INDICE PRIMA PARTE: ASPETTI GENERALI 1 INTRODUZIONE………………………………………………….3 2 1.1 HIV: IDENTIFICAZIONE 3 1.2 HIV:CLASSIFICAZIONE 4 MORFOLOGIA E STRUTTURA DEL VIRIONE………………7 2.1 STRUTTURA DEL VIRIONE 7 2.2 STRUTTURA ED ORGANIZZAZIONE DEL GENOMA VIRALE 9 2.2.1 Long terminal repeat 2.2.2 Geni strutturali 2.2.3 Geni regolatori 2.2.4 Geni accessori 2.3 11 13 14 15 ENV 17 2.3.1 La gp120 o dominio SU 2.3.2 La gp41 o dominio TM 2.3.3 Variabilità del gene env e del dominio V3 3 4 CICLO REPLICATIVO…………………………………………..28 3.1 ADSORBIMENTO E PENETRAZIONE 28 3.2 35 SINTESI ED INTEGRAZIONE DEL DNA VIRALE 3.3 ESPRESSIONE E REGOLAZIONE DEI GENI VIRALI 37 3.4 38 ASSEMBLAGGIO E LIBERAZIONE DEL VIRUS PATOGENESI E STORIA NATURALE DELL’INFEZIONE...39 4.1 SINTESI DEL DECORSO DELL’ INFEZIONE DA HIV 4.1.1 4.1.2 4.1.3 4.1.4 5 20 22 23 Infezione primaria Fase di latenza clinica Progressione della malattia: AIDS conclamato Soggetti lungo sopravviventi 41 41 42 43 45 TERAPIA E CONTROLLO……………………………………..48 5.1 FARMACI ANTIVIRALI 48 5.2 RESISTENZE AI FARMACI 50 5.3 INIBITORI DELL’ENTRY 53 1 SECONDA PARTE: SPERIMENTAZIONE ESEGUITA E RISULTATI DELLA RICERCA 6 RAZIONALE DELLO STUDIO…………………………………..54 7 MATERIALI E METODI…………………………………………57 7.1 COSTRUZIONE DEL VETTORE pNLmodΔV3GFP 57 7.2 ORIGINE DELLE REGIONI V3 59 7.3 SEQUENZIAMENTO DIRETTO DELLE REGIONI V3 60 7.4 CLONAGGIO MOLECOLARE DELLE REGIONI IN pNLmodΔV3GFP 63 7.5 SEQUENZIAMENTO DELLE CHIMERE VIRALI 65 7.6 COLTURE CELLULARI 65 7.7 TRASFEZIONI 66 7.8 PRIMERS OLIGONUCLEOTIDICI 69 8 RISULTATI…………………………………………………………71 8.1 CARATTERISTICHE DEI PAZIENTI 71 8.2 VALIDAZIONE DEL SAGGIO UTILIZZATO PER IL CLONAGGIO DI SEQUENZE V3 IN pNLmodΔV3GFP 72 8.3 CONFRONTO TRA SAGGIO FENOTIPICO HOME BREW ED ESTA 73 8.4 VALUTAZIONE DEL TEST GENOTIPICO GENO2PHENO 74 8.5 CAPACITA’ REPLICATIVA DELLE VARIANTI VIRALI CLONATE 77 8.6 ANALISI FILOGENETICA DELLE SEQUENZE VIRALI 79 9 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI………………………….80 10 BIBLIOGRAFIA……………………………………………...90 2 1 INTRODUZIONE 1.1 HIV: Identificazione L’HIV (Human Immunodeficiency Virus) (1, 2) è un retrovirus T-linfotropico citopatico appartenente al genere dei Lentivirus. E’ stato isolato per la prima volta nel 1983 dai linfociti del sangue periferico di un paziente affetto da linfoadenomegalia, ed è il virus responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS), malattia riconosciuta come entità clinica già nel 1981 (3). Attualmente risultano infettati milioni di soggetti in tutto il mondo; una volta acquisita l’infezione, l’individuo rimane siero positivo per tutta la vita e se non sottoposti ad adeguati trattamenti, quasi tutti i soggetti nel giro di un decennio vanno incontro ad infezioni opportunistiche letali, a causa delle carenze indotte dal virus a carico del sistema immunitario. L’AIDS rappresenta, all’inizio del 3° millennio, uno dei più importanti problemi di salute pubblica in tutto il pianeta. L’epidemia globale da HIV è il risultato di un infezione cross-specie avvenuta in alcuni individui della popolazione dell’Africa centrale con un lentivirus specifico per gli scimpanzé (SIV cpz). Il virus SIVcpz da un infezione asintomatica negli scimpanzé e non causa alcuna patologia nell’ospite naturale. La trasmissione sperimentale di questi virus in ospiti non naturali 3 suscettibili risulta, comunque, in una progressiva e profonda immudeficienza e nella sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). Ad oggi, si conoscono due sierotipi di HIV: HIV-1, che si riferisce a virus geneticamente correlati, diffusi ormai in tutto il mondo e l’HIV-2 che è un virus distinto, meno trasmissibile e geograficamente limitato all’Africa occidentale (4). Tutti gli individui infettati con HIV-2 mostrano un lungo periodo di latenza clinica e una più bassa mortalità. 1.2 HIV: Classificazione HIV-1 appartiene alla famiglia delle RETROVIRIDAE, virus a RNA che fino agli anni ‘50 erano conosciuti e studiati perché in grado di indurre patologie a carattere neoplastico in alcune specie animali. Tutti i retrovirus noti fino ad oggi, sono simili per struttura, per organizzazione genomica e per la modalità di replicazione che è influenzata in maniera univoca dalla presenza della trascrittasi inversa. Sono stati proposti diversi tipi di classificazione tra cui la più recente distingue i retrovirus in due sottofamiglie: ORTHORETROVIRINAE e SPUMAVIRINAE. La prima sottofamiglia comprende sei generi: Alpharetrovirus, Betaretrovirus, Gammaretrovirus, Deltaretrovirus, Epsilonretrovirus e Lentivirus; alla seconda appartiene il solo genere degli Spumavirus. 4 Gli Spumavirus non sono stati associati in maniera definitiva ad alcuna particolare patologia e sono definiti virus schiumosi per la capacità di indurre lesioni vacuolari che conferiscono un aspetto schiumoso alle cellule infette coltivate in vitro. I Lentivirus comprendono retrovirus responsabili di una varietà di malattie neurologiche e immunologiche, ma non sono direttamente implicati nello sviluppo di neoplasie. Spesso sono in grado di infettare le cellule linfoidi preposte alla risposta immune, con una particolare propensione a replicare nei macrofagi. Inducono malattie croniche degenerative nei loro ospiti, precedute da un lungo periodo d’incubazione (da cui il nome “virus lenti”) e da un coinvolgimento variabile del sistema immunitario e del sistema nervoso centrale. Un’altra caratteristica che li contraddistingue è la complessità del genoma. Ci sono due tipi distinti di virus umani dell’AIDS, HIV-1 e HIV-2, distinguibili sulla base della loro organizzazione genetica e delle relazioni filogenetiche con altri lentivirus dei primati (5, 6). Dati recenti indicano che HIV-1 comprende tre distinti gruppi di virus: il gruppo M (Main o Major), il gruppo N (New) e il gruppo O (Outlier). I gruppi N e O rimangono largamente confinati ad una parte dell’Africa centrooccidentale, sebbene ci siano sporadiche infezioni attraverso contatti con persone di quelle regioni. Il gruppo M è responsabile della grande maggioranza delle infezioni nel mondo e consiste di 11 sottotipi (clades) designati con le lettere da A a K. All’interno di un dato sottotipo, gli anticorpi specifici per gli isolati virali provenienti da un dato paziente non riconoscono 5 gli isolati di altri pazienti. Sequenze di aminoacidi della glicoproteina virale dell’envelope mostrano fino a 25-35% di divergenza tra differenti sottotipi e fino al 20% di divergenza all’interno di un dato sottotipo. Nel corso delle epidemie, a causa di frequenti superinfezioni, ceppi di HIV-1 possono ricombinare e formare virus mosaico, alcuni dei quali, chiamati forme ricombinanti circolanti (CRF), possono diventare predominanti dal punto di vista epidemiologico a causa della loro maggiore capacità replicativa e/o per una maggiore capacità di adattamento all’ospite. Similmente ad HIV-1, i ceppi HIV-2 comprendono 6 distinte linee filogenetiche, denominate con lettere da A ad F. HIV-1 e HIV-2 differiscono fra loro per circa il 55-60% della sequenza genetica. Nonostante l’elevata divergenza nucleotidica, l’organizzazione del genoma è quasi identica e differisce soltanto in un gene ausiliare: HIV-1 contiene il gene vpu, mentre HIV-2 contiene vpx. Entrambi i virus usano il recettore CD4 e i corecettori CCR5 e CXCR4 per poter entrare nelle cellule. Confrontata con HIV-1, l’infezione con HIV-2 è associata a un periodo di latenza più lunga, una più lenta progressione della malattia, una bassa carica virale e una ridotta velocità di trasmissione. 6 2 MORFOLOGIA E STRUTTURA DEL VIRIONE 2.1 Struttura del virione Il virione ha un nucleocapside centrale troncoconico, quasi sferico con diametro compreso tra i 100 e i 120 nm. Risulta costituito per il 60-70% da proteine, per il 30-40% da lipidi derivati dalla cellula ospite, per il 2% da carboidrati e infine per l’1% da RNA genomico. Nella particella virale si può distinguere un pericapside esterno (envelope) e una parte più interna, rappresentata dal nucleocapside (o core). Il pericapside è costituito da un doppio strato fosfolipidico sul quale si ancorano proteine virus-specifiche, come la proteina di superficie con funzione di antirecettore gp120 (SU) e la proteina transmembrana con attività fusogena gp41 (TM). La superficie dell’involucro presenta circa 72 protuberanze (7, 8) a simmetria triangolare (peplomeri o spike); ogni peplomero è costituito da 4 eterodimeri contenenti ciascuno una molecola SU che risulta ancorata con la porzione COOH- all’estremo NH2 terminale della proteina TM. Nell’envelope vengono inserite alcune proteine cellulari, come gli antigeni di istocompatibilità (MHC), acquisite dai virioni nel processo di gemmazione dalla membrana nucleare. Associata alla faccia interna del doppio strato fosfolipidico si osserva una struttura proteica di matrice costituita dalla proteina p17(MA). Studi approfonditi mostrano una disposizione regolare della proteina p17 a formare 7 un guscio di 7 nm, che rappresenta un ispessimento interno del doppio strato fosfolipidico. In ciascuna molecola p17 viene attuata la miristilazione, una modifica post-traduzionale che consiste nel legame di molecole dell’acido miristico a residui di glicina posti nella porzione N-terminale di tali proteine (9). La miristilazione sembra assumere un ruolo fondamentale nel legame della p17 alla faccia interna dell’involucro e nel garantire un regolare montaggio delle glicoproteine dell’envelope durante le fasi tardive della replicazione. All’interno della particella virale si trova il nucleocapside o “core” centrale con una struttura a tronco di cono, la cui base maggiore ha un diametro di circa 60 nm, mentre quella minore, legata alla proteina di matrice, ha un diametro di 20 nm. La regione tra il nucleocapside e l’envelope è detta regione paranucleoide (10), la cui composizione deve essere ancora determinata. Il nucleocapside è costituito da due molecole di RNA virale a singolo filamento incapsulato da proteine che derivano dal polipeptide precursore sintetizzato dal gene gag. Tale precursore è tagliato dalla proteasi virale in quattro prodotti proteici: la p24, principale proteina capsidica, la cui funzione è di impacchettare il genoma virale nei virioni; la p17 o proteina di matrice, che si localizza tra il nucleocapside e l’envelope virionico, la p9 proteina del nucleocapside che si lega strettamente al genoma e infine la p7 la cui localizzazione non è ancora chiara (11). Tali proteine sono assemblate secondo una simmetria cubica di tipo icosaedrico. 8 In ogni particella virale matura, il core contiene i componenti necessari alla replicazione del virus: due copie identiche di RNA a singola catena a polarità positiva, molecole di RNA transfer (tRNA), che vengono utilizzate con la funzione di innesco (primer) per la trascrittasi inversa, e gli enzimi trascrittasi inversa (RT), integrasi (IN), proteasi (PR), le cui funzioni si svolgono rispettivamente nella replicazione del genoma virale, nell’integrazione nel DNA della cellula ospite e nella maturazione dei virioni. 2.2 Struttura e organizzazione del genoma virale Come tutti i retrovirus, HIV-1 è dotato di un genoma diploide, presente in due forme: due filamenti identici di RNA mantenuti insieme mediante legami idrogeno tra sequenze complementari poste vicino all’estremità 5’ di ciascuna molecola e un DNA a doppia elica all’interno della cellula. Negli stadi iniziali dell’infezione, l’RNA virionico è convertito nella forma di DNA a doppio filamento mediante la RT del virus ed è, in seguito, integrato nel genoma della cellula ospite. Le due copie identiche di RNA a singola catena a polarità positiva sono di circa 9,8 Kb per un peso molecolare di 30 Kd. Le due molecole sono poliadenilate alle estremità 3’, una modificazione post-trascrizionale, tipica della maggior parte degli mRNA eucariotici che avviene ad opera dei sistemi presenti nella cellula ospite. Occasionalmente i residui di adenina possono 9 essere metilati. Alle estremità 5’, invece, durante la sintesi viene applicato un gruppo cap (m7G5’ppp5’Gmp) dal sistema di trascrizione cellulare. Vicino all’estremità 5’ di ogni filamento è posizionata una molecola di tRNAlys che serve da primer per la sintesi del filamento negativo di DNA ad opera della RT. Il genoma provirale di HIV-1 (Figura 1) presenta due sequenze ripetute dirette alle estremità, denominate long terminal repeat (LTR), che fiancheggiano le tre principali open reading frame (ORF) del virus che sono gag, pol, env, e altre sei piccole ORF, tat e rev essenziali per la replicazione virale, vif, vpr, vpu, e nef, che sono anche detti geni accessori o ausiliari. La presenza di queste diverse ORF conferisce al virus uno straordinario livello di complessità. Figura 1: Organizzazione del genoma provirale di HIV-1. 10 2.2.1 Long Terminal Repeat Tutte le molecole di RNA presentano alle due estremità sequenze identiche denominate R (Repeat) che hanno un ruolo importante durante la retrotrascrizione. A fianco di ciascun segmento R, nella parte interna, si trovano sequenze caratteristiche U denominate U5 e U3, situate rispettivamente alle estremità 5’ e 3’. Durante la sintesi del DNA provirale, le sequenze U5 e U3 sono retrotrascritte ad ambedue gli estremi del DNA nascente, dando origine a molecole più lunghe rispetto all’RNA genomico. Le sequenze identiche U3-R-U5 presenti ad ogni estremo del DNA provirale formano le cosiddette LTR (Long Terminal Repeat), che rappresentano sequenze non codificanti e altamente conservate, contenenti informazioni essenziali per l’inserzione del DNA virale in quello della cellula ospite e per la trascrizione del genoma. La regione U3 si estende dall’estremità 5’ del genoma fino al sito di inizio della trascrizione (+1) e contiene il promotore virale, costituito da tre domini trascrizionali: il dominio di modulazione, l’enhancer e il dominio di base o core. La prima porzione della U3 è la regione di modulazione che contiene elementi cisacting regolatori della trascrizione ai quali si legano molti fattori cellulari (come AP-1 e N-FAT-1). A valle della regione di modulazione si trova l’enhancer, una regione che in HIV-1 si estende per due siti di 10 bp. Il fattore cellulare NF-kB si lega a questi due siti aumentando l’attività trascrizionale del virus in seguito alla sua stessa attivazione da parte di alcune proteine 11 regolatorie cellulari o di altri virus. All’estremità 3’ della regione U3 si trova il core che contiene due brevi segnali, chiamati CAT box e TATA box. La sequenza TATA box rappresenta il promotore per la trascrizione, mentre le CAT box sono sequenze coinvolte nella regolazione della trascrizione. Immediatamente dopo la TATA box sono posizionati siti per il legame del fattore trascrizionale cellulare SP1 (12). La regione R codifica per una sequenza di RNA che genera una struttura a forcina (stem-loop) all’estremità 5’ del trascritto denominata tat-responsive region (TAR). A questa struttura si lega la proteina tat di HIV-1, potente attivatore della trascrizione virale. La regione R/U5 della 3’ LTR si trova nella sequenza leader di tutti i trascritti virali e definisce l’estremità 3’. Tra le sequenze adiacenti alle LTR all’estremità 5’ si trova la sequenza PBS (Primer Binding Site), che è perfettamente complementare ai nucleotidi terminali dell’estremità 3’del tRNAlys che funziona da primer. Sebbene le sequenze nucleotidiche delle due LTR siano identiche, i retrovirus hanno meccanismi che consentono loro di utilizzare la 5’ LTR come promotore della trascrizione e la 3’ LTR come segnale di aggiunta della coda di poli-A. Infatti, segnali nella regione U3 e R sono riconosciuti da fattori cellulari che aggiungono code di poli-A all’estremità 3’ dei trascritti virali (13). 