si attiva. Mano mano che si attiva che prolifera, che diventa cellula effettrice, magari entra nel tessuto e lì incontra di nuovo l’antigene una volta, due volte, tre volte, questo processo di attivazione e riattivazione comincia a esprimere sulla membrana anche il CTLA-4. Quindi cosa succede, che quando incontra l’antigene in questa situazione, c’è una competizione fra i due recettori perché legano gli stessi ligandi. Peraltro il CTLA-4 ha un’affinità che è molto più ampia per il CD80 e il CD86 del CD28. Quindi se l’APC per esempio non esprime altissimi livelli di CD80 e CD86, nella competizione sarà il CTLA-4 che vince, che lega i ligandi, quindi può inviare i segnali inibitori, segnali negativi, mentre il CD28 non riesce a legare adeguatamente i suoi ligandi. Quindi, l’effetto inibitorio del CTLA-4 è in parte dovuto al fatto che può competere con il CD28 per il legame ai ligandi, questo se i ligandi sono presenti in quantità limitanti. Però anche se non avviene questo, cioè anche se questo linfocita attivata incontrasse un’ APC che ha livelli saturanti, ottimali diciamo, di CD80 e CD86, comunque le vie di trasduzione intracellulari del CTLA-4, sono in grado di sopprimere, di interrompere, di interferire con le vie di trasduzione del segnale attivate dal CD28. Ora il CTLA- 4 non è l’unico recettore di tipo inibitorio di cui son dotati i linfociti T e quindi il recettore che è in grado di bloccare, di interferire con l’attivazione di cellule T già attivate. Questa dicevo è una modalità comune non solo per i linfociti T ma anche per gli altri tipi di linfociti in cui quello che succede all’interno della cellula è un’integrazione fra segnali positivi che vengono dal TCR, che vengono dai recettori che fanno secondo segnale, con i segnali negativi interferenti che avvengono da recettori inibitori come il CTLA-4. Quindi la risposta finale del linfocita T dipenderà dal bilancio tra la forza relativa di questi due tipi di segnali. Se i segnali positivi sono più forti e questo avviene quando il CTLA-4 ancora non c’è, quindi stiamo parlando di una cellula naive, o quando la cellula T è stata diciamo attivata, ma non ancora incontrato ripetute volte l’antigene, allora la sua risposta sarà l’attivazione. Invece, mano mano che incontra l’antigene, i livelli di CTLA-4 aumentano Anche per gli altri tipi di linfociti, in cui quello che succede all'interno delle cellule è un'integrazione fra i segnali positivi che vengono dal TCR, che vengono dai recettori che fanno secondo segnale, con i segnali negativi, interferenti, che vengono dai recettori inibitori come il CTLA4, quindi la risposta finale del linfocita T dipenderà dal bilancio, dalla forza relativa di questi due tipi di segnali. Se i segnali positivi sono più forti, e questo avviene o quando il CTLA4 ancora non c'è, e quindi stiamo parlando di una cellula naive, o quando la cellula T è stata attivata ma non ha ancora incontrato ripetute volte l'antigene. Allora la sua risposta sarà l'attivazione. Invece mano mano che incontra l'antigene, i livelli di CTLA4 aumentano, quindi la suasoglia di attivazione aumenta sempre di più, diventa sempre più difficile, una ulteriore volta che incontra l'antigene riattivarsi, perché i segnali negativi del CTLA4 diventano progressivamente più forti. Questo è un meccanismo molto importante perché serve, non tanto a non far partire le risposte improprie dei linfociti T, perché si basa su un recettore che sulle cellule naive non c'è e quindi non può funzionare all'inizio della risposta immunitaria. Ma è uno dei meccanismi che contribuisce a spegnere, a limitare le risposte immunitarie. Cioè i linfociti T cronicamente attivati, cioè queli che incontrano e reincontrano e reincontrano l'antigene, vengono da questo tipo di meccanismo, e da altri vengono progressivamente inibiti. Allora questo serve nello spegnimento delle risposte immunitarie quando il patogeno è scomparso o quasi scomparso e quindi il recettore inibitorio CTLA4 è un recettore inibitorio che entra nello