Comitato Organizzatore e Scientifico
Pellegrino Musto
Attilio Olivieri
Alberto Fragasso
IRCCS, Centro di Riferimento
Oncologico della Basilicata,
Rionero in Vulture
Azienda Ospedaliera
S. Carlo,
Potenza
Ospedale
Madonna delle Grazie,
Matera
IRCCS – CROB
Rionero in Vulture (PZ)
Azienda Ospedaliera
San Carlo – Potenza
Azienda Sanitaria Locale
Matera
Regione
Basilicata
Incontro Annuale
delle U. O. di Ematologia
e Centri Trapianto
dell’Italia Meridionale e Insulare
Presidente: Pellegrino Musto
Matera,
10 - 12 Settembre 2009
Hotel Hilton Garden Inn
Segreteria Organizzativa
Corso di Nursing in Ematologia
Via Salvatore Matarrese, 47/G – 70124 Bari
Tel. 080.5045353 Fax 080.5045362
[email protected]
Coordinatore: Attilio Olivieri
Matera, 12 Settembre 2009
Hotel Hilton Garden Inn
VOLUME ABSTRACTS
IRCCS – CROB
Rionero in Vulture (PZ)
Azienda Ospedaliera
San Carlo – Potenza
Azienda Sanitaria Locale
Matera
Regione
Basilicata
Incontro Annuale
delle U. O. di Ematologia
e Centri Trapianto
dell’Italia Meridionale e Insulare
Presidente: Pellegrino Musto
Matera, 10 - 12 Settembre 2009
Hotel Hilton Garden Inn
Corso di Nursing in Ematologia
Coordinatore: Attilio Olivieri
Matera, 12 Settembre 2009
Hotel Hilton Garden Inn
VOLUME ABSTRACTS
PREFAZIONE
Cari Amici e Colleghi,
questo periodico e ormai tradizionale appuntamento annuale rappresenta un importante momento di confronto e
di discussione per tutte le UUOO di Ematologia e Centri Trapianto dell’Italia Meridionale, con il coinvolgimento di
Basilicata (quest’anno regione organizzatrice), Campania, Puglia, Calabria, Abruzzo, Molise, Sicilia e Sardegna.
Nel corso del Convegno, articolato in diverse sessioni monotematiche moderate da Ematologi senior responsabili
di strutture complesse di Ematologia, verranno riportate esperienze cliniche e biologiche da parte dei diversi gruppi
Universitari ed Ospedalieri ematologici di questa ampia area geografica. L’obiettivo principale dell’incontro sarà
quello di lasciare ampio spazio alla discussione ed alla presentazione di dati originali da parte dei giovani Ematologi
appartenenti alle diverse Scuole, con particolare riferimento al sottile confine fra pratica quotidiana, utilizzo off-label dei
nuovi farmaci e sperimentazione clinica, nonché alle più recenti innovazioni tecnologiche e biomolecolari nella ricerca
ematologica clinica e di base.
I temi trattati, riassunti in 80 abstracts pervenuti al Comitato Organizzatore (che troveranno tutti spazio per una
breve presentazione orale) riguarderanno principalmente le più importanti neoplasie ematologiche (leucemie acute e
croniche, linfomi, mielomi, sindromi mielodisplastiche e mieloproliferative), con specifica attenzione ai trattamenti
innovativi di recente introduzione o di prossimo utilizzo nella pratica clinica ed alle linee di ricerca più avanzate, ivi
incluse le procedure trapiantologiche con cellule staminali autologhe ed allogeniche. Sarà altresì dato ampio spazio
ad emopatie non neoplastiche, quali emoglobinuria parossistica notturna, citopenie autoimmuni, aplasie midollari
e, in particolare, ad una patologia di confine fra ematologi, pediatri ed internisti, come la malattia di Gaucher, cui
verrà dedicato uno specifico simposio. Vi saranno inoltre sessioni preposte allo sviluppo di nuove possibili proposte
di collaborazioni scientifiche multicentriche, in particolare nell’ambito del Working Party GIMEMA per il mieloma
multiplo, distretto SUD, ed alla divulgazione delle nuove Linee Guida SIE, SIES e GITMO relative al trattamento delle
sindromi mielodisplastiche, sviluppate nel 2009.
Nel corso dell’incontro, le 3 migliori presentazioni da parte di giovani ematologi, selezionate in maniera anonima da
una apposita commissione scientifica, riceveranno un premio dedicato alla memoria di uno dei più illustri rappresentanti
dell’Ematologia Italiana, il Prof. Bruno Rotoli, Cattedratico dell’Università di Napoli, recentemente scomparso.
Ci è sembrato infine opportuno e doveroso dedicare una intera giornata ad un Corso di Nursing per gli Infermieri
che lavorano in Reparti di Ematologia e Trapianto, durante il quale verranno discusse importanti tematiche relative alla
qualità dell’assistenza, alle procedure di accreditamento, alle complicanze post- trapiantologiche, alle problematiche del
Day-Hospital e dell’anziano fragile, al ruolo dell’Infermiere nella ricerca ed alla assistenza psicologica dei nostri pazienti.
Certi che questo Meeting risulterà scientificamente valido e proficuo, diamo a tutti voi un affettuoso benvenuto,
augurandovi un piacevole soggiorno nella splendida cornice di Matera.
Rionero in Vulture, 28 Agosto 2009
Pellegrino Musto
Attilio Olivieri
Alberto Fragasso
•
iii •
INDICE
pag.
MALATTIA DI GAUCHER NELL’ADULTO: L’IMPORTANZA DI UNA DIAGNOSI PRECOCE
A. Melpignano, G. Mele, M.R. Coppi, G. Quintana, M. Caliandro e G. Quarta
UOC Ematologia, Ospedale “A. Perrino”, Brindisi
1
MALATTIA DI GAUCHER TIPO I. DESCRIZIONE DI UN CASO CLINICO
Renato Cantaffa. Antonio Peta.
SOC di Ematologia Diparimento OncoEmatologico Presidio Ospedaliero De Lellis Azienda Ospedaliera PuglieseCiaccio 88100, Catanzaro.
2
TRATTAMENTO DEL LINFOMA NON HODGKIN A GRANDI CELLULE B PRIMITIVO
DEL MEDIASTINO (PMBCL) CON IMMUNOCHEMIOTERAPIA R-CHOP E RADIOTERAPIA
INVOLVED-FIELD (RTIF): ESPERIENZA DEL CENTRO DI PESCARA
Simona Falorio, Francesca Fioritoni, Giuseppe Fioritoni e Francesco Angrilli.
Dipartimento di Ematologia, Ospedale Spirito Santo, Pescara.
3
CARCINOMA NEUROENDOCRINO A PICCOLE CELLULE SIMULANTE UN LINFOMA AD ALTO
GRADO IN FASE LEUCEMICA
Galleu A, Bella M*, Sini C∞, Nieddu MR, Podda L, Massa A, Careddu MG, Bonfigli S, Piras MA *, Farris A∞,
Fozza C.
Istituti di Ematologia, Anatomia Patologica* ed Oncologia∞, Università di Sassari, Sassari.
4
EFFICACIA E TOLLERABILITÀ DI YTTRIUM-90 IBRITUMOMAB TIUXETAN IN PAZIENTI
ANZIANI CON LINFOMA NON HODGKIN INDOLENTE
G. Palumbo1. M. Dell’Olio2, M.G. Franzese1, A. Guarini3, N. Di Renzo4, G. Spinosa1, A. Lapietra3, E. Pennese4, N.
Cascavilla2, S. Capalbo1
SC Ematologia, Ospedali Riuniti Azienda Ospedaliero-Universitaria, Foggia (1); Ematologia, IRCCS “Casa
Sollievo della Sofferenza”, San Giovanni Rotondo (2); UO Ematologia, IRCCS “Istituto Tumori Giovanni Paolo
II”, Bari (3); Ematologia, AO “Vito Fazzi”, Lecce (4).
5
ANGIOGENESI NEI LINFOMI NON HODGKIN (NHL) INDOLENTI
Guarini A., Minoia C., Iacobazzi A., Rana A., Lapietra A., Daniele G., Ferrucci A., Popescu O.*, Labriola A*,
Zito F.A.*
U.O. Ematologia, *UO Anatomia Patologica, Dipartimento di Oncologia Medica, IRCCS Istituto Tumori
“Giovanni Paolo II”, Bari
6
LINFOMI NON HODGKIN DEGLI ANNESSI OCULARI: ANALISI RETROSPETTIVA DELLA
CASISTICA DI UN SINGOLO CENTRO
T.Perrone, F.Gaudio, S.Guerriero*, A.Gentile”, A.Giordano, P Curci, A.Spina, C de Risi, F.Laddaga,S Scardino,
C.Sborgia*, G.Specchia, V.Liso.
Ematologia con Trapianto Università di Bari
7
LINFOMA NON HODGKHIN AGGRESSIVO NEI PAZIENTI ANZIANI “FRAGILI”:
LA NOSTRA ESPERIENZA
Specchia MR, Casulli F., Maggi A., Mazza P.
U.O. di Ematologia e Trapianto di midollo osseo – Ospedale “S. G. Moscati”, Taranto
8
•
v•
pag.
CHEMIOTERAPIA CON CICLI ALTERNATI R-MICMA/R-IGEV NEI PAZIENTI ANZIANI CON
LINFOMA NON HODGKIN DIFFUSO A GRANDI CELLULE B RESISTENTE AL TRATTAMENTO
DI I LINEA: UNA LOTTA CONTRO I MULINI A VENTO?
GIORDANO G, FARINA G, PIANO S, PETRILLI MP, STORTI S
U.O.C. Onco-Ematologia Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Teconologia Università Cattolica del Sacro
Cuore, Campobasso.
9
EFFICACIA DI UN MANTENIMENTO MENSILE CON RITUXIMAB IN PAZIENTI CON LINFOMA
DELLA ZONA MARGINALE
Graziani F, Caparrotti G, Esposito D, De Falco G, Iovane E, Pagnini D.
Unità Operativa di Ematologia – P.O. San Felice a Cancello – ASL CE 1.
10
RUOLO DELLA 18F-FDG-PET NEL LINFOMA FOLLICOLARE: ESPERIENZA DI UN SINGOLO
CENTRO
Mansueto G., Guariglia R., Pietrantuono G., Villani O., Martorelli M.C., Nappi A. (1), Venetucci A. (1), Suriano
V. (1), Urbano N. (1), D’Auria F., Grieco V., Bianchino G. (2), Sparano A., Zonno A., Lerose R. (3), Storto G.
(1), Musto P.
Unità di Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali, (1) Medicina Nucleare, (2) Oncologia Molecolare, and (3)
Farmacia, IRCCS, Centro di Riferimento Oncologico della Basilicata, Rionero in Vulture (Pz).
11
ANALISI PROTEOMICA NELLA LEUCEMIA LINFATICA CRONICA ATTRAVERSO METODOLOGIA
MALDI-TOF MS PROFILING
Bossio S, Gentile M,Vigna E, Lucia E,Mazzone C,Franzese S, Caruso N, Servillo P,Gigliotti V, Le Pera M1,
Urso E1, Recchia A G,Cavalcanti S, Gentile C, Bisconte MG, Qualtieri A1 and Morabito F.
U.O.C di Ematologia, Azienda Ospedaliera di Cosenza. 1. Istituto di Scienze Neurologiche (ISN), CNR Piano lago,
Cosenza.
12
CORRELAZIONE DEL POLIMORFISMO GENICO DI MDR-1 CON I NUOVI MARCATORI
PROGNOSTICI IN PAZIENTI AFFETTI DA LEUCEMIA LINFATICA CRONICA A CELLULE B
Allegra A.1, Aguennouz M.2, Alonci A.1, Bellomo G.1, Cannavò A.1, Petrungaro A.1, Garufi A.2, Centorrino R.1,
D’Angelo A.1, Musolino C.1
1
Divisione di Ematologia, 2 Dipartimento di Neuroscienze – Policlinico G. Martino – Università di Messina.
13
VARIANTE HODGKIN DELLA SINDROME RICTHER: DESCRIZIONE DI UN CASO
M. Troiano, M.L. Vigliotti, G. Monaco, E. Attigenti, S.Iaccarino, A. Abbadessa.
U.O.C Oncoematologia, A.O.R.N. S.Anna e S. Sebastiano, Caserta.
14
IL CONTRIBUTO DELLA CITOFLUORIMETRIA (FC) NELLA DIAGNOSI DI PATOLOGIE MALIGNE E
NON MALIGNE NELLE BIOPSIE LINFONODALI
Franzese S, Vigna E, Gentile M, Lucia E, Mazzone C, Bossio S, Caruso N, Servillo P, Gigliotti V, Qualtieri G,
Recchia A G, Bisconte MG, Gentile C, 1Romeo F, 1De Stefano R, 2Megna M, 2Massucco C, Cavalcanti S, 2Zupo S
and Morabito F.
U.O.C di Ematologia, Azienda Ospedaliera di Cosenza; 1U.O.C. di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera di
Cosenza; 2Divisione di Diagnostica delle malattie Linfoproliferative, IST Genova.
15
RITUXIMAB BASED THERAPY NELLA MACROGLOBULINEMIA
DI WALDESTROM: ANALISI DI SETTE CASI CLINICI
Quintana G., Giannotta A., Loseto G., Quarta G.
U.O. Ematologia, Osp. A. Perrino Brindisi.
16
EFFICACIA DELL’ECULIZUMAB NEI PAZIENTI CON EMOGLOBUNIRIA PAROSSISTICA
NOTTURNA NON TRASFUSI
Elisa Seneca, Ludovica Marando, Fiorella Alfinito, Antonio M. Risitano, Bruno Rotoli.
Ematologia, Dipartimento di Biochimica e Biotecnologie Mediche, Università Federico II, Napoli.
17
PORPORA TROMBOTICA TROMBOCITOPENICA: STUDIO RETROSPETTIVO DI 10 CASI
Coppi M.R.*, De Sangro M.A.°, Brocca M.C.*, Melpignano A.*, Mele G.*, Pinna S.*, Cucci F.°, Quarta G.*
* U.O. Ematologia e Centro Trapianti – Ospedale “A. Perrino” – Brindisi, ° SIMT – Ospedale “A. Perrino”.
Brindisi.
18
•
vi •
pag.
EVOLUZIONE NELLA TERAPIA FERROCHELANTE DELLA TALASSEMIA: STATO DELL’ARTE IN UN
SINGOLO CENTRO
Antonella Quarta, Angela Melpignano, Mariapia Solfrizzi, Maria Rosaria Coppi, Angela Giannotta, Maurizio
Brocca, Marco Piliego, Mariolina Perrucci, Carmela Francioso, Giovanni Quarta.
U.O.C Ematologia, Ospedale “A. Perrino”- Brindisi.
19
TRATTAMENTO CON RITUXIMAB DI UN CASO DI PORPORA TROMBOTICA
TROMBOCITOPENICA CON DEFICIT DI IgA
MG. Franzese, G. Palumbo, G. Spinosa, N. Mangialetto, A. Ricciardi, S. Capalbo
SC Ematologia, Ospedali Riuniti Azienda Ospedaliero-Universitaria, Foggia.
20
TALASSEMIA e GRAVIDANZA: ESPERIENZA MONOCENTRICA
Mariapia Solfrizzi, Angela Melpignano, Antonella Quarta, Mariolina Perrucci, Carmela Francioso, Giovanni
Quarta.
U.O.C Ematologia – Centro della Microcitemia- Ospedale “A. Perrino”- Brindisi.
21
VALUTAZIONE DEL SOVRACCARICO DI FERRO NEL MIOCARDIO CON RISONANZA
MAGNETICA (RM) T2* IN PAZIENTI CON TALASSEMIA ED ANEMIE ACQUISITE TRASFUSIONE
DIPENDENTI
Angela Ciancioa, Alberto Fragassoa, Clara Mannarellaa, Michele Nardella b, Cristiano Turchettic, Angelo Pelusod,
Giovanni Quartae, Angela Melpignanoe, Maria Rosaria Vegliof
a
Unità Semplice di Ematologia, Ospedale Madonna delle Grazie. Matera; b Struttura Complessa di Radiologia,
Ospedale Madonna delle Grazie, Matera.
c
Alliance Medical Srl. Roma. Italy. Unità di Risonanza Magnetica. Ospedale Madonna delle Grazie. Matera.
d
Struttura Semplice di Microcitemia, ASL TA1, Ospedale SS. Annunziata. Taranto
e
U.O.C. Ematologia, Ospedale Perrino. Brindisi
f
U.O. Pediatria, Ospedale Sacro Cuore di Gesù. Gallipoli 5 RIV, X MT
22
ESPRESSIONE DEL CD200 NEI PAZIENTI CON ANEMIA EMOLITICA AUTOIMMUNE
Nunziatina Parrinello, Anna Maria Triolo, Annalisa Chiarenza Vittorio Del Fabro, Maide Cavalli, Luciana
Schinocca, (1) Concetta Conticello, Alessandra Cupri, Francesco Di Raimondo
Dipartimento di Scienze Biomediche, Divisione di Ematologia, Università di Catania, Ospedale Ferrarotto,
Catania, (1) Dipartimento di Oncologia Sperimentale, Istituto Oncologico del Mediterraneo, Viagrande, (CT)
23
MONITORAGGIO DELLA RISPOSTA MOLECOLARE NELLA LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA
Coppi M.R., Giannotta A., Brocca M.C., Girasoli M., Romano A., Loseto G., Quarta G.
U.O. Ematologia e Centro Trapianti – Ospedale “A. Perrino” – Brindisi.
24
USO DEL DASATINIB IN UN PAZIENTE AFFETTO DA LEUCEMIA MIELODE CRONICA ED EDEMA
RETINICO DOVUTO ALL’IMATINIB
Esposito M., Villa M.R., Lucania A., Della Cioppa P., Gagliardi A., Russolillo S., Carola A., Improta S., Mastrullo L.
U.O.C. Ematologia P.O. San Gennaro, ASL NA1, Napoli.
25
DELEZIONI SUL CROMOSOMA DER(9) E APLOINSUFFICENZA NELLA LEUCEMIA MIELOIDE
CRONICA
Luisa Anelli1, Antonella Zagaria1, Francesco Albano1, Nicoletta Coccaro1, Paola Casieri1, Antonella Russo Rossi1,
Vincenzo Liso1, Mariano Rocchi2, Giorgina Specchia1
1
Ematologia con Trapianto – Università degli Studi di Bari; 2DI.GE.MI. – Università degli Studi di Bari.
26
Dasatinib e nilotinib favoriscono la differenziazione in osteoblasti delle
cellule staminali mesenchimali del midollo osseo
Daniele Tibullo, Cesarina Giallongo, Piera La Cava, Vittorio Del Fabro, Fabio Stagno, Annalisa Chiarenza, (1)
Concetta Conticello, Giuseppe A. Palumbo, Francesco Di Raimondo
Dipartimento di Scienze Biomediche, Divisione di Ematologia, Università di Catania, Ospedale Ferrarotto,
Catania, (1) Dipartimento di Oncologia Sperimentale, Istituto Oncologico del Mediterraneo, Viagrande, CT.
27
L’IMATINIB AUMENTA LA CITOTOSSICITÀ DEL MELFALAN E LA LORO COMBINAZIONE
MIGLIORA IL KILLING DELLE CELLULE LEUCEMICHE UMANE
Cesarina Giallongo, Piera La Cava, Daniele Tibullo, Nunziatina Parrinello, Provvidenza Guagliardo, Vittorio
Del Fabro, Fabio Stagno, Annalisa Chiarenza, Carla Consoli, Giuseppe A. Palumbo, Francesco Di Raimondo.
Dipartimento di Scienze Biomediche, Divisione di Ematologia, Università di Catania, Ospedale Ferrarotto,
Catania.
28
•
vii •
pag.
RUOLO DELL’EME OSSIGENASI 1 NELLA RESISTENZA AD IMATINIB MESILATE IN CELLULE DI
LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA
Daniele Tibullo, Piera La Cava, Cesarina Giallongo, (1)Ignazio Barbagallo, Vittorio Del Fabro, Annalisa Chiarenza,
(2)Concetta Conticello, Fabio Stagno, Giuseppe A. Palumbo and Francesco Di Raimondo.
Dipartimento di Scienze Biomediche, Divisione di Ematologia, Università di Catania, Ospedale Ferrarotto, Catania,
(1)Dipartimento Scienze Biochimiche e Biologia Molecolare, Università di Catania, (2)Dipartimento di Oncologia
Sperimentale, Istituto Oncologico del Mediterraneo, Viagrande, CT
Dipartimento di Scienze Biomediche, Divisione di Ematologia, Università di Catania, Ospedale Ferrarotto, Catania.
29
Valutazione dell’espressione della proteina BRIT1 nella leucemia mieloide
cronica e dei suoi effetti sulla regolazione del checkpoint G2/M
Cesarina Giallongo, Daniele Tibullo, Piera La Cava, Provvidenza Guagliardo, Vittorio Del Fabro, Fabio Stagno,
Annalisa Chiarenza, Carla Consoli, Giuseppe A. Palumbo, Francesco Di Raimondo
Dipartimento di Scienze Biomediche, Divisione di Ematologia, Università di Catania, Ospedale Ferrarotto,
Catania.
30
LINFOCITI T POLICLONALI SPECIFICI PER L’ANTIGENE PREFERENZIALMENTE ESPRESSO NEI
MELANOMI (PRAME) POSSONO ESSERE RIATTIVATI ED ESPANSI A PARTIRE DA PAZIENTI
AFFETTI DA PATOLOGIE LEUCEMICHE, INCLUSA LA LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA
Quintarelli C1, De Angelis B1,3, Savoldo B3, Dotti G3, L. Luciano2, Heslop H3, Rooney C3, Brenner M3, B. Rotoli2,
Pane F1,2.
1.CEINGE – Biotecnologie Avanzate and Dipartimento di Biochimica e Biotecnologie Mediche, University
Federico II di Napoli, Italy. 2.AF Ematologia, Università degli Studi di Napoli – “Federico II”, Italy. 3.Center for
Cell and Gene Therapy, Baylor College of Medicine, Houston TX.
31
IDENTIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DI VARIANTI COMPLESSE DEL CROMOSOMA
PHILADELPHIA NELLA LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA CON LA FISH (FLUORESCENT IN SITU
HYBRIDIZATION)
Caliendo I1., Luciano L.3, Danise P.2De Vita B.1, Pisano I.3, Guerriero A.3, Clemente L.1, Ingenito M.1, D’Arco A. M.2.
1
Dipartimento di Patologia Clinica, 2Dipartimento di Onco-Ematologia, A.O. Umberto I, Nocera Inferiore.
3
Dipartimento di Ematologia, Università Federico II, Napoli.
32
LA MUTAZIONE V617 DI JAK2 NELLE LEUCEMIE ACUTE SECONDARIE A SINDROMI
MIELOPROLIFERATIVE CRONICHE
Rinaldi CR1, Rinaldi P1, Martinelli V1, Battipaglia G1, Martino B2, Specchia G3, Candoni A4, Ciancia R1, Gugliotta
L5, Vannucchi AM6, Barbui T7, Rotoli B1 and Pane F1.
1
AF Ematologia, Università Federico II – DBBM e CEINGE Centro di Biotecnologie Avanzate, 2 A.O. BianchiMelacrino-Morelli, Reggio Calabria, 3Università Degli Studi di Bari, Ematologia, 4Università di Udine –
Ematologia, 5Arcispedale S. Maria Nuova AO di Reggio Emilia, 6AUO Firenze – Ematologia, 7Ospedali RiunitiBergamo.
33
ASSENZA DELLA MUTAZIONE JAK2 V617F NEL COMPARTIMENTO LINFOIDE DI UN PAZIENTE
AFFETTO DA TROMBOCITEMIA ESSENZIALE E LEUCEMIA LINFATICA CRONICA A CELLULE B
ED IN DUE PARENTI AFFETTI DA DISORDINI LINFOPROLIFERATIVI
Penna G., Alonci A., Bellomo G., Allegra A., Granata A., Rizzotti P., Russo S., Gerace D., Musolino C.
Divisione di Ematologia. Policlinico G. Martino. Università di Messina.
34
RISCHIO TROMBOTICO IN PAZIENTI AFFETTI DA TROMBOCITEMIA ESSENZIALE
Alati C., Martino B., Ronco F., Vincelli I., Marino A., Nobile F.
U.O. Ematologia. Azienda Ospedaliera Bianchi-Melacrino-Morelli. Reggio Calabria.
35
EMOPATIE MALIGNE: LA GESTIONE DEL DI STRESS PSICOLOGICO
M. Carozza, G. Monaco, M. Troiano, A. Abbadessa
U.O.C. Oncoematologia, A.O.R.N. S. Anna e S. Sebastiano, Caserta.
36
L’EMATOLOGIA DELL’IRCCS-CROB DI RIONERO IN VULTURE TRA RICERCA E CLINICA:
UN ANNO DI DATA MANAGEMENT
A. Sparano, A. Zonno, F. D’Auria, V. Grieco, R. Guariglia, G. Pietrantuono, O. Villani, MC. Martorelli,
G. Mansueto, P. Musto
Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali,IRCCS, Centro di Riferimento Oncologico della Basilicata, Rionero in
Vulture (PZ).
37
•
viii •
pag.
VALUTAZIONE DEI LINFOCITI T REGOLATORI IN PAZIENTI CON SINDROME
MIELODISPLASTICA
Francesco Longu1, Claudio Fozza1, Marco Murineddu2, Attilio Gabbas2, Antonio Galleu1, Salvatore Contini1,
Patrizia Virdis1, Antonella Massa1, Silvana Bonfigli1, Maurizio Longinotti1
1
Istituto di Ematologia, Università di Sassari; Divisione di Ematologia, Ospedale San Francesco, Nuoro.
38
ESPRESSIONE DEL WT1 NELLE SINDROMI MIELODIPLASTICHE (SMD)
Improta S., Villa M.R., Lucania A., Esposito M., Della Cioppa P., Gagliardi A., Nitrato Izzo G., Quirino A.A.,
*Polistina M.T., Mastrullo L.
U.O.C. Ematologia P.O. San Gennaro e *U.O.C. Biochimica e Genomica Molecolare P.S.I. Loreto Crispi, ASL
NA1, Napoli.
39
IL TRATTAMENTO FERROCHELANTE PRECOCE CON DEFERASIROX PRODUCE UNA RIDUZIONE
DURATURA DEL FABBISOGNO TRASFUSIONALE NELLE SINDROMI MIELODISPLASTICHE:
DESCRIZIONE DI UN CASO CLINICO
Giuseppina Spinosa, Maria Grazia Franzese, Gaetano Palumbo, Silvana Capalbo.
Hematology – Ospedali Riuniti di Foggia – Azienda Ospedaliero-Universitaria, Foggia, ITALY.
40
CARATTERIZZAZIONE IMMUNOFENOTIPICA DELLE SINDROMI MIELODISPLASTICHE
MEDIANTE ANALISI CITOFLUORIMETRICA DI PARAMETRI QUANTITATIVI E RIPRODUCIBILI
D’Auria F. Grieco V, Guariglia R, Pietrantuono G, Villani O, Martorelli MC, Mansueto GR, Sparano A, Zonno
A, La Starza R*, Mecucci C*, Della Porta MG**, Musto P. Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali, IRCCS,
Centro di Riferimento Oncologico della Basilicata, Rionero in Vulture (Pz); * Laboratorio di Citogenetica,
Ematologia ed Immunologia Clinica, Università di Perugia;** Ematologia, Fondazione IRCCS Policlinico S.
Matteo, Pavia.
41
IL BILANCIO MARZIALE IN SINDROMI MIELODISPLASTICHE ALLA DIAGNOSI
Bianca Maria Ricerca, Maria Teresa Voso, Marianna Criscuolo, Mariangela Greco, Luana Fianchi, Livio Pagano,
Giulio Giordano*, Silvia Piano*, Sergio Storti* and Giuseppe Leone
Istituto di Ematologia – Università Cattolica del Sacro Cuore – Roma; *Centro di Ricerca e Formazione ad Alta
Tecnologia nelle Scienze Biomediche -Università Cattolica del Sacro Cuore – Campobasso.
42
TERAPIA CON 5-AZACITIDINA NELLE SINDROMI MIELODISPLASTICHE:
ANALISI RETROSPETTIVA DI 177 PAZIENTI ARRUOLATI IN UN PROGRAMMA NAZIONALE
DI USO COMPASSIONEVOLE NOMINALE
O. Villani, L. Maurillo, A. Spagnoli, A. Gozzini, F. D’Auria, N. Cecconi, M. D’Argenio, M. Lunghi, G. Palumbo,
F. Rivellini, M. Genuardi, S. Sibilla, G. Mele, N. Filardi, G. Sanpaolo, E. Vigna, D. Pastore, A. Tonso, C. Fili,
A. Candoni, B. Pollio, S. Rocco, A. Santagostino, E. Balleari, V. Cassibba, P. Della Cioppa, C. Mazzone, M.
Mianulli, E. Oliva, L. Ciuffreda, E. Orciuolo, C. Tatarelli, D. Russo, N. Di Renzo, A.M. D’Arco, V. Mettivier, F.
Morabito, N.Cascavilla, P. Mazza, F. Di Raimondo, M.T. Voso, M.A. Aloe-Spiriti, G. Gaidano, D. Ferrero, F.
Nobile, G. Quarta, A. Riezzo, V. Pavone, A. Levis, M. Petrini, A. Olivieri, F. Ferrara, G. Specchia, G. Leone, A.
Venditti, V. Santini, P. Musto.
Gruppo Cooperatore Italiano per lo Studio dell’Azacitidina nelle Sindromi Mielodisplastiche e nelle Leucemie
Acute Mieloidi.
43
L’UTILIZZO DELLE RICOSTRUZIONI 3D MEDIANTE TC 64 STRATI NELLO STUDIO DEL MIELOMA
MULTIPLO (MM) ASINTOMATICO: VALORE PROGNOSTICO
Giuseppe Mele*, Anna Grazia D’Agostino#, Salvatore Pinna*, Maria Rosaria Coppi*, Maurizio Claudio Brocca*,
Angela Melpignano*, Grazia Angone# Giovanni Quarta*
U.O. di Ematologia e Centro Trapianto*, U.O. di Radiologia# – Ospedale A. Perrino, Brindisi.
44
PROGRESSIONE EXTRAMIDOLLARE NONOSTANTE RISPOSTA COMPLETA MIDOLLARE
DURANTE TERAPIA CON BORTEZOMIB IN PAZIENTI CON MIELOMA MULTIPLO: REPORT DI
TRE CASI CLINICI
Natale A, Pulini S, Morelli AM, Carlino D, Spadano A, Fioritoni G
U.O. di Ematologia Clinica Ospedale Civile “Santo Spirito”, Pescara.
45
CIFOPLASTICA PERCUTANEA NEL TRATTAMENTO DELLE FRATTURE VERTEBRALI DI
PAZIENTI AFFETTI DA NEOPLASIE EMATOLOGICHE
Villa M.R., Nina P.P.*, Arpino L.*, Improta S., Lucania A., Esposito M., Della Cioppa P., Gagliardi A., Franco
A.*, Mastrullo L.
UOC Ematologia, PO San Gennaro, ASL NA1, Napoli; * UOC Neurochirurgia, PO San Giovanni Bosco, ASL
NA1, Napoli.
46
•
ix •
pag.
PROFILO DI ESPRESSIONE GENICA DI CELLULE ENDOTELIALI DI MIDOLLO OSSEO DI PAZIENTI
CON MIELOMA MULTIPLO
Giulia di Pietro1, Roberto Ria1, Simona Berardi1, Annunziata De Luisi1, Fortunato Morabito2, Attilio Guarini3,
Maria Teresa Petrucci4, Franco Dammacco1, Domenico Ribatti5, Antonino Neri6, Angelo Vacca1.
1
Dipartimento di Medicina Interna ed Oncologia e 5Dipartimento di Anatomia Umana ed Istologia, Facoltà di
Medicina e Chirurgia, Università di Bari; 2Unità di Ematologia, Ospedale di Cosenza; 3Unità di Ematologia,
Istituto di Oncologia “Giovanni Paolo II”, Bari; 4Divisione di Ematologia, Dipartimento di Biotecnologia cellulare
ed Ematologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “La Sapienza”, Roma; 6Dipartimento di Scienze
Mediche, Università di Milano ed Ematologia 1, Fondazione IRCCS Policlinico MaRe, Milano.
47
IDENTIFICAZIONE DI BIOMARKERS PROTEICI IN CELLULE ENDOTELIALI DI PAZIENTI AFFETTI
DA MIELOMA MULTIPLO
Simona Berardi1, Roberto Ria1, Giulia di Pietro1, Annunziata De Luisi1, Fortunato Morabito2, Attilio Guarini3,
Maria Teresa Petrucci4, Franco Dammacco1, Domenico Ribatti5, Antonino Neri6, Angelo Vacca1.
1
Dipartimento di Medicina Interna ed Oncologia e 5Dipartimento di Anatomia Umana ed Istologia, Facoltà di
Medicina e Chirurgia, Università di Bari; 2Unità di Ematologia, Ospedale di Cosenza; 3Unità di Ematologia,
Istituto di Oncologia “Giovanni Paolo II”, Bari; 4Divisione di Ematologia, Dipartimento di Biotecnologia cellulare
ed Ematologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “La Sapienza”, Roma; 6Dipartimento di Scienze
Mediche, Università di Milano ed Ematologia 1, Fondazione IRCCS Policlinico MaRe, Milano.
48
VALUTAZIONE DEL CD200 E DELLE CELLULE T-REG CD4(+) CD25(+) FOXP3(+) NEL SANGUE
PERIFERICO DI PAZIENTI CON MIELOMA MULTIPLO E GAMMAPATIA MONOCLONALE DI
SIGNIFICATO INCERTO (MGUS)
Nunziatina Parrinello, Annalisa Chiarenza Anna Maria Triolo, Maide Cavalli, Antonia Privitera, Alessandra
Cupri Luciana Schinocca, (1) Concetta Conticello, Giuseppe Palumbo, Francesco Di Raimondo.
Dipartimento di Scienze Biomediche, Divisione di Ematologia, Università di Catania, Ospedale Ferrarotto,
Catania, (1) Dipartimento di Oncologia Sperimentale, Istituto Oncologico del Mediterraneo, Viagrande, (CT)
49
L’ANEMIA NEL MIELOMA: QUANDO PENSARE AD ALTRO?
Farina G. 1 Piano S. 1, Gasbarrino C.,1, Petrilli M.P. 1, Giordano G. 1, Fraticelli V. 1, Grafone T, Nicci C, Storti S. 1
1 U.O.C. Onco-Ematologia- Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Teconologia- Università Cattolica del Sacro
Cuore –Campobasso.
50
TERAPIA DI PRIMA LINEA NELLA LEUCEMIA PLASMACELLULARE PRIMITIVA CON
ASSOCIAZIONI CHEMIOTERAPICHE CONTENENTI BORTEZOMIB: STUDIO RETROSPETTIVO DI
29 CASI
Guariglia R., Valentini G. (1), Pietrantuono G., Villani O., Martorelli M.C., Mansueto G., D’Auria F., Grieco V.,
Bianchino G., Sparano A., Zonno A., Lerose R., Musolino C. (1), Giuliani N. (1), Visco G., (1), Candoni A. (1),
Gamberi A. (1), Bringhen S. (1), Zamagni E. (1), Onofrillo D. (1), Villa M.T. (1), Falcone A. (1), Rossini F. (1),
Pitini V. (1), Filardi N. (1), Quintini G. (1), Musuraca G. (1), Specchia G. (1), Semenzato G. (1), Di Renzo N.
(1), Venditti A. (1), Mastrullo L. (1), Fioritoni G. (1), Ferrara F. (1), Cavo M. (1), Palumbo A. (1), Pagano L. (1).
Musto P.,
S.C. Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali, IRCCS, Centro di Riferimento Oncologico della Basilicata,
Rionero in Vulture (Pz); (1) GIMEMA Working Parties Mieloma Multiplo e Leucemie Acute.
51
VELCADE, THALIDOMIDE E DESAMETASONE (VTD) COME TERAPIA DI INDUZIONE
PRE TRAPIANTO INDUCE UN ELEVATO TASSO DI RISPOSTA COMPLETA (CR) SENZA
COMPROMETTERE LA RACCOLTA DI CELLULE CD34 + IN PAZIENTI AFFETTI DA MIELOMA
MULTIPLO (MM) ALLA DIAGNOSI: RISULTATI PRELIMINARI DI UN SINGOLO CENTRO
E. Pennese, C. Cristofalo, L. Conte, M. Dargenio, MR. De Paolis, P. Forese, R. Matera, A. Nocco, C. Palma, G.
Pugliese, G. Reddiconto, A. Valacca, C. Vergine and N. Di Renzo.
Vito Fazzi Hospital, Hematology Division, (Lecce, IT).
52
PURGING IN VIVO SEGUITO DA TRAPIANTO AUTOLOGO DI CELLULE STAMINALI PERIFERICHE
IN PAZIENTI AFFETTI DA MIELOMA MULTIPLO (MM): RISULTATI PRELIMINARI DI UNO
STUDIO PILOTA
Attolico I.1, Nuccorini R.1, Discepoli G.2, Vertone D.1, Filardi N.1, Pizzuti M.1, Poggiaspalla M.1, Cimminiello
M.1, Amendola A.1, Olivieri A.1.
1: Unità Operativa di Ematologia-Centro Trapianto di Cellule Staminali, Ospedale San Carlo Potenza; 2:
Laboratorio di Citogenetica e Genetica Molecolare, Ospedale “G.Salesi”, Ancona.
53
•
x•
pag.
CXCR4 QUALE FATTORE PREDITTIVO DELLA RISPOSTA NELLA LEUCEMIA ACUTA MIELOIDE
Delia M., Pastore D., Albano F., Carluccio P., Giannocaro M., Russo Rossi A., Manduzio P., Leo M., Mestice A.,
Ingrosso C., Angarano R., Liso A.1, Specchia G.
Ematologia con trapianto, Università di Bari, Bari; 1Ematologia, Università di Foggia, Foggia.
54
TRATTAMENTO CON AZACITIDINA DI 10 PAZIENTI ANZIANI CON LEUCEMIA ACUTA
MIELOIDE NON-M3 E CON AREB2: ESPERIENZA MONOCENTRICA DELL’EMATOLOGIA DI
BRINDISI
G. Loseto, G. Mele, A. Romano, M. Girasoli, G. Quintana, S. Pinna, M.P. Solfrizzi, M. Brocca, M.R. Coppi,
A. Giannotta, A. Melpignano, G. Quarta.
U.O. di Ematologia – Ospedale “A. Perrino” Brindisi.
55
COMBINAZIONE DI DOXORUBICINA LIPOSOMALE NON PEGHILATA (MIOCET®)
E FLAG PER IL TRATTAMANTO DEI PAZIENTI AFFETTI DA LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA
A PROGNOSI SFAVOREVOLE
Melillo, D. Valente, G. Rossi, M. Dell’Olio, A. Falcone, M. Nobile, G. Sanpaolo, P. Scalzulli and N. Cascavilla
Casa Sollievo della Sofferenza IRCCS, San Giovanni Rotondo, Italy.
56
ANALISI CITOFLUORIMETRICA DELLA ESPRESSIONE DI MEMBRANA DEL CD135 NELLA
LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA
Savino L., Minervini M.M., Melillo L., Rossi G., Tricarico M, D’Arena G., La Sala A., Bodenizza C., Mantuano
S., Cascavilla N.
Ematologia e Centro Trapianto di Cellule Staminali – Ospedale “CASA SOLLIEVO DELLA SOFFERENZA”
IRCCS – San Giovanni Rotondo.
57
LEUCEMIA/LINFOMA A CELLULE DENDRITICHE PLASMOCITOIDI: DESCRIZIONE DI UN CASO
CLINICO
G. Monaco, S.Iaccarino, M. Troiano, M.L. Vigliotti,, E. Attigenti,, A. Abbadessa,
U.O.C Oncoematologia, A.O.R.N. S.Anna e S. Sebastiano, Caserta.
58
5-AZACITIDINA (AZA) ENDOVENA IN MONOTERAPIA NEL TRATTAMENTO DELLE
SINDROMI MIELODISPLASTICHE E DELLE LMA DELL’ANZIANO UNFIT: DATI PRELIMINARI DI
UN’ESPERIENZA MONOCENTRICA
Dargenio M., Cristofalo C., De Paolis MR., Forese P., Matera R., Nocco A., Conte L., Pennese E., Pugliese G.,
Reddiconto G., Valacca A., Vergine C. e Di Renzo N.
U.O. Complessa di Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali – ASL Lecce – P.O. Ospedale “Vito Fazzi” – Lecce.
59
SIGNIFICATO PROGNOSTICO DI WT1 NEI DISORDINI MIELOPROLIFERATIVI ACUTI
Coluzzi S., Pascale S., Nuccorini R., Probato C., Pizzuti M., Attolico I., Olivieri A.
Laboratorio di Biologia Molecolare-U.O. di Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali, Azienda Ospedaliera
San Carlo, Potenza.
60
INFUSIONE CONTINUA DI FLUDARABINA E ARA-C COME TERAPIA DI INDUZIONE E
CONSOLIDAMENTO PER PAZIENTI ANZIANI CON LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA
Criscuolo C, Mele G, Riccardi C, Izzo T, Pedata M, Copia C, Desimone M, Palmieri S, Ferrara F
Divisione di Ematologia con TMO, Ospedale Antonio Cardarelli, Napoli.
61
PREVALENZA DELL’INFEZIONE DA VIRUS DELL’EPATITE B (HBV) IN UN GRUPPO DI
PAZIENTI AFFETTI DA NEOPLASIE LINFOPROLIFERATIVE AFFERENTI AL DIPARTIMENTO DI
EMATOLOGIA DI PESCARA
Francesca Fioritoni, Simona Falorio, Patrizia Marani Toro, Giuseppe Fioritoni, Francesco Angrilli
Dipartimento di Ematologia, Ospedale Spirito Santo, Pescara.
62
SEPSI DA CORYNEBACTERIUM JEIKEIUM (CJK) CON ASSOCIATE LESIONI CUTANEE IN
PAZIENTE AFFETTO DA LEUCEMIA ACUTA: DESCRIZIONE DI UN CASO CLINICO E REVISIONE
DELLA LETTERATURA
Filardi N, Mancino M*, Passannante S*, Attolico I, Amendola A, Cimminiello M, Poggiaspalla M, Pizzuti M,
Vertone D, Olivieri A
U.O.C. di Ematologia – Centro Trapianto di Cellule Staminali; * Microbiologia – Ospedale San Carlo – Potenza
(Italia).
63
•
xi •
pag.
PROGETTO “AURORA”: LE INFEZIONI FUNGINE INVASIVE NEL PAZIENTE ONCOEMATOLOGICO IN PUGLIA
G Specchia, D Pastore^, M Delia^, G Lovero°, G Caggiano°, V Liso, MT Montagna° e gruppo “Aurora” OncoEmatologia per adulti*
Dipartimento di Anatomia Patologica, Sezione di Ematologia – Università degli Studi di Bari
^ U.O. Ematologia con Trapianto, Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale – Policlinico di Bari
° Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana – Sez. Igiene, Università degli Studi di Bari
Hanno collaborato: Polimeno G, Tauro L (Osp. “Miulli” – Acquaviva delle Fonti, BA); Quarta G, Solfrizzi MP,
Zorzetto MT (Osp. “ Perrino” – Brindisi); Di Renzo N, De Paolis MR, Fameschi ML, Pizzolante M (Osp. “Vito
Fazzi” – Lecce); Capalbo S, Ferrandina C, De Nittis R, Di Taranto A, Antonetti R (Osp. “OORR” – Foggia);
Cascavilla N, Melillo L, Labonia M, Li Bergoli M (Osp. “Casa Sollievo della Sofferenza” – San Giovanni Rotondo,
FG); Mazza P, Pisapia G, Fracchiolla S (Osp. “S.G. Moscati” – Taranto); Riezzo A, Iacobazzi A, De Candia G,
Venitucci C, Doronzo A (Osp. “S. Nicola Pellegrino” – Trani, BA); Pavone V, Rana A, Leo L, Lobreglio G (Osp.
“Panico” – Tricase, LE).
64
INFEZIONI FUNGINE RARE: TRICOSPORONOSI. ESPERIENZA DI UNA SINGOLA ISTITUZIONE
Praticò G., Martino B., Ronco F., Alati C., Nobile F.
U.O. Ematologia. Azienda Ospedaliera Bianchi-Melacrino-Morelli. Reggio Calabria.
65
RECIDIVE EXTRAMIDOLLARI IN PAZIENTI CON MIELOMA MULTIPLO
SOTTOPOSTI A TRAPIANTO
Pulini S,1 Natale A,1 Morelli AM,1 Carlino D,1 Spadano A,1 Di Bartolomeo E,2 Di Bartolomeo P,2 Fioritoni G.1
1
U.O. di Ematologia Clinica Ospedale Civile “Santo Spirito” Pescara; 2U.O. di Terapia Intensiva per il Trapianto
Emopoietico Ospedale Civile “Santo Spirito” Pescara
66
AUTOTRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI PERIFERICHE (CSP) IN PAZIENTI ANZIANI AFFETTI
DA LINFOMA NON HODGKIN IN RECIDIVA: ESPERIENZA DI UN SINGOLO CENTRO
P.R.Scalzulli, M.Dell’Olio, L.Melillo, G.D’Arena, G.Sampaolo, M.Nobile, A.Falcone, P. Ditonno*, A.
Giacobazzi**, A. Guarini**. N.Cascavilla.
Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” IRCCS San Giovanni
Rotondo, *Ematologia Ospedale Di Venere Bari, **Ospedale Oncologico IRCCS Bari.
67
STUDIO PROSPETTICO RELATIVO ALL’IMPATTO DELL’INFUSIONE DI UN ELEVATO NUMERO DI
CELLULE CD34 SULLA RICOSTITUZIONE MMUNOLOGICA PRECOCE IN CORSO DI TRAPIANTO
AUTOLOGO
T. Moscato, R. Fedele, E. Massara, G. Messina, G. Console, Irrera G., M. Martino, Cuzzola M., Spiniello E.,
Dattola A., Russo L., Meliambro e N. Iacopino P.
Centro Unico Regionale Trapianti di Cellule staminali e Terapie Cellulari “A. Neri” Azienda Ospedaliera Bianchi
Melacrino Morelli. Reggio Calabria.
68
PALONOSETRON PER LA PREVENZIONE DELLA NAUSEA E DEL VOMITO INDOTTI DALLA
CHEMIOTERAPIA (CINV) NEI PAZIENTI AFFETTI DA NEOPLASIE EMATOLOGICHE SOTTOPOSTI
A CHEMIOTERAPIA AD ALTE DOSI (HD-CT) CON SUPPORTO DI CELLULE STAMINALI
AUTOLOGHE
E. Pennese, C. Cristofalo, L. Conte, M. Dargenio, MR. De Paolis, P.Forese, R. Matera, A. Nocco, G. Pugliese, G.
Reddiconto, A. Valacca, C. Vergine and N. Di Renzo.
Ospedale “Vito Fazzi”, Lecce.
69
BUSULFANO E.V. E IDARUBICINA COME CONDIZIONAMENTO NEL TRAPIANTO AUTOLOGO DI
CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE IN PAZIENTI ANZIANI CON LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA
Criscuolo C, Mele G, Riccardi C, Izzo T, Pedata M, Copia C, Desimone M, Palmieri S, Viola A, Ferrara F
Divisione di Ematologia con TMO, Ospedale Antonio Cardarelli, Napoli.
70
•
xii •
pag.
EFFICACIA E TOLLERABILITÀ DI ZEVALIN ASSOCIATO A BEAM COME TERAPIA DI
CONDIZIONAMENTO E AUTOTRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI: RISULTATI DI UNO STUDIO
ITALIANO MULTICENTRICO
Anna Mele, Rosa De Francesco, Silvia Sibilla, Giuseppina Greco, Cosimo Del Casale, Anna Rita Messa,
Bernardo Rossini, Antonello Rana, Vincenzo Frusciante^, Antonio Varraso^, Barbara Botto°^, Umberto
Vitolo°^, Attilio Olivieri **, Michele Cimminiello**, Vincenzo Mettivier***, Luca Pezzullo***, Giuseppe
Milone^^, Salvatore Leotta^^, Pasquale Iacopino°°°, Giuseppe Console°°°, Nicola Cascavilla §, Potito Scalzulli
§, Donatella Baronciani°*, Emanuele Angelucci°*, Maurizio Musso°°, Renato Scalone°°, Silvana Capalbo^^,
Giorgina Specchia^*, Francesco Gaudio^*, Giacomo Loseto§§, Giovanni Quarta§§, Pellegrino Musto°, Maria
Rosaria Morciano, Margherita Caputo*, Angelo Ostuni*, Vincenzo Pavone.
Department of Haematology, * Department of Transfusion Medicin, Hospital Card. G. Panico, Tricase (Le); ^
Department of Nuclear Medicine, § Department of Haematology, Hospital Casa Sollievo della Sofferenza, San
Giovanni Rotondo; °^ Department of Haematology, Hospital San Giovanni Battista, Torino; ** Department of
Haematology, Ospedale San Carlo, Potenza; ^^ Department of Haematology, Ospedale Ferrarotto, Catania;
Department of Haematology, Hospital A Businco, Gagliari; ° Department of Haematology, Rionero in Vulture;
°° Department of Haematology “La Maddalena” Palermo; °°° Department of Haematology, Reggio Calabria;
***Department of Haematology, Hospital Cardarelli, Napoli, ^^ Department of Haematology, Hospital Riuniti di
Foggia, §§ Department of Haematology, Hospital Perrino, Brindisi, ^* Department of Haematology,
Policlinico of Bari.
71
PEG-FILGRASTIM VERSO LENOGRASTIM IN AGGIUNTA ALLA CHEMIOTERAPIA DI
MOBILIZZAZIONE IN PAZIENTI CON LINFOMA E MIELOMA: RISULTATI DI UNO STUDIO
RANDOMIZZATO
Anna Mele, Rosa De Francesco, Silvia Sibilla, Giuseppina Greco, Cosimo Del Casale, Anna Rita Messa,
Antonello Rana, Bernardo Rossini, Maria Rosaria Morciano, Margherita Caputo*, Angelo Ostuni*, Vincenzo
Pavone.
Dpt. di Ematologia, *Dpt. Di Medicina Trasfusionale, Ospedale Card. G. Panico, Tricase (Le)
73
IL PROTOCOLLO TEAM (THIOTEPA, ETOPOSIDE, CYTARABINE, MELPHALAN): UN NUOVO
REGIME DI CONDIZIONAMENTO NEI PAZIENTI AFFETTI DA LINFOMA SOTTOPOSTI A
TRAPIANTO AUTOLOGO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE
A.M.Carella(1),G.Palumbo(2),M.M.Greco(1),E.Merla(1),M.Dell’Olio(1),G.Pisapia(3),F.Ferrara(4),
P.Musto(5),A.Guarini(6),A.Iacobazzi(6),D.Pastore(7),F.Gaudio(7),P.Mazza(3), G.Specchia(7), S.Capalbo(2),
N.Cascavilla(1).
