Frangar non flectar? Avvenne stamane a tavola che mi sovvenne come favola un consiglio per ogni dottore: “Lasci di verità ogni rigore Sua vir tù sia il sapere di per fezione non avere e ora su sicure idee giurare che il domani vedrà cambiare!” Lezione Stupisce come un paradosso il sorriso grato e fiducioso. Bilancio è che s’addestra a improferito vero appreso per parole o fatti vili per intuizione che tradisce l’esempio per suggestione che travisa il modello Non vale essere grato tanto all’altro quanto al proprio germe d’illusione. Bilancio Stamane sulla spiaggia popolata di cani e gabbiani di onde di sabbia increspata del vento di conchiglie e detriti lisciati sul bagnasciuga disteso m’abbandono a un comizio di rimpianti e buone intenzioni, allo sciabordio della salsedine inquieta alla sferza di una fredda brezza alle nubi che emergono cupe dal mare alla terra che galleggia sulla foschia in un abbaglio di bianca luce invernale. Mehr licht! E oggi si mangi come si dovesse morire domani. Risparmi come se dovessi vivere ben oltre la mor te. Respiri aspiri traspiri cospiri sospiri e spiri. Si nasce si cresce si smussa ma non si sfugge da se stessi Si ride si grida si piange finisce e non si capisce. TESTI Fabrizio Montagna FOTOGRAFIE Franco Dal Pont, Fabrizio Montagna Gabriele Pecora, Philippe Perrin P R O G E T T O G R A F I C O E I M PA G I N A Z I O N E Acmegraphic – Viterbo S TA M PA Union Printing spa 01100 Viterbo EDITO DA ACME sas via Campo Sportivo Scolastico 10 01100 Viterbo t. 0761 27 01 13 f. 0761 39 13 03 [email protected] IN COLLABORAZIONE CON Promoden srl Viterbo Copyright © 2003 ACME Edizioni Tutti i diritti sono riservati. Il materiale contenuto in questo libro è tutelato da copyright e non può essere riprodotto in nessuna forma senza autorizzazione scritta dell’editore. I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compreso i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati. Finito di stampare nel mese di Marzo 2004 FA B R I Z I O M O N TA G N A F R A N C O DA L P O N T LAVORARE AL MICROSCOPIO OPERATORIO IN ODONTOIATRIA EDIZIONI ACME La ricerca e l’esperienza clinica ampliano costantemente le nostre conoscenze in odontoiatria soprattutto in relazione alle modalità terapeutiche e ne consegue la necessità di un continuo aggiornamento dei parametri diagnostici e terapeutici. Le indicazioni e le dosi dei farmaci citati in questo manuale riportano le raccomandazioni riportate nella letteratura internazionale; par ticolare cura è stata posta nel controllo dei dosaggi che, quando non diversamente specificato, si intendono espressi per un paziente adulto, normopeso, in assenza di controindicazioni e interazioni. Poiché non è esclusa la possibilità di qualche errore, si consiglia al lettore di verificare attentamente se le indicazioni riportate nel testo abbiano mantenuto la loro validità al momento di una futura consultazione. Indice Prefazione 1 — I VANTAGGI DELL’UTILIZZO DEL MICROSCOPIO OPERATORIO IN ODONTOIATRIA 17 20 Introduzione 21 Il microscopio operatorio in odontoiatria: una necessità o un lusso? 22 I vantaggi del lavorare con sistemi di ingrandimento I vantaggi dei diversi sistemi di ingrandimento 22 24 I pregiudizi e le difficoltà nell’inserimento del microscopio operatorio nella prassi clinica 28 Il ruolo del microscopio operatorio nelle diverse branche dell’odontoiatria 29 Conservativa Endodonzia Chirurgia Parodontologia Protesi Implantologia 30 35 40 41 42 45 2 — STEREOPSI E STEREOMICROSCOPIA 48 La stereopsi 49 Lo stereomicroscopio 51 La storia del microscopio operatorio 54 Il moderno microscopio operatorio in odontoiatria 58 3 — LA FOTOMICROGRAFIA E LA CINEMATOMICROGRAFIA 60 Introduzione 61 La fotocamera 62 La videocamera Collegamento delle attrezzature video Monitor e videoregistratore Conservazione informatica delle immagini Montaggio video 63 64 65 65 66 Accessori per la documentazione 67 Stereofotomicrografia e stereocinematomicrografia 70 7 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A 4 — ANATOMIA DEL MICROSCOPIO OPERATORIO 74 Introduzione 75 L’obiettivo 77 Gli oculari 80 I tubi binoculari 81 Il variatore di ingrandimenti 82 Il diaframma 83 L’illuminatore 83 Lo stativo 85 Gli accessori 87 Le caratteristiche consigliate 88 5 — PRINCIPI DI OTTICA DEL MICROSCOPIO OPERATORIO 90 Introduzione 91 L’occhio umano e il microscopio 92 Il microscopio semplice Il microscopio composto L’ingrandimento lineare 97 Angolo di campo 99 Diametro di campo visivo e diametro di campo illuminato 100 Profondità di campo 101 Potere di risoluzione 102 Apertura numerica dell’obiettivo 103 Aberrazioni Aberrazioni cromatiche Aberrazioni geometriche Considerazioni sulle aberrazioni delle lenti convergenti 104 105 106 107 Intercambiabilità delle componenti ottiche 109 L’illuminazione 111 La sorgente di luce La temperatura di colore della luce 8 93 95 111 113 INDICE Le lenti I trattamenti antiriflesso Tipi di lenti obiettivo 113 114 116 6 — REGOLAZIONE DEL MICROSCOPIO OPERATORIO 118 Distanza interpupillare 120 Distanza tra occhio e oculare 121 Correzione diottrica 122 Parafocalizzazione 122 Messa a fuoco 123 Diaframma 124 Profondità di campo 125 Ingrandimento 125 Gli errori di osservazione e i difetti più frequenti 128 7 — ERGONOMIA DELLE POSIZIONI DI LAVORO 130 Ergonomia generale 131 Ergonomia in microscopia operatoria 132 Le posizioni di lavoro 133 Zone operative Posizione dell’operatore Posizione del paziente e regolazione della poltrona 133 135 137 Posizioni di lavoro in visione diretta 139 Posizioni di lavoro in visione indiretta 150 Conclusioni 157 8 — ASSISTENZA E DISINFEZIONE 162 Introduzione 163 Il ruolo dell’assistente alla poltrona 164 Posizione dell’assistente Visibilità del campo operatorio Scambio degli strumenti 164 166 167 9 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Preparazione del paziente 170 Sedazione per via orale 171 Pulizia e disinfezione del microscopio Pulizia delle par ti meccaniche Pulizia e detersione delle lenti Controllo dell’infezione crociata 9 — LE PATOLOGIE OCULARI 172 172 173 176 Introduzione 177 Anomalie dell’accomodazione 178 Iper tonia del muscolo ciliare Inerzia accomodativa Insufficienza accomodativa Astenopia 10 172 179 180 180 181 Ametropie 182 Abbagliamento 184 Uso di laser e fotopolimerizzatori 185 Bibliografia 189 INDICE 11 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A 12 13 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A 14 Gli autori Fabrizio Montagna Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1980 e specializzato in Odontostomatologia nel 1983 presso l’Università degli Studi di Verona, consegue il Diplome Universitaire d’Orthodontie nel 1990 a Nantes; è professore a contratto presso l’Università degli Studi di Padova dal 1995. Esercita la libera professione nel proprio studio sito in via Leonardo da Vinci 1, Sommacampagna (Verona); è direttore sanitario di un centro convenzionato con il SSN per l’assistenza odontoiatrica a pazienti portatori di patologie infettive. Franco Dal Pont Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1989 presso l’Università degli Studi di Padova, socio fondatore e già presidente della Accademia Italiana Odontoiatria al Microscopio (AIOM). Esercita la libera professione nel proprio studio, sito in via Martiri della Libertà 25, a Treviso. Philippe Perrin Laureato in Odontoiatria presso l’Università di Bern (Svizzera) nel 1979. Dal 2000 collabora liberamente con l’Università di Bern (Prof. P. Hotz) per corsi di educazione in odontoiatria al microscopio. Esercita la libera professione nel proprio studio sito in Kirchhofplazt 14, CH 8201 Schaffhausen (Svizzera). Gabriele Pecora Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1964 presso l’Università degli Studi di Siena, socio fondatore e presidente in carica della Accademia Italiana Odontoiatria al Microscopio (AIOM). Esercita la libera professione nel proprio studio sito in via Benozzo Gozzoli 62/G, a Roma. 15 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A 16 Prefazione Logorato l’iniziale entusiasmo da anni di professione, avevo la sensazione di aver raggiunto la fine di un percorso e nonostante i buoni risultati, sia economici che personali, ero pervaso da un sentimento di insoddisfazione. Ero giunto in quel momento particolare della vita, in cui si detesta cordialmente il proprio lavoro, si fanno i bilanci e ci si raggomitola sul quotidiano. Un giorno, in cerca di nuove motivazioni professionali, andai a trovare Franco Dal Pont e rimasi talmente impressionato dal suo modo di lavorare che, dopo sofferta riflessione, decisi di cercare il modo di adattare il microscopio operatorio alla mia pratica clinica. In letteratura i contributi erano specialistici, ma frammentari. Nulla che potesse essere d’aiuto a un dentista generico che volesse iniziare ad applicare la microscopia alla propria pratica clinica quotidiana. Così proposi a Franco di scrivere questo libro assieme, trovando perfetta rispondenza in lui sul fatto che il personale patrimonio di conoscenze è un bene comune da comunicare agli altri ed estraneo a segreti e gelosie professionali, così come ad interessi economici e commerciali. Ci dividemmo i compiti: a lui quello dell’esperto che conosce e controlla la strada; a me quello del consolidato scrittore che attraverso lo studio metodico si pone le domande giuste per incontrare il lettore. Ne nacque, così, un’amicizia, se tale si può definire quel sentimento, per cui ci si ritrova vicini a una persona pur frequentandola occasionalmente; ma con la quale permane un ininterrotto e costante colloquio che immediatamente si riaccende e progredisce ad ogni incontro. Nel libro abbiamo parlato di qualità del lavoro, di predicibilità dei risultati e di altri aspetti tecnici, ma ciò che ci preme più sottolineare è che non solo ognuno di noi “fa solo quello che vede, così come vuole”; ma soprattutto che, attraverso il microscopio, ognuno di noi può comunicare e condividere, con colleghi e pazienti, le soddisfazioni e le frustrazioni del lavoro quotidiano. 17 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Inoltre, la possibilità di mostrare le immagini del microscopio proiettate su uno schermo amplia le possibilità di discussione clinica, rivoluzionando sia la velocità dell’apprendimento che la qualità della formazione professionale. In questo modo l’introduzione della microscopia operatoria ha migliorato i rapporti tra colleghi, la fiducia dei pazienti, il nostro rapporto con il lavoro e, in definitiva, quello con noi stessi, visto che la maggior parte del nostro tempo è dedicato alla professione. Questo è lo sprone e l’augurio che Vi rivolgiamo, sperando che riusciate a cogliere quell’entusiasmo che ci ha portato ad apprezzare in questa disciplina, una valenza umana che trascende la specializzazione tecnica a cui è applicata. Fabrizio Montagna Franco Dal Pont 18 P R E FA Z I O N E 19 I VANTAGGI DELL’UTILIZZO DEL MICROSCOPIO OPERATORIO IN ODONTOIATRIA 20 CA P I TO L O 1 Introduzione In medicina la microchirurgia è un ramo della chirurgia che interviene su fini e delicate strutture anatomiche (orecchio interno, occhio, vasi, nervi, ecc.), su cui non è possibile intervenire ad occhio nudo, ampliando la visione delle immagini con il microscopio operatorio e adoperando altri strumenti di precisione. La maggior parte degli operatori riconosce oggi l’utilità di sistemi ottici ingranditori nel trattamento di strutture anatomiche con dimensioni inferiori a 3 mm, e tale concetto è perfettamente in linea con le politiche industriali dove, la maggior parte delle lavorazioni inferiori a tale misura, viene, già da tempo, svolta con l’ausilio di sistemi ottici per garantire la qualità dei prodotti. Per comprendere l’importanza della microchirurgia è necessario riesaminare il progressivo cambiamento nel tempo degli obiettivi della chirurgia in ambito medico, cioè dei suoi concetti guida e dei suoi standard. In un passato non remoto, l’obiettivo degli interventi chirurgici consisteva nell’eliminazione della patologia, spesso per assicurare la sopravvivenza del paziente; conseguentemente la mutilazione e il danno funzionale degli organi operati era accettato come un’inevitabile conseguenza della terapia. Negli ultimi decenni, grazie alla maggior specializzazione, sono stati introdotti nuovi concetti di riduzione del danno iatrogeno: la minore invasività, il massimo rispetto e la conservazione dei tessuti assicurano il mantenimento della funzione fisiologica, la minore incidenza delle complicanze postoperatorie e, in questo senso, la riduzione dell’ospedalizzazione o una più rapida dimissione dei pazienti e in definitiva di costi sociali per l’assistenza sanitaria. Questa nuova filosofia obbliga il chirurgo a distinguere e manipolare, in modo selettivo, le strutture anatomiche, entrando in un campo microchirurgico. È quindi verosimile che, in un prossimo futuro, l’uso delle tecniche microchirurgiche si estenda a tutta le branche medico-chirurgiche, realizzando la previsione fatta dal neurochirurgo RMP Donaghy che, dopo aver finanziato a proprie spese il primo laboratorio di ricerca e training in microchirurgia a Burlington (Vermont) nel 1958, nel 1966 affermò: “Signori, vi dò la chirurgia del futuro!”. Noi riteniamo e, quindi, ci auguriamo che la microchirurgia possa rappresentare uno standard anche in odontoiatria, disciplina sempre più caratterizzata da interventi selettivi e microinvasivi in un campo operatorio, per sua natura, di ristrettissime dimensioni. 21 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Il microscopio operatorio in odontoiatria: una necessità o un lusso? L’introduzione del microscopio operatorio in odontoiatria, come tutte le innovazioni, ha sollevato entusiasmi e scetticismi, sulla sua reale utilità nella pratica clinica; le perplessità possono essere sintetizzate in poche domande. Anticipando le conclusioni, la nostra opinione è che la stereomicroscopia debba essere introdotta come prassi routinaria nello studio odontoiatrico generico, ma tale obiettivo presuppone il superamento di alcune difficoltà e pregiudizi. Probabilmente, in questa fase, molti operatori stanno ancora cercando le corrette indicazioni all’uso del microscopio operatorio, come dimostra il fatto che attualmente lo stereomicroscopio è utilizzato prevalentemente in ambito specialistico: è utilizzato diffusamente in endodonzia e parzialmente in parodontologia; mentre in protesi il suo ruolo è ancora ridotto nello studio odontoiatrico, contrariamente all’enorme sviluppo che, la medesima tecnica, ha avuto nel laboratorio odontotecnico. Negli ultimi anni, comunque, è aumentato considerevolmente il numero di odontoiatri che impiega il microscopio operatorio nella propria pratica lavorativa e l’esperienza rafforza la certezza che il microscopio potrà, in un prossimo futuro, divenire parte integrante e insostituibile dell’attrezzatura odontoiatrica di ogni studio. I vantaggi del lavorare con sistemi di L’introduzione dei sistemi di ingrandimento in odontoiatria permette all’operatore di vedere, con elevata precisione, il campo operatorio e realizza numerosi vantaggi: ingrandimento • • • • • 22 individuare l’estensione del processo patologico e la presenza di eventuali anomalie anatomiche; intervenire in modo selettivo realizzando un approccio più conservativo sui tessuti; lavorare con maggior sicurezza nelle zone a rischio per la vicinanza con strutture anatomiche delicate, evitando complicanze iatrogene; controllare la propria manualità in modo da evitare errori di procedura e ridurre i margini di insuccesso; standardizzare le tecniche operatorie riducendo le differenze tra i singoli operatori ed eliminando le cosiddette “technique sensitive controindication”. CA P I TO L O 1 I VA N TA G G I D E L L’ U T I L I Z Z O D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Un ulteriore vantaggio è dato dalla concomitante utilizzazione di sistemi ausiliari di illuminazione, che permettono di proiettare una luce coassiale con la linea dello sguardo, migliorando l’illuminazione e la visibilità dei particolari del campo operatorio. Lavorare con il microscopio operatorio rappresenta, in odontoiatria, una evoluzione tecnica pari a quella determinata dai più recenti progressi, introdotti in medicina e chirurgia, per migliorare la qualità della prestazione, come ad esempio la microchirurgia e l’endoscopia. Il microscopio operatorio non permette di eseguire l’impossibile e, tanto meno, ciò che non si sa fare; ma aumenta la precisione di tutti gli interventi che sono normalmente eseguiti anche senza l’ausilio di sistemi ottici. Del resto, nessun operatore può essere certo di avere ottenuto una prestazione ottimale senza avere controllato visivamente con un sistema ingrandente; vedere è, cioè, un modo per controllare la qualità della prestazione e per auto verificare le proprie capacità. In questo senso, alcuni operatori, agli inizi del loro lavoro con il microscopio operatorio, potranno rimanere delusi dalla scarsa qualità delle proprie prestazioni, giudicate più che sufficienti prima dell’introduzione del sistema ottico. Il nostro consiglio è di non preoccuparsi perché quest’amara consapevolezza, sul proprio passato, non è che il presagio di un rapido miglioramento. Le normali condizioni di lavoro, ad occhio nudo, condizionano una scarsa visibilità e illuminazione del campo operatorio: per tale motivo la maggior parte delle procedure odontoiatriche richiedono accanto al controllo visivo un preponderante ruolo della sensibilità tattile secondo una sequenza “ispezione-lavoro-controllo-rettifica”. In pratica l’odontoiatra, che lavori ad occhio nudo, dopo un primo controllo visivo esegue la maggior parte delle manualità terapeutiche secondo le procedure standardizzate, guidato prevalentemente dalla propria sensibilità tattile; periodicamente si ferma per controllare la correttezza dello stato d’avanzamento dei lavori e per introdurre le necessarie rettifiche. Il lavoro al microscopio operatorio, invece, risulta guidato dal controllo visivo in ogni sua fase, secondo un principio del tipo “vedo-lavoro” o meglio “vedo quello che faccio e faccio ciò che voglio”, adattando l’operatività alle esigenze del caso individuale. Del resto, com’è dimostrato da sporadiche ma verosimili indagini statistiche, chi inizia ad utilizzare dei sistemi di ingrandimento, difficilmente ritorna a lavorare a occhio nudo. 23 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A I vantaggi dei diversi sistemi I sistemi di ingrandimento, attualmente utilizzati dagli odontoiatri, sono rappresentati da diverse soluzioni: di ingrandimento • • • le lenti convergenti montate su visiere od occhiali (sistemi ottici galileiani), che funzionano come dei veri e propri microscopi semplici sino a 2-3x; i sistemi telescopici (sistemi ottici prismatici) montati su caschetto, che possono raggiungere i 4-8x; i microscopi operatori. Per ovvie ragioni, la letteratura scientifica non offre ancora dati comparativi sulle percentuali di successo ottenute in microchirurgia nei confronti dell’odontoiatria tradizionale a occhio nudo, con il microscopio operatorio o con altri sistemi ingranditori. I primi due sistemi sono comunemente denominati dagli odontoiatri come “occhiali o loupes”, specificandone il numero di ingrandimenti, senza tenere conto delle differenze del sistema ottico galileiano o prismatico. Questi sistemi di ingrandimento sono oggi un ausilio indispensabile in odontoiatria, insostituibili nei casi in cui l’intervento richieda la visione di un campo operatorio di ampio diametro, con elevata profondità di campo e la necessità di variare sito di lavoro; caratteristiche per le quali il microscopio risulta senz’altro meno maneggevole. Gli occhiali, comunque, presuppongono alcuni comuni svantaggi che, evidentemente, variano tra sistema e sistema: Figg. 1.1, 1.2, 1.3 Sistemi di ingrandimento prismatici e galileiani montati su diversi supporti • • • • • 24 obbligano a una postura della testa e del dorso piegata in avanti in ragione della corta distanza focale; richiedono l’adozione di posture fisse e di movimenti lenti della testa dell’operatore, per evitare di perdere la messa a fuoco o uscire dal campo operatorio; permettono un unico ingrandimento, che non può essere variato in relazione alle necessità di terapia (a più bassi ingrandimenti) e di controllo (a più alti ingrandimenti); consentono movimenti limitati a causa del collegamento con cavo al sistema di illuminazione; i due percorsi ottici sono distanziati ed in molte posizioni l’operatore si troverà ad utilizzare la visione monoculare. CA P I TO L O 1 I VA N TA G G I D E L L’ U T I L I Z Z O D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Figg. 1.4, 1.5 Sistemi di ingrandimento prismatici e galileiani montati su diversi supporti Per quanto riguarda la messa a fuoco con i sistemi galileiani, basti pensare che i due percorsi ottici, hanno ciascuno un piano focale obliquo che interseca il campo operatorio con angolazioni diverse; non esiste, cioè, un piano focale unico e la zona a fuoco è limitata alla sola zona in cui coincidono i due piani focali con il piano del campo operatorio; ne risulta, quindi, difficile mantenere uniformemente a fuoco l’oggetto osservato. Per quanto riguarda la visione monoculare, si deve tenere presente che i due occhi non sempre riescono a vedere contemporaneamente il piccolo campo operatorio, per gli ostacoli visivi dati dai tessuti orali e la scarsa illuminazione di alcune zone; in queste condizioni, in cui è impossibile comporre un’unica immagine a livello cerebrale, subentra un occhio direttore e viene soppressa l’immagine dell’altro occhio. Tutti i fattori elencati provocano un maggior sforzo della muscolatura del collo e della muscolatura intrinseca dell’occhio (sforzo di accomodazione del muscolo ciliare); la situazione di affaticamento può non essere percepita dall’operatore, rimanendo a livello subclinico, ma può anche causare sintomi come mialgie e astenopia. Fig. 1.6 La posizione del rachide rimane eretta utilizzando il microscopio operatorio (C) e più piegata lavorando a occhio nudo (A) o con sistemi di ingrandimento (B). A B C 25 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A I vantaggi del microscopio operatorio consistono, proprio, nel consentire una maggiore flessibilità e qualità di lavoro (fig. 1.6 e tab. 1.1): • • • • • • • • • maggiore libertà nella postura dell’operatore; possibilità di utilizzare ingrandimenti maggiori e di variarli in relazione alle necessità di lavoro o per controllare dei dettagli anatomici; utilizzazione della visione binoculare in tutte le posizioni; fornire immagini ricche di contrasto e con forte effetto tridimensionale; illuminare il campo operatorio in modo nitido ed omogeneo; migliorare la precisione delle preparazioni e delle manovre terapeutiche; possibilità di eseguire documentazione fotografica e videoregistrazioni senza interrompere la procedura intraoperatoria; possibilità di trasmissione intraoperatoria dell’intervento in corso attraverso il sistema di teletrasmissione per consulto o a scopo didattico; l’uso degli “occhiali ingranditori” è utile per la dissezione e la sutura di strutture sopra i 3 mm; quando sia necessario lavorare su un campo operatorio ampio, con elevata profondità di campo e frequenti cambiamenti di posizione. Poiché, comunque, lavorando con ingrandimenti minori, anche la maneggevolezza e la versatilità del microscopio operatorio aumentano considerevolmente, sino a sovrapporsi agli occhiali ingranditori; a nostro avviso, questi ultimi non sono consigliati a coloro che iniziano l’attività microchirugica ed è senza dubbio da preferire il microscopio operatorio. Per contro, lavorando al microscopio operatorio, esiste una maggiore difficoltà iniziale nell’apprendere il corretto posizionamento del paziente in modo da assicurare un angolo di accesso visivo al campo operatorio; si deve infatti imparare a muovere il paziente attorno al microscopio e non è possibile compensare la visibilità con movimenti del capo come normalmente avviene lavorando a occhio nudo o con occhiali ingranditori. Quest’ultima affermazione non è vera per quei microscopi dotati del sistema di bilanciamento del corpo ottico su tre assi gravitazionali. 