spegnimento della risposta contro i microbi, ma ha un ruolo molto importante anche nel limitare le risposte autoimmuni. Nelle risposte autoimmuni i linfociti T che riescono ad attivarsi nei confronti di antigeni self, visto che abbiamo detto che noi i linfociti contro gli antigeni self ce li abbiamo per definizione, quello che succede è che vengono tenuti sotto controllo. Allora il controllo può essere esercitato a vari livelli. In molti casi questi linfociti non si attivano proprio perché quando incontrano il loro autoantigene specifico lo incontrano sulla dendritica immatura, e quindi ricevono il segnale di anergia. Ma in alcuni casi potrebbero trovare una quantità di cosegnali sufficiente per far partire l'attivazione. In questo caso si ha l'espansione clonale e l'attivazione di linfociti T autoreattivi che sono potenzialmente capaci di scatenare la malattia autoimmune. Vi ricordate che vi ho detto che la malattia autoimmune non è uguale a una risposta autoreattiva. La malattia autoimmune è quando la risposta autoreattiva non si spegne e si mantiene nel tempo. Solo in quel caso riesce a dare un danno tissutale cronico, non più riparabile, che poi noi definiamo la malattia autoimmune. Nel momento in cui popolazioni di linfociti autoreattivi incontrano l'antigene, si attivano perché hanno trovato i segnali sufficienti per attivarsi, cosa succede? Nel circolare queste cellule lo continuano a incontrare perché per definizione un antigene che non scompare mai e che attiva in maniera cronica è proprio l'autoantigene, noi non ci potremo mai liberare di un autoantigene così come ci liberiamo di un microbo. Solo che quello che succede è che queste popolazioni T autoreattive, mano mano che reincontrando l'antigene si attivano, aumentano anche l'espressione di CTLA4 che quindi contribuisce a rendere sempre più difficile che si continui la risposta. Il recettore inibitorio CTLA4 entra come meccanismo di controllo negativo dell'attivazione dei linfociti T sia nelle risposte protettive, cioè è un meccanismo che serve a far finire le risposte fisiologiche, sia per tenere sotto controllo le risposte patologiche come le risposte autoimmuni. Come fa ad interferire con la via di attivazione. Succede che alla coda del CTLA4 sono associate delle tirosinofosfatasi citoplasmatiche che vanno a defosforilare i substrati delle tirosin kinasi responsabili della via di attivazione del TCR e del CD28. Laddove per propagare il segnale c'è bisogno di un datek??? di fosforilazione in tirosina di substrati diversi, come abbiamo visto ci possono essere degli enzimi che vengono attivati, per esempio dalla fosforilazione della tirosina, le tirosino fosfatasi attivate dal recettore inibitorio staccando questi residui fosfato interferiscono, spengono queste vie di trasduzione del segnale, non con tutte, ma quello che succede, se vi ricordate ho detto che le vie di attivazione del segnale arrivano tutte la nucleo, e consistono nell'attivazione di una serie di fattori trascrizionali, è che il pannello di fattori trascrizionali che si attiva, in presenza della segnalazione di un recettore inibitorio, è un quadro diverso da quello che si attiva quando il linfocita T riceve tutti i segnali correttamente per l'attivazione, e quello che succede è che si attivano dei set di geni differenti. Quindi laddove, quando il linfocita T riceve il primo e secondo segnale, le vie di trasduzione del segnale portano alla produzione di IL2, fattore di crescita, all'espressione del recettore della catena alfa del recettore per l'IL2, e questo dipende dalla cooperazione di diversi fattori trascrizionali, sapete che il controllo trascrizionale di un gene non dipende mai da un singolo fattore trascizionale, ma da una costellazione di fattori trascrizionali, che si attivano tutti in maniera coordinata, a partire proprio dalle vie di trasduzione del segnale, quando si ha invece l'interferenza da parte del recettore inibitorio, soltanto alcuni fattori trascrizionali si attivano, questo contribuisce all'attivazione