(1)IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza (San Giovanni Rotondo),(2)Ospedali Riuniti (Foggia),(3)Ospedale
G.Moscati (Taranto),(4)Ospedale Cardarelli (Napoli),(5)IRCCS CROB (Rionero in Vulture),(6)IRCCS Istituto
Tumori (Bari), (7)Ematologia Università (Bari)
75
UN NUOVO APPROCCIO PER LA DIAGNOSI DELLA GRAFT-VERSUS-HOST DISEASE CRONICA
SCLERODERMA-LIKE: DATI PRELIMINARI E IMPLICAZIONI CLINICHE
E. Massara, M. Martino, G. Console, T. Moscato, G. Messina, G. Irrera, Rigolino C., M. Cannatà., Dattola A., E.
Spiniello, Cuzzola M., R. Fedele, Iacopino P.
Centro Unico Regionale Trapianti di Cellule staminali e Terapie Cellulari “A. Neri” Azienda Ospedaliera Bianchi
Melacrino Morelli. Reggio Calabria.
76
TRATTAMENTO DELLA RECIDIVA POST-ALLOTMO CON L’ ASSOCIAZIONE IMATINIB + DLI IN
UN GIOVANE PAZIENTE CON DIAGNOSI DI LMC Ph+ IN FASE CRONICA: DESCRIZIONE DI UN
CASO CLINICO
Palazzo G, Pisapia G,, Stani L, Prudenzano A, Pricolo G, Mazza P.
Struttura Complessa di Ematologia, S.O. “S.G. Moscati”, ASL TA1, Taranto.
77
RECUPERO DEI LINFOCITI CD8+ SPECIFICI ANTI-CMV E DELLE CELLULE T REGOLATORIE
DOPO ALLOTRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI PERIFERICHE
Pastore D, Delia M, Carluccio P, Mestice A, Ricco A, Leo M, Longo MC, Fesce V, Mongelli P, Mazzone AM,
Sgherza N, Russo Rossi A, Liso V, Specchia G.
Ematologia con Trapianto- Università di Bari-Bari.
78
•
xiii •
pag.
LA COMPOSIZIONE DEL GRAFT COME FATTORE PREDITTIVO DI PRECOCE RICOSTITUZIONE
DEI LINFOCITI T HELPER CORRELA CON L’OUTCOME CLINICO DEI PAZIENTI SOTTOPOSTI A
TRAPIANTO ALLOGENICO?
Fedele R., Dattola A., Garreffa C., Spiniello E., Console G., Moscato T., Messina G., Irrera G., Martino M.,
Massara E., Princi D., Cornelio G., Cutrupi G., Iacopino P.
Centro Unico Regionale Trapianti di Cellule staminali e Terapie Cellulari “A. Neri” Azienda Ospedaliera Bianchi
Melacrino Morelli. Reggio Calabria.
79
IL TRAPIANTO ALLOGENICO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE DA DONATORE NON
CORRELATO. ESPERIENZA MONOCENTRICA
A.M.Carella, M.M.Greco, E.Merla, L.Savino, G. Cappucci*, L. Di Mauro*, N.Cascavilla
Divisione di Ematologia e Centro Trapianti di Cellule Staminali Emopoietiche,
Servizio di Medicina Trasfusionale* – Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” IRCCS, San Giovanni Rotondo.
80
MONITORAGGIO QUANTITATIVO DEL WT1 IN PAZIENTI CON LEUCEMIA ACUTA MIELOIDE
SOTTOPOSTI A TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE
Tringali S *, Santoro A *, Indovina A,* Agueli C*, La Rosa M *, Cavallaro AM,* Bica M *, Messana F*, Milone
G^, Mauro E^, Scimè R
* Ematologia con Trapianto A.O V. Cervello, Palermo, ^ Divisione clinicizzata di ematologia A.O Ferrarotto
Catania.
81
IMPLEMENTAZIONE DI UN SISTEMA DI CONTROLLO DI QUALITÀ INTERNO NEL
MONITORAGGIO DEL PROCESSO DI PRODUZIONE UNITÀ HPC-CB CRIOPRESERVATE
Marcuccio D., Pucci G., Pontari A., Bova I., Cuzzola M., Dattola A., Garreffa C., Surace R., Scaramozzino P.,
Spiniello E., Iacopino P.
Calabria Cord Blood Bank, Centro Unico Regionale Trapianti di Cellule staminali e Terapie Cellulari “A. Neri”
Azienda Ospedaliera Bianchi Melacrino Morelli. Reggio Calabria.
82
•
xiv •
CORSO DI NURSING IN EMATOLOGIA
Matera, 12 Settembre 2009
pag.
ACCREDITAMENTO, PROTOCOLLI E PROCEDURE: ASPETTI METODOLOGICI
Carmela Lucia
Caposala nel reparto di Ematologia con sezione BCM, DH, DH trapiantati dell’Ospedale San Carlo di Potenza
85
PRESCRIZIONE E SOMMINISTRAZIONE DELLA TERAPIA OSPEDALIERA:
L’ADOZIONE DELLA SCHEDA UNICA DI TERAPIA NEL NOSTRO CENTRO
Roberta Di Mare
U.O. Ematologia, Azienda Ospedaliera Regionale S. Carlo, Potenza
86
LA GESTIONE DELLE COMPLICANZE PRECOCI POST-TRAPIANTO ALLOGENICO
Michele Schinco
Cattedra Ematologia, Policlinico, Bari
87
GESTIONE INFERMIERISTICA NEL TRAPIANTO DEI LINFOCITI DEL DONATORE A 3 MESI DAL
TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO
A. Casarola
Ematologia, Azienda Ospedaliera SS Annunziata, Taranto
88
IL DAY HOSPITAL ONCO-EMATOLOGICO: UN’ ESPERIENZA INFERMIERISTICA
A. Laforgia
UO Ematologia e Centro Trapianti, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza, S. Giovanni Rotondo (FG)
90
IL PAZIENTE ANZIANO FRAGILE: VALUTAZIONE E OPZIONI ASSISTENZIALI
IN EMATOLOGIA
Anna Traficante
UO Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali, IRCCS, Centro di Riferimento Oncologico di Basilicata, Rionero
in Vulture (PZ)
91
LE IMPLICAZIONI PSICOSOCIALI NEL PAZIENTE ONCOEMATOLOGICO
Letizia Raucci
Psicologa volontaria nei reparti di Ematologia dell’Ospedale S. Carlo di Potenza.
91
•
xv •
MALATTIA DI GAUCHER NELL’ADULTO:
L’IMPORTANZA DI UNA DIAGNOSI PRECOCE
A. Melpignano, G. Mele, M.R. Coppi, G. Quintana, M. Caliandro e G. Quarta
UOC Ematologia, Ospedale “A. Perrino” – Brindisi
Introduzione. Tra le manifestazioni cliniche della malattia di Gaucher vi sono disturbi che solitamente portano il paziente
all’attenzione dell’ematologo: epato-splenomegalia, anemia, piastrinopenia, patologia ossea. All’ematologo, forse più che
all’internista o all’ortopedico, è affidata la diagnosi. L’incidenza della malattia di Gaucher è di circa 1/250.000 in tutte le varianti
cliniche, tale rarità condiziona un ritardo medio della diagnosi stimato intorno agli 8-10 anni dall’esordio.
Casistica. Dal gennaio 2001 all’ottobre 2008 sono giunti alla nostra osservazione 5 pazienti affetti da malattia di Gaucher:
3 maschi e 2 femmine, età mediana 32 anni (range 14-61). *Un paziente di 61 anni, splenectomizzato in età pediatrica per
trauma addominale, veniva studiato per il riscontro occasionale di lieve anemia e piastrinopenia. * Una paziente di 47 anni
per modesta splenomegalia, anemia di lieve entità e leuco-piastrinopenia. *Un giovane adulto di 26 anni presentava all’esordio
violenti dolori in sede lombosacrale oltre a una modesta piastrinopenia.*Un adolescente di 14 anni afferiva al nostro centro
per riscontro occasionale di importante splenomegalia. *In una paziente di 32 anni il riscontro di malattia di Gaucher è stato
contemporaneo alla diagnosi di Linfoma di Hodgkin. In tutti i casi si è giunti alla diagnosi mediante biopsia osteomidollare che
ha evidenziato elementi cellulari a citoplasma vacuolizzato, CD68 e CD100 positivi. Il successivo dosaggio dell’enzima glicosidasi
nei leucociti da sangue periferico e la contestuale analisi molecolare per la ricerca delle mutazioni coinvolte, nonché i dosaggio
della chitotriosidasi hanno confermato il sospetto istologico di Malattia di Gaucher. Tutti i pazienti sono risultati omozigoti per
la mutazione N370S
Conclusioni. La malattia di Gaucher Tipo I (come per il genotipo omozigosi N370S) può presentarsi in varie forme da quelle
subcliniche a quelle decisamente sintomatiche o gravi. La diagnosi, spesso misconosciuta per la aspecificità e la comunanza di
sintomi con patologie ematologiche più comuni, può essere effettuata a qualsiasi età, come dimostra la nostra esperienza. Il
conseguente trattamento con la terapia enzimatica sostitutiva può modificare favorevolmente la storia naturale della malattia
ostacolandone la progressione. Il riscontro di Malattia di Gaucher in una patologia linfoproliferativa fa riflettere sulle interazioni tra
l’attivazione dei macrofagi interessati dall’accumulo di glucosilceramide ed il rischio di insorgenza di patologia linfoproliferativa.
Si aggiunge, pertanto, che il controllo del cronico stimolo infiammatorio mediante la terapia enzimatica sostitutiva assume un
significato preventivo oltre che curativo.
Bibliografia.
- Gaucher Registry Annual Report 2008, Gaucher Registry ICGG
- Hughes D, Cappellini MD, Berger M et al. (2007) Recommendations for the management of the haematological and oncohaematological aspects of Gaucher Disease, Br J Haematol 138: 676-686
- P. Mistry (2006) Therapeutic goals in Gaucher Disease, La revue de Medicine Interne 27(2006) 930-9-33
- Tamar H Taddei, Katherine A. Kacena. The under-recognized progressive nature on N370S Gaucher Disease and high risk of
cancer in 403 patients. Am J Hematol 2009 Apr; 84(4): 208-14
- Weinreb NJ, Deegan P, Kacena KA et al. Life expectancy in Gaucher Disease type 1. Am J Hematol, 2008 Dec, 83(12): 896-900
•
1•
Malattia di Gaucher tipo I. Descrizione di un caso clinico
Renato Cantaffa. Antonio Peta.
SOC di Ematologia, Diparimento OncoEmatologico, Presidio Ospedaliero De Lellis, Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio, 88100
Catanzaro
Ottobre 2008: uomo di 37 anni, marocchino, giungeva in consulenza dal PS all’ambulatorio di Ematologia per intenso dolore
all’ipocondrio sinistro associato al riscontro di splenomegalia e leucopiastrinopenia. L’inizio della sintomatologia dolorosa, che il
paziente riferiva continua con esacerbazioni periodiche, risaliva all’adolescenza e aveva determinato sia frequenti consulti presso
il medico di base nella terra di origine sia frequenti ricoveri ospedalieri nel territorio italiano. Per il carattere verosimilmente
non evolutivo della patologia di base, data la lunga storia di malattia e le buone condizioni generali, il paziente veniva ricoverato
in reparto con il forte sospetto di emoglobinopatia o tesaurismosi ed avviato un work-up diagnostico. Genitori consanguinei.
Anamnesi negativa per febbre, sudorazione notturna, anoressia, perdita di peso, ittero, ematemesi, vomito, diarrea, tosse,
artralgia. Familiarità negativa per disordini emorragici, emoglobinopatie, malattie epatiche, infiammatorie croniche intestinali
o autoimmuni. L’esame fisico rivelava una marcata splenomegalia, di consistenza duro-parenchimatosa, con polo splenico
palpabile a circa 9 cm dall’a.c.s.. Assenza di ascite o edema periferico; sistema linfoghiandolare superficiale clinicamente indenne.
L’ecografia addominale e la TAC confermavano la presenza della splenomegalia (diam. long. 21 cm). Il parenchima polmonare,
gli spazi pleurici ed i contorni del mediastino risultavano normali alla Rx standard del torace. Hb 12,6 gr/dl, GB 2150/mmc,
PLTs 60.000/mmc All’elettroforesi dell’Hb: HbA 96,7%, HbF 0,3% ed HbA2 3%.Azotemia, creatininemia, protidemia totale,
albuminemia, uricemia, bilirubinemia totale e frazionata, calcio, magnesio, GOT, GPT, LDH e fosfatasi alcalina normali. Markers
dell’epatite negativi. L’agoaspirato e la biopsia osteomidollare evidenziavano clusters di cellule con un diametro circa tre volte
superiore a quello di un macrofago normale con nucleo eccentrico rotondo o ovale ed abbondante citoplasma eosinofilo di aspetto
striato o fibrillare CD68 positive. Le caratteristiche morfologiche ed immunoistochimiche deponevano per cellule di Gaucher. Si
avviava pertanto la determinazione del livello dell’enzima -glucosidasi in un campione di leucociti periferici che risultava di 1.0
nmol per ora per mg di proteina (range normale da 4,5 a 18,3). La combinazione dei segni clinici e laboratoristici confermava
la diagnosi di Malattia di Gaucher tipo I. L’amplificazione del cDNA, l’analisi delle sequenze e l’analisi della lunghezza dei
polimorfismi di restrizione, effettuate presso il Lab. di Diag. Pre e Post-natale del Gaslini, individuavano le mutazioni N370S e
L444P. Lo studio radiologico (Rx standard ed RMN) della colonna vertebrale, della pelvi e dei femori non dava esito ad anomalie.
L’esame neurologico non evidenziava anomalie dei movimenti oculari, atassia o difficoltà cognitive. Il paziente iniziava terapia
parenterale sostitutiva (ERT) con imiglucerasi (Cerezyme) al dosaggio di 30U/Kg, somministrato ad intervalli di 2 settimane con
risoluzione, dopo 6 mesi, della leucopiastrinopenia (Gb 4270/mmc, Plts 140000/mmc), modesta riduzione della splenomegalia
(diam. 17cm) e lieve riduzione della sintomatologia dolorosa all’ipocondrio sinistro. A ciò corrispondeva la riduzione dell’attività
dell’enzima chitotriosidasi, misurata in tre campioni di siero prelevatii prima e dopo tre e sei mesi dall’inizio dell’ERT che
risultava, rispettivamente, di 31.120, 9.640 e 7.920 nmol/ml/h. Nel maggio us, per la recrudescenza del dolore, nonostante il
chiaro miglioramento dei dati obiettivi, si iniziava la somministrazione dell’imiglucerasi al dosaggio di 60U/Kg nell’ipotesi di
un maggior beneficio clinico, avendo compreso, tra gli obiettivi terapeutici, anche la valutazione delle condizioni psicosociali,
funzionali e della qualità di vita del paziente, notevolmente compromessi dalla sintomatologia riferita.
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2•
TRATTAMENTO DEL LINFOMA NON HODGKIN A GRANDI CELLULE B
PRIMITIVO DEL MEDIASTINO (PMBCL) CON IMMUNOCHEMIOTERAPIA
R-CHOP E RADIOTERAPIA INVOLVED-FIELD (RTIF):
ESPERIENZA DEL CENTRO DI PESCARA
Simona Falorio, Francesca Fioritoni, Giuseppe Fioritoni e Francesco Angrilli.
Dipartimento di Ematologia, Ospedale Spirito Santo, Pescara.
Introduzione: Il trattamento ottimale del PMBCL è ancora oggetto di dibattito. In epoca pre-Rituximab (R), studi retrospettivi
hanno evidenziato la superiorità di schemi di terza generazione quali MACOP-B o VACOP-B, in associazione RT, rispetto
al CHOP standard. Con l’avvento del Rituximab, l’associazione R-CHOP è divenuta lo standard terapeutico dei linfomi non
Hodgkin a grandi cellule B, ma il suo ruolo nel trattamento dei PMBCL è ancora oggetto di valutazione. In questo lavoro
presentiamo i risultati preliminari del nostro protocollo di trattamento del PMBCL, basato sulla combinazione di R-CHOP
seguita da RTIF.
Materiali e metodi: Il protocollo prevede R-CHOP21 nei pazienti con aaIPI 0 senza bulky e R-CHOP14 nei pazienti con aaIPI
0 bulky o aaIPI >1. Sono previste 2 rivalutazioni TC di malattia, la prima dopo 3 R-CHOP21 o 4 R-CHOP14 e la seconda al
termine della immunochemioterapia. Al termine della RTIF è invece programmata rivalutazione PET/TC. Al primo restaging, i
pazienti con risposta > RP ricevono ulteriori 3 R-CHOP21 o 4 R-CHOP21, secondo il braccio di rischio, seguiti da RTIF (36 Gy).
I pazienti che al 1° restaging hanno una risposta <RP, che progrediscono durante il trattamento, che non conseguono la RC al
termine del programma terapeutico, o che recidivano sono avviati a terapia di salvataggio con chemioterapia ad alte dosi (HDSC)
e PBSCT. Tutti i pazienti ricevono profilassi antinfettiva con Timetoprim-Sulfametoxazolo, Acyclovir e Nistatina. I pazienti
arruolati nel braccio dose-dense ricevono pegfilgrastim dopo ogni ciclo chemioterapico.
Risultati: Dal gennaio 2003 al settembre 2008 sono stati arruolati 20 pazienti (14 femmine e 6 maschi). L’età mediana è stata 32
anni (range 15-81). Lo stadio clinico è stato I-II in 15 casi e III-IV in 5. Sintomi sistemici erano presenti in 14 pazienti e la massa
bulky mediastinica (> 10 cm) in 15. 3 pazienti presentavano aaIPI 0 senza massa bulky, gli altri 17 avevano aaIPI 1-3. In accordo
con la classe di rischio, 3 pazienti hanno ricevuto R-CHOP21 e 17 R-CHOP14. Alla 1a rivalutazione, 19 pazienti hanno ottenuto
almeno la RP ed hanno completato il programma di chemioimmunoterapia. Di essi, 18 hanno eseguito la RTIF. Quest’ultima è
stata omessa in 1 paziente di 81aa, con aaIPI 0 senza bulky. Dei 19 pazienti responsivi al 1° restaging, 16 (80%) hanno ottenuto
la RC, 1 la RP e 2 hanno sviluppato progressione di malattia. Quattro pazienti (1 con risposta <RP al 1° restaging, 1 in RP e 2
in progressione al termine del programma terapeutico) hanno ricevuto HDSC e PBSCT. Di essi, 3 hanno conseguito la RC e 1
è deceduto di linfoma. Complessivamente, 19 pazienti hanno ottenuto la RC Pet/TC negativa e nessuno ha presentato finora
recidiva. Dopo un follow-up mediano di 35 mesi (range 7-73), i valori di OS e FFS sono rispettivamente 93% e 77%.
Discussione e conclusioni: Il PMBCL, anche se relativamente raro, ha un decorso aggressivo, con tendenza alla progressione o
alla recidiva entro 18-24 mesi dalla diagnosi e possibile rapida insorgenza di chemioresistenza. Pertanto, è indispensabile una
strategia terapeutica adeguata a tali aspetti clinico-biologici. In considerazione di queste caratteristiche, abbiamo sviluppato un
protocollo adattato ai fattori di rischio, individuandoli nella presenza di bulky mediastinico, nell’aaIPI > 1 e nella risposta < RP
al 1° restaging, indice di precoce chemioresistenza. In base a tali criteri, abbiamo sfruttato il collaudato sinergismo tra Rituximab
e CHOP, impiegando quest’ultimo in regime dose-dense nei casi a maggior rischio e riducendo il numero di chemioterapici
impiegati e le relative tossicità. I risultati ottenuti ci sembrano paragonabili a quelli offerti dagli schemi chemioterapici di terza
generazione. La tossicità è risultata contenuta e la compliance al trattamento da parte dei pazienti buona. Nostro obiettivo futuro
è il consolidamento di tali risultati su una casistica più ampia e con un follow-up più lungo.
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3•
Carcinoma neuroendocrino a piccole cellule simulante un
linfoma ad alto grado in fase leucemica
Galleu A, Bella M*, Sini C∞, Nieddu MR, Podda L, Massa A, Careddu MG, Bonfigli S, Piras MA *,
Farris A∞, Fozza C.
Istituti di Ematologia, Anatomia Patologica* ed Oncologia∞, Università di Sassari, Sassari.
Riportiamo il caso di una donna di 37 anni giunta alla nostra attenzione nel Novembre 2008 in seguito a pancitopenia,
sindrome mediastinica e linfoadenopatie diffuse. Presenti all’anamnesi sudorazioni notturne e calo ponderale da circa un mese.
Obiettivamente la paziente presentava decubito obbligato in posizione semiassisa, dispnea per minimi sforzi, edema a mantellina
e del volto e tosse con emoftoe. Presenti linfoadenomegalie in sede laterocervicale e sovraclaveare bilateralmente. Gli esami
ematochimici evidenziavano le seguenti alterazioni: Globuli Bianchi: 4000/mmc; Hb: 7.9 g/dl (MCV: 71.5 fl; MCH: 25.2 pg);
PLTs: 30000/mmc. Reticolociti: 17‰. LDH: 3714 U/L. Ca125: 134 U/ml (Vn: 0-35 )
Le indagini strumentali mostravano voluminose linfoadenopatie in sede mediastinica con compressione del bronco principale
di destra e scomparsa di quello lobare superiore destro e deviazione verso sinistra della trachea. Presenti inoltre due piccoli
noduli polmonari nel lobo inferiore destro e nel lobo inferiore sinistro e modesto versamento pericardico. Numerose lesioni
tondeggianti ipodense epatiche e modesta splenomegalia completavano il quadro di diffusione della malattia. Al microscopio
ottico lo striscio di sangue periferico mostrava una formula normale ma, accanto a rari elementi mieloidi ed eritroidi, anche
sporadici (~2%) blasti di grosse dimensioni, con elevato rapporto nucleo-citoplasma, cromatina finemente dispersa con alcuni
nucleoli e citoplasma privo di granuli. Alla colorazione MGG, tali cellule erano assimilabili ai blasti di tipo linfoide tipici dei
linfomi leucemizzati. L’analisi immunofenotipica risultava tuttavia negativa per markers linfoidi e mieloidi. Lo striscio di sangue
midollare mostrava al MGG un diffuso infiltrato di cellule indifferenziate formanti sincizi con caratteristiche del tutto simili a
quelle delle cellule osservate in periferia. La biopsia di un linfonodo sovraclaveare e la biopsia osteomidollare evidenziavano
entrambe una diffusa sostituzione del normale parenchima da parte di una popolazione cellulare scarsamente differenziata
risultata positiva per citocheratine, CD56, sinaptofisina, NSE e per cromogranina e negativa per proteina S-100, CD45, CD99,
CD34, CD15 e mieloperossidasi. I valori serici dell’enolasi neuronospecifica e della cromogranina A risultavano nettamente
elevati (NSE: 200 μg/l (<18.3 ); Cromogranina A: 265.64 ng/ml (19.4-98.1). La diagnosi immuno–istochimica era pertanto di
Carcinoma neuroendocrino a piccole cellule del polmone in fase avanzata (Stadio IV). Dopo polichemioterapia con Cisplatino
75 mg/mq (DT 127 mg) + Etoposide 100mg/mq (DT 170 mg) per 6 cicli, la sintomatologia clinica scompariva con ripresa di una
normale attività quotidiana. Nella norma anche i valori di NSE e Cromogranina A e negativa la TC total body. A Maggio 2009
comparivano lesioni compatibili con localizzazioni secondarie in sede encefalica. Sono stati quindi praticati ulteriori due cicli di
polichemioterapia + radioterapia encefalica.
Sebbene rara, la presenza di Cellule Tumorali Circolanti (CTC) di neoplasie solide pone all’ematologo problemi morfologici
di diagnosi differenziale soprattutto quando la neoplasia di origine non sia nota e/o facilmente biopsiabile. Carcinocitemia è il
termine coniato da Carey et al. nel 1976 per descrivere questo fenomeno e i tumori che più frequentemente si associano ad essa
sono il microcitoma, il tumore della mammella e il neuroblastoma. Una review della letteratura ci ha permesso di raccogliere 6
casi di microcitoma con CTC diagnosticati in stadio tardivo/terminale o in sede autoptica. La sopravvivenza osservata nei casi
descritti variava da 3 a 15 gg. Questo caso risulta inusuale non solo in quanto le CTC erano presenti alla diagnosi ma anche per
la prolungata sopravvivenza dopo terapia.
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4•
EFFICACIA E TOLLERABILITA’DI YTTRIUM-90 IBRITUMOMAB TIUXETAN IN
PAZIENTI ANZIANI CON LINFOMA NON HODGKIN INDOLENTE
G. Palumbo1. M. Dell’Olio2, M.G. Franzese1, A. Guarini3, N. Di Renzo4, G. Spinosa1, A. Lapietra3, E. Pennese4,
N. Cascavilla2, S. Capalbo1
SC Ematologia, Ospedali Riuniti Azienda Ospedaliero-Universitaria, Foggia (1); Ematologia, IRCCS “Casa Sollievo della
Sofferenza”, San Giovanni Rotondo (2); UO Ematologia, IRCCS “Istituto Tumori Giovanni Paolo II”, Bari (3); Ematologia, AO
“Vito Fazzi”, Lecce (4)
Background: La radioimmunoterapia (RIT) è, attualmente, un’importante opzione di trattamento per i pazienti affetti da
Linfoma non Hodgkin (LnH). 90Y-ibrimitumomab tiuxetan (Zevalin®) è formato dall’ibritumomab, un anticorpo murino antiCD20, coniugato al tiuxetan, chelante ad alta affinità che assicura un legame stabile tra anticorpo monoclonale e ittrio-90 (90Y) che
emette radiazioni beta che raggiungono le cellule B maligne; il 90% delle radiazioni viene assorbito entro 5 mm. Il meccanismo
d’azione è duplice: da un lato vi è l’effetto citotossico dell’anticorpo monoclonale ibritumomab, dall’altro la radiolisi (effetto
radiobiologico delle particelle beta emesse dall’90Y). Diversi studi clinici hanno dimostrato una significativa attività di Zevalin nei
LnH indolenti, con una modica tossicità. L’età mediana dei pazienti inclusi in questi trials è generalmente < 65 anni. Scopo: Scopo
del nostro studio è quello di valutare l’efficacia e la tollerabilità di Zevalin in pazienti anziani con età > 65 anni affetti da LnH
indolente. Pazienti e trattamento: Tra novembre 2005 e aprile 2009 quattordici pazienti (quattro maschi, dieci femmine), con
età mediana di 76 anni (range 67-82), affetti da B-LnH indolente (12 follicolari, 2 linfocitici) sono stati trattati con Zevalin. Sei
pazienti erano in stadio IV di malattia, cinque in stadio III, tre in stadio II. Tutti i pazienti hanno ricevuto una iniziale infusione di
rituximab alla dose di 250 mg/m2 al giorno 1 ed una seconda infusione alla stessa dose al giorno 8 seguita dall’infusione di Zevalin
la cui dose veniva calcolata in base al peso corporeo (dose mediana 1006 MBq; range 668-1260). Sette pazienti hanno ricevuto
Zevalin come terapia di consolidamento dopo una prima linea di terapia con rituximab più chemioterapia (5 R-CHOP, 1 R-FN,
1 R-COMP); di questi, prima della terapia con Zevalin, due erano in remissione completa (RC) e cinque in remissione parziale
(RP). Sette pazienti hanno, invece, ricevuto terapia con Zevalin in recidiva (quattro in prima e tre in seconda o successiva).
Risultati: Tredici pazienti sono attualmente valutabili dopo RIT; di questi 10 sono in RC, 2 in RP (overall response rate 92%) ed
uno in malattia stabile. E’importante notare che tutti i pazienti trattati con Zevalin in prima linea sono in RC; infatti i cinque
che prima della RIT erano in RP hanno ottenuto la RC. Con un follow-up mediano di 13 mesi (range 2-32), tutti i pazienti sono
attualmente vivi e mantengono la risposta; uno dei due pazienti in RP ha ottenuto la RC dopo altra terapia. Il trattamento è stato
ben tollerato; 8 pazienti hanno presentato piastrinopenia di grado 3-4 (WHO), mentre 5 pazienti hanno presentato neutropenia
di grado 3-4 (WHO). Solo un paziente ha sviluppato un’infezione da herpes-zoster. Conclusioni: Nella nostra esperienza, la
terapia con Zevalin produce un’alta percentuale di risposte (circa 90%) e una remissione duratura in pazienti con LnH indolenti,
con modesta tossicità. È da notare che, usata come consolidamento post-terapia in prima linea, la RIT ha portato a conversione di
RP in RC in tutti i cinque pazienti in RP dopo R-chemioterapia. Il favorevole profilo di tossicità rende questa opzione terapeutica
molto utile nel trattamento di pazienti anziani che, per l’età, non sono candidabili a regimi di terapia ad alte dosi e trapianto di
cellule staminali.
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5•
ANGIOGENESI NEI LINFOMI NON HODGKIN (NHL) INDOLENTI
Guarini A., Minoia C., Iacobazzi A., Rana A., Lapietra A., Daniele G., Ferrucci A., Popescu O.*, Labriola
A*, Zito F.A.*
U.O. Ematologia, *UO Anatomia Patologica, Dipartimento di Oncologia Medica, IRCCS Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” Bari
Background: Le cellule di NHL esprimono e rilasciamo fattori proangiogenici, come il VEGF ed i suoi recettori VEGFR1 ed R2. La
densità microvascolare (MVD) alla diagnosi è maggiore nei linfomi aggressivi che in quelli indolenti. L’aumentata vascolarizzazione
è associata a minori outcome e risposta alla terapia nei linfomi diffusi a grandi cellule B (DLBCL), indipendentemente dall’IPI
score. Un trial clinico di fase III attualmente in corso chiarirà i benefici dell’aggiunta dell’anticorpo monoclonale anti-VEGF
bevacizumab alla terapia convenzionale, nei pazienti affetti da DLBCL in prima linea. Pochi dati sono disponibili nei linfomi
indolenti recidivi/refrattari. La finalità di questo studio è di analizzare il pattern angiogenico dei linfomi indolenti ed il contributo
delle cellule stromali alla neovascolarizzazione alla diagnosi ed alla recidiva/progressione di malattia, in modo da identificare un
subset di pazienti a cattiva prognosi che potrebbe beneficiare di un trattamento antiangiogenico associato.
Pazienti e metodi: 15 pazienti (9 maschi, 6 femmine; età media alla diagnosi 65 anni; 11/15 stadio III-IV; tempo mediano
alla progressione 3 anni) sono stati selezionati per effettuare alla diagnosi ed alla recidiva un’analisi immunoistochimica e
morfologica, su campioni di biopsie linfonodali (3 linfomi a piccoli linfociti; 4 linfomi follicolari; 1 linfoma della zona marginale)
e di biopsia osteomidollare (5 linfomi a piccoli linfociti e 5 follicolari). Sono stati utilizzati anticorpi per l’endotelio (anti-CD34)
e per le cellule monocito-macrofagiche (anti-CD68).
Risultati: L’attività angiogenica è presente anche alla diagnosi nelle biopsie linfonodali. I neovasi mostrano un pattern
omogeneo di distribuzione nelle zone corticale e midollare linfonodali. Alla recidiva abbiamo riscontrato un incremento della
neovascolarizzazione, con un aumento mediano da 17,5 a 25 spots vascolari per campo di osservazione. Nessuna differenza è
stata rilevata nelle biopsie osteomidollari in recidiva. La distribuzione delle cellule monocito-macrofagiche non è costante nei
campioni linfonodali, con una distribuzione focale o diffusa e con rapporto con i vasi differente.
Conclusioni: I nostri dati preliminari mostrano che l’attività angiogenica è aumentata nei campioni linfonodali, ma non nel
midollo osseo, alla recidiva dei NHL indolenti. Nessuna differenza nell’entità dell’infiltrato monocito-mecrofagico è stata
descritta.
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6•
Linfomi non Hodgkin degli annessi oculari: analisi retrospettiva
della casistica di un singolo centro
T.Perrone, F.Gaudio, S.Guerriero*, A.Gentile”, A.Giordano, P Curci, A.Spina, C de Risi, F.Laddaga,S
Scardino, C.Sborgia*, G.Specchia, V.Liso.
Ematologia con Trapianto Università di Bari, *Clinica Oculistica Università di Bari- “Anatomia Patologica, Università di Bari
I linfomi degli annessi oculari sono circa l’1% dei Linfomi non Hodgkin (LnH) e dal 5% al 15% degli extranodali. Sono il più
frequente tumore maligno dell’occhio e degli annessi oculari. Scopo dello studio è stato definire le caratteristiche istologiche,
il trattamento, i fattori prognostici e l’outcome di pazienti affetti da LnH degli annessi oculari. E’stata effettuata un’analisi
retrospettiva su 30 pazienti (pz) affetti da LnH degli annessi osservati tra il 1991 e il 2008. I pz avevano un’età media di 65aa (40 –
90) con una uguale distribuzione tra i due sessi. E’stata effettuata una revisione Istologica secondo la classificazione REAL/ WHO.
L’istotipo più rappresentato era “Linfoma Marginale Extranodale”, in 11 pz (37%); in 9 (30%) “Linfoma Linfocitico” (SLL), in
6 (20%) “Linfoma Follicolare” (FL), in 3 (10%) “Linfoma Mantellare” (MCL) e in 1 (3%) Diffuso a grandi cellule B (DLBCL).
In 25 (83%) pz vi era una localizzazione intra-orbitaria, in 5 (17%) della ghiandola lacrimale (di cui 1 (3%) con coinvolgimento
bilaterale) e in 9 (30%) dei muscoli oculari estrinseci. 15 pz (50%) avevano un LnH primitivo degli annessi, mentre un IV
stadio è stato osservato in 13 (43%) casi: tutti con coinvolgimento osteomidollare. 4 pz (13%) presentavano altre localizzazioni
extranodali: 2 mammella, 1 faringe, 1 fegato. 7 pz (23%) presentavano elevati valori di β2μ. 24 pz (80%) sono stati trattati con
chemioterapia: 11 (37%) con un regime CHOP-like, 11(37%) con CVP, 2 (7%) con FND. In 14 (47%) pz la chemioterapia è
stata associata ad anticorpo monoclonale anti CD 20.1 pz (3%) è stato trattato solo con Rituximab. 5 (17%) hanno effettuato
radioterapia. L’80% dei pz è risultato responsivo al trattamento con 17 (57%) RC e 7 (23%) RP. 4 (13%) pz avevano una malattia
stabile e in 2 (7%) vi è stata progressione. Si sono osservate 6 (35%) recidive, 5 (83%) con coinvolgimento extranodale: di cui
1(3%) a localizzazione mammaria, 1 (3%) ossea, 2 (7%) orbitaria e 1(3%) della ghiandola lacrimale. Con un follow-up mediano
di 74 mesi (7-220), la OS e la DFS erano 75% e 72%. Stadio IV e istotipo (MCL, SLL) sono state le uniche variabili con un impatto
negativo sulla sopravvivenza libera da malattia. Nella nostra esperienza, in accordo con i dati della letteratura, l’incidenza dei
Linfomi degli annessi oculari è stata maggiore nella sesta decade di vita. Il 50% dei pz presentava uno stadio I; l’Istotipo più
frequente è stato il MZL. Lo stadio IV e l’Istotipo MCL e SLL sono risultati gli unici fattori predittivi di una cattiva prognosi, con
frequenti recidive extranodali. Ulteriori studi ed una casistica più ampia sono necessari per una migliore valutazione degli aspetti
biologici e istopatologici dei Linfomi degli annessi oculari, in modo da identificare la migliore strategia terapeutica.
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7•
LINFOMA NON HODGHIN AGGRESSIVO NEI PAZIENTI ANZIANI “FRAGILI”:
LA NOSTRA ESPERIENZA
Specchia MR, Casulli F., Maggi A., Mazza P.
U.O. di Ematologia e Trapianto di midollo osseo – Ospedale “S. G. Moscati” Taranto
La sorte dei pazienti anziani con LNH aggressivo che non rientrano in protocolli specifici a causa dell’età avanzata e per le
comorbidità, è in genere poco conosciuta e studiata. Tale popolazione, cosiddetta “fragile” secondo scale multidimensionali
di valutazione geriatrica, corrisponde a circa il 20%. Presentiamo la nostra esperienza condotta su 68 pazienti anziani con
LNH aggressivo a cellule B definiti “fragili” e osservati per 4 anni dal 2002 al 2006. I pz presentavano un’età mediana di 68
anni (61-81) con prevalenza del sesso maschile (41/27). Trentacinque pz (53%) presentavano sintomi B e 50 pz (73%) erano
esorditi in stadio avanzato (III-IV stadio); 63 pz (94%) presentavano un quadro istologico di DLCBL e 5 pz di MCL. Sessantadue
pz (93%) presentavano un PS>2. Le comorbidità erano rappresentate per il 52% da patologia cardiovascolare, per il 28% da
malattia diabetica, per il 12% da insufficienza renale e per il 18% da epatopatia con o senza insufficienza epatica; ben 65 pz
(96%) presentavano almeno 2 comorbidità. La terapia è stata impostata sul singolo paziente, escludendo le antracicline nei
casi di insufficienza cardiaca, i glicocorticoidi nei casi con diabete scompensato ed escludendo trattamenti intensivi nei pz con
insufficienza renale o epatica. Sedici pz sono stati trattati secondo schema VNCOP-B, 7 pz secondo schema CHOP, 9 pz con
CHOP/R, 5 pz con schema CHOP-like/R usando la Doxorubicina liposomiale, 13 pz con CVP/R e 18 pz con Vincristina e
Ciclofosfamide a basso dosaggio. Nel 70% dei pz è stato necessario ridurre il dosaggio dei farmaci chemioterapici o attuare una
terapia discontinua, mentre nel 30% pei paz è stato interrotto definitivamente il trattamento. Tutti i pz sono stati supportati con
terapia trasfusionale o con la somministrazione di fattori crescita a seconda delle necessità. I pz trattati con schemi comprendenti
antraciclina cloridrato o liposomiale e Rituximab hanno ottenuto il 55% di risposta globale (RC + buona RP), quelli sottoposti
a schemi chemioterapici privi di antracicline con o senza l’aggiunta di Rituximab hanno ottenuto il 30% di risposte, mentre i pz
trattati con schemi alternativi hanno presentato risposte modeste o transitorie. Gli effetti collaterali consistevano per il 98% in
scompenso diabetico, per il 13% infezioni, per il 20% insufficienza renale e per il 15% insufficienza cardiaca. Si sono osservati 2
decessi durante la terapia con antracicline. I pz trattati con Rituximab e antracicline hanno ottenuto e mantenuto una RC nel
60%, mentre solo nel 20% in quelli che non hanno eseguito tale associazione. Dei pz che non hanno ottenuto una remissione
l’80% è morto per progressione del linfoma e il 20% per le comorbidità. I pz recidivati hanno presentato una progressione di
malattia più rapida e aggressiva.
Dalla nostra esperienza emerge che nei pz anziani “fragili” con LNH-B aggressivo trattati con schemi terapeutici comprendenti
antracicline (liposomiale?) e Rituximab si possono ottenere maggiori e più durature remissioni, sebbene aumenti il rischio di
morte con tale approccio terapeutico.
SESSIONE: Linfomi
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8•
CHEMIOTERAPIA CON CICLI ALTERNATI R-MICMA/R-IGEV NEI PAZIENTI
ANZIANI CON LINFOMA NON HODGKIN DIFFUSO A GRANDI CELLULE B
RESISTENTE AL TRATTAMENTO DI I LINEA: UNA LOTTA CONTRO I MULINI A
VENTO?
Giordano G, Farina G, Piano S, Petrilli MP, Storti S
U.O.C. Onco-Ematologia Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Teconologia Università Cattolica del Sacro Cuore Campobasso
Premesse dello studio In Europa più del 50% dei linfomi insorge in pazienti con più di 60 anni. Attualmente la chemioterapia
secondo R-CHOP è il gold standard nel trattamento dei linfomi aggressivi in ogni fascia d’età.Spesso chemioterapie di salvataggio
sono necessarie nei pazienti con più di 65 anni, affetti da LNHDLBC, refrattari o recidivati dopo il trattamento di prima linea
e non candidabili alla chemioterapia ad alte dosi con supporto di cellule staminali autologhe. Le terapie di II linea che usano il
regime DHAP danno, tuttavia, scarsi risultati.
Obiettivi dello studio Valutare sicurezza, fattibilità, efficacia del trattamento di II linea in pazienti anziani affetti da LNHDLBC,
refrattari o recidivati dopo il trattamento di prima linea e non candidabili alla chemioterapia ad alte dosi con supporto di cellule
staminali autologhe, usando lo schema di chemioterapia combinato R-MICMA/R-IGEV
Pazienti e metodi: Abbiamo trattato 20 pazienti con un’età mediana di 72.5 anni (R63-84) con LNHDLBC refrattario con
cicli di chemioterapia alternati secondo gli schemi R-MICMA (Rituximab 375 mg/mq gg0, methilprednisolone 500mg/mq
gg1-5, mitoxantrone 10 mg/mq gg1, citarabina 2 g/mq gg5, carboplatino 100mg/mq gg1-4) e R-IGEV (Rituximab 375 mg/mq
gg0,ifosfamide 2 g/mq gg1-4; gemcitabina 800 mg/mq gg1 and 4). I cicli di chemioterapia erano somministrati ogni 21 giorni
solo dopo che era stato raggiunto il completo recupero ematologico. Le ristadiazioni erano eseguitea 2-4-6 cicli. Il rapporto M/F
era di 3/2. 6 pazienti presentavano comorbidità (BPCO severa 1, pregressa cardiopatia ischemica 2, NIDDM 2, FA cronica con
pregresso ictus 1). L’analisi della sopravvivenza è stata eseguita usando il test di Kaplan-MAyer corretto secondo Yates.
Risultati: 15 pazienti (75%) hanno ricevuto 4 cicli, 1 (5%) 6 cicli, 4 (20%) 2 cicli. Il numero medio di cicli somministrati è stato
di 4 (R2-6). L’ORR è stata dell’80% (16 pz), le RC il 50%, le RP il 30%. A 29 mesi tutti i pazienti erano morti. La sopravvivenza
mediana era di 12 mesi. A 24 mesi la sopravvivenza era del 17.6%. nel nostro studio solo 10 pazienti (50%), hanno presentato
come unica tossicità quella ematologica di grado 4, risoltasi mediamente in3 giorni col supporto di fattori di crescita, mentre un
solo paziente ha presentato una SIADH.
Discussione: In letteratura, in era pre Rituximab, i pazienti di ogni età con LNHDLBC recidivato/resistente dopo il trattamento
di I linea e trattati con 3 ESHAP o 2 DHAP mostravano una sopravvivenza a 5 anni del 23%, mentre i pazienti con più di 60 anni
trattati con 2-4 cicli di DHAP mostravano una sopravvivenza mediana di 9 mesi. Lavori più recenti in cui pazienti di ogni età con
LNHDLBC recidivato/resistente dopo il trattamento di I linea sono trattati con 2-3 cicli di R-DHAP, mostrano sopravvivenze
mediane di 20.4 mesi. Dati recenti riguardanti la sola popolazione di anziani con età > o = 65 anni con LNHDLBC, refrattari o
recidivati dopo il trattamento di prima linea e non candidabili alla chemioterapia ad alte dosi con supporto di cellule staminali
autologhe, trattati in II linea con l’associazione del Rituximab, sono tuttora mancanti. Infatti tale sottopopolazione di pazienti si
trova sempre dispersa all’interno di casistiche più grandi ove sono presenti anche pazienti più giovani.
Conclusioni: 4 cicli di chemioterapia alternata R-MICMA/R-IGEV sembrano essere sicuri, fattibili ed efficaci nei pazienti con
più di 65 anni e con comorbidità affetti da LNHDLBC, refrattari o recidivati dopo il trattamento di prima linea e non candidabili
alla chemioterapia ad alte dosi con supporto di cellule staminali autologhe.
Tuttavia tali dati richiedono conferma su una coorte più ampia di pazienti.
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9•
Efficacia di un mantenimento mensile con rituximab in pazienti
con linfoma della zona marginale
Graziani F, Caparrotti G, Esposito D, De Falco G, Iovane E, Pagnini D
Unità Operativa di Ematologia – P.O. San Felice a Cancello – ASL CE 1
Introduzione: Nei linfomi indolenti le scelte terapeutiche dopo il raggiungimento di una risposta clinica secondaria a cicli
di chemioterapia di induzione è sotto studio in diversi trial clinici randomizzati. Al momento sappiamo che rituximab in
mantenimento aggiunge un vantaggio nei linfomi follicolari, ma poco è conosciuto nello specifico subset dei linfomi marginali.
Metodi: Riportiamo otto casi di linfoma della zona marginale che ottennero risposta dopo terapia di induzione e che furono
sottoposti a mantenimento mensile con rituximab. Alla diagnosi le caratteristiche dei pazienti erano: età mediana 65 (range 4871); M/F 3/5; istologia splenico e marginale nodale rispettivamente in 7 ed 1 caso; coinvolgimento midollare in tutti i pazienti;
linfociti villosi periferici in nessun paziente; splenomegalia in tutti i casi, con diametro longitudinale medio 213 mm ( range 138300); adenopatie solo nel linfoma marginale nodale; beta 2 microglobulina elevata in 6/8 casi; LDH elevato in 3/8 casi. La terapia
di induzione ha compreso R-CHOP, FCR, R-mini CEOP, VCP, FC. Il mantenimento con rituximab fu somministrato per 12
mesi in 4 pazienti, per 9 mesi in 1, per 7 mesi in 2 e per 6 mesi in 1.
Risultati: Dopo induzione un paziente raggiunse remissione completa e sette pazienti raggiunsero remissione parziale. Dopo
mantenimento tre pazienti con remissione parziale ottennero una remissione completa, mentre i restanti pazienti con risposta
parziale migliorano tale risposta per progressiva riduzione dei diametri splenici e dell’infiltrazione midollare. Al momento tutti
i pazienti osservati mantengono la stessa risposta. A un follow up mediano di 35 mesi (range 22-87), la sopravvivenza mediana
libera da eventi (EFS) è di 13 mesi (range 5- 40).
Effetti avversi si realizzarono solo in un paziente: broncopolmonite durante mantenimento, herpes zoster e riattivazione HBV.
Discussione: In questo abstract abbiamo mostrato: dopo terapia di induzione tutti i pazienti tranne uno ottennero solo una
risposta parziale; durante la terapia di mantenimento nei responsivi parziali il coinvolgimento splenico e midollare continuò a
diminuire con il raggiungimento di una remissione completa in 3/7; al momento tutti i pazienti mantengono la loro risposta con
un EFS mediana di 13 mesi dalla fine del mantenimento. In conclusione noi consideriamo la terapia di mantenimento mensile
con rituximab efficace nel controllo della malattia e nella prevenzione della progressione per il suo effetto antitumorale.
Questa scelta terapeutica è consigliabile in quei pazienti con linfoma marginale, perché spesso sono anziani e questo trattamento
migliora la loro qualità di vita permettendo di evitare un trattamento chirurgico. Tuttavia il numero di pazienti è troppo piccolo
ed i dati devono essere confermati in un trial prospettico con un follow up più lungo.
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10 •
RUOLO DELLA 18F-FDG-PET NEL LINFOMA FOLLICOLARE:
ESPERIENZA DI UN SINGOLO CENTRO
Mansueto G., Guariglia R., Pietrantuono G., Villani O., Martorelli M.C., Nappi A. (1), Venetucci A. (1),
Suriano V. (1), Urbano N. (1), D’Auria F., Grieco V., Bianchino G. (2), Sparano A., Zonno A., Lerose R. (3),
Storto G. (1), Musto P.
Unità di Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali, (1) Medicina Nucleare, (2) Oncologia Molecolare, and (3) Farmacia, IRCCS,
Centro di Riferimento Oncologico della Basilicata, Rionero in Vulture (Pz).
Il linfoma follicolare (LF) è uno dei sottotipi di linfoma non –Hodgkin (LNH) più frequenti in Europa e nel Nord America ed
è il più comune dei LNH indolenti. La 18F-FDG-PET-TC (PET) è una metodica utilizzata routinariamente per la stadiazione e
il follow-up di pazienti con LNH aggressivo e del linfoma di Hodgkin. Al contrario, sono disponibili dati assai più limitati per
quanto riguarda il suo impiego nelle forme indolenti; in particolare, il suo ruolo nel LF è attualmente in corso di valutazione.
Con lo scopo di verificarne l’utilita’clinica, integrando questa procedura nei processi di stadiazione e di rivalutazione posttrattamento, abbiamo recentemente utilizzato la PET nei pazienti con LF afferiti presso il nostro Centro nel corso degli ultimi
tre anni.
In totale lo studio ha incluso 21 pazienti (11 maschi e 10 femmine; età mediana 58 anni, range 42-77), con LF di grado I-IIIII (5, 8 e 6 pazienti, rispettivamente), più 2 pazienti con una forma mista di Linfoma a grandi cellule B/LF. In totale, sono
state effettuate 28 PET (9 prima della terapia e 19 per valutare la risposta al trattamento) e tutte sono state confrontate con
metodiche di stadiazione convenzionali. In sette pazienti la valutazione PET è stata eseguita sia prima che dopo il trattamento. Le
terapie praticate sono state eterogenee e basate su età e condizioni cliniche del paziente, caratteristiche della malattia o effettuate
nell’ambito di protocolli di ricerca: esse includevano FND con o senza Rituximab, R-CHOP o regimi R-CHOP-like, R-CVP,
R-FM. Due pazienti hanno ricevuto rispettivamente Rituximab o Chlorambucil in monoterapia.
Alla diagnosi 7 casi hanno mostrato avidità per FDG (78%) con un valore medio di SUV massimo pari a 8.2 (range 6.1-10.4). In
uno dei casi PET negativi la malattia era stata completamente eradicata mediante intervento chirurgico. In 2 pazienti su 9 la PET
ha mostrato un minor coinvolgimento di malattia rispetto alla TAC, senza tuttavia cambiarne lo stadio.
Alla rivalutazione, 12 su 19 pazienti valutati avevano sia la PET che la TAC negative: tutti i casi hanno mantenuto una remissione
completa di malattia con un follow up medio di 26 mesi (range 11-43).Al contrario, 3 pazienti con TAC negativa/PET positiva
alla rivalutazione hanno evidenziato recidiva o progressione tra i 12 e i 23 mesi dalla fine della terapia di induzione. Da notare che
uno di questi casi aveva ottenuto anche una remissione molecolare di malattia dopo terapia, come mostrato dalla negatività della
PCR per lo studio della t (14;18). Quattro pazienti con PET e TAC positive dopo terapia sono tutti andati incontro a progressione
di malattia dopo pochi mesi e sono stati sottoposti a regimi terapeutici alternativi.
Anche se preliminari e da confermare su una casistica più ampia, i nostri dati indicano che il LF mostra frequentemente avidità
per FDG e che una PET positiva dopo terapia può contribuire ad identificare pazienti con una prognosi peggiore.
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11 •
Analisi proteomica nella Leucemia Linfatica Cronica attraverso
metodologia MALDI-TOF MS profiling
Bossio S, Gentile M,Vigna E, Lucia E,Mazzone C,Franzese S, Caruso N, Servillo P,Gigliotti V, Le Pera
M1,Urso E1, Recchia A G,Cavalcanti S, Gentile C, Bisconte MG, Qualtieri A1 and Morabito F.
