MARZO 2013
oce
Va m i c a
DECLARO ME... RENUNTIARE
Momenti
del Natale
caorsano
VOCE
AMICA
N° 1/2013
Q
Q
uest’anno per Caorso il Santo Natale
ha avuto un significato del tutto particolare.
Il clamore della vicenda del Presepe presso la
nostra Scuola dell’infanzia ha senz’altro lasciato
un segno nella cittadinanza che ha così voluto
partecipare in modo sentito al Presepe vivente.
L’iniziativa incoraggiata dall’Amministrazione comunale ed organizzata con la collaborazione di molteplici realtà associative del nostro paese sulla rinnovata Piazza della Rocca
ha così visto i nostri bambini protagonisti di
un’originale rappresentazione della Natività.
Periodico della
parrocchia di Caorso
fondato da
mons. Lazzaro Chiappa
l’8 dicembre 1923
ANNO 91°
Numeri usciti 454
Direttore responsabile
Don Giuseppe Tosca
Autorizzazione
Tribunale
di Piacenza
del 26.01.2005
n. 605
Stampa
Tipolitografia
La Grafica
Piacenza
Redazione
Simona Chiesa
Enrico Francia
Carlo Livera
Davide Livera
Marco Molinari
Matteo Pavesi
Valentina Rossi
don Giuseppe Tosca
Fotografie
Michela Briggi
Gianluca Casaroli
Lino Pavesi
Progetto Grafico
Silvia Bodini
www.parrocchiadicaorso.it
N
N
el giorno dell’Epifania, com’è tradizione, i Re Magi hanno fatto tappa nella nostra
chiesa parrocchiale per portare i doni a Gesù
Bambino, impersonificato quest’anno dal
piccolo Pietro Tirelli, e incontrare i piccoli
caorsani. In una celebrazione emozionante i
saggi Magi hanno raccontato ai bimbi il motivo del loro arrivo e l’urgenza che li ha spinti a partire per venire ad incontrare Gesù, il
Salvatore dell’umanità intera, Dio che si fa
uomo e nasce piccolo ed indifeso per mostrare al Mondo il vero volto dell’amore di Dio
per ogni uomo.
Editoriale
In copertina una foto di Benedetto XVI.
«Declaro me … renuntiare»: sono le parole con cui il Joseph Ratzinger
ha dichiarato di rinunciare alla sede petrina.
C
arissimi Fratelli,
vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre
canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa.
Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza
davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le
mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte
per esercitare in modo adeguato il ministero petrino.
Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua
essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con
le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi
mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza
per la vita della fede, per governare la barca di san
Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il
vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli
ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover
riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il
ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole
della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma,
Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei
Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede
di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato,
da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del
nuovo Sommo Pontefice.”
Con queste parole il Santo Padre Benedetto
XVI ha rinunciato in modo inaudito al suo alto
ufficio. A me sembra che il mondo cattolico si
sia accontentato un po’ troppo facilmente dei
numerosi tentativi di minimizzare la portata
di tale evento, che, per dirla con Ernesto Galli
Della Loggia (Corriere della sera, 13.02.2013),
sembra, invece, «un gesto di governo di grande
portata e insieme un atto di alto magistero spirituale».
Diversi Romani Pontefici hanno lasciato il loro
ufficio, ma tutti forzatamente costretti da altri. Il
solo precedente di una rinuncia al pontificato avvenuta in modo relativamente libero fu quello di
Celestino V, che fu canonizzato il 5 maggio 1313
e di cui la Chiesa celebra tuttora la memoria il
19 maggio. Bisogna, infatti, anche ricordare che
Celestino V fu strappato a forza dalla sua cella
eremitica perché assumesse l’ufficio di Pontefice,
mentre Joseph Ratzinger è sempre stato un curiale
con altissimi incarichi in Vaticano.
L’abdicazione di Benedetto XVI, quindi, sembra
essere la prima avvenuta del tutto liberamente nella storia della Chiesa. Ciò che è accaduto, quindi,
non può che interrogarci molto seriamente.
Il Pontificato è un «ufficio giurisdizionale della
Chiesa», non legato indelebilmente alla persona di chi lo occupa; non è cioè un sacramento
e tantomeno un sacramento che imprima un
“carattere” indelebile. La gerarchia apostolica
prevede l’esercizio di due poteri: la potestà di
Nella foto in basso:
Benedetto XVI
nel giorno
della sua elezione,
19 aprile del 2005.
Editoriale
C
“
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ordine e la potestà di giurisdizione. La prima
è conferita con la consacrazione, cioè per mezzo di un sacramento e con l’impressione di un
carattere indelebile e ha come oggetto l’amministrazione dei sacramenti e l’esercizio del culto
ufficiale. La seconda comporta il potere di governare l’istituto ecclesiastico e i singoli fedeli e,
al contrario della prima, non è indelebile, ma
è temporanea e revocabile. Nella Chiesa Cattolica la potestà di giurisdizione compete al Papa
e ai Vescovi, ma solo nel Romano Pontefice
risiede la pienezza di questo potere. Si capisce
così come la rinuncia del Papa al potere di giurisdizione sia del tutto legittima, tanto da essere
prevista dal Codice di Diritto Canonico.
