Capitolo Secondo
Autismo:comunicazione deviante?
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Definire l'autismo risulta particolarmente complesso e di difficile interpretazione, pertanto abbiamo preferito riportare quanto la fondazione Ares
(autismo ricerca e sviluppo e creazione di ambiti curativi/educativi) indica
nella sua homepage.
“I soggetti che presentano un Disturbo Autistico sono caratterizzati dalla
presenza contemporanea di quella che viene definita come la triade del
comportamento autistico; uno sviluppo notevolmente anomalo o deficitario:
a) dell’interazione sociale b) della comunicazione, c) di una marcata ristrettezza del repertorio di attività e di interessi.
Le manifestazioni del disturbo variano ampiamente a seconda del livello
di sviluppo e dell’età cronologica del soggetto.”
Compromissione qualitativa dello sviluppo delle interazioni sociali
Le persone con autismo presentano una mancanza o difficoltà marcate
nella ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi
con altre persone. Inoltre vi è un’incapacità o grave difficoltà a sviluppare relazioni con gli altri e di interpretarne i gesti, l’espressione mimica,
le posture e le norme (esplicite o implicite) che regolano le interazioni
sociali. Ad esempio, può esservi compromissione nell’uso di diversi comportamenti non verbali come lo sguardo diretto, le espressioni del viso, le
posture corporee o le gestualità che regolano l’interazione sociale e la
comunicazione.
Soprattutto nei soggetti più piccoli si denota uno scarso, e talvolta nullo,
interesse nel fare amicizia e/o giocare con altri bambini.
I soggetti più grandi possono essere interessati all’amicizia ma presentano difficoltà nella comprensione delle convenzioni sociali che normalmente
regolano i rapporti tra le persone. In generale, nelle persone con autismo
può essere presente una mancanza di reciprocità sociale o emotiva (per
esempio non partecipare attivamente a semplici giochi sociali, preferire attività solitarie o coinvolgere altri in attività solo come strumenti o aiutanti
“meccanici”). I soggetti con questo disturbo appaiono spesso come “incuranti” delle altre persone poiché presentano difficoltà marcate nel cogliere
i bisogni degli altri (ad esempio capire gli stati d’animo di un’altra persona e
regolare il proprio comportamento in funzione di esso, ecc…).
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Compromissione qualitativa dello sviluppo delle modalità di comunicazione
La compromissione della comunicazione, marcata e perdurante, riduce le capacità verbali e non verbali. Ad esempio può esservi ritardo, o
totale mancanza, dello sviluppo del linguaggio parlato.
Anche per quelle persone che accedono alla parola risulta una marcata
compromissione delle capacita ad iniziare o sostenere una conversazione
con altri. L’uso del linguaggio si presenta in modo ripetitivo e stereotipato e,
spesso, è basato sull’ecolalia immediata e/o ritardata.
Questo aspetto può indurre a sovrastimare, in quelle persone che riescono
a parlare, le loro reali capacita di comprensione del linguaggio.
La persona con autismo mostra molte difficoltà nel comprendere il linguaggio “simbolico” e spesso ha problemi nel cogliere metafore, modi di dire, ecc… La persona con autismo ha una modalità di comprensione “letterale” delle parole, che spesso le crea difficoltà a comprendere ciò che
viene realmente espresso da un discorso o ad attribuire alla medesima parola dei significati differenti a seconda del contesto. In generale vi è un’alterazione dell’uso pragmatico del linguaggio, evidenziata dall’incapacità di
integrare le parole con la gestualità o di capire l’umorismo o gli aspetti non
letterali del discorso come l’ironia o i significati impliciti. Il gioco di immaginazione è spesso assente o notevolmente compromesso.
Nei soggetti che parlano, può esservi anche un uso stereotipato o ripetitivo del linguaggio e uso di linguaggio eccentrico. Può esservi anche una
mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo. Nei soggetti che sviluppano il linguaggio, lo stesso può presentare anomalie nell’intonazione, nella velocità,
nel ritmo, o nella sottolineatura dei vari messaggi espressi (per es., il tono di
voce può essere monotono o inappropriato per il contesto oppure contenere
accentuazioni di tipo interrogativo in frasi affermative).
In generale le strutture grammaticali sono spesso immature e includono un uso del linguaggio stereotipato e ripetitivo (per es. ripetizione di
parole o frasi indipendentemente dal significato; ripetizione di ritornelli o
spot pubblicitari). Anche la comprensione del linguaggio è spesso ritardata,
e l’individuo può essere in difficoltà nel capire semplici domande o indicazioni.
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Modalità di comportamento, interessi e attività limitati, ripetitivi e stereotipati.
