MARZO 2013 oce Va m i c a DECLARO ME... RENUNTIARE Momenti del Natale caorsano VOCE AMICA N° 1/2013 Q Q uest’anno per Caorso il Santo Natale ha avuto un significato del tutto particolare. Il clamore della vicenda del Presepe presso la nostra Scuola dell’infanzia ha senz’altro lasciato un segno nella cittadinanza che ha così voluto partecipare in modo sentito al Presepe vivente. L’iniziativa incoraggiata dall’Amministrazione comunale ed organizzata con la collaborazione di molteplici realtà associative del nostro paese sulla rinnovata Piazza della Rocca ha così visto i nostri bambini protagonisti di un’originale rappresentazione della Natività. Periodico della parrocchia di Caorso fondato da mons. Lazzaro Chiappa l’8 dicembre 1923 ANNO 91° Numeri usciti 454 Direttore responsabile Don Giuseppe Tosca Autorizzazione Tribunale di Piacenza del 26.01.2005 n. 605 Stampa Tipolitografia La Grafica Piacenza Redazione Simona Chiesa Enrico Francia Carlo Livera Davide Livera Marco Molinari Matteo Pavesi Valentina Rossi don Giuseppe Tosca Fotografie Michela Briggi Gianluca Casaroli Lino Pavesi Progetto Grafico Silvia Bodini www.parrocchiadicaorso.it N N el giorno dell’Epifania, com’è tradizione, i Re Magi hanno fatto tappa nella nostra chiesa parrocchiale per portare i doni a Gesù Bambino, impersonificato quest’anno dal piccolo Pietro Tirelli, e incontrare i piccoli caorsani. In una celebrazione emozionante i saggi Magi hanno raccontato ai bimbi il motivo del loro arrivo e l’urgenza che li ha spinti a partire per venire ad incontrare Gesù, il Salvatore dell’umanità intera, Dio che si fa uomo e nasce piccolo ed indifeso per mostrare al Mondo il vero volto dell’amore di Dio per ogni uomo. Editoriale In copertina una foto di Benedetto XVI. «Declaro me … renuntiare»: sono le parole con cui il Joseph Ratzinger ha dichiarato di rinunciare alla sede petrina. C arissimi Fratelli, vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice.” Con queste parole il Santo Padre Benedetto XVI ha rinunciato in modo inaudito al suo alto ufficio. A me sembra che il mondo cattolico si sia accontentato un po’ troppo facilmente dei numerosi tentativi di minimizzare la portata di tale evento, che, per dirla con Ernesto Galli Della Loggia (Corriere della sera, 13.02.2013), sembra, invece, «un gesto di governo di grande portata e insieme un atto di alto magistero spirituale». Diversi Romani Pontefici hanno lasciato il loro ufficio, ma tutti forzatamente costretti da altri. Il solo precedente di una rinuncia al pontificato avvenuta in modo relativamente libero fu quello di Celestino V, che fu canonizzato il 5 maggio 1313 e di cui la Chiesa celebra tuttora la memoria il 19 maggio. Bisogna, infatti, anche ricordare che Celestino V fu strappato a forza dalla sua cella eremitica perché assumesse l’ufficio di Pontefice, mentre Joseph Ratzinger è sempre stato un curiale con altissimi incarichi in Vaticano. L’abdicazione di Benedetto XVI, quindi, sembra essere la prima avvenuta del tutto liberamente nella storia della Chiesa. Ciò che è accaduto, quindi, non può che interrogarci molto seriamente. Il Pontificato è un «ufficio giurisdizionale della Chiesa», non legato indelebilmente alla persona di chi lo occupa; non è cioè un sacramento e tantomeno un sacramento che imprima un “carattere” indelebile. La gerarchia apostolica prevede l’esercizio di due poteri: la potestà di Nella foto in basso: Benedetto XVI nel giorno della sua elezione, 19 aprile del 2005. Editoriale C “ 3 4 ordine e la potestà di giurisdizione. La prima è conferita con la consacrazione, cioè per mezzo di un sacramento e con l’impressione di un carattere indelebile e ha come oggetto l’amministrazione dei sacramenti e l’esercizio del culto ufficiale. La seconda comporta il potere di governare l’istituto ecclesiastico e i singoli fedeli e, al contrario della prima, non è indelebile, ma è temporanea e revocabile. Nella Chiesa Cattolica la potestà di giurisdizione compete al Papa e ai Vescovi, ma solo nel Romano Pontefice risiede la pienezza di questo potere. Si capisce così come la rinuncia del Papa al potere di giurisdizione sia del tutto legittima, tanto da essere prevista dal Codice di Diritto Canonico. Tuttavia, non ci si può nascondere il fatto che l’ufficio del Sommo Pontefice abbia anche, in senso lato, un valore sacramentale, tanto che il Papa fu chiamato da S. Caterina, «il dolce Cristo in