26 CA P I TO L O 1 I VA N TA G G I D E L L’ U T I L I Z Z O D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A VA N TA G G I , S VA N TA G G I E I N D I C A Z I O N I D E I D I V E R S I S I S T E M I D I I N G R A N D I M E N T O SVANTAGGI occhiali ingranditori VANTAGGI microscopio Postura Visione Documentazione Facilità d’uso Costo d’acquisto Indicazioni • Postura fisiologica del rachide (le dimensioni del corpo ottico e la distanza focale regolabile consentono di adattare la postura) • Postura obbligata del rachide (la ridotta distanza focale obliga una posizione fissa della testa e causa affaticamento muscolare) • Ingombro e difficoltà di movimento (cavo ottico) • Visione binoculare in tutte le posizioni (entrambi gli occhi guardano l’immagine data dall’obiettivo unico) • Ingrandimenti maggiori e variabili (in media sino a 20x, adattabili alle diverse esigenze di diagnosi, lavoro, controllo di par ticolari critici) • Minore sforzo visivo (immagini costantemente a fuoco, contrastate, tridimensionali, illuminazione coassiale e omogenea) • Visione monoculare (in presenza di ostacoli visivi subentra l’occhio direttore, escludendo l’immagine imprecisa dell’altro) • Ingrandimenti fissi e ridotti (2-8x) (minore flessibilità alle diverse esigenze diagnostiche e terapeutiche) • Sforzo di accomodazione (facile muoversi oltre la distanza focale e trovarsi fuori fuoco, illuminazione disomogenea) • Senza necessità di interruzione • Ingrandimento variabile del sistema di ripresa • Necessità di interruzione • Minore ingrandimento del sistema di ripresa (generalmente 1:1, 1:1,5 con fotocamera) VANTAGGI occhiali ingranditori SVANTAGGI microscopio • Utilizzazione e apprendistato intuitivi (facilità nel variare l’angolo di accesso visivo a diverse zone del campo operatorio, inclinando la testa dell’operatore, come nel lavoro a occhio nudo) • Maggiore mobilità della testa dell’opeatore (controllo del campo operatorio e del paziente) • Maggiore controllo visivo sull’ambiente circostante (assistenza semplificata) • Posizioni di lavoro standardizzate che richiedono un periodo di apprendistato (posizioni fisse per assicurare un angolo di accesso visivo al campo operatorio) • Frequenti riposizionamenti del corpo ottico e/o del paziente per accedere a zone diverse (maggiori per la visione diretta, minori per la visione indiretta in cui si muove solo lo specchietto) • Ridotta mobilità dell’operatore (necessità di maggiore assistenza e pianificazione delle terapie) • Ridotto • Elevato • Ideale per lavorare su campi operatori estesi senza necessità di controllo di particolari critici (campo operatorio e profondità di campo sono ampi ai bassi ingrandimenti utilizzati) • Duttilità per interventi con necessità di frequenti cambiamenti di posizione • Ideale per lavorare su campi operatori ridotti con necessità di controllo di particolari critici (le dimensioni del campo operatorio e profondità di campo diminuiscono con l’aumentare degli ingrandimenti) • Scomodo per lavorare su campi operatori estesi se non sussistono necessità di controllo di particolari critici (si deve suddividere l’inter vento in più fasi e si perde una visione d’insieme) Tab. 1.1 27 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A I pregiudizi e le difficoltà nell’inserimento del microscopio operatorio nella prassi clinica La nostra opinione è che la microscopia operatoria debba essere introdotta come prassi routinaria nello studio odontoiatrico generico, ma tale obiettivo presuppone il superamento di alcune difficoltà e pregiudizi. Il costo del sistema, oggi, non è superiore a quello di un riunito odontoiatrico ed è quindi accessibile a tutti gli operatori. L’estrema maneggevolezza degli attuali prodotti, peraltro, dopo una prima fase di apprendimento di alcuni mesi (mediamente 4-12 mesi, secondo la nostra esperienza), non presenta ulteriori difficoltà per l’operatore e non rallenta significativamente i tempi operativi. Le maggiori difficoltà consistono, invece, nella resistenza degli operatori a cambiare le proprie consolidate procedure di lavoro (per inerzia o abitudine) visto che l’utilizzazione comporta soprattutto la necessità di adeguare la propria forma mentis. In pratica, tutta l’operatività deve essere adattata e ruotare attorno allo strumento ottico costringendo l’odontoiatra a riverificare tutte le procedure e addestrare il personale ausiliario: • • • • nella necessità di eseguire appuntamenti prolungati senza interruzioni dovute ad allontanamenti dell’operatore o movimenti del paziente che costringono il riposizionamento dello strumento; nella necessità di reimpostare l’attività dell’assistente alla poltrona e la distribuzione dei materiali e degli strumentari; nel posizionare e muovere il paziente in modo da permettere l’accesso visivo al campo operatorio, minimizzando i movimenti dell’odontoiatra che si trova a lavorare in posizione ergonomica senza posture viziate; nel programmare tutte le procedure eseguibili in una determinata posizione prima di passare alla successiva. Vengono così ad essere variate le indicazioni, i principi e le fasi di lavoro tradizionalmente apprese e utilizzate dagli operatori e tale situazione, oggi, rappresenta la maggiore difficoltà di adattamento, fonte di pregiudizi per l’introduzione dello stereomicroscopio nella prassi clinica quotidiana, che deriva sostanzialmente dalla difficoltà dell’uomo a cambiare le proprie abitudini e aggiornare le proprie conoscenze consolidate. Peraltro la consapevolezza di un più elevato livello delle prestazioni, unita a una migliore comunicazione, favoriscono la percezione della qualità del servizio da parte del paziente e incrementano la redditività della professione. 28 CA P I TO L O 1 I VA N TA G G I D E L L’ U T I L I Z Z O D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Il ruolo del microscopio operatorio nelle diverse branche dell’odontoiatria Più che l’introduzione di una tecnica avanzata, il microscopio è da considerarsi una rivoluzione nel modo di concepire ed eseguire i vari trattamenti in Odontoiatria. L’esigenza di vedere meglio è da sempre una caratteristica del mondo odontoiatrico, quando si lavorava in piedi, si assumevano posizioni particolari per cercare di avvicinarsi all’oggetto della nostra azione; poi si è passati all’uso di lampade frontali e successivamente a mezzi di ingrandimento quali caschetti e occhialini. Difficilmente oggi si trova un dentista che lavori senza questi ultimi; se perciò l’introduzione dei sistemi di ingrandimento ha rivoluzionato il lavoro di tutti i giorni, il microscopio Operativo ha creato una “Nuova dimensione dell’Odontoiatria”. Le varie specialità hanno tratto vantaggi diversi dall’utilizzazione di Luce e Ingrandimento a seconda dell’ampiezza del campo visivo necessario. In endodonzia è estremamente limitato, e ciò ha portato un esteso utilizzo del microscopio, sia in campo ortogrado, che chirurgico. Inoltre, le fasi nelle quali operiamo si dividono in DiagnosticaOperativa-Controllo e ciò comporta la necessità di stabilire, per ogni caso, quale può essere l’ingrandimento più idoneo. Costante in tutte le applicazioni è, invece, il miglioramento dello standard qualitativo, avvalorando l’equazione: luce+ingrandimento=precisione . Uno dei maggiori meriti del microscopio è quello di avere livellato il campo tra gli operatori, riducendo il numero di anni necessari per evitare gli errori e lavorare con più professionalità nelle diverse branche dell’odontoiatria; oggi, cioè, anche dentisti più giovani possono raggiungere gli stessi risultati di colleghi di maggiore esperienza clinica. Analizzare l’applicazione del microscopio operatorio, nelle diverse branche dell’odontoiatria, è un’impresa complessa per la continua evoluzione delle tecniche specialistiche e le preferenze personali dei singoli operatori. Il nostro intento riconosce scopi più limitati come esaminare le situazioni che ogni giorno l’odontoiatra si trova ad affrontare, onde chiarire, al di là di qualsiasi disquisizione accademica, l’utilità e i benefici che possono derivare dall’introduzione del microscopio operatorio nella pratica clinica, come un sistema affidabile per il controllo della precisione. Volendo esaminare e valutare le aree di utilizzo clinico del Microscopio nelle varie aree, proponiamo la seguente classificazione in: 1. 2. 3. Conservativa Endodonzia Chirurgia 4. 5. 6. Parodontologia Protesi Implantologia 29 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Conservativa L’introduzione del microscopio in conservativa migliora la qualità della prestazione in diverse direzioni: la diagnosi precoce, la predicibilità dei risultati e la conservazione dei tessuti. Per una visita generale gli occhiali ingranditori sono sicuramente più utili, offrendo una visione d’insieme (grazie all’ampio campo visivo e profondità di campo), una migliore mobilità e maneggevolezza. In ambito diagnostico, comunque, vi sono alcune situazioni in cui l’indagine eseguita ad occhio nudo o con occhiali ingranditori e l’ausilio della sensibilità tattile data da uno specillo, per quanto appuntito, risulta essere mezzo insufficiente. Il microscopio, invece, permette di identificare la presenza e l’estensione di processi patologici di ridotte dimensioni come: carie primarie o secondarie, fratture dei denti e difetti dei restauri. Nella sindrome del dente incrinato, ad esempio, è oggi possibile visualizzare le microfratture; quando invece, in passato, si poteva solo porre il sospetto diagnostico duplicando la sintomatologia, facendo cioè masticare al paziente un rullino di cotone. La diagnosi precoce permette di eseguire terapie conservative minimamente invasive che si avvalgono di microcavità, risparmiano il sacrificio di smalto e dentina e la resistenza del dente. Nel corso della terapia, inoltre, è possibile controllare visivamente la corretta esecuzione dei singoli passaggi, in modo da eliminare errori e aumentare la predicibilità del risultato nel tempo, come ad esempio: la rimozione completa del tessuto carioso o di segmenti indeboliti da microinfiltrazioni e microfratture; il disegno di cavità complesse; la rimozione del fango dentinale; la mordenzatura e il posizionamento della resina fluida e composita. Peraltro, l’utilizzazione della diga rende molto più facile il trattamento al microscopio operatorio poiché, oltre ad impedire la contaminazione salivare, trattiene la lingua, liberando la mano dell’odontoiatra per la terapia. Figg. 1.7, 1.8, 1.9, 1.10 Visione indiretta mediante specchietto rodiato del primo molare mascellare sinistro (26) a 3.5x e a 7x, ottenuta con il paziente in posizione orizzontale e l’operatore a ore 12. 30 CA P I TO L O 1 I VA N TA G G I D E L L’ U T I L I Z Z O D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Figg. 1.11, 1.12, 1.13 Fasi di preparazione microinvasiva, eseguite in visione indiretta sul dente 26; il controllo può essere eseguito in diverse angolazioni (aspetto occlusale e mesiopalatino), spostando lo specchietto. Il posizionamento delle resine composite va effettuato utilizzando gli appositi schermi cromatici, (o in alternativa riducendo l’intensità dell’illuminatore) per evitare che la forte luce coassiale del microscopio attivi il processo di fotopolimerizzazione, aumentando rapidamente la viscosità del materiale e impedendo la modellazione e l’adattamento alla cavità. Una polimerizzazione controllata è necessaria per favorire lo scorrimento interno del composito, che ha la funzione di compensare la contrazione nella fase di passaggio da pre-gel a gel. Fig. 1.14 Durante le fasi di riempimento della cavità e modellazione occlusale l’uso di un filtro cromatico arancio evita una polimerizzazione precoce della resina composita fotoindurente. Figg. 1.15, 1.16, 1.17, 1.18 Controllo dei sovracontorni del materiale composito dopo la fotopolimerizzazione e aspetto del restauro conservativo ultimato. 31 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Figg. 1.19, 1.20 Preparazione microinvasiva per una carie interprossimale dell’incisivo laterale mascellare destro (12) a 3.5x e 8x. Posizionando lo specchietto per la visione indiretta lontano dalla fresa, si evitano le difficoltà di visibilità causate dallo spray e dai detriti. Lo stress, non compensato, si distribuisce nell’interfaccia tra tessuti dentari e composito; se viene superata la forza di adesione si determina la formazione di gap (microfessure marginali) dovute al distacco della resina composita dalla dentina e alle microcrepe dello smalto (enamel crack). In particolare, gli enamel cracks, non sono evidenziabili a occhio nudo (il cui potere di risoluzione è di circa 75 micron); mentre, con il microscopio, risultano agevolmente individuabili come microfratture, che si manifestano come linee bianche nei bordi dell’otturazione, con percorso tipicamente parallelo ai prismi dello smalto e sono agevolmente trattabili rimordenzando e applicando un sigillante. Il controllo postoperatorio permette, infine, di verificare la presenza di difetti dei restauri quali fessure marginali, debordi e bolle, garantendo la qualità del lavoro e la predicibilità del risultato nel tempo. Figg. 1.21, 1.22, 1.23 Incisivo centrale mascellare destro (11) di un paziente di 80 anni. La visione indiretta è ottenuta posizionando lo specchietto rodiato nella zona del secondo premolare mandibolare sinistro (35) a 11x. Al termine del restauro conservativo si evidenzia una frattura dello smalto vicino ai bordi della cavità. 32 CA P I TO L O 1 I VA N TA G G I D E L L’ U T I L I Z Z O D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Figg. 1.24, 1.25 Primo e secondo molare mascellare sinistro (26, 27) preparati per una otturazione in amalgama d’argento (3x). Utilizzando ingrandimenti maggiori (7x) si evidenziano alcune irregolarità dei bordi della cavità. Figg. 1.26, 1.27 Visione indiretta del versante palatino dell’incisivo laterale mascellare destro (12) a 2,5x, ottenuta posizionando lo specchietto sul labbro inferiore. Durante la preparazione conservativa, una distanza lunga tra fresa e specchio permette una buona visibilità eliminando i problemi dati dallo spray e dai detriti (7x). Figg. 1.28, 1.29 Diagnosi di carie su un secondo molare deciduo (65) visto a 3,5x e 16x. Fig. 1.30 Azione di uno scalpello da smalto nel box mesiale di un dente a 20x in visione diretta. 33 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A La precisione nell’esecuzione delle varie fasi operative permette di elevare la qualità e la durata nel tempo del risultato finale. L’utilizzo può essere diviso in 3 direzioni: Utilizzo diagnostico 1. 2. 3. localizzazione del processo carioso; identificazione di microfratture coronali; valutazione della infiltrazione nei restauri. Utilizzo operativo 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. rimozione della dentina infiltrata; rifinitura delle cavità; applicazione del sistema adesivo; rifinitura e lucidatura dei restauri; rilievo impronte per inlay; cementazione inlay; preparazione delle cavità per perni intracanalari e loro cementazione. Utilizzo come controllo 1. 2. 3. valutazione punti di contatto; valutazione della superficie dentale; monitoraggio nel tempo delle ricostruzioni. Figg. 1.31, 1.32, 1.33 Utilizzo diagnostico dello stereomicroscopio per carie interdentale (18x), carie al colletto (20x) e microfrattura coronale (bleu di metilene) a 20x. 34 CA P I TO L O 1 Endodonzia I VA N TA G G I D E L L’ U T I L I Z Z O D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A L’introduzione del microscopio operatorio risulta particolarmente utile, ottenendo quindi il maggior riscontro di apprezzabilità, in endodonzia, proprio per le sue caratteristiche di campo microchirurgico. In questa branca, tradizionalmente fondata sulla sensibilità tattile dell’odontoiatra, oggi è possibile lavorare sotto controllo visivo, arrivando a mettere a fuoco un canale radicolare diritto, sino alla sua porzione apicale. In ambito diagnostico, l’introduzione del microscopio, facilita l’evidenziazione di microfratture, che possono rappresentare un reperto occasionale in corso di terapia o materia di diagnosi differenziale in presenza di odontalgie da masticazione. Numerose fasi della terapia sono facilitate dalla possibilità di controllo visivo e aumentano la predicibilità del risultato, come ad esempio: il reperimento dei canali radicolari sia in condizioni fisiologiche Figg. 1.34, 1.35, 1.36 Camera pulpare parzialmente calcificata del primo molare mascellare destro (16) evidenziata durante la fase iniziale della terapia endodontica (3,5x e 12x). Dopo la pulpectomia sono ancora evidenti residui di tessuto pulpare (14x). Figg. 1.37, 1.38, 1.39 Camera pulpare detersa (14x) e controllo dell’otturazione canalare con guttaperca condensata e dell’otturazione provvisoria dello stesso dente (16x). 35 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Fig. 1.40 Strumento canalare fratturato in un primo molare inferiore destro (16x). Figg. 1.41, 1.42 Strumenti canalari fratturati nel terzo coronale della radice, estratto al microscopio lavorando con visione diretta. (oggi la percentuale di presenza del canale mesiopalatino nei molari superiori è stimata nel 93% dei casi), che atresici in seguito a fenomeni di senescenza o patologie; la migliore detersione e sagomatura dei canali con la completa rimozione dei detriti e del fango dentinale. La conservazione dei tessuti consegue alla riduzione delle dimensioni della cavità di accesso e della sagomatura del canale, che si stima richiedano una riduzione di sacrificio di sostanza dentale del 50%, utilizzando il microscopio. In particolare, nel corso di ritrattamenti ortogradi la rimozione, di perni e/o strumenti canalari fratturati, può essere ottenuta in maniera più conservativa, agendo direttamente sul corpo estraneo, invece di eseguire preparazioni in eccesso che indeboliscono la zona cervicale del dente. Nei casi di degenerazione calcifica (o metamorfosi calcifica) della polpa dentaria, in passato si incontravano grandi difficoltà nel reperimento dei canali e le preparazioni presentavano un’inutile rimozione di struttura dentale ed elevato rischio di perforazioni. Oggi, con il microscopio, sfruttando le differenze di colore della dentina e le punte a ultrasuoni è possibile trattare questi denti in modo più conservativo. In endodonzia chirurgica sia la cavità di accesso ossea che la resezione della radice sono state ridotte sfruttando i microspecchi e le punte a ultrasuoni. Non è più necessario, ad esempio, eseguire sezioni radicolari bisellate in direzione vestibolare, per assicurare la visibilità dell’operatore; ma possono essere eseguite minime sezioni perpendicolari che mantengono una maggior lunghezza radicolare. I microinserti ad ultrasuoni facilitano la preparazione apicale che può essere ottenuta più accuratamente per una profondità di 3 mm, in asse con il canale radicolare. 