di fattori diversi che servono a sintetizzare per gli intermedi citoplasmatici che sono quelli poi responsabili dello stato di anergia, di blocco funzionale. Quindi abbiamo visto due meccanismi diversi di controllo negativo della risposta, che si basano sull'anergia: uno dipende dall'assenza di secondo segnale, l'altro dipende dalla presenza di segnali che derivano dai reccettori inibitori. Funzionano in due momenti diversi della risposta immunitaria quando c'è la mancanza del secondo segnale il linfocita T non si attiva proprio. Quando invece il blocco funzionale dipende da un recettore inibitorio che è espresso solo su una cellula già attivata, quindi per definizione qui l'attivazione è già partita, ma il ruolo del recettore inibitorio è di portare allo spegnimento di una risposta funzionale già in corso quindi, intervengono in due momenti diversi ma sono entrambi due meccanismi che insieme servono a controllare negativamente l'attivazione dei linfociti T. quindi se dobbiamo riprendere in esame, quali sono i fattori che dicono al sistema immunitario come regolarsi nei confronti di un antigene che si presenta al sistema, e quindi qual'è la decisione corretta da prendere. Quali sono i parametri ai quali il sistema immunitario fa attenzione per capire se l'antigene in questione è un antigene contro cui vale la pena rispondere o meno. Per esempio la localizzazione dell'antigene, normalmente gli antigeni dei patogeni arrivano dalla periferia. Questo significa che i linfociti li incontrano negli organi linfoidi secondari, quando sono maturi. Invece se un certo antigene è presente negli organi linfoidi primari, quelli dove avviene la maturazione, che sono midollo osseo e timo, degli organi molto interni, è molto probabile che l'antigene in questione sia un antigene self. E infatti è su questo criterio che si basa la selezione. Cioè il fatto che tutto ciò che io incontro in un organo schermato, relativamente interno come l'organo dove avviene la maturazione, è un antigene self, non viene da un patogeno e quindi se il recettore del linfocita lo lega ad alta affinità, questo genera un segnale di morte e non di sopravvivenza. Un altro criterio sul quale il sistema immunitario si fonda è la presenza o assenza dei secondi segnali. Che significa, si è attivata o no l'immunità innata nei confronti di questo antigene? E questo mi dice qualcosa visto che l'immunità innata possiede tutta quella serie di sensori per vedere direttamente i componenti microbici, o per vedere direttamente il danno tissutale. Un po' il linfocita T si basa su quello. Se trova il prodotto di quell'attivazione, cioè le citochine che l'APC fa, i ligandi del CD28, questo permette l'attivazione. Mentre invece solitamente gli antigeni self non vengono presentati in presenza di secondi segnali. L'altro criterio che pure è importante è quanto a lungo dura questo antigene. Questo perché normalmente le risposte immunitarie sono risposte che durano un arco di tempo limitato, quindi il sistema immunitario, nei suoi meccanismi omeostatici, ogni volta che si attiva nei confronti di un antigene contemporaneamente mette in moto dei meccanismi che dopo un certo tempo devono servire a spegnere la risposta. Questo perché fisiologicamente nella stragrande maggioranza dei casi il patogeno viene distrutto e quindi la risposta deve finire. Ora invece dove l'antigene è presente cronicamente e viene incontrato cronicamente, c'è un antigene, o è un autoantigene, o è un antigene che viene incontrato da un'infezione persistente perché non viene sconfitto. Ma il problema è che dato che le risposte immunitarie sono troppo tossiche e aggressive, devono finire ad un certo punto, cioè il continuare a combattere un patogeno che dà un'infezione cronica può non convenire in termini evolutivi, perché il danno che un'attivazione cronica che il sistema immunitario dà è maggiore del guadagno di tentare di estirpare l'infezione cronica. E mi pare che QUESTO FOSSE TUTTO. Simona Gentile, Simone Lo Baido, Alessandro Caioli