La persona con autismo presenta modalità di comportamento, interessi, e
attività ristretti, ripetitivi e stereotipati. Ad esempio può essere dedita a uno
o più tipi di interesse anomali per intensità o per focalizzazione. Inoltre può
presentare abitudini o rituali specifici, manierismi motori stereotipati e ripetitivi, tali da condizionare il normale svolgimento di altre attività più funzionali. In alcuni soggetti può inoltre esservi un persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti. I soggetti con autismo mostrano dunque una
gamma di interessi notevolmente ristretta, e sono spesso eccessivamente
assorbiti da un singolo e ristretto interesse (per es. date di nascita, numeri
di telefono, orari dei treni, mettere in fila giocattoli sempre nello stesso modo per più e più volte o mimare ripetitivamente i gesti di un attore della televisione, ecc…). Inoltre i soggetti con autismo possono mostrare resistenza o malessere per cambiamenti banali (per es. avere una reazione spropositata per “semplici” cambiamenti nell’ambiente come lo spostamento dei
mobili o l’uso di un nuovo set di posate). Vi è spesso un asservimento a rituali apparentemente “inutili”, oppure un’insistenza irragionevole nel seguire certe routine (per es. prendere ogni giorno esattamente la stessa strada
per recarsi a scuola o al lavoro). I movimenti corporei stereotipati riguardano le mani (battere le mani, schioccare le dita), o l’intero corpo (dondolarsi,
buttarsi a terra, oscillare). Possono essere presenti anomalie della postura
(per es., camminare in punta di piedi, movimenti delle mani o atteggiamenti
del corpo bizzarri). Questi soggetti mostrano un persistente, eccessivo interesse per parti di oggetti (bottoni, parti del corpo). Possono essere anche
affascinati dai movimenti (per es. ruote dei giocattoli che girano, aprire e
chiudere la porta, un ventilatore elettrico, o altri oggetti che ruotano rapidamente). Vi può essere intenso attaccamento ad alcuni oggetti inanimati (per
es., un pezzo di spago oppure un elastico). L’anomalia deve manifestarsi
con ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree prima dei 3 anni di età: interazione sociale, linguaggio usato per l’interazione
sociale o gioco simbolico o di immaginazione. Nella maggior parte dei casi,
non vi sono periodi di sviluppo chiaramente normali, sebbene in circa il
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20% dei casi i genitori riferiscono uno sviluppo relativamente normale per 1
o 2 anni. In questi casi i genitori possono riferire che il bambino aveva acquisito alcune parole per poi averle perse o che sembrava essersi fermato dal
punto di vista dello sviluppo. Per definizione, se vi è un periodo di sviluppo
normale, questo non si può estendere oltre i 3 anni di età.
Qui di seguito l'elenco delle manifestazioni riconducibili alla Sindrome
Autistica
1) Difficoltà o incapacità ad interagire con gli altri bambini.
2) Disprassia; incapacità di articolare correttamente la bocca per emettere o imitare suoni o parole.
3) Ecolalia (ripetizione ossessiva di alcune parole) in luogo del linguaggio normale.
4) Preferenza a rimanere da solo o isolato.
5) Contatto oculare scarso o assente.
6) Incapacità a formulare richieste gestuali; non indica.
7) Ruotare o allineare oggetti in modo ossessivo.
8) Insistenza sulla costanza (sameness) resistenza al cambiamento.
9) Gioco bizzarro e inappropriato sostenuto nel tempo.
10) Mancata risposta alle richieste verbali (può apparire sordo)
11) Mancata reciprocità nelle coccole.
12) Ipo o Ipersensibilita sensoriale (udito, tatto, vista, gusto)
13) Evidente eccesso o estrema scarsezza di attività fisica.
14) Stereotipie: movimenti frenetici e/o ripetitivi delle mani o di altre
parti del corpo.
15) Attaccamento inappropriato agli oggetti.
16) Mancata risposta ai normali sistemi educativi.
17) Apparente mancanza di paura dei pericoli o paura eccessiva.
18) Manifestazioni di riso inappropriato.
19) Manifestazioni di Ansia e Collera senza reale motivo.
20) Alterazione del senso dell'equilibrio.
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Manca una bussola
È necessaria una panoramica sulla Diagnostica dell'Autismo, coinvolgendo oltre che i Genitori, anche Pediatri, Medici di Base, Insegnanti dalla
Scuola Materna fino alle Medie. Si fa riferimento alle varie Scale Diagnostiche in uso nel mondo: il DSM-IV pubblicato della Associazione Psichiatrica americana, l’ICD-10 della Organizzazione Mondiale della Sanità.
Vi sono semplici ma immediati test su come ipotizzare gli eventuali tratti
Autistici (importante per Pediatri e Medici di base); inoltre anche test comportamentali che richiedono una osservazione molto approfondita del Soggetto, quali il " PEP-R ;CARS; BSE ; ABC ; ERC-A.
Affrontiamo il problema della valutazione e a tale proposito, riferiamo la
testimonianza di Goran Dzingalesvic 9: ALCUNE COSE DA RICORDARE
SULL'AUTISMO.
“Evidentemente per formulare la diagnosi d’autismo occorre accertare
che vi sia un disturbo nelle seguenti tre aree: comunicazione, socializzazione e ristretti interessi (immaginazione). Ciò che rende difficile l’individuazione della sindrome autistica è la molteplicità dei sintomi che si possono
presentare e la loro disparità da un caso all’altro; è perciò difficile che un
professionista sia davvero esperto d’autismo se non vede che pochi casi. Bisogna fare il bilancio iniziale se si vuole ottenere un quadro completo ed
oggettivo d’ogni bambino/a. Quando si valuta un bambino/a autistico soltanto da una parte in relazione al linguaggio o all’assenza di linguaggio, e
dall’altro rispetto ad un comportamento sociale adeguato o no, si ottiene un
quadro troppo frammentario che non consente di aiutare il bambino/a. Pertanto, noi (l’equipe di Treviso) cerchiamo di fare un bilancio tenendo conto
di tutti i dati: motricità del bambino/a, percezione (vede e sente bene), capacita di associare un suono con una percezione visiva, lateralizzazione, processi cognitivi (memoria, elaborazione, ecc.).