12 2.2.2 Geni strutturali Come tutti i retrovirus, il genoma di HIV-1 possiede tre geni strutturali essenziali per la replicazione, denominati gag (group-specific antigen), pol (polymerase) ed env (envelope) e organizzati nell’ordine 5’-gag-pol-env-3’. I geni gag-pol sono tradotti inizialmente in un’unica poliproteina p160, che viene successivamente scissa nei precursori delle proteine codificate da gag e negli enzimi codificati da pol. Il gene gag rappresenta la prima ORF del genoma di HIV-1 che codifica per un peptide di 55 Kd tradotto da RNA messaggeri non sottoposti a processi di splicing. Il precursore, polipeptide p55, a sua volta viene scisso attraverso meccanismi di proteolisi in tre proteine strutturali: la proteina p24 che rappresenta il principale costituente del capside, la proteina di matrice p17 e la p15 da cui derivano p7 e p6 che possono stabilire legami con l’RNA. Il gene pol si sovrappone per circa 241 bp al gene gag e viene espresso come un proteina di fusione gag/pol da un trascritto unspliced lungo quanto il genoma. Dalla segmentazione della proteina si originano alcuni enzimi virali: la proteasi p10, con un taglio autocatalitico, l’integrasi p32 e la trascrittasi inversa, un eterodimero composto di due polipeptidi, p51 e p66. Un dominio indipendente di quest’ultima svolge la funzione di ribonucleasi. Il gene env codifica per un precursore altamente glicosilato, la gp160, tradotta da un mRNA policistronico derivato da un singolo processo di splicing (singly-spliced). Questa proteina integrale di membrana è formata da 850 13 aminoacidi e viene scissa da un’endopeptidasi dell’ospite in due glicoproteine a più basso peso molecolare: la N-terminale gp120, che si posiziona sull’envelope virale, e la C-terminale gp41, proteina transmembranaria. Queste due proteine costituiscono, attraverso interazioni non covalenti, l’antigene di superficie di HIV-1, che media l’ingresso del virus. Studi relativi alla comparazione di sequenze rivelano un modello secondo cui la regione di env che codifica per la gp 120 presenta 5 regioni variabili (V1-V5) intersperse tra regioni conservate (C1-C5), mentre la regione codificante per la gp41 è ben conservata (14). Uno dei 5 domini variabili, la regione V3, risulta in realtà ipervariabile ed è il principale bersaglio dell’attività degli anticorpi neutralizzanti. 2.2.3 Geni regolatori I geni regolatori principali tat e rev controllano l’espressione dei geni virali a livello trascrizionale e post-trascrizionale e sono il risultato della traduzione di mRNA originati da doppi eventi di splicing. Il primo esone codificante di tat è localizzato nella regione centrale del genoma virale tra il gene vpr e il gene env, mentre il secondo esone si sovrappone alla cornice di lettura (open reading frame) di rev e della gp41 di env (15). Il gene tat (Trans Activator of Transcription) codifica per una proteina di 14Kd, costituita da 86 aminoacidi. Una volta sintetizzata, Tat entra 14 nel nucleo cellulare e agisce principalmente come un potente attivatore della trascrizione del genoma provirale aumentando l’efficienza dell’Rna polimerasi II cellulare (16). Tat si lega ad una specifica sequenza TAR (Tat Responsive Region) presente all’estremità 5’ di ogni messaggero e interagisce con un complesso poliproteico che comprende l’RNA polimerasi II, la ciclina T e la Cdk9. Il gene rev (Regulator of Virion Expression) codifica per la proteina rev di 19Kd, costituita da 116 aminoacidi e coinvolta nel trasporto nucleocitoplasmatico degli RNA virali che subiscono un unico evento di splicing e di quelli che non subiscono splicing. Agisce in trans legandosi ad regione ben definita dell’RNA trascritto detta RRE (Rev Responsive Element) e rimane localizzata prevalentemente nel nucleo della cellula infetta (17). Una volta prodotta, la proteina rientra nel nucleo per esercitare la sua funzione di trasporto degli RNA. RRE è una struttura costituita da 351 nucleotidi ed è localizzata in corrispondenza del gene env, verso l’estremità 3’ di tutti gli mRNA. Rev forma multimeri ed è stato messo in evidenza che la multimerizzazione è necessaria per espletare la sua funzione. 2.2.4 Geni accessori I geni accessori di HIV-1 sono vif, vpr, vpu e nef. Le proteine di questi geni sono tradotte per lo più da trascritti singly-spliced. 15 Vpr, viral protein R (p15), è una proteina regolatoria di 15KD che si trova nelle particelle virali mature e sembra intervenire in maniera predominante nella replicazione virale e nella patogenesi durante i primi stadi dell’infezione. Uno dei ruoli principali di Vpr è di trasportare nel nucleo, dopo la retrotrascrizione, il DNA virale associato con le proteine virali (il cosiddetto PIC, complesso di preintegrazione). Inoltre, promuove l’arresto del ciclo cellulare in G2 forse attraverso una inibizione indiretta dell’attività fosfatasica di Cdc25 e favorisce l’infezione dei macrofagi e monociti, cellule in cui la replicazione di HIV-1 dipende dalla possibilità di poter importare il PIC virale nel nucleo. Oltre all’importo nucleare, agisce in modo da permettere il suo rientro nel citoplasma per essere incorporato nei nuovi virioni e permettere la distribuzione del virus maturo. Vif, viral infectivity factor (p23), è una proteina basica di 23 KD espressa tardivamente durante il ciclo replicativo e largamente localizzata nel citoplasma. Diversi studi hanno evidenziato che linfociti CD4+ e macrofagi, che sono le principali cellule nelle infezioni da HIV-1, in mancanza di Vif diventano non permissive alla replicazione del virus e che la sua presenza è indispensabile anche per il mantenimento dell’infettività virale. Inoltre, contrasta l’effetto di APOBEC3G (citidina deaminasi cellulare) che produce ipermutazione del genoma provirale e infezione abortiva. Vpu ,viral protein U, è una proteina di 16 KD che forma canali ionici nel doppio strato lipidico e permette l’aumento della permeabilità della membrana plasmatica nei confronti di numerose molecole. Nel ciclo replicativo virale 16 svolge due funzioni, quella di indurre la degradazione dei recettori CD4 e il conseguente aumento del rilascio dei virioni dalle cellule infettate. Vpu è assente in HIV-2, dove invece è presente la proteina Vpx, la cui funzione è ancora poco chiara, sebbene sembri svolgere un ruolo nell’importo nucleare. Il gene nef (Negative Expression Regulatory Factor) si estende dall’estremità 3’ di env fino all’interno del dominio U3 della 3’ LTR e codifica per una fosfoproteina miristilata di 205 aminoacidi, questa modificazione postraslazionale gli permette di associarsi alla membrana plasmatica della cellula infettata. La proteina Nef è una proteina multifunzionale non essenziale per la replicazione in alcune culture cellulari, ma svolge un ruolo cruciale nella replicazione virale in vivo e nella patogenesi. Infatti, virus Nef-difettivi non inducono alti livelli di viremia negli animali infettati e la progressione della malattia è più lenta. Nef agisce riducendo la presenza di CD4 sulla superficie cellulare mediante endocitosi (18) e down-regolando l’espressione di molecole MHC-I per proteggere la cellula infettata dal riconoscimento da parte dei linfociti T citotossici. Inoltre, blocca l’apoptosi, eleva l’infettività e altera lo stato di attivazione cellulare. 2.3 Env Il gene env codifica per un precursore proteico altamente glicosilato, la gp 160. Questa glicoproteina, che risulta composta da 850 aminoacidi, matura nel citoplasma all’interno del reticolo endoplasmatico ad opera di enzimi cellulari. 17 Un’endopeptidasi scinde il precursore proteico in due glicoproteine a più basso peso molecolare: la proteina extracellulare gp120 (detta subunità SU) e la proteina di trasmembrana gp41 (detta subunità TM), identificate sulla base della mobilità elettroforetica su gel di poliacrilamide in condizioni denaturanti. Nella forma matura la glicoproteina di env è un eterodimero costituito dalle subunità gp120 e gp41 mantenute insieme da legami idrogeno. Le glicoproteine del gene env si legano al recettore CD4 presente sulla membrana plasmatica dei linfociti T CD4+, monociti, macrofagi e cellule dendritiche e sono quindi responsabili delle prime fasi del ciclo replicativo di HIV-1, permettendo l’attacco dei virioni alle cellule e facilitandone l’entrata. In particolare, la subunità SU ha un ruolo prioritario nel riconoscimento dell’antigene cellulare CD4 e dei recettori per le chemiochine (CCR-1, CCR2b, CCR-3, CCR-5, CXCR-4) presenti sulla superficie delle cellule bersaglio, tramite domini che li riconoscono e li legano (19). La subunità TM consente in seguito l’ingresso del virus nella cellula ospite mediante la fusione della membrana cellulare con quella virale. Inoltre, tali proteine sono il bersaglio principale della risposta immunitaria antivirale dell’ospite infetto in vivo e sono anche responsabili della formazione di sincizi (cellule multinucleate) nelle culture cellulari in vitro. Il precursore poliproteico per la glicoproteina dell’envelope di HIV-1, deriva da un trascritto virale, codificante anche per la proteina vpu, che subisce un solo processo di splicing. Tale trascritto è codificato solo nelle fasi finali del ciclo replicativo del virus e la sua espressione è strettamente dipendente dalla 18 funzione post-trascrizionale del gene virale rev. Durante la sua sintesi tale precursore viene estensivamente glicosilato dando origine alla gp160, che è la forma più abbondante del prodotto del gene env ritrovata nelle cellule infette. Un taglio intracellulare della gp160 dà origine alla subunità N-terminale, la gp120 di circa 550 aminoacidi, e alla subunità C-terminale, la gp41 lunga circa 350 aminoacidi. La subunità SU è una proteina idrofila altamente glicosilata posizionata sia sulla superficie esterna della membrana virale, sia sulla membrana citoplasmatica della cellula infettata. La subunità TM è, invece, classificata come proteina integrale di membrana di tipo I, data la sua parziale idrofobicità che le consente di attraversare il doppio strato lipidico delle membrane virali e cellulari. Il legame tra le due subunità SU e TM è di tipo non covalente e coinvolge residui aminoacidici al terminale amminico e a quello carbossilico della gp120 che sono fondamentali per mantenere l’associazione con la gp41. È stato ipotizzato che la formazione di un loop disolfuro nella gp41, costituisca una protuberanza che si adatti perfettamente all’interno di una tasca nella subunità della gp120 ripiegata. In ogni caso l’assenza di legami covalenti non preclude la possibilità di una interazione stabile tra gli eterodimeri della glicoproteina dell’envelope che risultano organizzati in complessi oligomerici. 19 2.3.1 La gp120 o dominio SU La gp120 presenta una estesa glicosilazione che, sulla base di algoritmi al computer, lascia prevedere come pochissime regioni dello scheletro peptidico possano sporgere dalla massa di carboidrati (20). I carboidrati possono, in alcuni casi, alterare il riconoscimento della gp120 da parte del sistema immunitario, nascondendo epitopi peptidici e fornendo così al virus un meccanismo per sfuggire alla risposta immunitaria antivirale. Sono stati individuati 24 siti di glicosilazione nel dominio SU in HIV-1, di cui 13 risultano conservati in differenti isolati virali. Il processamento intracellulare e le proprietà funzionali ed immunologiche della glicoproteina matura sono fortemente influenzate dalla glicosilazione del precursore gp160. Tramite tecniche di mutagenesi sito-diretta nel gene env, è stato possibile dimostrare che 5 dei 24 potenziali siti di glicosilazione sono essenziali per la replicazione virale (21). In particolare, questi siti critici (Asn88, Asn141, Asn197, Asn262, Asn276), che si trovano a metà del terminale amminico della gp120, se mutati, rendono le particelle virali non infettive pur mantenendo la capacità di legarsi al recettore CD4. Nella sequenza peptidica della gp120 sono presenti 18 residui di cisteina altamente conservati nelle glicoproteine di differenti ceppi di HIV-1 e HIV-2. Ciò fa supporre che legami disolfuro giochino un ruolo centrale nella struttura e nella funzione di questa proteina virale. Un modello per la subunità gp120, basato su analisi biochimiche, mostra nove legami disolfuro intramolecolari delineando, così, alcune regioni funzionali che 20 includono diversi domini conformazione-dipendente (Figura 2). Tali domini sono responsabili del riconoscimento del recettore CD4 e dei corecettori specifici presenti sulla superficie della cellula bersaglio. In particolare, sembra che un limitato gruppo di aminoacidi conservati in differenti regioni della gp120 sia richiesto per un efficiente legame al CD4, mentre una regione conservata alla base del loop V1/V2 interagisce con il corecettore specifico (22). Anche l’interazione di regioni non contigue sono importanti per la produzione di una conformazione funzionale della gp120. Concludendo, sia la sequenza primaria (aminoacidi conservati in regioni non contigue) che le caratteristiche conformazionali (epitopi discontinui) del dominio SU, producono una configurazione che riconosce il recettore CD4 ed i corecettori specifici in modo selettivo e con alta affinità. Figura 2: Modello della struttura ripiegata della gp120. 