36 CA P I TO L O 1 I VA N TA G G I D E L L’ U T I L I Z Z O D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Figg. 1.43, 1.44, 1.45, 1.46 Diverse fasi del trattamento endodontico di primo molare mascellare destro (16) in visione diretta. Risulta evidente la presenza di un canale mesiopalatino posizionato sulla linea di congiunzione tra canale palatino e mesiovestibolare. Nella endodonzia ortograda e retrograda alcuni passaggi operativi sono universalmente considerati dominio della microscopia: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. identificazione degli imbocchi canalari; rimozione strumenti fratturati nei canali; riparazione di perforazioni forcali o radicolari; identificazione di microfratture in clinica; osteotomia; apicectomia; preparazione della cavità ed otturazione retrograda; sutura. Figg. 1.47, 1.48 Osteotomia per chirurgia endodontica (4x e 12x). Figg. 1.49, 1.50 Chirurgia endodontica di un primo premolare superiore sinistro (24) e visione con microspecchio della superficie di taglio, colorata con bleu di metilene (18x e 22x). 37 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Caso clinico di chirurgia endodontica L’endodonzia ha tratto maggiori benefici dall’introduzione del microscopio per le proprie caratteristiche di difficoltà di visione negli spazi limitati dei canali radicolari. Pertanto, oggi, il microscopio operatorio risulta un ausilio indispensabile per l’endodonzia chirurgica. Fig. 1.51 Radiografia iniziale. Fig. 1.52 Incisione del lembo. Fig. 1.53 Scollamento del lembo. Fig. 1.54 Osteotomia con scalpello (12x). Fig. 1.55 Raccolta di frammento osseo. Fig. 1.56 Lavaggio con soluzione satura di tetraciclina. Fig. 1.57 Curettaggio (10x). Fig. 1.58 Prelievo per Biopsia. 38 CA P I TO L O 1 I VA N TA G G I D E L L’ U T I L I Z Z O D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Fig. 1.59 Cavità ossea tamponata con solfato di calcio (8x e 12x). Fig. 1.60 Colorazione con bleu di metilene (14x). Fig. 1.61 Esplorazione della superficie di taglio con microspecillo. Fig. 1.63 Preparazione della cavita per retrograda con strumento ad ultrasuoni (16x). Fig. 1.64 Controllo con microspecchio della cavità per otturazione retrograda. Figg. 1.65, 1.66 Il caso terminato: otturazione con superseal (16x) e radiografia post-operatoria. Fig. 1.62 Preparazione della cavita per retrograda con strumento ad ultrasuoni (16x). 39 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Chirurgia La chirurgia orale è, probabilmente, allo stato attuale, la branca in cui, sull’introduzione del microscopio operatorio, grava il maggior ritardo, in attesa che siano individuate indicazioni e vantaggi così evidenti, quali quelli che risultano in endodonzia e protesi. Il microscopio operatorio è particolarmente utile quando il campo è limitato ad aree di estensione ridotta; mentre, gli occhiali ingranditori risultano più comodi, quando si operi su settori ampi che richiedano una maggior profondità di campo, spesso passando da un settore all’altro. La migliore visibilità del campo operatorio permette di ridurre al minimo il sacrificio di tessuto sano, operando interventi più conservativi, che facilitano la restitutio ad integrum e riducono la morbidità postoperatoria. L’esecuzione di microincisioni e microsuture assicura un posizionamento preciso dei lembi, condizione indispensabile per una guarigione per prima intenzione ed un miglior risultato estetico. Gli aspetti importanti da considerare in chirurgia sono: 1. 2. 3. 4. piano di clivaggio; localizzazione (denti inclusi, frammenti radicolari, corpi estranei); tecnica operativa (osteotomia, separazione di radici); rapporti con denti contigui e strutture anatomiche. Gli interventi più comuni che si avvantaggiano dell’uso del microscopio sono: • • • • • • • Figg. 1.67, 1.68 Lesione bianca sulla parte laterale della lingua riferita a leucoplachia omogenea (4x e 26x). Fig. 1.69 Gengivectomia con elettrobisturi (20x). 40 avulsione elementi dentali e frammenti; avulsione denti in inclusione parziale e totale; enucleazione cisti; interventi sul seno mascellare; interventi sul canale mandibolare; biopsie; elettrochirurgia. CA P I TO L O 1 Parodontologia I VA N TA G G I D E L L’ U T I L I Z Z O D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Particolarmente in parodontologia, l’ingrandimento permette di individuare la morfologia dei difetti, di verificare la presenza di concrezioni di tartaro e di altri cofattori residui alla preparazione iniziale, di asportare il tessuto patologico risparmiando osso e gengiva sani. Un ulteriore vantaggio è rappresentato dalla possibilità di visualizzare e documentare sia la patologia che l’intervento, per rendere partecipe il paziente delle opzioni terapeutiche e dei rischi connessi. Infine, la possibilità di riprendere e proiettare su schermo gli interventi, facilita l’insegnamento a colleghi e studenti, proprio in una disciplina chirurgica in cui, contrariamente alle altre (protesi, conservativa, endodonzia), l’apprendimento per simulazione su modelli è inefficace. Uno dei grandi vantaggi nell’uso del microscopio in parodontologia è quello di permettere l’utilizzo di microstrumenti e microsuture. L’uso di microstrumenti consente di ottenere: • • • limitato trauma sui tessuti; guarigione più rapida; accurato riaccollamento del lembo. Le microsuture consentono in particolare di raggiungere i seguenti obiettivi: • • • • grandezza e forma appropriata dell’ago; minimi spazi morti; chiusura con sufficiente, ma appropriata tensione; immobilizzazione delle ferite. Recentemente è stata evidenziata l’utilità dell’uso del microscopio nelle tecniche rigenerative dove, illuminazione e ingrandimento, consentono una manipolazione più precisa e atraumatica dei tessuti molli. In particolare nelle zone interdentali si può avere una dissezione più precisa e, con le microsuture, si può ottenere una più predicibile copertura delle membrane da parte del lembo. Figg. 1.70, 1.71 Radiografia preoperatoria e lembo parodontale (4x). 41 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Protesi Sia nel laboratorio odontotecnico che nello studio odontoiatrico, lo stereomicroscopio rappresenta un sistema affidabile per poter realizzare protesi incorporate nell’anatomia dentale. Nel corso della preparazione, è facilitata l’esecuzione di monconi con margini cervicali ben definiti, rispettando nel contempo, la gengiva marginale; fattore che spesso si traduce nella possibilità di prendere l’impronta nella stessa seduta destinata alla preparazione. L’analisi dell’impronta, indipendentemente dal materiale prescelto, permette di verificare: l’assenza di difetti (mancanze, strappi, stiramenti o bolle); la presenza delle informazioni anatomiche che permettano la riproduzione, sul modello di lavoro, dei requisiti indispensabili per la realizzazione del marginal fitting (o assestamento marginale). In particolare si può controllare sia la chiara visibilità del margine di finitura della preparazione che la presenza di una parte di superficie dentaria non preparata, apicale al margine di finitura. Nelle diverse fasi di lavorazione nel laboratorio odontotecnico lo stereomicroscopio permette l’individuazione, l’evidenziazione e l’utilizzazione delle informazioni anatomiche che, per le corone totali, sono contenute in quella ridotta zona del modello di lavoro che riproduce il solco gengivale, oltre la preparazione marginale. La valutazione della precisione del manufatto protesico finale rappresenta un argomento complesso e l’uso dello stereomicroscopio permette di misurare dati che, anche con la sola semiologia clinica, possono essere apprezzati con difficoltà e solo qualitativamente su base individuale e non quantitativa. L’identificazione di difetti tecnologici (quali bolle o microbolle, spaccature del rivestimento, porosità, bordi mancanti o frastagliati, ecc.) è agevolmente eseguibile sia nel laboratorio odontotecnico, che nello studio odontoiatrico, osservando la fusione allo stereomicroscopio. Mentre nello studio odontoiatrico più Figg. 1.72, 1.73, 1.74 Controllo della preparazione protesica di un secondo molare mascellare destro (27), eseguito una settimana dopo la preparazione, evidenzia una preparazione marginale distale deficitaria che richiede alcune modifiche (7x e 10x). 42 CA P I TO L O 1 I VA N TA G G I D E L L’ U T I L I Z Z O D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A problematico è il controllo del marginal fitting, soprattutto se si vuole accertare un rapporto di equivalenza tra la precisione ottenuta in laboratorio e la corrispondenza clinica, date le inevitabili limitazioni di cui risente il controllo sul paziente. I difetti possono essere misurati con lo stereomicroscopio mediante scale micrometriche: su tutti i 360° della chiusura marginale in laboratorio e limitatamente ad alcuni settori sul paziente. La definizione del contorno protesico, nella quale va compresa l’espressione marginal fitting, si basa su tre parametri: la chiusura marginale, il contorno orizzontale, il contorno verticale. La chiusura marginale è un parametro di precisione meccanica e la definizione di accettabilità si riferisce in letteratura al limite di 50 micron fra superficie del moncone e metallo. La misurazione mediante una sonda parodontale sottile (o uno specillo) rappresenta un metodo insufficiente, considerando che il loro diametro è di circa quattro decimi di millimetro, cioè un valore quasi dieci volte superiore al limite di accettabilità. La misurazione è invece attendibile, utilizzando un oculare con scala micrometrica lineare; il calcolo è relativamente semplice dividendo lo spazio tra le tacche per il numero di ingrandimenti: ad esempio ogni tacca (di 1 mm) della scala graduata corrisponde un valore di unità di misura di 50 micron a 20 ingrandimenti. Il contorno orizzontale è espresso in: nullo (pari a zero) quando il contorno della preparazione coincide con il margine della ricostruzione; sopracontorno quando il bordo della ricostruzione sta all’esterno della preparazione (margine aperto); sottocontorno orizzontale quando il bordo della ricostruzione sta all’interno della preparazione (margine corto). Come il precedente, anche questi tipi di difetti possono essere osservati e misurati con lo stereomicroscopio mediante una scala micrometrica lineare. Va peraltro ricordato che, tra Figg. 1.75, 1.76 Primo molare mandibolare destro (46) con preparazione per corona totale e retrazione gengivale con anellino di rame. La visione indiretta è stata ottenuta con operatore a ore 12, paziente sdraiato orizzontalmente e specchietto posto vicino al dente (7x). Figg. 1.77, 1.78 Il controllo dell’impronta in elastomero permette di escludere la presenza di difetti del materiale (2x e 7x). 43 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A la chiusura marginale e il contorno orizzontale esiste un rapporto molto stretto: un margine aperto produce inevitabilmente un sopracontorno orizzontale. Il contorno verticale è misurato calcolando l’angolo compreso tra la linea tangente il bordo cervicale della protesi e la linea tangente alla zona di dente che si trova apicalmente alla linea di finitura e non toccata dalla fresa (asse 0); i valori sono considerati accettabili per un range di +10° rispetto l’asse 0. La misurazione è eseguibile mediante reticoli angolari appositamente disegnati; i valori superiori definiscono un sovracontorno verticale (sottosquadro), gli inferiori un sottocontorno. Per concludere, quindi, si può affermare che il microscopio assume eccezionale importanza nella fase di rifinitura della preparazione, nel controllo della precisione dei manufatti protesici, ma ha la grande limitazione di non consentire la prospettiva ed il rapporto con i denti vicini, nelle preparazioni multiple, dove è essenziale, in particolare, il parallelismo dei monconi. L’elenco delle fasi operative nelle quali è utile l’uso del microscopio comprende: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Figg. 1.79, 1.80, 1.81 Rifinitura del margine di una preparazione coronale totale (4x e 16x) e controllo (16x). 44 rifinitura dei bordi di chiusura delle preparazioni intra ed extra coronali; retrazione dei tessuti molli per impronte; controllo della precisione e della idoneità delle impronte; controllo delle chiusure dei bordi protesici; controllo della passività; precisione dei punti di contatto; cementazione; controllo di qualità su frese e strumenti. CA P I TO L O 1 Implantologia I VA N TA G G I D E L L’ U T I L I Z Z O D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A A prima vista potrebbe sembrare esagerato usare il microscopio nelle tecniche chirurgiche e protesiche implantari, tuttavia la grande esperienza clinica ci suggerisce una verifica e molte considerazioni utili. Noi microscopisti sappiamo cosa significa andare a pescare una vite passante attraverso una corona di porcellana non rimovibile e sappiamo che riuscire nell’intervento può salvare una situazione critica. L’uso del microscopio è risultato particolarmente utile in queste fasi: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. verifica dell’accoppiamento del mounter; controllo della maschiatura nel sito chirurgico; verifica del corretto posizionamento dell’impianto; avvitamento della vite di chiusura; controllo dell’adattamento dell’impianto all’alveolo chirurgico e assenza di deficit (gap); prelievo e fissazione di innesti ossei; preparazione della fenestrazione ossea e scollamento della mucosa nelle procedure di grande rialzo del seno; controllo della integrità della mucosa nel minirialzo; verifica integrità degli angoli dell’esagono esterno prima dell’impronta; valutazione della passività e dell’adattamento delle sovrastrutture protesiche; rimozione di viti passanti fratturate; rimozione e sostituzione di viti passanti in corone protesiche non rimovibili con svitamento dei monconi; carotazione di impianti fratturati da rimuovere; trattamento dei perimplantiti. Figg. 1.82, 1.83, 1.84 Controllo del posizionamento dell’impianto (10x e 16x) e verifica dell’integrità degli angoli dell’esagono (14x). Figg. 1.85, 1.86, 1.87 Valutazione dell’adattamento marginale passivo della sovrastruttura all’impianto (16x e 22x). 45 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Caso clinico di implantologia Per quanto la chirurgia orale richieda una visione globale del campo operatorio, l’uso del microscopio operatorio risulta particolarmente efficace nei controlli critici. Il caso riportato di seguito mostra le fasi operative per un impianto in cui si evidenziano un’insufficiente dimensione verticale e un’atrofia orizzontale della cresta alveolare. Fig. 1.88 L’esame clinico e radiologico preoperatorio del sito implantare. Figg. 1.89, 1.90, 1.91 La preparazione del sito implantare a vari ingrandimenti (4x, 10x, 16x). Fig. 1.92 L’inserimento di un perno permette il controllo del parallelismo. Figg. 1.93, 1.94, 1.95 L’espansione orizzontale della cresta alveolare con osteotomo controllata a diversi ingrandimenti (10x, 16x e 18x). 46 CA P I TO L O 1 I VA N TA G G I D E L L’ U T I L I Z Z O D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Figg. 1.96, 1.97 Preparazione del sito implantare con fresa e controllo definitivo del parallelismo (16x). Fig. 1.98 Avvitamento di un impianto a superficie ruvida (18x). Figg. 1.99, 1.100 Controllo della corretta profondità di alloggiamento (20x). Fig. 1.101 La radiografia post-operatoria evidenzia una vite di chiusura non completamente avvitata. 47 STEREOPSI E STEREOMICROSCOPIA 48 CA P I TO L O 2 La stereopsi La locuzione stereoscopia è utilizzata in due accezioni: come sinonimo di stereopsi e per indicare la parte dell’ottica fisiologica che si occupa della visione in rilievo o tridimensionale. La stereopsi, o vista stereoscopica, è la visione che permette la percezione del rilievo di un oggetto, e quindi della distanza tra i due oggetti che si ha in conseguenza della visione binoculare. Essa è dovuta alla fusione a livello della corteccia cerebrale occipitale (scissura calcarina), in un’unica immagine tridimensionale, delle due diverse immagini che, per uno stesso oggetto, si formano separatamente nei due occhi (fig. 2.1). Va ribadito che i due occhi devono formare di ciascun oggetto due immagini distinte (coppia stereoscopica) e queste possono dare luogo ad un’unica sensazione solo se si formano in punti corrispondenti delle due retine. I muscoli estrinseci dell’occhio hanno il compito di spostare ciascun bulbo oculare, in modo che le due immagini dell’oggetto fissato vengano a formarsi in punti corrispondenti delle due retine, e la sensibilità propriocettiva della tensione muscolare, è anch’essa un fattore che contribuisce alla percezione del rilievo. Per contro, le immagini che non si formano in punti corrispondenti della retina, non rappresentano coppie stereoscopiche e non contribuiscono alla stereopsi. Quando, per esempio, noi fissiamo un oggetto, sulle retine dei due occhi, si formano sempre, in punti non corrispondenti, anche le immagini di altri oggetti circostanti. Noi dovremmo vedere tutti questi oggetti doppi, ma ciò in realtà non avviene per un processo di cancellazione: per quanto le immagini si formino in ambedue gli occhi, una sola di esse, sempre quella formata dallo stesso occhio, che è perciò detto occhio direttore, dà luogo a percezione. La vista stereoscopica è conseguenza diretta della visione binoculare ed è propria, tra i mammiferi, dei primati e dei predatori, in cui, per consentire l’effetto, i globi oculari sono posti sullo stesso piano (figg. 2.1, 2.2). La visione stereoscopica è acquisita, nei mammiferi, dalla specie arboricola (esemplificata dallo scimpanzé) e dai predatori, a seguito della disposizione dei globi oculari su uno stesso piano frontale. Ne risulta una 49 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A sovrapposizione quasi totale del campo visivo di ciascun occhio (rappresentata dall’area in grigio) e, quindi, una esatta valutazione delle distanze, essenziale per la vita arboricola o di predazione. Nei mammiferi che abitano spazi aperti, come gli ungulati (esemplificati dal cavallo), gli occhi sono disposti invece su piani diversi: l’effetto stereoscopico ne risulta ridotto, mentre il campo visivo è decisamente più ampio, e ciò permette a questi animali l’individuazione, in una qualsiasi direzione, di un eventuale predatore. La stereopsi dipende dalla distanza dell’oggetto che si osserva (diminuendo al crescere di questa) e dal grado di illuminazione che l’oggetto riceve. Figg. 2.1, 2.2 La stereopsi è maggiore nello scimpanzè e ridotta nel cavallo a causa della diversa disposizione dei globi oculari. G Il cerchio più scuro centrale rappresenta la zona maculare G A Bi Campi visivi sovrapposti A Le sfumature di colore più chiare rappresentano i campi monoculari Bi O O Ciascun quadrante è di diverso colore. B BC P Corioidea Ner vi ottici Chiasma ottico { { P Corioidea parte periferica macula Struttura della retina (schema) A = Cellule amacrine B = Bastoncelli Bi = Cellule bipolari C = Coni G = Cellule gangliari O = Cellule orizzontali P = Cellule pigmentate Proiezione sulla retina destra Proiezione sulla retina sinistra C Proiezione sul corpo genicolato laterale di sinistra Tratti ottici Proiezione sul corpo genicolato laterale di destra Corpi genicolati laterali Radiazione ottica Radiazione ottica Scissura calcarina Scissura calcarina Fig. 2.3 Nervo ottico e via ottica. 