Per quanto riguarda i processi cognitivi, si è studiato lo stadio cui si trovavano i bambini dal punto di vista della memoria e dell’attenzione. È molto
importante appurare il livello cognitivo del bambino/a e il suo stadio di sviluppo (Vineland adaptive behaviour scales, P.E.P., ecc.). Ora, ci si è resi
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autismo.inews.it/articoliscientifici/autismoautistico.htm
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conto che nei bambini autistici ci sono gravi problemi di memoria (hanno
soltanto una memoria automatica, di routine – Schopler, Wing, Gillberg,
Peeters, ecc.). La memoria del nuovo, di ciò che va aggiunto al passato, non
esiste. Ed è per questo che si riscontra in loro questa ricerca di immutabilità,
perchè ogni nuovo apprendimento è sconvolgente rispetto alle loro strutture
di funzionamento. È evidente che la motricità interviene anch’essa nei
processi cognitivi e in quelli di comunicazione. Bisogna avere la corretta
condotta motoria per parlare, utilizzando la gola, la lingua, la bocca per
formare dei suoni che diventeranno parole. Allo stesso modo se il bambino/a non ha una buona motricità avrà delle difficoltà per apprendere a comunicare con i gesti, per imparare a scrivere e anche per imparare ciò che fa
parte dell’autonomia quotidiana (tagliare una fetta di carne, vestirsi, chiudere una lampo o allacciare le scarpe, ecc.). Bisogna quindi valutare tutto questo, perché tutto ha peso e tutto è collegato. Ma bisogna anche studiare i deficit neurologici che presenta il bambino/a: quando s’inviano due informazioni a un bambino/a autistico (un clic sonoro è uno stimolo visivo) il bambino/a non le analizza come un bambino della sua età cronologica. Bisognerà tenere conto di questo nei processi educativi, tenendo presente il fatto che
il bambino/a autistico tratta e analizza l’informazione tal e quale noi gliela
diamo. Se gli si mostra l’immagine di una macchina e gli si dice "macchina"
non collegherà il suono macchina all’immagine che ha visto. E tutto procede
da questa mancanza di analisi. Noi sappiamo che i bambini/e autistici hanno
delle percezioni diverse dalle nostre. Tutti conosciamo dei bambini/e ipersensibili al freddo, al caldo, ai rumori o che hanno delle remore a toccare
certe superfici, ecc. Come per tutte le forme di apprendimento, tutto quello
che si può frequentare nella scuola materna per dei bambini senza problemi,
sarà difficile nel caso di bambini/e autistici. Bisogna anche esaminare bene
quest’aspetto delle relazioni sociali e vedere come entra in relazione con gli
altri. Non condivido quello che in genere si dice dei bambini/e autistici, che
vivono chiusi in se stessi, nel loro mondo, senza entrare in relazione e senza
comunicare. Direi piuttosto che il bambino/a autistico entra in relazione e
comunica, ma in modo deviante; questo modo deviante è perturbante per
tutti gli altri e fa sì che egli non sia bene accetto socialmente. Quindi un’analisi precisa del suo modo di relazionarsi, del suo modo di comunicare,
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permette di aiutarlo e di fare dei progressi. Alla base di tutto questo i dati
neurobiologici, i processi cognitivi, la psicologia individuale, tutti i dati relazionali, rituali e culturali determineranno quella che possiamo chiamare la
"pragmatica", cioè l’aspetto pratico della comunicazione e del linguaggio. Io
penso che occorra cercare di far comunicare il bambino/a autistico con un
qualunque mezzo possibile, che si tratti di lettura, immagini, linguaggio gestuale o i cubi utilizzati da Premack. Non ha importanza il mezzo, bisogna
però fornirgli uno strumento di comunicazione, per evitare di lasciarlo nel
mondo dell’aggressività, della mutilazione e della violenza, perche allora saranno questi i suoi soli mezzi per esprimersi. Non riuscire a dargli uno strumento di comunicazione abbastanza presto, è uno scacco in partenza per la
socializzazione.
A partire da tutto questo, si deve definire un programma educativo, ma io
ritengo che non si deve intendere per educazione l’educazione classica,
quella fornita dallo Stato, cioè imparare a leggere, scrivere e fare i conti. Il
punto è piuttosto lo sviluppo del bambino/a sul piano dell’autonomia, delle
relazioni, delle capacita di comunicazione, in breve di tutto ciò che costituisce lo sviluppo di un bambino/a della sua età cronologica.
Evidentemente, sarà un bambino handicappato, ma si potrà cercare di
aiutarlo ad integrarsi nella società. Le famiglie devono poter vivere con questi bambini/e e la società deve poterli accettare. Per esempio, i nostri bambini sono capaci di andare in un bar e mangiare, o di fare degli acquisti. Gli si
insegna i gesti essenziali della vita: traversare la strada, prendere un autobus, vestirsi, spogliarsi. È questa l’educazione. Il punto di partenza, però, è
valutazione iniziale. Un programma educativo individualizzato significa sapere ciò che è prioritario. La maggior parte dei bambini/e autistici presenta
un problema di attenzione: la loro attenzione è labile, sono iperattivi o indifferenti e, in ogni modo, non si riesce a farli concentrare su un compito per
trenta secondi. Se un bambino/a è incapace di un po’ di attenzione, è inutile
mettere in pratica un programma educativo. Dunque, se si vuole aiutare un
bambino/a, si deve partire con la cognizione di tutto ciò che è negativo, tutto
ciò che è corretto e stabilire ciò che va sviluppato e ciò che va soppresso.