terra» e comunemente gli è attribuito il titolo di Vicario di Cristo. Per questo motivo, solitamente, il mandato del Papa termina con la sua morte. Enzo Bianchi, su “La Stampa” del 1 luglio 2002, scriveva: «Secondo la grande tradizione della chiesa d’Oriente e d’Occidente, nessun Papa, nessun patriarca, nessun vescovo dovrebbe dimettersi solo a causa del raggiungimento di un limite di età. È vero che da una trentina d’anni nella chiesa cattolica vi è una norma che invita i vescovi a offrire le proprie dimissioni al pontefice al compimento dei settantacinque anni, ed è vero che tutti i vescovi accolgono nell’obbedienza questo invito e le presentano, ed è vero anche che normalmente vengono esauditi e le dimissioni accolte. Ma questa resta una norma e una prassi recente, fissata da Paolo VI e confermata da Giovanni Paolo II: nulla esclude che in futuro possa essere rivista, dopo aver pesato vantaggi e problemi che essa ha prodotto in questi decenni di applicazione». La norma per cui i vescovi si dimettono a 75 anni dalle loro diocesi è recente nella storia della Chiesa, e sembra contraddire le parole di san Paolo, per cui egli, in quanto pastore, si sente chiamato «ad convivendum et ad commoriendum» (2 Cor 7, 3), per vivere e per morire accanto al suo gregge. Se tutto ciò è vero, è necessario considerare la rinuncia al pontificato di Joseph Ratzinger come un atto di estrema gravità, assolutamente legittimo dal punto di vista canonico, ma di rottura e assoluta discontinuità con la prassi secolare della Chiesa. L’assoluta novità del gesto di Benedetto XVI sembra debba essere ricercata in queste parole: «nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato». Non siamo in presenza di una grave patologia o di una inabilità che comprometterebbe radicalmente l’esercizio delle funzioni papali. Queste parole mettono in relazione la sua scelta innovativa con le esigenze del mondo contemporaneo. Qualcuno sulla stampa si è chiesto: ciò significa un’oggettiva desacralizzazione dell’ufficio papale? Non viene con questo messa in discussione anche tutta la struttura del governo centrale della Chiesa? Le norme che regolano l’ufficio del Sommo Pontefice e quello delle alte cariche vaticane dovranno essere riviste? Credo che siano domande legittime che riguardano la portata di queste “dimissioni” per la futura organizzazione della Chiesa: si tratta di un gesto isolato o questa scelta avrà delle conseguenze nel modo con cui la Chiesa concepisce se stessa nel mondo contemporaneo? Gli anni a venire ci mostreranno più chiaramente la portata di questo “gran rifiuto”. Si potrebbe fare anche un’altra considerazione, molto più spiacevole. Nel corso di una conferenza tenuta a Piacenza negli anni ‘80, il card. Casaroli, rispondendo alla domanda un po’ impertinente, con cui un giornalista chiedeva come si possa essere cardinale della Santa Chiesa e nello stesso tempo svolgere un ufficio come quello diplomatico, in cui si è spesso costretti a mentire, disse più o meno così: «Non è necessario dire bugie, è sufficiente non dire tutta la verità!». Applicando azzardatamente questo principio alle parole del Papa, si potrebbe pensare che Benedetto XVI non abbia detto tutta la verità. Dal momento che nessun Pontefice prima di lui ha rinunciato in modo totalmente libero al proprio ufficio (anche Celestino V ebbe notevoli condizionamenti), meraviglia che questo Papa abbia operato la propria rinuncia senza avere avuto alcun tipo, anche indiretto, di pressione. In un Vaticano fortemente provato da numerosi scandali (Ior, la questione del famoso “corvo”, le lotte di potere ormai note, ecc.), le parole del Papa potrebbero ricordare quelle del biblico Sansone: «Che io muoia insieme con i Filistei!» (Gdc 16, 30a). La rinuncia del Papa, infatti, comporta il decadere di numerose cariche nel governo della Chiesa, a cominciare da quella del Segretario di Stato. Non possiamo dimenticare che il card. Joseph Ratzinger, quando scrisse il commento per la nona stazione della via crucis del 2005, citò la sporcizia che c’è nella Chiesa: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! Tutto ciò è presente nella sua passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido: Kyrie, eleison - Signore, salvaci». Nei giorni successivi alla rinuncia, nelle parole del Papa non è mai mancato un cenno critico a chi indegnamente vive il proprio sacerdozio. Potrebbe