21 2.3.2 La gp41 o dominio TM La sequenza peptidica della gp41 presenta 4 siti di glicosilazione e 3 residui di cisteina. Anche in questo caso mutazioni a 2 dei 4 possibili siti di glicosilazione, riducono l’infettività di HIV-1 e la formazione di sincizi in colture cellulari in vitro dimostrando che la glicosilazione di tali siti è importante per le diverse fasi della replicazione virale. Circa venti amminoacidi al terminale amminico della gp41 (fusion peptide), sono idrofobici e consentono al peptide di svolgere la funzione di fusione della membrana virionica con la membrana citoplasmatica della cellula (23). Un secondo dominio idrofobico (amminoacidi dal 684 al 705) attraversa le membrane virioniche e cellulari, consentendo alla gp41 di fungere da ancora per l’eterodimero della glicoproteina dell’envelope. Tra questi due domini idrofobici si trova una regione esterna alla membrana (ectodominio) altamente conservata; si è visto che tale sequenza è molto simile al motivo cerniera di leucine (leucine-zipper) implicato nelle interazioni interproteiche di un gran numero di proteine virali e cellulari. Durante l’ingresso del virus nella cellula, una porzione dell’ectodominio assume una conformazione a spirale che facilita l’inserzione della gp41 nella membrana della cellula bersaglio, consentendo la fusione. Mutazioni a carico del motivo leucine-zipper dell’ectodominio bloccano l’infettività virale e la fusione cellulare. Inoltre, la gp41, presenta nel dominio citoplasmatico, due regioni anfipatiche ad - elica, una tra la tirosina 768 e l’arginina 788 e l’altra tra l’arginina 826 e 22 la leucina 854 al terminale carbossilico. Queste regioni sono assimilabili a quelle che codificano per i peptidi litici dei lentivirus (LLP-1 e LLP-2) perché inducono la formazione di pori nella membrana citoplasmatica provocando la lisi della cellula. 2.3.3 Variabilità del gene env e del dominio V3 Una caratteristica di HIV è l’estrema variabilità genetica. Isolati indipendenti di HIV-1 e HIV-2, presentano un’ampia eterogeneità di sequenza a livello del gene env; la subunità SU presenta ben 5 regioni altamente variabili (da V1 a V5) interspaziate da regioni conservate (C1-C5), mentre la subunità TM è molto più conservata (24). Queste variazioni di sequenza consistono in sostituzioni nucleotidiche che determinano variazioni amminoacidiche, come pure in delezioni o inserzioni di grandezza variabile. (25). Più del 25% degli amminoacidi codificati dal gene env risulta variabile in ceppi di HIV isolati da distretti geograficamente separati. Come descritto precedentemente, l’esame epidemiologico molecolare, basato sulla sequenza del gene env di HIV-1, rivela distinti sottotipi o clade (14). La variabilità genetica di HIV-1 dipende da mutazioni e da processi di ricombinazione ed è correlata al tasso di replicazione virale. La frequenza mutazionale è di circa 3x10 -5 per nucleotide per ciclo replicativo ed è dovuta alla mancanza di attività di “proof-reading” esonucleasica in direzione 3’-5’della trascrittasi inversa di HIV-1 (26). Questa 23 elevata velocità di mutazione conferisce al virus la capacità di rispondere alla pressione selettiva a cui è sottoposto all’interno dell’ospite. La maggior parte delle mutazioni conferisce al virus uno svantaggio biologico, tuttavia molte varianti vengono selezionate dalla pressione immunitaria, da terapie o da altre forze selettive; di conseguenza tali varianti conferiscono al virus la capacità di sfuggire alla risposta immunitaria umorale e cellulo-mediata dell’ospite e sono indicate come escape mutants. L’attività degli anticorpi neutralizzanti è diretta contro la glicoproteina dell’envelope, quindi varianti virali con mutazioni a livello del gene env possono risultare resistenti alla neutralizzazione e si espandono nell’ospite soppiantando la popolazione virale originaria. A sua volta, il sistema immunitario evolverà una risposta tesa ad eliminare i nuovi virus esercitando, in tal modo, una pressione selettiva verso l’affermazione di altre varianti antigeniche virali. Queste variazioni intra-ospite, portano alla produzione di una popolazione di genomi virali strettamente correlati ma distinti, denominati quasispecie. È ormai chiaro che le mutazioni a carico dei geni codificanti per le proteine dell’involucro influenzano profondamente la cinetica di replicazione del virus, la capacità sinciziogena e soprattutto il tropismo virale nonché la neutralizzazione da parte degli anticorpi. Nell’ambito della gp120 le regioni ipervariabili V1, V2 e V3 sono determinanti del tropismo virale e del fenotipo SI (syncitia-inducing) per i virus linfocitotropici o NSI (non syncitia-inducing) per i virus macrofagotropici. Tali regioni pur non essendo connesse con il riconoscimento del CD4, sono implicate nel riconoscimento del corecettore 24 presente sulle cellule bersaglio e possiedono epitopi per anticorpi neutralizzanti che agiscono sia prima che dopo l’assorbimento del virus alla cellula; da ciò consegue che una maggiore efficienza ad infettare tipi e sottotipi cellulari, determinata dall’adattamento all’ospite, potrebbe guidare la selezione di mutanti a livello di queste regioni. Quindi si può affermare che la variabilità genetica di HIV-1 consente al virus sia la fuga da anticorpi neutralizzanti che la capacità di infettare tipi cellulari diversi. La terza regione ipervariabile della gp120 detta V3, è quella che presenta la più significativa eterogeneità di sequenza ed è il principale bersaglio degli anticorpi neutralizzanti nonché un importante determinante di patogenesi, in quanto la struttura terziaria del V3 loop sembra influenzare il coreceptor usage del virus (27,28); da essa dipende la capacità di formare sincizi e il tasso di replicazione (29). Il dominio V3 è formato da 35 amminoacidi arrangiati in un loop disolfuro che coinvolge la Cys301 e la Cys336 (30, 31). Il tripeptide Gly317-Pro318-Gly319, localizzato all’apice del loop, è altamente conservato mentre alla base del loop le sequenze vicino alla Cys301 e alla Cys336 mostrano una bassa variabilità. I principali cambiamenti si verificano in 10 dei 12 aminoacidi in ciascun lato dell’apice conservato del loop. Mutazioni che alterano singoli residui del tripeptide Gly317-Pro318-Gly319, rendono i virus non infettanti sebbene la gp160 di questi mutanti mostra normali modelli di sintesi e di processamento mantenendo la capacità di legare il recettore CD4 (32, 33). Alcuni di questi mutanti perdono anche la capacità sinciziogena. Studi genetici hanno dimostrato che gli amminoacidi conservati nel loop V3 25 influenzano alcune proprietà di HIV-1 che sono controllate dal gene env. Ad esempio, la mutazione della Cys336 preclude il taglio della gp160 ed il legame al recettore CD4, presumibilmente, alterando la struttura terziaria della glicoproteina dell’envelope e modificando la conformazione del sito di legame per il recettore CD4. E’ stato inoltre dimostrato che i due aminoacidi in posizione 306 e 320 sono responsabili del differente fenotipo virale, inclusa la capacita fusogena e il monocitropismo (34). Mutazioni puntiformi della regione V3, hanno dimostrato che amminoacidi basici in una o più delle posizioni 11, 13, 25, iniziando dalla Cys301, conferiscono un fenotipo inducente sincizi, mentre amminoacidi idrofobici neutri o carichi negativamente in queste posizioni sono correlati ad un fenotipo non inducente sincizi. Sia la posizione del residuo amminocidico carico, sia la carica totale influiscono sul fenotipo. Generalmente i loop V3 delle varianti SI hanno una carica totale, a pH neutro, maggiore o uguale a 5 mentre gli NSI hanno una minore carica positiva di circa 3 (35,36). I virus Ttropici hanno un aminoacido non acido o un’alanina in posizione 328 (posizione 32 del loop), mentre virus macrofagotropici presentano o un aminoacido acido o un’alanina in questa posizione (34). È stato proposto che il dominio V3 di differenti isolati di HIV-1 può assumere due diverse conformazioni che determinano un tropismo preferenziale per i linfociti o per i macrofagi (37). Comunque, l’analisi di provirus chimerici ha rilevato che il dominio V3 è coinvolto, ma non è sufficiente per determinare un particolare fenotipo. 26 Anche le sequenze della gp120 esterne al loop V3 possono influenzare i fenotipi assegnati a questo dominio. L’analisi di virus chimerici, costruiti da cloni di HIV-1 con distinti fenotipi, indica che l’interazione funzionale tra il V3 e la seconda regione conservata è importante per l’infettività come pure per la formazione di sincizi e per il tropismo cellulare. È stata individuata anche un’interazione intramolecolare tra il loop V3 e gli amminoacidi nella quarta regione conservata della gp120 (38). In ultimo va ricordato che, subito dopo l’infezione, la popolazione virale mostra una eterogeneità di sequenza relativamente bassa e consiste per lo più di virus macrofagotropici NSI; virus T-tropici compaiono tardivamente nell’infezione, in individui che hanno progredito verso l’AIDS (39). Ciò fa supporre che i ceppi macrofagotropici NSI siano più facilmente trasmessi tra individui o che siano fortemente selezionati nel nuovo ospite, subito dopo l’infezione, dalle cellule che per prime vengono infettate. È possibile che i macrofagi o le cellule che processano l’antigene, presenti al di sotto delle barriere costituite dalle mucose ed esprimenti il corecettore CCR5, selezionino i virus permettendo a quelli capaci di penetrare in queste cellule di replicare con una maggiore efficienza (40). Inoltre, durante l’infezione primaria, il sistema immunitario, non compromesso, sopprime varianti SI che replicano più velocemente delle varianti NSI che, per altro, possono essere meno immunogeniche forse grazie al loro monocitrotopismo (34). Le varianti virali SI, linfocitotropiche si presume derivino dalle prime quasispecie e sono associate con una immunodeficienza fatale nell’ospite. 27 3 CICLO REPLICATIVO Il ciclo replicativo di HIV-1 è complesso, con una durata e una produzione virale che dipendono dal tipo di target cellulare e dall’attivazione cellulare e può essere suddiviso in una fase precoce ed una fase tardiva. La fase precoce inizia con il legame del virione al recettore cellulare CD4 e allo specifico corecettore, la penetrazione nella cellula ospite ed il denudamento del nucleocapside. La trascrittasi inversa del virus, associata al nucleocapside, converte l’RNA in DNA che è mantenuto in un complesso nucleoproteico e trasportato all’interno del nucleo dove la doppia elica di DNA si integra nel genoma cellulare. La fase tardiva della replicazione inizia con la trascrizione e il processamento dell’RNA virale derivato dalla forma provirale e termina con il rilascio di nuovi virioni dalla cellula. 3.1 Adsorbimento e penetrazione Il ciclo di replicazione inizia con il riconoscimento delle cellule target da parte del virione maturo. L’attacco di HIV-1 alle cellule è mediato dall’iniziale interazione tra il dominio extracellulare dell’antigene di superficie del virus (gp120) e il recettore CD4 localizzato sulla membrana cellulare dei linfociti Thelper, delle cellule dendritiche e cellule della linea monocito-macrofagica, incluse le cellule della microglia nel sistema nervoso (41). Il recettore CD4 è un membro della superfamiglia delle immunoglobuline ed è costituito da 28 quattro domini extracellulari (D1-D4) che hanno una struttura simile a quelli ritrovati nelle altre famiglie di immunoglobuline (42). L’alta affinità di legame per il sito di legame del CD4 nella gp120 è stato localizzato in un piccolo segmento del dominio extracellulare N-terminale, analogo al loop CDR-2 nel dominio variabile della catena leggera delle immunoglobuline. Le interazioni tra il recettore CD4 e l’antirecettore virale sono sufficienti per l’attacco del virus alla cellula ma non per la penetrazione, che è possibile ottenere solo dopo il legame con il corecettore. A tutt’oggi, fermo restante il tropismo preferenziale per i linfociti T CD4+, è stata dimostrata una permissività all’HIV-1, da parte di monociti, macrofagi, cellule dendritiche, linfociti B, linfociti T CD8+, cellule gliali, cellule endoteliali, fibroblasti, cellule dell’epitelio intestinale e precursori ematopoietici del midollo osseo. In alcune di queste cellule non è mai stata dimostrata direttamente la presenza di CD4 sulla membrana. È possibile ipotizzare, quindi, che in queste cellule il recettore CD4 sia espresso in bassissime quantità, tali da non renderlo rilevabile, o che esistano recettori alternativi. Tra quelli proposti vi sono: il galattocerebroside, recettore usato da HIV sulle cellule epiteliali intestinali e particolarmente abbondante nelle cellule nervose; la molecola CD26, un antigene dotato di attività enzimatica (dipeptidil-peptidasi) espresso in grandi quantità sui linfociti T, monociti e piastrine e le molecole HLA-DR (43). A conferma di ciò numerosi studi hanno chiarito che l’HIV utilizza, oltre al CD4 (recettore primario), anche un secondo recettore, definito corecettore, appartenente alla superfamiglia di recettori accoppiati alla proteina G (44). I 29 ligandi naturali di questi corecettori, sono rappresentati dalle e chemiochine, una serie di citochine che, tra le svariate funzioni (45), sono responsabili del reclutamento dei leucociti nella sede dell’infiammazione (43). A conferma di quanto detto, numerosi studi hanno dimostrato come anticorpi diretti contro tali corecettori o contro le chemiochine, ad opportuni dosaggi, siano in grado di inibire in maniera significativa la replicazione di HIV-1 (46). Fino ad oggi sono stati individuati numerosi recettori delle chemiochine che possono essere utilizzati dall’ HIV-1 per l’ingresso, tra questi il CCR5 che lega le -chemiochine RANTES, MIP-1, MIP-1 (47); il CXCR4 precedentemente chiamato LESTER (Leukocyteche-Expressed Seven Transmenbrane-domain-Receptor) o