Tuttavia, non ci si può nascondere il fatto che
l’ufficio del Sommo Pontefice abbia anche, in
senso lato, un valore sacramentale, tanto che il
Papa fu chiamato da S. Caterina, «il dolce Cristo in terra» e comunemente gli è attribuito il
titolo di Vicario di Cristo. Per questo motivo,
solitamente, il mandato del Papa termina con
la sua morte.
Enzo Bianchi, su “La Stampa” del 1 luglio
2002, scriveva: «Secondo la grande tradizione della
chiesa d’Oriente e d’Occidente, nessun Papa, nessun
patriarca, nessun vescovo dovrebbe dimettersi solo a
causa del raggiungimento di un limite di età. È vero
che da una trentina d’anni nella chiesa cattolica vi
è una norma che invita i vescovi a offrire le proprie
dimissioni al pontefice al compimento dei settantacinque anni, ed è vero che tutti i vescovi accolgono
nell’obbedienza questo invito e le presentano, ed è
vero anche che normalmente vengono esauditi e le
dimissioni accolte. Ma questa resta una norma e una
prassi recente, fissata da Paolo VI e confermata da
Giovanni Paolo II: nulla esclude che in futuro possa
essere rivista, dopo aver pesato vantaggi e problemi
che essa ha prodotto in questi decenni di applicazione». La norma per cui i vescovi si dimettono a
75 anni dalle loro diocesi è recente nella storia
della Chiesa, e sembra contraddire le parole di
san Paolo, per cui egli, in quanto pastore, si sente chiamato «ad convivendum et ad commoriendum»
(2 Cor 7, 3), per vivere e per morire accanto
al suo gregge. Se tutto ciò è vero, è necessario
considerare la rinuncia al pontificato di Joseph
Ratzinger come un atto di estrema gravità, assolutamente legittimo dal punto di vista canonico, ma di rottura e assoluta discontinuità con la
prassi secolare della Chiesa.
L’assoluta novità del gesto di Benedetto XVI
sembra debba essere ricercata in queste parole:
«nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della
fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del
corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in
me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la
mia incapacità di amministrare bene il ministero a
me affidato».
Non siamo in presenza di una grave patologia o
di una inabilità che comprometterebbe radicalmente l’esercizio delle funzioni papali. Queste
parole mettono in relazione la sua scelta innovativa con le esigenze del mondo contemporaneo.
Qualcuno sulla stampa si è chiesto: ciò significa
un’oggettiva desacralizzazione dell’ufficio papale? Non viene con questo messa in discussione
anche tutta la struttura del governo centrale
della Chiesa? Le norme che regolano l’ufficio
del Sommo Pontefice e quello delle alte cariche
vaticane dovranno essere riviste?
Credo che siano domande legittime che riguardano la portata di queste “dimissioni” per la
futura organizzazione della Chiesa: si tratta di
un gesto isolato o questa scelta avrà delle conseguenze nel modo con cui la Chiesa concepisce
se stessa nel mondo contemporaneo? Gli anni a
venire ci mostreranno più chiaramente la portata di questo “gran rifiuto”.
Si potrebbe fare anche un’altra considerazione,
molto più spiacevole.
Nel corso di una conferenza tenuta a Piacenza
negli anni ‘80, il card. Casaroli, rispondendo
alla domanda un po’ impertinente, con cui un
giornalista chiedeva come si possa essere cardinale della Santa Chiesa e nello stesso tempo
svolgere un ufficio come quello diplomatico, in
cui si è spesso costretti a mentire, disse più o
meno così: «Non è necessario dire bugie, è sufficiente non dire tutta la verità!». Applicando azzardatamente questo principio alle parole del Papa, si
potrebbe pensare che Benedetto XVI non abbia
detto tutta la verità.
Dal momento che nessun Pontefice prima di
lui ha rinunciato in modo totalmente libero al
proprio ufficio (anche Celestino V ebbe notevoli condizionamenti), meraviglia che questo
Papa abbia operato la propria rinuncia senza
avere avuto alcun tipo, anche indiretto, di pressione. In un Vaticano fortemente provato da
numerosi scandali (Ior, la questione del famoso “corvo”, le lotte di potere ormai note, ecc.),
le parole del Papa potrebbero ricordare quelle
del biblico Sansone: «Che io muoia insieme con
i Filistei!» (Gdc 16, 30a). La rinuncia del Papa,
infatti, comporta il decadere di numerose cariche nel governo della Chiesa, a cominciare da
quella del Segretario di Stato. Non possiamo dimenticare che il card. Joseph Ratzinger, quando
scrisse il commento per la nona stazione della
via crucis del 2005, citò la sporcizia che c’è nella
Chiesa: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero
appartenere completamente a lui! Quanta superbia,
quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo
il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci
aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! Tutto ciò è
presente nella sua passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore,
quello che gli trafigge il cuore. Non ci rimane altro
che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido:
Kyrie, eleison - Signore, salvaci».