Devo affermare che la maggior parte dei comportamenti perturbanti (a
differenza di ciò che si fa in alcuni centri) possono ricevere un trattamento.
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Bisogna aiutare i genitori perché, quando il bambino/a è piccolo, il suo posto non è certamente in un centro, è evidente. È necessario che un’equipe aiuti
immediatamente la famiglia a trattare questi comportamenti perturbanti.
È qui che i test, i bilanci e le valutazioni intervengono: si deve osservare
ciò che accade nel comportamento del bambino/a; quando questo comportamento specifico appare? Parchè, come? Ogni volta ci si rende conto che il
comportamento perturbante del bambino/a corrisponde a un rifiuto, a un desiderio (ha qualcosa da esprimere, ma siccome non possiede né il linguaggio
né altro strumento per esprimerla, la esprime con il corpo, con delle grida,
con il rompere degli oggetti in casa). Se non ci si occupa immediatamente di
tutto questo, è ancora una volta inutile pensare in termini di educazione.
Quindi, si devono prendere in carico questi fattori immediatamente e con
un’azione coordinata con i genitori; non soltanto gli si sottopone il questionario all’inizio, ma si dovrà sempre avere con essi un’interazione e una retroazione. I bambini/e autistici continuano ad essere i miei migliori insegnanti; ma il messaggio più importante che vorrei dare è che dobbiamo lavorare insieme (famosa collaborazione) per capire e imparare come gli autistici, sia bambini/e sia adulti, pensano e come imparano e come vedono se
stessi e come capiscono il mondo che li circonda. È accettato a livello internazionale che la sindrome autistica è una patologia che dura per tutta la vita.
Al di là delle caratteristiche comuni le persone affette da autismo costituiscono un gruppo eterogeneo e possiamo suddividere bambini/e diagnosticati come autistici sulla base della triade sintomatologica secondo il livello
più o meno grave di problemi di linguaggio e di comprensione generale; ogni elemento deve essere visto dal punto di vista delle peculiarità di ogni
singolo bambino/a, perchè ogni bambino/a autistico è diverso dall’altro.
L’intervento dovrà prevedere due elementi chiave: il primo è insegnare
loro in una maniera concreta le abilità di comunicazione, la capacità di
interazione e tutte le competenze di base della vita; il secondo è di adattare il proprio comportamento sociale in modo da aiutare il bambino/a
autistico a capire la situazione.
La chiave di un intervento specifico è un’istruzione chiara e completa,
molta pazienza e la consapevolezza che dobbiamo adattare il nostro comportamento. Se pensiamo, nella nostra vita, alle nostre relazioni sociali, ci
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rendiamo conto che la relazione sociale non ha una struttura come i numeri,
non ha regole evidenti, non ha un ordine fisso, non è prevedibile. La relazione sociale cambia continuamente, non è mai la stessa. La relazione sociale insomma presenta tutte le caratteristiche che sono incomprensibili per
molti bambini/e autistici, perchè per loro è molto più comprensibile un
mondo dove le cose sono ordinate, possono essere previste, organizzate e
sono sempre le stesse. Se pensate ai vostri figli/e, vi rendete conto che guardano sempre gli stessi libri, gli stessi video, vogliono sempre giocare nella
stessa maniera, con gli stessi giocattoli, ancora e ancora. Questo accade perché la ripetitività li aiuta a capire cosa stanno facendo in quel momento; le
cose che sono più complicate per loro sono quelle in continuo cambiamento, come ad esempio le relazioni sociali e il linguaggio parlato. Le difficoltà
fondamentali che i bambini/e autistici devono affrontare innanzi tutto sono
una lotta per comprendere la loro interazione con le persone che li circondano. Uno degli strumenti principali attraverso i quali socializziamo è la comunicazione. I bambini/e autistici devono lottare con questi due deficit:
la difficoltà a interpretare il linguaggio verbale, l’incapacità di comprendere il significato del nostro comportamento.
Il loro comportamento rappresenta uno sforzo per far fronte all’ambiente
che li circonda, un ambiente che è imprevedibile e che un autistico/a adulto
molto dotato ha definito "caos sociale". "Caos sociale" vuole dire sentirsi
socialmente disorganizzati, vivere in un mondo dove le cose sono completamente imprevedibili: questa è la sfida fondamentale che i bambini/e autistici si trovano a dover fronteggiare. Un intervento efficace deve quindi essere incentrato su strategie atte a supportare la loro comprensione in un modo veramente concreto. Osservando i risultati di anni di ricerca condotti sotto il profilo dell’apprendimento con studenti affetti da autismo, vediamo che
questi individui hanno grandi capacità ma anche grandi difficoltà. Per esempio, sono estremamente concreti: potreste avere un bambino/a che non
comprende il significato di una parola, ad esempio, ‘acqua’, ma che capirebbe mostrandogli un’immagine dell’acqua, perchè il linguaggio è più astratto rispetto alle immagini. Un’altra cosa che sappiamo di questi bambini/e è che hanno un’immaginazione, un modo di pensare, dell’insieme,
nel senso che ricordano ciò che sentono nell’insieme e non sanno inter51
pretare i singoli eventi. Un’altra caratteristica tipica dei bambini/e autistici
è che possiedono un’ottima capacità visiva di conoscere le cose e interagiscono molto bene con gli oggetti che non si muovono. Ciò che si muove invece, come le persone, è molto più difficile da capire: tutto ciò che può essere analizzato attraverso la vista, come le parole scritte, le immagini, gli
oggetti, è molto più comprensibile.