fusina che riconosce la proteina SDF-1; il CCR3 che è il corecettore per l’eotaxina e per il MCP-4, fattore chemiotattico per le cellule dendritiche; il CCR2b legante MCP-1, MCP-3, MCP-4 (48). I principali corecettori per HIV sono CCR5, specifico per i ceppi monocitotropici, e CXCR4, specifico per i ceppi linfocitotropici (49,50). Diversi studi hanno dimostrato che le chemiochine MIP-1, MIP-1 e RANTES possono bloccare l’infettività virale dei ceppi macrofago-tropici (Mtropici) in vitro, ma non quella dei ceppi T-linfocitotropici (T-tropici) (46,48). I ceppi M-tropici sono responsabili della trasmissione virale e sono gli isolati prevalenti negli individui asintomatici. Successivamente compaiono i ceppi virali T-tropici correlati ad un’accelerata progressione della malattia. Un modello basato sulla struttura cristallina della gp120 di HIV-1 TCLA (virus adattati a linee cellulari T) complessata con due domini di CD4, 30 suggerisce che il sito di legame sulla gp120 per il CD4 è mascherato dal loop V1/V2 e in parte dal loop V3. La gp120 può oscillare tra due conformazioni transitorie: “aperta” in cui il sito di legame per il CD4 è esposto; “chiusa” in cui alcuni loop variabili bloccano l’accesso a tale regione (51). È ragionevole presumere che la gp120 di virus TCLA, è più frequentemente nello stato “aperto” dove esplica una elevata affinità per il CD4, mentre negli isolati primari la gp120 è più ostacolata al legame, mostrandosi nella configurazione “chiusa”. Sebbene il CD4 sia il principale responsabile dell’attacco del virus alle cellule T, interagendo con la gp120, gli studi effettuati in proposito hanno delineato un meccanismo ben più complesso e multi-step, utilizzato da HIV-1 per entrare nelle cellule bersaglio. Tale meccanismo individua una prima interazione tra la gp120 e il CD4 cellulare, in seguito alla quale la gp120 subisce un cambiamento conformazionale che permette l’esposizione di una regione altamente conservata (bridging sheet), presente alla base della struttura V1/V2 e vicino al loop V3. Il bridging sheet andrà così ad interagire con il corecettore chemiochinico costituito dal CCR5 o dal CXCR4, presente rispettivamente sulla superficie dei macrofagi o dei linfociti. Si pensa che sia la carica che la conformazione del loop V3 determinino il diverso tipo di recettore chemiochinico che interagisce con il bridging sheet (19,31,52). Comunque, il legame di forme solubili di env con il corecettore è dipendente dal CD4, suggerendo che proprio il legame con il CD4 è un pre-requisito essenziale per la formazione del complesso trimolecolare di env, CD4 e 31 corecettore (48). A questo primo evento segue l’esposizione e l’attivazione della gp41, che, una volta esposta, interagisce con la membrana cellulare inducendo il processo di fusione del pericapside virale con il doppio strato fosfolipidico della membrana citoplasmatica. È stato inoltre proposto che a questo evento partecipi anche il CD26 (enzima cellulare che si può trovare sulla membrana plasmatica o in endosomi), il cui ruolo sarebbe quello di interagire con il loop V3, riconoscendo l’Arg320 come sito di taglio e facilitando in questo modo l’assorbimento e la successiva penetrazione di HIV-1 nella cellula (43). A seguito del taglio, infatti, si verificano cambiamenti conformazionali tali per cui le sequenze leucine zipper della gp41, presenti in ciascun complesso oligomerico e inizialmente separate tra loro, interagiscono costituendo un dominio di fusione che facilita il processo di fusione delle membrane. Quindi, si presume che la presenza di un’appropriata proteasi possa essere un determinante per l’infettività virale in alcuni tipi cellulari. CCR5 e CXCR4, come gli altri recettori chemiochinici sono proteine di transmembrana, contenenti 4 domini extracellulari: un dominio aminoterminale e 3 loops extracellulari (48). Attraverso studi con recettori chimerici e mutazioni sito dirette, è stato dimostrato che l’interazione env-CCR5 è confomazionalmente complessa e coinvolge residui in tutti e quattro i domini extracellulari di CCR5. In particolare, il dominio N-terminale è estremamente importante essendo in grado di conferire la funzione di corecettori ad una varietà di altri recettori chemiochinici. Comunque, un numero di ceppi virali 32 M-tropici può tollerare significative alterazioni del dominio N-terminale di CCR5, includenti anche una delezione di 16 residui, a testimonianza del fatto che i loops extracellulari, particolarmente il secondo, possono supportare l’infezione virale. Il corecettore CCR5 permette la fusione della membrana virale di ceppi M-tropici di HIV-1 con la membrana cellulare, l’utilizzo di questo recettore è associato al fenotipo NSI. La fusina o CXCR4, è implicata specificatamente nell’infezione dei ceppi linfocitotropici ed è associata al fenotipo SI; nel suo legame con env, è principalmente il secondo loop ad avere un ruolo chiave (49). Nei pazienti con infezione recente l’utilizzo del CCR5 è dominante, ma in circa il 50% dei casi la variante CXCR4 compare negli ultimi stadi della malattia caratterizzata dalla progressione verso l’AIDS. Le cause di questo coreceptor switch non sono state ancora comprese completamente (53), ma dall’analisi della struttura e delle funzioni dei corecettori, emerge una possibile strategia con cui i ceppi T-tropici evolvono da virus M-tropici acquisendo la capacità di utilizzare CXCR4 (54). Virus che utilizzano il CCR5 acquisiscono mutazioni nella proteina env, specialmente a carico del loop V3, che consente loro di interagire con il secondo loop di CXCR4 pur mantenendo la capacità di interagire produttivamente con il dominio N-terminale di CCR5. Con il tempo questa capacità viene persa e il virus risulta in un ceppo strettamente T-tropico. Generalmente il loop V3 dei T-tropici è più basico rispetto allo stesso negli M-tropici, mentre il primo e il secondo loops extracellulare di CXCR4 sono considerevolmente più acidi di quelli presenti in 33 CCR5. Così l’acquisizione di residui basici nel loop V3 può aumentare la capacità di env ad interagire con i loops extracellulari acidi di CXCR4 (48). Nei virus che utilizzano il CXCR4 o nei dual-tropici, V3 ha una notevole carica positiva che le permette di interagire fortemente con molecole anioniche come l’HSPG (heparan sulphate proteoglycans) e la porzione acida extracellulare del CXCR4. Virus utilizzanti il CCR5 contano, invece, su altre interazioni non elettrostatiche per un attacco efficiente. L’attacco dei ceppi R5 è molto meno influenzato da HPSG, rispetto ai ceppi X4; tale indipendenza è correlata alla debole basicità del loop della gp120 che varia generalmente tra +2,+5 (contro +7, +9 della V3 dei ceppi X4) (51). Altre molecole possono giocare un ruolo primario nella regolazione dei passaggi critici successivi al binding del virus e nella trasmissione da cellula a cellula, come la fusione delle membrane dei linfociti T CD4+ e monociti infettati da HIV o la conseguente formazione di sincizi. A tale riguardo, studi recenti hanno dimostrato che la molecola CD4 è necessaria ma non sufficiente a mediare la formazione di sincizi e che questo processo è regolato dall’interazione tra la molecola di adesione LFA-1 e i suoi recettori ICAM-1, ICAM-2 e ICAM-3 presenti sui linfociti (55). Un fattore importante è il differente tropismo cellulare che distingue diversi isolati di HIV-1 della medesima persona infetta. Isolati di HIV-1 del sistema nervoso centrale crescono preferenzialmente su colture macrofagiche (ceppi macrofagotropici) e sfruttano il CCR3 come corecettore per l’ingresso nella cellula, mentre quelli ottenuti da cellule mononucleate di sangue periferico, 34 stimolate con PHA e IL2, si propagano meglio nei linfociti T (ceppi linfocitotropici). Anche le cellule dendritiche del sangue e le cellule di Langherans della pelle e delle mucose permettono la replica di molti ceppi di HIV-1 con diverso tropismo. Al contrario, le cellule dendritiche follicolari dei linfonodi, presentanti l’antigene ai linfociti T nei follicoli linfatici, possono solamente legare l’HIV-1 senza essere infettate. 3.2 Sintesi ed integrazione del DNA virale L’RNA genomico viene retrotrascritto nel citosol in una doppia catena di DNA ad opera dell’enzima trascrittasi inversa (RT, p66/p51) che modula diverse attività: DNA polimerasi-RNA dipendente, DNA polimerasi -DNA dipendente e ribonucleasi (RNasi H) (56). Essa viene attivata nel citoplasma da un segnale non ancora ben identificato. La sintesi del primo filamento di DNA, cioè quello a polarità negativa, inizia con l’annealing del tRNAlys al sito PBS (primer binding site) dell’RNA stampo che funge da primer per la RT. Il prodotto della retrotrascrizione è una molecola bicatenaria ibrida costituita dalla catena di RNA originale e dalla catena complementare di DNA. A questo punto la seconda azione enzimatica della RT, detta RNAsi H, permette la degradazione della molecola dell’RNA presente nell’ibrido. Segue la trascrizione della seconda catena di DNA, ad opera dell’attività DNA polimerasi-DNA dipendente, che utilizza come stampo la catena di DNA già esistente. Dopo che la sintesi del filamento lineare di DNA si è completata nel 35 citoplasma, il DNA virale, sotto forma di complesso nucleoproteico, migra verso il nucleo per essere integrato nel genoma della cellula ospite. La struttura e la precisa composizione di questo complesso di preintegrazione (PIC) sono sconosciute, ma è certo che fanno parte di questo complesso il DNA virale, l’integrasi, la proteina di matrice e la vpr (57). Il trasporto del complesso nel nucleo è un processo attivo che richiede ATP, ma è indipendente dalla divisione cellulare (58) e permette ai lentivirus di replicare anche in cellule differenziate non proliferative in contrasto con gli altri retrovirus (59). L’integrazione del DNA virale retrotrascritto nel genoma della cellula ospite è assolutamente richiesta per un’infezione stabile e produttiva. L’integrasi è l’enzima virale che interviene in questa reazione e risulta altamente conservato tra gli isolati clinici di HIV-1. Una volta integrato, il DNA virale resta in maniera permanente come provirus fino a che la cellula non muore. L’analisi di sequenze cellulari che fiancheggiano i provirus rivela che HIV-1 si inserisce preferenzialmente all’interno o vicino due classi di elementi ripetuti di DNA nel genoma umano: L1 e Alu (60). Questi elementi sono trasposoni e mostrano proprietà comuni con i retrovirus. Così, l’integrazione preferenziale di HIV-1 all’interno di questi elementi può riflettere la struttura cromatinica locale che è più suscettibile all’acquisizione di un trasposone. Analisi in vitro del meccanismo di integrazione provirale mostrano che l’intermedio per il provirus covalentemente legato nel genoma cellulare è DNA virale lineare e non circolare. Tuttavia la forma circolare, che non può replicare, può essere 36 ritrovata dopo l’infezione e può rimanere stabile per molti giorni al contrario della forma lineare che è rapidamente degradata. 3.3 Espressione e regolazione dei geni virali Il controllo della sintesi del genoma è complesso e coinvolge l’azione combinata di elementi virali agenti in cis, transattivatori virali e diverse proteine cellulari. Nel nucleo, il DNA provirale integrato è trascritto dalla RNA polimerasi II cellulare per produrre RNA precursori della stessa lunghezza del genoma. L’espressione del provirus porta alla formazione di tre classi di trascritti: RNA genomico per la progenie virale, RNA messaggero per la traduzione nel citoplasma di poliproteine Gag e Gag-Pol e precursori per oltre 30 RNA messaggeri alternativamente spliced che sono tradotti nel citoplasma per produrre glicoproteine di env e proteine accessorie. Inizialmente in assenza del transattivatore tat, il livello di trascrizione specifica virale è basso. Gli RNA precursori vengono trasportati attraverso un meccanismo di trasporto rev-indipendente, ma prima del trasporto gli spliceosomi eliminano gli introni dai trascritti multiply-spliced che vengono tradotti per produrre le proteine regolatorie tat, rev e nef che ritornano al nucleo. Con il procedere della trascrizione i livelli di tat aumentano e di conseguenza aumenta l’attività trascrizionale stessa. Man mano che anche rev si accumula, gli RNA precursori vengono trasportati al citoplasma mediante 37 un meccanismo rev-dipendente che non prevede lo splicing prima del trasporto. In questa fase, vengono tradotti nel citoplasma mRNA virali unspliced e singly spliced per le proteine gag, pol, env, vpr, vpu e vif. Rev, quindi, agisce come uno chaperone molecolare interagendo con la sequenza RRE presente in tutti i trascritti in corrispondenza del gene env. 3.4 Assemblaggio e liberazione del virus Il primo evento nell’assemblaggio dei virioni è l’interazione tra il polipeptide precursore del gene gag (Pr55), il polipeptide precursore Gag-Pol (Pr160) ed il genoma virale per produrre un complesso nucleoproteico. Questo processo può avvenire nel citoplasma o sulla membrana. La maturazione delle poliproteine gag durante l’assemblaggio è mediato dal dominio della proteasi nella Pr160 per produrre un nucleocapside maturo. Parallelamente, la gp120 e la gp41 vengono inserite nella membrana plasmatica e in seguito all’interazione della proteina di matrice con la coda citoplasmatica della gp41 il complesso nucleoproteico virale estrude o gemma attraverso la membrana per produrre un virione maturo. Il meccanismo preciso di gemmazione è sconosciuto. 