Nei giorni successivi alla rinuncia, nelle parole
del Papa non è mai mancato un cenno critico
a chi indegnamente vive il proprio sacerdozio.
Potrebbe essere che, non volendo dare scandalo cacciando qualche cardinale, abbia preferito
“dimettersi”, ottenendo, però, anche lo scopo
di rinnovare le alte cariche vaticane. Se fosse
così, significherebbe che la Chiesa attraversa
uno dei momenti più difficili della sua storia,
non tanto per la presenza di nemici esterni o
per l’oggettiva difficoltà dovuta alla secolarizzazione, ma per il peccato dei suoi ministri, da
sempre denunciato da Benedetto XVI. Potrebbe essere che il mite e rigoroso studioso Joseph
Ratzinger non sia stato in grado di tollerare ulteriormente certe situazioni. Anche in questo
caso appare una straordinaria novità: non più
l’omertà che, con la scusa di non dare scandalo,
consente agli empi di raggiungere i loro scopi,
ma un gesto di estrema libertà che porta in sé
una forte carica di denuncia.
In questo modo il gesto del Sommo Pontefice
sarebbe da interpretare come un atto insieme di
umiltà e di fortezza, assolutamente unico non
solo per la storia, ma anche per il suo valore di
straordinario magistero: Giovanni Paolo II diede un grande insegnamento a tutti noi, evitando di nasconderci lo spettacolo della sua grande umiliazione dovuta alla malattia; Benedetto
XVI replica, per così dire, lo stesso insegnamento mostrandoci l’enorme sofferenza provocata
in lui dal non essere in grado di affrontare gravi
problematiche dovute, probabilmente, all’inadeguatezza di alcuni ministri della Chiesa.
Se, però, devo interpretare il gesto del Papa da
credente, a me sembra che questo sia una parola
che chiama a una profonda conversione tutti i
credenti e non credo sia per caso che la notizia
sia stata data, appena prima dell’inizio della quaresima, l’11 febbraio, data della memoria della
Beata Vergine di Lourdes e durante il concistoro
per la canonizzazione dei martiri di Otranto.
Io penso che, più che un’abdicazione, si sia trattato di una kenosis a imitazione di Gesù Cristo
che «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne
un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce» [Fil 2,6-8]. Non di desacralizzazione dell’ufficio papale si tratta, ma di
una sua piena conformazione a Cristo. Non di
una rinuncia si tratta, ma di un fulgido esempio
posto davanti a coloro che nel clero e nelle curie
sono animati da ambizioni personali e dal desiderio di potere.
Non si tratta di “desacralizzazione” del ministero petrino: Cristo ha abolito ogni distinzione
tra sacro e profano. Chi parla di desacralizzazione non sa che cosa significhi la parola sacro per
la Chiesa Cattolica. Cristo ha rinunciato a ogni
forma di potere, manifestando l’onnipotenza di
Dio nell’accettazione inerme del supplizio della
croce. Quindi il gesto del Pontefice va interpretato come una sua più stretta configurazione
al mistero di Cristo. Il Papa Benedetto XVI ha
così davvero espresso il più alto magistero del
suo pontificato indicando a tutti, davanti alla
tentazione del potere, la via di Cristo, che è via
dolorosa sì, ma è anche l’unica strada capace di
condurre alla vita.
Dobbiamo, quindi, pregare per il Vescovo emerito di Roma Sua Santità Benedetto XVI, per
i nostri vescovi e sacerdoti, per tutta la Chiesa
e per il Papa che Dio sceglierà per noi, perché
certamente siamo ad una svolta cruciale nella
vita della Chiesa, che vedrà o una più profonda
adesione a Cristo da parte di tutto l’apparato
ecclesiastico o un’ulteriore affermazione di coloro che sognano l’improbabile avvento di una
chiesa trionfante, per alimentare unicamente il
proprio potere personale. Per questo la rinuncia
di Benedetto XVI è stata anche un grandissimo
atto di affidamento a Dio.
don Giuseppe
Nella pagina
a sinistra:
l’ultimo saluto di
Papa Benedetto XVI
da Castelgandolfo.
Qui in alto:
la benedizione
alla folla.
5
Il Papato di
Benedetto XVI
E
E
ra il 19 aprile del 2005 quando, all’età di 78
anni, Joseph Ratzinger veniva eletto 265° Papa,
il settimo pontefice tedesco della storia della
Chiesa Cattolica. Sulle sue spalle una eredità
impegnativa - l’inevitabile confronto con il suo
predecessore Karol Wojtyla - alla quale rispose con un discorso che introduceva uno degli
elementi propri della sua vocazione, l’umiltà:
«Dopo il grande papa Giovanni Paolo II i signori
cardinali hanno eletto me, un semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore». E nella Messa di inizio pontificato spiegava che «il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di
non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto,
con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui». Parole
confermate negli otto anni di pontificato.