essere che, non volendo dare scandalo cacciando qualche cardinale, abbia preferito “dimettersi”, ottenendo, però, anche lo scopo di rinnovare le alte cariche vaticane. Se fosse così, significherebbe che la Chiesa attraversa uno dei momenti più difficili della sua storia, non tanto per la presenza di nemici esterni o per l’oggettiva difficoltà dovuta alla secolarizzazione, ma per il peccato dei suoi ministri, da sempre denunciato da Benedetto XVI. Potrebbe essere che il mite e rigoroso studioso Joseph Ratzinger non sia stato in grado di tollerare ulteriormente certe situazioni. Anche in questo caso appare una straordinaria novità: non più l’omertà che, con la scusa di non dare scandalo, consente agli empi di raggiungere i loro scopi, ma un gesto di estrema libertà che porta in sé una forte carica di denuncia. In questo modo il gesto del Sommo Pontefice sarebbe da interpretare come un atto insieme di umiltà e di fortezza, assolutamente unico non solo per la storia, ma anche per il suo valore di straordinario magistero: Giovanni Paolo II diede un grande insegnamento a tutti noi, evitando di nasconderci lo spettacolo della sua grande umiliazione dovuta alla malattia; Benedetto XVI replica, per così dire, lo stesso insegnamento mostrandoci l’enorme sofferenza provocata in lui dal non essere in grado di affrontare gravi problematiche dovute, probabilmente, all’inadeguatezza di alcuni ministri della Chiesa. Se, però, devo interpretare il gesto del Papa da credente, a me sembra che questo sia una parola che chiama a una profonda conversione tutti i credenti e non credo sia per caso che la notizia sia stata data, appena prima dell’inizio della quaresima, l’11 febbraio, data della memoria della Beata Vergine di Lourdes e durante il concistoro per la canonizzazione dei martiri di Otranto. Io penso che, più che un’abdicazione, si sia trattato di una kenosis a imitazione di Gesù Cristo che «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» [Fil 2,6-8]. Non di desacralizzazione dell’ufficio papale si tratta, ma di una sua piena conformazione a Cristo. Non di una rinuncia si tratta, ma di un fulgido esempio posto davanti a coloro che nel clero e nelle curie sono animati da ambizioni personali e dal desiderio di potere. Non si tratta di “desacralizzazione” del ministero petrino: Cristo ha abolito ogni distinzione tra sacro e profano. Chi parla di desacralizzazione non sa che cosa significhi la parola sacro per la Chiesa Cattolica. Cristo ha rinunciato a ogni forma di potere, manifestando l’onnipotenza di Dio nell’accettazione inerme del supplizio della croce. Quindi il gesto del Pontefice va interpretato come una sua più stretta configurazione al mistero di Cristo. Il Papa Benedetto XVI ha così davvero espresso il più alto magistero del suo pontificato indicando a tutti, davanti alla tentazione del potere, la via di Cristo, che è via dolorosa sì, ma è anche l’unica strada capace di condurre alla vita. Dobbiamo, quindi, pregare per il Vescovo emerito di Roma Sua Santità Benedetto XVI, per i nostri vescovi e sacerdoti, per tutta la Chiesa e per il Papa che Dio sceglierà per noi, perché certamente siamo ad una svolta cruciale nella vita della Chiesa, che vedrà o una più profonda adesione a Cristo da parte di tutto l’apparato ecclesiastico o un’ulteriore affermazione di coloro che sognano l’improbabile avvento di una chiesa trionfante, per alimentare unicamente il proprio potere personale. Per questo la rinuncia di Benedetto XVI è stata anche un grandissimo atto di affidamento a Dio. don Giuseppe Nella pagina a sinistra: l’ultimo saluto di Papa Benedetto XVI da Castelgandolfo. Qui in alto: la benedizione alla folla. 5 Il Papato di Benedetto XVI E E ra il 19 aprile del 2005 quando, all’età di 78 anni, Joseph Ratzinger veniva eletto 265° Papa, il settimo pontefice tedesco della storia della Chiesa Cattolica. Sulle sue spalle una eredità impegnativa - l’inevitabile confronto con il suo predecessore Karol Wojtyla - alla quale rispose con un discorso che introduceva uno degli elementi propri della sua vocazione, l’umiltà: «Dopo il grande papa Giovanni Paolo II i signori cardinali hanno eletto me, un semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore». E nella Messa di inizio pontificato spiegava che «il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui». Parole confermate negli otto anni di pontificato. Significativo il