U.O.C di Ematologia, Azienda Ospedaliera di Cosenza. 1. Istituto di Scienze Neurologiche (ISN), CNR Piano lago, Cosenza.
Il decorso clinico è estremamente eterogeneo: indolente in alcuni casi, molto aggressivo in altri conducendo alla morte nel giro
di pochi anni. Numerosi biomarkers sono correntemente utilizzati come importanti fattori prognostici nella leucemia linfatica
cronica (LLC). In particolare, lo stato mutazionale del gene codificante la regione variabile delle immunoglobuline (IgVH),
l’espressione del CD38 e dello ZAP-70, rappresentano il parametro migliore per distinguere pazienti con decorso indolente
o aggressivo. Inoltre, accanto a studi dei profili genici dei pazienti affetti da LLC, è apparso una nuova indagine incentrata
sull’analisi dei profili proteici, che presentano maggiori vantaggi rispetto allo studio del trascriptoma, considerando che i profili
di espressione genica non sempre correlano con l’assetto proteico funzionale e quantitativo. La proteomica quindi è diventata uno
degli interessi rilevanti della ricerca clinica, in particolare per la possibilità che essa offre nell’individuazione di biomarcatori che
consentano una valutazione precoce dell’andamento clinico della malattia. Nel nostro studio è stata utilizzata una metodologia del
tipo MALDI-TOF MS profiling, con cui sono stati analizzati 25 pazienti affetti da LLC, Il contenuto proteico è stato ottenuto da
cellule B purificate e selezionate mediante specifici anticorpi di superficie legati a biglie magnetiche (Dynalbeads). La componente
linfocitaria di B arricchita (>90%) è stata in seguito sottoposta a lisi cellulare parziale, seguita da frazionamento subcellulare delle
componenti nucleari, microsomiali e idrosolubili. Di quest’ultima componente sono stati analizzati i profili proteici/peptidici in
un range abbastanza ristretto di m/z (massa/carica) compreso tra 1000-25000 Da, utilizzando lo spettrometro di massa Voyager
DE PRO (PerSeptiveBiosystems), operante in modalità “delayed extraction”. Allo scopo di valutare quale tipo di relazione
potesse esistere tra i pattern proteici osservati, la lista dei segnali ionici ottenuti da ciascun campione, analizzato in duplicato, è
stata corretta per il rumore della linea di base, normalizzata e sottoposta ad analisi statistica di tipo gerarchica (analisi dei cluster)
inserendo come dato anche quello relativo al fenotipo CD38 (cut-off 30%), ricavata tramite software quali Cluster e TreView(1).
Tramite tale procedura i profili proteici sono stati raggruppati in due branche ben distinte che includevano rispettivamente 11
e 14 pazienti e, infine, sono state valutate le differenze statistiche mediante t-Student. Assumendo come significativi valori di
p<0.05, è stato possibile individuare 14 peptidi differenzialmente espressi tra i due gruppi. Una nuova analisi dei cluster, ottenuta
sempre tramite l’ausilio di software quali Cluster e Treview, è stata condotta introducendo come dato quello relativo alle IgVH.
In questo caso, rispetto ai risultati ottenuti per il CD38, l’analisi ha fornito due branche non ben definite, dovuto probabilmente al
relativo basso numero di casi IgVH non mutati (cut-off 2%), e individuando 7 peptidi differenzialmente espressi tra i due gruppi,
assumendo come significativi valori di p<0,05. Inoltre, confrontando i valori dei segnali ottenuti dalle precedenti analisi statistiche,
sono stati individuati 3 valori di m/z comuni alle due liste di segnali ionici quali: 1256,69; 1311,55; 4939,28. La fase successiva del
nostro lavoro è incentrata sulla caratterizzazione dei segnali risultati essere statisticamente significativi. A tal proposito, abbiamo
evidenziato che il profilo proteico delle cellule linfoblastoidi (EBV) poco si discosta rispetto ai linfociti B maturi; pertanto, sono
stati usati estratti di cellule di linfoblasti immortalizzati con il virus dell’Epstein-Barr e sottoposti, successivamente, a lisi cellulare
e a frazionamento subcellulare delle componenti nucleari, microsomiali ed idrosolubili. Le proteine estratte dalla componente
idrosolubile è stata ulteriormente purificata tramite cromatografia liquida ad alta performance o HPLC, utilizzando una colonna
a fase inversa e raccogliendo circa 40 frazioni. Le relative frazioni sono state, infine analizzate allo spettrometro di massa MALDITOF, evidenziando segnali ionici di potenziale interesse. Ulteriori studi forniranno maggiori informazioni circa il coinvolgimento
di tali peptidi/proteine nei meccanismi molecolari della malattia.
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12 •
CORRELAZIONE DEL POLIMORFISMO GENICO DI MDR-1 CON I NUOVI
MARCATORI PROGNOSTICI IN PAZIENTI AFFETTI DA LEUCEMIA LINFATICA
CRONICA A CELLULE B.
Allegra A.1, Aguennouz M.2, Alonci A.1, Bellomo G.1, Cannavò A.1, Petrungaro A.1, Garufi A.2, Centorrino
R.1, D’Angelo A.1, Musolino C.1
1
Divisione di Ematologia, 2 Dipartimento di Neuroscienze – Policlinico G. Martino – Università di Messina
Il decorso clinico della Leucemia Linfatica cronica a cellule B (LLC-B) sembra essere estremamente variabile e la sopravvivenza
dei pazienti risulta compresa tra diversi mesi e decine di anni. Numerosi markers biologici identificati di recente, quail lo stato
mutazionale delle catene pesanti delle IG, lo Zap-70, la valutazione del CD38 ed altri, sembrano poter fornire nuove importanti
informazioni prognostiche.
La Glicoproteina P (P-gp) è una sostanza prodotta dall’espressione del gene Multidrug resistance-1 (MDR1), e variazioni a
suo carico, determinate da alterazioni genetiche quali quelle di un singolo polimorfismo nucleotidico (SNP) potrebbero
modificare l’attività degli enzimi capaci di metabolizzare i farmaci, determinando così un’alterazione della farmacodinamica dei
chemioterapici e una ridotta risposta terapeutica. Numerosi tipi di SNP sono stati identificati, alcuni dei quali sembrano essere
associati ad una alterata capacità di trasporto dei farmaci. Precedenti studi hanno identificato 29 tipi diversi di SNP per MDR1,
inclusi il G2677T SNP all’esone 21, capace di modificare la funzione della P-gp.
Un’alterata espressione di MDR-1 potrebbe forse rappresentare un nuovo addizionale markers prognostico nei pazienti con
LLC-B così come già dimostrato nei pazienti affetti da Leucemia Mieloide Acuta o da Leucenia Linfoblastica acuta.
Nel nostro studio abbiamo valutato il polimorfismo di MDR-1 in pazienti affetti da LLC-B ed abbiamo valutato la sua eventuale
correlazione con i nuovi markers prognostici
Sono stati valutati 53 pazienti affetti da LLC-B (25 uomini, 28 donne,di età compresa tra i 60 e gli 83 anni (mediana 71 anni).
Ad ogni paziente venivano effettuati I seguenti esami: esame emocromocitometrico, funzionalità renale ed epatica,
immunoglobuline, LDH, β2 microglobulina, biopsia midollare, valutazione dell’immunofenotipo periferico compresa la positività
per l’antigene CD38, l’analisi dello stato mutazionale del gene delle catene pesanti delle immunoglobuline, la determinazione
dell’espressione dello Zap-70.
Per quanto attiene la valutazione genotipica di MDR-1, le procedure di estrazione del DNA dal sangue periferico venivano
effettuate secondo le metodiche standard.
Due polimorfismi genici di MDR-1 (G2677T nell’esone 21; G3435T nell’esone 26) venivano valutati utilizzando la tecnica
della polymerase chain reaction (PCR), usando primers capaci di amplificare un corto frammento di DNA contenente i siti del
polimorfismo.
Nei nostri pazienti la frequenza dei genotipi era la seguente: per G2677T all’esone 21, il genotipo GG era evidenziato in 11
pazienti (20.8%), GT in 21 (39. 6%), TT in 21 (39.6%). Per C3435T all’esone 26, il genotipo CC era rilevato in 10 pazienti (18.8
%), CT in 30 (56.6 %), and TT in 13 (24.6 %).
La valutazione delle caratteristiche prognostiche dei pazienti affetti da LLC-B in accordo con il polimorfismo genico di MDR1
ci ha permesso di evidenziare una diversa distribuzione del genotipo tra i pazienti con alto e basso rischio di progressione di
malattia.
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13 •
Variante Hodgkin della sindrome di Ricther:
descrizione di un caso
M. Troiano, G.Monaco, M.L. Vigliotti, E. Attingenti, S. Iaccarino, A. Abbadessa
U.O.C. Oncoematologia. A.O.R.N. S.Anna e S. Sebastiano. Caserta.
Introduzione: la sindrome di Richter è una grave patologia dovuta alla trasformazione in un linfoma non Hodgkin aggressivo di
una sindrome linfoproliferativa cronica a basso grado di malignità e soprattutto di una leucemia linfatica cronica. La trasformazione
in una sindrome di Ricther avviene nel 3.3 – 10.6% dei pazienti ed si associa ad una infezione virale, principalmente al virus di
Epstein-Barr, comune nei pazienti immunodepressi.
Caso clinico: descriviamo il caso clinico di una donna di 78 anni alla quale è stata diagnosticata una sindrome di Richter di tipo
hodgkiniano a 6 mesi dalla diagnosi di CLL/SLL. La paziente presentava da un punto di vista clinico assenza di sintomatologia
B,Karnofsky 90%, splenomegalia dal Ø max di ~ 15 cm e linfoadenopatie diffuse dal Ø max di ~ 3. Le indagini bioumorali di
malattia mostravano linfociti pari a 7.910/mmc in assenza di anemia e piastrinopenia, VES 80 mm/h e LDH aumentato, un
immunofenotipo su sangue periferico caratterizzato da CD 5+, HLA-DR +, CD 10-, CD 19+, CD20+, CD23+, CD22-, CD11c-,
FMC7-, CD22-, CD43+, SmIg k+, ed infine la biopsia osteomidollare che evidenziava infiltrazione linfocitaria pari al 30% con
la seguente caratterizzazione: CD20+, CD79a+, CD5 -/+, CD10-, CD23+, ciclina D1-. Per l’assenza di sintomatologia si decide
una strategia watch and wait con attento monitoraggio clinico-laboratoristico-strumentale. A distanza di 6 mesi dalla diagnosi
di CLL/SLL la paziente presentava febbre, calo ponderale sudorazione profusa, algie addominali da incremento linfonodale
intraddominale, adenopatia bulky inguinale dx, aumento della splenomegalia e decadimento del performance status. Le indagini
bioumorali evidenziavano 8.270/mmc linfociti senza anemia e piastrinopenia, una tipizzazione linfocitaria su sangue periferico
caratterizzata da CD 5+, HLA-DR +, CD 10-, CD20+, CD23+, FMC7-. Si effettua biopsia escissionale del linfonodo inguinale
dx. Per il peggioramento ingravescente delle condizioni generali, in attesa dell’esame istologico, si decide di iniziare trattamento
immunochemioterapico secondo schema R-FC alle dosi standard (Rituximab 375 mg/m2 giorno 1; Fludarabina 25 mg/m2 giorni
2,3,4 e Ciclofosfamide 250 mg/m2 giorni 2,3,4) ogni 28 giorni per un totale di 4 cicli. Dopo un solo ciclo di immunochemioterapia
la paziente presentava riduzione della massa bulky inguinale e scomparsa della sintomatologia algica addominale. Si decide,
pertanto, di continuare il trattamento immunochemioterapico per un totale di 4 cicli consecutivi e con l’ottenimento finale di
una remissione parziale. Si precisa, inoltre, che a ~ 30 giorni dall’inizio del trattamento immunochemioterapico perviene dato
istologico della biopsia linfonodale inguinale: sindrome di Richter di tipo hodgkiniano, EBV positiva, CD20+, CD3-, CD5-/+,
CD23+, IRF4 focal+, IRTA-. Sulla scorta di tale dato istologico, ma, in virtù, di una ripresa di malattia si decide di sottoporre la
paziente a trattamento chemioterapico secondo schema DHAP a dosi convenzionali (Desametasone 40 mg/m2 1-4, Cisplatino
100 mg/m2 1, ARA-C 2000/m2 2) per un totale di 4 cicli. La paziente ottiene una remissione completa che perdura a circa 6 mesi
dal termine della terapia.
Conclusione: la sindrome di Richter di tipo Hodgkiniano è una complicanza estremamente rara della CLL/SLL. I casi di
sindrome di Ricther con questo peculiare quadro istologico vengono definiti “variante di Hodgkin della sindrome di Richter”
e sembano correlare con una prognosi migliore e sopravvivenza più prolungata rispetto ai casi con sindrome di Richter non
hodgkin classica. La spiccata chemioresponsività ad un regime terapeutico tipico di un disordine linfoproliferativo ad alto grado
è fortemente indicativo di un clone neoplastico trasformato e ben distinto con una propria e nuova identità biologica-molecolare.
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14 •
IL CONTRIBUTO DELLA CITOFLUORIMETRIA (FC) NELLA DIAGNOSI DI
PATOLOGIE MALIGNE E NON MALIGNE NELLE BIOPSIE LINFONODALI
Franzese S, Vigna E, Gentile M, Lucia E, Mazzone C, Bossio S, Caruso N, Servillo P, Gigliotti V, Qualtieri
G, Recchia A G, Bisconte MG, Gentile C, 1Romeo F, 1De Stefano R, 2Megna M, 2Massucco C, Cavalcanti S,
2
Zupo S and Morabito F.
U.O.C di Ematologia, Azienda Ospedaliera di Cosenza; 1U.O.C. di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera di Cosenza;
2
Divisione di Diagnostica delle malattie Linfoproliferative, IST Genova.
I linfonodi vengono valutati tipicamente attraverso l’esame istologico ed immunoistochimico. L’uso della FC ha indubbiamente
aggiunto una dimensione intrigante alla diagnosi delle neoplasie ematologiche, particolarmente quando si ematologiche applica
a prelievi di sangue periferico o midollare. Con lo scopo di verificare il contributo della FC per la dignostica linfonodale abbiamo
confrontato, in uno studio retrospettivo, la diagnosi istopatologica con i risultati citofluorimetrici in 107 biopsie linfonodali
consecutive. L’esame istologico ha rilevato 55 casi (51%) di linfoma non Hodgkin a cellule B (NHL), 15 casi (14%) di linfoma di
Hodgkin (HL) e 37 casi (35%) di patologia non ematologica. La linea cellulare B è stata identificata dalla determinazione delle
catene leggere Kappa e Lambda, sIgG, sIgA, sIgM, CD10, CD5, CD23, FMC7, CD20, CD30, CD22 differentemente combinate
con il CD19. Sono stati usati anche gli anticorpi primari CD45, CD3, CD4, CD8, CD25. Gli istogrammi FC sono stati valutati
da operatori che non conoscevano la diagnosi istologica. La monoclonalità, definita per un rapporto K/L > 3:1 oppure < 0.3:1, è
risultata valutabile in 78 di 107 casi analizzati. La determinazione delle catene leggere ha evidenziato una restrizione monoclonale
in 23/26 casi di NHL a basso grado, in 11/17 NHL ad alto-grado, 0/7 HL e 5/28 casi non neoplastici. Il potenziale diagnostico della
restrizione monoclonale delle catene leggere nella diagnosi di NHL (NHL a basso grado + NHL ad alto grado vs non neoplastico
+ HL) è risultato il seguente: sensibilità 79%, specificità 85%, valore prognostico positivo 87%, valore prognostico negativo
77%, precisione/accuratezza 82%. La statistica Kappa ha rivelato che la correlazione tra la diagnosi di NHL e la restrizione
monoclonale delle catene leggere presentava un valore intermedio (K=0.64, P<0.001). Infine, nell’approccio alla identificazione
del tipo di linfoma in esame, per i casi con restrizione monoclonale, abbiamo utilizzato la procedura proposta da Craig et al, la
quale, partendo dalla valutazione dell’espressione del CD5 e del CD10, individua quattro possibili gruppi citofluorimetrici: CD5+
CD10- (14 casi); CD5- CD10+ (4 casi); CD5+ CD10+ (8 casi) e CD5- CD10- (2 casi) correlabili a singole entità istopatologiche.
Una percentuale statisticamente più elevata di linfociti CD3+ sono stati rilevati nei casi con HL (HL=60+23 SD versus non
neoplastici=51+20 versus alto grado NHL=40+25 versus basso grado NHL=36+24, P di trend 0.006) associato ad una percentuale
significativamente più bassa di linfociti CD19+ (HL=18+15 SD versus non neoplastici=25+17 versus alto grado NHL=36+26
versus basso grado NHL=45+25, P di trend 0.006). Si potrebbe, quindi, ipotizzare, nell’ambito dell’approccio citofluorimetrico
allo studio delle biopsie linfonodali, una procedura che preveda i seguenti step operativi organizzati in modo gerarchico: i)
Valutazione dell’idoneità del campione; ii) Valutazione della clonalità della popolazione linfocitaria B; iii) Valutazione di
marcatori citofluorimetrici più specifici per singole entità anatomo-cliniche. La valutazione dell’idoneità del campione ottenuto
mediante scraping deve prevedere il conteggio delle cellule ottenute e la valutazione della loro vitalità, ad esempio attraverso la
determinazione del rapporto tra cellule positive e negative alla 7AAD o ad altri coloranti vitali fluorescenti. La clonalità della
popolazione B linfocitaria può essere classicamente valutata in base al rapporto tra catene leggere Kappa e Lambda di superficie.
Va, ovviamente, sottolineato che la mancanza di clonalità della popolazione B linfocitaria non esclude di per sé la diagnosi di
linfoma potendo tale reperto osservarsi in casi di HL e di NHL che non esprimono catene leggere di superficie. In conclusione,
questo studio conferma che la FC effettuata su campioni di linfonodo a fresco è un utile strumento prognostico in pazienti con
NHL considerando che pochi casi risultano non valutabili attraverso la restrizione monoclonale delle catene leggere. Sebbene il
potenziale della FC di diagnosticare HL è basso, l’immunofenotipo FC dei linfociti T potrebbe avere un potenziale ruolo come
tool diagnostico in questi pazienti.
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15 •
RITUXIMAB BASED THERAPY NELLA MACROGLOBULINEMIA
DI WALDESTROM: ANALISI DI SETTE CASI CLINICI
Quintana G., Giannotta A., Loseto G., Quarta G.
U.O. Ematologia, Osp. A. Perrino Brindisi.
La Macroglobulinemia di Waldestrom (MW), è una disordine linfoproliferativo associato a produzione sierica di immunoglobuline
monoclonali M (IgM), ed infiltrazione midollare di elementi ad habitus linfoplasmocitico.
Negli ultimi anni, la terapia di prima linea del MW si è basata sull’utilizzo di agenti alchilanti, analoghi di nucleosidi o Rituximab
in monoterapia o in associazione fra essi, che hanno portato ad un miglioramento delle risposte. Attualmente, incoraggianti
risultati giungono dall’uso del Bortezomib, Lenalidomide, Talidomide e dal trapianto di allogenico o autologo di cellule staminali
in fase avanzata di malattia.
Dal 1999 al 2008, all’attenzione del nostro centro, sono giunti sette pazienti (tre femmine e quattro maschi), con una età media di
sessantacinque anni, per un riscontro di incremento della componente monoclonale (CM), delle IgM e di una moderata anemia
normocromica normocitica, talvolta associati clinicamente a segni e sintomi da iperviscosità ematica.
Biopsia Osteo Midollare e/o agoaspirato midollare hanno evidenziato mediamente la presenza di un infiltrato linfocitario in
parte ad habitus linfoplasmocitico con positività immunoistochimica per gli antigeni di membrana CD130, CD20 e per le catene
leggere di tipo K; questi dati sono stati confermati inoltre dallo studio citofluorimetrico delle popolazioni cellulari.
Per ogni paziente i valori della CM delle IgM sono stati monitorati mediante stretto follw-up; per l’inizio della terapia citoriduttiva
il cout-off di CM in riferimento è stato di 3,5 g/dl.
I nostri pazienti sono stati avviati alla terapia con una CM media pari a 3,6 g/dl (2,2-4,12g/dl), IgM medie 5905mg/dl (2489-9222
mg/dl), Hb media di 9.8 g/dl (8,5-11,5 g/dl).
Dal 2005 presso il nostro centro, la terapia di prima linea nel trattamento del MW, è stata con anticorpo monoclonale anti-CD20
(Rituximab) per otto settimane.
Dei sette pazienti, cinque hanno ricevuto Rituximab come primo trattamento, due (che nel 2004 erano stati trattati in prima linea
rispettivamente con R-CVP e Leukeran più R-CVP), sono stati trattati con Rituximab in prima recidiva di malattia.
Buoni risultati si sono ottenuti in entrambi i casi, sia in termini di riduzione della CM, che di tollerabilità.
L’analisi dei nostri dati ha evidenziato una riduzione della CM media da 3,6 g/dl a 2,7 g/dl, delle IgM da 5905 mg/dl a 3450 mg/
dl, ed un aumento di Hb media da 9,8 g/dl a 12,3 g/dl.
In particolare la CM massima di 4,12 g/dl, si è ridotta a 2,8 g/dl, le IgM massime di 9222 mg/dl sono scese a 4169 mg/dl, ed il
valore più basso di Hb pari a 8.6 g/dl, ha subito un incremento a 12,9 g/dl.
Dopo il trattamento di prima linea, tre pazienti hanno recidivato,a distanza di venti mesi circa dalla terapia (due pazienti dopo
dodici ed uno dopo trentasei mesi), e per essi è stato avviato un secondo ciclo di terapia con Rituximab di otto settimane, che ha
portato anche in questo caso ad una riduzione significativa e stabile della CM nel tempo per due pazienti su tre; l’ultimo infatti
nel Maggio 2009, ha riportato un nuovo incremento di CM (3,5 g/dl) e di IgM (10800 mg/dl) per la stesso è stato deciso di avviare
un nuovo ciclo di terapia, questa volta con R-CVP.
In riferimento alla nostra esperienza, possiamo concludere, che pazienti trattati hanno avuto una buona risposta, sia dal punto di
vista clinico che laboratoristico, al Rituximab associato ad una ottima tollerabilità del trattamento, con nessuna forma di tossicità.
•
16 •
EFFICACIA DELL’ECULIZUMAB NEI PAZIENTI CON EMOGLOBUNIRIA
PAROSSISTICA NOTTURNA NON TRASFUSI
Elisa Seneca, Ludovica Marando, Fiorella Alfinito, Antonio M. Risitano, Bruno Rotoli.
Ematologia, Dipartimento di Biochimica e Biotecnologie Mediche, Università Federico II, Napoli
L’emoglobinuria parossistica notturna (EPN) è una malattia ematologica caratterizzata dall’espansione di cellule staminali
empoietiche incapaci di esprimere sulla loro superficie le molecole GPI-linked. Il sintomo cardine della malattia è l’emolisi
cronica intravascolare mediata dal complemento, che è dovuta all’assenza sui globuli rossi dei regolatori del complemento CD55
e CD59. L’eculizumab, un anticorpo monoclonale anti-frazione 5 del complemento, si è dimostrato efficace nel ridurre o abolire il
fabbisogno trasfusionale nei pazienti EPN con precedente storia trasfusionale. In questo studio riportiamo l’efficace e la sicurezza
del trattamento con eculizumab in una serie di 9 pazienti (età mediana 39 anni, range 16-59) che non avevano mai effettuato
trasfusioni. Tutti i pazienti presentavano un’emolisi massiva, come dimostrato dall’aumento marcato dell’LDH; l’indicazione
al trattamento era basata sull’anemia severa (pazienti che rifiutavano le trasfusioni, o di diagnosi recente non ancora trasfusi),
o in 2 casi sulla presenza di eventi tromboembolici ad alto rischio (trombosi dei seni venosi cerebrali e sindrome di BuddChiari) associata ad anemia moderata. I pazienti hanno seguito la schedula di somministrazione standard (600 mg ogni 7 giorni
nella fase di carico, e successivamente 900 mg ogni 14 giorni), previa vaccinazione anti-meningococcica. La durata mediana del
trattamento è stata di 16 mesi (range 1-39); il trattamento è stato ben tollerato e non si sono osservati eventi avversi clinicamente
rilevanti. In tutti i pazienti il trattamento con eculizumab è risultato in una significativa inibizione dell’emolisi intravascolare
come confermato dalla marcata riduzione dell’LDH (da un valore mediano pre-trattamento di 1500 U/L a 356 U/L durante la
terapia; P=0,001). Il controllo dell’emolisi si è tradotto in un significativo aumento dell’Hb (mediana pre- e post-trattamento
9 e 10,7 g/dL, rispettivamente; P=0,003), con un aumento mediano di 2 g/dL. La popolazione eritrocitaria a fenotipo EPN è
aumentata da una mediana di 23,2% a 58,1% (P=0,003). Tutti i pazienti, indipendentemente dal miglioramento dell’Hb, hanno
ottenuto un significativo miglioramento della loro qualità della vita, legato in gran parte alla scomparsa dei sintomi correlati
all’emolisi (crisi parossistiche, dolori addominali, disfagia, fatigue). Durante il trattamento non si è osservato nessun nuovo
evento tromboembolico. In conclusione, eculizumab appare sicuro ed efficace per il trattamento dell’emolisi intravascolare anche
di pazienti EPN che non abbiano ricevuto precedenti trasfusioni. Il beneficio clinico appare sovrapponibile a quello già riportato
nei pazienti con minimo fabbisogno trasfusionale, e giustifica l’impiego del farmaco in tutti i pazienti con EPN che mostrino
un’emolisi associata a sintomi o manifestazioni cliniche rilevanti.
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17 •
PORPORA TROMBOTICA TROMBOCITOPENICA:
STUDIO RETROSPETTIVO DI 10 CASI
Coppi M.R.*, De Sangro M.A.°, Brocca M.C.*, Melpignano A.*, Mele G.*, Pinna S.*, Cucci F.°, Quarta G.*
* U.O. Ematologia e Centro Trapianti – Ospedale “A. Perrino” – Brindisi ° SIMT – Ospedale “A. Perrino” – Brindisi
La Porpora Trombotica Trombocitopenia (PTT), descritta per la prima volta da Moschowitz nel 1924, è una malattia caratterizzata
da anemia emolitica microangiopatica Coombs negativa, piastrinopenia, febbre, danno renale ed alterazioni neurologiche.
Nonostante il quadro clinico della pentade, spesso è difficile porre una diagnosi precisa e soprattutto distinguerla da altre
microangiopatie trombotiche.
Il meccanismo eziopatogenetico alla base della PTT è da ricondurre alla fisiopatologia del fattore Von Willebrand (VWF).
Tale fattore è contenuto negli a-granuli delle piastrine e nei corpuscoli di Weibel-Palade delle cellule endoteliali sotto forma di
multimeri, definiti “unusually large multimers” (ULvWF), ancorati
alla matrice sottoendoteliale. In condizioni di elevato shear-stress la parte del ULvWF sporgente nel lume vascolare si dispiega
mediando da un lato l’interazione tra endotelio e piastrine e dall’altro tra piastrine e piastrine, promuovendo, così l’aggregazione
piastrinica e la trombosi micro vascolare piastrino-dipendente.
In condizioni fisiologiche, un enzima plasmatico ad azione proteolitica (una metalloproteasi, ADAMTS13) deputato al clivaggio
degli ULvWF, produce frammenti di vWF a basso peso molecolare che hanno una minore affinità per le piastrine. Un deficit
quantitativo o qualitativo di ADAMTS13 secondario ad alterazioni genetiche o alla presenza di autoanticorpi inibenti la sua
attività è alla base dell’insorgenza della PTT.
Tra il 2003 e il 2009 sono giunti alla nostra osservazione 10 pazienti di età compresa tra 17 e 59 anni, con prevalenza del sesso
femminile (9 donne e 1 uomo). Tutti i pazienti presentavano all’esordio petecchie ed astenia. Le manifestazioni neurologiche
(cefalea transitoria) si presentavano in 3 pazienti. Una paziente all’esordio mostrava petecchie associate a macroematuria e una
un quadro simil-infettivo con petecchie diffuse su tutto il corpo, lipotimia e febbre (38°C).
All’ingresso gli esami di laboratorio mostravano valori mediani (range) di: emoglobina 8.7 gr/dl (6.7-9.8 gr/dl), globuli rossi
2.5x106/mm3 (2-3.4x106/mm3), piastrine 7000/mm3 (6000-10000/mm3), reticolociti 5% (4.3-9.6%), bilirubina totale 2.9 mg/dl
(1.8-3.1 mg/dl), aptoglobina 1.1mg/dl (0-5 mg/dl), LDH 839 UI/l (722-3996 UI/l), test di Coombs negativo, schistociti nel sangue
periferico. A tutti i pazienti è stata valutata l’attività funzionale di ADAMT13 (v.n.: 46-160%) ed il dosaggio degli anticorpi
inibenti (v.n.: <1 U/ml) (valutazione eseguita con metodo standardizzato e secondo la Letteratura internazionale presso il Lab. di
emofilia e trombosi dell’Ospedale Maggiore di Milano). In tutti i pazienti l’attività funzionale di ADAMTS13 è risultata carente,
gli anticorpi inibenti invece erano presenti solo in 4 casi.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti a terapia medica associata a terapia aferetica (plasma-exchange, PEX), secondo le linee guida
SIDEM. L’episodio acuto dei singoli pazienti è stato trattato con un numero totale di procedure aferetiche da 8 a 15, inizialmente
quotidiane ed in seguito a giorni alterni. Dopo le prime sedute quotidiane, le successive sono state definite per ogni paziente in
base alla valutazione dei dati laboratoristici (normalizzazione della conta piastrinica e LDH). La terapia di induzione applicata a
tutti i pazienti all’esordio consisteva in procedure di PEX, di cui le prime 3 con scambio di 1.5 volumi plasmatici e le successive
con scambio di 1 volume, associate a terapia steroidea e ad acido acetilsalicilico 100mg/die (dal raggiungimento di una conta
piastrinica ≥50000/mm3). Il plasma rimosso è stato sostituito con la stessa quantità di plasma fresco inattivato (OCTAPLAS)
o plasma fresco congelato. La terapia di consolidamento (PEX) veniva applicata a tutti i pazienti responsivi e parzialmente
responsivi. Dei 10 pazienti trattati, 8 sono ancora oggi in remissione e 2 sono stati persi al follow-up.
La terapia aferetica ha sostanzialmente cambiato la prospettiva di vita dei pazienti affetti da PTT: prima dell’introduzione di tale
procedura la quasi totalità dei pazienti andava incontro a morte. Oggi oltre l’85% dei pazienti ottiene la remissione. Il dosaggio
di ADAMTS13 e del suo inibitore ci aiutano a discriminare le forme congenite da quelle acquisite e ad individuare le forme
potenzialmente recidivanti e candidabili a terapie alternative, infatti da studi recenti si apprende che pazienti con livelli normali
o poco ridotti di ADAMTS13 rispondono poco alla PEX ed hanno elevata mortalità.
•
18 •
EVOLUZIONE NELLA TERAPIA FERROCHELANTE DELLA TALASSEMIA:
STATO DELL’ARTE IN UN SINGOLO CENTRO
Antonella Quarta, Angela Melpignano, Mariapia Solfrizzi, Maria Rosaria Coppi, Angela Giannotta,
Maurizio Brocca, Marco Piliego, Mariolina Perrucci, Carmela Francioso, Giovanni Quarta.
U.O.C Ematologia, Ospedale “A. Perrino”- Brindisi
Al Centro della Microcitemia dell’U.O.C. di Ematologia dell’Ospedale “A. Perrino” di Brindisi afferiscono 75 pazienti affetti
da Talassemia Mayor e 29 pazienti con diagnosi di Talassemia Intermedia.Inoltre vengono monitorate 2 pazienti affette da
Drepanocitosi ed una paziente con defici congenito di PK. La distribuzione dei pazienti per età è la seguente:
Talassemia Mayor
0 – 9 anni
Talassemia Intermedia
Drepanocitosi
1(deficit PK)
1
10 – 19 anni
6
1
20 – 29 anni
13
3
30 – 39 anni
43
11
40 – 49 anni
10
5
50 – 59 anni
2
6
60 – 69 anni
1
> 70 anni
2
2
Allo stato attuale la terapia ferrochelante risulta cosi ripartita:il 76% (n° 57) dei pz con T.Mayor è in terapia ferrochelante orale
con Deferasirox ( 9 pz hanno iniziato il trattamento nel 2003; 7 pz nel 2006, 38 pz nel 2007 e 5 pazienti nel 2008)mentre il 16%
(n° 12) è in terapia con Desferrioxamina. Tre pz sono in terapia con Deferiprone, 3 pazienti effettuano terapia associata con
Desferal+Deferiprone ed infine una pz ha interrotto Exjade perché in gravidanza (ferritinemia pre-gravidanza:250 ng/ml). Sei
dei 12 pz attualmente in terapia con Desferal hanno dovuto interrompere Deferasirox: 3 per comparsa di effetti collaterali non
tollerati e 3 per mancata risposta.
Dei 57 pz in terapia con Deferasirox il 50,8% (n°29) ha attualmente una ferritinemia inferiore a 500 ng/ml, il 22,8% (n°13) ha una
ferritinemia tra 500 e 1000 ng/ml ed il 26,3%(n.15) oltre 1000 ng/ml.
Dei 12 pz in terapia con Desferal, il 50% ha una ferritinemia inferiore a 500, 2 pz hanno una ferritinemia tra 500 e 1000 e 4 pz
oltre 1000 ng/ml.
.4
C re a t in in a ( m e d i a n a ) m g /d L
.5
.6
.7
C re a t in in a ( m e d i a n a ) m g /d L
.5
.6
.7
Globalmente, nella nostra esperienza, Deferasirox ha dimostrato dati positivi in termini di efficacia e sicurezza; a quest’ultimo
proposito, la valutazione statistica dei valori di creatininemia registrati nei pazienti talassemici afferenti al nostro centro dal 2000
al 2008 non ha mostrato differenze statisticamente significative in funzione del ferrochelante utilizzato anzi per Exjade si registra
una tendenza alla stabilizzazione dei valori di creatinina sierica.
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02
04
A nn o
.4
D e s fe ra l
E x ja d e
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E x ja d e•
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06
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TRATTAMENTO CON RITUXIMAB DI UN CASO DI PORPORA TROMBOTICA
TROMBOCITOPENICA CON DEFICIT DI IgA
MG. Franzese, G. Palumbo, G. Spinosa, N. Mangialetto, A. Ricciardi, S. Capalbo
SC Ematologia, Ospedali Riuniti Azienda Ospedaliero-Universitaria, Foggia
Background: La Porpora Trombotica Trombocitopenica (PTT) è una malattia rara caratterizzata da anemia emolitica
microangiopatica, piastrinopenia, segni neurologici, insufficienza renale e febbre. L’uso di plasma-exchange (PEX) più
corticosteroidi ha ridotto la mortalità di oltre il 90%. In casi rari, come ad esempio in pazienti con deficit di IgA, l’infusione di
plasma potrebbe, però, associarsi a gravi reazioni trasfusionali di tipo anafilattico. Inoltre circa il 10% dei pazienti con PTT è
refrattario al trattamento con PEX. In questi casi sono stati proposti trattamenti con farmaci immunosoppressori (vincristina,
ciclofosfamide, ciclosporina A), immunoglobuline ad alte dosi (Ig HD), immuno-assorbimento con proteina A stafilococcica,
splenectomia. Alcuni lavori hanno, inoltre, descritto casi di remissione completa (RC) in PTT refrattarie trattate con rituximab.
Scopo: descriviamo il primo caso di PTT con deficit di IgA trattato con successo con rituximab. Case report: una donna di 48
anni si rivolgeva presso il nostro centro nel giugno 2007 per anemia e piastrinopenia. All’atto del ricovero la paziente accusava
astenia intensa e presentava petecchie a livello addominale e degli arti inferiori senza segni neurologici né febbre. L’emocromo
mostrava emoglobina (Hb) 6.3 g/dl, piastrine (Plt) 89 x 109/l e globuli bianchi (WBC) 4.7 x 109/l; lo striscio periferico evidenziava
numerosi schistociti. Il valore della bilirubina totale (BT) era 1.14 mg/dl, mentre la lattico-deidrogenasi (LDH) 2917 U/I (valori
normali < 500 U/I). L’attività di ADAMTS13 era 32% (valori normali 46-160), senza presenza di anticorpi anti-ADAMTS13.
In base a questi dati fu posta diagnosi di PTT e la paziente fu trattata con PEX e prednisone 1 mg/Kg/die, ma durante la prima
seduta di PEX presentò brividi scuotenti, febbre e dispnea; le successive sedute di PEX furono, perciò, premedicate con terapia
corticosteroidea, per cui la paziente non presentò più effetti collaterali. Dopo 12 sedute di PEX la paziente ottenne la RC. Nel
giugno 2008 fu, però, nuovamente ricoverata presso il nostro centro per recidiva di malattia. L’emocromo mostrava Hb 8.1 g/dl e
Plt 97 x 109/l con presenza di schistociti allo striscio periferico. La BT era 1.36 mg/dl e l’LDH 1299 U/I. L’attività di ADAMTS13
era 14% senza presenza di anticorpi anti-ADAMTS13. Fu instaurata terapia con prednisone e PEX ma, appena iniziata l’infusione
di plasma, la paziente presentò una reazione trasfusionale anafilattica (dispnea intensa, ipotensione, laringospasmo, brividi e
febbre). Fu effettuato dosaggio delle IgA che mostrò un grave deficit (< 0.05 mg/dl). Nell’impossibilità di ottenere plasma da
donatori con deficit di IgA fu praticata terapia con Ig HD e.v. (400 mg/Kg/die), ma senza risposta. Dopo 10 giorni si decise di
trattare la paziente con rituximab alla dose di 375 mg/m2 ogni settimana per un totale di 4 dosi. Non furono osservati effetti
collaterali legati all’infusione di rituximab. Dopo cinque giorni dalla prima infusione la paziente raggiunse la RC (Plt 110 x 109/l
e LDH 420 U/I). In seguito sono stati praticate altre 4 infusioni mensili di rituximab. La paziente è attualmente in RC.
Conclusioni: a nostra conoscenza questo è il primo caso di PTT associato a deficit di IgA. Quest’ultima condizione è associata
a gravi reazioni trasfusionali di tipo anafilattico secondarie all’infusione di plasma, rendendo difficile l’esecuzione di PEX. Nel
nostro caso, probabilmente, il primo ciclo di PEX, effettuato all’esordio della malattia, ha prodotto un’ipersensibilizzazione alle
successive infusioni di plasma rendendo, all’atto della recidiva, la terapia con PEX di fatto impossibile. La nostra esperienza
conferma l’utilità dell’uso del rituximab nei casi di PTT nei quali non è praticabile la terapia tradizionale.
•
20 •
TALASSEMIA e GRAVIDANZA: ESPERIENZA MONOCENTRICA
Mariapia Solfrizzi, Angela Melpignano, Antonella Quarta, Mariolina Perrucci, Carmela Francioso, Giovanni
Quarta.
U.O.C Ematologia – Centro della Microcitemia- Ospedale “A. Perrino”- Brindisi -
L’approccio terapeutico globale al paziente talassemico basato su un regime trasfusionale adeguato associato ad una idonea
ferrochelazione ha determinato, negli ultimi decenni, un netto miglioramento delle condizioni cliniche dei pazienti talassemici
con conseguenti riflessi positivi sulla qualità di vita e sulla prospettiva di lunga sopravvivenza.Tali elementi hanno reso possibile
il superamento di quelle barriere organiche (amenorrea primaria e secondaria da sovraccarico di ferro, gravi cardiopatie
emosiderosiche) e psicologiche che nel passato rendevano la gravidanza nelle pazienti talassemiche un evento raro. Al Centro della
Microcitemia dell’U.O.C. di Ematologia dell’Ospedale “A. Perrino” di Brindisi afferiscono 75 pazienti affetti da Talassemia Mayor
e 29 pazienti con diagnosi di Talassemia Intermedia.Inoltre vengono monitorate 2 pazienti affette da Microdrepanocitosi ed una
paziente con defici congenito di PK. Il 30% dei pz è rappresentato da donne in età fertile. In totale abbiamo registrato, nell’ultimo
decennio, 7 gravidanze pregresse (in 6 pazienti con Talassemia Mayor ed in una con Talassemia Intermedia) e 2 gravidanze in
corso (in una pz con Talassemia Mayor e in una pz con Microdrepanocitosi). Tutte e 9 le pz hanno effettuato il monitoraggio
clinico-ematologico presso il nostro centro. L’età media delle pz,registrata all’inizio della gravidanza, è stata di 30 anni (range 2335 aa). Lo stato clinico generale delle pz valutato con esami ematochimici (metabolismo del ferro, funzionalità epato-renale, esami
ormonali) e strumentali ( ecocardiogramma-ECG – ecografia addominale ed in un caso RMN epatica/cardiaca ) non evidenziava
la presenza di gravi complicanze cardiache, epatiche ed endocrinologiche al momento del concepimento, conseguenza diretta
della buona compliance dimostrata dalle pazienti in causa nei confronti della terapia trasfusionale, ferrochelante e medica in
generale. In tutti i casi la terapia ferrochelante è stata cautelativamente sospesa al momento del test di gravidanza positivo (nella pz
con Microdrepanocitosi è stata interrotta la terapia con idrossiurea). Sei pz delle 7 gravidanze pregresse ed una pz con gravidanza
in corso sono state splenectomizzate. Delle 7 gravidanze pregresse esitate con nascita di feti vivi e vitali, 2 sono state indotte
mentre 5 sono avvenute spontaneamente. L’induzione di gravidanza ha previsto in tutti e 2 i casi la sola stimolazione ovarica
gonadotropinica: 1 pz è stata trattata con 6 cicli per la sua prima gravidanza e con un solo ciclo nella seconda gravidanza (risultata
bigemina); la seconda pz è stata trattata con 3 cicli. Delle 2 pz con gravidanza in corso, una (affetta da Microdrepanocitosi) è
andata incontro a concepimento spontaneo mentra l’altra (con Talassemia Mayor) ha subito la stimolazione ovarica seguita
da FIVET ed esitata in gravidanza trigemina.Delle 6 pazienti splenectomizzate, solo 2 sono state sottoposte a terapia eparinica
per profilassi antitrombotica(Non è stato registrato alcun evento trombotico).Entrambe lepz con gravidanza in corso sono in
profilassi antitrombotica.Il regime trasfusionale ha previsto il mantenimento dell’Hb pre-trasfusionale a valori ≥10,5 gr/dl. Per 2
pz si è resa necessaria la diagnosi prenatale con villocentesi poiché i partners risultavano portatori sani di trait β-talassemico( in
entrambi i casi: feto portatore sano).Tutte e 7 le pregresse gravidanze sono esitate in parto cesareo per motivi di sicurezza(ipossia)
tra la 32°e la 39°settimana di gestazione in assenza di complicanze.Dei 10 bambini nati, solo 3 sono stati trattenuti nella TI
dell’’UTIN (2 per peso inferiore ai 2 Kg ed uno per distress respiratorio moderato).In conclusione, l’adeguata compliance alla
terapia ferrochelante in epoca pregravidica associata ad uno stretto monitoraggio clinico-ematologico rappresentano gli elementi
fondamentali su cui basare un supporto ottimale alle pazienti talassemiche.
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21 •
VALUTAZIONE DEL SOVRACCARICO DI FERRO NEL MIOCARDIO CON
RISONANZA MAGNETICA (RM) T2* IN PAZIENTI CON TALASSEMIA ED ANEMIE
ACQUISITE TRASFUSIONE DIPENDENTI
Angela Ciancioa, Alberto Fragassoa, Clara Mannarellaa, Michele Nardella b, Cristiano Turchettic, Angelo
Pelusod, Giovanni Quartae, Angela Melpignanoe, Maria Rosaria Vegliof
Unità Semplice di Ematologia, Ospedale Madonna delle Grazie. Matera. b Struttura Complessa di Radiologia, Ospedale Madonna
delle Grazie. Matera. cAlliance Medical Srl. Roma. Italy. Unità di Risonanza Magnetica. Ospedale Madonna delle Grazie. Matera.
d
Struttura Semplice di Microcitemia, ASL TA1, Ospedale SS. Annunziata. Taranto e U.O.C. Ematologia, Ospedale Perrino. Brindisi
f
U.O. Pediatria, Ospedale Sacro Cuore di Gesù. Gallipoli
a
La cardiopatia da sovraccarico di ferro è la causa più frequente di morte nei pazienti talassemici ed è inoltre un problema emergente
nei pazienti con anemie acquisite trasfusione dipendenti. La RM T2* è, allo stato, la metodica d’elezione per la valutazione del
ferro cardiaco. Scopi del nostro studio sono la valutazione con tale tecnica di una popolazione di pazienti dell’Italia meridionale
e la ricerca di parametri clinici e di laboratorio che possano correlare con la RM T2* cardiaca. Abbiamo studiato 3 gruppi di
pazienti: 1) 84 con talassemia maior (TM) in trattamento chelante, 41 maschi, 43 femmine, età media 30 anni (range 15-48); 2)
11 con talassemia intermedia (TI), multi-trasfusi ed in terapia chelante, 3 maschi, 8 femmine, età media 36 anni (range 25-63);
9 (5 maschi, 4 femmine) con anemie acquisite trasfusione dipendenti (AA) (7 con sindromi mielodisplastiche, 1 con aplasia
midollare ed 1 con mielofibrosi idiopatica), età media 74 anni (range 66-84). Quest’ultimo gruppo di pazienti aveva ricevuto in
media 51 unità di emazie concentrate (range 12-139); tutti erano negativi per mutazioni HFE e 5 di 9 erano in terapia chelante.
Nel gruppo 1 i valori medi (±DS) di RM T2* risultavano pari a 26±11.5msec; valori patologici (≤20msec) furono riscontrati in
29 (34%) pazienti. Tre di 84 avevano una riduzione significativa della frazione di eiezione del ventricolo sinistro (LVEF≤30%)
valutata con ecocardiografia. Solo 1 di questi 3 aveva valori di T2*≤20msec. In 9 pazienti la LEVF era compresa fra il 30 ed il 50
%. I valori medi di ferritina erano 1695±1894ng/ml. La ferritina sierica risultava inversamente correlata con i valori di T2* (R=0.20, p=0.06), la LEVF (R=-0.07, p=0.51) e l’età (R=-0,36, p=0.001). Una correlazione positiva era invece presente fra T2* e LEVF
(R=0.23, p=0.035). Non si evidenziava alcuna correlazione fra T2* ed età. Abbiamo suddiviso questi pazienti in 2 sottogruppi a
seconda dei valori di T2*: 1a (T2*≤20msec, N=29) ed 1b (T2*>20msec, N=55). Comparando i dati di questi 2 sottogruppi, non
abbiamo riscontrato differenze per età e tipo di terapia chelante; differenti risultavano invece i valori di ferritina (2115±1951ng/
ml nel sottogruppo 1a vs 1474±1843ng/ml nel sottogruppo 1b, differenza 641± 432, p=0.14). Inoltre, 12 (41%) pazienti nel
sottogruppo 1a avevano valori di ferritina<1000ng/ml vs 34 (61%) nel sottogruppo 1b. Nel sottogruppo 1a abbiamo evidenziato
valori di LEVF≤50% in 2 (40%) dei 5 pazienti con sovraccarico grave di ferro (T2*≤8msec) ed in 4 (16%) dei 24 con sovraccarico
lieve-moderato (T2*>8 e ≤20msec); nel sottogruppo 1b una LEVF≤50% è stata riscontrata in 6 (10%). Nel gruppo 2 i valori medi
di RM T2* erano 32,5±11 msec; in 1 solo paziente (0,9%) abbiamo evidenziato valori patologici (≤20msec). La differenza media
nei valori di T2* fra i gruppi 1 e 2 era –6.6±3.7 msec (p=0.075). In nessun paziente la LEVF risultava compromessa. I valori medi
di ferritina erano 1028±813 ng/ml. Nel gruppo 3 i valori medi di RM T2* erano 37±9 msec; in nessun paziente si riscontravano
valori patologici (≤20msec). I dati dell’ecocardiografia erano nella norma per l’età. I valori medi di ferritina erano 1922±1267 ng/
ml. Conclusioni: 1) nella nostra esperienza circa 1/3 dei pazienti con TM ha un sovraccarico di ferro cardiaco valutato con RM
T2*, una percentuale più elevata di quella evidenziata nei soggetti con TI; 2) il 41% dei pazienti TM con valori patologici di T2*
ha valori di ferritina<1000ng/ml, per cui la ferritina sierica si è rivelata scarsamente predittiva di sovraccarico cardiaco di ferro;
3) nei soggetti con AA è verosimilmente necessario un maggior carico trasfusionale per causare siderosi cardiaca.
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22 •
Espressione del CD200 nei pazienti
con anemia emolitica autoimmune
Nunziatina Parrinello, Anna Maria Triolo, Annalisa Chiarenza Vittorio Del Fabro, Maide Cavalli, Luciana
Schinocca, (1) Concetta Conticello, Alessandra Cupri, Francesco Di Raimondo.
Dipartimento di Scienze Biomediche, Divisione di Ematologia, Università di Catania, Ospedale Ferrarotto, Catania, (1)
Dipartimento di Oncologia Sperimentale, Istituto Oncologico del Mediterraneo, Viagrande, CT
Introduzione: Le anemie emolitiche autoimmuni (AEA) comprendono un gruppo eterogeneo di condizioni morbose
caratterizzate dalla presenza di autoanticorpi diretti contro antigeni eritrocitari e da un quadro clinico di emolisi variabile nella
sua gravità.
Il CD200 (OX-2) è una glicoproteina di membrana coinvolta nei processi infiammatori e nella risposta immunitaria, si pone
infatti come una importante molecola immunomodulatrice. Viene espressa su molteplici tipi di cellule, inclusi monocitimacrofagi, neuroni, cellule endoteliali, timociti immaturi, cellule T attivate, cellule B. Il CD200 esercita i sui effetti legandosi al
suo recettore CD200R che è espresso sulla superficie delle cellule mieloidi e su un subset di T-linfociti. Abbiamo valutato, tramite
tecnica citofluorimetrica, l’espressione del CD200 sui PBMC, sui B e T-linfociti di 15 pazienti con AEA e 27 controlli sani (Ctrl).
Metodi: Per ogni campione, un’aliquota di sangue periferico (1x 106cellule) è marcato con 10 µL dei seguenti anticorpi monoclonali
(MoAbs): CD3, CD19, CD45, CD200, e incubato al buio e a temperatura ambiente per 20 minuti. Gli eritrociti sono quindi lisati
con cloruro d’ammonio e il campione è letto al citofluorimetro.L’espressione del CD200 è stata valutata su gate side light scatter
(SSC)/CD45+ per PBMC, mentre per i B e T-linfociti su gate SSC/CD19+ and SSC/CD3+ rispettivamente.