Significativo il nome papale, Benedetto XVI,
scelto pensando al pontefice Benedetto XV
«che ha guidato la Chiesa in un periodo travagliato
a causa del primo conflitto mondiale. Fu coraggioso e
autentico profeta di pace».
Fondamento del suo apostolato è stata una
«Fede chiara, secondo il Credo della Chiesa», posta al centro della vita dell’uomo e intesa non
come astrazione religiosa ma come esperienza e
conoscenza dell’amore di Dio capace di portare
l’uomo a «discernere tra vero e falso, tra inganno e
verità», illuminandolo su quella che lui stesso
ha definito la “dittatura del relativismo”- vera
minaccia della fede - ovvero l’atteggiamento di
lasciarsi portare «qua e là da qualsiasi vento di dottrina, che non riconosce nulla come definitivo e che
In alto:
Benedetto XVI
nel giorno
della sua elezione,
19 aprile del 2005.
Nella foto a sinistra:
il Papa durante una
delle visite pastorali.
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lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue
voglie». «Noi, invece, - prosegue - abbiamo un’altra
misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo». Fede come esperienza,
quindi. E nell’Enciclica Spe Salvi Benedetto
XVI approfondisce il concetto che «da sempre
la fede cristiana non può essere rinchiusa nel mondo
astratto delle teorie, ma deve essere calata in un’esperienza storica concreta che raggiunga l’uomo nella
verità più profonda della sua esistenza».
In questo contesto si innesta la relazione tra
Fede e ragione, uno dei capisaldi del suo ministero, che risalta la “ragionevolezza della gioia
di credere”. Altrettanto chiara e ferma la sua
posizione su temi importanti come la sessualità,
il matrimonio, l’aborto, nei quali - sono le sue
parole - il relativismo etico “favorisce l’insorgere
di comportamenti lesivi della dignità della persona”, invitando però i credenti ad accogliere
le persone che ne fanno un uso distorto con
rispetto, compassione e delicatezza, esortandole
«a realizzare la volontà di Dio nella loro vita e a
unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà
che possono incontrare in conseguenza della loro condizione». A proposito del matrimonio Ratzinger
riaffermò che «la differenza sessuale di un uomo
e una donna ha come fine un’unione aperta alla
trasmissione della vita, dove la procreazione è frutto
dell’atto con cui gli sposi si donano mutuamente».
Importante anche l’impegno ecumenico portato avanti durante il suo pontificato.
Il carisma teologico e accademico di Benedetto
XVI si è manifestato anche in tre encicliche:
“Deus caritas est”, scritta con lo scopo di mostrare i vari aspetti del concetto cristiano di
amore, quello di chi rinuncia a se stesso in favore dell’altro, ma anche dell’equivalenza per un
cristiano di “amore” e “carità”, e della sostanziale differenza dall’eros, ovvero l’amore tra uomo
e donna, che pure deriva dalla bontà del Creatore. Importante il collegamento al concetto di
famiglia: «L’eros si trasforma in agape nella misura
in cui i due si amano realmente e uno non cerca più
se stesso, ma cerca soprattutto il bene dell’altro».
“Spe Salvi”, incentrata sulla salvezza che viene
dalla Speranza cristiana; «Una speranza non individualista, ma comunitaria, come comunitaria è la vita
cristiana, che discende direttamente dall’essere in comunione con Gesù, ed attraverso di Lui con tutti i fratelli».
“Caritas in veritate”, che ritorna ancora sull’amore come «fonte di energia che spinge le persone ad impegnarsi nel mondo della giustizia e della pace. La Carità,
pertanto, è la via maestra della dottrina della Chiesa».
Fin dall’inizio del suo pontificato, Benedetto
XVI si è impegnato per l’attuazione del Concilio
Vaticano II, definito «la bussola con cui orientarci
nel vasto oceano del terzo millennio», per sollecitare
«un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo» ed evidenziare una sfida a
lui cara: quella della nuova evangelizzazione per
«riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo
nel comunicare la fede». «La fede - sono le sue parole - è incontro con Dio che parla e opera nella storia
e che converte la nostra vita quotidiana, trasformando in noi mentalità, giudizi di valore, scelte e azioni
concrete. Non è illusione, fuga dalla realtà, comodo
rifugio, sentimentalismo, ma è coinvolgimento di tutta la vita ed è annuncio del Vangelo, Buona Notizia
capace di liberare tutto l’uomo».
In alto a destra:
il saluto ai Cardinali
nella Sala Clementina.
Qui a destra:
l’udienza generale.
Sotto, a sinistra:
il Papa lascia
il Vativano
in elicottero, diretto
a Castel Gandolfo.