nome papale, Benedetto XVI, scelto pensando al pontefice Benedetto XV «che ha guidato la Chiesa in un periodo travagliato a causa del primo conflitto mondiale. Fu coraggioso e autentico profeta di pace». Fondamento del suo apostolato è stata una «Fede chiara, secondo il Credo della Chiesa», posta al centro della vita dell’uomo e intesa non come astrazione religiosa ma come esperienza e conoscenza dell’amore di Dio capace di portare l’uomo a «discernere tra vero e falso, tra inganno e verità», illuminandolo su quella che lui stesso ha definito la “dittatura del relativismo”- vera minaccia della fede - ovvero l’atteggiamento di lasciarsi portare «qua e là da qualsiasi vento di dottrina, che non riconosce nulla come definitivo e che In alto: Benedetto XVI nel giorno della sua elezione, 19 aprile del 2005. Nella foto a sinistra: il Papa durante una delle visite pastorali. 6 lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». «Noi, invece, - prosegue - abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo». Fede come esperienza, quindi. E nell’Enciclica Spe Salvi Benedetto XVI approfondisce il concetto che «da sempre la fede cristiana non può essere rinchiusa nel mondo astratto delle teorie, ma deve essere calata in un’esperienza storica concreta che raggiunga l’uomo nella verità più profonda della sua esistenza». In questo contesto si innesta la relazione tra Fede e ragione, uno dei capisaldi del suo ministero, che risalta la “ragionevolezza della gioia di credere”. Altrettanto chiara e ferma la sua posizione su temi importanti come la sessualità, il matrimonio, l’aborto, nei quali - sono le sue parole - il relativismo etico “favorisce l’insorgere di comportamenti lesivi della dignità della persona”, invitando però i credenti ad accogliere le persone che ne fanno un uso distorto con rispetto, compassione e delicatezza, esortandole «a realizzare la volontà di Dio nella loro vita e a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione». A proposito del matrimonio Ratzinger riaffermò che «la differenza sessuale di un uomo e una donna ha come fine un’unione aperta alla trasmissione della vita, dove la procreazione è frutto dell’atto con cui gli sposi si donano mutuamente». Importante anche l’impegno ecumenico portato avanti durante il suo pontificato. Il carisma teologico e accademico di Benedetto XVI si è manifestato anche in tre encicliche: “Deus caritas est”, scritta con lo scopo di mostrare i vari aspetti del concetto cristiano di amore, quello di chi rinuncia a se stesso in favore dell’altro, ma anche dell’equivalenza per un cristiano di “amore” e “carità”, e della sostanziale differenza dall’eros, ovvero l’amore tra uomo e donna, che pure deriva dalla bontà del Creatore. Importante il collegamento al concetto di famiglia: «L’eros si trasforma in agape nella misura in cui i due si amano realmente e uno non cerca più se stesso, ma cerca soprattutto il bene dell’altro». “Spe Salvi”, incentrata sulla salvezza che viene dalla Speranza cristiana; «Una speranza non individualista, ma comunitaria, come comunitaria è la vita cristiana, che discende direttamente dall’essere in comunione con Gesù, ed attraverso di Lui con tutti i fratelli». “Caritas in veritate”, che ritorna ancora sull’amore come «fonte di energia che spinge le persone ad impegnarsi nel mondo della giustizia e della pace. La Carità, pertanto, è la via maestra della dottrina della Chiesa». Fin dall’inizio del suo pontificato, Benedetto XVI si è impegnato per l’attuazione del Concilio Vaticano II, definito «la bussola con cui orientarci nel vasto oceano del terzo millennio», per sollecitare «un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo» ed evidenziare una sfida a lui cara: quella della nuova evangelizzazione per «riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede». «La fede - sono le sue parole - è incontro con Dio che parla e opera nella storia e che converte la nostra vita quotidiana, trasformando in noi mentalità, giudizi di valore, scelte e azioni concrete. Non è illusione, fuga dalla realtà, comodo rifugio, sentimentalismo, ma è coinvolgimento di tutta la vita ed è annuncio del Vangelo, Buona Notizia capace di liberare tutto l’uomo». In alto a destra: il saluto ai Cardinali nella Sala Clementina. Qui a destra: l’udienza generale. Sotto, a sinistra: il Papa lascia il Vativano in elicottero, diretto a Castel Gandolfo. Il Fatto