38 4 PATOGENESI E STORIA NATURALE DELL’INFEZIONE Il virus dell’immunodeficienza umana riconosce come cellule bersaglio i linfociti T, i macrofagi e le cellule dendritiche e pertanto attacca in modo diretto, il sistema immunitario dell’ospite, per di più replica con maggiore efficacia in queste cellule quando sono attivate. Così, una serie di eventi che stimolano il sistema immunitario a difendersi da HIV-1, ironicamente lo espongono a ripetuti cicli di attivazione e di conseguenza all’infezione e distruzione di un maggior numero di cellule del sistema immunitario stesso. Approfonditi studi sul meccanismo d’ingresso e di replicazione di HIV-1 nelle cellule target e sullo sviluppo di una risposta immunitaria specifica messa in atto dall’ospite, hanno permesso di organizzare una serie di informazioni scientifiche relative alla patogenesi dell'infezione, ovvero alla trasmissione virale ed alla progressione della malattia (24). La principale via di trasmissione dell’infezione è rappresentata dai rapporti omosessuali ed eterosessuali e la probabilità di infezione dipende dal numero dei partners sessuali e dalle differenti pratiche sessuali (61). Il virus viene trasmesso attraverso le secrezioni genitali, femminili e maschili, e il sangue (cellule, plasma e fattori della coagulazione) (62). Una forte incidenza di trasmissione si registra tra i tossicodipendenti a causa dell’uso di aghi contaminati. Il virus può essere trasmesso dalla madre infetta al bambino sia per via transplacentare sia attraverso il parto o in seguito all'allattamento al 39 seno. Contatti personali non sessuali, esposizione a saliva (63) contatti con urine (64) ed esposizioni ad insetti (61) non sono mai stati direttamente implicati nella trasmissione di HIV-1. Le cellule bersaglio iniziali sono molto probabilmente quelle della linea dendritica (monociti-macrofagi), le cellule di Langherans, e i linfociti nei tratti genitali e rettali. L’infezione di nuove cellule nel sangue e la disseminazione nell'organismo avviene attraverso il virus libero o per interazione cellulacellula. I maggiori bersagli di HIV-1 sono il sistema linforeticolare, il sistema ematopoietico ed il sistema nervoso. Cellule bersaglio critiche per l’immunopatogenesi sono le cellule dendritiche, i linfociti T CD4 + ed i macrofagi-monociti. Nonostante i devastanti effetti di HIV-1 sull’immunità dell’ospite, gli individui infettati sviluppano una risposta umorale e cellulare contro gli antigeni associati ad HIV-1. Anticorpi neutralizzanti sono prodotti dalla maggior parte degli individui (62) e alcuni ricercatori hanno notato una correlazione tra la progressione della malattia e i bassi titoli di anticorpi neutralizzanti (65). Le glicoproteine dell’envelope sono i maggiori bersagli per la neutralizzazione degli anticorpi e i diversi epitopi sulla gp120 hanno mostrato l’abilità di evocare anticorpi neutralizzanti in animali da esperimento (66, 67). Alcuni di questi sono in regioni ipervariabili (68) mentre altri sono in aree conservate. La reattività ai prodotti del gene gag, ricercata attraverso saggi immunoenzimatici (ELISA) sembra rispecchiare la progressione dell'infezione. Infatti, la diminuzione di anticorpi circolanti anti-p24 e la 40 comparsa di antigeni p24 circolanti, corrisponde in genere alla diminuzione dei linfociti T CD4 associata alla progressione della disfunzione immunitaria e allo sviluppo dell'AIDS. Anche la risposta cellulare è diretta contro antigeni associati ad HIV-1, infatti, linfociti T citotossici reagiscono con i prodotti del gene env, pol, gag e geni regolatori. 4.1 Sintesi del decorso dell'infezione da HIV Il decorso clinico tipico dell’infezione da HIV-1 è stato chiaramente definito in seguito all’isolamento di HIV-1 da pazienti con AIDS o con segni clinici che precedono l’AIDS (69,70,71). Essa è caratterizzata essenzialmente da tre fasi distinte e include una fase di infezione primaria, con una sindrome acuta di variabile gravità, un periodo prolungato di latenza clinica e uno stadio finale di malattia caratterizzato da un aumento della suscettibilità alle infezioni opportunistiche e alle malattie neoplastiche (72). 4.1.1 Infezione primaria La fase precoce dell'infezione nell’uomo è caratterizzata da un periodo di incubazione di tre-sei settimane, può essere asintomatica, ma generalmente 41 culmina in una sintomatologia acuta a evoluzione rapida che si esaurisce spontaneamente, in media in meno di 14 giorni. Dopo di che HIV-1 colonizza l’intero tessuto linfoide e appare in circolo prima della sieroconversione. Da questo momento in poi il virus può essere isolato dal plasma libero (73,74) e di solito è di fenotipo non inducente sincizi (NSI). Nell’infezione primaria è frequente la linfoadenopatia. Sono evidenti anche marcati cambi nella conta dei linfociti con un rapporto CD4:CD8 rovesciato (<1), dovuto sia a un calo dei CD4+, sia a un aumento delle cellule CD8+. Si riscontrano in questa fase alti livelli di virus nel plasma, con un picco di viremia tra 106 e 107 copie/ml (75,76) permettendo così la disseminazione del virus e lo sviluppo di un’intensa risposta immunitaria, inclusa la sieroconversione, con produzione di anticorpi specifici anti-HIV. In poche settimane una forte risposta immunitaria, soprattutto cellulo-mediata, riduce il livello degli indici virali mentre, parallelamente si osserva un recupero parziale e qualche volta totale delle cellule T CD4+. Comunque la completa eliminazione di HIV-1 dal plasma non accade nel decorso naturale dell’infezione acuta (75). 4.1.2 Fase di latenza clinica L’inizio di questa fase corrisponde a una notevolissima riduzione della viremia come conseguenza della risposta immunitaria. Ciò non corrisponde ad una latenza virologica: infatti il virus è sequestrato negli organi linfoidi, soprattutto 42 all’interno delle cellule dendritiche follicolari, dove rimane attivo e continua a replicare, permettendo la liberazione di particelle virali e di prodotti specifici del virus. La fase di latenza clinica è caratterizzata in genere da un basso livello di tutti gli indici di attività virale. A questo stadio l’isolamento virale dal plasma è difficile a causa della bassa viremia e talvolta a causa di una buona attività neutralizzante del siero, mentre è generalmente possibile isolare il virus attraverso la cocoltivazione di cellule mononucleari linfonodali stimolate con fitoemoagglutinina. La durata della fase asintomatica può essere variabile (4) ed è legata alla gravità dell’infezione primaria, alle caratteristiche dei virus infettanti, allo stato di immunità dell’ospite (77) e all’uso di terapie antiretrovirali. In questa fase i pazienti dovrebbero essere monitorati per il numero di linfociti T CD4 e per la carica virale nel sangue, perché questi due valori insieme rappresentano il più accurato metodo per la determinazione della prognosi del paziente. 4.1.3 Progressione della malattia: AIDS conclamato La progressiva immunodeficienza nelle infezioni da HIV conduce all’insorgenza di infezioni opportunistiche e neoplasie che caratterizzano l’AIDS; tali patologie sono spesso multiple e contribuiscono ad un rapido deterioramento clinico. Una volta accertata la diagnosi di AIDS conclamato, la 43 sopravvivenza è spesso meno di due anni, sebbene possa esistere una considerevole variabilità, che dipende da fattori come l’età e la terapia. L’entrata di HIV nel sistema nervoso centrale, che avviene precocemente nel corso dell’infezione, è associata all’insorgenza di segni clinici e patologici in questo comparto, nonché alla comparsa di diversi disordini neurologici. Le alterazioni neurologiche si riscontrano nel 40-90% dei pazienti. In particolare, bisogna evidenziare l’encefalite subacuta associata ad HIV-1, che è stata chiamata AIDS dementia complex. La sindrome è caratterizzata da un progressivo deficit cognitivo accompagnato da anormalità motorie e comportamentali. Come conseguenza della profonda soppressione dell’immunità cellulomediata, l’AIDS è caratterizzata dallo sviluppo di neoplasie che hanno una prevalente eziologia virale. Alcuni ricercatori tendono ad identificare una soglia negli indici molecolari di attività virale come marker generale per la progressione irreversibile della malattia. Due sono gli aspetti cruciali che possono essere analizzati per stabilire le relazioni tra carica virale e progressione della malattia: i) la variabilità da paziente a paziente nei parametri relativi all’attività di HIV-1 è tale che può succedere che portatori totalmente asintomatici presentino indici di replicazione più alti dei pazienti con AIDS conclamato e in questa situazione solo il monitoraggio individuale potrebbe rivelare l’andamento dell’infezione; ii) l’incremento dell’attività virale nella maggior parte dei casi non è così netto come avviene in un improvviso evento patogenetico ma 44 sembra piuttosto essere graduale. Diversi studi (74,78) hanno dimostrato che l’infezione da HIV-1 è lontana dall’essere una tipica infezione lentivirale, infatti il turnover di cellule infettate e di virioni circolanti è assai rapido durante l’infezione. In definitiva l’evoluzione dell’infezione può essere vista come una continua corsa tra la distruzione cellulare e il rimpiazzamento delle cellule stesse. 2.1.1 Soggetti lungo sopravviventi Una piccola frazione dei soggetti infettati con HIV-1 (inferiore al 5%) mostra una fase asintomatica più lunga e mantiene livelli superiori e più stabili di CD4+, durante tale fase. Questi soggetti vengono definiti long-term non progressors o slow progressors (79,80) e sono di solito persone infettate con HIV che sopravvivono per più di sette anni con consistenti bassi livelli di RNA virale nel plasma e poca o nessuna perdita dei linfociti T CD4+. Lo studio di questi soggetti è particolarmente interessante per comprendere quali fattori siano responsabili della loro abilità a sfuggire agli effetti dell’infezione da HIV-1. L’interesse si concentra sui meccanismi di difesa della risposta immunitaria, sulla variabilità virale e in particolare sullo studio dell’ospite ponendo attenzione allo stato dei corecettori del virus, allo scopo di individuare peculiarità nei progressori lenti che li rendono refrattari alla spiccata patogenicità di HIV-1. 45 Numerosi studi hanno individuato mutazioni nel genoma umano, fornendo evidenza che la resistenza verso HIV-1 può essere geneticamente determinata. In particolare, variazioni nei geni che codificano per le chemiochine e i recettori per le chemiochine sono risultati importanti sia per la suscettibilità all’infezione da HIV-1 sia per la velocità di progressione della malattia dopo avvenuta infezione. Esistono individui che, nonostante la ripetuta esposizione al virus dell’immunodeficienza umana dovuta a frequenti intercorsi sessuali con partners sieropositivi, sono rimasti indenni all’infezione da HIV. Approfondite analisi hanno dimostrato che alcuni di questi individui, erano omozigoti per una delezione di 32 bp a livello del gene codificante per il CCR5 (mutazione definita CCR532). La mutazione CCR532, risulta in un codone di stop prematuro e i soggetti omozigoti per questa mutazione mostrano una completa mancanza di espressione di CCR5. Sebbene tale mutazione conferisca una notevole resistenza all’infezione da HIV, essa non è infallibile; sono stati pubblicati dati relativi ad almeno 8 soggetti omozigoti per questa delezione, infettati con HIV-1 (81). Lo studio approfondito delle caratteristiche genetiche del corecettore nell'ospite ha prodotto una serie di lavori in cui la rallentata progressione e una migliore prognosi vengono associati con lo stato e la funzionalità del/i corecettore/i; ad esempio, è stata descritta una mutazione a livello del gene codificante per il CCR2b (CCR2b64I) che, tuttavia, non è in grado di ridurre il rischio d’infezione. Soggetti con tale mutazione presentano, 9-12 mesi dopo la sieroconversione, 46 una carica virale molto più bassa: in media 18.000 copie genomiche/ml contro le 85.000 dei soggetti privi della mutazione (24). Infine, va ricordato che anche alterazioni dei ligandi naturali per i corettori possono influire sulla patogenesi, ad esempio soggetti omozigoti per la mutazione a livello della regione 3’ non trascritta del gene codificante per il fattore 1 di derivazione stromale (SDF-1) (ligando naturale del CXCR4), presentano un ridotto e ritardato switch dai ceppi R5 agli X4, come avverrebbe normalmente nelle fasi avanzate della malattia, probabilmente per un meccanismo di competizione della proteina mutata e over-espressa per il recettore CXCR4. Evidentemente il beneficio di tale mutazione, compare tardivamente nel corso della malattia. 47 5 TERAPIA E CONTROLLO 5.1 Farmaci antivirali A differenza di batteri e protozoi, che per la loro replicazione non dipendono dalla cellula ospite, i virus sono dei parassiti intracellulari obbligati; per questo motivo i farmaci antivirali devono essere selettivi per inibire le funzioni del virus, senza danneggiare la cellula ospite. Negli ultimi anni, gli studi di virologia molecolare, hanno consentito di identificare funzioni virali specifiche che possono servire da bersagli per la terapia antivirale. Per quanto riguarda il trattamento delle infezioni da HIV viene approvato un numero sempre maggiore di farmaci. Per il trattamento delle infezioni da HIV-1, attualmente sono disponibili quattro classi di farmaci approvati dalla Food and Drug Administration Americana (FDA) e comprendono inibitori della trascrittasi inversa, nucleosidici (NRTI) e non nucleosidici (NNRTI), inibitori della proteasi virale (PI) e inibitori della fusione. Gli inibitori della RT inibiscono la replicazione virale dopo l’entrata del virus nella cellula ospite ma prima dell’integrazione, mentre i PI prevengono la maturazione dei virioni permettendo il rilascio di particelle virali non infettanti. Inizialmente il trattamento degli individui infetti veniva praticato mediante la cosiddetta monoterapia, che prevedeva l’uso di una singola classe di inibitori. 48 Questo approccio ha avuto un modesto impatto sui livelli di RNA virale plasmatici e ha portato alla comparsa di ceppi virali farmaco-resistenti. Nel 1996 si iniziò ad utilizzare un trattamento terapeutico combinato che prese il nome di terapia antiretrovirale altamente attiva (HAART, highly active antiretroviral therapy) e consiste nell’uso di tre o più farmaci appartenenti a due o più differenti classi di inibitori. Grazie a questo utilizzo di combinazione di farmaci, oggi la mortalità è drammaticamente diminuita, trasformando una malattia inesorabilmente mortale in una patologia cronica a lunga decorrenza. La tripla terapia tipica comprende un inibitore della proteasi o un inibitore della trascrittasi inversa non nucleosidico, in combinazione con due inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (82). Tale terapia riesce a diminuire la replicazione virale e quindi la carica virale nei tessuti linfatici, a permettere il recupero della risposta immunitaria verso patogeni opportunisti e a prolungare la vita del paziente. Inoltre, mentre la monoterapia di solito produce rapidamente l’insorgenza di forme mutanti di HIV resistenti al farmaco, l’associazione terapeutica, che agisce a diversi livelli della replicazione virale, in genere rallenta la selezione dei mutanti. Tuttavia, l’HAART non riesce ad eradicare il virus guarendo le infezioni da HIV, infatti, quest'ultimo continua ad essere presente anche dopo anni nelle cellule infettate, come le cellule memoria CD4 e i macrofagi (83). La terapia HAART inoltre, non è ben tollerata dai pazienti in cui può indurre un ampio range di effetti tossici di differente severità (84), richiede esperienza da parte dei medici ed induce, se pur più lentamente, l'insorgenza di resistenze multiple ai farmaci (85). 