Risultati: abbiamo osservato una ridotta espressione del CD200 sul totale dei PBMC e sui T-linfociti nei pazienti con AEA (3,36
± 2,04 % e 3,23±1,57% ) rispetto ai Ctrl (6,24 ± 3,33 % e 5,86 ± 2,94 %) (p = 0,006 and p=0,005 rispettivamente). Non abbiamo
osservato differenze significative nell’espressione del CD200 sui B-linfociti di questi pazienti (57,89 ± 21,61 %) vs Ctrl (66,37 ±
10,91 %).
Conclusioni: Questi risultati suggeriscono che la ridotta espressione del CD200 sui T-linfociti possa avere un importante
ruolo nell’immunopatofisiologia dell’anemia emolitica autoimmune. Pertanto il CD200 potrebbe essere un target ideale per la
manipolazione farmacologica della risposta immunologica.
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23 •
MONITORAGGIO DELLA RISPOSTA MOLECOLARE
NELLA LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA
Coppi M.R., Giannotta A., Brocca M.C., Girasoli M., Romano A., Loseto G., Quarta G.
U.O. Ematologia e Centro Trapianti – Ospedale “A. Perrino” – Brindisi
La Leucemia Mieloide Cronica (LMC) è un disordine mieloproliferativo caratterizzato dalla traslocazione cromosomica
t(9;22)(q34;q11) la cui evidenza citogenetica è il cromosoma Philadelphia. La conseguenza molecolare di tale traslocazione è
la formazione del gene di fusione bcr-abl. Sin dalla introduzione del primo inibitore delle tirosin-chinasi, l’Imatinib Mesilato,
apparve chiaro che il trattamento ottimale dei pazienti non poteva prescindere da un adeguato monitoraggio degli effetti della
terapia e che il corretto monitoraggio del trattamento della LMC (comprendente sia la valutazione citogenetica che molecolare
della malattia residua e la ricerca di mutazioni del dominio cABL chinasico) doveva essere eseguito ad intervalli di tempo regolari
e secondo procedure standardizzate.
Alla nostra osservazione, tra Dicembre 1999 e Maggio 2009, sono giunti 40 pazienti a cui è stata fatta diagnosi di LMC in fase
cronica. Il 17% dei pazienti è stato trattato inizialmente con interferone o con idrossiourea, per un periodo variabile di tempo, per
poi passare al trattamento con Imatinib Mesilato 400mg/die; la restante quota dei pazienti è stata trattata con Imatinib Mesilato
alla dose standard sin dalla diagnosi. La risposta al trattamento è stata valutata nei tempi previsti dalle linee guida dell’European
LeukemiaNet (Baccarani M. et al, Blood 2006): ematologica ogni 2 settimane fino al raggiungimento e alla conferma della risposta
ematologica completa e a seguire ogni 3 mesi, citogenetica a 6 e 12 mesi (e ogni 12 mesi dal raggiungimento della Remissione
Citogenetica Completa, RCC), molecolare ogni 3 mesi. La risposta molecolare viene valutata mediante la PCR quantitativa realtime (RQ-PCR). Il monitoraggio in RQ-PCR è considerato parte integrante del managment dei pazienti con LMC trattati con
Imatinib Mesilato, o con altri inibitori delle tirosin-chinasi. Presso il nostro Laboratorio tale monitoraggio viene eseguito su
sangue periferico, e attualmente su piattaforma Applied Biosystems 7500, secondo le linee guida previste dalla standardizzazione
della RQ-PCR per la LMC (Gabert J. et al, Leukemia 2003).
I pazienti seguiti presso la nostra U.O. alla diagnosi avevano un’età mediana di 58 anni (range 16-79). A 3 mesi dall’inizio della
terapia con Imatinib, tutti i pazienti avevano raggiunto una risposta ematologica completa. A 6 mesi il 93% dei casi valutabili
aveva ottenuto una RCC; una risposta molecolare maggiore (RMM) definita come BCR-ABL/ABL (ratio < 0.1%) è stata osservata
in 33% dei pazienti in RCC. A 12 mesi il 94% dei pazienti era in RCC e di questi il 62% aveva raggiunto la risposta molecolare
maggiore; nessun paziente aveva ottenuto la risposta molecolare completa (RMC) (ratio <0.0001%). La valutazione molecolare
dopo 18 mesi di terapia con Imatinib Mesilato ha registrato una RMM nel 65% dei pazienti e una RMC nel 11% del pazienti.
Oggi il follow up dei pazienti con LMC in terapia con Imatinib a dose standard ha una mediana di 60 mesi (range 1-115 mesi).
Attualmente il 52% dei pazienti valutabili ha ottenuto la RMC e il 36% la RMM. Nel periodo in osservazione un solo paziente
dopo 18 mesi di terapia con Imatinib ha avuto perdita della RMM e questo ha preceduto la recidiva citogenetica ed ematologica.
Nel gruppo di pazienti con un follow-up di almeno 60 mesi, la mediana del tempo impiegato per raggiungere almeno la RMM è
di 18 mesi (range: 9-75).
Questi dati confermano certamente la efficacia di Imatinib Mesilato nei pazienti con LMC e ci impongono delle considerazioni:
1) i risultati relativi al raggiungimento della Risposta Molecolare e della DFS in un gruppo non omogeneo di pazienti non
selezionati sono sovrapponibili a quelli riportati nei vari studi clinici internazionali; 2) il tempo impiegato per raggiungere la
risposta molecolare nei pazienti con un lungo follow-up è variabile, ma nella nostra casistica il 50 % la ottiene entro 18 mesi; 3)
un incremento confermato e significativo della quantità di trascritto bcr-abl può indicare una diminuita aderenza del paziente
alla terapia e può essere predittivo di una successiva recidiva citogenetica e poi ematologica della malattia.
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24 •
USO DEL DASATINIB IN UN PAZIENTE AFFETTO DA LEUCEMIA MIELODE
CRONICA ED EDEMA RETINICO DOVUTO ALL’IMATINIB
Esposito M., Villa M.R., Lucania A., Della Cioppa P., Gagliardi A., Russolillo S., Carola A., Improta S.,
Mastrullo L.
U.O.C. Ematologia P.O. San Gennaro, ASL NA1, Napoli.
L’imatinib, un inibitore di Bcr-Abl, è la terapia standard nella LMC. Esso non è un inibitore selettivo di Bcr-Abl, ma esplica la
sua attività anche su altri recettori ad attività tirosin-kinasica, tra cui PDGF-R e c-kit. Quest’ultima attività è alla base di alcuni
effetti collaterali dell’imatinib.
L’edema congiuntivale è il più comune effetto collaterale oculare descritto con l’uso di imatinib. Riportiamo il caso di un paziente
che ha sviluppato edema retinico durante il trattamento con imatinib. Da gennaio 2004 a maggio 2009 abbiamo trattato con
imatinib 31 pazienti affetti da LMC Ph +.
Durante il trattamento è stato effettuato un esame completo oftalmico in 7 pazienti che lamentavano una lieve-moderata
riduzione del visus. Sei pazienti mostravano solo un modesto edema congiuntivale, mentre un paziente presentava una netta
riduzione dell’acuità visiva. Riportiamo questo caso.
Il paziente, 64 anni di sesso femminile, ha ricevuto diagnosi di LMC in fase cronica a giugno 2006 e ha iniziato terapia con
imatinib alla dose standard di 400 mg/die. La risposta ematologica completa è stata raggiunta dopo un mese. Nel settembre 2006,
la paziente lamentava lieve riduzione dell’acuità visiva. L’esame del fondo oculare ha mostrato edema della retina in entrambi
gli occhi. In assenza di risposta alla terapia con acetazolamide è stata interrotta la terapia con imatinib. La paziente ha mostrato
un rapido miglioramento del visus con risoluzione dell’edema retinico. Abbiamo, quindi, deciso di riprendere la terapia con
l’imatinib, ma l’edema retinico si è ripresentato, senza miglioramento anche dopo la riduzione della dose di imatinib. Nel
novembre 2007 con la commercializzazione di dasatinib la paziente ha iniziato dasatinib alla dose di 100 mg/die. Non abbiamo
riscontrato effetti indesiderati con l’uso di dasatinib. La paziente ha mantenuto la remissione completa citogenetica e molecolare
senza riduzione dell’acuità visiva, in assenza di edema retinico.
L’edema della retina è molto raramente descritto con l’utilizzo di imatinib. Il meccanismo mediante il quale l’imatinib può
determinare edema retinico potrebbe consistere in un’azione di inibizione del PDGF-R espresso a livello retinico.
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25 •
DELEZIONI SUL CROMOSOMA DER(9) E APLOINSUFFICENZA NELLA LEUCEMIA
MIELOIDE CRONICA
Luisa Anelli1, Antonella Zagaria1, Francesco Albano1, Nicoletta Coccaro1, Paola Casieri1, Antonella Russo
Rossi1, Vincenzo Liso1, Mariano Rocchi2, Giorgina Specchia1
Ematologia con Trapianto – Università degli Studi di Bari 2DI.GE.MI. – Università degli Studi di Bari
1
Nel 10-18% dei pazienti affetti da Leucemia Mieloide Cronica (LMC) si osserva la perdita di sequenze genomiche sul cromosoma
der(9) in corrispondenza dei punti di rottura della traslocazione t(9;22)(q34;q11). Tali microdelezioni hanno un’estensione
variabile e possono interessare sia le sequenze a monte del gene ABL che le sequenze a valle del gene BCR. Le delezioni sul der(9)
sono associate ad un significato prognostico sfavorevole in relazione alla terapia con interferone alpha, mentre ancora incerto
e’il loro impatto prognostico nella terapia con gli inibitori tirosinchinasici. Si ipotizza che la perdita di uno o piu’geni localizzati
nelle regioni delete possa conferire al clone leucemico un maggiore vantaggio proliferativo mediante un meccanismo di dose
genica insufficiente.
Abbiamo effettuato una dettagliata caratterizzazione citogenetico-molecolare delle delezioni sul der(9) con esperimenti di
ibridazione in situ fluorescente (FISH) su campioni di midollo di 70 pazienti affetti da LMC. La consultazione del database
dell’Universita’della California di Santa Crutz (UCSC) ha consentito di identificare 47 geni codificanti per proteine e due geni
per microRNA (mir-219-2 e il mir-199-b) all’interno delle regioni piu’frequentemente delete nei pazienti analizzati. In 30 casi
e’stato possibile procedere con l’analisi quantitativa del livello di espressione genica mediante esperimenti di real time PCR
(QRT-PCR). Lo scopo dello studio e’stato quello di verificare l’esistenza di un meccanismo di aploinsufficienza per uno o piu’dei
geni che mappano nelle regioni delete. Abbiamo evidenziato una riduzione statisticamente significativa del livello di espressione
di sei geni codificanti per proteine (PKN3, p= 0.003; SH3GLB2, p =0.0018; PPP2R4, p= 0.007); ASB6, p=0.002; USP20, p = 0.010;
TOR1B, p = 0.009) e del gene MIRN199B (p= 0.028). I geni TOR1B e USP20 sono persi nel 67% dei casi analizzati, mentre i
geni PPP2R4, ASB6, SH3GLB, PKN3 e MIRN199B sono deleti, rispettivamente, nel 60%, 57%, 43%, 33% e 15% dei pazienti.
Tutti i i geni sono localizzati sulle sequenze del cromosoma 9 piu’centromericamente rispetto al gene ABL; nessuna riduzione
significativa del livello di espressione e’stata evidenziata per i geni localizzati sulle sequenze del cromosoma 22.
I geni identificati codificanti per proteine sono coinvolti in processi cellulari cruciali; tra questi, particolarmente interessante
e’il gene PPP2R4 che codifica per una delle subunita’regolatorie della fosfatasi PP2A, un noto oncosoppressore coinvolto nella
progressione della LMC in crisi blastica. Per quanto riguarda la funzione del gene MIRN199B, mediante consultazione del
miRGen targets database sono stati identificati 26 target predetti e coinvolti in numerosi processi cellulari come la trasduzione
del segnale (PPP1R2), la regolazione della trascrizione (HLF), il riparo del DNA (RAD23B).
Questo studio supporta l’ipotesi dell’aploisufficienza per uno o piu’geni localizzati sulle sequenze delete sul cromosoma der(9)
e dimostra per la prima volta il coinvolgimento dei microRNA nella patogenesi della LMC con delezione sul der(9). Restano
ancora da chiarire il significato biologico e l’impatto clinico della riduzione di espressione genica osservata.
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26 •
Dasatinib e nilotinib favoriscono la differenziazione
in osteoblasti delle cellule staminali mesenchimali
del midollo osseo
Daniele Tibullo, Cesarina Giallongo, Piera La Cava, Vittorio Del Fabro, Fabio Stagno, Annalisa Chiarenza,
(1)Concetta Conticello, Giuseppe A. Palumbo, Francesco Di Raimondo
Dipartimento di Scienze Biomediche, Divisione di Ematologia, Università di Catania, Ospedale Ferrarotto, Catania, (1)
Dipartimento di Oncologia Sperimentale, Istituto Oncologico del Mediterraneo, Viagrande, CT
Dasatinib (DA) e Nilotinib (NI) sono molecole appartenenti alla famiglia degli inibitori BCR-ABL/SRC tirosin chinasici promossi
al trattamento dei pazienti di LCM che presentano una resistenza o intolleranza ad imatinib.
Recenti studi hanno riportato che imatinib altera il metabolismo osseo, pertanto, nel nostro studio abbiamo valutato i possibili
effetti del DA e del NI sul differenziamento delle cellule mesenchimali staminali (hBM-MSCs) in osteoblasti. In particolare, le hBMMSCs sono cellule staminali multi-potenti non emopoietiche del midollo osseo capaci di differenziare in opportune condizioni
in osteoblasti, adipociti, condrociti, miociti e cellule nervose. Le hBM-MSCs sono state ottenute da campioni di midollo osseo
prelevato da donatori sani dopo consenso informato, isolate mediante gradiente di densità (frazione mononucleata) e coltivate
in terreno standard (SC). Dopo 4-5 passaggi, tali cellule sono state indotte a differenziare in osteoblasti mediante trattamento
con terreno selettivo osteogenico (0.2 mM acido ascorbico, 0.1 uM desametasone and 10 mM β-glicerolofosfato, OM); inoltre,
sono state coltivate in SC e/o presenza di OM aggiungendo o meno DA 2nM e/o NI 100nM. Dopo 21gg di coltura mediante
RT-PCR è stata valutata l’espressione di specifici markers osteogenici quali, osteocalcina (OCN), RUNX2 e Bone morphogenetic
protein (BMP-2). Dall’analisi dei nostri risultati è emerso che DA 2nM e NI 100nM erano capaci di incrementare l’espressione
dell’mRNA di RUNX2, OCN e BMP2 nelle hBM-MCSs, quando venivano aggiunti al terreno standard. Le hBM-MCSs trattati
con OM e DA 2nM mostravano un incremento dei livelli dei markers osteogenici se comparati con le hBM-MCSs trattati solo
con OM; anche il NI incrementava i markers osteogenici nelle stesse condizioni. In conclusione, i nostri dati mostrano che il DA
e il NI incrementano l’espressione dell’mRNA dei markers osteogenici nelle hBM-MSCs, BMP2, OCN e RUNX2, indicando che
il DA e NI potrebbero favorire l’osteoblastogenesi.
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27 •
L’imatinib aumenta la citotossicità del melfalan e la loro
combinazione migliora il killing delle cellule leucemiche umane
Cesarina Giallongo, Piera La Cava, Daniele Tibullo, Nunziatina Parrinello, Provvidenza Guagliardo,
Vittorio Del Fabro, Fabio Stagno, Annalisa Chiarenza, Carla Consoli, Giuseppe A. Palumbo, Francesco Di
Raimondo.
Dipartimento di Scienze Biomediche, Divisione di Ematologia, Università di Catania, Ospedale Ferrarotto, Catania.
Le cellule BCR/ABL positive mostrano resistenza ai chemioterapici poichè riparano il danno al DNA ed attivano i checkpoints
del ciclo cellulare più rapidamente rispetto alle cellule sane. Il trattamento con imatinib (IM), riducendo l’attività del BCR/ABL,
può modificare tale resistenza. Nel nostro lavoro abbiamo analizzato nelle cellule K562 la sensibilità al melfalan (MEL) dopo un
pre-trattamento con IM, utilizzando l’ATP-lite, il test comet e analizzando il ciclo cellulare. Dopo un pre-trattamento di 24 h con
IM 1 µM, le cellule sono state incubate con 20 µM di MEL per 1 h e successivamente lavate e risospese in nuovo medium. Tutte le
determinazioni sono state eseguite dopo 24, 48 e 72 hs. I nostri risultati dimostrano che l’inibizione dell’attività del BCR/ABL, IM
mediata, incrementa la citotossicità del MEL (p<0,001 a 24, 48 e 72 hs rispetto al trattamento con solo MEL), riducendo l’efficacia
delle vie di riparazione ed la durata di attivazione del checkpoint G2/M. Infatti, il danno al DNA raggiungeva il picco massimo
a 48 h dopo trattamento IM/MEL (p<0,001), dimostrando che la combinazione dei due farmaci aumenta l’esposizione al danno
genotossico del MEL. Inoltre, l’analisi citofluorimetrica mostrava che l’associazione IM/MEL riduceva il numero di cellule in face
G2/M e, quindi, il tempo di riparazione.
Per essere certi che i risultati ottenuti fossero legati all’attività del BCR/ABL, gli stessi trattamenti sono stati ripetuti su un tipo di
cellule BaF3, le TonB.210, sulle quali è possibile indurre l’espressione del BCR-ABL mediante doxociclina (DOX). Solo le cellule
TonB.210 coltivate in presenza di DOX mostravano resistenza al MEL e la combinazione IM/MEL modificava tale risposta (IM/
MEL: p<0,001 vs MEL).
Nella seconda parte del nostro studio, abbiamo valutato l’effetto della combinazione dei due farmaci sulle capacità proliferative
dei progenitori mieloidi di due pazienti con leucemia mieloide cronica alla diagnosi. L’analisi delle colonie CFU-GM e BFU-E
evidenziava che l’associazione IM/MEL, non solo diminuiva del 20 % il numero di colonie totali, ma riduceva anche di 10 volte
il numero di copie di trascritto BCR-ABL rispetto al trattamento solo con IM.
Quindi, il nostro studio dimostra che la manipolazione farmacologica dei meccanismi di riparazione e dei checkpoints del
ciclo cellulare possono essere utilizzati per rendere più efficace l’effetto dei farmaci genotossici ed evitare l’espansione del clone
maligno.
•
28 •
Ruolo dell’eme ossigenasi 1 nella resistenza ad imatinib mesilate
in cellule di leucemia mieloide cronica
Daniele Tibullo, Piera La Cava, Cesarina Giallongo, (1)Ignazio Barbagallo, Vittorio Del Fabro, Annalisa
Chiarenza, (2)Concetta Conticello, Fabio Stagno, Giuseppe A. Palumbo and Francesco Di Raimondo.
Dipartimento di Scienze Biomediche, Divisione di Ematologia, Università di Catania, Ospedale Ferrarotto, Catania, (1)Dipartimento
Scienze Biochimiche e Biologia Molecolare, Università di Catania, (2)Dipartimento di Oncologia Sperimentale, Istituto Oncologico
del Mediterraneo, Viagrande, CT
Dipartimento di Scienze Biomediche, Divisione di Ematologia, Università di Catania, Ospedale Ferrarotto, Catania.
La leucemia mieloide cronica (LMC) è una patologia progressiva spesso fatale del sangue. Il marker molecolare che caratterizza
la LMC è una traslocazione cromosomica che ha come risultato la sintesi di una proteina di fusione, BCR-ABL. L’avvento
dell’Imatinib Mesilato (IM), un inibitore tirosin chinasico che ha come target il BCR-ABL, ha rappresentato un significativo
progresso nella terapia della LMC. Tuttavia, alcuni pazienti con LMC esibiscono varie risposte al trattamento in prima linea con
IM, di fatto alcuni pazienti mostrano resistenza o intolleranza alla terapia con questo inibitore; ad oggi diverse strategie vengono
adottate per superare questi problemi, ad esempio rimaneggiamento dei dosaggi, combinazione con altri farmaci e inibitori
delle chinasi. L’eme ossigenasi (HO) è un enzima che catalizza la degradazione dell’eme (da emoproteine, emoglobina), con la
formazione di ferro ionico, biliverdina e mono-ossido di carbonio. Nell’ultimi anni, è stato ampiamente riportato che l’HO1 ha
un importante ruolo in tutti i meccanismi di protezione cellulare a seguito di danni causati da stress chimico, fisico e biologico.
Il suo ruolo citoprotettivo è stato inoltre, dimostrato per diversi tumori solidi ed in leucemie acute; inoltre, alcuni autori hanno
mostrato che HO1 è costitutivamente espressa nelle cellule di LMC e che l’oncoproteina BCR-ABL promuove l’espressione
di HO1 nelle cellule leucemiche. L’HO1 ha quindi sicuramente un ruolo nella sopravvivenza delle cellule di LMC. Pertanto,
abbiamo voluto valutare il ruolo dell’HO1 nella resistenza ad imatinib delle cellule di LMC in vitro. Gli esperimenti sono stati
condotti su una linea cellulare di LMC (K562). Le cellule sono state incubate per 24h con imatinib mesilate alla concentrazione
di 1uM, o con l’induttore dell’attività dell’HO1 (emina 50uM), oppure con la combinazione di entrambi. Tutti gli esperimenti
sono stati condotti anche con Dasatinib (DA) 2nM e Nilotinib (NI) 100nM. Dopo 24h di trattamento è stata misurata la vitalità
cellulare con trypan blu, ed è stata inoltre valutata l’espressione dell’mRNA di HO1 in real time PCR. I risultati sono stati espressi
come media±S.E.M ed è stata eseguita l’analisi statistica mediante test t di student. I nostri risultati mostrano che l’espressione
di HO1 aumentava di circa tre volte dopo trattamento con emina e che il pre-trattamento con emina portava all’inibizione
dell’effetto citotossico dell’imatinib sulle k562 (p<0.002). Tale effetto veniva annullato se al terreno di coltura veniva aggiunto un
inibitore selettivo (SnPP) dell’attività dell’HO1 (p<0.002). Identici risultati sono stati ottenuti con dasatinib e nilotinib (p<0.002).
In conlusione, i nostri dati indicano L’HO1 potrebbe rappresentare un meccanismo di resistenza ad IM e agli altri inibitori tirosin
chinasici (DA e NI).
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29 •
Valutazione dell’espressione della proteina BRIT1 nella leucemia
mieloide cronica e dei suoi effetti sulla regolazione del
checkpoint G2/M
Cesarina Giallongo, Daniele Tibullo, Piera La Cava, Provvidenza Guagliardo, Vittorio Del Fabro, Fabio
Stagno, Annalisa Chiarenza, Carla Consoli, Giuseppe A. Palumbo, Francesco Di Raimondo
Dipartimento di Scienze Biomediche, Divisione di Ematologia, Università di Catania, Ospedale Ferrarotto, Catania
La proteina BRIT1, anche conosciuta come microcefalina (MCPH1), interviene nel controllo della fase centrale S e della fase
G2/M del ciclo cellulare. In particolar modo, BRIT1 regola l’ingresso in mitosi intervenendo nella regolazione dell’attività della
fosfatasi Cdc25A e del complesso Cdk1-ciclina B1, sia all’interno del pathway ATR-Chk1 sia in modo ATR indipendente. Nei
tumori solidi la proteina risulta essere inversamente correlata con l’instabilità cromosomica.
Nel nostro lavoro abbiamo analizzato i livelli di espressione di BRIT1 nella linea cellulare K562 e nelle cellule ottenute da sangue
periferico dei pazienti con leucemia mieloide cronica (CML) alla diagnosi. Il valore medio di 2^-ΔΔCt calcolato su 18 pazienti
diminuiva di 5 volte rispetto ai 20 donatori sani usati come controllo. Le cellule K562 mostravano livelli di mRNA 8 volte più
bassi del controllo.
Poiché BRIT1 regola l’ingresso in mitosi, successivamente abbiamo valutato la capacità delle cellule K562 e di CML di controllare
il blocco del ciclo cellulare nella fase G2/M; a tale scopo è stata utilizzato il test di indice di proliferazione con blocco della
citochinesi. Tale tecnica è stata applicata su 5 pazienti: mentre il primo (p1) mostrava livelli normali di mRNA, gli altri quattro
esprimevano la proteina rispettivamente 5 (p2), 9 (p3), 8 (p4) e 7 (p5) volte meno rispetto al gruppo di controllo. Il test utilizzato
permette, dopo una precedente induzione del danno al DNA, di distinguere le cellule che non sono entrate in mitosi, in seguito
ad attivazione del checkpoint G2/M, dalle cellule che hanno subito una (cellule binucleate) o più divisioni nucleari (cellule
multinucleate). Queste cellule entrate in mitosi sarebbero, quindi, più predisposte a sviluppare instabilità genomica.
Le cellule sono state prima trattate per 2 h con 0,2 mM di idrossiurea (IU) o irradiate con 2,5 J/m2 UV, successivamente lavate
ed incubate per 72 h con 5 µg/ml di citocalasina B, un inibitore della citochinesi. Dopo colorazione Giemsa, le cellule sono state
analizzate al microscopio. Le varie condizioni sono state confrontate come percentuale di cellule mononucleate (PCM) rispetto
alle cellule di un donatore sano utilizzato come controllo. Nelle cellule normali la PCM incrementava del 15 ± 4% nel controllo e
del 13 ± 8% in p1 sia dopo IU che UV, dimostrando l’attivazione del checkpoint G2/M. Invece, nelle cellule K562, di p2, p3, p4 e
p5 tale aumento era riscontrabile solo dopo UV.
In conclusione, i nostri risultati dimostrano che BRIT1 potrebbe correlare con l’instabilità cromosomica anche nelle cellule BCR/
ABL positive e, quindi, studiarne il ruolo ed i meccanismi di azione può contribuire allo sviluppo di nuovi approcci terapeutici
per il trattamento della CML.
•
30 •
Linfociti T policlonali specifici per l’antigene preferenzialmente
espresso nei melanomi (PRAME) possono essere riattivati ed espansi
a partire da pazienti affetti da patologie leucemiche, inclusa la
Leucemia Mieloide Cronica
Quintarelli C1, De Angelis B1,3, Savoldo B3, Dotti G3, L. Luciano2, Heslop H3, Rooney C3, Brenner M3, B.
Rotoli2, Pane F1,2.
1.CEINGE – Biotecnologie Avanzate and Dipartimento di Biochimica e Biotecnologie Mediche, University Federico II di Napoli,
Italy. 2.AF Ematologia, Università degli Studi di Napoli – “Federico II”, Italy. 3.Center for Cell and Gene Therapy, Baylor College
of Medicine, Houston TX USA.
In seguito a trapianto di cellule staminali ematopoietiche (HSC), gli effetti della risposta contro la leucemia (Graft-versus-leukemia
GVL) mediati dalle cellule T del donatore contribuisce al mantenimento della remissione a lungo termine. GVL è probabilmente
dovuta non solo dalle cellule T alloreative, ma anche dai linfociti del donatore riconoscenti antigeni tumore-associati overespressi dalle cellule leucemiche. L’espansione selettiva di tali linfociti T citotossici (CTL) tumore specifici potrebbero aumentare
la GVL senza incrementare i rischi di patologia di reazione contro il ricevente (graft versus host disease GVHD).
PRAME è un antigene tumorale che è risultato over-espresso in molte patologie leucemiche, inclusa la leucemia mieloide
cronica (CML). Molti gruppi, incluso il nostro, hanno fornito evidenze che PRAME è un potenziale bersaglio per una terapia
di cellule T adottive o una vaccino-terapia. Linfociti T PRAME-specifici (PRAME-CTL) possono essere individuati in pazienti
con patologie leucemiche e noi abbiamo dimostrato che tali CTL possono essere generati ed espansi ex-vivo, usando cellule
presentanti l’antigene “artificiali” (aAPC) (la linea cellulare K562 geneticamente modificata ad esprimere le molecole HLA-A02,
CD80, CD40L) (Quintarelli et al, Blood 2008). Fino ad ora, quattro epitopi derivanti dalla proteina PRAME sono stati individuati
mediante digestione proteosomica in vitro. Tuttavia, tale strategia potrebbe non identificare i peptidi putativi realmente generati
in vivo. Noi abbiamo ora adottato un metodo alternativo di riattivazione di linfociti T specifici mediante l’uso di una libreria di
135 pentapeptidi sintetici sovrapposti di 11 aminoacidi, ricoprenti l’intera proteina PRAME). Abbiamo valutato la possibilità di
identificare una risposta multipla a nuovi peptidi immunogenici ristretti al HLA-A02, generando linfociti T CD8+ policlonali
direttamente da pazienti con patologie leucemiche.
Abbiamo selezionato mediante biglie magnetiche linfociti CD8+ da sangue periferico di 21 donatori sani HLA-A02+ e 7 pazienti
affetti da CML. Tali cellule sono state stimolate con cellule dendritiche autologhe lodate con l’intera libreria della proteina
PRAME, e quindi espanse mediante stimolazione settimanale con aAPC lodate con gli stessi peptidi. Usando tale approccio
abbiamo consistentemente generato CTL specifici per PRAME in 19/21 donatori sani (457±412 SFC/105 cellule testate tramite
ELISpot per IFNElispot) e 7/7 pazienti (936±136 SFC/105 cellule). Tali cellule sono inoltre risultate attive nel riconoscere
cellule leucemiche autologhe (57±6 IFN SFC/105) quando coltivate in presenza di cellule blastiche CML, dimostrando che gli
stessi peptidi sono presentati fisiologicamente. Test di citotossicità hanno dimostrato che cellule T specifiche per PRAME sono
attive contro cellule autologhe lodate con peptidi specifici derivanti da PRAME (63±14%). In conclusione, tale approccio ha
consentito di identificare nuovi peptidi immunogenici che potrebbero facilitare l’espansione di CTL policlonali PRAME-specifici
per un protocollo di terapia adottiva o vaccinazione peptidica a pazienti con patologie esprimenti l’antigene PRAME.
•
31 •
IDENTIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DI VARIANTI COMPLESSE DEL
CROMOSOMA PHILADELPHIA NELLA LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA CON LA
FISH (FLUORESCENT IN SITU HYBRIDIZATION)
Caliendo I1., Luciano L.3, Danise P.2De Vita B.1, Pisano I.3, Guerriero A.3, Clemente L.1, Ingenito M.1, D’Arco
A. M.2.
Dipartimento di Patologia Clinica, 2Dipartimento di Onco-Ematologia, A.O. Umberto I, Nocera Inferiore. 3Dipartimento di
Ematologia, Università Federico II, Napoli.
1
Nel 5-10% dei pazienti con Leucemia Mieloide Cronica (LMC) si osservano varianti del cromosoma Philadelphia (Ph) che
derivano dal coinvolgimento nella traslocazione di uno o più cromosomi oltre al 9q34 e al 22q11. Tali varianti sono definite
complesse.
Qui riportiamo 3 casi di LMC osservati presso il nostro centro e caratterizzati da varianti complesse del cromosoma Ph.
Al momento della diagnosi, l’analisi citogenetica effettuata sulle cellule del midollo osseo, ha evidenziato i seguenti cariotipi:
paziente #1: 46,XY,t(9;22;11)(q34;q11;q13);
paziente #2: 46,XY,t(9;22;12)(q34;q11;q13);
paziente #3: 46,XY,t(6;9;22)(p21;q34;q11).
Numerosi studi condotti per chiarire i meccanismi attraverso i quali originano le varianti complesse del cromosoma Ph hanno
dimostrato che esse possono nascere da un unico evento (one-step) o possono derivare da una serie di traslocazioni o steps
successivi (two-steps). Nella nostra casistica con l’indagine FISH (Fluorescent In Situ Hybridization) effettuata con sonda LSI
BCR/ABL dual color dual fusion (DF) e sonde painting per i cromosomi 6, 11, 12 e 22 abbiamo dimostrato che nei pazienti #1 e
#3 le varianti complesse del cromosoma Ph sono state determinate seguendo un meccanismo di un unico evento (one-step). Nel
paziente #2 l’indagine FISH ha evidenziato, invece, un meccanismo di tipo two-steps, che prevede una serie di riarrangiamenti
coinvolgenti i cromosomi implicati in rapida sequenza.
Sebbene la prognosi dei pazienti con traslocazioni varianti non sembra essere significativamente diversa da quella di pazienti
con traslocazione classica (Richebourg S., 2008), i molteplici coinvolgimenti cromosomici determinano molteplici interazioni
geniche la cui sommatoria può influenzare prognosi e risposta alla terapia. La presenza di varianti complesse del cromosoma
Ph, quindi, richiede una attenta valutazione del percorso del paziente per evidenziare precocemente comportamenti difformi dai
quadri con traslocazione classica.
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32 •
LA MUTAZIONE V617 DI JAK2 NELLE LEUCEMIE ACUTE SECONDARIE A
SINDROMI MIELOPROLIFERATIVE CRONICHE
Rinaldi CR1, Rinaldi P1, Martinelli V1, Battipaglia G1, Martino B2, Specchia G3, Candoni A4, Ciancia R1,
Gugliotta L5, Vannucchi AM6, Barbui T7, Rotoli B1 and Pane F1.
AF Ematologia, Università Federico II – DBBM e CEINGE Centro di Biotecnologie Avanzate, 2 A.O. Bianchi-Melacrino-Morelli,
Reggio Calabria, 3Università Degli Studi di Bari, Ematologia, 4Università di Udine – Ematologia, 5Arcispedale S. Maria Nuova AO
di Reggio Emilia, 6AUO Firenze – Ematologia, 7Ospedali Riuniti-Bergamo
1
La trasformazione in leucemia acuta mieloide (LAM) rappresenta una temibile complicanza nei pazienti affetti da sindromi
mieloproliferative croniche (SMP). È noto come la mutazione puntiforme V617 di JAK2 rappresenti la lesione molecolare più
frequente nelle SMP con una incidenza di oltre il 90% nei pazienti affetti da policitemia vera (PV), più del 50 % in quelli affetti
da trombocitemia essenziale (TE) e circa il 40% in quelli affetti da mielofibrosi idiopatica (MFI). Di recente Theocarides e coll.
hanno pubblicato un interessante report dove si sottolineava come frequentemente (circa 70%) la trasformazione leucemica
dei pazienti affetti da SMP positive per la mutazione V617F di JAK2, fosse caratterizzata da blasti negativi per la mutazione in
questione. I dati di Theocarides derivavano dalla estrazione di DNA proveniente da strisci di midollo stoccati ma non confermati
su campioni freschi e su nuovi pazienti.
Di seguito riportiamo i dati relativi allo studio dello status mutazione di JAK2 in 25 pazienti affetti da LAM secondaria a SMP: 14
derivate da MFI, 5 derivate da PV e 6 da TE; e in 3 pazienti affetti da SMP con eccesso di blasti (>5%)(2 PV, 1 TE).
Mediante cell sorting, abbiamo raccolto 2 frazioni cellulari a partire da campioni di midollo intero: la popolazione blastica
(CD34+ CD45+) e la restante popolazione granulocitaria maturante (CD15+). Tutti i campioni sono stati genotipizzati per la
ricerca della mutazione V617F di JAK2 mediante tecnica ASO-PCR di cui è stato misurato l’allele burden mediante real time
PCR. Durante la fase mieloproliferativa la mutazione era detettabile in 17 dei 28 pazienti (8 su 15 MFI, 7 su 7 PV, 2 su 6 ET). La
maggioranza dei pazienti (22/28) aveva ricevuto, durante la fase proliferativa, trattamento citoriduttivo con idrossiurea.
Il nostro gruppo di pazienti ha mostrato persistenza della mutazione in entrambi i compartimenti (blasti e cellule maturanti) in
13 dei 17 pazienti precedentemente positivi. Quattro pazienti su 17 mutati hanno sviluppato un LAM negativa per la mutazione
V617F di JAK2. La negativizzazione della mutazione ha interessato entrambi i compartimenti, sia quello leucemico che il restante
tessuto maturante. Sorprendentemente abbiamo documentato l’insorgenza di una LAM positiva per la mutazione V617F di
JAK2 a partenza da una SMP negativa, ma anche in questa circostanza lo status mutazionale coinvolge entrambe le popolazioni
cellulari. Non abbiamo misurato alcuna differenza nell’allele burden prima e durante la trasformazione leucemica in entrambi
i compartimenti cellulari e per entrambi i gruppi di pazienti. I rimanenti 10 pazienti con LAM secondaria a SMP negativa per
la mutazione, hanno mantenuto l’allele wild type in entrambi i compartimenti analizzati. In contrasto con quanto riportato
precedentemente in letteratura, la nostra casistica sottolinea come l’incidenza di LAM secondarie a SMP positive per la mutazione
V617F di JAK2 in fase cronica che perdono la mutazione durante la crisi blastica sia un evento raro durante la trasformazione
leucemica. I nostri risultati mostrano inoltre come qualunque modifica dello status mutazione di JAK2 interessi sempre l’intero
tessuto midollare nella sua componente trasformata e nella parte granulocitaria matura, suggerendo che l’hit leucemogeno possa
aver luogo in un precursore ancestrale capace di modificare integralmente la “genomic signature” della malattia.
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33 •
ASSENZA DELLA MUTAZIONE JAK2 V617F NEL COMPARTIMENTO LINFOIDE
DI UN PAZIENTE AFFETTO DA TROMBOCITEMIA ESSENZIALE E LEUCEMIA
LINFATICA CRONICA A CELLULE B ED IN DUE PARENTI AFFETTI DA
DISORDINI LINFOPROLIFERATIVI.
Penna G., Alonci A., Bellomo G., Allegra A., Granata A., Rizzotti P., Russo S., Gerace D., Musolino C.
Divisione di Ematologia. Policlinico G. Martino. Università di Messina –
I disordini mieloproliferativi Ph negativi (Ph-MPD), sembrano originarsi a livello di una cellula staminale emopoietica
pluripotente che sembra interessare sia la linea linfoide che quella mieloide. Tuttavia la coincidenza di malattie mieloproliferative
e linfoproliferative croniche nello stesso paziente sembra essere una evenienza rara.
Recentemente è stata riportata l’esistenza di una mutazione nel gene della Janus kinas1 2 (JAK2) nelle cellule emopoietiche di
pazienti con Ph-MPD, e circa il 50% dei pazienti affetti da Trombocitemia essenziale sembra presentare tale mutazione.
Dati contrastanti sono stati riportati in letteratura sulla presenza della mutazione di JAK 2 nelle cellule linfocitarie B e T di
tali soggetti, e per tale motivo abbiamo voluto valutare l’eventuale esistenza della mutazione JAK2V617Fnei linfociti di una
paziente affetta da Trombocitemia essenziale e Leucemia Linfatica Cronica a cellule B ed in due suoi fratelli affetti da disordini
linfoproliferativi (B-LLC and NHL).
I granulociti del sangue periferico venivano separati mediante centrifugazione frazionata. Le cellule T venivano isolate mediant la
deplezione delle cellule non T. Una combinazione di marcature magnetiche dirette e di seleioni positive ci permetteva di isolare
i subsets cellulari B che non potevano essre definiti da un singolo antigene di superficie.
I pazienti venivan valutati attraverso lo studio della mutazione JAK2V617F mediante tecnica PCR.
Nella nostra paziente affetta da ET e B-LLC abbiamo identificato una mutazione omozigote di JAK2 nel compartimento
granulocitario. Entrambi i fratelli presentavano una mutazione eterozigote per JAK2, mentre nessuna mutazione era rilevata a
carico delle cellule B e T dei tre pazienti.
I nostril dati sembrano confermare alcune osservazioni presenti in letteratura in cui si rileva come i pazienti affetti da LLC-B
siano costantemente negativi per la mutazione JAK2V617F nelle popolazioni B e T linfocitarie.
L’analisi della mutazione JAK2V617F effettuata nei nostril pazienti sembra evidenziare che il clone linfoide leucemico deriva da
una cellula staminale V617F negativa e che le linee mieloidi e linfoidi sono totalmente distinte.
Una coincidenza fortuita dei due tipi di disordini ematologici è dunque possibile e differenti eventi mutageni avrebbero indotto
in modo indipendente la proliferazione maligna a carico delle linee mieloidi e linfoidi. E’comunque da tenere presente che la
paziente assumeva Idrossiurea, agente mutageno la cui capacità di incrementare la frequenza della sindromi linfoproliferative
appare quanto meno controversa.
In ogni caso la presenza di una mutazione eterozigote per JAK 2 nella linea mieloide dei due fratelli affetti da disordini
linfoproliferativi potrebbe costituire un interessante punto di partenza per discutere le relazioni esistenti tra disordini
linfoproliferativi e malattie mieloproliferative croniche.
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34 •
RISCHIO TROMBOTICO IN PAZIENTI AFFETTI DA TROMBOCITEMIA ESSENZIALE
Alati C., Martino B., Ronco F., Vincelli I., Marino A., Nobile F.
U.O. Ematologia. Azienda Ospedaliera Bianchi-Melacrino-Morelli. Reggio Calabria.
Sono stati valutati retrospettivamente 127 pazienti affetti da Trombociemia Essenziale (TE), osservati presso la nostra istituzione
dal 1990 al 2008 ed attualmente in follow-up. La diagnosi è stata rivista secondo i criteri WHO 2008.
Le caratteristiche cliniche e di laboratorio che i pazienti presentavano all’esordio erano le seguenti: età media 56 anni (range 1888), ematocrito (Hct) 43,4% (24-58), conta globuli bianchi (GB) 9748/mm3 (1.160-28.540), conta piastrinica (PLT) 821.000/mmc
(450.000-1.941.000).
La ricerca della mutazione Jak2 è stata effettuata su 113 pazienti, così distribuiti: 39 (34%) non mutati, 72 (64%) mutati; di questi
ultimi 57 (50%) presentavano la mutazione in eterozigosi (media 20,69, range 2,1-49), 17 (14%) in omozigosi (media 77,63 range
53,5-99,2).
In 93 pazienti sono state quantizzate le cellule staminali circolanti CD34+: valore medio 5x106(mediana 4x106, range 0,5-19).
La biopsia osteomidollare è stata effettuata in 110 pazienti; 91 esami istologici sono stati valutati secondo uno score di fibrosi che
distingue la trama fibrosa in normale, reticolare o reticolare infittita. 48 pazienti presentavano trama nella norma, 35 reticolare,
5 reticolare infittita.
I pazienti positivi per mutazione di JAK2 presentavano leucocitosi, valori di ematocrito e valori di cellule CD34+ circolanti
superiori rispetto ai pazienti non mutati: 37/47 pz (79%) con GB > 10.000/mm3, 40/53 pz (75%) con Hct > 44% e 30/44 (68%)
pazienti con CD34+ > 4x106 erano portatotori di mutazione di JAK2. La piastrinosi viceversa era presente con maggiore frequenza
nei pazienti Jak2 negativi.
La positività di JAK2 specie in omozigosità era correlata con una trama più infittita: 25/42 (59%) pz che presentavano trama
reticolare o reticolare infittita erano portatori di JAK2 mutato.
Sono stati valutati inoltre i fattori di rischio cardiovascolari e le comorbidità: 59 pazienti presentavano almeno un fattore di
rischio (fumo, obesità, ipercolesterolemia) o una patologia concomitante: 38 erano affetti da ipertensione arteriosa, 4 da Diabete
Mellito, 6 da insufficienza renale, 9 da ipercolesterolemia, 2 da precedente neoplasia e 4 da epatopatia cronica HCV correlata.
All’esordio solo 18 pazienti (14%) erano sintomatici (cefalea, prurito, parestesie o vertigini), gli altri ricorrevano alla valutazione
ematologica per riscontro di piastrinosi casuale (84 pazienti, 66%) o in seguito ad un evento cardiovascolare. Infatti 25 pazienti
(20%) riferivano almeno un evento trombotico nella loro storia clinica: 18 eventi sono stati classificati in arteriosi maggiori
verificatisi in 16 pazienti (di cui 7 ictus, 6 TIA, 4 IMA, 1 infarto intestinale ); 2 in venosi maggiori (embolia polmonare); 7 in
minori (tromboflebiti).
Nella casistica 110 pazienti effettuavano terapia antiaggregante, due nessuna terapia per aggregazione piastrinica patologica, gli
altri assumevano anticoagulanti. 103 pazienti effettuavano trattamento citoriduttivo, di cui 3 anagrelide, 11 INF, 89 oncocarbide.
Nel corso del loro follow-up, in 12 pazienti (9,5%) è stato documentato un evento trombotico: 3 TIA, 1 IMA, 7 tromboflebiti,
una trombosi venosa profonda. Tali pazienti avevano età media di 59 anni (range 23-87). I principali dati di laboratorio all’epoca
dell’evento documentavano: Hct medio 42,43% (39-47), valore medio PLT 626.000/mmc (444.000-114.000), valore medio GB
7.710/mm3(5.500-11.150). 7 pazienti erano mutati per JAK2, di cui 3 in omozigosi. 3 pazienti presentavano CD34 > 4x106.
Conclusioni: gli eventi trombotici si correlano con la presenza della mutazione, nessuna associazione è stata trovata con la conta
delle cellule CD34 circolanti.
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35 •
Emopatie maligne: la gestione del distress psicologico
M. Carozza, G.Monaco, M. Troiano, A. Abbadessa
U.O.C. Oncoematologia. A.O.R.N. S.Anna e S. Sebastiano. Caserta.
Premessa. Le sofferenze fisiche, inevitabilmente legate alle emopatie maligne, si associano a problemi emozionali, che, oltre
a peggiorare ulteriormente la qualità di vita dei pazienti, possono in varia misura condizionarne l’outcome complessivo. È
auspicabile pertanto che i trattamenti volti alla cura di leucemie, linfomi e mielomi, prevedano oggi programmi di psiconcologia
che si prendano cura del distress psicologico La U.O.C. di Oncoematologia della A.O.R.N. S. Anna e S.Sebastiano di Caserta ha
elaborato, in collaborazione con l’U.O. di Psicologia Clinica, un Protocollo Psicologico Operativo, al fine di aiutare il paziente ad
avere maggiore coscienza dei propri stati emotivi e a vivere le diverse fasi che caratterizzano la malattia in maniera più favorevole
per la propria salute psicologica.
Materiale e metodi. Il protocollo di supporto psicologico elaborato si articola nei seguenti momenti 1) supporto e consulenza
ai pazienti affetti da malattie oncoematologiche, con l’obiettivo di sostenerli ed aiutarli durante tutto il percorso della malattia
e nei momenti delicati che lo caratterizzano; 2) supporto e consulenza dei familiari, con l’obiettivo di aiutare l’intero sistema
familiare ad adattarsi all’evento malattia e ridurre lo stress psicologico ad esso collegato; 3) sostegno del personale medico e
infermieristico, al fine di contenere le dinamiche e tensioni psicologiche derivanti da stress lavorativo. Il protocollo paziente
ha previsto colloqui di supporto in corso di ricovero anche quotidiani ed un colloquio di follow-up a 30 gg. dalla dimissione; il
protocollo familiari si è concretizzato in colloqui di supporto in corso di ricovero, utilizzo di strumenti psicodiagnostici (qualora
necessari) e colloqui di supporto dopo la dimissione per tutti coloro che ne abbiano fatto spontaneamente richiesta; il protocollo
dedicato al personale medico ed infermieristico si è concretizzato in riunioni periodiche al fine di individuare e contenere le
dinamiche psicologiche e le tensioni presentate. Sono stati osservati 37 pazienti: solo 7 (4 affetti da leucemia acuta, 2 da linfoma,
1 da sindrome mielodisplastica) hanno ricevuto il protocollo di supporto e consulenza psicologica in fase di ricovero e postricovero, mediante l’utilizzo dei previsti strumenti psicodiagnostici (Zung per ansia, Zung per depressione, MMPI-2, test grafici).
Il protocollo familiari è stato operativo con tutti i familiari dei pazienti ricoverati, così come quello riguardante il personale
medico ed infermieristico.
Discussione. L’attuazione completa del protocollo non è stata possibile per tutti i pazienti oncoematologici, mancando il
momento della somministrazione dei previsti strumenti psicodiagnostici, il più spesso per le precarie condizioni di salute. Nei
casi in cui è stato possibile percorrere l’iter completo del protocollo, l’attività è stata conclusa con una relazione psicologica,
oggetto di confronto con l’equipe medica. I pazienti osservati e valutati hanno mediamente, manifestato un livello d’ansia e di
depressione basso con un equilibrio timico compreso nei limiti della norma; buone tendenze comunicative sia attraverso il canale
verbale sia analogico.
Conclusioni. Da quanto emerso dai dati raccolti, si ritiene necessaria con i pazienti oncoematologici, l’attuazione di una
comunicazione leale e reale, rispetto al decorso terapeutico, e alle scelte terapeutiche a breve e a lungo termine. Le modalità
comunicative devono essere adeguate alla personalità del paziente, valutando “quando effettuare la comunicazione”, “informarsi
in merito alle conoscenze del paziente rispetto alla malattia”, “capire i bisogni del paziente”, “comprendere quanto il paziente sia
in grado di recepire e quanto voglia recepire”.
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36 •
L’Ematologia dell’IRCCS-CROB di Rionero in Vulture tra Ricerca e
Clinica: un anno di Data Management
Sparano A., Zonno A., D’Auria F., Grieco V., Guariglia R., Pietrantuono G., Villani O., Martorelli MC.,
Mansueto G., Musto P.
Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali,IRCCS, Centro di Riferimento Oncologico della Basilicata, Rionero in Vulture (PZ)
Con il termine di sperimentazione clinica si intende “… ogni forma di esperimento pianificato su pazienti, programmato per
valutare il trattamento più appropriato di futuri soggetti con una determinata condizione patologica”.
I principi per affrontare una sperimentazione clinica metodologicamente corretta sono stati formalizzati in una serie di norme di
pianificazione e conduzione che rendono scientificamente valida la sperimentazione stessa. Il successo di un trial clinico, quindi,
dipende completamente dalla qualità dei dati raccolti e rapportati.
Il data management è un lavoro di gruppo svolto in stretta collaborazione, che coinvolge diverse figure e professionalità: medici,
infermieri, farmacisti, statistici, data manager e pazienti. La nostra U.O. può attualmente avvalersi di due data manager, di un
medico dedicato alla ricerca clinica, di due biotecnologhe per la parte laboratoristica, nell’ambito di un “Trial Office” contenente
un archivio con tutta la documentazione relativa alle sperimentazioni e con accesso al Web dedicato.
In questo team il data manager si occupa di coordinare i vari aspetti di una sperimentazione clinica e i rapporti tra l’equipe che
sta conducendo lo studio e le strutture che lo regolano, assicurando il rispetto del protocollo sperimentale e gli aspetti formali e
pratici di una sperimentazione.
Dal 2006 ad oggi l’U.O. di Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali dell’IRCCS-CROB di Rionero in Vulture è stata
fortemente impegnata nell’ambito della Ricerca Clinica. Sono attualmente operative presso il Reparto 33 Sperimentazioni
nazionali ed internazionali, supportate da numerose collaborazioni con Istituti Universitari e Scientifici, Gruppi Cooperatori
(GISL, GIMEMA, IIL) ed importanti Aziende Ospedaliere di rilevanza nazionale. Nello specifico, sono globalmente attivi 9
protocolli per il trattamento delle Sindromi Mielodisplastiche, 7 protocolli per il trattamento del Mieloma Multiplo, 11 protocolli
per il trattamento dei Linfomi, 1 protocollo per il trattamento dei plasmocitomi, 8 protocolli per il trattamento delle Leucemie
acute e croniche, 8 protocolli osservazionali focalizzati su varie patologie ed uno Studio Pilota, di cui il CROB è promotore, per il
trattamento di prima linea della Leucemia Plasmacellulare. Inoltre è in atto un programma di uso compassionevole per i pazienti
elegibili al trapianto autologo “poor-mobilizer”.