Il resto è storia dei nostri giorni: l’annuncio dell’11 febbraio di una scelta fatta in serenità per il bene della Chiesa, e che, con disarmante umiltà e semplicità, lascia il mondo cattolico in un senso di improvviso e temporaneo smarrimento; l’ultima udienza generale del 27, davanti a 200mila fedeli; il saluto ai Cardinali: “Tra di voi c’è anche il futuro Papa a cui prometto la mia incondizionata riverenza e obbedienza”; il volo a Castel Gandolfo, meta transitoria verso un destino di silenzio e preghiera; ma soprattutto la conferma della sua missione: “Non abbandono la croce ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso”. Marco Molinari I fratelli della Prima Comunità Neocatecumenale di Caorso hanno concluso il loro percorso di iniziazione alla fede con un pellegrinaggio “speciale” in Terra Santa nel novembre 2012. Qui li vediamo in una foto di gruppo (con qualche intruso) a Gerusalemme. 7 Una nuova realtà in aiuto ai genitori caorsani Insieme per e A.Ge.Ca. si presenta N N el panorama associazionistico caorsano è sorta una nuova ed importante realtà. Si tratta di A.Ge.Ca., associazione di genitori caorsani, che ha in Pamela Negri la sua presidente e porta voce. Pamela come è nata A.Ge.Ca.? Nel settembre dello scorso anno il Sindaco Callori aveva fortemente voluto un momento di riflessione tra genitori, educatori e forze dell’ordine per riflettere sul problema del bullismo. Nel corso di quell’incontro era emersa con forza la mancanza di una rete, di un rapporto, di un’unione tra genitori così ci siamo detti: “Pensiamoci!”. Inizialmente un piccolo gruppo di persone ha creduto e sposato questa idea, ha deciso di dar vita a questa associazione ed oggi ne è il Direttivo. In pochi mesi abbiamo raggiunto i 44 iscritti e altri ancora hanno manifestato in questi giorni l’intenzione di aggiungersi a noi! Qual è il vostro intento? L’idea che ci sostiene è quella di essere un serio supporto per i genitori, un tramite tra essi e le istituzioni, un modo per fare fronte comune dinnanzi ai problemi che via via possono emergere. Insomma un’unione di genitori al cui interno si può parlare delle proprie difficoltà e operare insieme per risolverle, forti del fatto che ‘l’unione fa la forza’. Non è poi trascurabile il fatto che come realtà A destra: Pamela con il figlio Nicholas. 8 associativa si può essere un valido tramite tra Scuola, Comune, servizi sociali e Parrocchia. Com’è stata la reazione di questi soggetti nel momento in cui vi siete costituiti? Tutti ci hanno accolto molto bene, da più parti ci siamo sentiti dire che nel panorama associazionistico del nostro territorio mancava una figura di questo tipo e se ne sentiva realmente il bisogno. In questi mesi A.Ge.Ca ha posto in essere o collaborato a diverse iniziative, ce ne vuoi parlare brevemente? Abbiamo fatto due raccolte fondi per la Caritas parrocchiale vendendo le torte che preparavano le mamme, per le festività natalizie abbiamo collaborato con il Comune e le altre realtà associative del nostro territorio al Presepe Vivente che è stato rappresentato sulla Piazza della Rocca e con il negozio ‘Il Riciclone’ all’addobbo dell’albero di Natale sulla Piazza delle Scuole Elementari. Ai primi di marzo abbiamo organizzato con l’Amministrazione comunale una serata con i rappresentanti delle forze dell’ordine per parlare della violenza sulle donne e in appendice per trattare nuovamente il tema del bullismo. Altri progetti in cantiere? Abbiamo preso l’impegno di diffondere, quando sarà il momento, il progetto ‘Fami- Qui a sinistra: Denise Otranto, altro membro del direttivo, con i figli. educare proprio nominativo anche un recapito telefonico per essere ricontattati. E comunque ricordo che l’iscrizione è completamente gratuita. Tengo infine a sottolineare come A.Ge.Ca. sia completamente apartitica e si collochi nell’ampio spazio culturale, in particolare educativo, per offrire a tutti quelli che ne condividono le finalità, un supporto alle varie problematiche di carattere generale che possono scaturire dal rapporto genitori/figli, favorire l’inserimento dei bambini/ragazzi nella scuola e nella vita sociale e promuovere azioni di tutela degli interessi collettivi, relativi alle proprie finalità associative. L’intervista glia affianca famiglia’ per sensibilizzare le persone al tema dell’affido. Questo è un progetto che abbraccia istituzioni, assistenti sociali ed