50 Proiezione sul lobo occipitale di sinistra Proiezione sul lobo occipitale di destra CA P I TO L O 2 S T E R E O P S I E S T E R E O M I C RO S C O P I A Lo stereomicroscopio La visione stereoscopica, o tridimensionale, è un fenomeno basato su processi ottici, fisiologici e psicologici che avvengono nell’occhio e nel sistema nervoso. In pratica, ciascuno dei due occhi forma un’immagine dell’oggetto leggermente diversa dall’altra perché vista sotto un angolo visivo diverso; la sovrapposizione di queste due immagini (coppia stereoscopica) o, meglio, la composizione degli impulsi inviati da ciascun occhio alla corteccia cerebrale, fornisce l’informazione della tridimensionalità dell’oggetto. Per chi trovi complesso tale concetto, a scopo esemplificativo, basti ricordare che anche l’udito funziona secondo un principio analogo: la direzione di provenienza di un suono viene dedotta in base all’analisi (a livello dell’area acustica corticale) della diversità con cui le due orecchie percepiscono un medesimo suono in ordine di tempo e intensità. Lo stereomicroscopio è un sistema ottico atto a fornire un’immagine ingrandita e tridimensionale dell’oggetto osservato; è basato sull’artificio di far vedere a ciascun occhio una sola delle immagini della coppia stereoscopica come avviene nella normale visione binoculare. Partendo dal principio che un oggetto tridimensionale è visto a tre dimensioni, se osservato contemporaneamente sotto due angoli visivi diversi, si capisce perché il microscopio stereoscopico deve essere provvisto di due sistemi ottici i cui assi si incontrano su un oggetto. Il primo modello fu ideato da Greenough nel 1892 ed è composto da due percorsi ottici indipendenti - cioè con due oculari e due obiettivi identici - attraverso cui passano due fasci di luce separati e convergenti sull’oggetto: ogni occhio guarda, cioè, attraverso un suo microscopio (figg. 2.4, 2.5). Sistemi di prismi e di lenti, prima degli oculari, raddrizzano l’immagine per facilitare le manualità dell’operatore che, altrimenti, vedrebbe l’oggetto invertito, trattandosi di un’immagine virtuale. L’ingrandimento non può essere eccessivo, in considerazione del fatto che gli obiettivi sono separati: all’aumentare dell’ingrandimento si deve diminuire l’angolo tra i due assi ottici e già oltre i 15x l’angolo tende a ridursi a zero, annullando così l’effetto stereoscopico. Aumentando l’ingrandimento, inoltre, diminuisce la profondità di campo e si perde l’effetto di rilievo. Il binoculare di Greenough assicura un buon potere di risoluzione ed è, ancora oggi, utilizzato in ambito industriale; mentre è stato sostituito in Medicina con i più moderni microscopi operatori per alcuni dei suoi svantaggi: 51 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A • • avere una distanza di lavoro molto piccola che non permette di muovere agevolmente gli strumenti chirurgici; richiedere uno sforzo e un affaticamento da parte dell’operatore per la fusione delle immagini a livello cerebrale: va infatti considerato che i due percorsi ottici hanno due piani focali diversi inclinati che corrispondono, solo parzialmente, al piano oggetto e il campo operatorio risulta, quindi, costantemente fuori fuoco in alcune sue parti. Il primo stereomicroscopio operatorio, con caratteristiche simili a quelle attuali, fu, invece, costruito nel 1934 con l’introduzione di due percorsi ottici paralleli e di un’unica lente obiettivo. Questi accorgimenti consentivano un notevole miglioramento poiché: • • Fig. 2.4 Stereomicroscopio di Greenough. Fig. 2.5 Caratteristiche e schemi del sistema ottico dello stereomicroscopio di Greenough: vie ottiche convergenti, piani focali coincidenti, introduzione nel 1892, due lenti obiettivo inclinate. 52 era disponibile una distanza di lavoro maggiore per inserire le mani e gli strumenti chirurgici tra campo operatorio e obiettivo; l’affaticamento visivo dell’operatore diveniva minore, in quanto la fusione delle immagini era eseguita direttamente dall’unico obiettivo. CA P I TO L O 2 S T E R E O P S I E S T E R E O M I C RO S C O P I A Con tale sistema si viene, in parte, a perdere l’effetto stereoscopico, ma in pratica la differenza è difficilmente apprezzabile in confronto ai modelli precedenti. Nei moderni microscopi operatori (che sono degli stereomicroscopi) i percorsi ottici sono tra loro disposti, a seconda delle caratteristiche e dei modelli, con lievi differenze di distanza ed angolatura, senza comunque scostarsi di molto da quelli fisiologici della visione umana. Va ricordato che l’aumento dell’angolo e della distanza implica un effetto stereoscopico accentuato; mentre la diminuzione risulta, invece, in un’immagine appiattita. I due percorsi ottici distinti attingono le immagini da un unico obiettivo situato alla base del corpo ottico, le cui caratteristiche concorrono a determinare: il fattore di ingrandimento, la lunghezza focale e, quindi, la distanza di lavoro (figg. 2.6, 2.7). Il fattore di ingrandimento è determinato in modo fisso dalle caratteristiche dell’obiettivo e degli oculari, ma il rapporto di ingrandimento può essere modificato attivando dei variatori rappresentati da sistemi di lenti intercambiabili a revolver o da dispositivi a zoom. Fig. 2.6 Moderno microscopio operatorio. Fig. 2.7 Caratteristiche e schemi del sistema ottico di un moderno microscopio operatorio: vie ottiche parallele, piani focali coincidenti, introduzione a metà del XX secolo, obiettivo unico. 53 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A La storia del microscopio operatorio regolatore di posizione dell’oggetto lenti por taoggetti Fig. 2.8 Microscopio semplice di Von Leeuwenhoek (fine del 1600). I primi microscopi per osservazione risalgono al diciassettesimo secolo. Nel diciannovesimo secolo, attorno agli anni ’60, in Chirurgia si iniziò ad utilizzare dei sistemi di ingrandimento, inizialmente rappresentati da occhiali con lenti semplici, che venivano aggiustate facendo scivolare la montatura sul naso. Solo nel 1876 furono utilizzati, dal dott. Saemisch, un oculista, i primi occhiali con lenti composte. Il primo microscopio binoculare fu prodotto dalla Zeiss con una specifica indicazione d’uso: l’osservazione della camera anteriore dell’occhio e gli studi di laboratorio; con tale attrezzatura, nel 1921 Maier e Lion pubblicarono i loro studi sul movimento dell’endolinfa nell’orecchio di piccioni vivi. La prima utilizzazione del microscopio operatorio sull’uomo risale al 1921 quando il dott. Carl Nylen, un otorinolaringoiatra svedese di 30 anni dell’Università di Stoccolma, utilizzò uno strumento monoculare di propria costruzione per drenare il labirinto e trattare un’otite media cronica. Nel 1922 il dott. Gunnar Holmgren, primario di Nylen, applicò un sistema di illuminazione a un microscopio Zeiss, costruendo, quindi, il primo microscopio operatorio binoculare e lo utilizzò per operare un’otosclerosi. Nei decenni successivi il dott. Holmgren e il suo successore, dott. Torsten Skoog perfezionarono l’uso del microscopio operatorio per la terapia dell’otosclerosi e delle patologie dell’osso temporale. Questi primi modelli erano rudimentali poiché, richiedendo di essere fissati alle strutture ossee del cranio, offrivano un campo visivo ridotto (dai Fig. 2.9 Microscopio composto di Robert Hooke (1670, circa). Fig. 2.10 Microscopio operatorio di Carl Nylen. oculare lampada ad olio ampolla d’acqua vite di messa a fuoco tubo por taottica obiettivo por taoggetti 54 CA P I TO L O 2 S T E R E O P S I E S T E R E O M I C RO S C O P I A 6 ai 12 mm), non garantivano una illuminazione sufficiente ed erano instabili e difficili da trasportarsi. Nel 1953 il dott. Hans Littman ideò e pose in produzione il modello Zeiss OpMi 1 (Zeiss operating microscope number 1), specificatamente ideato per la chirurgia dell’orecchio. Le caratteristiche erano la stabilità, l’illuminazione coassiale, il variatore di ingrandimento senza cambiare la distanza focale e, in definitiva, una maggiore facilità d’uso. La microchirurgia dell’orecchio medio fu successivamente sviluppata dai tedeschi Zollner e Wullstein e dagli americani Shambaugh, Howard e William House. Negli stessi anni gli oculisti iniziarono ad utilizzare il microscopio operatorio; in particolare R.A. Perrit, un oftalmologo di Chicago, nel 1946 portò in America il microscopio operatorio e disegnò, nel 1951, un modello commercializzato dalla ditta V. Meuller & C. di Chicago. Il primo riferimento in letteratura alla microchirurgia in oculistica comparve nel 1953 ad opera di Harms e Mackensen. Nello stesso anno il dott. J.J. Barraquer iniziò a collaborare con il dott. Litman per adattare i microscopi otorinolangoiatrici alla chirurgia oculistica; arrivando a costruire, nel 1955, il primo microscopio montato a soffitto e, successivamente, il primo modello collegato ad un sistema di ripresa a circuito televisivo. L’introduzione dello zoom e il controllo elettronico idraulico del sistema di movimentazione è dovuto a Richard Troutman, un oculista dell’Università di New York, che collaborò con le ditte Bausch-Lomb e Zeiss; lo stesso medico collaborò con la Keeler Corporation inserendo diversi sistemi di supporto e, infine, il controllo a pedaliera. Figg. 2.11, 2.12 Microscopio operatorio in sala chirurgica otoiatrica. 55 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Il primo neurochirurgo ad utilizzare il microscopio operatorio fu Theodore Kurze nell’agosto del 1957, presso l’Università della Sud California, per operare un neurilemmoma del nervo facciale in un bambino di 5 anni. Lo stesso sanitario si interessò attivamente dei sistemi di protezione con teli sterili del microscopio operatorio, proponendo diverse soluzioni. Nel 1958 il neurochirurgo RMP Donaghy istituì il primo laboratorio di ricerca e training microchirurgico a Burlington (Vermont) a proprie spese; seguito, negli anni ’60 da Kurze che, grazie alla donazione di un paziente affetto da nevralgia trigeminale, istituì il primo laboratorio microneurochirurgico per la chirurgia dalla base del cranio. Nel 1960 Jacobsen ed E. Suarez (chirurghi vascolari) pubblicarono un articolo che dimostrava l’efficacia del microscopio nel migliorare le anastomosi dei piccoli vasi. La collaborazione di Jacobsen con Littman portò alla costruzione di un microscopio operatorio che permetteva di lavorare a un secondo chirurgo (diploscopio), mediante l’introduzione di un ripartitore ottico (beam splitter); altri modelli furono prodotti da Jim Smith e quindi da Bunke nel 1962. Nello stesso periodo, la validità del microscopio nella chirurgia vascolare e l’anostomosi dei piccoli vasi fu, inoltre, confermata dai lavori di Harold Buncke, un chirurgo plastico di S. Matteo, California, che aprì la strada al reimpianto di dita e ai lembi liberi autoinnestati. La strumentazione microchirugica si sviluppò progressivamente dalle microforbici di Castro-Viejo, un oftalmologo, ad altri strumenti ideati da Jacobsen e Bunke. La successiva evoluzione fu estremamente rapida: Donaghy eseguì una embolectomia delle arterie cerebrali nel 1960; Smith documentò per primo la ripresa funzionale di un nervo periferico operato al microscopio nel 1964; J. Lawrence utilizzò per primo il microscopio nella chirurgia degli aneurismi intracranici. Grazie al progressivo miglioramento tecnologico, l’uso dello stereomicroscopio venne introdotto in numerose discipline chirurgiche: nel 1960 in chirurgia vascolare da Jacobson e Suarez; nel 1965 in ortopedia da Komatsu e Tamai; nel 1974 in ostetricia da Gomel. Fig. 2.13 Schema delle modalità di esecuzione di un punto di sutura microchirurgica per anastomosi vascolare. 56 CA P I TO L O 2 S T E R E O P S I E S T E R E O M I C RO S C O P I A Figg. 2.14, 2.15, 2.16, 2.17, 2.18, 2.19 Sutura microchirugica per anastomosi vascolare (esercitazione in laboratorio microchirurgico). Oggi il suo utilizzo si sta rapidamente estendendo in tutti quei settori nei quali si intervenga su strutture di dimensioni inferiori ai 3 mm e rappresenta uno strumento fondamentale in oculistica, otorinolaringoiatria, neurochirurgia e chirurgia vascolare. In odontoiatria l’introduzione del microscopio operatorio risale circa al 1990, con applicazioni limitate all’endodonzia (G.B. Carr, 1992); mentre la prima trattazione organica in lingua italiana, inerente la protesi, risale al 1987 (M. Martignoni). Ancora oggi la microscopia trova prevalente applicazione nel laboratorio odontotecnico e in endodonzia; aumenta comunque, negli ultimi anni, il numero di odontoiatri che la utilizzano nella loro pratica clinica e ne estendono le indicazioni ad altre branche. Figg. 2.20, 2.21, 2.22, 2.23, 2.24, 2.25 Sutura microchirugica per neuroraffia (esercitazione in laboratorio microchirurgico). 57 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Il moderno microscopio operatorio in odontoiatria Il ritardo nell’introduzione del microscopio operatorio in odontoiatria, rispetto ad altri settori della medicina e chirurgia è, almeno in parte, dovuto alle differenze sostanziali che si rilevano tra le condizioni di lavoro in chirurgia e in odontoiatria: nelle branche chirurgiche afferenti alla medicina il paziente è in anestesia generale, immobile, e la testa o il campo possono essere posizionati in modo stabile in base alle esigenze operatorie; in odontoiatria, invece, il paziente vigile interagisce e talvolta interrompe l’operatore. Fino ad ora una grossa limitazione all’utilizzazione, in campo odontoiatrico, era legata al fatto che i primi microscopi operatori erano dotati di scarsa maneggevolezza e, pertanto, potevano essere impiegati solo a scopo fotografico e di controllo. Lo sviluppo della tecnologia ha permesso di superare tale ostacolo e, in modelli recenti, alcuni dotati di una grande manovrabilità, ci consentono di poter avere a disposizione uno strumento pratico e funzionale come quelli usualmente impiegati nel nostro lavoro. Lo stretto rapporto tra sviluppo del microscopio e impiego scientifico ha portato alla realizzazione di nuovi strumenti che hanno permesso il loro utilizzo anche in altre specialità chirurgiche dove è richiesta una maggiore leggerezza e fluidità nei movimenti. Ciò che trasforma di fatto uno stereomicroscopio, quindi un sistema ottico più o meno sofisticato, in un vero microscopio operatorio di ultima generazione è l’insieme dei congegni meccanici di movimento che ne consentono il suo utilizzo durante un intervento chirurgico. I movimenti di posizionamento e allontanamento nel campo operatorio risultano, con gli attuali modelli, essere estremamente facili. Infatti, una volta posizionato, l’intero corpo del microscopio può essere spostato agevolmente e guidato all’interno del campo operatorio con diversi sistemi: con la semplice pressione della testa senza l’ausilio delle mani; mediante strumenti motorizzati azionati con comandi manuali, pedali o vocali. I sistemi di bilanciamento consentono al chirurgo di regolare di continuo tutti i movimenti di rotazione, orientamento od inclinazione da molto dolce fino al bloccaggio totale, garantendo che il microscopio rimanga esattamente fermo in ogni posizione scelta. Nei modelli più sofisticati, le funzioni motorizzate comprendono: la 58 CA P I TO L O 2 S T E R E O P S I E S T E R E O M I C RO S C O P I A variazione continua degli ingrandimenti; la compensazione automatica della luminosità; l’operazione di messa a fuoco motorizzata con zoom. Inoltre, grazie all’elevata risoluzione ed alla straordinaria nitidezza e contrasto è possibile ottenere immagini eccellenti, chiare e dettagliate, anche di particolari finissimi, in un campo operatorio contraddistinto da una elevata profondità di campo. Il sistema di illuminazione permette, con il raggio di luce coassiale dell’illuminatore incorporato, di penetrare in profondità in zone operatorie anguste e di illuminare l’intero campo operatorio in modo intenso ed omogeneo. La qualità del sistema ottico, le dimensioni contenute, la possibilità di regolazione diottrica degli oculari e della distanza interpupillare dei binoculari garantiscono, anche durante interventi di più ore, una osservazione senza affaticamento, in posizione rilassata in assenza di sforzi accomodativi (sguardo all’infinito). Per alcune applicazioni possono essere richieste caratteristiche specifiche e da qui nasce l’esigenza che il microscopio sia versatile e dotato di una struttura modulare, che consenta al chirurgo di adattarlo al suo modo di lavorare. Grazie alla configurazione modulare dei nuovi microscopi è possibile assemblare vari accessori in corrispondenza alle specifiche esigenze ed ampliarli secondo le necessità. Così strutturato il microscopio operatorio diventa, non solo parte integrante della strumentazione chirurgica, ma è in grado a sua volta di integrare in se stesso altri preziosi strumenti come ad esempio gli apparecchi di registrazione e il laser che, applicato al corpo ottico, può essere utilizzato con precisione e facilità. Negli ultimi anni, è aumentato considerevolmente il numero di odontoiatri che impiegano il microscopio operatorio nella loro pratica e, l’esperienza rafforza la certezza che il microscopio potrà, in un prossimo futuro, divenire parte integrante ed insostituibile dell’attrezzatura odontoiatrica di ogni studio. 59 LA FOTOMICROGRAFIA E LA CINEMATOMICROGRAFIA 60 CA P I TO L O 3 Introduzione Perché fotomicrografia e non microfotografia (e, quindi, non microcinematografia ma cinematomicrografia) come si usa dire correttamente? Perché ognuno di questi termini ha, in effetti, un significato preciso: • • la microfotografia è la tecnica mediante la quale si riproduce fotograficamente un’immagine rimpicciolita di un oggetto più grande (ad esempio il microfilm); la fotomicrografia è la tecnica mediante la quale si riproducono immagini ingrandite di oggetti molto piccoli, generalmente per mezzo del microscopio. La registrazione e la trasmissione dell’intervento, grazie a un dispositivo video, presentano i seguenti vantaggi: • • se un monitor è installato all’interno del blocco operatorio, l’insieme dell’equipe può seguire lo svolgimento chirurgico e comprendere le fasi dell’intervento; la registrazione permette: di visualizzare alcuni gesti, di conservare la memoria visiva di alcune fasi interessanti, di conservare un documento per i casi suscettibili di porre un problema ulteriore, di indirizzare una copia al medico corrispondente, di offrire al paziente il film del proprio intervento. La documentazione digitalizzata ha oggi soppiantato le tradizionali tecniche analogiche, per le sue caratteristiche di fedele riproduzione di copie, possibilità di fotoritocco e montaggio (editing). L’adozione di queste nuove tecnologie comprende però l’impiego di una serie di strumenti vari come la fotocamera, la videocamera e il computer, con tutte le sue complicazioni hardware e software, dei quali è indispensabile conoscere alcuni concetti di base. 61 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A La fotocamera Una fotocamera digitale è simile a un apparecchio tradizionale. Ritroviamo obiettivo, diaframma, otturatore e mirino; la differenza fondamentale è data dal meccanismo fotosensibile: l’immagine impressiona il sensore (CCD o Charge Couple Device) e non la pellicola. Il CCD contiene diversi milioni di filtri disposti in griglia (matrice di pixel) che sono di tre tipi e destinati a diverse tonalità di luce: rosso, verde e blu (RVB) o RGB da red, green e blue. Ciascun filtro, quindi, è una cellula fotosensibile, che corrisponde a un punto colore (pixel = punto) sul monitor o sulla stampa. Un procedimento di mescolanza additiva, cioè di somma delle diverse lunghezze d’onda dei tre colori RGB, permette di raggiungere la maggior parte delle sfumature di colore esistente (tricromia additiva). Il processo di formazione dell’immagine può essere schematizzato in fasi per una migliore comprensione: mirino otturatore sensore • diaframma • obiettivo Fig. 3.1 Schema di macchina fotografica digitale. • • dopo avere attraversato le lenti dell’obiettivo l’onda luminosa colpisce il sensore CCD, che non è in grado di leggere direttamente il colore, ma di derivarlo utilizzando i filtri e un complesso processo di interpolazione; la luminosità e la lunghezza d’onda della luce agiscono sui filtri del CCD, che reagiscono generando un impulso elettrico, che corrisponde all’intensità della luce impressa; quando il raggio luminoso è convertito in impulso elettrico, interviene il chip convertitore (ADC o Analog to Digital Converter), che legge e genera una serie di dati numerici (cioè digitali); i dati digitali sono memorizzati come file immagine (di formato JPEG, TIFF, ecc.) nel supporto di memoria della fotocamera e sono, quindi, pronti per essere trasferiti a un altro supporto (CD o disco rigido del computer). Riassumendo a ritroso il processo, un’immagine digitale è visualizzata dal computer attraverso un software che legge un insieme di numeri in codice binario; ciascuna immagine è composta da milioni di pixel e ciascun pixel corrisponde a un dato numerico; ogni dato numerico corrisponde a un impulso elettrico, che a sua volta corrisponde a un’onda luminosa raccolta da uno specifico sensore. La qualità di una fotocamera digitale è valutata in termini di megapixel (milioni di pixel) e la massima definizione sul mercato è attualmente di 62 CA P I TO L O 3 L A F OTO M I C RO G R A F I A E L A C I N E M ATO M I C RO G R A F I A sei milioni di pixel. Le fotocamere utilizzate più comunemente in odontoiatria corrispondono a una fascia alta di prezzo, senza che sia necessario giungere a strumenti più sofisticati destinati ad uso professionale specifico. Le caratteristiche consigliate sono le seguenti: • • • • • Fig. 3.2 Disposizione dei filtri (e dei pixel) nel sensore CCD. autofocus e messa a fuoco macro; mirino ottico indispensabile per riprendere gli oggetti da vicino (macrofotografia); display a cristalli liquidi (LCD) che mostra immediatamente l’inquadratura dell’immagine che si sta per fotografare, ma è meno preciso del mirino e consuma molta energia; capienza di memoria (2-16 Mb), esaurita la quale è necessario scaricare le immagini su un supporto esterno (hard disk o CD), tenendo presente comunque che ogni foto può occupare diverse quantità di memoria, secondo i diversi formati di file ad alta (TIFF) o bassa risoluzione (GIF, JPEG); batterie ricaricabili e a lunga durata (NiCD, NiMH). CCD CCD red green Fig. 3.3 Schema della sequenza con cui l’ADC genera dati digitali (numerici) pronti a essere memorizzati, dalla lettura degli impulsi elettrici a loro volta generati dai filtri del CCD colpito dalla luce. griglia ingrandita sensore CCD blue CCD CCD red green CCD blue Chip ADC griglia di filtri La videocamera Il sistema CCD per la cattura delle immagini e la lettura dei segnali in tricromia additiva (RGB) è sovrapponibile alla descrizione fornita per le fotocamere, con l’aggiunta di un segnale audio e di un otturatore elettronico che permette l’automatismo della regolazione. Molte ditte forniscono modelli propri o indicano alcune marche specifiche; nel caso si intendano utilizzare prodotti diversi, poiché il collegamento al microscopio non è standardizzato, occorre verificare prima dell’acquisto la compatibilità. 