Globalmente, nel 2008, sono stati approvati 10 protocolli e sono stati in totale inseriti 111 pazienti in studi clinici, che rappresentano
il 26% di tutti pazienti seguiti nello stesso anno. Ventuno gli studi conclusi, con l’arruolamento di 38 pazienti.
Sempre nel corso del 2008 sono stati infine pubblicati 12 “Full Papers” (Impact Factor totale normalizzato: 42) e presentate 26
Comunicazioni Scientifiche a Convegni Nazionali ed Internazionali.
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37 •
Valutazione dei linfociti T regolatori in pazienti con sindrome
mielodisplastica
Francesco Longu1, Claudio Fozza1, Marco Murineddu2, Attilio Gabbas2, Antonio Galleu1, Salvatore Contini1,
Patrizia Virdis1, Antonella Massa1, Silvana Bonfigli1, Maurizio Longinotti1
Istituto di Ematologia, Università di Sassari; Divisione di Ematologia, Ospedale San Francesco, Nuoro.
1
Introduzione: Le mielodisplasie (MDS) sono un gruppo proteiforme di disordini clonali della cellula staminale emopoietica,
contraddistinte da una spiccata disregolazione immunitaria, la quale sembra giocare molteplici ruoli nella storia naturale di queste patologie. Essa si manifesta sia con l’insorgenza di manifestazioni autoimmuni, che con l’affiorare di un’aggressione linfocito
mediata apparentemente rivolta contro i precursori ematopoietici midollari. Questi delicati equilibri sembrerebbero almeno in
parte modulati dai linfociti T Regolatori (Treg), una sottopopolazione di linfociti CD4+ circolanti profondamente coinvolta nei
meccanismi di tolleranza immunitaria periferica.
Obiettivi: Nel nostro studio abbiamo analizzato la frequenza dei Treg e di altre sottopopolazioni T-linfocitarie in una coorte di
pazienti affetti da MDS, concentrando in particolare la nostra attenzione sul loro possibile impatto sulla progressione di malattia.
Materiali e Metodi: La frequenza dei Treg è stata determinata sul sangue periferico di 39 pazienti affetti da MDS (7 RA, 6
RARS, 19 RCMD, 6 RAEB e una sindrome del 5q-) e 35 controlli con metodica citofluorimetrica. Sono state prima analizzate le
frequenze dei linfociti CD3+, CD4+ CD8+ e CD16+/CD56+. I Treg sono poi stati identificati come la frazione di cellule CD4+
esprimenti intensamente (>2log) il CD25 e scarsamente (<2log) il CD127, ed esprimenti FoxP3 e CD152.
Risultati: I nostri dati indicano innanzi tutto una ridotta frequenza di linfociti T CD3+ (media 65% vs. 71%; p<0,05) e CD4+
(35% vs. 40%; p<0,05%) nei pazienti affetti da MDS rispetto ai controlli. Le frequenze dei linfociti CD8+ e CD16+/CD56+ sono
risultate invece sostanzialmente sovrapponibili. Si è inoltre evidenziato che i soggetti con MDS mostrano frequenze di Treg significativamente superiori ai controlli (1,51% vs. 1,20%; p<0,05). Confrontando pazienti facenti parte delle diverse sottoclassi WHO,
abbiamo individuato una più elevata frequenza di Treg nei pazienti con RCMD rispetto a quelli appartenenti a tutte le altre categorie WHO (1,92% vs. 1,20%, p<0.001). Stratificando poi i soggetti secondo WPSS, citogenetica, parametri emocromocitometrici
e coesistenza di fenomeni autoimmuni non sono emerse differenze statisticamente significative. Solo la trasfusione-dipendenza
è risultata associata ad una ridotta frequenza di Treg (1,79% vs. 1;12%; p<0,05).
Conclusioni: I nostri dati mostrano un’aumentata frequenza d Treg CD4+CD25high FoxP3+ nei pazienti affetti da MDS, la
quale è ancor più marcata nei pazienti con RCMD. Questa differenza osservata fra le varie sottoclassi potrebbe indicare il coinvolgimento dei Treg nella modulazione della progressione di malattia. Si può inoltre supporre che le basse frequenze di Treg
osservate nei pazienti trasfusione-dipendenti siano correlate con l’affiorare di cloni T-linfocitari autoreattivi, responsabili dei
noti fenomeni di inibizione midollare ed emopoiesi inefficace e, di conseguenza, di un più pressante fabbisogno trasfusionale
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38 •
ESPRESSIONE DEL WT1 NELLE SINDROMI MIELODIPLASTICHE (SMD)
Improta S., Villa M.R., Lucania A., Esposito M., Della Cioppa P., Gagliardi A., Nitrato Izzo G., Quirino
A.A., *Polistina M.T., Mastrullo L.
U.O.C. Ematologia P.O. San Gennaro e *U.O.C. Biochimica e Genomica Molecolare P.S.I. Loreto Crispi, ASL NA1, Napoli.
Le sindromi mielodisplastiche (SMD) sono patologie caratterizzate da emopoiesi inefficace, che coinvolge una o più linee
cellulari, da citopenia nel sangue periferico e da un alto rischio di progressione verso la leucemia mieloide acuta (LMA). Secondo
la classificazione WHO, le SMD possono essere classificate in questi gruppi: anemia refrattaria (AR), anemia refrattaria con
sideroblasti ad anello (ASIA), AR con eccesso di blasti di tipo I e II (AREB I e II), citopenia refrattaria con displasia monobi- o trilineare (CR+displasia), sindrome 5q-, e SMD non-classificabili. Il gene del tumore di Wilms (WT1) è un gene oncosoppressore che codifica per un fattore di trascrizione; è localizzato sul cromosoma 11p13 ed è stato originariamente identificato
per il suo coinvolgimento nella patogenesi del tumore di Wilms. In soggetti normali, sia nel sangue periferico che nel midollo
osseo, l’espressione di WT1 risulta essere bassa e talvolta anche non rilevabile mediante RT-PCR. Al contrario, WT1 è altamente
espresso nella maggior parte delle leucemie acute, e il suo livello di espressione è associato con la presenza, la persistenza o la
ricomparsa della emopoiesi leucemica.
Abbiamo studiato i campioni di sangue midollare di 40 pazienti con SMD (20 AR, 7 AREB I, 4 AREB II, 4 ASIA, 3 sindromi 5q-,
2 SMD non-classificabili) monitorando l’espressione di WT1 al momento della diagnosi e dopo 6 mesi. L’espressione di WT1 è
stata valutata con la metodica di
real-time PCR quantitativa (RQ-PCR).
Alla diagnosi, 21 pazienti (10 AR, 6 AREB I, 4 AREB II, 1 ASIA) esprimevano livelli del trascritto di WT1 superiori al valore
soglia definito. Il livello di espressione di WT1 correlava significativamente con il tipo di SMD, essendo molto più elevato nelle
AREB I e II rispetto alle AR, ed aumentava durante la progressione della malattia. Inoltre, abbiamo riscontrato una correlazione
significativa tra i livelli di espressione di WT1, la percentuale di blasti midollari e la presenza di anomalie citogenetiche sfavorevoli.
I pazienti hanno ricevuto solo una terapia di supporto, se necessaria. Dopo 8 mesi, nove pazienti (2 AR, 5 AREB I, 2 AREB II)
hanno sviluppato una LMA. Tutti questi pazienti avevano mostrato, al momento della diagnosi, un elevato livello di espressione
di WT1 e un ulteriore innalzamento di WT1 dopo 6 mesi.
I nostri risultati sembrano confermare che l’espressione di WT1 potrebbe rappresentare un utile marker nelle SMD per stabilire
la prognosi e la progressione della malattia.
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39 •
Il trattamento ferrochelante precoce con Deferasirox produce
una riduzione duratura del fabbisogno trasfusionale nelle
Sindromi Mielodisplastiche: descrizione di un caso clinico
Giuseppina Spinosa, Maria Grazia Franzese, Gaetano Palumbo, Silvana Capalbo.
Hematology – Ospedali Riuniti di Foggia – Azienda Ospedaliero-Universitaria, Foggia, ITALY.
Background: Il sovraccarico marziale è un fattore prognostico sfavorevole nei pazienti trasfusione-dipendenti con Sindromi
Mielodisplastiche (SMD), specialmente nei pazienti candidati al trapianto di cellule staminali emopoietiche (CSE). In letteratura,
pochi lavori clinici riportano un miglioramento dell’eritropoiesi durante la somministrazione di farmaci ferrochelanti. Il
meccanismo biologico dei potenziali benefici dei ferrochelanti non è ancora completamente compreso. Un altro punto finora
irrisolto è il timing dell’inizio della terapia ferrochelante dal momento della diagnosi di SMD, dal momento che il sovraccarico
marziale inizia ben prima della terapia trasfusionale ed è dovuto all’aumentato assorbimento intestinale di ferro in risposta
all’eritropoiesi inefficace.
Scopo: Noi descriviamo il caso di un paziente con SMD che, sottoposto a terapia ferrochelante con deferasirox nel primo anno
dalla diagnosi, ha ottenuto una duratura riduzione del fabbisogno trasfusionale e un miglioramento del livello di emoglobina
(Hb).
Case Report: Nell’Agosto 2006, presso la nostra Istituzione, veniva diagnosticata una SMD tipo anemia refrattaria (AR) ad un
uomo di 34 anni. I principali dati di laboratorio evidenziavano anemia (Hb 5.9 g/dl), normale conta dei globuli bianchi e delle
piastrine, ferritina sierica 767 ng/ml. La biopsia osteomidollare mostrava una aumentata cellularità in assenza di fibrosi. Il cariotipo,
valutato con metodica convenzionale, non mostrava anomalie cromosomiche. Quattro unità di globuli rossi concentrati (GRC)/
mese erano necessari per mantenere il livello di Hb pari a 8.3 ±0.34 g/dl. Il trattamento con eritropoietina α umana ricombinante,
(rHu Epoa) [40000 U/sottocute/settimana], protratto per cinque mesi, risultò inefficace. A questo punto, il livello di ferritina sierica
era 1085 ng/ml, la Risonanza magnetica nucleare (RMN) mostrava un’aumentata concentrazione marziale a livello epatico e una
normale concentrazione a livello cardiaco. Sebbene alla diagnosi la valutazione dei fattori prognostici secondo l’International
Prognostic Scoring System (IPSS) avesse prodotto un punteggio corrispondente al basso rischio, l’elevato fabbisogno trasfusionale
suggerì di candidare il paziente al trapianto con CSE. La terapia ferrochelante con deferoxamina, intrapresa in prima istanza, fu
interrotta per la scarsa compliance del paziente e sostituita con la somministrazione orale di deferasirox [10 mg/kg peso corporeo
(p.c.)/somministrazione unica giornaliera]. Non furono somministrati altri farmaci contemporaneamente. Dopo tre mesi, in
considerazione dell’aumentato livello di ferritina sierica, la dose del deferasirox fu aumentata fino a 20 mg/kg p.c./giorno. Il
fabbisogno trasfusionale necessario per mantenere un livello di Hb di 8.0±0.45 fu incostante fino al 10° mese di terapia con
deferasirox allorquando, in presenza di un valore progressivamente crescente di Hb fino a 10.2±0.34 g/dl, le trasfusioni furono
sospese. In conseguenza del ridotto fabbisogno trasfusionale, la dose del deferasirox fu ridotta dapprima a 15 mg/kg p.c./giorno
e poi a 10 mg/kg p.c./giorno senza che ciò determinasse una diminuzione del grado di risposta. Il livello di ferritina sierica
continuò ad aumentare fino al 20° mese dalla diagnosi e successivamente diminuì progressivamente indipendentemente dagli
adeguamenti posologici del deferasirox. Non furono osservati effetti tossici.
Conclusioni: Sebbene la nostra osservazione si riferisca ad un singolo caso, l’aumento del livello di Hb in questo paziente supporta
l’ipotesi che il deferasirox possa influenzare l’eritropoiesi agendo sui progenitori eritroidi o sul microambiente. Il secondo punto
che merita di essere sottolineato è rappresentato dal fatto che nel nostro caso, durante la terapia ferrochelante, dopo un’iniziale
aumento del livello sierico della ferritina dovuto alla mobilizzazione del ferro, si osserva successivamente una diminuzione del
livello della ferritina verosimilmente per effetto della rigenerata eritropoiesi. La RMN del fegato e del cuore e la misurazione
seriata dei livelli sierici di ferritina possono rappresentare dei markers surrogati del sovraccarico marziale nelle SMD. Il paziente
ha iniziato la terapia ferrochelante entro il primo anno dalla diagnosi ma, al momento in cui ha assunto per la prima volta
il deferasirox, la RMN mostrava già un’aumentata concentrazione epatica di ferro. Considerando il beneficio della terapia
ferrochelante sul livello di Hb osservato in questo paziente, un inizio più precoce della terapia ferrochelante potrebbe anche
ridurre il numero delle unità di globuli rossi trasfuse con conseguente riduzione del danno epatico da sovraccarico marziale. Dati
biologici ricavati nell’ambito di ampi trials clinici controllati sono necessari per fornire maggiori informazioni sui meccanismi
di azione che consentono al deferasirox di prevenire i danni epatici e cardiaci da sovraccarico marziale e per confermare il
favorevole effetto sull’eritropoiesi nelle SMD.
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40 •
Caratterizzazione immunofenotipica delle sindromi
mielodisplastiche mediante analisi citofluorimetrica di
parametri quantitativi e riproducibili
D’Auria F. Grieco V, Guariglia R, Pietrantuono G, Villani O, Martorelli MC, Mansueto GR, Sparano A,
Zonno A, La Starza R*, Mecucci C*, Della Porta MG**, Musto P.
Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali, IRCCS, Centro di Riferimento Oncologico della Basilicata, Rionero in Vulture (Pz);
* Laboratorio di Citogenetica, Ematologia ed Immunologia Clinica, Università di Perugia;* Ematologia, Fondazione IRCCS
Policlinico S. Matteo, Pavia
Le sindromi mielodisplastiche (SMD) sono un gruppo eterogeneo di disordini delle cellule staminali pluripotenti, caratterizzati
da displasia midollare di una o più filiere emopoietiche e citopenia periferica. La diagnosi delle SMD attualmente si basa sulla
presenza di displasia morfologica, sulla quota blastica e sulle anomalie citogenetiche a livello delle cellule emopoietiche midollari.
Talora, tuttavia, l’analisi citogenetica non è informativa e la valutazione morfologica può risultare difficoltosa e scarsamente
riproducibile, soprattutto nelle forme senza eccesso di blasti. La citometria a flusso rappresenta uno strumento validato e
riproducibile per l’analisi delle cellule emopoietiche che mostrano, anche nelle SMD, alterazioni dell’espressione di numerosi
antigeni. I limiti che impediscono attualmente all’analisi immunofenotipica di far parte dei criteri diagnostici delle SMD sono
l’assenza di un singolo parametro che permetta di discriminare tra SMD e altre condizioni patologiche, la scarsa disponibilità
di anticorpi specifici per la valutazione della displasia eritroide, l’espressione solo qualitativa delle variabili citofluorimetriche.
Nell’ambito di una cooperazione che vede protagonisti nove Laboratori Italiani di Citofluorimetria, variamente distribuiti sul
territorio nazionale e coordinati dal gruppo del Policlinico S. Matteo di Pavia, abbiamo aderito ad uno studio prospettico e
multicentrico, che ha ad oggi arruolato circa 300 casi tra pazienti con SMD accertata o sospetta e controlli sani, che intende:
1) identificare parametri citofluorimetrici quantitativi (mean fluorescence intensità=MFI) e riproducibili per la diagnosi di
MDS, in particolare delle forme senza eccesso di blasti;
2) distinguere tra pazienti a basso rischio con displasia unilineare verso quelli con displasia multilineare.
I diversi parametri citofluorimetrici identificati valutano, in particolare, il compartimento blastico, il compartimento
granulocitario e quello eritroide. Lo scopo è quello di generare variabili quali-quantitative riproducibili in grado di costituire
la base per la definizione di uno score citofluorimetrico che integri la diagnostica delle SMD, da testare prospetticamente, in
pazienti con sospetto clinico di SMD.
Ad oggi, presso il nostro Centro sono stati testati 19 campioni di SMD (6 RCMD, 3 RCMD-RS, 1 AREB-2, 1 AREB-1, 1 Sindr. del
5q, 1 RARS-T, 1 displasia transizionale ad impronta mieloproliferativa, 1 RARS-T, 4 displasie emopoietiche attualmente in corso
di definizione). Da un’analisi preliminare, i parametri più significativi risultano al momento essere:
– per il compartimento blastico: % mieloblasti CD34+CD33+, % precursori B CD34+, CD45 ratio (linfociti/mieloblasti) ed
espressione di CD38;
– per il compartimento granulocitario: SSC ratio (granulociti/linfociti), CD16/CD13 ratio e % di granulociti CD10+;
– per il compartimento eritroide: CD71 e ferritina H.
È attualmente in corso l’integrazione di questi dati nell’intera casistica nazionale, i cui risultati definitivi verranno presentati in
sede di Convegno.
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41 •
IL BILANCIO MARZIALE IN SINDROMI MIELODISPLASTICHE ALLA DIAGNOSI
Bianca Maria Ricerca, Maria Teresa Voso, Marianna Criscuolo, Mariangela Greco, Luana Fianchi, Livio
Pagano, Giulio Giordano*, Silvia Piano*, Sergio Storti* and Giuseppe Leone
Istituto di Ematologia – Università Cattolica del Sacro Cuore – Roma *Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle
Scienze Biomediche -Università Cattolica del Sacro Cuore – Campobasso
Introduzione: Nei pazienti affetti da Sindrome mielodisplastica che ricevono supporto trasfusionale deve essere attentamente
valutato il sovraccarico marziale per selezionare quelli eleggibili per la terapia ferro chelante. In alcuni pazienti l’unico parametro
laboratoristico per valutare il sovraccarico marziale è il livello di ferritina sierica.
Obiettivo dello studio: Ci sono pochi dati riguardo il sovraccarico marziale nei pazienti con sindrome mielodisplastica che non
ricevono trasfusioni. Nel nostro studio abbiamo voluto valutare quest’aspetto utilizzando differenti approcci.
Metodi: Abbiamo analizzato retrospettivamente l’assetto marziale di 81 pazienti affetti da sindrome mielodisplastica e mai
trasfusi. Abbiamo valutato non soltanto i livelli di ferritina sierica (disponibile solo in 74 pazienti) ma anche l’indice di saturazione
della trasferrina (TSI) (disponibile in 62 pazienti). In 55 pazienti sono stati valutati entrambi i dati laboratoristici. L’indice di
saturazione della trasferrina è stato calcolato come percentuale del rapporto tra la sideremia e la capacità ferro legante. Abbiamo
scelto questo approccio perchè in altre condizioni cliniche come l’emocromatosi ereditaria l’indice di saturazione della trasferrina
è un marker precoce di sovraccarico marziale ed ha un valore diagnostico anche prima dell’aumento della ferritina sierica. Inoltre
i livelli sierici di ferritina possono aumentare per danno epatico e nel corso di un processo infiammatorio perdendo quindi la
specificità come indicatore di sovraccarico marziale.
Risultati: Nella nostra esperienza la prevalenza dei casi con severa iperferritinemia (ferritina >1000) è simile a quella riportata
da altri autori. Tuttavia un sovraccarico marziale moderato (ferritina >500) si riscontra in 14/74 (18.9%) pazienti. Tuttavia se il
sovraccarico marziale viene valutato in base ai criteri raccomandati per l’emocromatosi ereditaria (TSI >50% e/o ferritina >300
ng/ml) la sua prevalenza è maggiore (33.8% e 23.6% rispettivamente). Nel gruppo di pazienti con noti indice di saturazione della
trasferrina e ferritina sierica la prevalenza di sovraccarico marziale, inteso come TSI>50%, è significativamente più alto di quello
calcolato in base ai livelli di ferritina sierica >1000 (32.7% verso 7.2% Fisher test: p=0,0015). La valutazione sia della ferritina
sierica che dell’indice di saturazione della trasferrina permette di riconoscere i pazienti affetti da sindrome mielodisplastica con
assetto marziale compatibile con disordine cronico e che nella nostra casistica corrispondono al 10.9%.
Conclusioni: Nei pazienti affetti da sindrome mielodisplastica e non trasfusi il bilancio marziale deve comprendere sia il dosaggio
della ferritina sierica che l’indice di saturazione della trasferrina. Questo approccio è più sensibile nell’individuare il sovraccarico
marziale e ci permette di identificare altre alterazioni riguardanti il metabolismo del ferro.
Sono necessari altri studi per capire se il sovraccarico marziale moderato è in grado di generare danno ossidativo nei pazienti con
mielodisplasia. Questo è molto importante anche perchè molti dati evidenziano un legame tra stress ossidativo e danno al DNA
come contributo fondamentale all’evoluzione neoplastica nei pazienti con mielodisplasia.
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42 •
TERAPIA CON 5-AZACITIDINA NELLE SINDROMI MIELODISPLASTICHE:
ANALISI RETROSPETTIVA DI 177 PAZIENTI ARRUOLATI IN UN PROGRAMMA
NAZIONALE DI USO COMPASSIONEVOLE NOMINALE
O. Villani, L. Maurillo, A. Spagnoli, A. Gozzini, F. D’Auria, N. Cecconi, M. D’Argenio, M. Lunghi, G.
Palumbo, F. Rivellini, M. Genuardi, S. Sibilla, G. Mele, N. Filardi, G. Sanpaolo, E. Vigna, D. Pastore, A.
Tonso, C. Fili, A. Candoni, B. Pollio, S. Rocco, A. Santagostino, E. Balleari, V. Cassibba, P. Della Cioppa,
C. Mazzone, M. Mianulli, E. Oliva, L. Ciuffreda, E. Orciuolo, C. Tatarelli, D. Russo, N. Di Renzo, A.M.
D’Arco, V. Mettivier, F. Morabito, N.Cascavilla, P. Mazza, F. Di Raimondo, M.T. Voso, M.A. Aloe-Spiriti,
G. Gaidano, D. Ferrero, F. Nobile, G. Quarta, A. Riezzo, V. Pavone, A. Levis, M. Petrini, A. Olivieri, F.
Ferrara, G. Specchia, G. Leone, A. Venditti, V. Santini, P. Musto.
Gruppo Cooperatore Italiano per lo Studio dell’Azacitidina nelle Sindromi Mielodisplastiche e nelle Leucemie Acute Mieloidi.
Obiettivi: Valutare efficacia, sicurezza e fattibilità di 5-azacitidina (AZA) nella pratica quotidiana in pazienti con sindrome
mielodisplastica (SMD) non inseriti in studi clinici.
Pazienti e metodologia; Raccolta dati da registro su scala nazionale di 177 pazienti affetti da SMD e trattati in Italia con AZA
tra Giugno 2005 e Settembre 2007, nell’ambito di un programma compassionevole nominale, con follow-up aggiornato al 15
Dicembre 2008.
Risultati: L’età media dei pazienti era di 70 anni (range 18-84) con rapporto M/F 1.55. In accordo alla classificazione WHO,
sono entrate nello studio 19 RA, 5 RARS, 5 5q-syndrome, 30 RCMD, 44 RAEB-1, 71 RAEB-2, 3 MDS-U. Settantaquattro pazienti
sono stati classificati con un indice prognostico IPSS basso o intermedio-1, mentre in 103 pazienti è stato calcolato un rischio
IPSS intermedio-2 o alto. Il tempo medio dalla diagnosi per i due gruppi era rispettivamente di 21.5 mesi (range di 1-132) e 6
mesi (range 1-96). 141 pazienti (80%) erano trasfusioni-dipendenti, 117 (66%) avevano ricevuto precedenti trattamenti. AZA è
stata somministrata come singolo agente chemioterapico in 122 pazienti (69%), mentre nei rimanenti soggetti è stata variamente
combinata con r-EPO +/- G-CSF, acido valproico +/- ATRA, o altri farmaci. Il 58% dei pazienti ha ricevuto una dose standard
di 75 mg/m2/d s. c., il 42% una dose fissa di 100 mg/d s.c. La durata di un singolo ciclo di trattamento è stata di 7 giorni nel 60%,
5 giorni nel 36%, 10 giorni nel 4% dei pazienti. Con una dose media di AZA per ciclo mensile di 700 mg (range 425-1105), il
numero mediano di cicli somministrati in pazienti con rischio basso o elevato è stato, rispettivamente, di 7 (range 1-30) e 4
(range 1-11). La percentuale di risposte complessive, includendo le risposte complete, le riposte parziali, le risposte ematologiche
e quelle midollari (criteri IWG 2006), è stata pari al 41% (52% nei pazienti a rischio più basso e 43% in quelli a rischio piu’elevato
che avevano completato almeno 4 cicli di terapia). Il 32% dei pazienti è rimasto clinicamente stabile sotto trattamento con AZA.
Con un follow-up mediano di 15 mesi, è stata riscontrata una sopravvivenza complessiva a 3 anni significativamente migliore nei
pazienti che avevano risposto rispetto ai non-responders (p <. 0014 nel gruppo a basso rischio, p <. 00013 nel gruppo a rischio
più alto). I migliori risultati sono stati ottenuti nei pazienti più giovani, ad alto rischio, non trasfusione-dipendenti. Le tossicità
di grado 3 e 4 riscontrate sono state rappresentate da mielosoppressione (18%), infezioni (9%) ed eventi avversi gastrointestinali
(3%) e cardiaci (<1%). Nessun decesso è stato correlato con le somministrazioni di AZA.
Conclusioni: Nella pratica clinica, AZA può rappresentare una scelta terapeutica fattibile, sicura ed efficace per una quota
significativa di pazienti con SMD, indipendentemente dal rischio IPSS.
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43 •
L’utilizzo delle ricostruzioni 3D mediante TC 64 strati nello
studio del Mieloma Multiplo (MM) Asintomatico: valore
prognostico
Giuseppe Mele*, Anna Grazia D’Agostino#, Salvatore Pinna*, Maria Rosaria Coppi*, Maurizio Claudio
Brocca*, Angela Melpignano*, Grazia Angone# Giovanni Quarta*
U.O. di Ematologia e Centro Trapianto*, U.O. di Radiologia# – Ospedale A. Perrino, Brindisi
Introduzione: La ricerca continua di fattori prognostici che possono influenzare l’outcome ha sempre appassionato i ricercatori;
in particolare, in questi ultimi anni, nuovi ed importanti fattori prognostici si sono aggiunti alla coorte dei vecchi fattori. LA TC
spirale multidettore (TCMD) a 64 strati, per la sua elevata velocità di esecuzione, consente un rapido esame di tutte le regioni
anatomiche in un’unica acquisizione, riducendo gli artefatti da movimento. Inoltre, la TCMD, registrando un elevato volume
di dati, consente ricostruzioni 2D lungo qualunque piano passante per il livello anatomico desiderato e ricostruzioni 3D che
permettono di misurare l’esatta volumetria temporo-spaziale delle lesioni. Allo stato attuale, per lo studio delle gammopatie
monoclonali, la valutazione dell’interessamento scheletrico, in particolare del numero e della sede delle lesioni osteolitiche, si
basa “principalmente” sulla radiografia standard che permette di evidenziare lesioni litiche solo quando il danno della corticale
è superiore al 40%. Le nuove tecniche d’imaging (TCMD e RM) offrono una accuratezza diagnostica superiore alla radiologia
standard. Le metodiche d’imaging di II livello possono individuare osteolisi non evidenziabili agli esami radiografici convenzionali
in pazienti con “MM Asintomatico”. Secondo Lecouvet la TCMD trova indicazione nei casi con sintomatologia dolorosa e reperto
RM negativo. Pertanto, è intuitiva l’importanza dell’accuratezza della diagnostica radiologica finalizzata alla stadiazione e alle
conseguenti decisioni terapeutiche.
Pazienti e Metodi: Nel nostro studio, 13 pazienti con diagnosi di MM Asintomatico e apparato scheletrico radiograficamente
indenne, sono stati sottoposti a rivalutazione di malattia mediante TCMD a 64 strati (Brilliance 64, Philips) senza somministrazione
endovenosa di mezzo di contrasto, completato con ricostruzioni 2D e 3D. Sono stati esclusi dallo studio pazienti con neoplasie
secondarie associate. Un ristretto di numero di pazienti con MGUS (n. 6) e con MM Sintomatico (n. 6) hanno rappresentato
il gruppo di controllo. Le regioni esaminate sono state il rachide cervicale, dorsale e lombare, le coste ed il bacino e, quando
radiograficamente dubbio, il cranio. L’esame TC è stato affiancato dallo studio RM del rachide e bacino con mdc.
Risultati: “Gruppo di controllo” In tutti i pazienti con MGUS (6/6) l’apparato scheletrico è risultato indenne sia alla TCMD che
alla RM. La TCMD è risultata positiva in tutti i pazienti con MM Sintomatico (6/6), rilevando un interessamento dell’apparato
scheletrico superiore alla RM per numero e sede delle lesioni osteolitiche. La RM è stata positiva in 5/6 pazienti con MM
Sintomatico (83%). “Gruppo di studio” Per quanto concerne i pazienti con MM Asintomatico, la TCMD ha rivelato lesioni
osteolitiche in 9/13 pazienti (69%), la RM in 7/13 (53%). In 5 pazienti la TCMD ha dimostrato un maggior interessamento
dell’apparato scheletrico rispetto alla RM. In 2/13 pazienti la RM è stata in grado di evidenziare lesioni osteolitiche sfuggite alla
TCMD. Entrambe, TCMD e RM, sono risultate completamente negative in 2/13 pazienti.
Conclusioni: La TCMD con ricostruzioni 2D e 3D ha individuato lesioni osteolitiche nel 69% dei casi nel gruppo di pazienti
con MM Asintomatico e apparato scheletrico radiograficamente indenne, descrivendo, peraltro, un interessamento scheletrico
superiore alla RM. I vantaggi legati all’utilizzo della TCMD sono i seguenti: rapidità di esecuzione dell’esame(8-10 secondi vs 20
minuti); nessuna limitazione clinica per il mancato impiego del mezzo di contrasto; studio panoramico dell’apparato scheletrico
con l’ausilio delle ricostruzioni 2D e 3D che consente di aumentare l’accuratezza diagnostica e la velocità di interpretazione.
Bibliografia: Lecouvet FE et al: Magnetic Resonance and Computed Tomography in multiple myeloma. Seminars in
Musculoskeletal Radiology 2001; 5: 43-55.
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PROGRESSIONE EXTRAMIDOLLARE NONOSTANTE RISPOSTA COMPLETA
MIDOLLARE DURANTE TERAPIA CON BORTEZOMIB IN PAZIENTI CON
MIELOMA MULTIPLO: REPORT DI TRE CASI CLINICI
Natale A, Pulini S, Morelli AM, Carlino D, Spadano A, Fioritoni G
U.O. di Ematologia Clinica Ospedale Civile “Santo Spirito” Pescara
La localizzazione extramidollare nel Mieloma Multiplo (MM EM) è riportata nel 15-20% dei pazienti alla diagnosi e in un
ulteriore 15% durante il decorso della patologia. Il MM EM ha comportamento aggressivo e la prognosi è infausta anche con
chemioterapia (CHT) convenzionale. Fra i nuovi farmaci per il MM la talidomide per prima è stata impiegata in questo subset
di pazienti, tuttavia si è rivelata spesso inefficace. Il bortezomib ha mostrato una certa efficacia in alcuni casi di recidiva EM.
Riportiamo tre casi clinici di pazienti anziani con MM EM trattati con bortezomib. Caso 1: Uomo di 76 anni con diagnosi di
MM micromolecolare catene k in stadio Durie Salmon (DS) IIB, ISS 3, con cariotipo iperdiploide (53 cromosomi), delezione
del cr. 13 e con lesione espansiva sacrale di circa 5x4.5 cm, che veniva irradiata (dose totale 14 Gy) con beneficio. Dopo 7
cicli di CHT con schema MPV (melphalan, prednisone e bortezomib) la biopsia osteo-midollare non mostrava infiltrato di
malattia e la componente monoclonale (CM) urinaria era ridotta del 90%. Purtroppo dopo 3 mesi si osservava riespansione
della lesione sacrale con comparsa di una nuova lesione sternale. Due regimi polichemioterapici dapprima secondo schema
CHOD (Ciclofosfamide, Doxorubicina liposomiale peghilata, Vincristina, Desametasone) e successivamente secondo schema
EDAP (Etoposide, Paraplatino, Citarabina, Desametasone) non hanno portato beneficio clinico. Caso 2: Paziente di 66 anni con
diagnosi di MM IgA lambda in stadio DS IIIB, ISS 2, con analisi citogenetica: 49, XY, +3,+9,+14. All’esordio presentava frattura
dell’omero sinistro e della clavicola destra che venivano irradiate (20 Gy e 14 Gy, rispettivamente). Dopo 4 cicli di CHT con
MPV sia l’infiltrato plasmacellulare midollare che la CM sierica erano assenti. Tuttavia compariva una lesione sovraclaveare di
9x5.5cm, il cui esame istologico deponeva per plasmocitoma ad alto grado. Dopo radioterapia la lesione regrediva e venivano
somministrati ulteriori 4 cicli MPV. Nonostante la persistenza della risposta midollare sono comparse due nuove lesioni
extramidollari, sulla cresta iliaca sinistra e posteriormente alla vescica, l’ultima di 16 cm. Due regimi polichemioterapici dapprima
CHOD e successivamente EDAP non hanno portato beneficio clinico. Caso 3: Dopo 6 anni di storia di MGUS un uomo di 67
anni presentava MM IgG lambda Bence Jones positivo, stadio DS IIA, ISS2 con presenza nel cranio di lesioni mielomatose solide
espansive parietali (la maggiore di 3 cm), confermate dall’esame istologico. L’analisi cariotipica midollare mostrava numerose
poliploidie. Dopo 2 cicli di CHT con MPV le lesioni craniche regredivano, tuttavia al termine del terzo ciclo la lesione parietale
destra si riespandeva; con la radioterapia si otteneva una risposta completa clinico-strumentale. Dopo altri 2 cicli MPV si è
recentemente assistito alla comparsa di nuove lesioni solide, in sede ascellare, inguinale, epigastrica, glutea risultate ipercaptanti
alla PET. La CM sierica è a tutt’oggi assente.
Nel corso della terapia con bortezomib si è assistito ad una progressione della malattia a livello EM pur con scomparsa dell’infiltrato
plasmacellulare midollare e riduzione o scomparsa della CM. Tutti e tre i pazienti presentavano un cariotipo iperdiploide, che è
talora associato alla presenza di plasmocitomi EM; la risposta alla radioterapia è risultata solo transitoria. La dissociazione tra la
risposta midollare e la progressione EM è stata già riportata in pazienti trattati con talidomide. Nonostante i plasmocitomi abbiano
alta attività angiogenetica, la talidomide necessita del microambiente midollare per essere efficace. Il ruolo della lenalidomide in
questo subset di pazienti deve ancora essere chiarito. In alcuni case report il bortezomib si è dimostrato efficace anche nei pazienti
con MM EM. La nostra esperienza suggerisce come questo ruolo debba essere ancora chiarito per selezionare quei pazienti che
possono trarre effettivo beneficio dal farmaco. I meccanismi biologici alla base del MM EM sono probabilmente parzialmente
diversi dalla malattia midollare e le differenti risposte alle terapie possono riflettere l’homing tumorale delle cellule mielomatose
nei diversi tessuti.
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45 •
CIFOPLASTICA PERCUTANEA NEL TRATTAMENTO DELLE FRATTURE
VERTEBRALI DI PAZIENTI AFFETTI DA NEOPLASIE EMATOLOGICHE
Villa M.R., Nina P.P.*, Arpino L.*, Improta S., Lucania A., Esposito M., Della Cioppa P., Gagliardi A.,
Franco A.*, Mastrullo L.
UOC Ematologia, PO San Gennaro, ASL NA1, Napoli; * UOC Neurochirurgia, PO San Giovanni Bosco, ASL NA1, Napoli.
Le lesioni osteolitiche vertebrali sono frequentemente associate alle neoplasie ematologiche dovute a primitiva localizzazione
della malattia (mieloma multiplo e, più raramente, linfomi) o secondarie alla terapia con corticosteroidi.
L’obiettivo del nostro studio è stato quello di verificare l’efficacia e la sicurezza della cifoplastica percutanea, una metodica di
recente introduzione per il trattamento del dolore derivante da fratture o lesioni osteolitiche vertebrali dovute alle neoplasie.
Nella nostra Divisione abbiamo trattato 3 pazienti affetti da mieloma multiplo e 2 affetti da linfoma (2F e 3M; età media 60 anni,
range: 50-68 anni). Tutti i pazienti presentavano dolore e impotenza funzionale, refrattari alla terapia medica convenzionale, in
assenza di segni neurologici significativi.
La cifoplastica per cutanea ha determinato una immediata significativa riduzione del dolore ed una evidente ristrutturazione del
corpo vertebrale, come dimostrato dalla RMN. Non sono stati riscontrati eventi avversi post-chirurgici in alcun paziente.
La cifoplastica percutanea si è dimostrata una procedura efficace, sicura e poco invasiva. Pertanto essa può essere considerata
una valida alternativa nel trattamento delle localizzazioni vertebrali delle neoplasie ematologiche, soprattutto nei casi di dolore
resistente alle terapie mediche convenzionali anche in assenza di segni neurologici significativi.
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46 •
Profilo di espressione genica di cellule endoteliali di midollo
osseo di pazienti con mieloma multiplo
Giulia di Pietro1, Roberto Ria1, Simona Berardi1, Annunziata De Luisi1, Fortunato Morabito2, Attilio
Guarini3, Maria Teresa Petrucci4, Franco Dammacco1, Domenico Ribatti5, Antonino Neri6, Angelo Vacca1.
Dipartimento di Medicina Interna ed Oncologia e 5Dipartimento di Anatomia Umana ed Istologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università di Bari; 2Unità di Ematologia, Ospedale di Cosenza; 3Unità di Ematologia, Istituto di Oncologia “Giovanni Paolo II”,
Bari; 4Divisione di Ematologia, Dipartimento di Biotecnologia cellulare ed Ematologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università
“La Sapienza”, Roma; 6Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Milano ed Ematologia 1, Fondazione IRCCS Policlinico
MaRe, Milano.
1
L’angiogenesi midollare rappresenta un fenomeno fondamentale nella progressione del mieloma multiplo (MM). Precedenti
studi ci hanno permesso di approfondire le conoscenze circa le caratteristiche fenotipiche, genotipiche e funzionali delle cellule
endoteliali midollari di pazienti con MM (MMECs).
Abbiamo studiato mediante Gene expression profiling (GEP) l’”impronta digitale” genico-molecolare delle MMECs,
confrontandola con quella delle cellule endoteliali di pazienti con MGUS (MGECs), allo scopo di chiarire i meccanismi genetici
che sottendono allo sviluppo neovascolare che accompagna la progressione del MM.
Sono stati ottenuti e comparati tra loro i profili GEP delle MMECs e delle MGECs, in pazienti in prima diagnosi, utilizzando gli
Arrays U133A di Affimetrix. L’espressione di marcatori vascolari specifici è stata anche validata mediante real-time RT-PCR e
Western Blot. L’attività di questi geni è stata inoltre studiata con metodiche di siRNA.
Sono stati individuati 22 geni differenzialmente espressi nelle MMECs e nelle MGECs (14 ipoespressi e 8 iperespressi nelle
MMECs); dimostrando, dunque, l’esistenza di chiare differenze a livello genico-molecolare tra questi due tipi di cellule endoteliali.
Sono emerse differenze a livello trascrizionale e traduzionale per geni aventi un ruolo chiave nei processi di formazione della
matrice extracellulare (COL4A1, COL6A1, COL6A3, KRT-7, TNC, POSTN, PCOLCE, ASPN, CXCL12), del rimodellamento
osseo (CTSK), dell’angiogenesi (CRYAB, SERPINF1), della proliferazione e omeostasi cellulare (SRGN, EGFR, LDB2, SEPW1),
di trasduzione del segnale e regolazione del ciclo cellulare (DIRAS3, GEM, PRG1), e del controllo dell’apoptosi (BNIP3, IER3,
CRYAB, HSPB7, SRPX). L’analisi è stata, poi, ristretta a 6 di questi geni differenzialmente espressi, 3 down-regolati (DIRAS3,
SEPRINF1, SRPX), e 3 up-regolati (BNIP3, IER3, SEPW1) nelle MMECs, i quali, mai prima, erano stati considerati come
funzionalmente correlati al fenotipo “overangiogenico” delle MMECs.
L’attività dei geni iperespressi (BNIP3, IER3, SEPW1) è stata inoltre studiata con metodiche di siRNA, che ne hanno ulteriormente
confermato l’importanza nella determinazione del fenotipo overangiogenico delle MMECs.
Con questo studio sono stati identificati differenti profili di espressione genica delle cellule endoteliali e, dunque, differenti
fenotipi vascolari, che potrebbero influenzare il rimodellamento del microambiente midollare in pazienti con MM in fase attiva.
Una migliore comprensione delle relazioni tra eventi genetici ed epigenetici nelle plasmacellule e nelle cellule endoteliali di MM,
potrebbe contribuire alla formulazione di una classificazione molecolare più completa e affidabile della malattia, individuando
anche molecole target per terapie antiangiogeniche più mirate, più efficaci e meno tossiche.
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IDENTIFICAZIONE DI BIOMARKERS PROTEICI IN CELLULE ENDOTELIALI DI
PAZIENTI AFFETTI DA MIELOMA MULTIPLO
Simona Berardi1, Roberto Ria1, Giulia di Pietro1, Annunziata De Luisi1, Fortunato Morabito2, Attilio
Guarini3, Maria Teresa Petrucci4, Franco Dammacco1, Domenico Ribatti5, Antonino Neri6, Angelo Vacca1.
Dipartimento di Medicina Interna ed Oncologia e 5Dipartimento di Anatomia Umana ed Istologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università di Bari; 2Unità di Ematologia, Ospedale di Cosenza; 3Unità di Ematologia, Istituto di Oncologia “Giovanni Paolo II”,
Bari; 4Divisione di Ematologia, Dipartimento di Biotecnologia cellulare ed Ematologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università
“La Sapienza”, Roma; 6Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Milano ed Ematologia 1, Fondazione IRCCS Policlinico
MaRe, Milano.
1
Negli ultimi anni è apparso chiaro che nuove tecnologie sono necessarie per identificare nuovi e sempre più efficienti biomarkers
ai fini di una diagnosi accurata, di un’efficace stratificazione prognostica e del trattamento del mieloma multiplo (MM). La
proteomica, lo studio delle proteine di una cellula o tessuto e delle vie proteiche associate ad uno stato fisiologico o patologico, ha
di recente aperto nuove frontiere nel campo della diagnostica e della comprensione dei meccanismi di azione di diverse patologie.
La proteomica può trovare applicazione nello studio della patogenesi delle malattie ematologiche, in particolare del MM, per
cercare di classificare i pazienti in modo più efficace, identificare marcatori di risposta alla terapia, sviluppare nuove terapie a
bersaglio molecolare.
Studi preliminari sul profilo di espressione proteica di cellule endoteliali (ECs) purificate dal midollo osseo di pazienti con
mieloma multiplo (MMECs) e di pazienti con gammapatia monoclonale di significato indeterminato (MGECs), hanno permesso
di individuare proteine differenzialmente espresse nelle MMECs rispetto alle MGECs. Quale controllo sono state impiegate
cellule endoteliali primarie umane della vena ombelicale (HUVECs).
L’associazione dell’elettroforesi bidimensionale con la spettrometria di massa microcapillare LC-MS/MS ci ha permesso di
identificare una serie di proteine tra le quali individuare potenziali biomarkers in grado di differenziare le MMECs dalle MGECs e
dalle HUVECs, e di classificare i differenti stadi della malattia: MM in progressione, alla diagnosi, in recidiva o malattia refrattaria.
Queste proteine rivestono un ruolo importante in molte funzioni cellulari quali il metabolismo (α-enolasi, GAPDH), apoptosi
(HSP90, proteina 14,3,3-zeta/delta), angiogenesi (filamina A, vimentina), che rappresentano elementi importanti nella
progressione della malattia.
Le modificazioni dell’espressione delle proteine strutturali potrebbero essere legate alle modificazioni morfologiche cui le ECs
vanno incontro durante la formazione dei nuovi vasi sanguigni. Al fine di comprendere il ruolo che queste proteine hanno nel
processo angiogenico i targets molecolari individuati sono stati silenziati mediante esperimenti di siRNA ed il loro potenziale
coinvolgimento nell’attività migratoria e proliferativa è stato valutato mediante saggi di proliferazione, di adesione cellulare e
di invasione. Questo studio ha contribuito a delineare il profilo funzionale del proteoma delle ECs di pazienti con MM al fine di
comprendere alcuni dei meccanismi coinvolti nella neovascolarizzazione e nella progressione di malattia e di nuovi bersagli di
inibizione utili nella terapia di questi pazienti.
Poiché l’angiogenesi e la vasculogenesi contribuiscono attivamente alla progressione tumorale, ulteriori studi sono in corso al
fine di chiarire ancora meglio il ruolo di queste proteine nel MM, in modo da individuare quelle potenzialmente impiegabili
come targets nella terapia antiangiogenica di questa malattia.
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Valutazione del CD200 e delle cellule T-reg CD4(+) CD25(+) FoxP3(+)
nel sangue periferico di pazienti con mieloma multiplo e
gammapatia monoclonale di significato incerto (MGUS)
Nunziatina Parrinello, Annalisa Chiarenza Anna Maria Triolo, Maide Cavalli, Antonia Privitera, Alessandra
Cupri Luciana Schinocca, (1) Concetta Conticello, Giuseppe Palumbo, Francesco Di Raimondo.
Dipartimento di Scienze Biomediche, Divisione di Ematologia, Università di Catania, Ospedale Ferrarotto, Catania, (1)
Dipartimento di Oncologia Sperimentale, Istituto Oncologico del Mediterraneo, Viagrande, (CT)
Introduzione: Le gammapatie monoclonali sono un gruppo di disordini caratterizzati da una eccessiva produzione di
immunoglobuline da parte delle plasmacellule del midollo emopoietico. Tra queste, l’MGUS nella maggior parte dei casi ha un
decorso clinico indolente/benigno, mentre il mieloma multiplo (MM) è un’emopatia neoplastica associata ad un’alterata risposta
immunitaria dei T-linfociti. La base biologica di questa disfunzione non è stata definita. Poiché le cellule T-regolatorie CD4(+)
CD25(+)Foxp3(+) e il CD200, una glicoproteina transmembrana appartenente alla superfamiglia delle immunoglobuline, hanno
un ruolo importante nel regolare il sistema immunitario, abbiamo valutato in citofluorimetria:1) l’espressione del CD200 sui B e
T-linfociti; 2) le cellule T-reg CD4(+) CD25(+)Foxp3, in pazienti con MM ed MGUS.
Metodi: abbiamo studiato 25 pazienti con MM all’esordio, 22 pazienti con MGUS, and 27 controlli sani (Ctrl). L’espressione del
CD200 è stata valutata su gate side light scatter (SSC)/CD19+ B and SSC/CD3+ T linfociti. Le cellule T-reg sono state identificate
come CD4+/CD25+/Foxp3+ ed espresse come percentuale della sottopopolazione CD4+.
Risultati: abbiamo osservato una riduzione significativa nell’espressione del CD200 sui T e B-linfociti nei pazienti con MM (2,64
± 1,30 %, e 53,08 ± 15,27 %) rispetto ai pazienti con MGUS (4,21 ± 2,01 %, e 62,89 ± 16,40%) (p=0,008 e p=0,05 rispettivamente)
e ai Ctrl (5,86 ± 2,94 % and 66,37 ± 10,91 %) (p<0,0001, p=0,003). Non abbiamo osservato differenze significative nell’espressione
del CD200 sui T e B-linfociti nei pazienti con MGUS vs CTRL (p=0,06, p=0,59). Inoltre nei pazienti con MM abbiamo osservato
una riduzione significativa delle cellule T-reg CD4(+) CD25(+)Foxp3(+) (5,54 ± 1,91 %) vs MGUS (7,26 ± 1,80 %) e Ctrl (7,58 ±
1,71 %) (p=0,01 e p=0,006 rispettivamente), mentre queste differenze non sono state osservate nei pz con MGUS vs Ctrl (p=0,65).
Conclusioni: questi risultati suggeriscono che sia le cellule T-reg che l’espressione del CD200 sui linfociti, possano contribuire
alla disfunzione immunitaria nei pazienti con MM, e che questa possa guidare la progressione da MGUS a MM.
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L’anemia nel Mieloma: quando pensare ad altro?
Farina G. 1 Piano S. 1, Gasbarrino C.,1, Petrilli M.P. 1, Giordano G. 1, Fraticelli V. 1, Grafone T, Nicci C,
Storti S. 1
1 U.O.C. Onco-Ematologia- Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Teconologia- Università Cattolica del Sacro Cuore -Campobasso
Introduzione: Il mieloma multiplo è una neoplasia delle cellule B immunologicamente differenziate specializzate nella produzione
di anticorpi. Origina, generalmente, nel midollo osseo ed è caratterizzato dalla produzione di una proteina monoclonale e dalla
degradazione ossea, accompagnata di solito da lesioni osteolitiche. Rappresenta il 15% di tutte le malattie ematologiche. Tra i
segni clinici del MM troviamo lesioni ossee, insufficienza renale, ipercalcemia, aumentato rischio di infezioni e anemia.
Nel mieloma multiplo il 52% dei pazienti presenta una condizione di anemia all’esordio e l’85% la sviluppa nel decorso della
malattia. Diversi sono i meccanismi patogenetici che possono concorrere a determinarla: l’iperproduzione delle citochine,
un’insufficienza renale e quindi una ridotta produzione di eritropoietina, un’infiltrazione midollare con sostituzione del normale
midollo osseo e l’espressione, sulle plasmacellule neoplastiche, nonché sulle cellule eritroidi più mature, del ligando FAS la cui
attivazione induce la morte cellulare per apoptosi.
Case report: Presentiamo la storia clinica di 5 pazienti con diagnosi di mieloma Multiplo e successivo riscontro di carcinoma
del colon.
Caratteristiche dei pazienti: 3M/2F con un’età mediana di 73 anni (R-61-84) con i seguenti istotipi 1/5 IgG/K, 3/5 IgG/lambda
1/5 IgA/lambda. 2/5 presentavano stadio IA IPI 2, 2/5 IIA IPI 3 e 1/5 IIIA IPI 1. Tutti i pazienti avevano all’esordio anemia
normocromica normocitica a fronte di un assetto marziale compatibile con sideropenia.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad intervento di emicolectomia. Una sola paziente ha eseguito anche chemioterapia
adiuvante, l’unica deceduta per progressione della malattia ematologica. Tre dei restanti pazienti non hanno ancora intrapreso
terapia relativa al mieloma perché attualmente asintomatici. Un paziente ha ricevuto terapia con tali-Dex e doppio autotrapianto
di cellule staminali autologhe ed è attualmente in remissione completa con un follow up di 24 mesi.