associazioni dei territori limitrofi (Cadeo, Fiorenzuola, Caorso) tra cui ad esempio la Casa Famiglia S. Lucia, la Caritas, l’A.GE di Fiorenzuola e Cadeo, l’Associazione La ricerca ecc… Ci piacerebbe poi porre in essere alcune serate con esperti per trattare di tematiche inerenti all’educazione, ai disordini alimentari, alla salute… siamo ad esempio già in contatto con l’associazione PACE per poter fare un paio di incontri incentrati sulle problematiche delle dipendenze (alcool, droga, ecc..). Resta poi il nostro impegno pressoché quotidiano ad ascoltare le richieste dei genitori del nostro paese e di farci loro portavoce presso le istituzioni competenti. Chi volesse contattarvi come può farlo? E’ possibile manifestare, senza essere in alcun modo vincolati, l’interesse all’Associazione inviando una mail all’indirizzo [email protected] indicando oltre al Più sotto: altre componenti del direttivo A.GE.CA. Valentina Rossi 9 Noi omofobi? Sono le lobby gay a negare la realtà e la libertà Un’intervista a Mario Binasco (psicanalista professore del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli Studi su Matrimonio e Famiglia, presso la Pontificia Università Lateranense) R R iprendiamo dal sito della rivista Tempi un’intervista a Mario Binasco di Benedetta Frigerio pubblicata il 30/3/2012. «Omofobia, questo è il termine più pericoloso. Che fa da grimaldello a una lotta politica in stile nazista e totalitario. E che criminalizza tutti coloro che si permettono di dire qualcosa di contrario al mainstream gender». Mario Binasco Qui sotto, nella foto: Mario Binasco. Nella pagina a fianco: in alto, una manifestazione anti-omofobia in Russia e una a Parigi. Più sotto, manifestazione Femen in piazza San Pietro 10 Che cosa significa omofobo? Chiediamolo a chi usa questa espressione. Vediamo che risponde. Perché prima di essere criminalizzato come tale, vorrei che me lo spiegassero. Questo, infatti, è un termine che nasce da un presupposto e non dalla realtà. Un presupposto. In che senso? Nel senso che viene da una percezione delle cose ma non da “cose” che esistono realmente. L’omosessuale vive un conflitto e non si sente a posto. Non trova un luogo in grado di accoglierlo e si affida a chi gli dice che è colpa della società che non lo accetta. Questo modo di categorizzare e di dividere in identità, in generi, in eterosessuali omofobi e gay, è strumentale alla battaglia politica intrapresa dalle lobby Lgbt, che creano appositamente gli stessi steccati che dicono di voler combattere. Lei è convinto che la battaglia omosessuale sia politica, giocata sulla contrapposizione e la ricerca del nemico. Come bisognerebbe affrontare la questione? Il dramma è che questa battaglia tratta i legami umani solo come strumenti di uno scontro, senza che si possano conoscere davvero. Ed è vietata la discussione, completamente bandita dall’arena pubblica. Non esiste la possibilità di confrontarsi. Non si accetta di capire cosa avviene in questa realtà umana. Questa lotta è l’ultimo strascico del Sessantotto. La piazza, che si riempie con manifestazioni, è il luogo di un’identificazione in cui per definizione chi sta dentro è “amico” e chi è fuori è “nemico”. Ma la realtà delle persone è un’altra: quando si esce dalla piazza, infatti, si trovano i problemi. Se è vero per qualsiasi legame, non le pare almeno strano che quelli omosessuali appaiano come perfetti e privi di scontri? Queste unioni vengono mistificate nel bene e nel male: si parla di tali legami facendoli passare o come di quelli delle famiglie del Mulino Bianco o come quelli di persone atrocemente perseguitate. Nella loro vita reale, invece, non c’è nulla di tutto ciò. Vede una persecuzione in atto? Vede qualcuno che li mette a tacere? Io vedo il contrario. Il nostro giornale ha ospitato la lettera di un omosessuale. Che ha cercato di attaccare un tentativo di capire. Infatti, anche ammesso che quella lettera sia reale, di una persona che davvero vi legge, che va in chiesa e che solo ora scopre che siete un giornale “omofobo”, mi colpisce lo stile, identico a quello della battaglia Lgbt che riporta tutta la discussione sempre su di un piano meramente politico. Chi prova a uscire dal coro, come hanno fatto alcuni gay inglesi, è bersagliato dalle lobby omosessuali. Esattamente. Chi di loro prova ad esprimere un disagio viene a sua volta criminalizzato. Per questo arrivano da