63 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Collegamento delle attrezzature video Per collegare un computer a un videoregistratore o a una videocamera digitale si ricorre a semplici schede grafiche che fungono da interfacce tra i due mondi. La trasmissione del segnale video uscito dal CCD, può essere realizzata dalla telecamera verso il decodificatore del monitor attraverso due modi: • • raggruppata in un solo segnale, detto composito; si accompagna a una degradazione del segnale video del 10-15%; separatamente in segnali in cui la luminanza Y viaggia separata dalla crominanza C; cioè i tre segnali RGB viaggiano separati; soluzione che effettua una migliore qualità video. La fase dei collegamenti attraverso cavi e prese non è da sottovalutare, perché anche attrezzature di ottimo livello possono fornire risultati scadenti: • • • • • • Figg. 3.4, 3.5, 3.6 Cavetti RCA per connessioni audiovideo analogiche; Connettore digitale Firewire; Connettore SCART. se i segnali subiscono una forte attenuazione dovuta a scarsa schermatura dei cavi; se il diametro del cavo non è direttamente proporzionale alla sua lunghezza; se i conduttori sono ossidati e non garantiscono una conduzione elettrica elevata; in presenza di polvere e sporco; se i cavi dei segnali audiovisivi sono vicini a quelli di alimentazione (interferenze elettromagnetiche); se i cavi sono troppo lunghi (per via della dispersione). audio stereo video Fig. 3.7 Pannello con alcuni tipi di connettori. Fig. 3.8 Cavo per connessioni analogiche S-Video (SVhs e Hi8). Connessori componenti Connettore S-Video 64 Connettore video-composito Connettore SCART CA P I TO L O 3 L A F OTO M I C RO G R A F I A E L A C I N E M ATO M I C RO G R A F I A Importante conoscere i tipi di collegamento più comuni per assicurare la migliore conservazione della qualità del nostro lavoro; le prese più frequentemente utilizzate hanno caratteristiche diverse: • • • • • Monitor e videoregistratore connettore RCA di tipo amatoriale a basso costo, per un segnale composito; connettore S-Video tipico delle connessioni analogiche; connessione component, tipico di sistemi professionali; utilizza i connettori RCA, ma trasmissione a segnali separati; connettore scart (detto anche Euro A/V) che è multifunzione; il connettore firewire (detto anche iLinK) su cui i dati viaggiano in maniera compressa e fornisce un’ottima versatilità e qualità. Un monitor somiglia a uno schermo televisivo, ma fornisce una qualità delle immagini superiore. Le immagini che vediamo alla TV sono interlacciate; vuol dire che il fotogramma totale (nel PAL costituito da 576 righe orizzontali) è formato da due semiquadri di 288 righe l’uno, appartenenti a due istanti diversi; fatto che causa un tipico tremolio delle linee sottili. Il sistema progressivo utilizzato nei monitor, invece, è formato da 576 righe orizzontali effettive e crea una migliore immagine. I formati televisivi nel mondo sono tre: • • • PAL, utilizzato in Europa, con una risoluzione di 720x576 a 25 fotogrammi al secondo; SECAM utilizzato in Francia e ritenuto sovrapponibile; NTSC usato in America e Giappone, con una risoluzione di 720x480 a 30 fotogrammi al secondo, non compatibile con il PAL. Monitor e videoregistratore ad uso medicale dovrebbero essere bistandard (PAL e SECAM) o meglio tristandard (PAL, SECAM e NTSC). Conservazione informatica delle immagini La digitalizzazione permette di ottenere un’immagine elettronica a partire da una videocamera con l’aiuto di un computer. La digitalizzazione si effettua durante l’acquisizione, poi si ha la conservazione dell’immagine nella memoria video della scheda grafica e in seguito c’è l’adattamento alla frequenza VGA e l’editing sullo schermo. L’acquisizione simultanea di un segnale VGA (computer) e di un segnale video su monitor tradizionale è permessa dall’interposizione di una scheda grafica. 65 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Per utilizzare l’immagine video con il computer bisogna avere dei programmi che possano leggere il contenuto della memoria video della scheda di acquisizione. Le sequenze video registrate sono compresse in tempo reale, poiché non compresse occuperebbero troppo spazio di disco e sarebbero ingestibili; una volta compresse, invece, è possibile gestire una quantità maggiore di dati in uno spazio ristretto. Alcuni CODEC di compressione sono molto buoni ma proprietari: vuol dire che un filmato così salvato non può essere visualizzato su un altro computer a meno di non avere la stessa scheda istallata. Va, infine, tenuto presente che tutti i codec introducono a ogni passaggio di salvataggio degli artefatti che deteriorano l’immagine. I formati più frequentemente utilizzati per salvare l’immagine video sono diversi: TGA, TIF, BMP, GIF, JPG. Montaggio video Oggi si utilizza il montaggio digitale, utilizzando software di video editing, per la cui utilizzazione è necessario conoscere e avere confidenza con l’interfaccia del programmi specifici disponibili sul mercato. Il montaggio non lineare ha introdotto un modo di lavorare più libero e sicuro con accesso istantaneo e generiche funzioni presenti in molti software di tagliare, incollare, montare, sonorizzare gli spezzoni video e i fermo immagine. Il montaggio finito, va esportato e riversato (in gergo si dice pubblicare) su un supporto magnetico o ottico che sia. Per supporti ottici si intendono tutti quelli che usano un fascio di luce laser per memorizzare e leggere le informazioni (CD Audio, CD-Rom, DVD); mentre per nastri si intendono le video-musicassette, sia digitali che analogiche. I supporti ottici sono preferiti perché offrono una serie di vantaggi, in quanto sono: più affidabili nel tempo in quanto incisi; indipendenti da disturbi elettromagnetici dei nastri; più resistenti dal punto di vista fisico; permettono un accesso casuale ai dati senza le pause di avvolgimento e avanzamento delle cassette. I formati grafici di esportazione per video CD/DVD più diffusi sono i seguenti: • • 66 TIFF o Tagged Image File Format (estensione file TIF) per immagini non compresse di alta qualità, utile per lavori di tipografia; JPEG o Joint Photographic Experts Groups (estensione file JPG) con tasso di compressione variabile, utile in tutte quelle applicazioni dove è doveroso ridurre il peso delle immagini (ad esempio presentazioni e conferenze). CA P I TO L O 3 L A F OTO M I C RO G R A F I A E L A C I N E M ATO M I C RO G R A F I A Accessori per la documentazione I seguenti accessori sono necessari per chi desidera equipaggiare il microscopio operatorio con dispositivi di foto e video documentazione quali macchine fotografiche e telecamere. Per quanto concerne la fotografia, è possibile utilizzare macchine fotografiche reflex, a pellicola 35 mm e digitali, entrambe con attacco universale T; con uno specifico fototubo, è inoltre possibile installare camere digitali compatte Coolpix. Per quanto riguarda la documentazione video, chi non desidera utilizzare telecamere integrabili Leica, può equipaggiare il microscopio con qualunque telecamera esterna con attacco universale a passo C. Tenuto conto della rapida evoluzione dei sistemi disponibili nel campo della video e foto documentazione, per quanto riguarda questi prodotti è possibile rivolgersi ai nostri specialisti che sapranno consigliare la scelta più opportuna in base alle specifiche necessità. Ripartitore ottico Questo accessorio è il componente ottico indispensabile per il montaggio laterale degli accessori destinati sia alla coosservazione sia alla video e foto documentazione. Il ripartitore ha la funzione di sdoppiare l’immagine sulle sue uscite laterali in modo tale da permettere l’utilizzo contemporaneo dei dispositivi installati. Adattatore foto L’adattatore foto, disponibile con differenti focali, si rende necessario per chi desidera utilizzare, per documentazione, una macchina fotografica reflex 35 mm oppure una digitale, entrambe con attacco universale T. Adattatore TV L’adattatore TV permette l’utilizzo di una telecamera con attacco universale passo C. A seconda delle dimensioni del CCD della telecamera, si potrà scegliere di utilizzare due differenti focali in modo da ottenere immagini al monitor il più vicine possibile a quelle osservabili al microscopio, sia a livello di ingrandimento che di campo inquadrato. Dual adapter-foto reflex/TV Questo dispositivo, permette di utilizzare simultaneamente una telecamera a passo C e una macchina fotografica, reflex 35mm. o digitale, con attacco T. Con questo accessorio, che occupa solo una delle due usci- 67 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A te laterali del ripartitore ottico, l’utilizzatore ha l’opportunità, eventuale, di utilizzare la seconda uscita rimasta libera del ripartitore per un ulteriore accessorio. Il Dual Adapter è disponibile con differenti focali in grado di soddisfare diverse esigenza di inquadratura. Video Zoom Adapter Questo straordinario adattatore Zoom è un sofisticatissimo dispositivo che è stato progettato e realizzato esclusivamente da Leica per risolvere una delle maggiori problematiche che si presentano nell’ambito della video documentazione al microscopio Operatorio. Può infatti accadere che l’immagine al monitor non corrisponda perfettamente all’immagine osservata dall’operatore. In alcune circostanze, inoltre, potrebbe essere necessario avere differenti ingrandimenti tra l’osservazione diretta e l’immagine da utilizzare per la documentazione. In tutti questi casi il Video Zoom Adapter si rivela uno strumento insostituibile. Costruito utilizzando ben 17 lenti ad alta risoluzione, dispone di una focale variabile in continuo a zoom da 35 a 100 mm per la gestione indipendente dell’immagine sul monitor. Questo tipo di adattatore risolve inoltre il problema ricorrente di conflitto tra il campo visibile sul monitor rispetto all’immagine vista al microscopio, variabile a seconda della dimensione del chip della telecamera. Utilissimo si rivela anche il dispositivo di messa a fuoco micrometrica che permette una ulteriore focalizzazione dell’immagine video, indipendentemente da quella dell’operatore. Una serie di filtri integrati permette di gestire infine sei differenti livelli di luminosità. Un ultimo problema consiste nelle variazioni del rapporto di ingrandimento che possono determinarsi nella documentazione rispetto a quello che vede l’operatore. In alcuni sistemi, la macchina fotografica viene applicata ad uno degli oculari; situazione che crea sbilanciamenti del corpo ottico e richiede interruzioni delle procedure operatorie per la documentazione; ma ha il vantaggio di assicurare lo stesso rapporto di ingrandimento tra documentazione e visione dell’operatore. Nella maggior parte dei sistemi, invece, la macchina fotografica e le telecamere sono inserite a un adattatore mediante un beam splitter (ripartitore ottico), bilanciato e incorporato sul percorso ottico prima del tubo binoculare, in modo da evitare gli inconvenienti segnalati. Da questa soluzione deriva, però, che la documentazione non ha né le caratteristiche stereoscopiche, né lo stesso rapporto di ingrandimento che l’operatore osserva all’oculare; per ovviare a tale inconveniente, 68 CA P I TO L O 3 L A F OTO M I C RO G R A F I A E L A C I N E M ATO M I C RO G R A F I A Figg. 3.9, 3.10, 3.11, 3.12, 3.13, 3.14 Ripartitore ottico, adattatore foto, adattatore TV, dual adapter-foto reflex/TV, telecamera integrata sul corpo ottico, video zoom adapter. 69 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A relativo al minore ingrandimento, alcune case costruttrici incorporano delle lenti addizionali. Nei casi in cui l’ingrandimento della documentazione, non sia simile a quello fornito dall’oculare, si può definire il valore di ingrandimento sul fotogramma applicando la stessa formula indicata per l’ingrandimento del microscopio, ma sostituendo al valore dell’oculare, il valore delle lenti addizionali del fototubo. Stereofotomicrografia e stereocinematomicrografia Un sensibile effetto stereoscopico può essere ottenuto, oltre che nella visione diretta di oggetti, nell’osservazione di immagini registrate, mediante la visione contemporanea, ma separata, da parte dei due occhi, di una coppia stereoscopica. Con la locuzione coppia stereoscopica si indicano le due immagini fotografiche (dette anche stereofotogrammi) prese da due diversi centri di vista posti a distanza stereoscopica; distanti tra loro, cioè, quanto lo sono mediamente le due pupille (la distanza interpupillare media è di 65 mm). Le due immagini vengono, poi, osservate mediante uno stereoscopio, cioè un dispositivo atto a fornire la sensazione del rilievo nell’osservazione delle due immagini piane costituenti la coppia stereoscopica. Lo stereoscopio è basato sull’artificio di far vedere a ciascun occhio una sola delle immagini in modo che, contemporaneamente, l’immagine posta a sinistra sia vista solo dall’occhio sinistro, mentre quella posta a destra sia vista solo dall’occhio destro. La fotomicrografia stereoscopica non è utilizzabile e le difficoltà sorgono non tanto nella ripresa quanto nella successiva ricostruzione dell’immagine, quando, cioè, si vuole conservare l’effetto di tridimensionalità nella stampa o nella proiezione. Vale a dire che la ripresa fotografica stereoscopica è possibile con diverse metodiche; però la stampa di due fotografie in un’unica stereoscopica non è ancora applicabile. Per tale motivo, nella prassi clinica, ci si avvale di fotografie a grande profondità di campo (quindi non stereoscopiche) la cui ripresa è effettuata con fotocamere incorporate o collegate utilizzando, come raccordi, adattatori a “L” appositamente previsti per deviare parte del fascio luminoso (beam splitter, fototubi, ripartitori ottici). 70 CA P I TO L O 3 L A F OTO M I C RO G R A F I A E L A C I N E M ATO M I C RO G R A F I A Fig. 3.15 Inquadratura intraorale proiettata su uno schermo digitale. 71 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A La cinematomicrografia offre migliori possibilità di stereoscopia e per stereocinematomicrografia si intende una cinematografia (detta anche in rilievo, tridimensionale o 3D) che offra la sensazione di una visione tridimensionale. L’oggetto è ripreso in due immagini ottenute mediante un’unica cinepresa dotata di due obiettivi, i cui assi ottici sono a distanza stereoscopica tra loro (circa 65 mm); oppure con due cineprese ad assi ottici paralleli, o leggermente convergenti (in tal caso la distanza tra i due centri può essere anche maggiore di quella stereoscopica). La proiezione è realizzata mediante la proiezione contemporanea, delle due immagini dello stesso oggetto, da due centri di proiezione posti a distanza stereoscopica l’uno dall’altro. Affinché lo spettatore possa separare le due immagini proiettate, si può ricorrere a sistemi diversi: • • al sistema degli anaglifi, colorando le due immagini con colori complementari (per esempio rosso e verde) e dotando gli spettatori di occhiali colorati con gli stessi colori; oppure usando luci polarizzate incrociate tra loro per i proiettori, e dotando di occhiali polarizzanti gli spettatori. Data la difficoltà e i costi di realizzazione anche la stereocinematografia è poco o nulla utilizzata nella prassi clinica, perlopiù a livello sperimentale. Molto utilizzata è invece la cinematografia realizzata collegando gli apparecchi da ripresa incorporati nel corpo ottico del microscopio o collegati con adattatori a “L”; le immagini sono normalmente visualizzate su uno schermo per far vedere in tempo reale l’intervento ad assistenti e allievi o registrarlo su videocassette. 72 CA P I TO L O 1 L A F OTO M I C RO G R A F I A E L A C I N E M ATO M I C RO G R A F I A Fig. 3.16 Microscopio operatorio con cinepresa e macchina fotografica collegate mediante adattatori. 73 ANATOMIA DEL MICROSCOPIO OPERATORIO 74 CA P I TO L O 4 Introduzione Il microscopio operatorio è uno stereomicroscopio (cioè con due oculari per garantire la stereopsi) dotato di accorgimenti tali da essere utilizzato in microchirurgia: caratterizzato da un obiettivo con ridotto potere di ingrandimento (ULMO ultra low magnification objective) e lunga distanza di lavoro (SLWD super long working distance), montato su uno stativo con braccio meccanico che permette il posizionamento sul campo operatorio, è costituito da diverse componenti delle quali è importante conoscere la corretta terminologia: • • le parti meccaniche che comprendono lo stativo con il braccio; le parti ottiche o corpo ottico rappresentate dall’obiettivo, gli oculari, i tubi binoculari, il variatore di ingrandimenti, il sistema di illuminazione e il diaframma. La figura seguente illustra un moderno microscopio operatorio; indipendentemente dalla marca presa ad esempio, ve ne sono di molteplici modelli con lo stesso schema di base e con differenze costruttive più o meno marcate nei vari componenti. Fig. 4.1 Corpo ottico del microscopio operatorio. 75 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Oculari: sistema semplice di lenti che vede e ingrandisce ulteriormente l’immagine del campo operatorio già ingrandita dall’obiettivo. sistema di lenti che danno la prima immagine ingrandita del campo operatorio e determina la distanza di lavoro. Obiettivo: vi sono incorporati l’illuminatore con il sistema di raffreddamento, il variatore di ingrandimenti, il diaframma, i portafiltri e i sistemi di documentazione (macchina fotografica e da ripresa). Corpo ottico: Variatore di ingrandimenti: è il dispositivo interno al corpo ottico che permette il cambiamento rapido delle ottiche; porta generalmente da 3 a 5 lenti a diverso ingrandimento. Può essere costituito da un sistema girevole a revolver regolabile con una manopola o da un sistema automatico a zoom. contiene la sorgente di luce, generalmente raffreddata da una ventola. La luce può essere portata sul campo operatorio per riflessione o attraverso un sistema di fibre ottiche. Il condensatore è un sistema di lenti posto sul percorso del fascio luminoso ed ha la funzione di focalizzare l’immagine della sorgente luminosa nel piano focale dell’obiettivo e regolare la quantità di luce. Illuminatore: a iride, è regolato con una levetta; modula la quantità di luce che perviene agli oculari dal campo operatorio. Diaframma: può essere a pavimento, a parete, a soffitto, a soffitto telescopico motorizzato. Quest’ultimo in particolare consente posizionamenti più rapidi, facili e precisi. Stativo: il braccio sorregge il corpo ottico e può avere diverse caratteristiche costruttive (meccanico a frizione, con blocchi elettromagnetici). Braccio dello stativo: Manopola per regolare la frizione del braccio: il sistema interamente meccanico, semplice ma molto efficace, consente al chirurgo di regolare in continuo tutti i movimento di rotazione, orientamento od inclinazione da molto dolce fino al bloccaggio totale. 