Conclusioni: L’anemia rappresenta una condizione che frequentemente si accompagna a molte neoplasie ematologiche e assume
una peculiare connotazione nei pazienti affetti da Mieloma Multiplo.
Nella nostra casistica 5/41 pazienti (8%) hanno presentato associazione tra Mieloma multiplo e carcinoma del colon e tutti hanno
mostrato, come dato comune, un’anemia normocromica normocitica e contestuale sideropenia alle nostre indagini di routine.
Ciò dimostra che, benché nella malattia mielomatosa l’anemia si presenti nella maggior parte delle volte con carattere
normocromico normocitico, non è da trascurare nella sua eziopatogenesi la coesistenza di una sideropenia. Pertanto in questo
sottotipo di pazienti è utile valutare prima di intraprendere terapia con eritropoietina l’assetto marziale completo e, in caso di
sideropenia, completamento diagnostico con esami endoscopici.
Tale indicazione trova ulteriore conforto nel fatto che l’associazione del mieloma con altre neoplasie sembra essere tutt’altro che
casuale, ma probabilmente correlata ad un comune terreno genetico. Recentemente infatti è stato segnalato un clustering di altre
neoplasie nell’ambito di famiglie con presenza di mieloma; tra queste il carcinoma del colon era tra le più frequenti (Linch HT
et al).
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TERAPIA DI PRIMA LINEA NELLA LEUCEMIA PLASMACELLULARE PRIMITIVA
CON ASSOCIAZIONI CHEMIOTERAPICHE CONTENENTI BORTEZOMIB: STUDIO
RETROSPETTIVO DI 29 CASI
Guariglia R., Valentini G. (1), Pietrantuono G., Villani O., Martorelli M.C., Mansueto G., D’Auria F., Grieco
V., Bianchino G., Sparano A., Zonno A., Lerose R., Musolino C. (1), Giuliani N. (1), Visco G., (1), Candoni
A. (1), Gamberi A. (1), Bringhen S. (1), Zamagni E. (1), Onofrillo D. (1), Villa M.T. (1), Falcone A. (1),
Rossini F. (1), Pitini V. (1), Filardi N. (1), Quintini G. (1), Musuraca G. (1), Specchia G. (1), Semenzato G.
(1), Di Renzo N. (1), Venditti A. (1), Mastrullo L. (1), Fioritoni G. (1), Ferrara F. (1), Cavo M. (1), Palumbo
A. (1), Pagano L. (1). Musto P.,
S.C. Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali, IRCCS, Centro di Riferimento Oncologico della Basilicata, Rionero in Vulture
(Pz); (1) GIMEMA Working Parties Mieloma Multiplo e Leucemie Acute.
Scopo dello studio: Valutare il ruolo di associazioni chemioterapiche contenenti Bortezomib come prima linea di trattamento
nella Leucemia Plasmacellulare Primitiva (LPP), un rara variante del mieloma multiplo, caratterizzata da prognosi particolarmente
sfavorevole.
Pazienti e Metodologie: Indagine retrospettiva condotta in 21 Centri Ematologici Italiani su pazienti affetti LPP, non
precedentemente trattati, che hanno ricevuto Bortezomib in combinazione con altri agenti chemioterapici come prima linea di
trattamento.
Risultati: Sono stati ad oggi arruolati 29 pazienti, 25 dei quali attualmente valutabili (rapporto M/F 1.2; età media 61 anni, range
47-82). Le plasmacellule circolanti variavano dal 15% all’88% (mediana 37%), la conta media dei leucociti circolanti era 18.3x109/L
(range di 2.7-81). Sono stati osservati vari gradi di insufficienza renale in 11 pazienti (44%). Cinque pazienti presentavano una
concomitante localizzazione extramidollare (20%). Anomalie citogenetiche sono state osservate in 12 dei 16 pazienti valutati
(75%), con particolare frequenza di cariotipi complessi e della del 13q. Bortezomib è stato generalmente somministrato utilizzando
lo schema standard di 1.3 mg/m2 nei giorni 1, 4, 8, 11, con un intervallo di 10 giorni tra i cicli. Nove pazienti hanno ricevuto
Bortezomib in combinazione con Desametasone e Talidomide (VTD), 6 solo con Desametasone (BD), 4 con Doxorubicina e
Desametasone (PAD), 2 con Melphalan e Prednisone (VMP), due con Doxorubicina, Desametasone e Vincristina (PAD-V), uno
con Melphalan, Prednisone e Talidomide (VMPT) ed uno con Ciclofosfamide e Desametasone (BCD). È stato somministrato
un numero totale di 92 cicli (media 3.7, range di 1-9). Dopo la terapia d’induzione contenente Bortezomib, 5 pazienti sono stati
sottoposti ad un doppio (n. 3) o ad un singolo (n. 2) trapianto autologo di cellule staminali (AuSCT), 3 ad AuSCT seguito da
trapianto allogenico (AlloSCT), ad intensita’ridotta (uno con un donatore non correlato), mentre un paziente è stato sottoposto
ad AlloSCT mieloablativo. Un paziente ha fallito la raccolta di cellule staminali periferiche. In accordo con i Criteri Uniformi
Internazionali di Risposta, sono state ottenute 10 PR, 2 VGPR, e 8 CR (rate complessivo di risposte: 80%). L’insufficienza renale
è migliorata o completamente scomparsa in 10/11 pazienti. Con un follow-up medio di 17 mesi, 13 pazienti sono vivi (52%): 11
di loro rimangono in remissione, due sono recidivati rispettivamente dopo 16 e 31 mesi. Dieci dei dodici pazienti deceduti non
erano stati sottoposti a procedure trapiantologiche.. Tossicità ematologiche, neurologiche, renali e infezioni di grado 3-4 sono
state osservata rispettivamente in 3, 5, 4, e 1 paziente.
Conclusioni: Combinazioni di chemioterapia contenenti Bortezomib sono fattibili ed efficaci come trattamenti di prima linea
per la LPP, in particolare per i pazienti per i quali è praticabile un successivo approccio trapiantologico.
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Velcade, Thalidomide e Desametasone (VTD) come terapia di
induzione pre trapianto induce un elevato tasso di risposta
completa (CR) senza compromettere la raccolta di cellule CD34
+ in pazienti affetti da mieloma multiplo (MM) alla diagnosi:
risultati preliminari di un singolo centro
E. Pennese, C. Cristofalo, L. Conte, M. Dargenio, MR. De Paolis, P. Forese, R. Matera, A. Nocco, C. Palma,
G. Pugliese, G. Reddiconto, A. Valacca, C. Vergine e N. Di Renzo.
Ospedale “Vito Fazzi”, Divisione Ematologia, (Lecce, IT).
Background: La chemioterapia ad alte dosi con supporto di cellule staminali autologhe ha notevolmente migliorato sia la
sopravvivenza libera da progressione che la sopravvivenza globale nei pazienti con mieloma multiplo (MM) in prima diagnosi.
L’ottenimento della risposta completa (CR) ed una buona riduzione della massa tumorale rappresentano i fattori prognostici
principali per la sopravvivenza a lungo termine in questi pazienti. Recentemente, sia la talidomide che il bortezomib usati
singolarmente, si sono dimostrati efficaci nel trattamento del MM in recidiva. Dal momento che questi due farmaci presentano
meccanismi d’azione e bersagli molecolari differenti, la loro combinazione potrebbe risultare molto efficace per indurre un alto
tasso di CR ed una significativa riduzione della massa tumorale prima del trattamento con alte dosi (HDT) ed il successivo
supporto con cellule staminali.
Pazienti e Metodi: Dal marzo 2007 all’ottobre 2008 16 pazienti (M / F: 12 / 4) con età media di 57 anni (range: 42-71) sono
stati arruolati nello studio; il 47% dei pazienti aveva un età superiore a 60 anni. Il 76% dei pazienti presentava stadio III secondo
Durie e Salmon e ISS 2-3. La componente-M è risultata IgG nel 69% (11/16), IgA nel 19% mentre un mieloma non secernente
era presente nel 12%. dei pazienti.
Il bortezomib è stato somministrato alla dose di 1,3 mg/mq rispettivamente nei giorni 1,4,8,11; la talidomide alla dose di 100
mg PO al di, mentre il desametasone (40 mg/die PO), è stato somministrato nello stesso giorno del bortezomib e il giorno
successivo (320 td mg per ogni ciclo). Tutti i pazienti hanno ricevuto 3 cicli di VTD ogni 4 settimane prima della mobilizzazione
e della raccolta di cellule CD34 + e del successivo condizionamento con melphalan ad alte dosi (200 mg/ mq). La profilassi della
trombosi venosa profonda è stato praticata in tutti i pazienti, rispettivamente con aspirina 100 mg/die nel 44% dei casi, con
eparina a basso peso molecolare nel 28%, e con basse dosi di warfarin nel 28%.
Risultati: tutti i pazienti sono valutabili sia per la risposta al regime VTD che per la raccolta di cellule staminali periferiche; 13
pazienti sono stati trapiantati. Dopo 3 VTD l’88% dei pazienti ha ottienuto una PR con una percentuale di CR pari al 47%. Il
regime VTD è stato ben tollerato, con neuropatia periferica di grado severo (grado III) rilevata nel 12% dei pazienti. Non vi è
stata riduzione della dose o ritardo nella somministrazione della chemioterapia a causa della tossicità. La quantità media di cellule
CD34+ raccolte è stata di 6,5 x 106/kg (range: 2.7-11.6) nei 15 dei 16 pazienti sottoposti a procedura aferetica. La dose media di
cellule CD34 + infusa è stata pari a 106/kg x 3,4 (range: 2.0-4.3). Il recupero piastrinico (20x109/L) e ANC (500x109/ L) è avvenuto
rispettivamente in 13a e 10a giornata. Dopo il VTD e l’autotrapianto 10 dei 13 pt hanno ottenuto la CR (75%) e 2 (15%) una
VGPR.
Conclusioni: Questi dati preliminari dimostrano che il VTD è un regime efficace e ben tollerato; l’alto tasso di risposta, senza
alcuna compromissione nella raccolta di cellule staminali periferiche rende il VTD una buona opzione per il trattamento in
prima linea del MM, anche se sono necessarie casistiche più consistenti ed un follow-up più lungo.
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PURGING IN VIVO SEGUITO DA TRAPIANTO AUTOLOGO DI CELLULE
STAMINALI PERIFERICHE IN PAZIENTI AFFETTI DA MIELOMA MULTIPLO
(MM): RISULTATI PRELIMINARI DI UNO STUDIO PILOTA
Attolico I.1, Nuccorini R.1, Discepoli G.2, Vertone D.1, Filardi N.1, Pizzuti M.1, Poggiaspalla M.1, Cimminiello
M.1, Amendola A.1, Olivieri A.1.
1: Unità Operativa di Ematologia-Centro Trapianto di Cellule Staminali, Ospedale San Carlo Potenza; 2: Laboratorio di
Citogenetica e Genetica Molecolare, Ospedale “G.Salesi”, Ancona
Talidomide (Thal), Bortezomib (BOR) e Lenalidomide sono farmaci altamente efficaci nella terapia del Mieloma Multiplo.
La tempistica e le modalità di utilizzo in associazione sono, tuttavia, ancora oggetto di studio. BOR non è gravato da rischio
trombotico e non inficia la mobilizzazione di cellule staminali periferiche (PBSC). E’stato già impiegato con il Melphanlan (MEL)
nell’ambito del trapianto autologo. E’noto inoltre l’effetto sinergico della combinazione di BOR e Ciclofosfamide (CY).
Abbiamo condotto uno studio pilota in pazienti affetti da Mieloma Multiplo ad alto rischio, eleggibili per il trapianto autologo,
che prevede l’utilizzo combinato di BOR, CY e Desametasone (DEX), CY-BOR, in induzione e per la mobilizzazione delle cellule
staminali periferiche (CSP), seguito da terapia con alte dosi di MEL in associazione con BOR e reinfusione di CSP, per valutare:
1-la percentuale di remissioni complete (CR); 2-la clearance della Malattia Minima Residua (MMR) nella raccolta di CSP (valutata
mediante citofluorimetria e PCR).
Lo schema di trattamento è il seguente: quattro cicli di BOR 1.3 mg/m2 (gg 1,4,8,11), DEX 40 mg/die e.v. (gg 1,4,8,11) e CY e.v.
300 mg/m2 (gg 1,8,15) somministrati ogni tre settimane, seguiti da mobilizzazione di CSP con BOR 1.3 mg/m2 (gg 1,4,8,11), DEX
40 mg/die (gg 1,4,8,11) e CY 3000 mg/m2 (g 8) nei pazienti che abbiano ottenuto almeno una remissione parziale (PR). Il G-CSF
viene somministrato a partire dal giorno 9. I pazienti che mobilizzano un’adeguata quantità di CSP, vengono avviati al trapianto
autologo con MEL 200mg/m2 (g -1) e BOR (1.3 mg/ m2 nei gg -6, -3, +1, +4).
Sono stati arruolati 20 pazienti (età mediana: 69 aa): 13 sono valutabili per la risposta prima del trapianto; 9 pazienti sono stati
avviati alla mobilizzazione: in 7 abbiamo raccolto una quantità sufficiente di CSP (mediana 11.1; range 3-11.2 CD34+ cellule/
kg) ed effettuato il trapianto. Il condizionamento è stato ben tollerato e seguito da un rapido attecchimento. Dopo un follow up
minimo di 41giorni dal trapianto, tutti i pazienti sono vivi; i 5 valutabili sono in VGPR (2), CR (2) e nCR (1); dopo un follow
up mediano di 200 giorni (range: 17-450) tutti i 20 pazienti arruolati sono vivi; dei 13 pazienti valutabili 2 hanno una malattia
resistente; 11 hanno raggiunto almeno una VGPR dopo 4 cicli di CY-BOR. Non abbiamo rilevato eventi tromboembolici o
tossicità neurologica di grado 3-4 in nessuno dei pazienti. L’analisi citofluorimetrica su tre raccolte di CSP mostra la clearance
completa delle plasmacellule; nelle altre raccolte l’analisi della MMR è ancora in corso. I dati completi verranno presentati
successivamente.
Questa esperienza preliminare mostra che il CY-BOR è uno schema di trattamento ben tollerato e molto efficace anche in pazienti
anziani; consente di ottenere raccolte di CSP non contaminate da malattia. La possibilità che questo si traduca in una clearance
“in vivo” della MMR dopo trapianto autologo dovrà essere confermata da un follow up più lungo e dal monitoraggio effettuato
in biologia molecolare mediante l’utilizzo di sonde paziente specifiche (ancora in corso).
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53 •
CXCR4 QUALE FATTORE PREDITTIVO DELLA RISPOSTA NELLA LEUCEMIA
ACUTA MIELOIDE
Delia M., Pastore D., Albano F., Carluccio P., Giannocaro M., Russo Rossi A., Manduzio P., Leo M., Mestice
A., Ingrosso C., Angarano R., Liso A.1, Specchia G.
Ematologia con trapianto, Università di Bari, Bari; 1Ematologia, Università di Foggia, Foggia. 1Ematologia, Università di Foggia,
Foggia
L’espressione del CXCR4(CD184) nella Leucemia Acuta Mieloide (LAM) è un fattore prognostico sfavorevole e l’interazione
CXCL12(SDF-1a)/CXCR4 contriburebbe ai meccanismi di chemioresistenza delle cellule leucemiche. A tal riguardo è
stato dimostrato come l’inibizione di CXCR4, non solo migliori l’apoptosi chemio-indotta in un sottogruppo di mieloblasti
leucemici FLT3 mutati, ma superi i meccanismi di chemioresistenza associati al microambiente midollare. La delocalizzazione
citoplasmatica della nucleofosmina (NPMc+) rappresenta la mutazione più frequente nelle AML ed è un riconosciuto fattore
prognostico favorevole in termini di RC, EFS e OS. Esistono evidenze che mostrano un ruolo biologico di NPM nel regolare
negativamente l’attivazione del segnale del recettore CXCR4 indotta dal suo ligando CXCL12: la soppressione dell’espressione
di NPM implementa la risposta chemiotattica mediata da CXCL12 e, al contrario, la iperespressione della proteina NPM
mutata in sede citoplasmatica riduce la risposta chemiotattica mediata da CXCL12. Abbiamo voluto valutare se l’espressione
immunofenotipica del CD184 possa essere un fattore negativo predittivo della risposta alla terapia di induzione e se la presenza
di NPMc+ in questo sottogruppo di pazienti migliori la risposta alla terapia. L’espressione del CD184 è stata valutata con metodo
citofluorimetrico alla diagnosi in un gruppo di 81 pazienti adulti affetti da AML, dal gennaio 2006. La diagnosi è stata formulata in
accordo con i criteri classificativi FAB/WHO; tutti i pazienti hanno ricevuto trattamenti chemioterapici in accordo con protocolli
riconosciuti. I pazienti erano 42 maschi e 39 femmine, con una età mediana di 56 anni (range 15-17). I blasti leucemici sono stati
valutati positivi per il CD184 se espresso da più del 20% della popolazione blastica esaminata. I casi CD184 positivi erano 56
(69%) e i negativi 25 (31%). Non c’erano differenze statisticamente significative tra i due gruppi per sesso, età, valori di Hb, conta
WBC e Plt, percentuale dei blasti e presenza di NPMc+. La percentuale di remissione completa (RC) era del 44% nel gruppo
CD184+ e 70% nel gruppo CD184- (p=0.03); nel gruppo a prognosi peggiore CD184+, la percentuale di pazienti che ottenevano
comunque la RC era statisticamente più alto nei pazienti con NPMc+, (p=0.002).I nostri dati mostrano come l’espressione del
CD184 si associ ad una più bassa percentuale di CR dopo terapia di induzione e tale associazione è piu forte nei pazienti che non
hanno NPM mutato, confermando l’espressione di CD184 come fattore negativo predittivo di risposta alla chemioterapia.
Conclusioni. Maggiori dati sono necessari per verificare se il ruolo biologico di NPMc come fattore che regola negativamente il
segnale di CXCR4 mediato da CXCL12 abbia un riscontro clinico contribuendo a superare i meccanismi di chemioresistenza in
questo sottogruppo di pazienti a prognosi sfavorevole.
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54 •
TRATTAMENTO CON AZACITIDINA DI 10 PAZIENTI ANZIANI CON LEUCEMIA
ACUTA MIELOIDE NON-M3 E CON AREB2: ESPERIENZA MONOCENTRICA
DELL’EMATOLOGIA DI BRINDISI
G. Loseto, G. Mele, A. Romano, M. Girasoli, G. Quintana, S. Pinna, M.P. Solfrizzi, M. Brocca, M.R. Coppi,
A. Giannotta, A. Melpignano, G. Quarta.
U.O. di Ematologia – Ospedale “A. Perrino” Brindisi
Abbiamo trattato 5 pazienti anziani con nuova diagnosi di leucemia acuta mieloide non-M3 e 5 pazienti con diagnosi di
mielodisplasia tipo AREB2 (sec. WHO) con azacitidina 75 mg/m2 sottocute per sette giorni ogni quattro settimane. I 10 pazienti
avevano un’età mediana era di 77 anni (range tra 71-83). Nove pazienti (90%), prima dell’inizio della terapia, erano sottoposti
a terapia di supporto trasfusionale con globuli rossi concentrati ed, in particolare, 3 pazienti su 5 con AREB2 (60%) erano stati
trattati con eritropoietina senza giovamento.
L’IPSS era valutabile solo in 3 pazienti con AREB2 ed era risultato in tutti i casi di tipo intermedio-2.
La terapia con azacitidina è stata intrapresa in media a 3 mesi dalla diagnosi (0-6 mesi) e sono stati somministrati in media 6 cicli
(da 1 a 16 cicli).
Dei 5 pazienti con leucemia acuta mieloide 3 hanno manifestato una remissione completa (60%), 1 una remissione completa
midollare (20%) e uno presenta una malattia stabile (20%).
2 dei 3 pazienti che hanno raggiunto una remissione completa sono recidivati dopo la sospensione del trattamento e deceduti per
progressione di malattia rispettivamente ad 1 mese ed a 8 mesi dall’interruzione del trattamento.
Il terzo paziente con remissione completa di malattia non ha mai sospeso il trattamento, è stato sottoposto a 16 cicli di terapia, è
attualmente vivo ed è in remissione di malattia.
Il paziente che ha raggiunto la remissione ematologica di malattia è deceduto per le complicanze di una polmonite comparsa
dopo il 4° ciclo di terapia.
Il paziente con malattia stabile è vivo ed in trattamento.
Dei 5 pazienti con AREB-2, 1 (20%) ha manifestato una remissione midollare di malattia, 2 (40%) un miglioramento ematologico
(nel prino caso è stato registato un incremento dell’emolobina con riduzione del supporto trasfusionale e nel secondo caso, dopo
un ciclo di terapia, è stato riscontrato un incremento delle piastrine con conseguente sospensione del supporto trasfusionale con
concentrati piastrinici) e 2 (40%) pazienti non hanno risposto al trattamento e sono attualmente sottoposti a terapia di supporto.
1 dei due pazienti con miglioramento ematologico è progredito dopo il 4° ciclo e deceduto per progressione di malattia.
La risposta globale al trattamento con azacitidina nei 10 pazienti è stata del 70% (30% di RC e 40% di RP); 2 pazienti hanno
manifestato una malattia stabile (20%) e 1 paziente non ha manifestato alcuna risposta (10%).
La terapia di supporto con globuli rossi concentrati non è risultata più necessaria in 3 pazienti (33%) e si è osservato anche una
minore necessità di tale supporto in 4 pazienti (44%).
I decessi sono stati 4 (40%) dopo una media di 5 cicli (da 4 a 6), uno dei quali (25%) per complicanze infettive e 3 (75%) per
progressione di malattia.
Gli eventi avversi osservati in corso di trattamento con vidaza sono stati di tipo infettivo (40%) (1 caso di polmonite, 1 caso di
herpes zoster, 1 caso di ascesso dentario, 1 gastroenterite settica) e di tipo cardiologico (20%) (1 caso di fibrillazione atriale ed 1
caso di scompenso cardiaco).
La sopravvivenza in media è stata di 11 mesi (da 1 a 21 mesi) dall’inizio del trattamento.
La nostra esperienza ha consentito di valutare una buona percentuale di risposta al trattamento con azacitidina in pazienti
anziani con LAM nonM3 e con AREB destinati alla sola terapia di supporto. Inoltre abbiamo osservato come la sospensione del
trattamento dopo la sopraggiunta remissione completa risulti ad alto rischio di recidiva di malattia: ottimale è risultata la scelta
di proseguire il trattamento in un paziente che dopo 16 cicli risulta ancora in remissione completa.
La terapia con azacitidina è risultata ben tollerata ed ha consentito di ridurre e talora anche di sospendere la terapia di supporto
trasfusionale in 7 pazienti su 9 (77,7% dei casi).
Questi risultati necessitano di essere confermati in studi multicentrici su casistiche più ampie.
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55 •
COMBINAZIONE DI DOXORUBICINA LIPOSOMALE NON PEGHILATA (MIOCET®)
E FLAG PER IL TRATTAMANTO DEI PAZIENTI AFFETTI DA LEUCEMIA
MIELOIDE ACUTA A PROGNOSI SFAVOREVOLE
L. Melillo, D. Valente, G. Rossi, M. Dell’Olio, A. Falcone, M. Nobile, G. Sanpaolo, P. Scalzulli and N.
Cascavilla
Casa Sollievo della Sofferenza IRCCS, San Giovanni Rotondo, Italy
Premessa: La terapia di combinazione con antracicline in pazienti affetti da Leucemia Mieloide Acuta (AML) è promettente ma
sicuramente non esente da una tossicità significativa. La doxorubicina liposomale non pegilata ha una emivita maggiore della
doxorubicina standard, una bassa tossicità cardiologica e una efficacia comparabile.
Finalità: Dimostrare l’efficacia e la sicurezza della combinazione di Myocet® e FLAG in pazienti affetti da Leucemia Mieloide
Acuta a prognosi sfavorevole.
Metodi: Dal Settembre 2006 al Maggio 2009 abbiamo trattato ventinove pazienti affetti da Leucemia Mieloide Acuta. Ventiquattro
pazienti avevano più di 65 anni alla diagnosi, 12 pazienti avevano una AML secondaria (2 post Sindrome Mieloproliferativa
Cronica, 10 post Mielodisplasia), 4 pazienti erano in prima recidiva (3 dopo Trapianto). L’età media era di 67.6 anni (range
18-83); 17 Maschi/12 Femmine. La media dei globuli bianchi e delle piastrine all’ingresso era rispettivamente di 19x109/L and
52x109/L. Ventuno pazienti avevano più di una comorbidità (12 cardiovascolari). La terapia pianificata prevedeva un ciclo IV
secondo lo schema FLAG: fludarabine 30 mg/m2/day per 5 giorni, cytosine arabinoside 2 g/m2/ day ( 1 g/m2/ day se l’età era
>70 anni) per 5 giorni, G-CSF 5 µ/kg/day fino alla ripresa dei neutrofili, e Myocet® IV(30 mg/m2 in un’unica somministrazione
al giorno 1). I pazienti che avevano ottenuto una risposta completa (RC) o una significativa risposta parziale (PR) sono stati
sottoposti ad un ciclo di consolidamento con FLAG più Myocet®.
Risultati: La RC è stata ottenuta in 17/29 (58.6%) pazienti (15 dopo il primo ciclo di induzione), 3 pazienti hanno ottenuto
una RP (10.3%), 6 pazienti non hanno risposto alla terapia (20.6%) per una risposta complessiva (ORR) del 68.9%. Sono state
osservate 2 morti “precoci” (6.9%) e 1 paziente è ancora in corso di trattamento (3.4%). La sopravvivenza mediana era di 7.3 mesi
(range 1- 40 mesi) con una sopravvivenza libera da malattia (DFS) ad un anno pari a 80% mentre la sopravvivenza complessiva
ad un anno era del 53.5%. Sono state asservate 3 morti correlate alla tossicità del trattamento (2 arresti cardiocircolatori ed 1
broncopolmonite micotica). La ripresa dei neutrofili si è avuta mediamente al giorno 19 (range 10-28 giorni) mentre la ripresa
delle piastrine si è avuta mediamente al giorno 27 (range 13-180 giorni). Tossicità sistemica maggiore di 3 è stata osservata in
3 pazienti. Sono state osservati 10 episodi di sepsi ed 11 di FUO.Gli antibiotici sono stati somministrati per una media di 18
giorni. 15 pazienti hanno praticato un secondo ciclo ulteriori tossicità, seguito da un programma di terapia post remissionale
individualizzato.
Conclusioni: Nella popolazione di pazienti affetti da AML a prognosi sfavorevole, il profilo di sicurezza della combinazione
Myocet® e FLAG è risultato tollerabile con una tossicità relativamente bassa. Questa nuova combinazione mostra una efficacia
promettente che può permettere al paziente di ricevere ulteriori trattamenti, tra i quali il trapianto, rivolti ad ottenere una
maggiore sopravvivenza o cura.
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56 •
ANALISI CITOFLUORIMETRICA DELLA ESPRESSIONE DI MEMBRANA DEL CD135
NELLA LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA
Savino L., Minervini M.M., Melillo L., Rossi G., Tricarico M, D’Arena G., La Sala A., Bodenizza C., Mantuano
S., Cascavilla N.
Ematologia e Centro Trapianto di Cellule Staminali – Ospedale “CASA SOLLIEVO DELLA SOFFERENZA” IRCCS – San Giovanni
Rotondo.
Introduzione: È stato già ampiamente dimostrato che le mutazioni FLT3 nella Leucemia Mieloide Acuta (LMA) individuano
i casi a prognosi peggiore. Lo scopo di questo studio è verificare il ruolo dell’espressione del FLT3 tyrosine kinase receptor
(CD135) su cellule blastiche di pazienti con LMA e correlarlo con l’espressione molecolare della mutazione FLT3 e con alcuni
parametri biologici e clinici.
Pazienti e metodi. E’stata analizzata in citometria a flusso l’espressione di membrana del CD135 in 46 pazienti con LMA (M/F
31/11: Età media 68 anni – range 27-84; FAB M1/M2: 23; FAB M4/M5 23). I risultati sono stati correlati con la espressione genica
della mutazione FLT3, la blastosi midollare e periferica, con l’immunofenotipo comprendente anche l’espressione di membrana
del CD34, CD117, CD56, CD19, CD7 e con il citotipo FAB.
Risultati. Dei 46 pazienti studiati, in 15 casi l’espressione di membrana del CD135 è risultata inferiore al 20%. I risultati ottenuti
con l’indagine citofluorimetrica sono stati quasi sovrapponibili a quelli osservati con l’analisi molecolare: la mutazione genica è
stata assente in tutti i casi CD135 negativi ed era presente nel 84% (26/31) dei casi CD135 positivi. La blastosi midollare in termini
percentuali è stata significativamente maggiore nei casi esprimenti il CD135 (68% vs 52%; p < 0.01) come anche la leucocitosi
periferica: 38 vs 12x10(e)8/L; p < 0.01). Complessivamente l’espressione positiva del CD135 è stata riscontrata nel 83% (19/23)
delle LMA FAB M4/M5 e solo nel 48% (11/23) delle LMA FAB M1/M2. La espressione del CD34, CD117, CD56, CD19 e CD7 è
risultata indipendente dalla espressione del CD135.
Conclusione. Nella nostra esperienza l’espressione antigenica di membrana del recettore FLT3 ha rappresentato: a) un marker
di forte correlazione con l’aggressività della LMA valutata mediante la blastosi midollare e del sangue periferico; b) un marker
maggiormente imparentato con i citotipi M4 e M5 della classificazione FAB; c) un marker indipendente dalla espressione
di antigeni di staminalità o di promiscuità di linea; d) un marker strettamente correlato alla mutazione genica del FLT3.
Quest’ultima proprietà ne fa un parametro clinicamente e biologicamente valido e facilmente sostituibile all’analisi molecolare
nella valutazione prognostica della LMA.
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57 •
Leucemia/linfoma a cellule dendritiche plasmocitoidi a fenotipo
atipico(CD56-): descrizione di un caso clinico
G.Monaco, M. Troiano, S. Iaccarino, M.L. Vigliotti, E. Attingenti, L.Del Vecchio* A. Abbadessa
U.O.C. Oncoematologia. A.O.R.N. S.Anna e S. Sebastiano. Caserta.* Dipartimento di Biochimica e Biotecnologie Mediche (DBBM)
– CEINGE – Biotecnologie Avanzate, Napoli.
Introduzione: la leucemia/linfoma a cellule dendritiche è patologia rara, aggressiva, oggi riconosciuta come entità autonoma dalla
WHO Classification. Ritenuta derivante dalla proliferazione neoplastica delle cellule dentritiche plasmocitoidi precoci (DC2),
resta caratteristicamente immunofenotipicamente identificabile per la espressione degli antigeni CD4 e CD56, anche se alcuni
casi sono a fenotipo atipico come CD33+, cyCD3e+ e CD56-. Di seguito descriviamo un caso occorso alla nostra osservazione.
Caso clinico: nell’aprile 09 viene alla nostra osservazione un paziente,T.A., di anni 80 che, in assenza di sintomatologia clinica
sistemica, presenta lesioni cutanee infiltranti insorte da circa due mesi, di colore rosso violaceo, pruriginose, prevalentemente
localizzate al volto, dorso, arti superiori. Si associano epatosplenomegalia marcata e modeste adenopatie inguinali. Dati
bioumorali significativi: Hb 10.1 g/dl, Plt 56000/mmc. WBC 33000/mmc, LDH 625 U/L. L’esame morfologico dello striscio di
sangue periferico evidenzia la presenza di elementi blastici atipici in misura del 7%, di difficile classificazione al M.G.G. L’analisi
morfologica del midollo osseo mostra un’infiltrazione di elementi ad habitus blastico, in una quantità del 70% circa. L’indagine
citofluorimetrica su sangue periferico e midollare rivela una popolazione di cellule patologiche CD45+/-, con immunofenotipo
DR+, CD7+,CD4+,CD56-,CD34-,CD117-, CD103+, CD135+, CD38+, CD71+, CD58+, CD11 a +, CXCR4+, CD45Ra+.
Tale dato citofluorimetrico orienta fortemente per la diagnosi di leucemia/ linfoma a cellule dentritiche linfoplasmocitoidi,
diagnosi confermata dalle biopsie osteomidollare, cutanea e linfonodale. La TAC total body, nel confermare la presenza della
epatosplenomegalia e delle adenopatie inguinali clinicamente rilevabili, evidenzia adenopatie centimetriche in sede precarenale
e a livello della finestra aorto-polmonare. L’improvviso scadimento delle condizioni generali, l’età avanzata, la assenza di
CD56 nella popolazione neoplastica inducono, in assenza di un trattamento codificato, ad avviare terapia steroidea ad alte dosi
(metilprednisone 1000 mg/24 h x 3). La critica risposta a tale approccio terapeutico con netto miglioramento delle condizioni
generali, riduzione delle manifestazioni cutanee e della scomparsa della blastosi confermano l’appropriatezza di un programma
terapeutico disegnato per patologia linfoide acuta. Sulla base della valutazione geriatrica la scelta è caduta su un programma per
pazienti “frail”, che prevede in induzione l’utilizzo di Vinblastina 5mg/mq settimanale, giorni 1,8,15,22 e di Prednisone 40 mg/
mq g.1-24. Il paziente al termine dell’induzione è in remissione completa con pressoché totale scomparsa delle manifestazioni
cutanee. L’aspirato midollare mostra la totale scomparsa delle cellule blastiche. L’emocromo mostra: Hb 10.1 gr/dl,, WBC 12590/
mmc, Plt 615000/mmc. Il paziente viene avviato a terapia di mantenimento con MTX, MP, VBL, PDN della durata di 12 mesi.
Discussione: la leucemia/linfoma a cellule dendritiche è una patologia estremamente rara, rappresenta lo 0.8% di tutte le leucemie
acute. Ancora non codificato resta il trattamento di queste forme, abitualmente a prognosi rapidamente infausta. La recente
segnalazione (Leitenberger JJ, MDCC J Am Acad Dermatol. 2008 Mar;58(3);480-4) della buona risposta al pralaxetrate, il critico
miglioramento del nostro paziente dopo somministrazione di steroide ad alte dosi e la assenza nel nostro caso di espressione di
CD56 sono stati di guida nella scelta terapeutica in un paziente frail
Conclusioni: Il caso clinico descritto dimostra come la leucemia/linfoma a cellule dendritiche, biologicamente molto aggressiva,
possa essere trattata con successo con schemi di trattamento chemioterapico del tutto sovrapponibili a quelli utilizzati per le
leucemie acute.
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58 •
5-azacitidina (AZA) endovena in monoterapia nel trattamento
delle Sindromi Mielodisplastiche e delle LMA dell’anziano unfit:
dati preliminari di un’esperienza monocentrica
Dargenio M., Cristofalo C., De Paolis MR., Forese P., Matera R., Nocco A., Conte L., Pennese E., Pugliese
G., Reddiconto G., Valacca A., Vergine C. e Di Renzo N.
U.O. Complessa di Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali – ASL Lecce – P.O. Ospedale “Vito Fazzi” – Lecce.
Background: La maggior parte dei pazienti affetti da MDS o LMA sono anziani o presentano significative comorbidità alla
diagnosi, risultando pertanto ineleggibili per la chemioterapia standard.
La 5-azacitidina, un analogo nucleosidico inducente riespressione di geni silenti nelle cellule neoplastiche, può rappresentare una
valida opzione terapeutica in questa categoria di pazienti. Recentemente è stato dimostrato che la AZA sottocute in monoterapia
migliora l’OS dei pazienti con MDS rispetto alla migliore terapia di supporto.
In un recente studio di fase III la OS è risultata significativamente migliore nei pazienti affetti da MDS ad alto rischio trattati con
AZA vs i trattamenti convenzionali o terapia di supporto indipendentemente dall’International Prognostic Score System (IPSS)
o dalle alterazioni citogenetiche.
Pazienti e metodi: Dal Luglio 2007 al febbraio 2009 18 pts, con età media di 75 anni (range 66 – 84 anni) sono stati trattati presso
la nostra U.O con AZA iv in monoterapia; il tempo medio dalla diagnosi è stato di tre mesi (range 1- 40). Cinque pts erano affetti
da LMA, 3 da CRDM, 5 da AREB 1, 3 da AREB 2 e 2 da LMMoC secondo la classificazione WHO. L’IPSS risultava Basso – Inter
1 in 3 pts, e Int.2 – Alto rischio in 10 pts.
Tutti i pazienti tranne uno presentavano comorbidità: infarto cardiaco recente (n=2); cardiomiopatia ipertensiva (n=7),
insufficienza renale cronica (n=3) e diabete mellito insulino – dipendente (n=5).
Tredici pts (72%) prima del trattamento erano RBC trasfusione dipendenti e quattro (22 %) erano sia RBC che PLTs trasfusione
dipendenti all’inizio del trattamento.
La AZA è stata somministrata alla dose di 75mg/m2/die ev. infusione rapida per 7 giorni (5+2) ogni 4 settimane per i primi sei
cicli e per 5 giorni nei cicli successivi al sesto. In media sono stati somministrati 6 cicli di AZA (range 2-15).
Risultati: Sedici pazienti sono valutabili per la risposta e per la tossicità. Due pazienti (12.5%) hanno ottenuto la RC e sei (37.5%)
un Haematological Improvement (HI) con una ORR del 50 %.
Quattro pts (25%) hanno ottenuto una Risposta Eritroide Maggiore e tre di loro sono diventati RBC trasfusioni indipendenti
(18.7%), mentre una Risposta Eritroide Minore è stata ottenuta in due pazienti(12.5%).
Il tempo mediano alla risposta è stato di 4,5 mesi. Due pazienti non hanno risposto, due hanno avuto malattia stabile e 4 pazienti
(25%) progressione di malattia.
La durata mediana della risposta è stata di quattro mesi (range 2- 10).
Dopo un follow up mediano di 8 mesi (range 2- 18), 9 pts (56%) sono vivi ( LMA: n=2; AREB 1 – 2: n=3; LMMoC: n= 2 e CRDM:
n= 2); la sopravvivenza media è di + 10 mesi (range 4- 18). Sette pazienti (44%) sono morti (4 PD, 1 Infezione fungina, 1 Reinfarto e 1 Edema Polmonare acuto). Non è stata osservata alcuna tossicità severa correlata alla somministrazione di 5-aza.
Conclusioni: L’efficacia ed il profilo di tossicità della AZA ev è risultata simile a quella della 5-aza somministrata sc. Neutropenia
e piastrinopenia di grado 3- 4 sec la WHO è stata registrata rispettivamente nel 38% e nel 33% de pts.
La tossicità non ematologica è stata rara e di grado 1-2.
Questi dati sia pure preliminari mostrano che nei pts con MDS o nelle LMA dell’anziano unfit la AZA ev risulta efficace quanto
quella sc migliorando al tempo stesso anche la compliance del paziente. Un numero più ampio di pazienti ed un follow-up più
lungo è necessario per trarre conclusioni definitive.
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59 •
SIGNIFICATO PROGNOSTICO DI WT1 NEI DISORDINI MIELOPROLIFERATIVI
ACUTI
Coluzzi S., Pascale S., Nuccorini R., Propato C., Pizzuti M., Attolico I., Olivieri A.
Laboratorio di Biologia Molecolare-U.O. di Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali, Azienda Ospedaliera San Carlo, Potenza
Introduzione: WT1 (Wilm’s Tumor gene) è un gene oncosoppressore inizialmente identificato per il suo coinvolgimento nella
patogenesi del tumore di Wilms. In campioni normali di midollo osseo e sangue periferico i livelli di WT1 sono estremamente
bassi o non rilevabili anche con metodiche sensibili quali la RT-PCR. Al contrario, l’espressione del gene è alta nelle Leucemie
Acute. Il significato di tale iperespressione non è noto, ma WT1 potrebbe rappresentare un marcatore utile per monitorare la
malattia minima residua, soprattutto nei pazienti in cui non siano identificabili alterazioni geniche. Scopo del nostro lavoro è
stato valutare l’espressione di WT1 nel sangue midollare di pazienti affetti da Leucemia Acuta Mieloide all’esordio e controllarne
l’andamento in relazione alla risposta alla terapia.
Pazienti e metodi: Per la valutazione quantitativa di WT1 in RQ-PCR e’stata utilizzata una curva di calibrazione ottenuta con
diluizioni seriali di plasmidi contenenti la sequenza target da 10 a 10e6 copie. I valori dei trascritti di fusione di WT1 sono stati
normalizzati sul numero di copie del trascritto ABL per 10e4. E’stato considerato positivo un valore >200. Sono stati valutati 22
pazienti affetti da Leucemia Acuta Mieloide, 13 maschi e 9 femmine, con un’eta’mediana di 69 anni (range 34-86). Il citotipo FAB
era così distribuito: 1 caso di LAM M0, 2 di LAM M1, 9 di LAM M2, 1 LAM M3, 8 LAM M4, 1 LAM M5. In 16 pazienti è stata
effettuata con successo l’indagine citogenetica e molecolare.
Risultati: In 16 dei 22 pazienti valutati alla diagnosi, abbiamo riscontrato iperespressione di WT1 con un valore mediano di
1442 (range 312-5702). Questi pazienti presentavano un valore mediano di leucociti pari a 16.7 x 103/mcl (range 1.8 – 73.5).
La percentuale di blasti nel sangue periferico era di 69 % (range 6-94), nel midollo di 80% (range 3-100). Il citotipo FAB era
così distribuito: 1 caso di LAM M0, 1 caso di M1, 5 di LAM M2, 1 LAM M3, 8 LAM M4. 6 pazienti avevano un cariotipo
normale, 1 paziente presentava la t(15;17), 1 paziente la t(8;21), 3 pazienti avevano un cariotipo complesso (negli altri pazienti
non abbiamo ottenuto metafasi valutabili). Tre pazienti con mutazione di FLT3 ed un paziente con mutazione di NPM avevano
iperespressione di WT1; 5 pazienti senza alterazioni molecolari note avevano valori elevati di WT1. In 6 pazienti WT1 è risultato
normale all’esordio con un valore mediano di 57.5 (range 2.2-168.3); il valore mediano dei leucociti era di 10.15 x 103/mcl (range
1- 149) e la percentuale di blasti nel sangue periferico pari a 68 % (range 10-82); nel midollo di 50% (range 4-90). Un paziente
aveva citotipo FAB M1, 4 M2, 1 M5; 5 pazienti con metafasi valutabili avevano un cariotipo normale; gli stessi non presentavano
alterazioni molecolari. E’stato possibile monitorare l’andamento di WT1 in 10 pazienti. Con un follow up mediano di 6 mesi
(range 3-12 mesi), 7 hanno ottenuto la remissione completa (RC) e in tutti si è ottenuta la riduzione dei livelli di WT1 che si
è mantenuta costante nel tempo (mediana 7.2 range 0.9-85); nei 3 pazienti non responsivi, i valori di WT1 hanno subito un
incremento. In un paziente con iperespressione di WT1 all’esordio è stata effettuata la raccolta di cellule staminali periferiche:
nell’aferesi i livelli di WT1 sono risultati inferiori al cut off di positività e correlavano con quelli del midollo in fase di RC.
Conclusioni: subordinatamente all’esiguità della casistica, possiamo affermare che WT1 risulta elevato all’esordio in una elevata
percentuale di pazienti con LAM (72%); non è ancora chiaro con quali parametri esso correli all’esordio, ma nei pazienti con
WT1 elevato alla diagnosi, il suo monitoraggio puo’essere utile per valutare la malattia minima residua in pazienti privi di
alterazioni citogenetiche e molecolari, non solo in vivo, ma probabilmente anche nell’harvest.
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60 •
Infusione continua di fludarabina e ARA-C come terapia di
induzione e consolidamento per pazienti anziani con leucemia
mieloide acuta
Criscuolo C, Mele G, Riccardi C, Izzo T, Pedata M, Copia C, Desimone M, Palmieri S, Ferrara F
Divisione di Ematologia con TMO, Ospedale Antonio Cardarelli, Napoli
La combinazione terapeutica di fludarabina e citarabina con o senza G-CSF si è dimostrata efficace nei pazienti affetti dal leucemia
acuta mieloide (LAM) ad alto rischio. In un precedente studio di fase II, abbiamo valutato l’efficacia e la tossicità di un protocollo
basato sulla somministrazione in infusione continua di fludarabina e citarabina (IC-FLA) in pazienti affetti da LAM non-M3 con
età superiore a 60 anni e non precedentemente trattati, con risultati promettenti. Qui di seguito riportiamo i nostri dati aggiornati
in un gruppo più grande di pazienti ed un follow up maggiore.
La schedula del regime è la seguente: al giorno 0 fludarabina alla dose di carico di 10 mg/mmc (durata infusione: 15 minuti), e
dopo 3 ore e mezza citarabina alla dose di carico di 390 mg/mmc (durata infusione: 3 ore); al termine, fludarabina 20 mg/mmc/ic
24 ore per un totale di 72 ore e citarabina 1440 mg/mmc/ic 24 ore per un totale di 96 ore. G-CSF veniva iniziato al giorno +15 alla
dose di 5 microg/kg; dopo l’ottenimento della remissione completa (RC), era programmato un ciclo addizionale di IC-FLA, alle
stesse dosi giornaliere ma ridotto di un giorno per entrambi i farmaci, seguito da G-CSF dal giorno +15 alla dose di 10 microg/
kg come mobilizzazione delle cellule staminali emopoietiche (CSE).
Tra giugno 2001 e giugno 2008, 130 pazienti consecutivi affetti da LAM ed eligibili per chemioterapia aggressiva sono stati
arruolati. L’età mediana era 68 anni (range 61-81), e nel 45% dei casi (59 pazienti) una antecedente diagnosi di mielodisplasia
aveva preceduto la progressione in LAM. L’analisi citogenetica evidenziò un cariotipo normale in 69 casi, cariotipo complesso od
altre anomalie citogenetiche sfavorevoli in 45 casi, assenza di mitosi in 16 casi. Infine, 94 (72%) pazienti erano affetti da una o più
patologie extra-ematologiche richiedenti terapia specifica.
In totale, 86 pazienti (66%) hanno ottenuto la RC, in tutti i casi tranne due dopo il primo ciclo. Si sono verificate 20 morti in
induzione (15%), mentre in 24 casi (19%) i pazienti sono risultati refrattari alla terapia di induzione. La mediana di giorni per
neutrofili >0.5x10E9/l e piastrine >20x10E9/l è stata di 19 giorni (7-34) e 19 giorni (9-38), rispettivamente. In 18 pazienti (14%),
vi è stata la diagnosi di un’infezione documentata. Dopo l’ottenimento della RC, 60/86 pazienti (70%) sono stati considerati
eligibili per la terapia di consolidamento, ed in 61 casi è stato possible eseguire la valutazione per la mobilizzazione delle CSE.
Quarantasei pazienti su 61 (75%) hanno mobilizzato e raccolto un’adeguato numero di cellule CD34+ [mediana aferesi: 2
(range1-2); mediana cell. CD34+ raccolte: 6.8x10E6 (range 2-60.3)]. Infine, 38 pazienti (29% della popolazione iniziale) sono
stati sottoposti a trapianto autologo di CSE (ASCT). Attualmente, la mediana di sopravvivenza totale e libera da malattia sono di
13 e 11 mesi, rispettivamente; la sopravvivenza a 5 anni è proiettata al 20%.
In conclusione, confermiamo l’efficacia e la bassa tossicità di IC-FLA in pazienti anziani affetti da LAM, con risultati incoraggianti
in termini di percentuale di RC e di fattibilità di ASCT.
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61 •
PREVALENZA DELL’INFEZIONE DA VIRUS DELL’EPATITE B (HBV) IN UN
GRUPPO DI PAZIENTI AFFETTI DA NEOPLASIE LINFOPROLIFERATIVE
AFFERENTI AL DIPARTIMENTO DI EMATOLOGIA DI PESCARA
Francesca Fioritoni, Simona Falorio, Patrizia Marani Toro, Giuseppe Fioritoni, Francesco Angrilli
Dipartimento di Ematologia, Ospedale Spirito Santo, Pescara.
Introduzione: È noto che la prevalenza dei marcatori di infezione da HBV è significativamente più elevata nei pazienti affetti
da linfomi non-Hodgkin (LNH) a cellule B, indolenti o aggressivi, rispetto ai controlli non affetti da malattie linfoproliferative.
L’elevata prevalenza di infezione da HBV in pazienti con linfoma non-Hodgkin è stata osservata anche in altri paesi, quali Corea,
Giappone e Romania, oltre che in Italia. In questo studio abbiamo valutato la prevalenza di tale infezione in un gruppo di pazienti
con neoplasie linfoproliferative afferenti al nostro centro.
Materiali e Metodi: Sono stati valutati retrospettivamente i marcatori di infezione da HBV e HCV in un gruppo di pazienti affetti
da neoplasie linfoproliferative dignosticati dal gennaio 2007 al maggio 2009 presso il Dipartimento di Ematologia di Pescara. La
popolazione in studio comprende 274 pazienti, 128 femmine e 146 maschi con età mediana di 62 anni (range 13-86). Per quanto
riguarda la diagnosi istologica, 125 pazienti erano affetti da LNH indolenti, 78 da LNH aggressivi, 62 da Linfoma di Hodgkin
(LH) e 9 da LNH a cellule T.
Risultati: Complessivamente 80 dei 274 pazienti (29,1%) presentavano alla diagnosi positività per uno o più marcatori sierologici
di infezione da HBV. Le positività in dettaglio sono riportate in tabella. La positività all’antiHBs è verosimilmente legata, per la
maggior parte dei casi, alla vaccinazione antivirale. Infatti, l’età mediana dei soggetti positivi solo all’antiHBs (24,6 anni, range
14-72) è risultata sensibilmente inferiore a quella del rimanente gruppo di positivi (70 anni, range 44-84), in accordo con il
programma di vaccinazione obbligatoria dal 1991.
Positività sierologiche
N (%)/
80 pz HBV+
N (%)/
274 pz
antiHBs
25 (31,2)
25 (9,1)
antiHBc
18 (22,5)
18 (7,2)
antiHBc + antiHBs + antiHBe
12 (15)
12 (4,8)
antiHBs + antiHBc
15 (18,8)
15 (6)
antiHBc + antiHBe
7 (8,8)
7 (2,8)
HBsAg + antiHBc + antiHBe
3 (3,7)
3 (1,2)
Considerando l’intera popolazione in studio, l’età mediana è stata di 64 anni nei soggetti positivi (range 14-84) e di 60 anni in
quelli negativi (range 13-86). In relazione al sesso, sono risultate positive 35 femmine (27,3%) e 45 maschi (30,8%). In rapporto
ai diversi tipi di linfoma, con l’esclusione dei soggetti antiHBs positivi, l’incidenza delle positività è stata pari a 27 casi (22,8%)
nei LNH indolenti, a 21 casi (28%) nei LNH aggressivi, a 5 (10,6%) nei LH e a 2 (22,2%) nei LNH T. L’infezione da HCV è stata
riscontrata in 10 pazienti (3,6%), dei quali 4 con coinfezione da HBV (7,2%).