Il Fatto
Il resto è storia dei nostri giorni: l’annuncio
dell’11 febbraio di una scelta fatta in serenità
per il bene della Chiesa, e che, con disarmante umiltà e semplicità, lascia il mondo cattolico
in un senso di improvviso e temporaneo smarrimento; l’ultima udienza generale del 27, davanti
a 200mila fedeli; il saluto ai Cardinali: “Tra di voi
c’è anche il futuro Papa a cui prometto la mia incondizionata riverenza e obbedienza”; il volo a Castel
Gandolfo, meta transitoria verso un destino di
silenzio e preghiera; ma soprattutto la conferma
della sua missione: “Non abbandono la croce ma
resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso”.
Marco Molinari
I fratelli della Prima Comunità Neocatecumenale di Caorso hanno concluso il loro percorso di iniziazione alla fede con un
pellegrinaggio “speciale” in Terra Santa nel novembre 2012. Qui li vediamo in una foto di gruppo (con qualche intruso) a Gerusalemme.
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Una nuova realtà in aiuto ai genitori caorsani
Insieme per e
A.Ge.Ca. si presenta
N
N
el panorama associazionistico caorsano
è sorta una nuova ed importante realtà. Si
tratta di A.Ge.Ca., associazione di genitori
caorsani, che ha in Pamela Negri la sua presidente e porta voce.
Pamela come è nata A.Ge.Ca.?
Nel settembre dello scorso anno il Sindaco
Callori aveva fortemente voluto un momento di riflessione tra genitori, educatori e forze
dell’ordine per riflettere sul problema del bullismo. Nel corso di quell’incontro era emersa
con forza la mancanza di una rete, di un rapporto, di un’unione tra genitori così ci siamo
detti: “Pensiamoci!”. Inizialmente un piccolo
gruppo di persone ha creduto e sposato questa idea, ha deciso di dar vita a questa associazione ed oggi ne è il Direttivo.
In pochi mesi abbiamo raggiunto i 44 iscritti e altri ancora hanno manifestato in questi
giorni l’intenzione di aggiungersi a noi!
Qual è il vostro intento?
L’idea che ci sostiene è quella di essere un
serio supporto per i genitori, un tramite tra
essi e le istituzioni, un modo per fare fronte
comune dinnanzi ai problemi che via via possono emergere.
Insomma un’unione di genitori al cui interno
si può parlare delle proprie difficoltà e operare insieme per risolverle, forti del fatto che
‘l’unione fa la forza’.
Non è poi trascurabile il fatto che come realtà
A destra:
Pamela con il figlio
Nicholas.
8
associativa si può essere un valido tramite tra
Scuola, Comune, servizi sociali e Parrocchia.
Com’è stata la reazione di questi soggetti nel
momento in cui vi siete costituiti?
Tutti ci hanno accolto molto bene, da più
parti ci siamo sentiti dire che nel panorama
associazionistico del nostro territorio mancava una figura di questo tipo e se ne sentiva
realmente il bisogno.
In questi mesi A.Ge.Ca ha posto in essere
o collaborato a diverse iniziative, ce ne vuoi
parlare brevemente?
Abbiamo fatto due raccolte fondi per la Caritas parrocchiale vendendo le torte che preparavano le mamme, per le festività natalizie
abbiamo collaborato con il Comune e le altre
realtà associative del nostro territorio al Presepe Vivente che è stato rappresentato sulla
Piazza della Rocca e con il negozio ‘Il Riciclone’ all’addobbo dell’albero di Natale sulla
Piazza delle Scuole Elementari. Ai primi di
marzo abbiamo organizzato con l’Amministrazione comunale una serata con i rappresentanti delle forze dell’ordine per parlare
della violenza sulle donne e in appendice per
trattare nuovamente il tema del bullismo.
Altri progetti in cantiere?
Abbiamo preso l’impegno di diffondere,
quando sarà il momento, il progetto ‘Fami-
Qui a sinistra:
Denise Otranto,
altro membro del
direttivo, con i figli.
educare
proprio nominativo anche un recapito telefonico per essere ricontattati. E comunque ricordo che l’iscrizione è completamente gratuita.
Tengo infine a sottolineare come A.Ge.Ca.
sia completamente apartitica e si collochi
nell’ampio spazio culturale, in particolare
educativo, per offrire a tutti quelli che ne
condividono le finalità, un supporto alle varie problematiche di carattere generale che
possono scaturire dal rapporto genitori/figli,
favorire l’inserimento dei bambini/ragazzi
nella scuola e nella vita sociale e promuovere
azioni di tutela degli interessi collettivi, relativi alle proprie finalità associative.