Sappiamo inoltre che cercano di immaginare con molto sforzo che cos’è
la comunicazione, che cosa implichi e che riescono a imparare solamente i
fondamenti principali; il loro comportamento di conseguenza è basato sulle
nostre reazioni, sulla vostra risposta. Si tratta quindi di uno scambio molto concreto e la comunicazione che i bambini/e autistici riescono ad apprendere è molto concreta: anche nel caso di bambini/e colpiti in modo
più lieve, che usano il linguaggio per parlare, le conversazioni sono
scambi memorizzati. L’insegnamento della comunicazione e delle capacità
sociali a questi bambini/e è una forma d’istruzione più concreta e diretta: sarà insegnata una sola capacità alla volta, mai più capacita contemporaneamente. Quando consideriamo il problema dell’autismo, è altrettanto importante operare una distinzione tra il linguaggio e la comunicazione, che
spesso tendiamo a considerare come sinonimi. I bambini/e affetti da autismo
sono in continua lotta per interpretare sia il significato delle parole in se
stesse, sia il significato del messaggio sociale dato dal contesto. La qualità
del linguaggio del bambino/a autistico, vediamo che un numero molto alto
di bambini/e non sviluppano assolutamente la capacita di parlare. Pensate
semplicemente a quanto questo possa essere frustrante: avere dei bisogni,
delle esigenze, dei desideri, volere qualcosa e non avere un mezzo per poterlo dire. L’intervento per i bambini/e che non hanno capacita di comunicazione verbale, che non sanno parlare, consiste nell’utilizzare quella che noi
definiamo una comunicazione aumentativa, cioè una comunicazione attraverso le immagini, o la scrittura, o, per alcuni bambini/e, anche attraverso il linguaggio dei segni, che utilizziamo anche nel caso delle persone non udenti, in modo che possano comunicare i loro bisogni, i loro
pensieri, e riescono così ad esercitare un controllo sulla propria vita
(Schopler, Peeters, Quill, ecc.). Cercare di spiegarci nel modo più concreto
possibile, dare alla parola il significato così come il bambino/a autistico la
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sente, costituisce un’esigenza fondamentale nel corso di un trattamento mirato; è necessario inoltre utilizzare una forma di comunicazione aumentativa. Quando valutiamo le abilità sociali dei bambini/e autistici, troviamo che
nessun bambino è uguale all’altro: alcuni hanno eccellenti capacita di imitazione, altri no. Per i bambini/e che hanno questo problema a livello sociale e
non imitano quello che facciamo, le nostre azioni sono molto più confuse e
incomprensibili. Questi bambini/e possono comprendere solo attraverso
le dimostrazioni: dobbiamo dimostrare sempre in una maniera "aumentativa" tutto quello che noi facciamo. Il bambino/a autistico non ha
nessuna comprensione delle situazioni sociali, perciò non le imita e può
comportarsi secondo due modalità: può evitarle e fare tutto da solo, oppure, se ha una personalità più attiva, può addirittura arrabbiarsi, perché con il suo modo di essere vuole dire di non capire.
Bambini/e diversi presentano comportamenti diversi ma con lo stesso
problema di fondo: alcuni sono frustrati ed evitano le situazioni; altri sono
frustrati e reagiscono di conseguenza con crisi di comportamento. Spesso i
bambini/e autistici evitano di guardarci negli occhi se non capiscono il significato dell’espressione del nostro viso e se non capiscono il nostro comportamento è abbastanza naturale che evitino lo sguardo. Se noi non capiamo perchè un bambino/a si comporta in un certo modo non possiamo individuare la giusta strategia di intervento. Gli elementi alla base di un trattamento educativo adeguato per un bambino/a autistico sono due:
il primo, che dovrebbe risultare abbastanza ovvio da quanto abbiamo detto, è la strutturazione dell’ambiente,
l’altro è un intervento adattato alle caratteristiche di ogni singola persona
autistica.
Cosa vuol dire strutturare? Significa che gli avvenimenti che accadono nella
vita del bambino/a devono essere prevedibili, che deve essere chiaro al
bambino/a, per esempio, che cosa dovrà fare in un certo momento, come,
per quanto tempo e quando qualcosa finirà. L’informazione visiva è molto
più concreta dei messaggi verbali: da un’organizzazione e una struttura,
chiarifica il linguaggio che il bambino/a può capire o no, aumenta l’abilita
del bambino/a a completare un determinato programma con successo. Questo è il vero elemento chiave: i bambini/e cercano quella prevedibilità, quel53
la chiarezza, che l’ambiente sociale di solito non può dare. È quindi indispensabile far sì che le nostre relazioni coi bambin i/e autistici siano molto
più prevedibili: dare lo stesso messaggio nella stessa situazione, collegare i messaggi verbali con immagini che possono vedere e capire, rivolgersi al bambino/a nello stesso modo, essere consapevoli che i bambini/e
autistici sono attenti e rilassati quando capiscono e diventano ansiosi
quando non capiscono. Soltanto attraverso la comprensione del bambino/a
e del suo punto di vista, di come vede e percepisce il mondo che lo circonda,
possiamo capire e rispettare le sue esigenze.
Quali metodologie ?
Data la complessità dell'autismo, le metodologie sorte dagli anni '50 ad
oggi sono molte, gran parte delle quali non hanno avuto un riscontro positivo e sono sembrati solo tentativi finalizzati ad una politica di "rasserenamento e tranquillità " nei confronti dei genitori, fortemente disorientati di
fronte alla mancanza di una effettiva risposta medico-scientifica .Riportiamo
i seguenti che ci sembrano aver avuto maggior feedback positivo.