76 CA P I TO L O 4 A N ATO M I A D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O L’obiettivo L’obiettivo è il componente ottico più vicino all’oggetto e da tale fatto deriva il nome (dal latino objectum); riconosce la funzione di proiettare un’immagine intermedia dell’oggetto (reale, invertita, ingrandita o rimpicciolita), sul piano focale inferiore dell’oculare, in modo che questo possa vederla e ingrandirla. La lunghezza meccanica del tubo è definita come la distanza dal punto in cui si monta l’obiettivo, alla sommità dei tubi binoculari dove sono montati gli oculari. Gli obiettivi prodotti in passato erano costruiti per modelli di microscopi con lunghezza meccanica finita del tubo ottico (generalmente 160-170 mm) e mettevano a fuoco l’immagine intermedia in una zona fissa (piano focale intermedio); tale dato limitava l’inserimento di accessori che, se non appositamente studiati e/o compensati, aumentando la lunghezza del percorso ottico causavano aberrazioni ottiche. Gli obiettivi attualmente prodotti sono corretti all’infinito; si tratta di sistemi ottici ottenuti con l’inserimento di lenti addizionali che hanno la funzione di proiettare l’immagine intermedia all’infinito; i raggi emergenti dall’obiettivo sono paralleli, cioè privi di vergenza. In questo modo disponiamo di microscopi corretti all’infinito, in cui la lunghezza mec- PIANO DEL DIAFRAMMA DELL’OCULARE Fig. 4.2 Obiettivo corretto all’infinito. zona di avvitamento lente singola lente doppia Fig. 4.3 Obiettivo a ultra low magnification. lente frontale lenti addizionali alloggiamento per lente obiettivo PIANO FOCALE ANTERIORE DELL’OBIETTIVO 77 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A canica del tubo ottico diviene ininfluente e possono essere aggiunti vari accessori intercambiabili. Gli obiettivi utilizzati in microscopia operatoria sono definiti ultra-low magnification objective (termine genericamente riferito a obiettivi con potere di ingrandimento inferiore a 4x) che risultano costituiti da sistemi di lenti apocromatiche con valori di ingrandimento uguali o inferiori a 0,5x e apertura numerica uguale o inferiore a 0,025. La regolazione della messa a fuoco dell’obiettivo può essere attuata: • • • manualmente muovendo il corpo ottico in toto o la poltrona odontoiatrica per aggiustamenti macrometrici; manualmente girando una ghiera micrometrica per piccoli aggiustamenti; in modo automatico mediante zoom a pulsante o a pedale nei modelli più complessi. Attualmente sono disponibili obiettivi intercambiabili con diverse lunghezze focali che variano mediamente tra i 91 e i 390 mm. Sulla lente o sulla montatura, a seconda le case produttrici, possono essere riportate alcune specificazioni come: • • il potere di ingrandimento (ad esempio 0,5x) e l’apertura numerica (ad esempio 0,025); la lunghezza del tubo binoculare (generalmente 160-170 mm preceduta dal simbolo di infinito) se non si tratta di un modello corretto all’infinito. L’obiettivo rappresenta l’elemento più critico del microscopio, in quanto da esso dipendono i parametri che caratterizzano le possibilità di lavoro in microchirurgia: • • 78 il potere di ingrandimento; poiché tale parametro è inversamente proporzionale alla lunghezza focale, gli obiettivi dei microscopi operatori (che hanno generalmente una lunghezza focale di 200-300 mm), forniscono un’immagine rimpicciolita del campo operatorio (0,5-0,34x); la profondità di campo, cioè l’intervallo di messa a fuoco o di campo nitido; poiché tale parametro è inversamente proporzionale al potere di ingrandimento, gli obiettivi dei microscopi operatori (che utilizzano generalmente ingrandimenti 0,5-0,34x), forniscono una buona profondità di campo nell’ordine di qualche cm; CA P I TO L O 4 A N ATO M I A D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O • • il diametro del campo visivo; poiché tale parametro è direttamente proporzionale alla lunghezza focale e inversamente agli ingrandimenti, i microscopi operatori (che hanno generalmente una lunghezza focale di 200-300 mm), forniscono un campo visivo ampio; la lunghezza focale; tale parametro (generalmente di 200-300 mm) è inversamente proporzionale alla potenza d’ingrandimento e determina la distanza di lavoro. La lunghezza focale dell’obiettivo è definita come la distanza dal centro della lente al campo operatorio; mentre la distanza di lavoro consiste nella distanza dalla superficie esterna della lente al campo operatorio. Per lenti di ridotto spessore la distanza di lavoro può essere considerata equivalente alla lunghezza focale. Dalle precedenti definizioni consegue che la distanza di lavoro aumenta scegliendo obiettivi con una maggiore lunghezza focale; tale fatto incrementa lo spazio tra corpo ottico e campo operatorio (distanza di lavoro), permettendo all’odontoiatra di lavorare in piena libertà di movimento con gli strumenti e i manipoli con i relativi cordoni. In odontoiatria, la distanza di lavoro ideale è di 20-30 cm e implica l’utilizzazione di obiettivi con lunghezza focale tra 200 e 300 mm (SLWD super long working distance). Tab. 4.1 DAT I O T T I C I O B I E T T I V I L E I C A Lunghezza focale (mm) Ingrandimento ,Distanza di lavoro (mm) Campo di visuale (diametro mm) 91 1.0x 91 24 150 0.67x 140 36 175 0.6x 170 43 200 0.5x 190 48 225 0.44x 215 55 250 0.4x 240 60 275 0.36x 265 67 300 0.33x 290 72 350 0.28x 350 87 400 0.25x 390 96 79 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Gli oculari Fig. 4.4 Oculari. Gli oculari sono montati sulla sommità dei tubi binoculari e sono composti dal sistema di lenti, cui si accosta l’occhio; hanno la funzione di ingrandire l’immagine intermedia fornita dall’obiettivo, fornendo un’immagine virtuale, diritta e ingrandita all’occhio dell’operatore. Una funzione accessoria degli oculari consiste nel correggere le eventuali aberrazioni causate dall’obiettivo, soprattutto la differenza cromatica di ingrandimento e la curvatura di campo. Sul mercato sono disponibili oculari con diversi ingrandimenti (da 10x a 20x) e, in odontoiatria, si utilizzano normalmente modelli con 10x o 12,5x. Normalmente le montature degli oculari riportano impresse alcune specificazioni: • • • Fig. 4.5 Scale graduate in oculari micrometrici. Fig. 4.6 Oculari 10x con regolazione diottrica. il numero di ingrandimenti, ad esempio 10x; l’indice di campo, ad esempio 21BI (importante per la luminosità dell’immagine osservata); le dimensioni del campo operatorio, ad esempio WF (wide field) che significa visione panoramica. Gli oculari micrometrici sono muniti di scala graduata o di altri sistemi (graticole o reticoli), che si sovrappongono sull’immagine, per eseguire misurazioni delle dimensioni dell’oggetto osservato o centrare fotografie o cinematografie. È evidente che, in una scala micrometrica lineare, lo spazio tra le tacche varia in relazione all’ingrandimento usato e che tale parametro può essere agevolmente calcolato. Gli oculari permettono la regolazione diottrica (generalmente da -5 a +5) per consentire di lavorare senza occhiali anche al chirurgo affetto da vizi di rifrazione (miopia, ipermetropia, presbiopia). Per inciso, l’uso degli occhiali al microscopio è indispensabile solo in caso di astigmatismo. coppetta di gomma lente oculare lente singola regolazione diottrica tripla lente aper tura 80 vite di fissaggio oculare doppia lente zona di montaggio dell’oculare zona di intersezione CA P I TO L O 4 A N ATO M I A D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I tubi binoculari I tubi binoculari sono costituiti da due monocoli, affiancati, distanziati, sui quali sono montati gli oculari; hanno la funzione di inviare due diverse immagini (coppia stereoscopica) ai due occhi per garantire la stereopsi. Per la visione ottimale, l’utilizzatore può regolare la distanza interpupillare (da 55 a 75 mm). I tubi binoculari sono disponibili: Fig. 4.7 Distanza interpupillare regolabile. • • con inclinazione fissa sia diritti (paralleli all’asse del microscopio) che inclinati di 45°; con inclinazione regolabile sino a oltre 180°. Questi ultimi risultano i più utili in odontoiatria, in quanto permettono di adeguare l’angolo visivo di accesso in modo da raggiungere, in visione diretta, la maggior parte delle zone del campo operatorio; garantiscono, inoltre, la maggiore flessibilità d’uso garantendo una osservazione senza affaticamento, in posizione rilassata della muscolatura del dorso e del collo. Nei tubi binoculari, inclinati e inclinabili, le lenti sferiche sono accoppiate con prismi aventi la funzione di deviare il percorso dei raggi luminosi. Figg. 4.8, 4.9 Tubo binoculare 45° e tubo binoculare 0-180°. 81 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Il variatore di ingrandimenti Il variatore di ingrandimenti, localizzato nella parte intermedia del corpo ottico, cuore del microscopio operatorio, è disponibile in due versioni: • • Figg. 4.10, 4.11 Variatore di ingrandimenti manuale e variatore di ingrandimenti a zoom. manuale con variazione degli ingrandimenti a scatti con tre o cinque posizioni, in cui le lenti sono poste su un dispositivo a revolver e sono intercambiate tramite una manopola posta direttamente sul corpo ottico; elettrico, con variazione degli ingrandimenti continua, in cui lo zoom (variando la distanza tra le lenti) consente di variare l’ingrandimento utilizzando pulsanti posti su maniglie o mediante pedaliera. Lo zoom è un obiettivo pancratico, in cui la distanza focale può essere variata con continuità entro limiti piuttosto ampi con comando manuale oppure a motore elettrico; consente di variare l’ingrandimento del soggetto senza cambiare l’obiettivo. L’ingrandimento dato dal variatore, che muta le ottiche, rappresenta il fattore ottico intermedio di ingrandimento; dato riportato nella formula di calcolo dell’ingrandimento lineare e che generalmente varia tra 1,25-2,5x. stativo Fig. 4.12 Schema del variatore manuale con dispositivo a revolver. illuminatore oculare variatore di ingrandimenti obiettivo via ottica luce 82 CA P I TO L O 4 A N ATO M I A D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O Il diaframma Fig. 4.13 Doppio diaframma ad iride. Il diaframma è uno schermo opaco con foro centrale, per lo più circolare, disposto perpendicolarmente e centrato sull’asse ottico del microscopio operatorio; ha la funzione di ridurre opportunamente l’apertura del sistema e, quindi, di eliminare i raggi marginali. La forma più comune è il diaframma a iride, così detto perché la sua funzione è analoga a quella che nell’occhio svolge l’iride. La regolazione della sua apertura (manuale con una leva o automatica) permette di modulare l’ampiezza del cono di luce, quindi la quantità dei raggi luminosi che arrivano agli oculari. Si tratta di un accessorio che opportunamente chiuso (spostando la leva verso i valori minori) ci permetterà di: • • variare di qualche millimetro la distanza di lavoro mantenendo nitida l’immagine (aumenta la profondità di campo); diminuire la luminosità del campo operatorio, riducendo l’abbagliamento e aumentando il contrasto. Il diaframma, peraltro, non è presente in molti modelli presenti sul mercato. L’illuminatore Fig. 4.14 Lampada Xenon 300 W. L’illuminazione è di tipo incidente verticale ed è ottenuta facendo pervenire la luce dall’illuminatore incorporato, generalmente posto di lato al percorso ottico, su un prisma (o uno specchio anulare piano), in modo da deviare il fascio di luce sull’asse del corpo ottico. Sul percorso del fascio luminoso possono essere inseriti dei diaframmi di campo e delle lenti con funzione di collettori e di condensatori. In particolare, il condensatore raccoglie la luce dalla sorgente luminosa e la concentra in un cono di luce che illumina il campo operatorio in modo completo e uniforme. La luce è poi trasmessa verticalmente dalle stesse lenti del sistema ottico, sul campo operatorio che diventa a sua volta sorgente di luce. La luce incidente, infatti, viene riflessa dall’oggetto verticalmente nell’obiettivo e può essere vista dagli oculari (illuminazione a incidenza verticale). Il reostato è un alimentatore a tensione variabile con cui si può abbas- 83 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A ventilazione lampada al tungsteno lente collettore alloggiamento per lampada lampada al tungsteno o alogena specchio beam splitter diaframma di aper tura del condensatore al microscopio diaframma di campo zona di inserimento ventilazione sare l’intensità luminosa (ad esempio per il lavoro visivo) e aumentarla (ad esempio per la fotografia), consentendo con ciò anche un prolungamento della vita del filamento a incandescenza delle lampade. Le lampadine a bassa tensione (6-12V con 15-100W) hanno le caratteristiche ottimali di sorgenti luminose di piccola area (puntiforme), di elevata intensità e di lunga vita (lampadina a incandescenza al tungsteno; lampade alogene al quarzo-iodio; lampade ARC allo xenon). Indipendentemente dal tipo di sorgente utilizzata, tutti i bulbi sviluppano un’elevata temperatura e sono disposti in porta-lampade raffreddati da ventilatori; in molti modelli, inoltre, la lampadina è doppia, prevedendo una riserva in modo da consentire, in caso di necessità, una rapida sostituzione senza interrompere l’intervento in corso. La luce che perviene sul campo operatorio può essere veicolata attraverso fibre ottiche (in questo caso si parla di luce fredda) o direttamente dal sistema ottico (in quePIANO DELL’IMMAGINE INTERMEDIA sto caso si parla di luce calda e si deve consideimmagine della lampada rare l’inserimento di filtri termici). I filtri antisul condensatore di aper tura del diaframma termici assorbono selettivamente le radiazioni IR e vengono utilizzati con sorgenti di luce emananti diaframma lente molto calore per proteggere i tessuti del campo di campo collettore operatorio da danni da calore. I filtri non sono necessariamente resistenti al calore e per tale motispecchio vo: l’alloggiamento del filtro dovrà essere un po’ più ampio del filtro stesso, dovendo permetterlampada piano focale ne la dilatazione; inoltre dovrà essere distante dal posteriore piano di fuoco del fascio luminoso (piano focale dell’obiettivo dell’illuminatore) per evitare che si rompa. obiettivo Figg. 4.15, 4.16 Illuminatore per microscopio a luce riflessa e camera per lampada alogena. CAMPIONE 84 Fig. 4.17 Schema di microscopio operatorio con vie ottiche e sistema di illuminazione. CA P I TO L O 4 A N ATO M I A D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O Lo stativo Ciò che trasforma di fatto uno stereomicroscopio, quindi un sistema ottico più o meno sofisticato, in un vero microscopio operatorio di ultima generazione è l’insieme dei congegni meccanici di movimento che ne consentono il suo utilizzo durante un intervento chirurgico. Lo stativo è, forse, oggi, l’elemento dove esiste la maggior differenza tra le aspettative degli operatori e le possibilità di realizzazione tecnica; il microscopio operatorio ideale dovrebbe essere stabile, poco ingombrante, leggero a muoversi in modo da essere introdotto, pilotato e allontanato dal campo operatorio con facilità. Lo stativo è disponibile in diverse soluzioni che si adattano alle situazioni logistiche: • • • a pavimento con una base a quattro gambe, che rappresenta la soluzione più richiesta per praticità di installazione e spostamento; a parete con un braccio snodabile, che non presenta vantaggi rispetto alla soluzione a soffitto; a soffitto azionato da un sistema telescopico manuale o motorizzato. A questa soluzione va la nostra preferenza per il loro ridotto ingombro nello studio odontoiatrico; pur a discapito della loro mancanza di spostabilità in altri studi e di alcune difficoltà di istallazione (talvolta è necessario rinforzare i soffitti per reggere il non indifferente peso del microscopio operatorio). Figg. 4.18, 4.19 Stativo a pavimento e stativo a soffitto. 85 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Il sistema di bilanciamento e di stabilizzazione, del braccio meccanico che sostiene il corpo ottico sul campo operatorio, può essere ottenuto con diversi sistemi: • • • con blocchi magnetici; con dischi perforati che bloccano in posizioni fisse; con frizioni meccaniche. La nostra preferenza consiste su un sistema di bilanciamento interamente meccanico, semplice ma molto efficace, che consente al chirurgo di regolare in continuo tutti i movimento di rotazione, orientamento od inclinazione da molto dolce fino al bloccaggio totale, garantendo anche che il microscopio rimanga esattamente fermo in ogni posizione scelta. I movimenti di posizionamento e allontanamento nel campo operatorio risultano essere estremamente facili se si regolano le frizioni in modo dolce, senza bloccare il movimento. Una volta posizionato, l’intero corpo del microscopio può essere spostato agevolmente; in alcuni modelli anche con la semplice pressione della testa e, quindi, guidato all’interno del campo operatorio senza l’ausilio della mani. Da ricordare, infine, che alcuni modelli dispongono di movimenti completamente motorizzati con comando a pedale o vocale. Fig. 4.20 Sistema di bilanciamento su tre assi gravitazionali. 86 CA P I TO L O 4 A N ATO M I A D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O Gli accessori Tra i requisiti richiesti al microscopio operatorio c’è, senz’altro, quello della modularità, ossia la possibilità di applicare accessori quali adattatori (detti anche ripartitori, fototubi o beam splitter) per telecamere o macchine fotografiche. Per consentire la visione contemporanea dell’operatore e dell’assistente, si può utilizzare un sistema binoculare o un monoculare che utilizzi lo stesso sistema ottico. Tale soluzione, però, interferisce con la mobilità del corpo ottico, soprattutto nei casi in cui si operi un’odontoiatria estesa a più settori, che richieda frequenti spostamenti (protesi, conservativa a quadranti, chirurgia parodontale) e non sia limitata a un singolo ristretto campo operatorio (come ad esempio l’endodonzia). Per la comunicazione con altri componenti dello staff, appare quindi più utile l’utilizzazione di telecamere integrate nel sistema, che presentano l’ulteriore vantaggio di documentare gli interventi e facilitare la comunicare con il paziente. In passato l’inserimento di nuovi accessori era limitato poiché i microscopi erano costruiti con una lunghezza meccanica del tubo finita (160-170 mm secondo un valore convenzionale fissato dalle case co- Figg. 4.21, 4.22 Ghiera di rotazione sul piano orizzontale. 87 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Figg. 4.23, 4.24 Ghiera di rotazione sul piano vericale. struttrici), la cui alterazione o allungamento, dato dall’inserimento di accessori, poteva provocare aberrazioni ottiche. Attualmente, invece, l’inserimento di accessori è enormemente facilitato con l’introduzione di obiettivi corretti all’infinito (i raggi emergenti sono, cioè, paralleli); è così possibile inserire accessori intercambiabili (anche di diverse marche) allungando la lunghezza meccanica del tubo ottico, senza inserire aberrazioni. Le caratteristiche consigliate Le caratteristiche da considerare per l’acquisto di un microscopio operatorio sono: la qualità dell’ottica, la stabilità meccanica, la manovrabilità e la modularità. Attualmente sono disponibili sul mercato internazionale diverse marche, prodotte in diversi Stati, come Kaps (Germania), Leica (Svizzera), Moller (Germania), Zeiss (Germania), Global (USA). Partendo, quindi, dalla considerazione che, in odontoiatria, è necessario utilizzare un microscopio che risponda a specifiche necessità, cercheremo di chiarire i criteri di scelta, che ciascun operatore deve valutare e adattare alle proprie necessità e campi di applicazione. Escludendo applicazioni specialistiche particolari, riteniamo che la maggior parte degli odontoiatri possa utilizzare con soddisfazione, nella propria prassi lavorativa, un modello di microscopio che abbia le caratteristiche riportate nella tabella seguente. Si tratta di un modello completo e di facile utilizzazione, ma costoso; una buona soluzione di compromesso che riduca il costo di acquisto può prevedere uno stativo a pavimento ed una regolazione manuale del variatore di ingrandimenti. 88 CA P I TO L O 4 A N ATO M I A D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O C A R AT T E R I S T I C H E P E R U N M I C R O S C O P I O O P E R AT O R I O I N O D O N T O I AT R I A Componente Caratteristica • 250 mm Distanza di lavoro che permette il passaggio di strumenti, manipoli e cordoni. • 10x o 12x Si raggiunge un ingrandimento di 20x, adeguato a tutte le situazioni cliniche. • A “iride” Il diaframma aumenta la profondità di campo e il contrasto (visione tridimensionale). • Range di ingrandimenti sino a 18-20x Utilizzati normalmente 6-10x; ingrandimenti superiori limitati a par ticolari indicazioni. Facilità d’uso senza interruzioni. Obiettivo Oculare Diaframma Variatore di ingrandimento • Zoom motorizzato con comando a pedaliera • Orientabile 90-180° Raggiungere in visione diretta la maggior par te delle zone operatorie; ridurre il lavoro in visone indiretta. • Lampade ARC allo xenon (150 Watt) Spettro luminoso sovrapponibile alla luce diurna. • Bilanciato con frizioni meccaniche Possibilità di muovere il corpo ottico con la pressione della testa. • A “soffitto”. Bilanciamento del braccio con frizioni meccaniche Ingombro limitato, facile accessibilità. Possibilità di muovere il corpo ottico con la pressione della testa. • Telecamera Documentazione, comunicazione con il paziente, interazione odontoiatra-assistente. Tubo binoculare Illuminazione Braccio e suppor to Stativo Accessori Motivazione • Macchina fotografica Tab. 4.2 89 PRINCIPI DI OTTICA DEL MICROSCOPIO OPERATORIO 90 CA P I TO L O 5 Introduzione Il microscopio operatorio e i microscopi ottici da laboratorio riconoscono in comune il fatto di essere microscopi composti, definibili come sistemi diottrici centrati costituiti da due lenti convergenti: oculare e obiettivo, che però in pratica, sono sostituite da sistemi di lenti. Le loro caratteristiche, rispondendo a differenti utilizzazioni, sono, comunque, molto diverse: • il microscopio operatorio è caratterizzato da un obiettivo con ridotto potere di ingrandimento (ULMO ultra low magnification objective) e da una lunga distanza di lavoro (SLWD super long working distance); per ottemperare alle esigenze della microchirurgia che richiedono un basso numero di ingrandimenti (raramente superiori a 20x) e la necessità di spazio per lavorare con gli strumenti chirurgici (20-30 cm); • i microscopi ottici da laboratorio sono utilizzati per l’osservazione ad alti ingrandimenti (centinaia o migliaia di volte) di oggetti o di campioni, con distanze di lavoro nell’ordine di millimetri o decimi di millimetro. Per questo motivo, pur rispondendo alle stesse leggi dell’ottica, molti dei problemi, tipici della microscopia ad alto ingrandimento da laboratorio, non raggiungono una soglia di apprezzabilità in microchirurgia. La trattazione dei problemi di ottica, inerenti il microscopio operatorio, risulta semplificata nei confronti di altri strumenti ottici di precisione; pur tuttavia è necessario affrontare alcuni concetti di fisica che esulano dalla formazione elementare dell’odontoiatra. 