L’intervista
glia affianca famiglia’ per sensibilizzare le persone al tema dell’affido. Questo è un progetto che abbraccia istituzioni, assistenti sociali
ed associazioni dei territori limitrofi (Cadeo,
Fiorenzuola, Caorso) tra cui ad esempio la
Casa Famiglia S. Lucia, la Caritas, l’A.GE
di Fiorenzuola e Cadeo, l’Associazione La ricerca ecc… Ci piacerebbe poi porre in essere
alcune serate con esperti per trattare di tematiche inerenti all’educazione, ai disordini alimentari, alla salute… siamo ad esempio già in
contatto con l’associazione PACE per poter
fare un paio di incontri incentrati sulle problematiche delle dipendenze (alcool, droga,
ecc..). Resta poi il nostro impegno pressoché
quotidiano ad ascoltare le richieste dei genitori del nostro paese e di farci loro portavoce
presso le istituzioni competenti.
Chi volesse contattarvi come può farlo?
E’ possibile manifestare, senza essere in alcun
modo vincolati, l’interesse all’Associazione inviando una mail all’indirizzo
[email protected] indicando oltre al
Più sotto:
altre componenti
del direttivo
A.GE.CA.
Valentina Rossi
9
Noi omofobi? Sono le lobby gay
a negare la realtà e la libertà
Un’intervista a Mario Binasco (psicanalista professore del Pontificio Istituto Giovanni
Paolo II per gli Studi su Matrimonio e Famiglia, presso la Pontificia Università Lateranense)
R
R
iprendiamo dal sito della rivista Tempi
un’intervista a Mario Binasco di Benedetta Frigerio pubblicata il 30/3/2012.
«Omofobia, questo è il termine più pericoloso. Che fa da grimaldello a una lotta politica
in stile nazista e totalitario. E che criminalizza
tutti coloro che si permettono di dire qualcosa
di contrario al mainstream gender».
Mario Binasco
Qui sotto,
nella foto:
Mario Binasco.
Nella pagina
a fianco:
in alto,
una manifestazione
anti-omofobia in
Russia e una a Parigi.
Più sotto,
manifestazione
Femen in piazza
San Pietro
10
Che cosa significa omofobo?
Chiediamolo a chi usa questa espressione. Vediamo che risponde. Perché prima di essere criminalizzato come tale, vorrei che me lo spiegassero. Questo, infatti, è un termine che nasce da
un presupposto e non dalla realtà.
Un presupposto. In che senso?
Nel senso che viene da una percezione delle
cose ma non da “cose” che esistono realmente.
L’omosessuale vive un conflitto e non si sente
a posto. Non trova un luogo in grado di accoglierlo e si affida a chi gli dice che è colpa della
società che non lo accetta. Questo modo di categorizzare e di dividere in identità, in generi,
in eterosessuali omofobi e gay, è strumentale
alla battaglia politica intrapresa dalle lobby Lgbt, che creano
appositamente gli stessi steccati che dicono di voler combattere.
Lei è convinto che la battaglia
omosessuale sia politica, giocata sulla contrapposizione e la
ricerca del nemico. Come bisognerebbe affrontare la questione?
Il dramma è che questa battaglia tratta i legami umani solo
come strumenti di uno scontro, senza che si possano conoscere davvero. Ed è vietata la
discussione, completamente bandita dall’arena
pubblica. Non esiste la possibilità di confrontarsi. Non si accetta di capire cosa avviene in
questa realtà umana. Questa lotta è l’ultimo
strascico del Sessantotto. La piazza, che si riempie con manifestazioni, è il luogo di un’identificazione in cui per definizione chi sta dentro è
“amico” e chi è fuori è “nemico”. Ma la realtà
delle persone è un’altra: quando si esce dalla
piazza, infatti, si trovano i problemi. Se è vero
per qualsiasi legame, non le pare almeno strano
che quelli omosessuali appaiano come perfetti
e privi di scontri? Queste unioni vengono mistificate nel bene e nel male: si parla di tali legami
facendoli passare o come di quelli delle famiglie
del Mulino Bianco o come quelli di persone
atrocemente perseguitate. Nella loro vita reale,
invece, non c’è nulla di tutto ciò. Vede una persecuzione in atto? Vede qualcuno che li mette a
tacere? Io vedo il contrario.
Il nostro giornale ha ospitato la lettera di un
omosessuale.
Che ha cercato di attaccare un tentativo di capire. Infatti, anche ammesso che quella lettera sia
reale, di una persona che davvero vi legge, che
va in chiesa e che solo ora scopre che siete un
giornale “omofobo”, mi colpisce lo stile, identico a quello della battaglia Lgbt che riporta tutta
la discussione sempre su di un piano meramente politico.
Chi prova a uscire dal coro, come hanno fatto alcuni gay inglesi, è bersagliato dalle lobby
omosessuali.