ABA
L'ABA prevede l'insegnamento sistematico di piccole unità misurabili di
comportamento. I compiti da apprendere, individuati sulla base del profilo
di sviluppo, delle scelte e delle preferenze individuali, vengono suddivisi in
piccole tappe, ognuna delle quali viene insegnata in sessioni d'insegnamento
ripetute e ravvicinate, inizialmente in rapporto 1:1, secondo specifiche consegne (Stimoli discriminanti). Lo studente viene guidato a dare risposte
semplici, sistematicamente incorporate in repertori di risposte appropriate
all'età (apprendimento senza errori) attraverso suggerimenti (prompting) e
conseguenze che funzionano efficacemente da rinforzo.
Viene anche insegnato ad apprendere dall'ambiente naturale attraverso
procedure d'insegnamento incidentale sulle competenze acquisite.
Procedure d'insegnamento ABA
Le procedure d'insegnamento dell'ABA prevedono la predisposizione di
una struttura e l'uso di tecniche sistematiche d'insegnamento per creare un
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ambiente favorevole all'apprendimento. I compiti vengono presentati in modo comprensibile, frammentandoli nelle loro componenti e limitando i fattori estranei alla situazione di apprendimento che rendono difficile al bambino
con autismo apprendere nuove competenze.
Rinforzi
Una conseguenza rinforzante è un evento di stimolo che aumenta la probabilità che la risposta (bersaglio) si verificherà nuovamente in condizioni
analoghe. L'uso sistematico e strategico del rinforzo è forse lo strumento più
potente a disposizione degli analisti del comportamento.
Trattamenti comportamentali naturalistici
I trattamenti comportamentali naturalistici rappresentano un'evoluzione
degli approcci di insegnamento DDT, allontanandosi da suo stile "artificioso" per adottare strategie che permettano al bambino di apprendere nel suo
ambiente naturale. Gli approcci naturalistici derivano dall'idea di ovviare alle difficoltà, riportate a proposito dell'approccio DDT, di generalizzazione e
mantenimento dei comportamenti acquisiti a tavolino nell'ambiente naturale,
in cui sono presenti molte più variabili in termini di stimoli antecedenti, richieste comportamentali e conseguenze. Pur condividendo con l'approccio
DDT tutti i principi dell'ABA, gli approcci naturalistici se ne differenziano
per le procedure, che prevedono l'insegnamento del comportamento nell'ambiente in cui il comportamento si verifica naturalmente, per la natura degli
stimoli antecedenti, derivanti dall'ambiente, e delle conseguenze (i rinforzi).
Floor Time
Il Floor Time è un trattamento basato sul modello DIR (Developmental
Individual Difference) che implica un approccio evolutivo e interattivo di
lavoro con il bambino.
Sviluppato da Stanley Greenspan e Serena Wieder, considera l'autismo
un disturbo determinato biologicamente nel quale le difficoltà di processazione sensoriale – come problemi di comprensione uditiva, di modulazione
sensoriale e di pianificazione motoria - ostacolano il normale sviluppo delle
competenze comunicative, sociali e cognitive. La prima finalità del Floor
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Time è di aiutare il bambino a superare le difficoltà sensoriali per ristabilire
il contatto affettivo interpersonale. Secondo Greenspan e Wieder, il meccanismo critico che guida lo sviluppo è la relazione sociale, senza la quale il
cervello e le facoltà mentali non si sviluppano. Di conseguenza, la relazione
sociale interattiva rappresenta la base dell'intervento. Sviluppare competenze emotive funzionali seguendo le normali tappe evolutive è la seconda finalità del Floor Time. Vengono inoltre applicati i principi dell'intervento comportamentale per eliminare i comportamenti problematici, come prerequisito
per apprendere comportamenti funzionali.
L'importanza della comunicazione alternativa il ricorso al P.e.c.s
Il documento informativo inizia presentando i Sistemi di comunicazione
alternativa, ossia il sistema P.e.c.s, il linguaggio dei segni e i Comunicatori vocali /Software, sottolineando il loro ruolo determinante quando assistiamo a fenomeni quali: mancanza totale di linguaggio, linguaggio non
comprensibile, linguaggio presente ma non totalmente sviluppato. È infatti
noto, continua il documento, che l’intenzione comunicativa è indicativa del
desiderio del bambino di comunicare e che a sua volta il desiderio di comunicare è legato allo sviluppo dei rapporti sociali. Di qui la consapevolezza di
intervenire, visto che comunicazione e capacita sociale sono due aree deficitarie nei bambini affetti da autismo. Questi bambini infatti comunicano ricorrendo ad una gamma ristretta o limitata di scopi e funzioni e soprattutto
non capiscono il fatto che si possa usare la comunicazione per ottenere
qualcosa e di conseguenza tenta di avere ciò che desidera DA SOLO e IN
TUTTI I MODI POSSIBILI, mostrando frustrazione se non riesce. Viene
dunque motivato il ricorso ai sistemi di comunicazione alternativa proprio
perchè: consentono al bambino di comunicare, riducono i comportamenti
problematici, accelerano l’emergenza del linguaggio vocale.