Discussione e conclusioni: L’analisi dei nostri dati conferma l’esistenza di una correlazione tra infezione da HBV e neoplasie
linfoproliferative. Per quanto riguarda la tipologia delle positività sierologiche, abbiamo riscontrato una percentuale di portatori
conclamati più bassa di quelle riportate in altri studi italiani, indice di una probabile variabilità geografica dell’incidenza
dell’infezione da HBV. In rapporto ai diversi tipi istologici abbiamo osservato una più stretta associazione dell’infezione da HBV
con i LNH B rispetto al LH; tuttavia l’incidenza riscontrata in quest’ultima forma non ci sembra trascurabile. Per quanto riguarda
l’associazione con i LNH T, l’esiguità numerica di questi pazienti non ci permette alcuna valutazione affidabile. La presenza
numericamente ragguardevole di portatori occulti tra i pazienti affetti da linfomi, pari al 21% nel nostro studio, è un dato di cui
è indispensabile tener conto nella pratica clinica quotidiana per il rischio di riesacerbazione di epatite B, in particolar modo nei
pazienti candidati a trattamenti comprendenti anticorpi monoclonali e/o terapie ad alte dosi e/o trapianto di midollo.
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62 •
SEPSI DA CORYNEBACTERIUM JEIKEIUM (CJK) CON ASSOCIATE LESIONI
CUTANEE IN PAZIENTE AFFETTO DA LEUCEMIA ACUTA: DESCRIZIONE DI UN
CASO CLINICO E REVISIONE DELLA LETTERATURA
Filardi N, Mancino M*, Passannante S*, Attolico I, Amendola A, Cimminiello M, Poggiaspalla M, Pizzuti
M, Vertone D, Olivieri A
U.O.C. di Ematologia – Centro Trapianto di Cellule Staminali; * Microbiologia – Ospedale San Carlo – Potenza (Italia)
Introduzione: Il CJK è un microrganismo GRAM + che normalmente colonizza la cute e viene isolato solitamente a livello
inguinale. I pazienti oncologici sono colonizzati maggiormente rispetto ai soggetti sani. Età adulta, neutropenia profonda e
prolungata, presenza di catetere venoso centrale (CVC) ed esposizione a vari antibiotici favoriscono sepsi da CJK che solitamente
si manifesta con febbre, infezioni polmonari e lesioni cutanee. Queste ultime si osservano spesso nei punti in cui sono state eseguite
biopsie osteo-midollari (BOM) o nel punto di inserzione del CVC. CASO CLINICO Descriviamo il caso di un individuo di sesso
maschile, di 69 anni, affetto da Leucemia Mieloide Acuta che ha sviluppato sepsi da CJK con lesioni cutanee in corrispondenza dei
punti di venipuntura agli arti superiori. Dopo 5 giorni di ricovero c/o altra struttura per alterazione dell’emocromo, il 4/11/2009
il paziente veniva trasferito c/o la Nostra U.O. per sospetta leucemia acuta. Sintomi: astenia. E.O: H.labialis (labbro superiore).
Esami ematochimici: LDH: 1589 U/L (vn 98-192 U/L). Prove emocoagulative: nei limiti. Esami strumentali: RX torace, Ecocardiogramma ed Eco-addome: nella norma. Emocromo: GB:18.000/mcl ( Blasti mieloidi:80%); Hb:11.9g/dl; PLT:23.000/mcl.
L’Aspirato Midollare (morfologia, immunofenotipo, citogenetica, biologia molecolare) e la BOM consentivano di porre diagnosi
di LMA M4 sec. Fab a rischio intermedio. I tamponi di sorveglianza (nasale, orofaringeo, ascellare ed inguinale) risultavano
negativi. In data 6/11/2008, previo posizionamento del CVC, iniziava ciclo chemioterapico di induzione sec. Schema Memorial
(Ara-c 4800mg dal 1° al 5° gg e Idarubicina 65 mg al 3° g ). A giorno +5 post chemioterapia (p.c.) comparsa di febbre ( TC
38.2°C), che persisteva per 13gg. Nello stesso giorno, effettuava emocolture ed aggiungeva in terapia Piperacillina/taz 4gx3/
die e Amikacina 1000mg. A giorno +9 p.c., per la persistenza della febbre ( >38°C), venivano eseguite nuove emocolture. A
giorno +10 p.c. comparsa di lesioni cutanee maculo-papulose, di colore rosso vivo, dolenti spontaneamente e alla palpazione, agli
avambracci prima destro e poi sinistro e a livello del dorso della mano a dx (in corrispondenza dei punti in cui erano stati eseguiti
prelievi di sangue venoso prima del posizionamento del CVC). Pertanto, nel sospetto di un’infezione da GRAM+, sospendeva
Amikacina ed aggiungeva Vancomicina 1gx2/die. Alla Tac torace ad HR: versamento basale bilaterale. A giorno +16 p.c. conferma,
sulle emocolture effettuate in precedenza, della presenza di CJK sensibile alla Vancomicina, Claritromicina, Tetraciclina e
Cloramfenicolo. A giorno +18 p.c. i neutrofili erano > 500/mcl ed il paziente era apiretico. Alla dimissione (5/12/2008) le lesioni
cutanee persistevano, anche se ben demarcate e in via di guarigione e le emocolture di controllo risultavano negative così come la
coltura della punta del CVC. Nel mese di dicembre 2008 effettuava rivalutazione di malattia su aspirato midollare, che mostrava
remissione completa (RC), e praticava terapia di consolidamento sec. Prot. Memorial ( Citarabina 3600mg per 4gg e Idarubicina
45 mg al 3° giorno) con successiva raccolta di cellule staminali da sangue periferico (CSSP). Le lesioni cutanee agli avambracci
a al dorso della mano dx erano notevolmente migliorate. Nel mese di febbraio 2009, previa terapia di condizionamento sec.
Schema BEAM, infondeva CSSP autologhe (CD34+ 5.87x10e6/Kg). L’attecchimento (neutrofili > 500/mm3) avveniva a gg +11
senza complicanze extraematologiche. Aprile 2009: persisteva RC. CONCLUSIONI Le sepsi da CJK, a volte, si possono associare
a lesioni cutanee. Non sempre il germe responsabile dell’infezione colonizza il paziente. Spesso l’infezione è di tipo nosocomiale.
Particolare attenzione deve essere rivolta alle soluzioni di continuo della cute (es. prelievi venosi) e a pazienti provenienti da
altri reparti o strutture. Sono stati segnalati molti casi di antibiotico-resistenza. Solitamente il CJK è sensibile a Vancomicina e
Tetraciclina.
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63 •
Progetto “Aurora”: le infezioni fungine invasive nel paziente
onco-ematologico in Puglia
G Specchia, D Pastore^, M Delia^, G Lovero°, G Caggiano°, V Liso, MT Montagna° e gruppo “Aurora”
Onco-Ematologia per adulti*
Dipartimento di Anatomia Patologica, Sezione di Ematologia – Università degli Studi di Bari. ^ U.O. Ematologia con Trapianto,
Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale – Policlinico di Bari. ° Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana –
Sez. Igiene, Università degli Studi di Bari
* Hanno collaborato: Polimeno G, Tauro L (Osp. “Miulli” – Acquaviva delle Fonti, BA); Quarta G, Solfrizzi MP, Zorzetto MT (Osp.
“ Perrino” – Brindisi); Di Renzo N, De Paolis MR, Fameschi ML, Pizzolante M (Osp. “Vito Fazzi” – Lecce); Capalbo S, Ferrandina
C, De Nittis R, Di Taranto A, Antonetti R (Osp. “OORR” – Foggia); Cascavilla N, Melillo L, Labonia M, Li Bergoli M (Osp. “Casa
Sollievo della Sofferenza” – San Giovanni Rotondo, FG); Mazza P, Pisapia G, Fracchiolla S (Osp. “S.G. Moscati” – Taranto); Riezzo
A, Iacobazzi A, De Candia G, Venitucci C, Doronzo A (Osp. “S. Nicola Pellegrino” – Trani, BA); Pavone V, Rana A, Leo L, Lobreglio
G (Osp. “Panico” – Tricase, LE)
Premessa. In Puglia, come in Italia, manca un sistema centralizzato di sorveglianza delle infezioni fungine invasive (IFI), per cui
l’epidemiologia delle micosi risulta strettamente legata alle realtà territoriali e fa riferimento a studi condotti su singoli ospedali
o su una sola tipologia di paziente. In realtà, per contenere la diffusione di queste patologie, ancora oggi di difficile risoluzione e
del tutto sottostimate, è importante conoscere la reale incidenza ed i fattori di rischio ad esse correlate, soprattutto se si considera
che interessano una popolazione sempre più ampia di pazienti, tra cui quelli onco-ematologici, caratterizzati da una letalità
del 30-90% a seconda dell’agente etiologico o della tipologia di paziente. Il Progetto “Aurora” è nato con lo scopo di verificare
l’andamento epidemiologico delle IFI in Puglia. In particolare, si è voluto attivare una rete di sorveglianza nei pazienti a più
alto rischio al fine di valutare l’etiologia per un corretto approccio terapeutico, identificare i relativi fattori di rischio e verificare
l’incidenza in ciascuna realtà nosocomiale.
Vengono di seguito riportati i risultati inerenti il paziente onco-ematologico adulto.
Risultati. Nel periodo febbraio 2007/agosto 2008 sono stati documentati 20 casi di micosi profonde: 13 da lieviti e 7 da funghi
filamentosi. Per quanto riguarda le micosi da lieviti (tasso di mortalità = 8%), sono risultate tutte proven, essendo stata fatta
diagnosi mediante emocoltura. Quattro casi sono stati diagnosticati nel setting dei pazienti trapiantati, di cui 3 autotrapiantati e
1 allotrapiantato. Il genere Candida è risultato quello più frequente: C. parapsilosis è stata la specie più isolata (30,7%), seguita da
C.krusei, C.glabrata e C.tropicalis (ciascuna nel 15,4% dei casi) e da C.guilliermondii (7,7%). Un paziente ha presentato emocoltura
positiva per Geotrichum capitatum ed uno per Cryptococcus neoformans (rispettivamente 7,7%). In nessun caso è stata isolata
C.albicans. Per quanto riguarda i 7 casi provocati da funghi filamentosi (tasso di mortalità = 70%), quelli sostenuti da Aspergillus
(n=6, tutti galattomannano positivi, in 3 pazienti è stato possibile isolare A. fumigatus) erano probable; l’unico caso sostenuto da
Zigomiceti (Rhizomucor pusillus) era proven. Di questi, 2 pazienti erano allotrapiantati.
I pazienti erano affetti da LAM nel 62% dei casi, portatori di CVC (50%) o con neutropenia <0.5x109/L >3 settimane (40%). La
profilassi antimicotica con Fluconazolo è stata effettuata nel 66% e nel 71% dei pazienti con diagnosi di IFI rispettivamente da
lieviti e da muffe. La terapia antimicotica è stata effettuata con Voriconazolo e.v. (4 mg/kgx2/die) nei pazienti con IFI da funghi
filamentosi (5 casi) e con Amphotericina-B (3 mg/kg/die, 1 caso); per le infezioni da lieviti, il 33% dei pazienti è stato trattato con
Caspofungina (50 mg/die), il 33% con Voriconazolo e.v. (4 mg/kgx2/die), il 33% con Amphothericina-B (3 mg/kg/die).
Considerazioni. Al contrario dei dati riportati in letteratura, il nostro studio evidenzia una maggiore segnalazione di IFI da
lieviti rispetto ai funghi filamentosi (65 vs 35%). Significativo è apparsa la determinazione del galattomannano, attualmente
riconosciuto come test significativo indicatore di IFI nel paziente onco-ematologico. Inoltre, la maggiore incidenza di C. nonalbicans (dato conforme alla letteratura), tra cui C. parapsilosis, è correlata all’alta percentuale di pazienti portatori di CVC. Pur
considerando il breve periodo di osservazione e quindi anche il limitato ed eterogeneo numero di casi riportati, l’atteggiamento
terapeutico antimicotico è stato assunto quasi sempre in ottemperanza alle linee guida ECIL 2007 e IDSA 2008.
Gli studi epidemiologici loco-regionali e la continua integrazione tra clinici ed esperti di diagnostica microbiologica e strumentale
può contribuire sicuramente a ottimizzare il management clinico-terapeutico dei pazienti affetti da emopatie maligne ad elevato
rischio di infezioni fungine.
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64 •
INFEZIONI FUNGINE RARE: TRICOSPORONOSI.
ESPERIENZA DI UNA SINGOLA ISTITUZIONE
Praticò G., Martino B., Ronco F., Alati C., Nobile F.
U.O. Ematologia. Azienda Ospedaliera Bianchi-Melacrino-Morelli. Reggio Calabria.
Le tricosporonosi invasive sono infezioni rare. Vengono riporatati in letteratura circa 300 casi. Le più frequenti sono causate da
Geotrichum Capitatum e Trichosporon Beigelli. Hanno una distribuzione geografica particolare: il T. Beigelli è più rappresentato
negli Stati Uniti ed in Asia, invece il G. Capitatum in Europa. In Italia prevalgono le infezioni da G. Capitatum con un rapporto
2:1 con il T. Beigelli; sono state descritte per la maggior parte nei pazienti con malattie ematologiche in corso di neutropenia.
L’esperienza della nostra Istituzione negli ultmi 15 anni è di 7 casi, classificati in 5 infezioni certe e 2 probabili, distinte in: 3
infezioni da T. Beigelli e 4 da G. Capitatum occorsi in 4 pazienti con Leucemia Acuta, 1 in crisi blastica di Leucemia Mieloide
Cronica, 1 con Mieloma Multiplo sottoposto ad autotrapianto e 1 affetto da Mielodisplasia.
Tutti i pazienti con Leucemia Acuta presentavano un profonda citopenia (meno di 100 globuli bianchi) da oltre 10 giorni e 5
avevano ricevuto diverse linee di trattamento chemioterapico poiché resistenti.
Tutti i pzienti effettuavano profilassi con azolici: itraconazolo (5) e fluconazolo (2).
La fungemia era presente in 5 casi, in 2 il fungo è stato isolato mediante broncolavaggio. L’interessamento polmonare era presente
in tutti i pazienti, con immagini alla radiografia standard di interstiziopatia associata ad addensamenti multipli, confermati alla
TAC.
Due pazienti sono stati trattati con amfotericina B desossicolato, gli altri hanno effettuato terapia di associazione, uno con
amfotericina B desossicolato e itraconazolo, uno amfotericina B desossicolato e flucitosina, 3 con amfotericina B liposomiale e
voriconazolo.
Tutti i pazienti che hanno praticato terapia di associazione sono guariti dall’infezione, i pazienti che hanno praticato terapia con
amfotericina B desossicolato come agente singolo sono deceduti.
I dati della letteratura per quanto concerne la terapia sono alquanto eterogenei. La sopravvivenza è attorno al 33% per T. Bigelli
e del 45% per G. Capitatum. Non è stata descritta alcuna differenza di sopravvivenza tra l’uso di un singolo agente antimicotico
e la terapia di associazione. I casi italiani descritti dal gruppo GIMEMA mostrano una eterogeneità di trattamento ed una
sopravvivenza sovrapponibile. Nella nostra esperienza la terapia di associazione ha permesso la sopravvivenza di 5 pazienti sui 7
studiati. I due pazienti deceduti sono stati trattati con amfotericina B desossicolato. L’esiguo numero dei pazienti non consente
di definire il reale ruolo della terapia di associazione.
•
65 •
RECIDIVE EXTRAMIDOLLARI IN PAZIENTI CON MIELOMA MULTIPLO
SOTTOPOSTI A TRAPIANTO
Pulini S,1 Natale A,1 Morelli AM,1 Carlino D,1 Spadano A,1 Di Bartolomeo E,2 Di Bartolomeo P,2 Fioritoni G.1
U.O. di Ematologia Clinica Ospedale Civile “Santo Spirito” Pescara. 2U.O. di Terapia Intensiva per il Trapianto Emopoietico
Ospedale Civile “Santo Spirito” Pescara
1
Nonostante i progressi terapeutici finora raggiunti il Mieloma Multiplo (MM) rimane una patologia inguaribile e quasi tutti i
pazienti dopo terapia presentano recidiva di malattia dopo un periodo di tempo variabile. La presentazione clinica alla recidiva
è eterogenea e può essere differente dalla diagnosi. Le recidive extramidollari (REM) sono rare, tuttavia un’aumentata frequenza
è stata riportata negli ultimi anni, forse anche in relazione ai nuovi regimi di induzione. Descriviamo 5 casi di multiple REM,
spesso isolate ed in sedi atipiche, verificatesi dopo un tempo mediano di 3 anni dal trapianto, in 5 pazienti di sesso maschile (A-E)
di età media 50 anni (39-63), affetti da MM IgGk (4 pz), IgAk (1 pz), tutti in stadio IIIA. All’esordio un paziente (E) presentava
una localizzazione EM sternale extrapleurica, che veniva irradiata. Tre pazienti sono stati trattati con Total Therapy II (B,D,E),
2 pazienti con VAD (A,C), seguiti da doppio auto TMO o, in C, da AutoTMO seguito da mini AlloTMO. Dopo il trapianto tutti
i pazienti erano in RC. La recidiva si è manifestata: dopo 3 anni nel pz A, che è stato trattato secondo schema EDAP, raccolta
PBSC e nuovo AutoTMO; dopo 2 anni nel pz B, trattato con chemioterapia VTD. Entrambi hanno così ottenuto seconda RC,
ed è stato intrapreso mantenimento con talidomide. Ad 1 anno dalla seconda RC il pz A ha presentato REM paravertebrale
lombare ed il pz B extradurale lombo sacrale, extradurale endocanalare dorsale ed al bacino, aggettante in cavità addominale
ed ipercaptante alla PET. Per quanto riguarda gli altri 3, dopo la prima RC il pz C ha presentato a 4 anni REM lombare di 6 cm
infiltrante la vena cava che ha determinato trombosi cavale inferiore con embolia polmonare; il pz D a 2 anni REM di 3 cm in L5
e di 9 cm al bacino; il pz E ad 1 anno REM di 7 x 5 cm paravertebrale dorsale. In tre pazienti (A,C,E) le REM erano isolate, un
paziente (B) mostrava un infiltrato PC midollare (60%), in assenza di CM; un paziente (D) minimi infiltrato midollare (10%) e
CM. Solo in un paziente (B) si documentava LDH elevato. Le terapie delle REM sono state rappresentate da radioterapia in tutti,
più EDAP in tre pazienti (B,C,E) senza alcun beneficio, AlloTMO in un paziente (A), PAD+ Lenalidomide in un paziente (D).
Quest’ultimo, ottenuta la terza RC, è stato sottoposto ad AlloTMO ma è purtroppo deceduto per GvHD acuta epatica. Il paziente
C, dopo EDAP, è stato sottoposto a VD con beneficio clinico; tuttavia ha sviluppato dopo poco un’altra massa EM, ipercaptante
alla PET, in sede scapolare ed ascellare, sottoposta senza successo a radioterapia e poi a chemioterapia TD ed infusione dei
linfociti allogenici (DLI) del pregresso donatore familiare ottenendo risposta alla PET; purtoppo sono recentemente comparse
nuove lesioni espansive ipercaptanti ai tessuti molli, per cui è stata avviata terapia con RD+Endoxan. Il paziente sottoposto ad
AlloTMO per la REM (A) è stato successivamente avviato a VTD per mancata risposta ed ha recentemente manifestato lesioni
nodulari epatiche PET positive trattate con RD+Endoxan con parziale beneficio. I 2 pazienti refrattari all’EDAP (B, E) hanno
mostrato successive localizzazioni EM anche in sedi atipiche. Il primo (B) è deceduto per malattia rapidamente progressiva
a localizzazione cranica, orbitaria, encefalica e colonizzazione liquorale di PC CD56-. Il secondo (E) ha sviluppato nuove
localizzazioni EM a livello mascellare, cranico, orbitario, zigomatico-frontale, con sconfinamento intracranico, oltre ad estesa
lisi della branca ischiatica e frattura omero-radiale ed è deceduto. Dalla diagnosi di MM 3 pazienti sono deceduti dopo 3, 4.5, 4.5
anni; 2 pazienti sono sopravviventi a 6.5 e 8.5 anni. Le REM potrebbero essere dovute alla presenza di una selezione clonale dopo
alte dosi ad indicare la persistenza di un clone resistente dopo la terapia di induzione precedente il trapianto. La nostra casistica,
pur limitata, dimostra che le REM sono refrattarie alla radioterapia ed alla chemioterapia convenzionale anche ad alte dosi, ma
possono beneficiare di regimi comprendenti nuovi farmaci.
•
66 •
Autotrapianto di Cellule Staminali Periferiche (CSP) in pazienti
anziani affetti da Linfoma non Hodgkin in recidiva:
esperienza di un singolo centro
P.R.Scalzulli, M.Dell’Olio, L.Melillo, G.D’Arena, G.Sampaolo, M.Nobile, A.Falcone, P. Ditonno*, A.
Giacobazzi**, A. Guarini**. N.Cascavilla.
Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” IRCCS San Giovanni Rotondo, *Ematologia
Ospedale Di Venere Bari, **Ospedale Oncologico IRCCS Bari
Background: Come già indicato dall’International Prognostic Index ed ampiamente dimostrato da diversi Autori, nei pazienti
affetti da Linfoma non Hodgkin, l’età maggiore di 60 anni costituisce un fattore prognostico negativo per la sopravvivenza.
Questo perchè la malattia si presenta più aggressiva e resistente ai trattamenti. In generale, nonostante l’efficacia dei nuovi regimi
terapeutici (R-CHOP) la percentuale di questi pazienti che ricadono è ancora elevata, e la combinazione della terapia ad alte dosi
con supporto di Cellule Staminali Autologhe si è dimostrata come migliore terapia di salvataggio. Lo scopo di questo studio è di
valutare l’efficacia e la sicurezza del Trapianto Autologo di CSP in 20 pazienti con eta ≥ 60 affetti da LNH recidivato, trattati nella
nostra Divisione da Febbraio 2000 a Giugno 2008.
Materiali e metodi: I pazienti avevano un buon PS (valutati per le possibili comorbidità), un’eta’mediana di 65 aa range (60-71),
13 maschi (65%) e 7 femmine (35%), 12 DLBCL (60%), 4 Linfomi Mantellari (20%) e 4 Linfomi Follicolari trasformati (20%).
L’IPI corretto per eta’alla recidiva era 0-1 in 4 pazienti (20%) e 2-3 in 16 (80%). Al momento del trapianto 10 pazienti (50%)
erano in RC e 10 (50%) in RP. Tre pazienti avevano effettuato condizionamento TEAM (15%), 3 FEAM (15%), 13 BEAM (65%)
e 1 Mitoxantrone+Melphalan (5%). In tutti i pazienti sono state utilizzate CSP. La mediana di cellule CD34+ infuse è stata di 3.85
(2.4-6.5), e di fiale di G-CSF infuse 10 (6-20).
Risultati: La mediana di giorni necessari per ottenere i neutrofili > 500 mmc e delle piastrine > 20.000 mmc è stata di 9 (6-12).
La mediana di giorni di neutropenia febbrile è stata di 7 (0-11). E’stato necessario infondere una mediana di Unità di E.C. e PLT
rispettivamente di 2 (0-9) e 4 (1-19). Si è avuta inoltre una incidenza di mucosite di grado 2-3 nel 70 % e di 3-4 nel 30 % dei
pazienti, mentre la tossicità epatica e renale registrata è stata scarsamente significativa e fugace. La TRM è stata di 1/20 pazienti
(5 %). Un paziente è deceduto per MOF, mentre un altro è deceduto 30 giorni dopo il trapianto per cause imprecisate. Alla
valutazione a 3 mesi dal trapianto tutti i 18 pazienti (90%) risultavano essere in RC e ad un follow-up mediano di 78 mesi (5-108)
tutti risultano in RCC.
Conclusioni: Nella nostra esperienza l’Autotrapianto di CSP, come in altri studi, si conferma essere la migliore terapia
di salvataggio in pazienti con LNH recidivato con età maggiore di 60 aa. La TRM non è risultata particolarmente elevata, la
tossicità è stata accettabile, sostanzialmente limitata alla mucosite ed il recupero ematologico non è stato differente rispetto a
quando avviene in pazienti più giovani. Sarebbe auspicabile comunque che tutti pazienti > 60 anni elegibili per una procedura
trapiantologica oltre al PS, siano valutati anche mediante appositi score geriatrici.
•
67 •
STUDIO PROSPETTICO RELATIVO ALL’IMPATTO DELL’INFUSIONE DI
UN ELEVATO NUMERO DI CELLULE CD34 SULLA RICOSTITUZIONE
IMMUNOLOGICA PRECOCE IN CORSO DI TRAPIANTO AUTOLOGO
T. Moscato, R. Fedele, E. Massara, G. Messina, G. Console, Irrera G., M. Martino, Cuzzola M., Spiniello E.,
Dattola A., Russo L., Meliambro e N. Iacopino P.
Centro Unico Regionale Trapianti di Cellule staminali e Terapie Cellulari “A. Neri” Azienda Ospedaliera Bianchi Melacrino
Morelli. Reggio Calabria
Un numero assoluto di linfociti ricostituiti al giorno +15 (ALC-15) dopo trapianto autologo di cellule staminali periferiche
pari o superiore a 500 cellule/microlitro è stato segnalato come un potente indicatore prognostico dei risultati clinici in diverse
neoplasie ematologiche maligne. Ciò è stato confermato anche da un nostro studio nel quale è stato analizzato il rapporto tra
ALC-15, overall survival (OS) e progression free servival (PFS) in 144 pazienti (pts) affetti da Linfoma Non Hodgkin sottoposti ad
infusione di cellule staminali periferiche autologhe. In tali pts, la mobilizzazione delle cellule staminali è stata indotta associando
un trattamento chemioterapico alla somministrazione di G-CSF 5 microg/kg/die. La mediana di cellule CD34+ infuse era pari
a 4,8 x 10e6/kg (2,0-16,0). Quarantanove pts (47,1%) al momento del trapianto erano in remissione completa (CR), mentre gli
altri mostravano uno stato avanzato di malattia. Il principale regime di condizionamento utilizzato è stato lo schema BEAM (78
pts). Per quanto riguarda la PFS e l’OS, le variabili analizzate sono state l’età, il sesso, l’istotipo, il numero di precedenti linee
di chemioterapia, il precedente trattamento con Mabthera, lo stato della malattia al trapianto, il numero di ALC pre-aferesi, il
numero di ALC al giorno +15.
Dopo un follow-up mediano di 28,1 mesi (1-181), 75 pts (72,1%) erano vivi e senza segni di progressione o recidiva, mentre 69
pts (66,3%) erano in remissione parziale. L’analisi univariata ha dimostrato un notevole impatto di ALC-15 su OS (0,0051) e
PFS (0,0026). L’analisi di regressione Cox, inoltre, ha mostrato che ALC-15 (p = 0,017) e lo stato della malattia al momento del
trapianto (p = 0,036) erano i fattori predittivi in grado di influenzare l’OS.
Sulla scorta di tali risultati, è stato valutato prospetticamente se aumentare il numero di CD34+ infuse potesse comportare una
più rapida e stabile ricostituzione immunologica (IR), migliorando in tal modo sia la PFS sia l’OS. In particolare, l’endpoint
principale dello studio è stato valutare se tale strategia permettesse il raggiungimento di un numero di ALC-15 superiore a 500
cellule/microlitro.
Sono stati arruolati 39 pts, di questi 19 affetti da linfoma, 13 da mieloma multiplo e 7 da leucemia acuta. In 18 pts sono state
infuse cellule CD34+ <6x10E6/Kg (media: 5,1 – range: 3,4-5,9) ai restanti 21 sono state infuse cellule CD34+ >6x10E6/Kg (media:
7,1 – range: 6,0-8,7. Al giorno +15 è stata effettuato lo studio citofluorimetrico sulla ricostituzione immunologia. Nell’ambito del
primo gruppo di pts 6/18 (33%) hanno raggiunto un numero di linfociti pari o superiore a 500 cellule/microlitro. Tra i 21 pts ai
quali è stato infuso un elevato numero di cellule CD34+ solo 7 (33%) hanno raggiunto il target prefissato.
Sembra, dunque, che non vi sia alcuna correlazione tra numero di cellule CD34+ infuse e la precoce RI perché pur aumentando
il numero di cellule infuse non è stato ottenuto l’aumento dell’ALC-15 né l’anticipo della RI. Il numero di cellule CD34+ infuse
non dovrebbe essere perciò essere l’unico parametro da prendere in considerazione per valutare la qualità del graft. Nostri dati
preliminari sulla composizione del prodotto aferetico indicano un diverso profilo di gene expression dopo mobilizzazione con
AMD3100 + G-CSF, rispetto al solo G-CSF. E’in fase di approvazione uno studio prospettico collaborativo dei Centri Meridionali
per la conferma di tale informazione nei pts affetti a linfoma.
•
68 •
Palonosetron per la prevenzione della nausea e del vomito
indotti dalla chemioterapia (CINV) nei pazienti affetti da
neoplasie ematologiche sottoposti a chemioterapia ad alte dosi
(HD-CT) con supporto di cellule staminali autologhe
E. Pennese, C. Cristofalo, L. Conte, M. Dargenio, MR. De Paolis, P. Forese, R. Matera, A. Nocco, G. Pugliese,
G. Reddiconto, A. Valacca, C. Vergine e N. Di Renzo.
Ospedale”Vito Fazzi” Lecce (IT)
Background: La nausea ed il vomito indotti da chemioterapia (CINV), effetti collaterali comuni della chemioterapia, sono
associati ad un significativo deterioramento della qualità della vita nei pazienti sottoposti a chemioterapia. Il Palonosetron, un
antagonista del recettore della serotonina (5 – HT3 RA) di seconda generazione, con una emivita più lunga ed un legame di
affinità più elevata rispetto a quelli di prima generazione, risulta maggiormente efficace nel controllo della nausea e del vomito
nei pazienti sottoposti chemioterapia moderatamente (MEC) e altamente emetogenica (HEC).
Pazienti e metodi: Dal settembre 2007 ad aprile 2009 sono stati trattati con palonosetron 27 pazienti (M/F:11/16) sottoposti a
trapianto autologo di cellule staminali da sangue periferico (PBSCT) per neoplasie ematologiche; l’età media era di 55 anni (range
23-76 ); 13 (44,5%) pazienti erano affetti da linfoma non Hodgkin (NHL), 12 (48%) da mieloma multiplo (MM) e 2 (7,5%) da
linfoma di Hodgkin (HL). I regimi di condizionamento sono stati: FEAM (Fotemustine 150 mg/mq giorni su -8 e -7, Etoposide
200 mg/mq nei giorni -6, -5, -4 e -3, Citarabina 400 mq/mq nei giorni -6 – 5, -4 e -3, Melphalan 140mg/mq giorno -2) nei pazienti
con linfoma di Hodgkin e non-Hodgkin e Melphalan 200 mg/mq (MEL200) il giorno -2, nei pazienti con mieloma.
Il Palonosetron è stato somministrato una volta al giorno nei giorni -8, -5 e -2, e una volta al giorno, il giorno in -2, rispettivamente
nel regime FEAM e MEL200; il desametasone non era previsto in nessuno dei due programmi.
La risposta completa è stata definita come assenza di emesi e di terapia di salvataggio durante il regime di condizionamento e
entro 5 giorni dalla fine della chemioterapia; la protezione completaè stata definita come assenza di vomito, nausea di grado £
2 secondo il CTC ver.3.0 e non necessità di terapia di salvataggio. L’efficacia del palonosetron è stata valutata sia durante la fase
acuta (0-168 h nel FEAM 2 0-24 h nel MEL 200) che durante la fase tardiva (169 – 288 h dopo la fine del CT nel FEAM, 25-120 h
dopo la chemioterapia nel MEL200).
Risultati: La risposta completa è stata riportata in 11 (73%) dei pazienti sottoposti al condizionamento con FEAM, e 12 (80%) di
essi ha ottenuto una protezione completa dalla CINV; solo 4 (33%) pazienti sottoposti al regime MEL200, hanno ottenuto una
risposta completa ed una protezione completa. Nei pazienti sottoposti al condizionamento FEAM, la percentuale di CINV in fase
acuta è stata del 27%, mentre quella della CINV fase tardiva del 13% dei pt. Nei pazienti sottoposti a regime MEL200 la percentuale
di CINV durante la fase acuta è stata del 50% e del 16% nella fase tardiva. I più comuni effetti indesiderati sono stati cefalea (7%)
e costipazione (8%). Solo un paziente ha mostrato anomalie nel profilo elettrocardiografico (ECG) dopo somministrazione di
palonosetron.
Conclusioni: Questi dati preliminari suggeriscono che per il controllo della CINV nei pazienti sottoposti a FEAM sono
necessarie tre dosi di palonosetron mentre nei pazienti che ricevono MEL200 sembra che una sola somministrazione non sia
sufficiente a garantire la protezione completa in circa i 2/3 dei pazienti e pertanto uno studio che prevede due somministrazioni
di palonosetron è in corso.
•
69 •
Busulfano e.v. e idarubicina come condizionamento nel trapianto
autologo di cellule staminali emopoietiche in pazienti anziani
con leucemia mieloide acuta
Criscuolo C, Mele G, Riccardi C, Izzo T, Pedata M, Copia C, Desimone M, Palmieri S, Viola A, Ferrara F
Divisione di Ematologia con TMO, Ospedale Antonio Cardarelli, Napoli
Diversi studi hanno suggerito la possibile utilità del trapianto autologo di cellule staminali emopoietica (ASCT) in pazienti
anziani con leucemia mieloide acuta, allo scopo di ridurre la percentuale di recidive post-consolidamento. L’introduzione
sistematica delle cellule staminali periferiche (PBSC) ha sicuramente ridotto la tossicità e mortalità da procedura, ma non ha
sostanzialmente impattato sulla percentuale di recidiveposti regimi alternativi, basati sull’impiego di farmaci con attività più
specificamente rivolta contro cellule di LAM. Negli ultimi anni, almeno nel setting del trapianto allogenico, sono inoltre emersi
numerosi studi concernenti la minore tossicità della formulazione endovenosa di Bus, in sostituzione di quella orale. Non vi
sono invece allo stato attuale dati sull’impiego di Bus i.v. per pazienti con LAM sottoposti ad ASCT. Nel presente studio vengono
illustrate le caratteristiche clinic-ematologiche ed I risultati terapeutici da una coorte di 25 pazienti con LAM autotrapiantati
dopo condizionamento con alte dosi di Idarubicina (IDA) somministrata a 20 mg/m2 (giorni -13à11) e Bus i.v (3.2 mg/kg/die,
giorni -5à-2). La dose di entrambi i farmaci è stata ridotta di un giorno (-12à-11 e -4à-2) per i pazienti di età superiore a 60 anni.
Tutti i pazienti hanno ricevuto cellule staminali periferiche (PBSC), raccolte dopo condizionamento + G-CSF. L’età mediana
era di 51 anni (range 28-72). L’intervallo mediano tra diagnosi e ASCT era di 4 mesi (3-5). Il numero mediano di PBSC infuse
è stato di 5.9 x 10E6/kg. Tutti gli autotrapianti sono stati effettuati in stanze singole convenzionali. Nessun paziente è deceduto
in seguito a terapia autotrapianto logica. I tempi di recupero emopoietico (Neut>500/mmc e piastrine > 20.000/mmc sono stati
di 10 e 13 giorni, rispettivamente. Una FUO è stata riscontrata in 15 pazienti (60%), mentre 2 pazienti (8%) hanno avuta una
sepsi documentata. Allo scopo di valutare il possibile beneficio del Bus i.v. in termini di tossicità ed efficacia, è stata effettuata
una analisi matched-pair, considerando un gruppo di 30 pazienti precedentemente autotrapiantati con LAM utilizzando IDA e
Bus per os. Sono state considerate nella selezione l’età mediana, la percentuale di pazienti > 60 anni, la mediana di cellule CD34+
ricevute, la citogenetica e la percentuale di LAM secondarie. Nei pazienti autotrapiantati con Bus i.v. è stata riscontrata una
minore percentuale di mucosite (12% vs. 80%, p < 0.0001), una minore necessità di alimentazione parenterale totale (20% vs.
85%, p< 0.001) e minore ospedalizzazione (27 gg. vs. 31 gg., p0.003).
Si conclude che l’utilizzo di Bus per via venosa quale condizionamento ad ASCT per i pazienti con LAM è fattibile con tossicità
globale nettamente inferiore alla formulazione orale. I dati di DFS sono incoraggianti, ma è necessario un follow-up più
prolungato per avere dati definitivi.
•
70 •
EFFICACIA E TOLLERABILITà DI ZEVALIN ASSOCIATO A BEAM COME TERAPIA
DI CONDIZIONAMENTO E AUTOTRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI:
RISULTATI DI UNO STUDIO ITALIANO MULTICENTRICO
Anna Mele, Rosa De Francesco, Silvia Sibilla, Giuseppina Greco, Cosimo Del Casale, Anna Rita Messa,
Bernardo Rossini, Antonello Rana Vincenzo Frusciante^, Antonio Varraso^, Barbara Botto°^, Umberto
Vitolo°^, Attilio Olivieri **, Michele Cimminiello**, Vincenzo Mettivier***, Luca Pezzullo***, Giuseppe
Milone^^, Salvatore Leotta^^, Pasquale Iacopino°°°, Giuseppe Console°°°, Nicola Cascavilla §, Potito
Scalzulli §, Donatella Baronciani°*, Emanuele Angelucci°*, Maurizio Musso°°, Renato Scalone°°, Silvana
Capalbo^^, Giorgina Specchia^*, Francesco Gaudio^*, Giacomo Loseto§§, Giovanni Quarta§§, Pellegrino
Musto°, Maria Rosaria Morciano, Margherita Caputo*, Angelo Ostuni*, Vincenzo Pavone
Dipartimento di Ematologia, * Dipartimento di Medicina Trasfusionale, Ospedale Card. G. Panico, Tricase (Le); ^ Dipartimento
di Medicina nucleare, § Dipartimento di Ematologia, Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo; °^
Dipartimento di Ematologia, Ospedale San Giovanni Battista, Torino; ** Dipartimento di Ematologia, Ospedale San Carlo,
Potenza; ^^ Dipartimento di Ematologia, Ospedale Ferrarotto, Catania; Dipartimento di Ematologia, Ospedale A Businco, Gagliari;
° Dipartimento di Ematologia, Rionero in Vulture; °° Dipartimento di Ematologia “La Maddalena” Palermo; °°° Dipartimento
di Ematologia, Reggio Calabria; *** Dipartimento di Ematologia, Ospedale Cardarelli, Napoli, ^^ Dipartimento di Ematologia,
Ospedali Riuniti di Foggia, §§ Dipartimento di Ematologia, Ospedale Perrino, Brindisi, ^* Dipartimento di Ematologia, Policlinico
of Bari
Y-Zevalin® in combinazione con terapia ad alte dosi e trapianto autologo di cellule staminali (ASCT) sta acquisendo crescente
importanza per i Linfomi Non Hodgkin recidivi/refrattari. Abbiamo valutato la fattibilità ed i risultati clinici dell’aggiunta di
Zevalin a dosi standard al regime di condizionamento classico BEAM in pazienti non rispondenti alla prima linea di chemioterapia.
90
Metodi. Da ottobre 2005 e Aprile 2009, 63 pazienti sono stati arruolati in 12 centri Italiani. Il piano di trattamento è mostrato in
figura 1. Le cellule staminali periferiche sono state raccolte dopo chemioterapia con Rituximab-DHAP e G-CSF. Le caratteristiche
dei pazienti sono riassunte in tabella 1.
Risultati. Il numero mediano di cellule CD34+ infuse è stato 5.5 x10(e)6/Kg (range 2.55-34). Il tempo mediano per raggiungere
una conta delle piastrine e dei neutrofili rispettivamente più alta di 20x10(e)9/L e 0.5x10(e)9/L è stato 14 (range, 9-60) e 10
giorni (range, 8-20). Mucosite di grado III e IV sono occorse 22 (35%) e 6 (9%) pazienti, rispettivamente. La neutropenia febbrile
è occorsa in 49 pazienti (78%). 10 polmoniti e 17 sepsi sono state documentate. Due pazienti hanno sviluppato fibrillazione
atriale. 44/63 pazienti erano valutabili per una risposta a 90 giorni. La overall response (ORR) a 90 giorni è pari a 89% con 78%
di remissioni complete (RC). 6 recidive (14%) e 5 progressioni sono state osservate ad un follow-up mediano di 247 giorni post
ASCT (range, 125-818). Alla analisi statistica dei fattore condizionanti la RC: l’ottenimento di almeno una remissione parziale
(RP) prima dell’ASCT sembra essere il solo fattore statisticamente significativo (p<0.06). Ad un follow-up mediano di 365 giorni
post ASCT (range, 6-1106), 44 pazienti erano vivi: 38 RC (60%), 1 RP (2%), 3 progressione di malattia (PD, 5%), 2 non valutabile
per la risposta (figura 2). 19 pazienti sono deceduti (30%): 8 morti precoci prima del giorno 90, 1 per ARDS (+230), 1 TRM dopo
un successivo allotrapianto RIC (+95) e 9 per PD. La sopravvivenza libera da eventi a 3 anni (3y-EFS) è del 63%., secondo la
Kaplan-Meyer. I fattori di rischio statisticamente significativi per l’EFS sono due: lo stato di malattia pre ASCT (RC vs nonRC,
p<0.05) e il numero di cellule CD34+ infuse (<4x10(e)6/Kg; p<0.03). L’analisi multivariata secondo la regressione multivariate
di Cox ha dimostrato come il numero di cellule CD34+ infuse sia il solo fattore di rischio significativo per l’EFS (40% vs 70%,
p<0,02). Otto morti precoci sono occorse: 3 shock settico (giorno +6, +12 e +39), 1 per polmonite (+22), 1 per encefalite da BK
(+61), 1 per MOF (+14), 1 per sanguinamento gastrico (+53) e 1 per PD (+28). La probabilità di Treatment Related Mortality
(TRM), secondo la Kaplan-Meyer, è circa il 10%. L’età maggiore di 60 anni era il solo fattore di rischio statisticamente significativo
per la TRM a 90 giorni (TRM pari a 5% nei più giovani vs 22% nei pazienti anziani, p<0,03).
Conclusioni. Nei pazienti con LNH che non hanno ottenuto la RC dopo prima linea di chemioterapia, Zevalin associati a
condizionamento BEAM e auto trapianto è capace di indurre l’89% di ORR, 78% di RC e un 3yEFS del 63%. L’attecchimento è
stato valido con una tossicità extra-ematologica accettabile, fatta eccezione per pazienti con età superiore a 60 anni.
•
71 •
Figura 1 – Piano di trattamento
Tabella 1 – Caratteristiche dei pazienti e risposta a 90 giorni dopo ASCT
Figura 2 – Response rates nelle differenti fasi di trattamento
•
72 •
PEG-FILGRASTIM VERSO LENOGRASTIM IN AGGIUNTA ALLA CHEMIOTERAPIA
DI MOBILIZZAZIONE IN PAZIENTI CON LINFOMA E MIELOMA:
RISULTATI DI UNO STUDIO RANDOMIZZATO
Anna Mele, Rosa De Francesco, Silvia Sibilla, Giuseppina Greco, Cosimo Del Casale, Anna Rita Messa,
Antonello Rana, Bernardo Rossini, Maria Rosaria Morciano, Margherita Caputo*, Angelo Ostuni*,
Vincenzo Pavone,
Dipartimento di Ematologia, *Dipartimento di Medicina trasfusionale, Ospedale Card. G. Panico, Tricase (Le)
La chemioterapia ad alte dosi con successiva infusione di cellule staminali progenitrici autologhe periferiche rappresenta una
pratica ben consolidata nei pazienti con mieloma e linfoma, sia come trattamento di prima linea che nella malattia recidivata
o avanzata. I fattori di crescita vengono usati routinariamente, in combinazione alla chemioterapia, per mobilizzare le cellule
staminali periferiche CD34+ dal midollo osseo. SCOPI. Abbiamo effettuato uno studio randomizzato con lo scopo di 1)
valutare l’efficacia mobilizzante le CD34+ del pegfilgrastim versus lenograstim e 2)la possibilità di ridurre il fenomeno dei “poor
mobilizers” in pazienti con disordini linfoproliferativi.
Metodi. Da marzo 2005 a novembre 2008, 96 pazienti (55 Linfoma non Hodgkin, 16 Linfoma di Hodgkin, 25 mieloma multiplo)
sono stati randomizzati a ricevere 6 mg di pegfilgrastim in unica dose al giorno più 5 o somministrazioni giornaliere di lenograstim
(10 microgrammi/Kg/die) dal 5° giorno dalla chemioterapia di mobilizzazione. Sono state eseguite 114 procedure totali di aferesi.
La tabella 1 riassume le caratterisctiche cliniche dei pazienti arruolati: non sono state osservate differenze cliniche significative
tra le due coorti di pazienti.
Risultati. La mediana delle aferesi condotte è stata dii 2 aferesi (range 1-3) (tabella 2). Nessuna differenza è stata osservata riguardo
al giorno del picco delle cellule CD34 e alla conta massima delle stesse nel sangue periferico. Il numero mediano di cellule CD34+
raccolte era più alto con il lenograstim [6,81x10(e)6/kg (range 1-32,84)] rispetto alla coorte trattata con pegfilgrastim [5x10(e)6
(range 1,06-24,88); p=0,01]. Circa 86/92 pazienti (94%) ha raccolto >=2x10(e)6/Kg cellule CD34+: 42 (48%) e 44 (51%) pazienti
nel gruppo lenograstim e pegfilgrastim, rispettivamente (p=ns). I “poor mobilizers” (<=2x10(e)6/Kg cellule CD34+) sono stati
25 (22%): 9 (36%) nel gruppo pegfilgrastim e 16 (64%) nel gruppo lenograstim, (p=0.1). Dopo la mobilizzazione, 59 pazienti
sono stati sottoposti ad ASCT. I pazienti mobilizzati con pegfilgrastim hanno ricevuto un numero inferiore di cellule CD34+/Kg
[3,9x10(e)6 (range 1,04-7,3)] confrontato col gruppo lenograstim [5,98x10(e)6 (range 0,88-21,3); p=0.03]. Nonostante il numero
inferiore di cellule CD34+ infuse, l’engraftment e la ricostituzione immunologia al giorno +90 erano comparabili al filgrastim
(tabella 3). Trentanove pazienti (68%) presentavano neutropenia febrile (18 pazienti (46%) nel gruppo pegfilgrastim e 21 (54%)
nel gruppo lenograstim, p non significativo).
Conclusioni. Per concludere, una dose singola di pegfilgrastim associata a chemioterapia è risultata efficace come la
somministrazione giornaliera convenzionale di lenograstim per mobilizzare un numero sufficiente di cellule CD34+ per ottenere
un engraftment stabile ed una ricostituzione immunologica dopo ASCT. Pegfilgrastim sembra essere associato ad un trend
in riduzione dei poor mobilizers. Questi dati sono incoraggianti e probabilmente la ottimizzazione della dose di pegfilgrastim
potrebbe migliorare i risultati in termine di capacità di mobilizzazione del pegfilgrastim.
•
73 •
Tabella 1. Caratteristiche dei pazienti arruolati
Numero di procedure
Età, mediana (range) anni
Sesso, n (%)
Male
Female
Diagnosi, n (%)
Non Hodgkin Lymphoma
Aggressive
Follicular
Hodgkin Lymphoma
Multiple Myeloma
BOM coinvolgimento alla diagnosis, n (%)
IPI >= 2, n (%)
FLIP > 3, n (%)
Numero di precedenti regimi di chemioterapie alla
mobilizzazione, mediana (range)
>2
Regimi di mobilizzazione, n (%)
High Dose Ara-C
High Dose Cyclofosphamide
Other
Stato della malattia
Responsive
NO Responsive
All
Pegfilgrastim
Lenograstim
p
114
54 (15-74)
55
57 (15-74)
59
53 (16-73)
0.19
68 (60)
46 (40)
34
21 (46)
34
25 (54)
0,7
65 (57)
29 (45)
36 (55)
0.7
17 (15)
32 (28)
40 (48)
23/30 (77)
8/14 (57)
9 (53)
17 (53)
22 (55)
6
4
8 (47)
15 (47)
18 (45)
17
4
2 (1-8)
23 (20)
2 (1-6)
15
2 (1-8)
8
0.09
63 (55)
22 (19)
29 (25)
28 (44)
11
16 (55)
35 (56)
11
13 (45)
0.6
92 (81)
22
43 (47)
12 (54)
49 (53)
10 (46)
0.67
0.23
0.3
Tabella 2: dati sulla leucaferesi
N (%)
All
114
2 (1-3)
10
13 (9-24)
Pegfilgrastim
55
1 (1-3)
5
13 (10-19)
Lenograstim
59
2 (1-3)
5
13 (9-24)
Maximal peripheral blood
CD34+ count/microlitre
> 20
30.88 (1,13-492,5)
25 (3.62-492.5)
33.2 (1,13-367.2)
64 (71)
52
52
0.5
Conta GB alla 1° aferesi, median (range)
4525 (1000-49810)
5700 (1000-19700)
5330 (1000-49810)
0.5
6,03 (1.0-32.84)
70 (77)
86 (94)
25 (22.5)
5,0 (1.06-24.88)
31 (44)
44 (51)
9 (36)
6.81 (1.0-32.84)
39 (56)
42 (48)
16 (64)
0.02
0.6
0.1
Mediana delle procedure di aferesi
>2
Mediana giorno 1° aferesi
Mediana CD34+x106/kg
> 4 x106/kg
> 2 x106/kg
Poor mobilizers (<2CD34+x106/kg)
P
0.97
0.67
Tabella 3: Recupero ematologico e recupero di cellule CD3+, CD4+, CD8+ e CD56+
Recupero dei Neutrofili
> 0.5x 10 (e)9/litre
Recupero della conta piastrinica > 20x 10
(e)9/litre
Cellule CD3+
CD4+
CD8+
CD56+
Median time in Days (range)
Pegfilgrastim
Filgrastim
27
32
10 (8-21)
11 (7-29)
All
59 patienti
10 (7-29)
13 (8-43)
1240 (160-2915)
200 (60-1024)
840 (90-2730)
80 (20-748)
14 (9-43)
74 •
n.s.