Esattamente. Chi di loro prova ad esprimere
un disagio viene a sua volta criminalizzato. Per
questo arrivano da me, psicanalista. “Fuori”
non possono parlare. Mentre la psicanalisi è
un luogo in cui, al contrario di quello politico,
si permette loro di esprimere le problematiche
che sentono e che hanno l’esigenza di affrontare con qualcuno. Il punto è che se già questo
luogo è odiato dalle lobby gay, perché sdogana
il tabù portando a galla ciò che farebbe fallire
anni di lotta strategica, se ci spingiamo più in
là (educazione gender nelle scuole, legislazioni
contro l’omofobia etc) chi desidera avvicinarsi
a un terapeuta per essere aiutato non potrà più
farlo definitivamente. E questo è totalitario perché nega a un essere umano la libertà di farsi
aiutare e di esprimersi.
loro condizione come un’identità politica. Infatti chiunque abbia una visione libertina della vita,
dove si deve poter fare quel
che si vuole senza limiti,
parla di omofobia e difende
a tutti i costi questo stile di
vita. Il libertinismo non accetta nessuna norma, anzi,
la vuole sovvertire perché si
fonda su un sogno ben preciso. Prodotto, tra l’altro,
dal consumismo: quello di
godere senza soffrire, quello di eliminare qualsiasi
contraddizione che, però, è
intrinseca ad ogni legame.
Non esiste nell’esperienza
reale alcuna gioia priva di
sofferenza. Cercare di negarlo è utopico e quindi
violento. Ecco l’attacco alla
psicanalisi che parla di castrazione e di dispiacere.
Per capire
La psicanalisi è attaccata ferocemente dagli attivisti gay.
Gli attivisti gay hanno attaccato la confessione
cattolica e la psicanalisi, additandole come repressive. Quando, al contrario, in questi ambiti
l’uomo si libera e viene aiutato. Si gioca sul fatto che l’uomo sia tentato di non voler riconoscere il dramma che esiste nella realtà. Quello
a cui richiama la Chiesa che, come dice Eliot,
«ricorda loro la vita e la morte, e tutto ciò che
vorrebbero scordare». Esattamente al contrario
del potere totalitario che vuole far credere alle
persone che va tutto bene, così da tenerle sotto
controllo.
Si sente dire il contrario: la società tramite la
rieducazione cattolica e l’aiuto psicologico toglie agli omosessuali la libertà.
Io voglio solo capire i problemi che mi vengono
posti da alcuni di loro e offrire un aiuto a chi lo
vuole. È da criminali invece dire, come fanno
alcuni: “Guarda, non hai nessun problema”. È
come dire a un depresso che non si deve sentire
in colpa. Chi le pare totalitario? Io o chi nega
la realtà? Io o chi vuole rieducare gli “omofobi”,
mettendoli a tacere e criminalizzandoli, affinché si possa fare tutto senza limiti, anche a discapito dei più deboli, come i bambini a cui si
vuole insegnare questa visione univoca? Posso,
poi, da medico impedire a uno che mi chiede
di guarire di aiutarlo? No. E, per questo, mi cuciranno la nuova stella di Davide sul petto? Gli
“omofobi” sono i nuovi nemici del pensiero totalitario. I movimenti gay stanno collaborando
all’istituzione di questo potere: distruggono gli
avversari urlando di essere perseguitati. E così
denigrano chi non la pensa come loro. Compresi quegli omosessuali che non vogliono vivere la
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Reportage di una festa mega
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Carnevalino A.N.S.P.I.
...spaziale!
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Il ritiro invernale dei nostri giovani
Io mi sobbarco
Il tema dell’impegno politico per il cristiano
al centro della tre giorni di riflessione
L
L
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o reputo il ritiro invernale che mi ha stupito più di tutti. Il primo fu lo storico Finale
Ligure avvenuto nel 2007 e da allora io, come
altri, siamo affezionati a questa esperienza, perché sul pullman di ritorno, guardando fuori dal
finestrino, e ripensando ai 3 giorni che si è appena vissuto, si riesce sempre a portare a casa
qualcosa di molto forte, a volte qualcosa che si
è capito di noi di un po’ scomodo, a volte la
semplice felicità per il tempo trascorso con gli
amici, a volte legami che si sono venuti a creare
e altri che magari si sono riusciti a ricucire.
Quello che io ho portato a casa quest’anno è
stato il mio stupore nello scoprirmi felice di
te la giornata è iniziata con le lodi e il tema è
stato esplosivo tra noi: la politica concepita in
un modo diverso, nuovo, più interessante; ogni
nostra scelta, anche la più piccola, può essere
considerata un fare politica. Decidere una cosa
piuttosto che un’altra vuol dire scegliere. E questa scelta è fatta secondo dei criteri che potrebbero e dovrebbero essere il bene comune, non
solo del singolo. Dopo aver ringraziato il Signore per averci fatto iniziare una nuova giornata
è giunto il momento del questionario, seguito
da un breve dibattito tra di noi. Il pomeriggio
è stato trascorso giocando e alla sera abbiamo
ascoltato una canzone interessante sempre ine-
passare del tempo con ragazzi molto più piccoli di me. Mi sento di dire che sono stati la
risorsa che hanno permesso di rendere questo
ritiro speciale. Siamo partiti martedì 1 Gennaio
tutti assonnati e reduci dal Capodanno appena
trascorso ma tutti molto entusiasti di iniziare
questa convivenza. Arrivati al nostro stupendo
albergo, abbiamo avuto il tempo di porre le valige in camera e poi è stata servita la cena. La
prima serata ci è stata lasciata libera e i giochi ci
hanno fatto da legge. Nella sala comune si vedevano gruppetti divisi per interessi: gli abbonati
alla scala quaranta capeggiati dal nostro caro
don Giuseppe, gli abituali del Risiko, di Hotel,
di Ligretto e tanti altri giochi. Il giorno seguen-
rente all’argomento. Un po’ di musica e poi
tutti a letto a recuperare un po’ di energie! Il
giorno successivo dopo le lodi abbiamo fatto la
scrutatio biblica e questo è stato il modo migliore per lasciar parlare il Signore al nostro cuore.