Soffermiamoci sul Sistema P.E.C.S., ossia “Picture Exchange Communication System”, del quale riportiamo la definizione: PECS è l’acronimo di
“Picture Exchange Communication System” ovvero Sistema di Comunicazione mediante Scambio per Immagini. Tale sistema punta allo sviluppo
della Comunicazione Funzionale e della Comunicazione come scambio sociale, attraverso un programma di apprendimento a piccoli passi che com56
prende 6 fasi (Fasi I – VI). È facile da imparare ed il suo impiego, oltre che
poco costoso, è utilizzabile in diversi contesti (casa, scuola, etc.). Basato
sull’uso di ‘rinforzi’ ha come obiettivo quello di incoraggiare la spontaneità
e l’iniziativa del bambino nella comunicazione. Lori A. Froste ed Andrew S.
Bondy, lo hanno sviluppato, dopo notevoli sforzi e sperimentazioni all'interno del Delaware Autistic Program ed è rivolto ai soggetti autistici con il più
ampio spettro degli Stati Uniti. Pur essendo stato ideato per bambini autistici in età prescolare o persone che presentino un deficit della comunicazione
sociale, nel corso del tempo si è ampliato l’uso ad altre patologie. È stato
adattato e modificato per essere utilizzato con gli individui di tutte le età e si
può iniziare dai 18mesi e sintetizziamo le procedure caratterizzanti questo
approccio:
Supponiamo di immaginare tre scenari distinti:
- Il bambino entra in cucina, vede la mamma e chiede: “Biscotto” e riceve un biscotto.
- Il bambino entra in cucina e la mamma gli chiede: “cosa vuoi?”, il
bambino risponde: “biscotto” e riceve il biscotto.
- Il bambino entra in cucina, la mamma gli chiede: “cosa vuoi?” e, dopo
una pausa, la mamma dice: “biscotto?”, il bambino ripete “biscotto” e
riceve il biscotto.
Il primo dei tre punti, descrive un esempio di atto comunicativo “spontaneo” che è anche l’obiettivo del PECS.
La prima delle funzioni ad essere insegnata è la richiesta.
Si insegna al bambino ad avvicinarsi ad un'altra persona e a dare la cartasimbolo (pittogramma) di un oggetto desiderato, in cambio dell’oggetto.
Dal semplice scambio con l’altro, la comunicazione progredisce gradualmente fino alla capacità di discriminare tra le immagini all’apprendimento di nomi, verbi, aggettivi.
Sempre con il supporto di pittogrammi, si passa poi alla capacita di strutturare semplici frasi. Le prime due fasi richiedono il lavoro di due adulti,
mentre nelle successive è sufficiente il rapporto .I prompts (gli aiuti, i suggerimenti) consigliati sono quelli visivi o fisici in quanto più facilmente estinguibili (fading out) rispetto a quelli verbali. Durante gli scambi pittorici
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e verbali si cercherà di incoraggiare il più possibile ed in modo proattivo
l’iniziativa del bambino. Allo scopo l’adulto dovrebbe tenere sempre a mente il motto: “parla di meno ed aspetta di più”. L’ideale per iniziare a lavorare
è un ambiente ‘protetto’ e strutturato, ma presto si deve estendere
l’interazione in altri contesti per promuovere la generalizzazione. Il contesto
strutturato iniziale prevede un tavolo con sedie ed un ambiente circostante
intenzionalmente predisposto per favorire la comunicazione. Nessuna distrazione (giochi, suoni, etc.) presente, mentre i rinforzi (cibo, bevande, giocattoli, oggetti, anche i più strani), attentamente valutati in precedenza, dovranno essere ben visibili, ma non accessibili al bambino. Nelle fasi iniziali
sono necessari almeno 20-30 scambi nell’arco della giornata, successivamente possono essere insegnate altre funzioni comunicative quali: accettarerifiutare (“Si”, “No”; chiedere aiuto; chiedere una pausa; commentare o significati quali: “aspetta”, etc. I bambini dotati di linguaggio verbale sviluppano anche la comunicazione verbale contemporaneamente a quella mediante scambio per immagini; tuttavia il sistema PECS si abbandona solo quando la produzione verbale è equivalente. Ma vediamo, in dettaglio, come sono composte le singole fasi e quali sono le varie azioni da intraprendere.
Fase I - Lo scambio fisico
Visto un oggetto desiderato, il bambino deve prendere un immagine che
lo rappresenta, raggiungere il partner comunicativo, lasciare nelle sue mani
l’immagine. In questa fase non si danno prompts verbali. Sono necessari due
adulti: l’interlocutore, con cui avviene lo scambio ed un secondo adulto che
da dietro e in silenzio aiuta il bambino ad effettuare lo scambio in maniera
corretta e il bambino impara a: prendere la carta; allungarsi verso l’adulto;
rilasciare la carta nella sua mano.
Fase II - Movimento
Questa è la fase in cui bisogna incrementare la spontaneità e si inserisce
il Book o libro per la comunicazione (un raccoglitore per classificare i simboli) personalizzato per ciascun bambino. Si rimuove l’immagine dal tavolino e si fa uso del tabellone comunicativo, aumenta la distanza tra genitore
e bambino e la distanza tra bambino e immagine. Il bambino impara a diri58
gersi verso il quaderno; a staccare l’immagine appropriata e ad andare
dall’interlocutore e rilasciare la carta-simbolo nella sua mano.
Fase III - Discriminazione
In questa fase si insegna al bambino a discriminare le immagini ed a selezionare quella che rappresenta l’oggetto desiderato. In questa fase viene utilizzato un solo adulto: l’interlocutore. Il bambino impara a discriminare tra un
oggetto gradito e uno non gradito e a discriminare tra due oggetti graditi.