13 (8-35)
Numero di cellule al giorno 90 dopo trapianto per microlitro (Range)
1240 (160-2090)
1470 (550-2915)
200 (60-560)
230 (100-1024)
840 (90-1140)
1130 (430-2730)
90 (20-250)
80 (40-748)
•
P
n.s.
n.s.
n.s.
n.s
Il protocollo TEAM (Thiotepa, Etoposide, Cytarabine, Melphalan):
un nuovo regime di condizionamento nei pazienti affetti da
Linfoma sottoposti a trapianto autologo di cellule staminali
emopoietiche
A.M. Carella(1), G.Palumbo(2), M.M. Greco(1), E. Merla(1), M. Dell’Olio(1), G. Pisapia(3), F. Ferrara(4),
P. Musto(5), A. Guarini(6), A. Iacobazzi(6), D. Pastore(7), F. Gaudio(7), P.Mazza(3), G. Specchia(7),
S. Capalbo(2), N.Cascavilla(1).
(1) IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza (San Giovanni Rotondo), (2) Ospedali Riuniti (Foggia), (3) Ospedale G. Moscati (Taranto),
(4) Ospedale Cardarelli (Napoli), (5) IRCCS CROB (Rionero in Vulture), (6) IRCCS Istituto Tumori (Bari), (7) Ematologia
Università (Bari)
Background: Negli ultimi anni, il regime di condizionamento BEAM (carmustina, etoposide, citarabina e melphalan) è stato
il più utilizzato nel trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche nei pazienti (pz) affetti da Linfoma di Hodgkin (LH) e
da Linfoma non Hodgkin (LNH) chemiosensibili. Nonostante la sua l’efficacia, tale associazione di farmaci risulta essere poco
vantaggiosa a causa delle presenza della carmustina, responsabile di elevata tossicità polmonare associata a fibrosi e progressiva
riduzione della capacità diffusiva.
Per poter prevenire la tossicità polmonare, in 39 pazienti affetti da LH e LNH, abbiamo sostituito nello schema di condizionamento
BEAM, la carmustina con il Thiotepa (TEAM). Lo scopo di questo studio è quello di valutare l’efficacia e la tollerabilità del nuovo
regime di condizionamento.
Pazienti: Al giorno -7, 39 pazienti hanno ricevuto Thiotepa 10 mg/Kg (5 mg per 2 volte ogni 12 ore), seguita da citarabina 200
mg/m2 /die (da -5 a -3), etoposide 200 mg/m2/die (da -5 a -3) e melphalan 140 mg/ m2 /die (giorno -2). Ventisei pz erano maschi
13 femmine e, di questi, 25 erano affetti da LNH e 14 da LH. Il tempo mediano intercorso dalla diagnosi al trapianto autologo è
stato di 24 mesi (range 5–108). Al momento del trapianto, soltanto 10 pazienti erano in seconda o successiva RC, 24 pz erano in
RP mentre 5 presentavano una progressione di malattia. Tutti i pazienti sono stati sottoposti in precedenza a due o più linee di
terapia. Quale fonte di CSE, 38 pazienti hanno ricevuto cellule staminali da sangue periferico (CSSP), un solo paziente ha ricevuto
midollo osseo (MO). La dose mediana di cellule CD 34+ infuse è stata di 5,6 x 106/Kg (range 3,65-15,6). In tutti i pazienti si è
ottenuto l’attecchimento. Il tempo mediano di recupero dei neutrofili > 500 e delle piastrine >20000 è stato rispettivamente di 10
(range 8-13) e 12 giorni (range 10-20). Un solo paziente (3%) è deceduto a causa di complicanze correlate al trapianto in seguito
ad un episodio infettivo severo. Ventuno pazienti hanno presentato episodi febbrili di origine sconosciuta, in 4 pazienti è stata
documentata la causa infettiva. La durata mediana del ricovero è stata di 23 giorni (range 18-42). Dei 36 pazienti valutabili, 10
pazienti hanno mantenuto la RC, 20 hanno raggiunto la RC, 1 pz presenta una condizione stabile di malattia e 5 pazienti non
hanno risposto al trattamento. Quattro pazienti in RC successivamente sono recidivati.
Dopo un follow-up mediano di 12 mesi (range 2-25) dal trapianto autologo, 35 pazienti (89%) sono vivi, di questi 26 (68%)
continuano a mantenere la RC.
Conclusioni: La nostra esperienza con il protocollo TEAM, ha dimostrato una significativa efficacia non inferiore alla nostra
storica esperienza con il protocollo BEAM. La tollerabilità è stata notevolmente accettabile e durante il trattamento, l’evento
avverso severo è stato documentato solo in un caso. La TRM a 100 giorni è stata del 3%. In nessun caso tuttavia la mucosite orale
è stata più severa del grado III, seppure alla maggior parte dei pazienti sia stata praticata la nutrizione parenterale totale. Non è
stato osservato nessun caso di tossicità d’organo (polmonare, epatica, cardiaca e renale). Alcuni pazienti con recidiva di malattia
successiva al trapianto autologo sono stati sottoposti a seconda procedura trapiantologica, tra cui il trapianto da donatore non
correlato ed il trapianto aploidentico. La ricostituzione ematologica, in seguito a stimolazione con G-CSF e G-CSF pegylato, è
stata raggiunta secondo quanto previsto e non è stato documentato alcun caso di neutropenia prolungata.
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UN NUOVO APPROCCIO PER LA DIAGNOSI DELLA GRAFT-VERSUS-HOST
DISEASE CRONICA SCLERODERMA-LIKE: DATI PRELIMINARI E IMPLICAZIONI
CLINICHE
E. Massara, M. Martino, G. Console, T. Moscato, G. Messina, G. Irrera, Rigolino C., M. Cannatà., Dattola
A., E. Spiniello, Cuzzola M., R. Fedele, Iacopino P.
Centro Unico Regionale Trapianti di Cellule staminali e Terapie Cellulari “A. Neri” Azienda Ospedaliera Bianchi Melacrino
Morelli. Reggio Calabria
La Graft-Versus-Host Disease Cronica (cGVHD) è la più importante e invalidante complicanza dopo trapianto allogenico di
cellule staminali emopoietiche (HSCT). Essa coinvolge prevalentemente la cute e i polmoni, determinando l’insorgenza di una
progressiva fibrosi, in modo del tutto analogo a quanto avviene nella sclerodermia sistemica (SS), malattia a genesi autoimmune,
legata a una disregolazione del sistema immunitario. Tale forma di cGVHD è stata appunto definita scleroderma-like. L’unica
indagine di conferma della cGVHD scleroderma-like è la biopsia dell’organo o del tessuto colpito.
Scopo dello studio. Diagnosi precoce della cGVHD scleroderma-like, utilizzando metodiche non-invasive – profili immuni
di espressione genica (GEP))e attivazione di tirosine intracellulari – al fine di avviare il trattamento farmacologico in una fase
iniziale e ancora reversibile della malattia.
Materiali e metodi. Il materiale genomico e il lisato proteico sono stati ottenuti da campioni di sangue periferico prelevati
ad un gruppo di 6 pazienti affetti da neoplasie ematologiche sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali da donatore
HLA-identico familiare(n = 5) o da registro MUD (n = 1). I campioni sono stati collezionati al momento della comparsa di
caratteristiche cliniche compatibili con una cGVHD scleroderma-like (2-4 anni post-HSCT) in epoca di pre (basale) e post
terapia.
L’analisi molecolare si basava sulla quantificazione relativa di 47 trascritti genici associati a funzioni immuni (Taqman ® Low
Density Array). Il controllo di confronto positivo era rappresentato da pazienti affetti dalla forma classica di sclerosi sistemica.
L’analisi delle tirosin-kinasi è stata condotta mediante Proteomic Array Map-K (R&D Systems).
Risultati. Tutti i campioni basali dei pazienti con cGVHD (confermata dalla biopsia cutanea o dai parametri di funzionalità
respiratoria) presentavano un pattern di espressione genica simile a quello riscontrato nella SS. Era possibile osservare l’upespressione dei geni implicati: (a) nel controllo immune dell’apoptosi e attivazione cellulare (BCL2A1, CASP6, CCL7, CXCL1,
CD52, CDCL9, FOS), (b) nella risposta Th1 (EGR1, EGR2, IFNGR2, IL2, IRF1, IRF8, IL1A), (c) nella pathway TNF FAS, IKBKB,
NFKB2), (d) risposta Th2 (IL10, IL4, IL6),e), Th17 e Treg (IL17A, IL7, FOXP3,). Abbiamo inoltre documentato anche un upregolazione di molecole con azione pro-infiammatoria (ICOS, SELP, SERPIN4, CD83, CD52) e coinvolgimento vascolare e della
matrice extracellulare (VEGF A, IL-8, adesine, MMPs).
Sia nei pazienti con cGVHD sia nel controllo con SS è stata osservata l’attivazione fosforilativa di Erk1/2). In maniera interessante,
nei pazienti trapiantati sottoposti a terapia con anti-tirosin Kinasi (Imatinib) non era più presente il segnale di attivazione.
Conclusioni. I risultati dello studio suggeriscono in via preliminare che l’analisi dei transcritti genici e dell’attivazione delle
tirosine intracellulari può essere un utile strumento per la diagnosi e il follow up della cGVHD scleroderma-like. In particolare,
appare possibile il disegno di uno studio prospettico sulla terapia pre-emptive nei pazienti che hanno una forma iniziale e subclinica di cGVHD, ma presentano i biomarker molecolari tipici della malattia.
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76 •
TRATTAMENTO DELLA RECIDIVA POST-ALLOTMO CON L’ ASSOCIAZIONE
IMATINIB + DLI IN UN GIOVANE PAZIENTE CON DIAGNOSI DI LMC Ph+ IN
FASE CRONICA: DESCRIZIONE DI UN CASO CLINICO.
Palazzo G, Pisapia G,, Stani L, Prudenzano A, Pricolo G, Mazza P.
Struttura Complessa di Ematologia, S.O. “S.G. Moscati”, ASL TA1 Taranto
Descriviamo un caso di un paziente di anni 14 con diagnosi di LMC fase cronica euro score basso nel 2001.
All’esordio leucocitosi 155.000, Hb 9.7 gr/ dl, PLt 250000, splenomegalia II grado.
Il paziente è stato quindi avviato a terapia citoriduttiva con oncocarbide ed è stata inoltre eseguita tipizzazione HLA con la fratria
risultando compatibile la sorella di anni 8.
In Ottobre 2002 il paziente è stato sottoposto a trapianto di midollo osseo allogenico HLA=DR=ABO diverso, A+ in 0+.
Condizionamento Bu (16) e CTX (120) e profilassi GVHD con MTX e CSA.
È stato reinfuso midollo osseo nella dose di CD34+ pari a 1.3x10^6/kg.
A sei mesi dal TMO il paziente presentava un chimerismo misto e la positività molecolare del trascritto bcr-abl, per cui è stata
sospesa rapidamente la ciclosporina; nonostante ciò persisteva il chimerismo misto e la positività molecolare, per cui sono stati
infusi linfociti del donatore pari a 1x10^7/ kg a 8 mesi dal TMO; dopo cinque mesi è stata ottenuta la negatività molecolare,
mentre il chimerismo è rimasto misto (95% donor.).
Dal 2001 al 2005 il paziente ha eseguito controlli ambulatoriali mostrando remissione ematologica, citogenetica e molecolare.
Nel Novembre 2006 è stata osservata ricomparsa di malattia con leucocitosi, positività citogenetica (FISH) e molecolare, per
cui è stato avviato a terapia con Imatinib 400mg/die interrotta dopo 5 mesi per comparsa di vescica neurologica, trattata
chirurgicamente.
Le rivalutazioni di malattia hanno evidenziato, dopo quattro mesi dalla sospensione dell’Imatinib, e di wash terapeutico, per
le complicanze, remissione ematologica ma non molecolare di malattia, per cui si eseguiva infusione di DLI 1x10^7/kg nel
Luglio 2007 ottenendo dopo un mese per la prima volta chimerismo full donor, e remissione completa di malattia ematologica,
citogenetica e molecolare.
A circa due anni e mezzo dalla recidiva il paziente è in remissione completa di malattia e mantiene chimerismo full donor.
Conclusioni: in seguito all’avvento della terapia con gli inibitori delle tirosin kinasi (TKIs),il trapianto di midollo osseo nella
leucemia mieloide cronica non e’ più la terapia indicata in prima linea, neanche nel paziente giovane.
Nel nostro caso l’associazione della immunoterapia (DLI) e di Imatinib, ci ha permesso di raggiungere e mantenere nel nostro
giovane paziente la remissione di malattia, non ottenuta all’inizio con l’uso singolo delle DLI; va quindi forse considerato il
vantaggio positivo della associazione DLI+TKI nel controllo della malattia nei giovani pazienti affetti da LMC in cui il solo
trattamento con gli inibitori forse non è in grado di guarire definitivamente il paziente.
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Recupero dei linfociti CD8+ specifici anti-CMV e delle cellule T
regolatorie dopo allotrapianto di cellule staminali periferiche
Pastore D, Delia M, Carluccio P, Mestice A, Ricco A, Leo M, Longo MC, Fesce V, Mongelli P, Mazzone AM,
Sgherza N, Russo Rossi A, Liso V, Specchia G.
Ematologia con Trapianto- Università di Bari-Bari
Il recupero dei linfociti T-specifici anti-citomegalovirus (CMV) è cruciale per la protezione verso il CMV nell’allotrapianto di
cellule staminali emopoietiche; nell’uomo è necessario il recupero di linfociti CD8+ anti-CMV per la protezione verso l’infezionemalattia da CMV. Inoltre il recupero delle cellule T regolatorie (CD4+CD25high Foxp3+) nel post-trapianto è fondamentale per il
ripristino della immunità adottiva. Lo scopo di questo studio è valutare il recupero delle cellule CD8+ anti-CMV specifiche e delle
cellule T regolatorie dopo allotrapianto di cellule staminali periferiche. Nello studio abbiamo valutato 60 pazienti sottoposti ad
allotrapianto di cellule staminali periferiche e abbiamo monitorato il recupero dei linfociti CD8+ specifici anti-CMV utilizzando
la tecnica dei tetrameri fluorocromo-coniugati utilizzando 5 tipi di tetrameri (HLA-A101, HLA-A201, HLA-B702, HLA-B801,
HLAB3501) in rapporto all’HLA del paziente. I pazienti sono stati trapiantati con cellule staminali periferiche allogeniche da
donatore familiare HLA compatibile (53 pazienti) o da donatore non familiare compatibile ( 7 pazienti); l’età mediana era 36
anni( range 18-61 anni) e la diagnosi era di leucemia acuta mieloide in 48 pazienti, di leucemia acuta linfoblastica in 8 pazienti,
di leucemia mieloide cronica in 3 pazienti e di mielofibrosi in 1 paziente. La mediana dei linfociti CD8+ specifici anti-CMV era
significativamente più alta nei pazienti senza infezione/malattia da CMV rispetto ai pazienti con malattia/infezione da CMV
a 1 mese (2 cellule/mcL vs 0 cellule;p=0.05), a 2 mesi ( 5 cellule/mcL vs 1, p=0.05 ), a 3 mesi (12 cellule/ mcL vs 2, p=0.03 ) e 6
mesi post-allotrapianto ( 22 cellule/mcL vs 3, p=0.03). La valutazione delle cellule CD8+ specifiche anti-CMV indica che 31/60
pazienti (51%) ricostituisce le cellule specifiche anti CMV a 2 mesi post-allotrapianto. L’infezione/malattia da CMV si è osservata
in 2/33 (6%) dei pazienti che avevano il recupero delle cellule CD8+ specifiche anti-CMV ma non avevano GvHD, in 4/27(14%)
dei pazienti con recupero dei CD8 anti-CMV ma con GvHD e in 23/27(85%) dei pazienti senza il recupero delle cellule CD8+
anti-CMV e con GvHD. Nella nostra esperienza si aveva una protezione anti-CMV con più di 5 cellule CD8+/mcL specifiche
anti-CMV. Inoltre abbiamo osservato una correlazione tra il recupero delle cellule CD8+ specifiche anti-CMV e delle cellule T
regolatorie (CD4/CD25 high) a 2 (p=0.05, r= 0.8) e 3 mesi (p=0.06, r= 0.7) post-allotrapianto. La mediana delle cellule T regolatorie
era significativamente più alta nei pazienti senza infezione/malattia da CMV che nei pazienti con infezione/malattia da CMV a
2 mesi (15/mcL vs 3/mcL, p<0.03) e 3 mesi ( 22 /mcL vs 6/mcL, p=0.05). Abbiamo osservato una GvHD acuta di grado II-IV
in 27/60 pazienti (45%); in analisi univariata, le cellule T regolatorie erano più alte nei pazienti senza GvHD rispetto ai pazienti
con GvHD (17 mcL vs 4 mcL, p=0.05). In conclusione nella nostra esperienza c’è una correlazione tra il recupero delle cellule
CD8+ specifiche anti-CMV e il recupero delle cellule T regolatorie post-trapianto allogenico; le cellule T regolatorie hanno un
effetto”protettivo” nei confronti della GvHD e hanno un effetto positivo sulla ricostituzione immunologica nel post-trapianto;
queste considerazioni supportano l’utilizzazione delle cellule T regolatorie come “immunoterapia“ post-allotrapianto di cellule
staminali emopoietiche.
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78 •
La COMPOSIZIONE DEL GRAFT COME FATTORE PREDITTIVO DI PRECOCE
ricostituzione dei linfociti t helper correla con l’outcome
clinico dei pazienti sottoposti a trapianto allogenico?
Fedele R., Dattola A., Garreffa C., Spiniello E., Console G., Moscato T., Messina G., Irrera G., Martino M.,
Massara E., Princi D., Cornelio G., Cutrupi G., Iacopino P.
Centro Unico Regionale Trapianti di Cellule staminali e Terapie Cellulari “A. Neri” Azienda Ospedaliera Bianchi Melacrino
Morelli. Reggio Calabria
In molti disordini maligni e non, il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche (CSE) è il trattamento di elezione.
Il successo della procedura è condizionato da molteplici fattori che dipendono dal ricevente e dalla sua malattia di base o dal
donatore. In particolare, ritardi nella ricostituzione immunologica dopo il trapianto hanno come conseguenza una maggiore
incidenza di complicanze infettive e recidive. A tal proposito, studi recenti hanno dimostrato che la conta dei linfociti T helper,
sia valutata a +3 mesi sia a +35 giorni dal trapianto, è predittiva dell’outcome clinico dei pazienti.
Il nostro Gruppo ha analizzato la conta dei linfociti CD4+ a un tempo mediano di 20 giorni dopo il trapianto allogenico in 99
pazienti con un lungo follow-up (mediana: 46 mesi) allo scopo di valutare se esiste una associazione tra tale conta e l’incidenza
della graft-versus-host disease acuta (GVHD), la sopravvivenza globale (OS), la mortalità da recidiva e la mortalità correlata al
trapianto (TRM). L’analisi univariata ha mostrato una significativa correlazione tra conta precoce dei CD4+ e OS (p=0.000) e
TRM (p=0.029), ma non tra CD4+ e incidenza della GVHD. La curva Roc ha individuato un cut-off pari a 115 cellule CD4+/
microl. Rispetto ai 47 pazienti che non hanno raggiunto tale valore soglia, i 52 pazienti con >115 cellule CD4+/microl hanno
mostrato una TRM cumulativa e una mortalità da recidiva significativamente più basse (p=0.0026 e p=0.0029, rispettivamente)
e una OS migliore (a 5 anni 77. + 6.5 % vs. 37.8 + 7.5 %, p=0.000). In analisi multivariata (Multivariate Cox analysis), il numero
delle CD4+ circolanti in fase precoce post-trapianto è stato il principale fattore predittivo dell’OS fra i diversi fattori inseriti
nel modello (tipo ed età del donatore, sesso ed età del ricevente, AB0 compatibilità, condizionamento, sorgente delle cellule
staminali, tipo e stato di malattia, GVHD)(Tabella 1).
La composizione del graft infuso è stata più volte studiata per valutarne l’impatto sulla sopravvivenza dei pazienti. Tuttavia, i
dati della letteratura concernenti l’effetto del numero delle cellule CD34+ infuse sull’OS sono controversi. Sono scarse, invece,
le informazioni che riguardano le sottopopolazioni linfocitarie, ove si escludano i trapianti T-depleti. Nel corso del meeting
saranno presentati i risultati di uno studio sulla composizione del graft – in termini di cellule CD34+, CD3+, CD4+, CD8+,
CD16+, CD56+ – condotto nello stesso gruppo di pazienti al fine di stabilire se la precoce ricostituzione immunologica può
dipendere da uno o più di tali parametri.
Tabella 1 – Multivariate Cox analysis for overall survival.
Risk factor
Circulating CD4+
Acute GvHD
Donor Type
AB0 compatibility
Conditioning
Cell Source
p-value
Hazard Ratios
0.012
0.025
0.028
0.083
0.432
0.652
2.686
0.303
0.407
0.491
0.753
1.198
•
79 •
Lower
1.241
0.107
0.183
0.220
0.371
0.547
95,0% CI
Upper
5.813
0.860
0.907
1.098
1.529
2.622
IL TRAPIANTO ALLOGENICO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE DA
DONATORE NON CORRELATO. ESPERIENZA MONOCENTRICA
A.M.Carella, M.M.Greco, E.Merla, L.Savino, G. Cappucci*, L. Di Mauro*, N.Cascavilla
Divisione di Ematologia e Centro Trapianti di Cellule Staminali Emopoietiche,
Servizio di Medicina Trasfusionale* – Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” IRCCS San Giovanni Rotondo
Nell’ultimo decennio buona parte dei progressi compiuti nella cura delle patologie oncoematologiche sono da attribuire alla
strategia trapiantologica che, grazie alle ricerche nel campo della tipizzazione del sistema HLA, delle fonti alternative di cellule
staminali, della terapia di supporto e del controllo della malattia da trapianto verso l’ospite, ha consentito di sconfiggere malattie
altrimenti letali in un’alta percentuale di pazienti Fino a pochi anni fa, la possibilità di effettuare un trapianto era vincolata
alla disponibilità di un donatore perfettamente compatibile nell’ambito familiare, evento che si verifica con una frequenza del
25% nei fratelli; questo ha comportato l’acuirsi del problema del reperimento dei donatori e, proprio per tale motivo, sono
stati creati Registri internazionali. La nascita di questi registri di donatori volontari ha permesso di rispondere alla richiesta di
un ulteriore 40% circa dei pazienti; sempre più frequentemente i pazienti che non dispongono di un donatore consanguineo
HLA-compatibile, vengono attivati ad una procedura trapiantologica che prevede l’uso di cellule emopoietiche da donatore non
consanguineo o alternativo.
Dal Luglio 2003 nella Divisione di Ematologia e Centro Trapianti di Cellule Staminali di San Giovanni Rotondo sono stati
eseguiti 32 trapianti allogenici di cellule staminali emopoietiche da donatore non correlato. Ad oggi le ricerche avviate sono state
108; di queste 70 si sono concluse e per 50 (71,4%) pazienti e stato individuato un potenziale donatore. Dei pazienti con donatore,
per 32 (64%) il programma trapiantologico programmato è stato realizzato. Il tempo mediano dall’inizio della ricerca al tempo
del trapianto è stato di 4,5 mesi (range 3-19).
I 32 pazienti avviati al trapianto MUD erano così suddivisi per patologia (Emopatie acute: 17; Emopatie croniche: 15). Rapporto
maschio/femmina = 18/14; età media 47 anni (range 17-60 anni). Dei 32 pazienti sottoposti a TMO MUD, 15 (47%) avevano
eseguito una o più procedure trapiantologiche (14 autotrapianti e 1 trapianto allogenico). L’età mediana dei donatori è stata
di 35 anni (range 22-52 anni). I donatori appartenevano al registro italiano (n. 13), al registro tedesco (n. 10) al registro USA
(n.6), al registro canadese (n.1), al registro francese (n. 1); le cellule staminali cordonali provenivano dalla banca cordonale di
Sidney (Australia). In 9, 22 e in 1 paziente la fonte di cellule staminali è stata rappresentata rispettivamente da midollo osseo,
sangue periferico e sangue cordonale. Le cellule staminali infuse in 6 pazienti di sesso maschile provenivano da donatore di sesso
femminile.
La terapia di condizionamento ha previsto l’impiego della TBI associata a chemioterapia in 22 pazienti, prevalentemente affetti da
leucemia acuta. I restanti 10 pazienti hanno ricevuto solo chemioterapia; 6 pazienti sono stati sottoposti a trapianto ad intensità
ridotta.
Per la profilassi della GVHD è stata impiegata Timoglobulina o ATG Fresenius in associazione a Ciclosporina, Methotrexate
e/o Micofenolato Mofetile. La profilassi anti-infettiva comprendeva: Fascavir, Amikacina, Ceftazidime, Cotrimossazolo e
Fluconazolo. Una mucosite di grado WHO 2-3 e grado 4 è stata osservata rispettivamente in 27 e 5 pazienti: tutti sono stati
sottoposti a trattamento analgesico e NPT. Sono state documentate 5 (15%) cistiti emorragiche BK virus positive, trattate con
iperidratazione e Cidofovir. In due pazienti con GVHD acuta si è documentata una PTT; in un caso questa complicanza è stata
irreversibile. Non si sono avuti casi di VOD. In un solo paziente si è documentato il mancato attecchimento, nei 31 casi restanti,
invece, l’attecchimento si è verificato nei primi 30 giorni dal trapianto, lo studio del chimerismo è stato eseguito con tecnica
“short tandem repeat” con sequenziatore automatico 3130 Applyed Biosystem.
La mortalità peritrapiantologica è stata complessivamente del 25% (8 pazienti). Le cause sono state le seguenti: 6 pazienti per
GVHD acuta di grado WHO 3-4 associata ad infezioni e/o PTT, 1 per scompenso cardiaco acuto, 1 per GVHD cronica epatica e
cutanea estesa. Sei (19) pazienti hanno sviluppato una GVHD cronica moderata
In 7 pazienti è stata osservata una recidiva dell’emopatia di base: di questi 6 sono deceduti per progressione di malattia.
A tutt’oggi 17 pazienti (53%) sono viventi, di cui 16 (50%) in Remissione Completa con una sopravvivenza mediana di 14 mesi
(range 3-57).
In conclusione il Trapianto MUD rappresenta una valida alternativa nei pazienti con emopatia ad alto rischio privi di donatore
nella fratria. Nella nostra esperienza la possibilità di un trapianto MUD in tale set di pazienti è pari ad oltre il 60% nel caso di
esistenza di un potenziale donatore nei registri. Complessivamente a 4,5 mesi dall’inizio della ricerca 32 pazienti su 70, pari al
45% dei pazienti, ha avuto nel nostro Centro una chance trapiantologica con una long-term survival ragguardevole. Il trapianto
ad intensità ridotta (mini MUD) inoltre ha permesso la procedura terapeutica anche a pazienti con età fino a 60 anni, con
comorbidità e che avevano fallito un precedente procedura trapiantologica, considerando che, specie nei pazienti sottoposti a
tale procedura, l’età ed il carico terapeutico precedente, compreso una o più procedure trapiantologiche non hanno influenzato
l’incidenza di GVHD, la safety, la compliance complessiva e la sopravvivenza globale.
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80 •
Monitoraggio quantitativo del WT1 in pazienti con Leucemia
acuta mieloide sottoposti a trapianto di cellule staminali
emopoietiche
Tringali S *, Santoro A *, Indovina A,* Agueli C*, La Rosa M *, Cavallaro AM,* Bica M *, Messana F*,
Milone G^, Mauro E^, Scimè R
* Ematologia con Trapianto A.O V. Cervello, Palermo. ^ Divisione clinicizzata di ematologia A.O Ferrarotto Catania.
L’overespressione di WT1 è stata descritta in molte neoplasie ematologiche incluso le leucemia mieloide acuta (LAM). L’analisi
quantitativa del WT1 nei campioni di sangue midollare è risultata utile come marker di malattia minima residua (MRD) e può
essere predittiva di ricaduta dopo un trapianto di cellule staminali emopoietiche (CSE) allogeniche o dopo trapianto autologo.
Materiali e metodi: abbiamo monitorato l’andamento dell’espressione di WT1 in 30 pazienti affetti da LAM sottoposti a trapianto
di CSE. L’età mediana era 38 anni (range 14-61), 16 erano maschi 14 femmine. Lo stato di malattia al trapianto era RC1 in 27,
mentre 2 erano in ricaduta e 4 in RC2. Complessivamente 17 pazienti ricevevano un trapianto allogenico mieloablativo di cui 5
da donatore VUD e 1 da sangue cordonale, 1 paziente riceveva un trapianto aploidentico e 13 un trapianto autologo. L’analisi di
WT1 veniva eseguita alla diagnosi, al trapianto ed a precisi follow-up nel periodo post-trapianto. Alla diagnosi i valori di WT1
erano elevati in tutti i casi con una mediana di 12550 copie WT1/104 ABL1 ( range di 500- 86000 ). Nel successivo follow-up in tutti
i pazienti si osservava una rapida riduzione dei livelli di WT1, che veniva mantenuta nei pazienti che rimanevano in remissione
ematologica continua (CCR ). Otto pazienti (26%) ricadevano (due in sedi extramidollari)ed in tutti era possibile rilevare un
aumento del WT1 almeno due mesi prima della ricaduta di malattia. Alla ricaduta due pazienti ricevevano un nuovo trapianto,
1 paziente riceveva solo RT sulla sede di ricaduta extramidollare, ed 1 paziente chemioterapia di salvataggio. Quattro pazienti
morivano per progressione di malattia. Nei 2 pazienti sottoposti a trapianto allogenico si osservava un nuova riduzione dei livelli
di WT1 in coincidenza della comparsa di GVHD. In conclusione nella nostra esperienza abbiamo trovato una concordanza
fra i livelli di WT1 (misurati con RT-PCR quantitativa ai vari tempi di follow up ) e lo stato di malattia dopo il trapianto.
WT1 può quindi essere considerato un marcatore utile per il monitoraggio della MRD ed è predittivo di ricaduta nelle AML.
Attraverso la sua determinazione continua nel setting allogenico possono essere programmati interventi di immunomodulazione
( sospensione di ciclosporina infusione di linfociti allogenici) mentre nel setting autologo possono essere rapidamente attivate
procedure alternative
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81 •
IMPLEMENTAZIONE DI UN SISTEMA DI CONTROLLO DI QUALITÀ INTERNO
NEL MONITORAGGIO DEL PROCESSO DI PRODUZIONE UNITÀ HPC-CB
CRIOPRESERVATE
Marcuccio D., Pucci G., Pontari A., Bova I., Cuzzola M., Dattola A., Garreffa C., Surace R., Scaramozzino
P., Spiniello E., Iacopino P.
Calabria Cord Blood Bank, Centro Unico Regionale Trapianti di Cellule staminali e Terapie Cellulari “A. Neri” Azienda Ospedaliera
Bianchi Melacrino Morelli. Reggio Calabria
Premessa: Il Sistema Gestione Qualità (SGQ) del Centro Unico Regionale Trapianti Cellule Staminali (CTMO) e della Calabria
Cord Blood Bank (CCBB) dell’Azienda Ospedaliera “Bianchi-Melacrino-Morelli” di Reggio Calabria è stato certificato secondo
la norma 9001:2000 nel Settembre 2007.
La standardizzazione del processo di produzione delle unità di Hemopoietic Progenitor Cells-Cord Blood (HPC-CB) rientra tra
gli obiettivi definiti nella Politica di Qualità al fine di garantire l’efficacia clinica per i pazienti. Obiettivo del lavoro è definire un
controllo di qualità interno (CQ) delle unità HPC-CB che rappresenti uno strumento utile per il monitoraggio del processo di
produzione.
Metodi: Dal Giugno 2008 a Dicembre 2008 n°68 unità di sangue cordone ombelicale (SCO) stoccate presso la Calabria Cord
Blood Bank sono state valutate utilizzando campioni di riferimento criopreservati insieme alle stesse e destinati al controllo
interno. Abbiamo implementato un protocollo per il CQ sul campione scongelato che prevede:
– misurazione dei WBC mediante contaglobuli Dasit KX21 e il calcolo della previsione di resa delle Total Nucleal Cells (TNC)
allo scongelamento;
– determinazione della vitalità cellulare utilizzando metodiche citofluorimetriche (7 AAD) e microscopiche tramite colorazione
vitale con Trypan Blue;
– determinazione delle cellule CD34+ mediante citometria a flusso con apparecchiatura BD FACS Calibur e anticorpi
monoclonali Becton Dickinson;
– coltura dei progenitori emopoietici su terreno semisolido di meticellulosa (Stem Cell Technologies Methocult H4434 e
H4534) seminando una concentrazione di 50.000 WBC/ml di terreno, in piastre da 24 pozzetti;
– ricerca microbiologica per aerobi, anaerobi e miceti.
I risultati di questi test vengono confrontati con gli stessi parametri valutati sul campione pre-congelamento.
A garanzia dell’affidabilità della metodica, il CTMO partecipa ad un programma di VEQ gestita da UKNEQAS (National External
Quality Assurance Scheme).
Risultati: Elevato è stato il recupero delle TNC, pari all’88%.
Il 98% dei campioni presenta una vitalità compresa tra il 74 e il 94%.
Il recupero delle cellule CD34+ vitali è stato 82%, mentre per le CFU-GM è stato pari al 76%.
Tutti i test microbiologici sono risultati negativi.
Conclusioni: Obiettivo fondamentale del SGQ del CTMO-CCBB è garantire la qualità delle unità di SCO riservate a pazienti
ematologici con indicazione trapiantologica.
Per avere sempre sotto controllo le varie fasi del processo di produzione, l’esecuzione di questi semplici test permette di
quantificare la resa cellulare delle unità post-scongelamento.
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82 •
IRCCS – CROB
Rionero in Vulture (PZ)
Azienda Ospedaliera
San Carlo – Potenza
Azienda Sanitaria Locale
Matera
Regione
Basilicata
Corso di Nursing
in Ematologia
Coordinatore: Attilio Olivieri
Matera, 12 Settembre 2009
Hotel Hilton Garden Inn
ACCREDITAMENTO, PROTOCOLLI E PROCEDURE:
ASPETTI METODOLOGICI
Carmela Lucia
Caposala nel reparto di Ematologia con sezione BCM, DH, DH trapiantati dell’Ospedale San Carlo di Potenza
Questo lavoro è parte della prima sessione infermieristica. Le grandi problematiche assistenziali e sistemi di qualità in ematologia
Ogni centro trapianto deve essere accreditato,e deve garantire qualità. e rispondere alla domanda di sicurezza dei pazienti,
familiari, dell’intera società. Questo si ottiene coniugando pratica clinica al rigore scientifico.
Naturalmente tutto ciò rispettando le normative di riferimento a livello europeo.
Spiegherò come il nostro centro lavora per essere accreditato GITMO e JACIE.
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PRESCRIZIONE E SOMMINISTRAZIONE DELLA TERAPIA OSPEDALIERA:
L’ADOZIONE DELLA SCHEDA UNICA DI TERAPIA NEL NOSTRO CENTRO
Roberta Di Mare
U.O. Ematologia, Azienda Ospedaliera Regionale S. Carlo, Potenza
La prescrizione e la somministrazione dei farmaci sono atti che coinvolgono direttamente la competenza e la responsabilità di
medici ed infermieri. Si tratta dell’attività che più frequentemente viene svolta all’interno delle strutture sanitarie. In Italia negli
ultimi anni si sta promuovendo, a vari livelli, la prevenzione degli errori nella prescrizione dei farmaci. Nel 2007 il Ministero della
Salute ha posto le indicazioni per contenere gli errori nella terapia farmacologica operata negli ospedali, che risultano essere al
primo posto tra i dieci eventi sentinella più pericolosi. Di qui la promozione, nell’ambito delle iniziative regionali per la gestione
del rischio clinico, della Scheda Unica di Terapia (SUT).
Dopo aver constatato che ormai in quasi tutte le grandi aziende ospedaliere esiste un “foglio” o “scheda” unica di terapia, anche
noi medici e infermieri del reparto di ematologia di Potenza, abbiamo deciso di “inventarci” la nostra SUT e sperimentarne l’uso
per un periodo predefinito. I nostri sforzi sono volti al miglioramento delle procedure sia per garantire una buona assistenza agli
utenti, sia in vista della futura gestione informatizzata del ricovero e del processo terapeutico.
Le caratteristiche della nostra SUT giornaliera sono principalmente due, ossia:
– la compilazione da parte del medico riguardante la prescrizione e i dati anagrafici del paziente viene eseguita elettronicamente
– la scheda racchiude in un unico foglio A4 formato fronte/retro, la terapia delle 24 ore ed i parametri vitali insieme alle
informazioni rilevanti ai fini della terapia e dell’assistenza ( es. digiuno, esecuzione di alcuni esami diagnostici).
In questo modo vengono eliminati alcuni rischi di errori all’interno del processo terapeutico, ad esempio la trascrizione dalla
cartella clinica medica alla cartella infermieristica, infatti è opinione comune che gli errori di trascrizione/interpretazione sono i
più diffusi all’interno delle unità operative che utilizzano ancora metodi di prescrizione tradizionali piuttosto che informatizzati.
In particolare, l’uso del computer per la compilazione della SUT, ha come punti di forza la chiara identificazione del paziente, la
chiara identificazione del farmaco, dosaggio e indicazione della avvenuta somministrazione, nella chiara via di somministrazione,
nella programmazione della terapia, nella completa rintracciabilità. Inoltre la nostra SUT giornaliera prevede in riquadro per
eventuali annotazioni, da compilare in caso di modifiche o problemi rilevanti che riguardano la terapia, come ad esempio le
reazioni avverse. Infatti spesso ci si dimentica del fatto che gli infermieri sono tenuti a segnalare, al pari dei medici, tutte le
sospette reazioni avverse gravi o inattese di cui vengono a conoscenza nell’ambito della propria attività. La segnalazione deve
essere fata attraverso una apposita scheda al responsabile di farmacovigilanza della struttura di appartenenza, che provvederà, a
sua volta, alla comunicazione a livello nazionale. Ciò che possiamo dire è che l’impatto organizzativo e le difficoltà rispetto alla
novità rappresentata dalla SUT sono stati di notevole importanza, sia perché medici ed infermieri usavano finora documenti
distinti per prescrivere e somministrare farmaci, sia perché l’eliminazione della prescrizione “a penna” o “a voce” comporta
un rivoluzionamento dei tempi e delle modalità di lavoro all’interno dell’unità operativa. Nel complesso la SUT è stata valutata
positivamente dal personale, ma necessita un periodo molto più lungo di sperimentazione per il consolidamento di questa nuova
metodica di prescrizione.
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LA GESTIONE DELLE COMPLICANZE PRECOCI
POST-TRAPIANTO ALLOGENICO
Michele Schinco
Cattedra Ematologia, Policlinico, Bari
Negli ultimi venti anni il trapianto di midollo è passato dall’essere un ultimo disperato esperimento a una terapia ben consolidata
per trattare e guarire numerose malattie.
Nel 1977 erano poco più di un centinaio i pazienti trapiantati in tutto il mondo; nel 1993 avevano superato le decine di migliaia
i pazienti che si erano sottoposti al trapianto in più di 250 centri in 40 nazioni.
Attualmente pazienti affetti da leucemia, linfoma, tumori solidi in stato avanzato, gravi forme di anemia aplastica, alcune forme
di immunodeficienza e anomalie genetiche dispongono di un’altra possibile cura che offre innumerevoli possibilità di guarigione.
Questa mia relazione vuole, per quanto possibile, spiegare le più importanti problematiche e complicanze precoci nei pazienti
sottoposti al trapianto allogenico di midollo.
Complicanze che comprendono: il rigetto del midollo trapiantato da parte dell’ospite, la GVHD acuta e le infezioni.
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GESTIONE INFERMIERISTICA NEL TRAPIANTO DEI LINFOCITI DEL DONATORE
A 3 MESI DAL TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO
A. Casarola
Ematologia, Azienda Ospedaliera SS Annunziata, Taranto
OBIETTIVI:
RIDURRE I RISCHI DI RECIDIVA E DI PERDITA DELL’IMMUNITÀ DEL MIDOLLO OSSEO TRAPIANTATO
INDICAZIONI PER IL TRAPIANTO DEI LINFOCITI DEL DONATORE:
CONVERSIONE DEL CHIMERISMO DA MISTO A FULL
COS’È IL TRAPIANTO ALLOGENICO DI MIDOLLO OSSEO
È ormai accettato il fatto che la guarigione dalla leucemia si compie non tanto per la chemioterapia/ radioterapia alla quale
il paziente viene sottoposto prima del trapianto, ma per effetto chiamato GRAFT VERSUS LEUKEMIA (trapianto verso la
leucemia) esercitato dal midollo trapiantato sulle cellule leucemiche dell’ospite.
L’effetto è mediato dai Linfociti del donatore infusi con il midollo: se tali linfociti vengono rimossi il rischio di ricaduta aumenta.
Questa dimostrazione ha aperto o meglio riaperto la strada per gli studi di “immunoterapia” delle leucemie: se infatti la GvL esiste
allora e’ possibile curarla con i linfociti.
La selezione cellulare è sempre più frequente: già oggi possiamo usare progenitori emopoietici (CD34+) per il trapianto, linfociti
(CD3+) per la profilassi e la terapia della recidiva leucemica, cloni di linfociti ( CD8+) specifici per la profilassi e terapia della
infezione da citomegalovirus.
REINFUNZIONE DEI LINFOCITI DEL DONATORE A TRE MESI DAL TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO
IN RECIDIVA DI MALATTIA (leucemia mieloide acuta)
Ottime sono oggi le probabilità di debellare queste malattie ma ancora tanti sono i casi di RECIDIVA della malattia a pochi mesi
dal trapianto.
Le probabili cause sono:
1. Mini Trapianto di Midollo Osseo a basso condizionamento
2. Scarso attecchimento (dopo tre mesi il paziente presenta un chimerismo misto)
3. Infezione da citomegalovirus persistente (che non risponde a terapia antivirale specifica)
Alla recidiva sospendere immediatamente la Ciclosporina, il paziente viene sottoposto a ulteriori trattamenti chemioterapici la
cui tipologia e la posologia verranno individuati a seconda della percentuale di blasti presenti.
Se la quota si aggira tra il 5-8% verranno somministrati terapie tipo gli “ anticorpi monoclonari”
e a remissione completa, reinfusione dei Linfociti precedentemente prelevati dal donatore…
La donazione dei Linfociti
Nel caso della donazione dei Linfociti il donatore viene contattato e informato, se accetta di donare viene sottoposto ad una serie
di accertamenti.
Il procedimento e analogo a quello per il prelievo delle piastrine non occorre nessuna stimolazione midollare con il fattore di
crescita GCSF come nel prelievo delle cellule staminali periferiche.
Il donatore viene collegato ad una macchina per la separazione dei linfociti dal sangue.
Gli viene inserito un ago in ogni braccio e il sangue viene prelevato da una parte, fatto circolare nella macchina che ne estrae i
linfociti e quindi reinfuso dall’altra parte.
Il procedimento non è doloroso e non è necessario né ricovero né altro.
Occasionalmente può provocare lievi giramenti di testa, sensazione di freddo, intorpidimento intorno alle labbra o crampi alle
mani durante la procedura che dura in genere 3h.
Modalità di preparazione e conservazione dei Linfociti
I Linfociti vengono conservati a bassissime temperature (-35C°) in Azoto liquido e preparate, in apposite sacche o provette a
seconda delle quantità stoccate, con dimetilsuffossido.
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Interventi Infermieristici durante il trapianto dei Linfociti
1.Informare il paziente sulla procedura
2.far firmare il consenso alla procedura
3.comunicare al paziente la possibilità di reazioni allergiche: rossore, prurito etc
4.durante la procedura il paziente dovrà eseguire profonde espirazioni in quanto il dimetilsuffosido è altamente volatile, e ciò
ne limita i danni epatici
5.dopo aver “scongelato” i Linfociti reinfonderli rapidamente per salvaguardarne la vitalità,
6.premedicare la reazione allergica da dimetilsuffosido con antistaminici e/o cortisonici
7.dopo la reinfusione monitorizzare per le ore successive:
— Pressione Arteriosa ( per l’azione vasodilatatrice del dimetilsuffosido),
— Frequenza Cardiaca,
— Diuresi (per controllare eventuali emolisi in atto)
— Monitoraggio delle transaminasi
Altrettanto importante saranno i controlli successivi per la gestione della GVHD che si potrebbe presentare nel post trapianto
dei Linfociti:
1. DIARREA
2. LESIONI DELLA MUCOSA ORALE
3. FEBBRE etc.
Valutare attraverso le VNTR il chimerismo se ancora misto o se full
Continuare nelle successive somministrazioni dei Linfociti secondo il calendario e/o a seconda della clinica del paziente (segni
di GRAFT).
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IL DAY HOSPITAL ONCO-EMATOLOGICO: UN’ ESPERIENZA INFERMIERISTICA
A. Laforgia
UO Ematologia e Centro Trapianti, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza, S. Giovanni Rotondo (FG)
La gestione del paziente onco-ematologico rappresenta, senza ombra di dubbio, una delle aree dell’assistenza infermieristica
più impegnativa sia se svolta in ambito ospedaliero, sia in ambito territoriale, e richiede professionalità e competenza. Da
qualche anno a questa parte le norme che regolano il funzionamento del Servizio Sanitario, sia a livello nazionale che regionale,
richiamano sempre con maggiore frequenza concetti di ”qualità”, ”appropriatezza”, ”efficacia” ed “efficienza”.
Nasce dunque, non solo per dettati legislativi, ma anche come necessità sentita dai professionisti, l’esigenza di migliorare i livelli
di capacità di lettura e di risoluzione dei bisogni di salute dei cittadini.
Tutto questo avviene in un contesto demografico che è cambiato notevolmente con l’innalzamento dell’età media, in un contesto
sociale che mette a disposizione meno risorse per la cura dei suoi cittadini, e in un contesto professionale, caratterizzato dall’alta
specializzazione e dalla multidisciplinarietà, dove facilmente il lavoro infermieristico viene frazionato per compiti, e dove la
continuità assistenziale è si garantita sulle 24 ore, ma da infermieri diversi, il rischio che si corre è quello di non riuscire a
rispondere in maniera adeguata alla complessità dei bisogni di assistenza della persona.
Nasce quindi la necessità, e. soprattutto, in campo onco-ematologico, di sviluppare modelli professionali nuovi, che diano
risposte adeguate, che mirino ad approfondire il livello di comprensione e di lettura dei bisogni, coordinando ed organizzando
risposte soddisfacenti, in una logica di presa in carico della persona.
Tutto questo è, e deve essere possibile anche in un accesso di Day Hospital che si esaurisce in poche ore.
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IL PAZIENTE ANZIANO FRAGILE: VALUTAZIONE E OPZIONI ASSISTENZIALI
IN EMATOLOGIA
Anna Traficante
UO Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali, IRCCS, Centro di Riferimento Oncologico di Basilicata, Rionero in Vulture (PZ)
L’aumento della durata della vita è un eccellente traguardo, ma non ha eliminato una caratteristica sempre presente
nell’invecchiamento: anche se aumenta “l’aspettativa di vita attiva”, al termine di questa vi è un periodo di non buona salute e di
malattie croniche, spesso di non autosufficienza.
Per effetto di questo processo di invecchiamento è inoltre presente una sottopopolazione a “rischio” che merita particolare
attenzione: sono gli anziani “fragili”, persone di età avanzata, cronicamente affetti da multiple patologie, con stato di salute
instabile, frequentemente a rischio di disabilità e di rapido deterioramento della salute e dello stato funzionale.
Pertanto, il paziente anziano che arriverà in una Divisione di Ematologia, quasi sempre vi approda in una condizione di polipatologie ed il più delle volte si tratta di malattie croniche degenerative. Più di un terzo dei pazienti che afferiscono al ns. Centro ha
una età >70 anni. Questa categoria di pazienti risulta generalmente affetta dalle più comuni patologie neoplastiche ematologiche,
in particolare mielomi, linfomi, leucemie acute, mielodisplasie ed altre sindromi linfo e mieloproliferative croniche.
L’accoglienza presso il nostro Centro è articolata in diverse fasi. Vi è un primo approccio che riguarda il personale infermieristico,
deputato alla raccolta dati ai fini amministrativi, nei quali si evidenzia anche il contesto sociologico dell’individuo; poi segue una
raccolta di informazioni inerenti lo stato poli-patologico del paziente al fine di soddisfare i bisogni immediatamente manifestati.
Tali informazioni vedono in genere coinvolti i familiari, ma non è raro che il paziente stesso viva da solo o sia ospitato in strutture
protette, rappresentando questo un ulteriore elemento di difficoltà. La fase successiva è rappresentata dal colloquio medicopaziente, ai fini diagnostico- terapeutici; infine vi è un interscambio di informazione tra medico ed infermiere. Di fondamentale
importanza è l’instaurare da subito un rapporto di fiducia con il paziente anziano e fornire un adeguato supporto psicologico,
rassicurandolo e fornendogli tutte le informazioni necessarie.
In generale, la corretta modalità di approccio è rappresentata dalla “valutazione multidimensionale” definendo come tale un
procedimento diagnostico pluri-disciplinare, finalizzato alla valutazione globale dell’anziano. In particolare devono essere
valutate:
• • • • • Le condizioni cliniche, l’autonomia e le eventuali co-morbidità;
Lo stato funzionale dei vari organi e apparati;
Le capacità cognitive;
Le componenti psico-affettive;
Le condizioni sociali, economiche ed ambientali.
Questo tipo di valutazione, preferibilmente condotta utilizzando scale geriatriche “ad hoc”, consente di individuare le specifiche
necessità assistenziali dei singoli pazienti nel corso della loro permanenza in Reparto o durante gli eventuali successivi accessi in
Day-Hospital. Vengono altresì individuati i pazienti particolarmente fragili (“unfit” della letteratura anglosassone), per i quali
non sono ipotizzabili approcci terapeutici convenzionali, ma solo adeguata palliazione e supporto.
D’altro canto, vengono anche definiti i parametri per i pazienti che, a dispetto dell’età e della condizione ematologica specifica,
evidenziano condizioni generali eccellenti (pazienti “fit”), che ne consentono l’inserimento in piani terapeutico-assistenziali più
impegnativi, eventualmente anche attraverso la partecipazione a trials clinici. In sede di Convegno verranno presentati esperienze
relative alle problematiche descritte.
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LE IMPLICAZIONI PSICOSOCIALI NEL PAZIENTE ONCOEMATOLOGICO
Letizia Raucci
Psicologa volontaria nei reparti di Ematologia dell’Ospedale S. Carlo di Potenza.
• Reazioni emozionali alla malattia, alla diagnosi e alle terapie
• Disagio e disturbi psichicidel paziente oncoematologico
• Aspetti terapeutici
Tutti i passaggi sopraccitati verranno relazionati nel contesto della U.O. di Ematologia dell’Ospedale S. Carlo di Potenza facendo
riferimento alle esperienze vissute con i pazienti del reparto.
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Comitato Organizzatore e Scientifico
Pellegrino Musto
Attilio Olivieri
Alberto Fragasso
IRCCS, Centro di Riferimento
Oncologico della Basilicata,
Rionero in Vulture
Azienda Ospedaliera
S. Carlo,
Potenza
Ospedale
Madonna delle Grazie,
Matera
IRCCS – CROB
Rionero in Vulture (PZ)
Azienda Ospedaliera
San Carlo – Potenza
Azienda Sanitaria Locale
Matera
Regione
Basilicata
Incontro Annuale
delle U. O. di Ematologia
e Centri Trapianto
dell’Italia Meridionale e Insulare
Presidente: Pellegrino Musto
Matera,
10 - 12 Settembre 2009
Hotel Hilton Garden Inn
Segreteria Organizzativa
Corso di Nursing in Ematologia
Via Salvatore Matarrese, 47/G – 70124 Bari
Tel. 080.5045353 Fax 080.5045362
[email protected]
Coordinatore: Attilio Olivieri
Matera, 12 Settembre 2009
Hotel Hilton Garden Inn
VOLUME ABSTRACTS