91 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A L’occhio umano e il microscopio La dimensione apparente di un oggetto è determinata dalle dimensioni dell’immagine retinica. Per questo motivo, per osservare dettagli di un oggetto molto piccolo, lo avviciniamo agli occhi, o ci avviciniamo ad esso, in modo che sulla retina si formi un’immagine sufficientemente grande. retina Fig. 5.1 La visione nell’occhio umano. muscolatura estrinseca iride cornea pupilla cristallino ner vo ottico Poiché la grandezza di questa immagine è direttamente proporzionale all’angolo visivo e inversamente proporzionale alla distanza tra oggetto e centro ottico dell’occhio, sarebbe logico pensare che con un maggiore avvicinamento, questo appaia sempre più ingrandito e con dettagli più evidenti. Ma questo non si verifica poiché il nostro occhio è incapace di accomodare, cioè di mettere a fuoco distintamente, un oggetto più vicino del punto prossimo (misura che varia con l’età); così, superato il punto prossimo viene superato anche il potere di accomodamento e la visione diviene indistinta. Gli strumenti destinati ad aiutare l’occhio nella visione degli oggetti molto minuti sono: la lente d’ingrandimento e il microscopio complesso. Si tratta di strumenti ottici che, in generale, sono definibili come sistemi ottici centrati, composti da lenti o specchi, destinati a fornire delle immagini (reali o virtuali) di oggetti. A A B N C D d c b a B B1 O O1 B α α1 N punto nodale Figg. 5.2, 5.3 L’angolo visivo e l’immagine retinica: A – l’oggetto AD ha dimensioni maggiori di BC e sottende un angolo visuale più ampio; l’immagine retinica ad è pertanto più grande di bc; B – l’oggetto O1B1 pur avendo dimensioni lineari uguali a OB sottende un angolo visuale più ampio (α > α1) e forma un’immagine retinica più grande, perché è più vicino all’occhio. 92 o b b1 CA P I TO L O 5 Il microscopio semplice retina lente ingrandente singola oggetto immagine vir tuale Fig. 5.4 Visione con lente d’ingrandimento. Figg. 5.5, 5.6 A – Visione a occhio nudo; B – Visione con l’aiuto di una lente di ingrandimento: l’oggetto AB, proiettato sulla retina (A1 B1) è visto ingrandito, come (A2 B2). P R I N C I P I D I OT T I CA D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O Lo strumento più semplice per superare i limiti fisiologici della vista è la lente d’ingrandimento; cioè una lente convergente che posta dinanzi all’occhio, facendo convergere i raggi ottici, diminuisce la distanza del punto prossimo, permettendo l’accomodazione e quindi la formazione di un’immagine retinica più grande e nitida (fig. 5.4). La lente di ingrandimento convergente, definita microscopio semplice, viene usata mettendo l’oggetto tra essa e il fuoco, condizione nella quale l’immagine risulta virtuale, diritta, ingrandita. Per comprendere il meccanismo con cui si formano le immagini con le lenti convergenti, per semplicità di costruzione geometrica, usiamo due raggi: uno parallelo all’asse ottico che si rifrange per il fuoco; l’altro passante per il centro della lente che, in quanto sottile, si comporta come una lastra a facce parallele (figg. 5.5 e 5.6). Ogni lente è caratterizzata da un fuoco (F), cioè da quel punto sull’asse ottico principale in cui vanno a convergere dopo la rifrazione tutti i raggi incidenti; dove, per una lente convergente, bisogna porre uno schermo per raccogliere l’immagine (reale) nitida di un oggetto molto lontano. In base al principio della reversibilità e dei punti coniugati si definiscono due fuochi: il fuoco del piano oggetto e il fuoco del piano immagine, con le rispettive distanze focali dal centro della lente. Per quanto attiene l’effetto che ha la distanza dell’oggetto dalla lente sulle caratteristiche dell’immagine, si possono verificare le seguenti condizioni: A α B1 A A1 B 250 mm A2 A B1 B A1 F B f B2 93 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A • • • • • se l’oggetto è lontano (posto ad una distanza maggiore di 2F), 1’immagine sarà reale, capovolta e rimpicciolita; un’immagine reale può essere raccolta su uno schermo (fig. 5.7); se l’oggetto è posto ad una distanza uguale a 2F, l’immagine sarà reale, capovolta e della stessa grandezza dell’oggetto stesso (fig. 5.8); se l’oggetto è ad una distanza compresa tra F e 2F, l’immagine sarà reale, capovolta e ingrandita (fig. 5.9); quando l’oggetto è posto esattamente nel piano focale (posizione focale), i raggi che escono dalla lente diventano paralleli e si forma un’immagine posta all’infinito; se l’oggetto è posto ad una distanza dalla lente inferiore a F (posizione subfocale), l’immagine sarà virtuale, diritta e ingrandita. L’immagine virtuale non può essere raccolta su uno schermo o fotografata, ma l’occhio supplisce vedendola. Una lente d’ingrandimento, definita microscopio semplice, non permette di ottenere ingrandimenti elevati (in genere non oltre 6-10x); mentre è possibile superare tale limite aggiungendo una seconda lente, che avrà l’effetto di ingrandire l’immagine reale fornita dalla prima, costruendo così un microscopio composto. distanza focale oggetto Fig. 5.7 Visione di un oggetto lontano al microscopio semplice. immagine lente convessa punto focale distanza focale oggetto Fig. 5.8 Visione al microscopio semplice di un oggetto posto sul doppio della distanza focale. immagine lente convessa punto focale distanza focale immagine oggetto Fig. 5.9 Visione al microscopio semplice di un oggetto posto tra la distanza focale e il suo doppio. lente convessa punto focale 94 CA P I TO L O 5 P R I N C I P I D I OT T I CA D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O Il microscopio composto è un sistema diottrico centrato costituito da due lenti convergenti (oculare e obiettivo) nettamente distinte. Nei microscopi ottici da laboratorio, costruiti per osservare ad alti ingrandimenti, l’obiettivo ha una distanza focale corta, mentre l’oculare ha una distanza focale più lunga. L’oggetto AB viene messo davanti all’obiettivo (piano oggetto) ad una distanza lievemente superiore della focale (F), ma minore della doppia distanza focale (altrimenti l’immagine verrebbe molto rimpicciolita). L’obiettivo fornisce un’immagine A1B1 reale capovolta, ingrandita; la quale, in base al teorema dei punti coniugati, si forma, per la convergenza dei raggi ottici, sul fuoco posteriore della lente dell’obiettivo (piano immagine). Questa immagine è definita immagine intermedia e il piano su cui si forma è definito piano dell’immagine intermedia. Il piano dell’immagine intermedia è, per costruzione nel microscopio, situato in posizione subfocale rispetto all’oculare, cioè posto tra l’oculare e il fuoco dell’oculare stesso; in questo modo l’oculare può ingrandire l’immagine fornita dall’obiettivo. L’oculare, nei confronti di tale immagine, funziona cioè come un microscopio semplice; osserva l’immagine reale e invertita A1B1 formata dall’obiettivo, dando di essa un’immagine A2B2, la quale rispetto alla prima è virtuale, diritta, ingrandita. Il microscopio composto Figg. 5.10, 5.11 Schema ottico di un microscopio composto da laboratorio. A2 schermo che raccoglie l’immagine B2 P2 oculare oculare immagine intermedia piano dell’immagine B1 A1 250 mm Fo 250 mm Fi obiettivo oggetto condensatore obiettivo A F B immagine vir tuale immagine vir tuale 95 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Nell’immagine virtuale i raggi luminosi uscenti dalla superficie della lente sono divergenti, non hanno cioè un punto di intersezione comune, ma si allontanano gli uni dagli altri. Questo significa che l’occhio, al microscopio, osserva un’immagine all’infinito e non necessita di accomodazione. Le caratteristiche di un buon microscopio complesso sono: • • • • 96 il potere di ingrandimento, dato dal rapporto tra le dimensioni lineari dell’immagine e le corrispondenti dimensioni dell’oggetto reale. Si deve tenere presente, però, che con l’aumentare degli ingrandimenti diminuiscono la definizione e la profondità di campo; la capacità di risoluzione, la facoltà di vedere separati due punti vicini tra loro. Ogni sistema ottico produce immagini non formate da punti, ma da dischi (chiamati circoli di confusione) a causa di fenomeni di diffrazione. Un’immagine appare nitida all’occhio quando i circoli di confusione hanno un diametro inferiore a 0,05 mm. A tutto ciò si aggiunga che due punti dell’oggetto sono visti dall’occhio come punti distinti solo se la loro distanza è maggiore di un certo valore minimo (non inferiore a 75 micron); il potere di definizione, la capacità di presentare immagini nette e definite; la profondità di campo, la capacità di un microscopio di mettere a fuoco più piani di un oggetto contemporaneamente, che viene definita anche con il termine di potere di penetrazione. CA P I TO L O 5 P R I N C I P I D I OT T I CA D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O L’ingrandimento lineare L’ingrandimento è la proprietà di un sistema ottico di dare, di un oggetto, immagini più grandi di quelle che, dell’oggetto medesimo, si avrebbero a occhio nudo. L’ingrandimento convenzionale (per il quale si intende che, nella visione con la lente, l’oggetto sia quasi nel fuoco anteriore e che, nella visione a occhio nudo, l’oggetto si trovi alla distanza della visione distinta, assunta pari a 250 mm) è il rapporto tra la distanza della visione distinta a occhio nudo e la distanza focale della lente. Ic = PP/Fl Ic: PP: Fl: ingrandimento convenzionale distanza del punto prossimo (mediamente 25 cm a 45 anni) lunghezza focale della lente Questo è il motivo per cui, per avere forti ingrandimenti, conviene usare lenti di piccola distanza focale, con cui sono normalmente costruiti i microscopi da laboratorio destinati all’osservazione; per contro, i microscopi operatori, che utilizzano obiettivi con distanza focale lunga (mediamente 200-300 mm), raggiungono solo ingrandimenti limitati. Alcuni parametri, peraltro importanti in microchirurgia, variano in relazione inversamente proporzionale all’ingrandimento: aumentando l’ingrandimento diminuiscono sia la profondità di campo che l’ampiezza del campo visivo. Nel linguaggio comune, quando si parla di ingrandimento, si intende l’ingrandimento lineare che consiste nel rapporto fra le dimensioni dell’immagine e le dimensioni dell’oggetto. Il = I/O Il: I: O: ingrandimento lineare dimensioni dell’immagine dimensioni dell’oggetto Il numero di ingrandimenti può trovarsi indicato con varie notazioni; per esempio, un ingrandimento pari a 20, può essere scritto come: 20 ingr., x20 o 20x. Il potere di ingrandimento totale di un microscopio operatorio dipende dalla lunghezza focale dell’obiettivo, dalla lunghezza meccanica del tubo e dalla potenza dell’oculare: minore è la lunghezza focale, più lungo è il tubo e maggiore è l’ingrandimento. 97 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A L’esatto ingrandimento a cui si lavora può essere calcolato con la seguente formula, anche se per comodità si utilizzano tabelle predisposte dalle case costruttrici. I tot = fbinc · a · I oc. f ob. I tot: f tubo: f ob.: a: I oc: ingrandimento totale distanza focale del tubo binoculare (valore segnalato dalla ditta costruttrice che, in molti modelli, è di 160-170 mm; corrisponde alla lunghezza meccanica del tubo) distanza focale obiettivo (valore impresso sulla montatura dell’obiettivo; ricordando che gli obiettivi utilizzati in odontoiatria sono generalmente 200300 mm) fattore ottico intermedio di ingrandimento (valore sul variatore di ingrandimento detto anche fattore di ingrandimento della torretta; può variare ma mediamente varia tra 0,4-2,5x) ingrandimento dell’oculare (valore letto sulla montatura dell’oculare; ricordando che gli oculari utilizzati in odontoiatria sono generalmente 10-20x) Ad esempio: I tot = 170 mmc · 0,6x · 10x = 4x 250 mm. oppure: I tot = 170 mmc · 0,6x · 10x = 4x 250 mm. La lunghezza meccanica del tubo è definita come la distanza dal punto in cui si monta l’obiettivo, alla sommità dei tubi binoculari dove sono montati gli oculari. Fino al 1980 la maggior parte delle case costruttrici produceva microscopi con una lunghezza meccanica del tubo fissa, che variava convenzionalmente tra i 160-170 mm (tale valore è utilizzato ancora oggi nella formula di calcolo dell’ingrandimento). I moderni microscopi sono molto complessi e devono permettere l’inserimento di diversi moduli accessori (come ad esempio i sistemi di documentazione video e foto- 98 CA P I TO L O 5 P R I N C I P I D I OT T I CA D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O grafica); alterando, quindi, tutti i parametri ottici (posizioni focali delle lenti) che garantivano la qualità dell’immagine nei microscopi con lunghezza meccanica finita del tubo. Per questo motivo nei microscopi moderni sono state inserite delle lenti addizionali parallelizzanti (obiettivi corretti all’infinito) che accorciano la lunghezza meccanica apparente del tubo; cioè il tubo è più lungo, ma viene letto dal sistema ottico come se avesse la lunghezza di 160-170 mm. Queste lenti aggiungono, però, dei fattori di ingrandimento addizionali che sono denominati tube factor (fattori di ingrandimento); che nella maggior parte dei casi hanno peraltro un limitato valore (circa 1) e non sono riportati nella formula. Angolo di campo L’angolo di campo visivo è l’angolo formato dalle due rette passanti per il centro ottico dell’obiettivo e per i due estremi del diametro del campo circolare di cui l’obiettivo fornisce l’immagine. La lunghezza focale dell’obiettivo (espressa in millimetri) risulta inversamente proporzionale all’angolo di campo; ne consegue che un obiettivo con distanza focale maggiore consente di inquadrare un campo più piccolo di un obiettivo con una lunghezza focale minore. Nella figura A è riportato un obiettivo avente lunghezza focale (cioè distanza tra il centro ottico C e il piano della pellicola) corta (a) e un angolo di campo ampio (α). Nella figura B è riportato un obiettivo avente lunghezza focale lunga (b), con un angolo di campo ristretto (β); che consente di inquadrare un campo più piccolo e produce sul fotogramma un’immagine ingrandita rispetto all’altro obiettivo. Figg. 5.12, 5.13 La relazione tra lunghezza focale e angolo di campo in un obiettivo fotografico. b C α A β a C B 99 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Diametro di campo visivo e diametro di campo illuminato Il diametro di campo illuminato è rappresentato dalle dimensioni di campo operatorio su cui incide la luce del sistema di illuminazione; tale parametro varia in modo direttamente proporzionale alla distanza focale dell’obiettivo; il concetto è intuitivo, considerando che il cono di luce, che esce dall’obiettivo, si apre sempre maggiormente aumentando la distanza di lavoro. Evidentemente il campo illuminato deve avere la stessa estensione del campo visivo e deve essere illuminato in maniera omogenea e sufficiente ai compiti visivi. Il diametro di campo visivo coincide con le dimensioni di campo operatorio, di cui il microscopio fornisce l’immagine; è espresso dalla formula seguente. D = FN/MO x MT D: FN: MO: MT: diametro del campo visivo in mm (diameter) indice di campo dell’oculare (field number in mm) ingrandimento dell’obiettivo letto sull’obiettivo (magnification objective) fattore ottico del tubo letto sul variatore di ingrandimenti (tube lens magnification factor) L’indice di campo dell’oculare è un valore fornito dalla casa costruttrice: esprime il diametro di campo visto dall’oculare ed è un valore inversamente proporzionale al potere di ingrandimento degli oculari. Il concetto è, comunque, intuitivo se si pensa che aumentando gli ingrandimenti diminuisce la dimensione di campo visibile. Peraltro i moderni microscopi sono attrezzati con oculari a grande indice di campo (22-28 mm). Tab. 5.1 RAPPORTO TRA INGRANDIMENTO TOTALE E DIAMETRO DEL CAMPO VISIVO* Ingrandimento totale 1x 25 2x 12,5 5x 5 10x 2,5 20x 1,2 (*) negli stereomicroscopi Leica 100 Diametro del campo visivo in mm (per FN = 25) CA P I TO L O 5 P R I N C I P I D I OT T I CA D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O Profondità di campo La profondità di campo, o potere di penetrazione, è la distanza tra due piani limite, superiore e inferiore, messi a fuoco contemporaneamente dall’obiettivo. La profondità di campo è inversamente proporzionale alla potenza di ingrandimento dell’obiettivo; tale fatto è intuitivo, se immaginiamo la zona a fuoco come un cilindro: aumentando gli ingrandimenti il cilindro si riduce sia come area della base (dimensioni del campo operatorio visibile) sia in altezza (profondità di campo). D = AN x e x L/F D: AN: e: L: F: alto AN basso AN In termini più corretti, la riduzione della profondità di campo, all’aumentare degli ingrandimenti, è spiegabile con la presenza dei circoli di confusione (che compaiono nella formula). Infatti, in microscopia ogni punto dell’oggetto viene reso nell’immagine come un disco (circolo di confusione), per fenomeni di diffrazione della luce; il circolo di confusione consiste in un’immagine non formata, paragonabile a quello che in fotografia è “l’effetto grana”. Al di sotto di un certo diametro, convenzionalmente indicato in 0,05 mm, l’occhio non è capace di distinguere circoli di dimensioni differenti; vale a dire che i circoli di diametro minore sono percepiti come punti. Quindi aumentando l’ingrandimento, aumenta il diametro dei circoli di confusione e l’immagine diviene meno nitida; si parla di ingrandimento a vuoto. Va infine ricordato che lavorando ad ingrandimenti elevati (ad esempio 15-20x), un ulteriore aumento della profondità di campo può essere ottenuto chiudendo il diaframma a iride; questo accorgimento, però, riducendo l’ampiezza del cono di luce che entra nell’obiettivo dal campo operatorio, riduce l’apertura angolare dell’obiettivo e, secondo la formula illustrata, diminuisce anche il potere di risoluzione del microscopio. profondità di campo Fig. 5.14 Aumento della profondità di campo: al diminuire degli ingrandimenti, con obiettivi a lunga distanza focale e bassa apertura angolare, aumenta la profondità di campo. profondità di campo apertura numerica dell’obiettivo diametro del circolo di confusione distanza tra il centro ottico e l’immagine lunghezza focale dell’obiettivo 101 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Potere di risoluzione Il potere di risoluzione esprime la capacità del sistema ottico di fornire immagini distinte e separate di oggetti molto vicini tra loro; può essere misurata come la distanza di separazione minima visibile tra due punti vicini del campione osservato. Il potere di risoluzione dell’occhio umano è di 75 micron; cioè l’occhio non è capace di vedere come distinti, cioè separati, due punti distanti meno di 75 micron. Il potere di risoluzione dell’obiettivo di un microscopio può essere calcolato con la seguente formula in cui la distanza di risoluzione è il quoziente della lunghezza d’onda della luce per il doppio dell’apertura numerica dell’obiettivo. R = L/(2AN) R: L: AN: distanza di separazione o risoluzione del microscopio (micron) lunghezza d’onda della luce (nanometri) apertura numerica dell’obiettivo Il limite del potere di risoluzione di un microscopio ottico può essere spiegato riferendosi al fatto che non è vero che più si ingrandisce un oggetto, maggiore è il numero di dettagli che diviene visibile. Infatti esiste un limite al potere di ingrandimento del microscopio, oltre il quale il sistema di lenti non potrà fornire immagini nitide. Ogni sistema ottico produce immagini non formate da punti, ma da dischi chiamati “circoli di confusione” (airy discs) a causa di fenomeni di diffrazione; essi contengono una zona centrale molto luminosa circondata da circoli concentrici più scuri. Aumentando l’ingrandimento aumenta anche il diametro dei circoli di confusione e si parla di ingrandimento a vuoto quando, aumentando gli ingrandimenti, non si aggiungono particolari all’immagine che si presenta indefinita. Fig. 5.15 Circoli di confusione (airy discs). 102 CA P I TO L O 5 P R I N C I P I D I OT T I CA D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O Un’immagine appare nitida all’occhio umano quando i circoli di confusione hanno un diametro inferiore a 0,05 mm; a ciò si deve aggiungere il potere di risoluzione dell’occhio umano che è capace di vedere come distinti, cioè separati, due punti distanti non meno di 75 micron. Ne consegue che il potere di risoluzione del microscopio è elevato, sino a quando le immagini dei circoli di confusione, forniti dal sistema ottico all’occhio, rimangono con un diametro inferiore a 0,05 mm e distano tra loro meno di 75 micron. Peraltro, ai bassi ingrandimenti del microscopio operatorio, i circoli di confusione sono di piccole dimensioni e hanno un’importanza marginale sul potere di risoluzione e la qualità dell’immagine. Apertura numerica dell’obiettivo L’apertura numerica (AN) indica la massima ampiezza del cono di luce che entra nell’obiettivo. In questo senso un microscopio con un obiettivo ad elevato AN darà immagini molto più luminose di uno con un basso AN (fig. 5.16). L’AN dell’obiettivo determina il potere di risoluzione del microscopio: tanto più elevata è l’apertura numerica, più aumenta il potere di risoluzione. L’apertura numerica è calcolata con una formula, che utilizza l’apertura angolare dell’obiettivo (AA) che è l’ampiezza del cono di luce che parte dall’oggetto verso l’obiettivo (fig. 5.17). In un microscopio da laboratorio con obiettivo a secco, questo angolo ha un limite pratico di 72° con un valore del seno di 0.95, mentre in un microscopio operatorio ha un valore molto più limitato in ragione della distanza focale lunga (fig. 5.18). Fig. 5.16 Apertura numerica e dimensioni dei circoli di confusione; con l’aumentare di AN aumentano le dimensioni degli “airy discs”. 