Prima di cena siamo giunti al culmine del nostro ritiro celebrando la messa e poi sono state
lanciate le ultime sfide nei giochi poiché ormai
la convivenza giungeva al termine. Il mattino
dopo di nuovo lodi e poi, dato che vi era un
sole emozionante, abbiamo colto l’occasione di
andare in spiaggia. Il nostro ritiro si è concluso
così, con una giornata stupenda e un sole che
scaldava il cuore e l’anima.
Carolina Battaglia
APERTA TUTTI I GIORNI FERIALI
E IL SABATO
DALLE ORE 9,00 ALLE 11,30
E DALLE 15,30 ALLE 18,00.
TEL. E FAX 0523.821098
www.parrocchiadicaorso.it
[email protected]
Franco Bonvini
27 novembre 2012
Carmen Salami
ved. Finetti
2 dicembre 2013
Sabina Moderani
ved. Tavani
Enrico Magnani
Benito Utzeri
Giordana Ferretti
2 febbraio 2013
18 febbraio 2013
Paolo Ricali
Giuseppe Beghi
5 dicembre 2012
20 gennaio 2013
Carla Fochi
in Perego
Carmen Ferrari
ved. Renna
Bianca Gallinella
ved. Fermi
Lina Cerioni
ved. Fermi
20 febbraio 2013
21 febbraio 2013
29 gennaio 2013
30 gennaio 2013
Rinati a
Vita Vera
23 gennaio 2013
24 gennaio 2013
Rachel Imberti
di Marco e di Jennifer Lisè
9 Dicembre 2012
Battesimi
SEGRETERIA
PARROCCHIALE
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Storia di Luca
che era
Caorso, via Roma. La macelleria di Nino Albertazzi. Da sinistra riconosciamo: Paolo Tisarbi (Pipata),
Gianni Serena e Nino Albertazzi. Sullo sfondo la signora Albertazzi, Maria Copelli.
Parrocchia S. Maria Assunta - Caorso
Calendario Liturgico delle Festività Pasquali
«Chi è schiavo venga a fare Pasqua con noi»
Domenica 24 Marzo - Domenica delle Palme
S. Messa alle ore 8.00; alle ore 10.30 ritrovo davanti alla
Rocca per la benedizione dei rami di palme e d’ulivo,
quindi avvio della processione verso la chiesa; all’arrivo
nella parrocchiale, S. Messa solenne della Domenica della
Passione del Signore.
Nella Settimana Santa, sarà presente un confessore in
chiesa lunedì mattina dalle 9.30 alle 11.00 e da lunedì a
mercoledì dalle ore 17.00 alle ore 17.30.
Mercoledì 27 Marzo
alle ore 20.30: Confessioni per gli adulti e i giovani.
Giovedì 28 Marzo - Giovedì Santo
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Alle ore 17.30: Missa in Coena Domini con la lavanda
dei piedi
alle ore 20.30: Breve Adorazione Eucaristica a cura del
Gruppo Adulti di Azione Cattolica
Venerdì 29 Marzo - Venerdì Santo
alle ore15.00: Celebrazione della Passione di N.S. Gesù Cristo
alle ore 20.30: processione per le vie del paese
Sabato 30 Marzo - Sabato Santo
alle ore 9.00: Lodi mattutine in chiesa.
alle ore 10.00: Riti di accoglienza per i catecumeni che
saranno battezzati nella Veglia Pasquale
alle ore 23.00: Veglia Pasquale
Nel pomeriggio di sabato sarà disponibile in chiesa un
solo sacerdote per le confessioni. Per quanto possibile, si
raccomanda di confessarsi nelle altre occasioni in calendario, senza aspettare l’ultimo momento. Quando il parroco
è presente, ci si può confessare anche in canonica.
Domenica 31 Marzo - Pasqua di Resurrezione
SS. Messe alle ore 9.30 – 11.00
Alle ore 18.30: Vespri Solenni cantati
Lunedì 1 Aprile - Lunedì dell’Angelo
SS. Messe come di Domenica: ore 9.30 – 11.00.
Gita per i ragazzi e i giovani a partire dalla 1ª Media; possono partecipare anche i bambini solo se accompagnati da
almeno un genitore. Iscrizioni presso la segreteria parrocchiale in orario di ufficio.