49 5.2 Resistenze ai farmaci I problemi legati al fallimento terapeutico sono dovuti prevalentemente all’insorgenza della resistenza ai farmaci e all’inadeguata concentrazione dei farmaci causata a sua volta da fattori come la mancata aderenza del paziente, la farmacocinetica e la tossicità. La farmaco-resistenza è una conseguenza di una non completa soppressione della replicazione virale. L’alta velocità di replicazione di HIV causa mutazioni che si accumulano nel genoma virale, portando alla diminuzione dell’efficacia antivirale del farmaco e rendendo gradualmente inattivo ciascun componente del regime terapeutico. La comparsa di mutazioni è un fenomeno naturale dovuto agli elevati tassi di replicazione di HIV-1 e alla incapacità della RNA-polimerasi di correggere errori di trascrizione. Il trattamento terapeutico induce una pressione selettiva sul virus favorendo l’insorgenza di ceppi virali resistenti in grado di sopravvivere e replicare. Le varianti farmaco-resistenti possono essere generate de novo durante la terapia, oppure possono originare da un pool di provirus integrati prima dell’inizio della terapia, considerando che in un singolo individuo HIV-1 esiste un miscuglio di varianti geneticamente differenti, descritte come quasispecie. Anche in assenza di pressione selettiva farmacologica viene quotidianamente prodotta una quantità di particelle virali contenenti almeno una sostituzione correlata a resistenza ai farmaci e la 50 comparsa di mutazioni nel genoma virale che si traduce spesso in una resistenza fenotipica a uno o più antiretrovirali. La selezione di varianti resistenti nel corso della terapia dell’infezione da HIV-1 è un fenomeno frequente (86) e dovuto al fatto che, in presenza di farmaci, la quasispecie resistente diventa predominante poiché in grado di replicarsi più efficacemente rispetto al virus wild-type. Spesso, inoltre, queste varianti sono resistenti a più farmaci appartenenti alla stessa classe (crossresistenza) (87). Non è infrequente, a causa dell’enorme diffusione di HIV, che alcuni soggetti vengano infettati da virus con resistenza primaria, ovvero quella presente nel genoma virale già al momento dell’infezione e non insorta successivamente a seguito della terapia antiretrovirale. Una ridotta carica virale e l' aver acquisito l’infezione da HIV prima del 2000 sono fattori predittivi di resistenza primaria ai farmaci. In questo caso la rapidità dell’analisi è cruciale. Nel corso dell’infezione, infatti, la popolazione virale si evolve; se il paziente non viene trattato con antiretrovirali, come spesso accade nei primi tempi dopo il contagio, i ceppi resistenti eventualmente presenti all’inizio possono modificarsi e perdere le loro caratteristiche, sicché individuarli diventa più difficile; è consigliato, quindi, eseguire il test di resistenza in tutti i pazienti naive prima di iniziare la terapia antiretrovirale. I risultati di alcuni studi suggeriscono che, mediante il test di resistenza genotipico, è possibile ottenere nei pazienti con resistenza primaria un’efficacia di trattamento sovrapponibile a quella dei pazienti senza tale resistenza. Aumenti transitori della viremia in corso di HAART, chiamati blip, 51 si associano all’emergenza di nuove varianti di HIV resistenti ai farmaci ma non predicono un fallimento virologico. Dato che HIV può sviluppare resistenza ad ogni farmaco introdotto nella terapia, esiste la necessità di sviluppare nuovi composti e nuove strategie terapeutiche. Sarà di fondamentale importanza in proposito individuare molecole che inibiscono anche altre fasi del ciclo vitale del virus. Al momento numerosi farmaci antiretrovirali sono candidati all’approvazione e si trovano in vari stadi degli studi clinici e preclinici (trial clinici). Alcuni sono nuovi composti che fanno parte delle classi di farmaci già esistenti ma che vengono sviluppati per ottenere una migliore farmacocinetica, per diminuire lo sviluppo di resistenze e per aumentare la potenza antivirale. Altri agenti in studio appartengono a nuove classi di farmaci e sono diretti verso nuovi bersagli e caratterizzati da meccanismi da azione unici. Tra questi sono da menzionare gli inibitori dell’integrasi, gli inibitori dell’entrata e quelli della maturazione. Tra gli inibitori dell’entrata, quelli che sono in uno stadio più avanzato nella sperimentazione clinica sono i cosiddetti antagonisti del corecettore CCR5. 52 5.3 Inibitori dell’entry La terapia di combinazione (Highly Active Antiretrovaral Treatment, HAART) con almeno tre agenti antiretrovirali efficaci sopprime la replicazione virale a così bassi livelli che la comparsa di varianti di HIV-1 farmaco-resistenti, se non prevenuta, viene almeno ritardata. Tuttavia il virus si è dimostrato capace di sviluppare resistenze a qualsiasi molecola introdotta in terapia e di frequente un mutante resistente ad un farmaco risulta resistente anche agli altri inibitori della stessa classe. Pertanto, la continua ricerca di nuovi farmaci che possano interferire con diverse funzioni virali ha portato alla recente introduzione nella pratica clinica di una nuova generazione di agenti antiretrovirali : gli inibitory dell’entry, l’Enfuvirtide (T20) il primo ad essere approvato nella pratica clinica è un peptide sintetico che interferisce con l’attività fusogena di gp41. L’evidenza che i recettori per le chemochine sono utilizzati da HIV per entrare ha fornito le basi per lo sviluppo di una nuova classe di inibitori dell’entry: tra questi l’unico attualmente approvato nella pratica clinica è il Maraviroc (Celsentri, UK – 427.857;Pfizer, NewYork, NY, USA) antagonista del corecettore virale CCR5 (88,89). Il Maraviroc è un antagonista funzionale per i ligandi naturali (chemochine MIP-1α, MIP-1β e RANTES) di CCR5 espresso sulla membrana delle cellule, ha una attività antivirale, in quanto inibisce in modo competitivo il legame di gp120 a CCR5, è efficace a basse concentrazioni nanomolari ed ha una 53 permanenza fisica e funzionale nel comparto extracellulare tale da giustificare un rialzo tardivo della viremia nei pazienti che assumono la terapia in modo discontinuo, (90,91) inoltre il Maraviroc non induce l’internalizzazione del recettore CCR5 rendendo il blocco funzionale permanente (92). 6 RAZIONALE DELLO STUDIO Gli antagonisti del CCR5 di HIV stanno diventando sempre più importanti come agenti terapeutici ed è pertanto fondamentale identificare quei pazienti che possono giovarsi del trattamento con Maraviroc; il che implica la necessità di conoscere quale virus è presente nel paziente e questo è possibile utilizzando il saggio per la determinazione del tropismo, che può essere un test fenotipico in vitro o un test genotipico (fenotipo virtuale). Il test Trofile distribuito dalla Monogram Bioscences è stato fino a pochi mesi fa il saggio fenotipico più utilizzato su scala mondiale, esso prevede l’inserimento delle varianti virali del gene env amplificate dal paziente all’interno di un plasmide replicativo env-deleto e l’utilizzo di un plasmide contenente un marker bioluminescente a base di luciferasi, in seguito a cotrasfezione si ottengono delle particelle virali replicative che sono utilizzate per infettare due linee cellulari bersaglio una che utilizza esclusivamente il corecettore CCR5 per penetrare nella cellula l’altra che utilizza solo il corecettore CXCR4, in sostanza la quasispecie virale presente nel paziente è in questo modo riprodotta in vitro. 54 Le cellule infettate con successo emetteranno luce durante la replicazione virale. Questo test presenta tuttavia notevoli svantaggi quali: i) il tempo di attesa per la risposta, ii) una resa non soddisfacente per quei campioni con viremia <500 copie/ml e, iii) costi elevati. A causa di tali limitazioni, la comunità scientifica ha puntato l’attenzione sulla messa a punto di test genotipici per la predizione del tropismo. I vantaggi che il test genotipico offre sono: i) la rapidità d’esecuzione, ii) la possibilità di ottenere un risultato su campioni di pazienti con viremia <500 copie/ml, iii) costi contenuti. È stato ampiamente dimostrato attraverso studi geno-fenotipici che la regione V3 è la principale responsabile del tropismo virale, pertanto la sequenza V3 accoppiata all’utilizzo di un algoritmo interpretativo (che studia la funzione del gene) per la definizione del fenotipo, così detto fenotipo virtuale, è il modo più semplice per identificare il tropismo del virus, tuttavia a causa dell’elevata variabilità del gene env i saggi genotipici possono essere inaffidabili, specialmente a causa della possibile presenza di sequenze minoritarie che non vengono evidenziate con i comuni metodi di sequenziamento. Al contrario, i saggi biologici, specialmente quelli basati su metodi clonali, sono sempre in grado di valutare in modo completo il fenotipo effettivo (la quasispecie virale). A tal fine abbiamo messo a punto un vettore di espressione fluorescente che si caratterizza per consentire il clonaggio delle sequenze V3 amplificate dal paziente di interesse. Questo plasmide è dotato di un gene per la proteina fluorescente GFP che viene espressa quando il virus replica nelle cellule, è 55 pertanto possibile conoscere sia il fenotipo conferito da quella specifica sequenza V3 che la capacità replicativa della variante V3 attraverso l’analisi fluorimetrica. Obiettivo di questo lavoro è confrontare il saggio fenotipico home-brew con il saggio commerciale Trofile nella sua forma più sensibile l’Enhanced sensitivity Trofile assay (Esta), in breve la regione V3 del gene Env di HIV amplificata dal plasma di 38 pazienti HIV-1 positivi, il cui coreceptor usage era stato precedentemente definito con il saggio Esta, è stata sequenziata e clonata nel nostro plasmide di espressione; è stato quindi valutato il fenotipo virtuale e il tropismo in vitro (saggio fenotipico) dei 117 cloni replicativi. Il fine ultimo del nostro lavoro è conseguire una valutazione comparativa tra i diversi saggi fenotipici e tra i saggi fenotipici e saggi virtuali nella definizione del coreceptor usage. 56 7 MATERIALI E METODI 7.1 Costruzione del vettore pNLmodV3GFP Al fine di determinare se il saggio genotipico accoppiato all’utilizzo di un algoritmo predittivo della funzione del gene possa dare informazioni equivalenti al saggio biologico commerciale (test Trofile), abbiamo modificato un saggio fenotipico home-brew, precedentemente messo a punto in questo laboratorio e validato per l’inserimento della regione V3 amplificata da pazienti HIV-1, in modo da renderlo capace di esprimere la GFP o Green Fluorescent Protein. Questo vettore permette di studiare l’entry del virus a poche ore dalla trasfezione/infezione analizzando la fluorescenza delle cellule infettate dalle chimere virali. In sintesi la GFP è stata amplificata dal vettore pEGFP-C1 utilizzando i primers GFPS e GFPAS, questi primers sono stati progettati in modo tale da contenere al loro interno il sito di restrizione dell’enzima BplI; il prodotto ottenuto mediante PCR è poi stato digerito alle estremità con l’enzima BplI con una reazione a 37°C per 2h, con il medesimo enzima il vettore pNLmodV3 è stato linearizzato a livello del gene NEF e la GFP è stata inserita in modo da mantenere il frame di lettura. Poiché l’enzima BplI non si disattiva al calore, per interromperne l’attività enzimatica vettore ed 57 amplificato GFP sono stati purificati con kit gel extraction Quiagen. I prodotti di purificazione sono stati poi verificati su gel d’agarosio al 1% TBE1X. Successivamente 0.5µl di vettore e 4µl di amplificato GFP (digeriti e purificati) sono stati ligati o/n a temperatura ambiente in un volume finale di 10µl contenente tampone di ligazione 10X e T4-ligasi HC (Promega, Madison WI U.S.A.). Infine, 2 l del prodotto di ligazione sono stati utilizzati per la trasformazione mediante shock termico di una sospensione di cellule batteriche competenti (JM109 Competent Cells, Promega, Madison WI U.S.A.) seguendo il protocollo consigliato dalla ditta produttrice. La sospensione batterica è stata seminata su LB (Luria Bertani: 10g/l bactotriptone, 5g/l estratto di lievito, 10g/l NaCl pH7), con Agar e contenente ampicillina (100g/ml) come marcatore di selezione dei batteri resistenti. Le colonie ottenute sono state controllate per la presenza dell’inserto GFP mediante amplificazione con i primers NEF3 e GFPINTAS. Alcune colonie risultate positive allo screening, sono state fatte crescere in SB liquido con ampicillina (100g/ml). È stata quindi eseguita una estrazione plasmidica dai batteri cresciuti in terreno SB liquido (35g/l bactotriptone, 20g/l estratto di lievito, 5 g/l NaCl pH7), per ottenere il nuovo plasmide pNLmodV3GFP (Wizard Plus SV Minipreps DNA Purification System, Promega, Madison WI U.S.A.). Infine, per controllare che l’inserzione della GFP sia avvenuta correttamente e che il frame di lettura sia rimasto invariato sono state effettuate due reazioni di sequenza con GFPINTS e GFPINTAS. Inoltre l' esattezza dell'intero vettore è 58 stata verificata mediante digestione con l’enzima HIND III (Promega, Madison WI U.S.A.) 7.2 Origine delle regioni V3 Le regioni V3 sono state amplificate a partire dall’RNA estratto con il kit QIAamp Viral Rna MiniKit Quiagen dal plasma di 38 pazienti HIV-1 positivi precedentemente sottoposti al test Trofile. Per la retrotrascrizione dell’RNA di HIV-1 è stato utilizzato il primer antisenso V52 (50pmoli) e 200U di trascrittasi inversa M-MLV Invitrogen a 37°C per 30 minuti in un volume finale di 20µl in presenza buffer di reazione 1X(Euroclone), 10mM MgCl2 (Euroclone), 1mM di ciascun dNTP (Invitrogen), e 10U di inibitore della RNAsi (Ribonuclease inhibitor Porcine Liver, Takara). Il cDNA ottenuto dopo la retrotrascrizione è stato utilizzato per la reazione di PCR in tampone 1X contenente 0.2mM di ciascun dNTP, 50pmoli del primer senso V31 e 2,5U di Taq polimerasi (Euroclone) in un volume finale di 50µl. Il profilo di amplificazione dopo una denaturazione iniziale a 94°C per 2 minuti, una denaturazione a 94°C per 15secondi, annealing a 50°C per 15 secondi, estensione per 50 secondi a 72°C è stato ripetuto per 40 cicli seguiti da un’estensione finale a 72°C per 10 minuti. 