Fase IV - La costruzione della frase
Nella quarta fase si insegna al bambino ad usare la struttura di una frase
per fare una richiesta sotto forma di: “io voglio …”. Il bambino impara a costruire, mediante immagini, una frase. Posizionando su una striscia di velcro, in successione (1° la sua foto (io), 2° l’immagine delle mani (voglio), 3°
il simbolo dell’oggetto desiderato e da consegnare la striscia con la frase al
partner comunicativo.
Fase V - Rispondere
In questa fase il partner comunicativo indica la carta “io voglio” e domanda “cosa vuoi?” e successivamente chiede “che cosa vuoi?” senza indicare
l’icona “io voglio”. Il bambino deve avere a disposizione un valido libro comunicativo, la striscia di velcro e le figure degli items. Il bambino impara a rispondere alla domanda “Che cosa vuoi?” facendo uso delle icone del book.
Fase VI - Commentare
Nell’ultima fase si insegna al bambino a commentare avvenimenti, oggetti o azioni dell’ambiente sia spontaneamente che in risposta ad una domanda. In questa fase il bambino impara a rispondere alle domande: Cosa
vedi? ,Cosa senti?
Riassumendo
Ricordiamo alcune riflessioni chiave di G. Roda, in occasione del
meeting “Autismo a scuola, valore dell'inclusione.”, giugno 2011.
Autismo e mondo sociale: una regola generale è infatti orami chiara
nell’autismo e non verrà mai ripetuta abbastanza. Un bambino, un ragazzo,
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un adulto autistico non imparano le regole del mondo sociale “per immersione”. Lasciati a se stessi non sono in grado di attivare (o accogliere) istanze sociali o relazionali. Il rapporto con gli altri non li motiva spontaneamente, come invece accade in bambini/ragazzi/adulti anche con deficit molto
gravi ma non autistici.
Questo non significa che le persone autistiche non abbiano bisogno di
stare con gli altri e di imparare con gli altri e dagli altri. Significa che hanno
bisogno di imparare a farlo e che apprendere questi aspetti per loro è particolarmente difficile, forse più difficile di qualsiasi altro apprendimento.
Linee riabilitative: l’applicazione all’autismo delle linee abilitative di
derivazione comportamentale (nel corso di una storia lunga ormai una trentina d’anni, costellata da contrasti anche molto forti, non soltanto con le correnti psico-pedagogiche di diversa impostazione ma anche all’interno della
stessa matrice comportamentale) sta comunque dimostrando inoppugnabilmente alcune cose, di fondamentale importanza, tra cui, ad esempio: che i
bambini/ragazzi/adulti autistici sono radicalmente educabili, con metodi sicuramente particolari ma che, se ben applicati, danno buoni risultati e sono
integrabili con i percorsi della didattica speciale e normale; che pur permanendo il problema della relazione con gli altri e delle difficoltà connesse alla
comprensione dei complessi sistemi relazionali e comunicativi degli esseri
umani – le persone autistiche possono imparare a stare con gli altri e gli altri
possono imparare a rapportarsi con le persone autistiche, senza drammi insormontabili da parte di alcuno.
Modificabilità: “Credere nella modificabilità e nell'educabilità del
soggetto disabile: la conoscenza dei bisogni speciali permette di adottare
strategie adeguate ma non basta se l'operatore non crede nelle possibilità del
soggetto; nelle sue capacita di prendere in mano pure in modo minimale la
sua esistenza: dalle autonomie di base alla sua capacita di stare in relazione
con gli altri e di orientarsi. Questo porta anche l'operatore a creare le condizioni e le mediazioni necessarie all'acquisizione di competenze che producono anche autoconsapevolezza” vedi:
Materiali per ragionare sulla prospettiva inclusiva a cura di Andrea
Canevaro http://www.educazione.sm/formazione/testoCanevaro.pdf ).
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Riportiamo nello specifico alcuni suggerimenti bibliografici:
Aarons M., Gittens T. È autismo? Test di valutazione psicopedagogica - Erickson, Trento, 1993;
Amy Marie-Dominique Affrontare l'autismo - Armando, 2000;
Asperger, H.Bizzarri, Isolati e intelligenti. Il primo approccio clinico e pedagogico ai bambini di Hans – Asperger Edizioni Erickson, 2003.
Brauner A., Brauner F. Vivere con un Bambino autistico - Ed. G. Barbera,
Firenze, 1983;
Carr E. G. et al. Il problema di comportamento è un messaggio. Interventi
basati sulla comunicazione per l'handicap grave e l'autismo. Erickson,
Trento, 1999;
Celi F., Romani F. Macchine per imparare. L'uso del computer nella scuola. Erickson, Trento,1999.
Baron-Cohen S. L'autismo e la lettura della mente - Astrolabio, Roma,
1997;
Bettheleim B. La fortezza vuota. L'autismo infantile e la nascita del sé Garzanti Libri, Milano, 1976 Feltrinelli, Milano, 1988 - II Ed.;
Bevilacqua Viganò M. A. In gioco nel gioco. Una terapia ludica nei disturbi
relazionali dell'infanzia e nell'autismo infantile mediante la comunicazione
psicocorporea - Guerini Scientifica, 2005;
Cramerotti S., Ianes D. (2002) Comportamenti problema e alleanze psicoeducative. Strategie per la disabilità mentale e l'autismo. Erickson.
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