me, psicanalista. “Fuori” non possono parlare. Mentre la psicanalisi è un luogo in cui, al contrario di quello politico, si permette loro di esprimere le problematiche che sentono e che hanno l’esigenza di affrontare con qualcuno. Il punto è che se già questo luogo è odiato dalle lobby gay, perché sdogana il tabù portando a galla ciò che farebbe fallire anni di lotta strategica, se ci spingiamo più in là (educazione gender nelle scuole, legislazioni contro l’omofobia etc) chi desidera avvicinarsi a un terapeuta per essere aiutato non potrà più farlo definitivamente. E questo è totalitario perché nega a un essere umano la libertà di farsi aiutare e di esprimersi. loro condizione come un’identità politica. Infatti chiunque abbia una visione libertina della vita, dove si deve poter fare quel che si vuole senza limiti, parla di omofobia e difende a tutti i costi questo stile di vita. Il libertinismo non accetta nessuna norma, anzi, la vuole sovvertire perché si fonda su un sogno ben preciso. Prodotto, tra l’altro, dal consumismo: quello di godere senza soffrire, quello di eliminare qualsiasi contraddizione che, però, è intrinseca ad ogni legame. Non esiste nell’esperienza reale alcuna gioia priva di sofferenza. Cercare di negarlo è utopico e quindi violento. Ecco l’attacco alla psicanalisi che parla di castrazione e di dispiacere. Per capire La psicanalisi è attaccata ferocemente dagli attivisti gay. Gli attivisti gay hanno attaccato la confessione cattolica e la psicanalisi, additandole come repressive. Quando, al contrario, in questi ambiti l’uomo si libera e viene aiutato. Si gioca sul fatto che l’uomo sia tentato di non voler riconoscere il dramma che esiste nella realtà. Quello a cui richiama la Chiesa che, come dice Eliot, «ricorda loro la vita e la morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare». Esattamente al contrario del potere totalitario che vuole far credere alle persone che va tutto bene, così da tenerle sotto controllo. Si sente dire il contrario: la società tramite la rieducazione cattolica e l’aiuto psicologico toglie agli omosessuali la libertà. Io voglio solo capire i problemi che mi vengono posti da alcuni di loro e offrire un aiuto a chi lo vuole. È da criminali invece dire, come fanno alcuni: “Guarda, non hai nessun problema”. È come dire a un depresso che non si deve sentire in colpa. Chi le pare totalitario? Io o chi nega la realtà? Io o chi vuole rieducare gli “omofobi”, mettendoli a tacere e criminalizzandoli, affinché si possa fare tutto senza limiti, anche a discapito dei più deboli, come i bambini a cui si vuole insegnare questa visione univoca? Posso, poi, da medico impedire a uno che mi chiede di guarire di aiutarlo? No. E, per questo, mi cuciranno la nuova stella di Davide sul petto? Gli “omofobi” sono i nuovi nemici del pensiero totalitario. I movimenti gay stanno collaborando all’istituzione di questo potere: distruggono gli avversari urlando di essere perseguitati. E così denigrano chi non la pensa come loro. Compresi quegli omosessuali che non vogliono vivere la 11 Reportage di una festa mega 12 Carnevalino A.N.S.P.I. ...spaziale! 13 Il ritiro invernale dei nostri giovani Io mi sobbarco Il tema dell’impegno politico per il cristiano al centro della tre giorni di riflessione L L 14 o reputo il ritiro invernale che mi ha stupito più di tutti. Il primo fu lo storico Finale Ligure avvenuto nel 2007 e da allora io, come altri, siamo affezionati a questa esperienza, perché sul pullman di ritorno, guardando fuori dal finestrino, e ripensando ai 3 giorni che si è appena vissuto, si riesce sempre a portare a casa qualcosa di molto forte, a volte qualcosa che si è capito di noi di un po’ scomodo, a volte la semplice felicità per il tempo trascorso con gli amici, a volte legami che si sono venuti a creare e altri che magari si sono riusciti a ricucire. Quello che io ho portato a casa quest’anno è stato il mio stupore nello scoprirmi felice di te la giornata è iniziata con le lodi e il tema è stato esplosivo tra noi: la politica concepita in un modo diverso, nuovo, più interessante; ogni nostra scelta, anche la più piccola, può essere considerata un fare politica. Decidere una cosa piuttosto che un’altra vuol dire scegliere. E questa scelta è fatta secondo dei criteri che potrebbero e dovrebbero essere il bene comune, non solo del singolo. Dopo aver ringraziato il Signore per averci fatto