5µl del prodotto di PCR sono stati quindi utilizzati per una reazione di amplificazione nested utilizzando la coppia di primer V3s e V3as utilizzando una DNA polimerasi altamente processiva e con attività esonucleasica 3'-5', anche nota come attività proofreading (Pwo DNA polymerase Roche Diagnostics, Milano, Italia), in un volume finale di 50l contenente: tampone di reazione 1X [10 mM Tris-HCl pH 8.85, 25 mM KCl, 50 mM di (NH4)2SO4], 2mM MgSO4, 25 pmoli di 59 ciascun primer, 100M di ciascun dNTP, 1U di DNA polimerasi. L’ amplificazione prevedeva una fase di denaturazione (94C per 15 secondi), una di annealing (53°C per 15 secondi) e una di estensione (72C per 45 secondi), ripetute per 30 cicli totali ed una estensione finale di 10 minuti a 72°C. Tutte le regioni V3 contengono all'inizio e alla fine una sequenza identica, rispettivamente di 25 e 21 bp, che corrisponde alla sequenza dei due primer utilizzati per l'amplificazione (tabella 2). I due primer sono stati disegnati in modo tale che la sequenza inserita rimanga in frame per la traduzione della proteina di env. La presenza e la qualità di un prodotto di amplificazione della lunghezza appropriata è stata controllata su gel di poliacrilamide al 10%. 7.3 Sequenziamento diretto delle regioni V3 Prima di essere clonata la regione V3 è stata sequenziata, in particolare sono stati sequenziali gli amplificati ottenuti dalla prima pcr, V31-V52. Tutte le sequenze sono state ottenute utilizzando la tecnica di Sanger e coll. (1977), come modificata da Chen e Seeburg (1985). Il metodo si basa sul blocco dell’estensione della catena di DNA crescente quando dideossiribonucleosiditrifosfati (ddNTP) vengono incorporati dalla DNA polimerasi. DNA stampo da sequenziare, DNA polimerasi termostabile, e primer di sequenza sono aggiunti ad una miscela di dNTP/ddNTP per una reazione di sequenziamento ciclico. I prodotti della reazione rappresentano una popolazione di molecole di DNA neosintetizzate che terminano in 60 ciascuna delle posizioni nucleotidiche del frammento stampo, perciò tutti questi frammenti hanno in comune l’estremità 5’ ma differiscono in lunghezza. Nel nostro laboratorio il sequenziamento del DNA è stato ottenuto utilizzando un Kit in commercio (BigDye Terminator V1.1 Cycle Sequencing Kit, Applied Biosystems CA U.S.A.) in cui ciascun ddNTP è marcato da un diverso fluorocromo, che dà una specifica emissione di fluorescenza quando eccitato da un raggio laser; pertanto la reazione di sequenza può avvenire in un’unica fiala ed i prodotti della reazione vengono separati durante la corsa elettroforetica in un gel denaturante ad alto potere risolutivo, e successivamente vengono letti dal sequenziatore automatico a raggio laser (3130 Genetic Analyzer, Applied Biosystems) in grado di riconosce la diversa emissione dei quattro fluorocromi. Le reazioni di sequenza sono state fatte in un volume finale di 10 l contenenti il DNA stampo (amplificato), 2l di miscela di reazione pronta all'uso (Applied Biosystems), 2µl di buffer di diluizione (Applied Biosystems)e 250 pmoli di primer. Questa miscela è stata sottoposta a 25 cicli di denaturazione a 96°C per 10 secondi, annealing a 50°C per 5 secondi ed estensione a 60°C per 2 minuti. Dopo precipitazione con etanolo e sospensione del precipitato in formamide, le reazioni venivano trasferite su piastre a 96 pozzetti e caricate nel sequenziatore . Per ogni amplificato sono state effettuate 4 reazione al fine di ottenere una sequenza dettagliata della regione V3 utilizzando i primers V3S6, V3S5, V3AS1 E V3AS3BIS. 61 Al fine di ottenere la predizione del fenotipo è importante determinare il livello di significatività, cioè di selezionare quanto conservativa è la determinazione del virus X4, questo livello di significatività è determinato dal tasso di falsa positività per la classificazione di un virus X4. Questo tasso detto FPR (False Positive Rate) è un cut off, una soglia al di sopra della quale i virus sono definiti R5 e al di sotto X4. Attualmente l’FPR utilizzato dalla comunità scientifica è del 10%; questo valore sembra raggiungere un buon compromesso tra sensibilità e specificità. Il fenotipo virtuale viene definito mediante l’utilizzo del programma implementato nel pacchetto geno2pheno per l’analisi del corecettore, poiché nessuna classificazione è così perfetta da distinguere tutti gli R5-tropici da tutti gli X4-tropici bisogna trovare un compromesso attraverso la definizione di un valore cut-off, che identifica un livello di significatività. La soglia stabilita permette di decidere quanto conservativa debba essere la predizione per un virus X4 e riflette la probabilità di definire falsamente un virus R5 come X4, in tal senso si valuta per ogni sequenza un tasso di falsa positività (FPR) che esprime la probabilità per un virus non X4 di essere classificato erroneamente X4. In sostanza le sequenze che mostrano un valore inferiore alla soglia stabilita utilizzano con alta probabilità il CXCR4 quelle che hanno un valore di FPR superiore alla soglia al contrario utilizzano CCR5; tanto più è alto il valore cut-off arbitrario tanto maggiore è la predizione di un virus X4, al contrario tanto più basso quel valore tanto più virus X4 saranno classificati come R5 con il rischio di somministrare il farmaco ad un paziente in cui si 62 potrebbe più facilmente selezionare, sulla base della sequenza, una variante X4-tropica. 7.4 Clonaggio molecolare delle regioni V3in pNLmodV3GFP Definito il fenotipo virtuale di ogni paziente si è proceduto al clonaggio della sola regione V3. Gli amplificati V3s-V3as ottenuti sono stati clonati nel vettore pNLmodV3GFP appositamente preparato (Figura 3) Brevemente, 30 ng di vettore pNLmodV3C5, precedentemente linearizzato con NRU I, sono stati utilizzati per una reazione di ligazione in presenza tampone di reazione 10X, 10U di T4 DNA ligasi HC, (Promega, Madison WI U.S.A.), un'aliquota del prodotto di amplificazione in modo di avere un corretto rapporto molare inserto/vettore, in un volume finale di 10 l. La reazione è stata mantenuta a temperatura ambiente per quattro ore. La trasformazione delle cellule competenti è stata eseguita per shock termico, come già descritto, utilizzando 2 l del prodotto di ligazione. Le piastre sono state incubate a 37°C per tutta la notte. Al fine di ottenere un migliore isolamento dei batteri trasformati, colonie isolate sono state seminate su una nuova piastra d’agar, e lasciate crescere a 37C per 6 ore circa. Poiché si tratta di una ligazione di frammenti blunt-end, l' amplificato può inserirsi in due orientamenti alternativi, di cui uno soltanto è corretto per il frame di 63 lettura. Per questo motivo l’orientamento dell’inserto è stato valutato mediante PCR utilizzando il primer V3.1, che si ibrida sul vettore a monte dell'inserto, ed il V3.2, presente sull'inserto; soltanto i cloni aventi l’inserto nel giusto orientamento danno il prodotto atteso. Le colonie singole isolate attraverso il passaggio su una seconda piastra sono trasferite nelle provette di reazione contenente 50 l della miscela di amplificazione (tampone di PCR 1X, 25pmoli di ciascun primer V3.1 e V3.2, 0.2 mM di ciascun dNTP, 2.5 U di DNA polimerasi). Al fine di ottenere una completa lisi dei batteri, si esegue una denaturazione iniziale a 94C per 5 minuti, seguita da 25 cicli con il seguente profilo di amplificazione: denaturazione a 94°C per 20 secondi, annealing a 55°C per 30 secondi, estensione a 72°C per 45 secondi. I prodotti di reazione vengono controllati su gel di poliacrilamide al 10% per identificare i cloni contenenti l’inserto amplificato della lunghezza attesa. Le colonie positive allo screening vengono seminate in terreno SB liquido contenente ampicillina (100mg/ml), la coltura viene mantenuta a 37°C per una notte sotto agitazione continua, la torbidità del brodo di coltura testimonierà l’avvenuta crescita batterica. Si procede, quindi, all’estrazione plasmidica mediante il metodo della lisi alcalina dei batteri seguendo il protocollo della ditta produttrice del kit di estrazione (Wizard Plus SV Minipreps DNA purification System, Promega, Madison WI U.S.A.). La concentrazione del plasmide purificato viene calcolata tramite lettura spettrofotometrica, mentre la qualità del prodotto viene valutata dopo digestione con l’enzima Hind III (Promega, Madison WI U.S.A.) che taglia cinque volte il plasmide 64 ricombinante. Il materiale digerito viene caricato su gel di acrilamide al 10% e le cinque bande della lunghezza attesa, vengono confrontate con quelle di pNLmodGFP, digerito nella stessa seduta. 7.5 Sequenziamento delle chimere virali La tecnica del sequenziamento è stata utilizzata anche per controllare l' intero pNLmodGFP e per verificare l’esattezza delle sequenze dei plasmidi ricombinanti estratti dalle colture batteriche prima di utilizzarli per le trasfezioni della linea cellulare U87 CD4+CCR5+/CXCR4. La regione V3 dei plasmidi ricombinanti è stata sequenziata utilizzando il primer V3.1. La regione sequenziata comprende tutta la regione V3 inserita nel vettore. 7.6 Colture cellulari Per studiare il fenotipo dei cloni molecolari ricombinanti di HIV-1, venivano utilizzate le linee cellulari di glioma umano U87/CCR5 e U87/CXCR4, ingegnerizzate in modo da esprimere il CD4 e i corecettori per HIV-1. Queste cellule venivano mantenute in coltura aderente in terreno DMEM (Dulbecco’s Modified Eagle Medium), 10% FCS (Siero Bovino Fetale), aminoacidi non essenziali (NEAA), 0,5X antibiotici ed antimicotici e Hepes Buffer 12,5mM. 65 G418 (300µg/ml) e puromicina (1µg/ml) venivano aggiunti al terreno di crescita per mantenere sotto selezione l’espressione del CD4 e dei corecettori. Le cellule venivano incubate a 37°C in atmosfera al 5% di CO 2 ed al 95% di umidità in fiasche da 25cm2 (T25). Raggiunta la confluenza, le colture venivano passate una o due volte la settimana e trattate con tripsina ed EDTA per permettere il distacco dal substrato; un’aliquota della sospensione cellulare veniva, quindi, introdotta in nuove fiasche in presenza di terreno completo. 7.7 Trasfezioni Le cellule U87/CCR5 e U87/CXCR4 venivano trasfettate con i plasmidi ricombinanti mediante uso del reagente Lipofectina (Invitrogen). Si tratta di una sospensione di liposomi con membrana lipidica carica positivamente. Grazie a questa carica possono legare sia le cellule, per affinità con la membrana plasmatica, che il DNA plasmidico, favorendone l’ingresso fino al nucleo delle cellule. Successivamente venivano seminate su una piastra da 96 pozzetti Il giorno precedente la trasfezione, le cellule confluenti venivano staccate con tripsina, risospese e contate nella camera di Burker. Successivamente venivano seminate su piastra nera da 96 pozzetti con fondo piatto e trasparente (Corning, NY USA), in modo da depositarne circa 6500 per pozzetto in 150µl di terreno completo con 10% di FCS. Il giorno dopo le cellule ricoprivano circa l’80% della superficie del fondo ed erano pronte per 66 la trasfezione. Per la trasfezione venivano preparate due soluzioni separate: l’una contenente il plasmide ricombinante diluito nel terreno senza antibiotici e FCS, l’altra contenente la lipofectina diluita sempre nello stesso terremo (0,4µl di lipofectina in 29,6µl di terreno per pozzetto). Dopo circa 45 minuti, le due miscele venivano unite e incubate a 37°C per 15 minuti. Il terreno delle cellule seminate il giorno precedente veniva aspirato e al suo posto veniva aggiunta la miscela di trasfezione. Dopo un’incubazione di 5-6 ore, la miscela veniva, a sua volta, rimossa per aspirazione e sostituita con 150µl di terreno completo. Il plasmide entrato nelle cellule ha la possibilità di esprimersi in modo transitorio e la proteina di fusione GFP-NEF si fonde con la membrana plasmatica della cellula infettata rendendola fluorescente. Dopo 6 giorni veniva effettuata la lettura della fluorescenza grazie all’utilizzo dello strumento Fluorskan Ascent, un fluorimetro per micropiastre; la validazione dello stesso è stata confermata da numerosi esperimenti effettuati in replica i quali hanno dimostrato una correlazione positiva fra questa lettura e i valori ottenuti mediante il dosaggio della p24 (p24 Ag) di Hiv presente nel sovranatante delle cellule infettate. Il dosaggio di antigene p24, mediante saggio immunoenzimatico ELISA (Abbott AXSYM™ system) è stato comunque effettuato al fine di quantificare gli stock virali prodotti dalle trasfezioni, 67 rendendo possibile la standardizzazione delle infezioni che sono state realizzate con i vari virus ricombinanti Figura 3: Strategia utilizzata per il clonaggio delle sequenze V3 in NlmodΔV3GFP. 68 7.8 Primers oligonucleotidici La coppia di primers GFPS/GFPAS è stata utilizzata per la costruzione del vettore di clonaggio pNLmodV3GFP. I primers V3S6, V3S5, V3AS1 E V3AS3BIS sono stati utilizzati per il sequenziamento diretto degli amplificati V31-V52. Tutte le regioni V3 inserite nel vettore, sono state amplificate utilizzando la coppia di primers V3s-V3as la cui sequenza rappresenta il consensus derivato dall'allineamento di tutte le sequenze depositate in banca dati. Il primer V3.1 è stato utilizzato per controllare, mediante sequenziamento, l'esatta inserzione della sequenza V3 nei plasmidi ricombinanti. Il nome e la sequenza dei primers impiegati sono riportati in Tabella 1. Primer Lunghezza Senso Sequenza nucleotidica dal 5' al 3' V3.1 28 nt + TCAGCACAGTACAATGTACAGATGGAAT V5.2 23 nt - TTCTTGGGAGCAGCAGGAAGCAC V3.2 28 nt - TTTAATTGTGGAGGGGAATTTTTCTACT V3s 25 nt + TACAGCTGAATGAATCTGTAGAAAT V3-as 21 nt - TATTCCATTTTGCTCTACTAA GFPS 22nt + gctgagccaATGGTGAGCAAGG GFPAS 21nt - gctcaggTCGAGATCTGAGTC NEF3 24 nt + ACATACCTAGAAGAATAAGACAGG GFPINTAS 21 nt - AAGTCGTGCTGCTTCATGTGG 69 V3S6 20 nt + CTGTTAAATGGCAGTCTAGC V3S5 20 nt + GTTAAATGGCAGTCTAGCAG V3AS1 21 nt - GAAAAATTCCCCTCCACAATT V3AS3BIS 18 nt - CAATTTCTGGGTCCCCTC Tabella 1: Elenco dei primers utilizzati in questo lavoro. 