iniziare una nuova giornata è giunto il momento del questionario, seguito da un breve dibattito tra di noi. Il pomeriggio è stato trascorso giocando e alla sera abbiamo ascoltato una canzone interessante sempre ine- passare del tempo con ragazzi molto più piccoli di me. Mi sento di dire che sono stati la risorsa che hanno permesso di rendere questo ritiro speciale. Siamo partiti martedì 1 Gennaio tutti assonnati e reduci dal Capodanno appena trascorso ma tutti molto entusiasti di iniziare questa convivenza. Arrivati al nostro stupendo albergo, abbiamo avuto il tempo di porre le valige in camera e poi è stata servita la cena. La prima serata ci è stata lasciata libera e i giochi ci hanno fatto da legge. Nella sala comune si vedevano gruppetti divisi per interessi: gli abbonati alla scala quaranta capeggiati dal nostro caro don Giuseppe, gli abituali del Risiko, di Hotel, di Ligretto e tanti altri giochi. Il giorno seguen- rente all’argomento. Un po’ di musica e poi tutti a letto a recuperare un po’ di energie! Il giorno successivo dopo le lodi abbiamo fatto la scrutatio biblica e questo è stato il modo migliore per lasciar parlare il Signore al nostro cuore. Prima di cena siamo giunti al culmine del nostro ritiro celebrando la messa e poi sono state lanciate le ultime sfide nei giochi poiché ormai la convivenza giungeva al termine. Il mattino dopo di nuovo lodi e poi, dato che vi era un sole emozionante, abbiamo colto l’occasione di andare in spiaggia. Il nostro ritiro si è concluso così, con una giornata stupenda e un sole che scaldava il cuore e l’anima. Carolina Battaglia APERTA TUTTI I GIORNI FERIALI E IL SABATO DALLE ORE 9,00 ALLE 11,30 E DALLE 15,30 ALLE 18,00. TEL. E FAX 0523.821098 www.parrocchiadicaorso.it [email protected] Franco Bonvini 27 novembre 2012 Carmen Salami ved. Finetti 2 dicembre 2013 Sabina Moderani ved. Tavani Enrico Magnani Benito Utzeri Giordana Ferretti 2 febbraio 2013 18 febbraio 2013 Paolo Ricali Giuseppe Beghi 5 dicembre 2012 20 gennaio 2013 Carla Fochi in Perego Carmen Ferrari ved. Renna Bianca Gallinella ved. Fermi Lina Cerioni ved. Fermi 20 febbraio 2013 21 febbraio 2013 29 gennaio 2013 30 gennaio 2013 Rinati a Vita Vera 23 gennaio 2013 24 gennaio 2013 Rachel Imberti di Marco e di Jennifer Lisè 9 Dicembre 2012 Battesimi SEGRETERIA PARROCCHIALE 15 Storia di Luca che era Caorso, via Roma. La macelleria di Nino Albertazzi. Da sinistra riconosciamo: Paolo Tisarbi (Pipata), Gianni Serena e Nino Albertazzi. Sullo sfondo la signora Albertazzi, Maria Copelli. Parrocchia S. Maria Assunta - Caorso Calendario Liturgico delle Festività Pasquali «Chi è schiavo venga a fare Pasqua con noi» Domenica 24 Marzo - Domenica delle Palme S. Messa alle ore 8.00; alle ore 10.30 ritrovo davanti alla Rocca per la benedizione dei rami di palme e d’ulivo, quindi avvio della processione verso la chiesa; all’arrivo nella parrocchiale, S. Messa solenne della Domenica della Passione del Signore. Nella Settimana Santa, sarà presente un confessore in chiesa lunedì mattina dalle 9.30 alle 11.00 e da lunedì a mercoledì dalle ore 17.00 alle ore 17.30. Mercoledì 27 Marzo alle ore 20.30: Confessioni per gli adulti e i giovani. Giovedì 28 Marzo - Giovedì Santo 16 Alle ore 17.30: Missa in Coena Domini con la lavanda dei piedi alle ore 20.30: Breve Adorazione Eucaristica a cura del Gruppo Adulti di Azione Cattolica Venerdì 29 Marzo - Venerdì Santo alle ore15.00: Celebrazione della Passione di N.S. Gesù Cristo alle ore 20.30: processione per le vie del paese Sabato 30 Marzo - Sabato Santo alle ore 9.00: Lodi mattutine in chiesa. alle ore 10.00: Riti di accoglienza per i catecumeni che saranno battezzati nella Veglia Pasquale alle ore 23.00: Veglia Pasquale Nel pomeriggio di sabato sarà disponibile in chiesa un solo sacerdote per le confessioni. Per quanto possibile, si raccomanda di confessarsi nelle altre occasioni in calendario, senza aspettare l’ultimo momento. Quando il parroco è presente, ci si può confessare anche in canonica. Domenica 31 Marzo - Pasqua di Resurrezione SS. Messe alle ore 9.30 – 11.00 Alle ore 18.30: Vespri Solenni cantati Lunedì 1 Aprile - Lunedì dell’Angelo SS. Messe come di Domenica: ore 9.30 – 11.00. Gita per i ragazzi e i giovani a partire dalla 1ª Media; possono partecipare anche i bambini solo se accompagnati da almeno un genitore. Iscrizioni presso la segreteria parrocchiale in orario di ufficio.