70 8 RISULTATI 8.1 Caratteristiche dei pazienti Questo studio comprende 38 pazienti HIV-1 positivi con una viremia>100 cp/ml e naïve al Maraviroc. Le loro caratteristiche cliniche, virali e immunologiche sono riassunte nella tabella 2. Numero di pazienti 38 Sesso M/F 22/16 Età 26-84 (mediana=43) Genotipo: B C F G/B CRF02 27 4 2 1 4 Viremia cp/ml CD4 cell/mmc Terapia Fenotipo Esta 109-867.086 (mediana=83.580) 2-786 (mediana=303) si=24 no=10 non aderenti=4 R5=25 X4/DM=9 NR=4 Tabella 2: Caratteristiche cliniche dei pazienti analizzati 71 8.2 Validazione del saggio utilizzato per il clonaggio di sequenze V3 in pNLmodV3GFP Prima di effettuare i saggi di fenotipo ricombinante, la strategia sperimentale basata sul clone molecolare pNLmodΔV3GFP è stata validata clonandovi sia la regione V3 di NL(CXCR4tropico) che di AD8(CCR5 tropico), in modo da ricostruire la sequenza completa del virus parentale. La replicazione del virus chimerico, valutata dopo infezione su cellule U87/CCR5 e U87/CXCR4, ha dimostrato che il virus ricombinante contenente la V3 wild-type di NL-AD8 replica come il virus originario. Questi risultati mostrano che la strategia usata è affidabile ed è in grado di fornire informazioni utili per la valutazione del fenotipo ricombinante e quindi del coreceptor usage della V3 amplificata dai pazienti analizzati. Come descritto nei materiali e metodi l’RNA virale è stato estratto dal plasma di 38 pazienti e sottoposto a RT-PCR, l’amplificato V3 è stato poi clonato nel vettore Home-Brew . Per ogni chimera virale ottenuta è stata effettuata una trasfezione in doppio, e l’intero esperimento ripetuto in tre repliche, perciò il valore di fluorescenza ottenuto per ognuno dei 117 cloni corrisponde alla media di sei valori ottenuti. 72 8.3 Confronto tra saggio fenotipico Home Brew ed ESTA Sono state ottenute 117 chimere virali dal plasma di 38 pazienti HIV-1 positivi di cui era noto il coreceptor usage determinato dal saggio Trofile. I pazienti HB (home brew) sono stati valutati nel fenotipo considerando ogni clone virale ottenuto dal campione, se tutti i cloni del paziente risultavano essere R5, il paziente veniva valutato come R5, se emergeva anche un solo clone X4/DM allora il paziente veniva valutato come X4/DM. Il saggio ricombinante home brew ha identificato 90 cloni con fenotipo R5 corrispondenti a 28 pazienti, 20 cloni con fenotipo X4/DM corrispondenti a 9 pazienti e tutte le chimere virali ottenute da 1 paziente sono risultate essere non replicative ( il paziente è risultato essere un X4/DM con Esta). 73 Il saggio Esta ha identificato 25 pazienti con fenotipo R5, 9 pazienti con fenotipo D/M e 4 NR . Come si può notare c’è una quasi perfetta corrispondenza tra il saggio ricombinante home brew e il test commerciale; i quattro campioni che il saggio Esta ha valutato come non replicativi, clonati nel nostro vettore ricombinante sono risultati essere rispettivamente due con fenotipo R5 e altrettanti con fenotipo X4/DM. Il nostro test si mostra pertanto più sensibile rispetto al test commerciale Esta perché ha una maggior probabilità di definire il coreceptor usage. 8.4 Valutazione del test genotipico Geno2Pheno L’algoritmo geno2pheno è attualmente riconosciuto come lo strumento interpretativo più affidabile per la determinazione del tropismo, data la sequenza. L’algoritmo geno2pheno ci fornisce un valore quantitativo, l’FPR o False Positive Rate, che è una misura della probabilità che il virus ha di utilizzare il corecettore CCR5 per entrare nella cellula. Il cut-off per discriminare i virus CCR5 tropici dai virus CXCR4 tropici attualmente consigliato dal National Reference Centre for Retrovirus in Germania è del 10%, noi abbiamo, tuttavia, nella nostra valutazione preso in considerazione anche il cut off del 5% e del 20%. 74 La concordanza tra geno2pheno e saggio ricombinante home brew è del 90,9%, 92,7% e 80,9% quando la soglia di FPR è rispettivamente del 10%, del 5% e del 20%. La specificità, che misura la concordanza tra geno2pheno e saggio home brew nell’identificazione degli R5 tropici (falsi negativi) raggiunge il 96% quando la soglia stabilita è del 5%, ma otteniamo una sensibilità, che misura la concordanza nel rilevare i virus CXCR4 tropici (veri positivi), massima quando la soglia stabilita è del 10% e del 20%, tuttavia se la soglia fosse fissata al 20% significherebbe che molti virus sarebbero identificati come probabili CXCR4 quando sono in realtà CCR5 tropici, ovvero che molti che potrebbero beneficiare della terapia con il Maraviroc nella pratica non lo faranno. Come mostra la tabella 4, il nostro lavoro sostiene la raccomandazione di fissare come soglia il 10% in quanto a questo valore si ottiene una sensibilità massima nell’identificazione dei CXCR4 e una buona specificità nella G2P FPR valutazione dei CCR5 tropici. <10 >10 G2P FPR TOTALI <5 >5 G2P FPR TOTALI <20 >20 TOTALI X4/DM R5 TOTALI 20 0 20 15 5 20 20 0 20 10 80 90 3 87 90 21 69 90 30 80 110 18 92 110 41 69 110 CONCORDANZA % SENSIBILITA’ (95%CI) 90,9 1,00 92,7 80,9 SPECIFICITA’ (95%CI) ACCURATEZZA (95%CI) 0,88 0,94 0,81 - 0,95 0,89 - 0,98 0,75 0,96 0,85 0,56 – 0,94 0,92 – 1,00 0,78 – 0,92 0,76 0,88 0,82 – 0,94 1,00 0,67 – 0,85 Tabella 4: Valutazione dei risultati ottenuti con il test Geno2Pheno utilizzando come riferimento il saggio fenotipico Home Brew (7 cloni sono risultati NR) 75 La concordanza tra geno2pheno e saggio commerciale Trofile è dell’ 88,2%, 85,2% e 76,4% quando la soglia di FPR è rispettivamente del 10%, del 5% e del 20%. La tabella 5 mostra che quando il test geno2pheno viene paragonato al test Trofile i valori di specificità e sensibilità peggiorano sensibilmente, e si conferma come miglior scelta la soglia di FPR il 10%. Le tabelle mettono inoltre in evidenza come il nostro test ricombinante home brew sia più sensibile e più accurato, quando paragonato al test genotipico, G2P FPR del test commerciale Trofile. <10 >10 G2P FPR TOTALI <5 >5 G2P FPR TOTALI <20 >20 TOTALI X4/DM R5 TOTALI 7 2 9 5 4 9 8 1 9 2 23 25 1 24 25 7 18 25 9 25 34 6 28 34 15 19 34 CONCORDANZA % 88,2 85,2 76,4 SENSIBILITA’ (95%CI) SPECIFICITA’ (95%CI) ACCURATEZZA (95%CI) 0,77 0,92 0,84 0,50-1,04 0,82 – 1,02 0,72 - 0,96 0,55 0,96 0,75 0,23 - 0,87 0,88 – 1,03 0,60 – 0,90 0,88 0,72 0,67-1,09 0,54 – 0,90 0,80 0,67 – 0,93 Tabella 5: Valutazione dei risultati ottenuti con il test Geno2Pheno utilizzando come riferimento il saggio commerciale Trofile (4 campioni sono risultati NR) 76 8.5 Capacita’ replicativa delle varianti virali clonate La capacità replicativa delle chimere virali è stata valutata mediante trasfezione con la lipofectina delle cellule U87/CCR5 e U87/CXCR4 come descritto nei materiali e metodi. I valori riportati nei grafici di seguito sono stati ottenuti calcolando la media sui risultati di tre esperimenti effettuti in doppio. La capacità replicativa di ogni variante virale è stata rapportata a quella del virus wild-type a cui è stato attribuito un valore pari a 1. Le barre in alto ad ogni colonna rappresentano le deviazioni standard. Come è possibile notare alcune varianti virali mostrano una ridotta capacità replicativa rispetto al wild-type; altre invece hanno una fitness molto più alta, non abbiamo notato alcuna correlazione tra questo andamento e il valore di FPR attribuito dall’algoritmo geno2pheno alla sequenza del gene V3 di ogni chimera virale valutata. 77 L’elevata complessità del pattern aminoacidico della regione V3 non ha reso possibile correlare l’andamento della fitness di ogni variante virale con la rispettiva sequenza genetica. 78 8.6 Analisi filogenetica delle sequenze virali La figura 4 mostra l’albero filogenetico ottenuto confrontando tutte le sequenze dei 117 cloni corrispondenti a 38 pazienti. La ricostruzione filogenetica è stata ottenuta mediante allineamenti multipli utilizzando l’algoritmo relativo al metodo di Clustal che raggruppa le sequenze in cluster esaminando le distanze tra tutti gli appaiamenti, le sequenze sono state analizzate insieme al ceppo HIV-1 MN del clade-B utilizzato come sequenza di riferimento. Figura 4 79 L’albero mostra che le varianti ottenute dai diversi campioni formano cluster separati in modo statisticamente significativo mediante analisi di bootstrap, questo significa che tutti i cloni derivano dai pazienti e non sono frutto di contaminazioni di laboratorio o riarrangiamenti genetici. 9 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI È stato ampiamente dimostrato attraverso studi geno-fenotipici che la regione V3 è la principale responsabile del tropismo virale, pertanto la sequenza V3 accoppiata all’utilizzo di un algoritmo interpretativo per la definizione del fenotipo, così detto fenotipo virtuale, è il modo più semplice per identificare il tropismo del virus, tuttavia a causa dell’elevata variabilità del gene env i saggi genotipici possono essere inaffidabili, specialmente a causa della possibile presenza di sequenze minoritarie che non vengono evidenziate con i comuni metodi di sequenziamento. Al contrario, i saggi biologici, specialmente quelli basati su metodi clonali, sono sempre in grado di valutare in modo completo il fenotipo della quasi specie virale purchè si possa lavorare su un numero di cloni adeguato ed elevato. Questo lavoro si è posto come obiettivo la valutazione del saggio fenotipico home-brew che si basa sull’utilizzo del clone molecolare replicativo 80 pNLmodΔV3GF e del test genotipico geno2pneno utilizzando come riferimento il test commerciale Trofile. Partendo dall’amplificato per la regione V3 possiamo ottenere una library di plasmidi ricombinanti che riflette la quasispecie presente nel campione, dopo lo screening e la purificazione, ogni singolo plasmide è utilizzato in un saggio di trasfezione - infezione che consente di conoscere il fenotipo conferito da quella particolare V3 e la capacità replicativa della variante. Poiché i vettori sono anche modificati per l'espressione di una proteina fluorescente (GFP) sotto il controllo del promotore virale la capacità replicativa può essere valutata mediante una semplice analisi fluorimetrica. I nostri risultati hanno evidenziato una quasi perfetta corrispondenza tra i saggi biologici presi in esame, il saggio ricombinante home-brew e il test commerciale Esta, in particolare il nostro test ricombinante home brew ha mostrato una maggior capacità nell’identificazione del coreceptor usage (34 pazienti identificati da Esta, 37 dal saggio home brew). Un risultato altrettanto incoraggiante è stato osservato nel paragone tra test genotipico e test home brew, dove si evidenzia una elevata concordanza nella rilevazione dei virus R5-tropici e una sensibilità pari al 100% per la rilevazione dei virus CXCR4 tropici quando la soglia di FPR utilizzata è del 10% o del 20%. E’ interessante notare che il 51% delle sequenze V3 clonate identificate come X4 dall’algoritmo geno2pheno quando inserite nel backbone di NL 4-3 conferiscono alla chimera virale un fenotipo R5, quando l’FPR è del 20%; questa percentuale scende al 33% se l’FPR stabilito è del 10%, e ancora fino al 81 16% se la soglia stabilita è del 5%; in termini clinici tutto questo significa che più aumentiamo il valore di soglia FPR e maggiore è il rischio di non assegnare la terapia con il Maraviroc, un antagonista del CCR5 e pertanto un inibitore dell’entry per virus con fenotipo R5, a pazienti che potrebbero giovare del farmaco perché in realtà albergano ceppi virali R5; al contrario tenere bassa la soglia di FPR significa avere la certezza di identificare un virus come CXCR4 ma anche rischiare di classificare come CCR5 tropico un virus che in realtà è CXCR4 tropico, e in questo caso la somministrazione del Maraviroc favorirebbe la selezione delle possibili varianti X4 presenti. Attualmente le raccomandazioni europee prevedono un FPR del 10%, ed i nostri dati concordano con il fatto che questa soglia mantiene un ottimo compromesso tra specificità e sensibilità. Nel confronto tra test geno2pheno e test Trofile i risultati sono in linea con quelli pubblicati (93), inoltre si osserva una netta inferiorità nella specificità e sensibilità di test Trofile rispetto al nostro saggio ricombinante, risultato in parte atteso e determinato dalla differente strategia utilizzata nei due saggi fenotipici, nel nostro saggio viene infatti analizzata ogni singola sequenza per la sua intrinseca capacità re plicativa e la valutazione del fenotipo virale deriva dall’analisi globale di più varianti ottenute per ricombinazione, nel saggio commerciale viene globalmente riprodotta in vitro la quasi specie virale presente in vivo e talvolta in alcuni casi questo potrebbe comportare una perdita in sensibilità. 82 Per quanto riguarda la capacità dell’algoritmo interpretativo utilizzato con il test genotipico per la definizione del coreceptor usage, sia confrontando con Trofile che con il saggio ricombinante home-brew si conferma che la scelta migliore rispetto alla soglia da fissare è quella di un FPR al 10%. Per concludere, la metodica descritta nel nostro studio per l’analisi fenotipica delle sequenze V3 amplificate dai pazienti presi in esami, si è rivelata versatile ed affidabile, e dopo l’ottimizzazione del processo, di esecuzione relativamente semplice. 83 BIBLIOGRAFIA 1) Barre-Sinousi F, J.C. Chermann, F. Rey, et al. 1983. Isolation of a Tlymphotropic retrovirus from a patient at risk for acquired immunodeficiency sindrome (AIDS). Science 220: 868-871. 2) Gallo R.C, S.Z. Salahuddin, M. Popovic, et al. 1984. Frequent detection and isolation of cytophatic retroviruses (HTLV III) from patients with AIDS. Science 224: 500-503. 3) Blattner, W.A. 1991. HIV epidemiology: past, present, and future. FASEB J. 5: 2340-2348. 4) Quinn T.C. 1994. Population migration and the spread of types 1 and 2 human immunodeficiency viruses. Natl. Acad. Sci. USA. 91: 2407-2414. 5) Myers G, and G.N. Pavlakis. 1992. Evolutionary potential of complex retroviruses. In: Levy J.A., ed. The retroviridae. 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