103 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A a b c A A NA = (n) sin ( µ) (a) µ = 7° NA = 0.12 (b) µ = 20° NA = 0.34 (c) µ = 60° NA = 0.87 Fig. 5.17 Apertura angolare. Fig. 5.18 Apertura angolare e sua diminuzione con l’aumentare della distanza focale (a, b, c). µ A A µ A A µ cono di luce A A Il seno dell’apertura angolare (sen AA), moltiplicata per l’indice di refrazione del mezzo (n) rappresenta l’apertura numerica dell’obiettivo (AN). AN = n · sen AA AN: n: sen AA: apertura numerica dell’obiettivo indice di rifrazione del mezzo interposto tra campione e lente (n=1 per l’aria) seno dell’apertura angolare dell’obiettivo L’AN è un valore direttamente proporzionale al potere di ingrandimento e il suo valore varia da 0,1 per obiettivi con limitato potere di ingrandimento (1-4x), sino a 1,6 per obiettivi ad elevatissimo ingrandimento. Gli obiettivi dei microscopi operatori, che utilizzano appunto bassi ingrandimenti, hanno bassi valori di AN, nell’ordine di 0,05-0,1. Aberrazioni L’immagine trasmessa da una lente (o un sistema di lenti) è fedele all’oggetto quando sono soddisfatte contemporaneamente tre condizioni: si usa una luce monocromatica; i raggi di luce che provengono dall’oggetto sono paralleli all’asse ottico; l’apertura delle lenti è piccola. Nella pratica raramente queste condizioni sono soddisfatte nello stesso tempo, per cui, più spesso, l’immagine è difettosa nei colori, nella forma, nei dettagli, cioè non è la rappresentazione fedele dell’oggetto; si dice allora che il sistema ottico è affetto da aberrazioni. Le aberrazioni ottiche sono fenomeni che si producono quando le immagini date un sistema ottico non sono geometricamente simili agli oggetti, o non sono nitide, o variano d’aspetto al variare del colore della luce. Non è possibile eliminarle del tutto e si possono più o meno solo ridurre. 104 CA P I TO L O 5 Aberrazioni cromatiche P R I N C I P I D I OT T I CA D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O L’aberrazione cromatica consiste nel fatto che, operando con luce policromatica, si ottengono tante immagini di una sorgente puntiforme quanti sono i colori da cui è formata la luce. Ad esempio, impiegando luce bianca, le lenti funzionano come prismi (dispersione); i raggi di diversa lunghezza d’onda (colore) non vanno a fuoco nello stesso punto e l’immagine appare contornata da una frangia colorata e non nitida. Le lenti per la correzione delle aberrazioni cromatiche possono essere divise in diversi tipi: • • acromatiche, corrette in modo che due lunghezze d’onda (blu e rosso oppure verde e rosso) vadano a fuoco; apocromatiche (Apo) corrette per tre lunghezze d’onda (rosso, verde, blu). Un buon compromesso, anche dal punto di vista economico, tra le lenti acromatiche e apocromatiche, è rappresentato dagli obiettivi alla fluorite (Fl, Fluor), costruite in spatafluoro anziché vetro; minerale che determina una minore dispersione della luce e una migliore correzione cromatica rispetto agli obiettivi acromatici. Si parla di differenza cromatica di ingrandimento quando, anche se è stata corretta l’aberrazione cromatica, le immagini di diversi colori hanno dimensioni diverse (ad esempio, la blu più piccola della verde e questa più piccola della rossa). Questo fenomeno è generalmente corretto usando un oculare compensatore che introduce un’aberrazione uguale e contraria a quella dell’obiettivo, annullandola. Fig. 5.19 Aberrazione cromatica. luce bianca r oss o blu blu r oss o luce bianca blu rosso rosso blu 105 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Aberrazioni geometriche raggi marginali raggi parassiali caustica Fig. 5.20 Aberrazione di sfericità. Le aberrazioni geometriche dipendono dalla forma delle superfici rifrangenti o riflettenti e dalla posizione, rispetto ad esse, degli oggetti e comprendono: l’aberrazione sferica, la coma, l’astigmatismo e la distorsione. L’aberrazione di sfericità è un difetto proprio delle lenti di grande apertura; si verifica qualora l’apertura angolare del sistema, rispetto a una sorgente puntiforme monocromatica posta sul suo asse, non è sufficientemente piccola, così che i raggi emergenti non concorrono in un punto ma sviluppano una superficie (caustica); porta a immagini mal definite ai bordi, con impressione generale di basso contrasto. Le lenti corrette per l’aberrazione sferica si dicono aplanatiche. La curvatura di campo (coma, da cometa) si ha quando l’immagine di un oggetto piano, prodotta dalla lente, non è piana, sembra curva e si presenta sfuocata ai bordi e nitida al centro o viceversa; nell’osservazione visiva questa aberrazione richiede continuamente di fuocheggiare con il microscopio e accomodare con l’occhio per compensare. Gli obiettivi corretti per la curvatura di campo si dicono planari (Plan, PI). Si ha astigmatismo quando un’immagine ad esempio circolare, non è vista a fuoco lungo tutta la circonferenza, oppure, anziché tondeggiante, appare allungata in una direzione radiale qualsiasi. Variando il fuoco, l’immagine allungata tende a porsi perpendicolarmente alla precedente, modificando così i suoi punti di fuoco. Una lente corretta per tale difetto si dice anastigmatica. Fig. 5.21 Astigmatismo. B A asse ottico α La distorsione è un’aberrazione causata da un’errata relazione tra gli angoli di incidenza e quelli di rifrazione dei raggi di luce principali. Producendo diversi ingrandimenti in diverse parti del campo, un oggetto qualsiasi sarà visto a “barilotto” oppure a “cuscinetto”; l’aberrazione è particolarmente sensibile ai bordi del campo. Un sistema ottico corretto per la distorsione è detto ortoscopico. Fig. 5.22 Distorsione. 106 CA P I TO L O 5 Considerazioni sulle aberrazioni delle lenti convergenti Fig. 5.23 Riflessione e rifrazione di raggi incidenti in una superficie. P R I N C I P I D I OT T I CA D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O Le radiazioni ottiche che incidono su una superficie, possono essere refratte o riflesse in relazione alle caratteristiche fisiche del mezzo. Per quanto attiene i fenomeni di riflessione, refrazione, deviazione e dispersione, subiti dai raggi luminosi che attraversano una lente convergente, dobbiamo distinguere il diverso comportamento dei raggi parassiali, che passano per il centro ottico della lente e dei raggi marginali che attraversano, cioè, la periferia della lente. Per quanto attiene la refrazione, i raggi parassiali non subiscono deviazioni e la loro direzione resta invariata attraversando la lente; ciò accade perché al centro la lente si comporta come una lastra a facce parallele. 1° MEZZO = INDICE DI RIFRAZIONE n1 raggio riflesso A raggio incidente raggio incidente super ficie di separazione dei due mezzi seni Fig. 5.24 Angolo di rifrazione. i B 1 o r A raggi rifratti 2 senr raggio rifratto 2° Fig. 5.25 Dispersione e angolo di deviazione della luce dato da un prisma Fig. 5.26 Effetto prismatico delle lenti. A MEZZO A = INDICE DI RIFRAZIONE B n2 B direzione apice-base (asse) apice angolo rifrangente luce bianca base rosso violetto B 1m ∆ 1 1 cm 107 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A In realtà anche i raggi parassiali subiscono una modesta deviazione determinata dall’indice refrattivo del mezzo (angolo di refrazione del vetro), ma non subiscono alterazioni date dalla geometria della lente (più spessa al centro e più sottile ai lati). I raggi marginali, invece, subiscono dei fenomeni di refrazione, deviazione e dispersione in relazione alla geometria delle zone della lente su cui incidono: • • il fuoco dei raggi marginali è più vicino alla lente di quello dei raggi parassiali e la zona imbutiforme in cui si incontrano i raggi marginali e parassiali è detta caustica (vedi aberrazioni di sfericità); poiché le parti periferiche della lente hanno un potere refrattivo più forte di quelle centrali in relazione alla propria diversa angolazione; i raggi marginali subiscono anche fenomeni di deviazione e di dispersione della luce, che sono tanto maggiori, quanto più distante dal centro ottico è il punto di incidenza; tale situazione è definita come effetto prismatico delle lenti. Per quanto attiene la riflessione va invece sottolineato che: • • i raggi parassiali arrivano perpendicolari alla lente e sono riflessi con un’angolazione uniforme; i raggi marginali giungono con angoli di incidenza diversi e presentano angoli di riflessione diversi che possono determinare fenomeni di interferenza ottica (distruttiva e costruttiva). Tali situazioni, rendono ragione del fatto che la qualità dell’immagine è tanto maggiore quanto più è composta da raggi parassiali (si utilizzano, cioè, le parti centrali della lente) che presentano un minor numero di aberrazioni. In questo senso, la chiusura del diaframma a iride, che restringe la parte di lente utilizzata alla porzione centrale, garantisce una migliore qualità dell’immagine, gravata da modestissime aberrazioni. Tab. 5.2 INDICE DI RIFRAZIONE ASSOLUTO DI DIVERSI MEZZI* mezzo – Aria 1,00029 – Acqua 1,33320 – Umor acqueo e umor vitreo – Cristallino (*) luce gialla con lunghezza d’onda = 0,5893 micron. 108 indice di rifrazione del mezzo (n) 1,3460 1,4050 – Vetro comune 1,50350 – Diamante 2,46510 CA P I TO L O 5 P R I N C I P I D I OT T I CA D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O Intercambiabilità delle componenti ottiche Il microscopio possiede un range di ingrandimento utile per ogni possibile combinazione di oculare e obiettivo. È stato calcolato che per i microscopi da laboratorio gli ingrandimenti utilizzabili dipendono dall’apertura numerica dell’obiettivo: • • il massimo ingrandimento di un microscopio è circa 1000 volte l’AN per non cadere nell’ingrandimento vuoto (si ingrandiscono i dettagli senza aggiungerne altri che servono a chiarire le fini strutture dell’oggetto); il minimo ingrandimento per ottenere il miglior potere di risoluzione è di 500 volte l’AN (il potere di risoluzione aumenta con l’apertura numerica e quindi con il numero di ingrandimenti). Per tale motivo nei microscopi da laboratorio, utilizzati per l’osservazione ad alto ingrandimento, è necessario ricercare la combinazione con cui ottenere il risultato migliore: in generale si utilizza l’obiettivo più potente (e quindi maggiore AN) in coppia con l’oculare più debole, considerando che l’AN dell’obiettivo definisce il potere di risoluzione del microscopio). Va comunque precisato che tale limite è un argomento marginale per la qualità dell’immagine dei microscopi operatori, che raggiungono un limitato numero di ingrandimenti in base alle specifiche esigenze di lavoro (basso numero di ingrandimenti e distanza focale lunga). In effetti, a bassi ingrandimenti, quali quelli utilizzati dal microscopio operatorio, hanno scarsa influenza i circoli di confusione (airy discs) che possono alterare il potere di risoluzione e la qualità dell’immagine. Comunque, la scelta della combinazione di oculari e obiettivi deve essere eseguita con cura in modo da assicurare un ingrandimento ottimale dei dettagli senza aggiungere artefatti e per ottenere il risultato voluto; soprattutto se consideriamo che gli effetti prodotti dalla sostituzione dei componenti sono interdipendenti (tab. 5.3). Fino a qualche anno fa, ad esempio, era necessario cambiare tipo di oculare a seconda dell’obiettivo usato; ora le principali case hanno cercato di semplificare la situazione adottando oculari compensatori capaci di correggere le aberrazioni degli obiettivi. Teoricamente, su alcuni modelli, è possibile intercambiare i componenti ottici di diverse case costruttrici, direttamente o attraverso adattatori; vi è comunque una serie di motivi per cui è sempre buona norma utiliz- 109 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A zare componenti della stessa marca. In passato l’obiettivo era costituito da un doppio sistema di lenti convergenti, studiate per lavorare ad una distanza fissa tra obiettivo e oculare (lunghezza del tubo finita); per varie ragioni, le diverse case costruttrici avevano convenuto di fissare tale distanza (definita lunghezza del tubo porta-ottica) in 160-170 mm. Aggiungendo adattatori o accessori (macchine fotografiche, telecamere), si poteva determinare un’alterazione della lunghezza del tubo ottico, che diveniva incapace di focalizzare gli oggetti e le immagini potevano apparire velate, prive di contrasto e non nitide. Da cui discendeva l’importanza di non usare componenti ottiche, se non dopo avere accertato la lunghezza del tubo binoculare per cui erano calcolati e quindi la loro compatibilità. La recente introduzione di obiettivi corretti all’infinito, ha risolto il problema della lunghezza costante del tubo e ha facilitato l’utilizzazione di componenti ottiche di diverse marche. Il diametro degli oculari è in genere unificato a 23,2 mm, ma valgono per essi le medesime considerazioni esposte per gli obiettivi e gli adattatori. Tab. 5.3 E F F E T T O D E L L A S O S T I T U Z I O N E D E I C O M P O N E N T I N E L M I C R O S C O P I O O P E R AT O R I O Ingrandimento Campo visivo Illuminazione Distanza di lavoro da più lungo a più corto (da 160 a 125 mm) – + = = da più corto a più lungo (da 125 a 160 mm) + – = = da più lungo a più corto (da 250 a 200 mm) + – + – da più corto a più lungo (da 200 a 250 mm) – + – + da più alto a più basso (da 2x a 1x) – + = = da più basso a più alto (da 1x a 2x) + – = = da più alto a più basso (da 12,5x a 10x) – + = = da più basso a più alto (da 10x a 12,5x) + – = = Effetto della sostituzione Gruppo binoculare (distanza focale) Obiettivo (distanza focale) Ingrandimento (manuale o zoom) Oculare (potenza) + aumenta, – diminuisce, = invariato. 110 CA P I TO L O 5 P R I N C I P I D I OT T I CA D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O L’illuminazione L’illuminazione deve corrispondere ad alcuni requisiti fondamentali: sufficiente al compito visivo richiesto; non riflettente-abbagliante; uniforme con un giusto equilibrio tra luce ed ombra (contrasto); di composizione spettrale simile alla luce solare. Vale a dire che il raggio di luce coassiale deve: • • La sorgente di luce illuminare l’intero campo operatorio in modo intenso ed omogeneo, senza ombre, arrivando a penetrare in profondità anche in zone anguste (come ad esempio i canali radicolari); avere caratteristiche stabili nel tempo con una temperatura di colore di 4500-6000 K e un indice simile alla luce naturale (100%). Negli anni passati, sono state usate diverse fonti di luce sempre più elaborate: iniziando dalla lampadina a incandescenza al tungsteno per poi passare alle lampade alogene (quarzo-iodio); arrivare quindi alle lampade ARC plasma allo xenon. Le lampade a filamento incandescente sono le più comuni e le più comode da usare e quelle a bassa tensione (6-12V con 15-100W) hanno caratteristiche ottimali di sorgenti luminose di piccola area (puntiforme), di elevata intensità e di lunga vita. La loro luminosità dipende dall’intensità della corrente con cui sono alimentate, ma sia questa che la dura- Fig. 5.27 Sorgenti di luce ad incandescenza e con lampade ARC. Lampadina al tungsteno 6-12 volt. Lampadina al tungsteno 6 volt. Lampadina al tungsteno 6-30 volt. Lampada a vapori di mercurio. Lampadina al tungsteno 6-12 volt con bulbo esteso. Lampadina al tungsteno-halide (quarzo-iodio o alogena) 4-24 volt a lunga durata. Riflettore dicroico al tungstenohalide 6-21 volt, utilizzato con le fibre ottiche. Lampada a vapori di mercurio. 111 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A ta, sono limitate dall’effetto riscaldante della corrente sul filamento, che è tanto maggiore quanto più elevato è il voltaggio: raggiunto il punto di fusione il filamento salta. Le lampade a incandescenza con filamento al tungsteno sono molto utilizzate, ma la loro intensità può essere discontinua nel tempo (sia per invecchiamento che per evaporazione del tungsteno); emettono uno spettro di luce continuo di 300-1400 nanometri in relazione alla corrente con cui sono alimentate: la temperatura del colore e la luminanza varia tra 2200-3400 K con un voltaggio di 6-30V. I bulbi producono molto calore e solo il 5-10% della loro energia in luce. Molto utilizzate risultano, per il costo ridotto e la lunga vita (1000-2500 ore), le lampade alogene (quarzo-iodio) da 50-100W che alimentate con 9 volts emettono uno spettro di luce continua centrato a 3200 K. Tale luce risulta, però, fredda, gialla e altera la percezione dei colori; richiede quindi dei filtri per elevare la temperatura del colore all’equivalente della luce solare. Tra le lampade ARC, sono utilizzate le lampade allo xenon a 75-300W, le quali hanno buone caratteristiche: per la loro luminosità; la migliore distribuzione della radiazione nello spettro visibile; la lunga durata; la temperatura del colore (5600 K) prossima alla luce solare; il ridotto riscaldamento del campo operatorio anche al massimo della potenza. 300 Tab. 5.4 400 500 600 INFRAROSSO ROSSO 700 800 TEMPERATURA DI COLORE DI ALCUNE SORGENTI LUMINOSE sorgente – Fiamma di candela temperatura di colore (K) 1900 – Lampadine al tungsteno (60-100W, 220V) 2500-2700 – Lampadine al tungsteno (15-100W, 6-12V) 2700-3400 – Lampada alogena (100W, 12V) 112 invisibile ARANCIO BLU VIOLETTO VERDE visibile U LT R A V I O L E T T O invisibile G I A L LO Fig. 5.28 Spettro delle radiazioni luminose. 3200 – Lampada allo xenon (75-150W, 12V) 5600-6000 – Luce diurna media 6000-6500 CA P I TO L O 5 La temperatura di colore della luce P R I N C I P I D I OT T I CA D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O Un fascio luminoso è formato da raggi con lunghezza d’onda diverse, che dipendono dalle caratteristiche della sorgente (natura e temperatura del corpo incandescente). La lunghezza d’onda è visibile all’occhio sotto forma di colore: il colore visibile dovuto a radiazioni con maggior lunghezza d’onda è il rosso; mentre il blu e il violetto sono dovuti a radiazioni di minor lunghezza d’onda (fig. 5.27). Questo significa che aumentando la temperatura diventa sempre più dominante la porzione blu e violetta dello spettro, mentre diminuendola la luce si arricchisce di radiazioni rosse. Tenendo presente questo concetto si è convenuto di misurare il colore della luce in base alla corrispondente temperatura di una sorgente di riferimento, misurata in gradi Kelvin. La temperatura di un corpo ideale perfettamente nero, cioè che non riflette la luce, è pari a 0 K (equivalenti a -273 °C, cioè lo zero assoluto); pertanto una temperatura pari a n° K equivale a n°+273 K. Scaldando l’ideale corpo nero, esso modifica il suo colore ed emette radiazioni caloriche e luminose e, ad ogni variazione di temperatura, varia la qualità delle lunghezze d’onda presenti nella luce emessa; per questo motivo si può porre in rapporto diretto ogni temperatura con ogni colore della luce e misurare quest’ultimo in base alla temperatura corrispondente all’ideale corpo nero, in gradi Kelvin. Si può, quindi, parlare di temperatura di colore della luce emessa da una sorgente e misurarla in gradi Kelvin attraverso termocolorimetri (tab. 5.4). Le lenti Nell’evoluzione dei moderni microscopi hanno inciso in modo particolare, negli ultimi anni, i fattori costruttivi e i trattamenti di superficie delle lenti, producendo sistemi ottici di sempre maggiore qualità. La qualità del vetro è stata un fattore importante nell’evoluzione dei moderni microscopi ottici, considerando che esistono diverse centinaia di vetri, con diverse caratteristiche fisiche: l’indice di rifrazione, la trasmissione della luce, la dispersione, la concentrazione dei contaminanti, l’autofluorescenza residua, l’omogeneità dell’impasto. Per molti anni, la fluorite naturale è stata comunemente utilizzata nella costruzione di obiettivi semi-apocromatici e acromatici, mentre oggi si utilizzano miscele di fluorite naturale e di altri vetri. Molte case costruttrici producono lenti con formulazioni proprie e la documetazione in letteratura è spesso incompleta per motivi di segreto industriale. 113 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A La tempratura del vetro è un fattore importante per eliminare lo stress, migliorare la trasmissione della luce, e ridurre il livello di altre imperfezioni interne. Molti dei vetri utilizzati per la costruzione di lenti apocromatiche sono raffreddati lentamente per periodi prolungati. Infine va ricordato che i sistemi ottici più sofisticati sono costituiti sempre da un maggior numero di lenti, spesso incollate tra loro. I cementi, utilizzati nel costruire lenti multiple, hanno generalmente uno spessore di circa 5-10 micron e possono rappresentare una sorgente di artefatti nelle lenti multiple formate da 3-4 elementi cementati assieme. I trattamenti antiriflesso I progressi più importanti, ottenuti negli ultimi anni, nella produzione degli obiettivi risiedono nei trattamenti antiriflessione, che riducono i fenomeni indesiderati di riflessione che si verificano quando il fascio di luce passa attraverso il sistema di lenti. Qualsiasi superficie di vetro non trattata può riflettere una percentuale del 4-5% della luce incidente perpendicolarmente sulla sua superficie, trasmettendone il 95-96% (rifrazione). La necessità di eliminare i fenomeni di riflessione aumenta con la costruzione di sistemi ottici più sofisticati, costituiti sempre da un maggior numero di lenti. Alcuni obiettivi moderni, ad alto ingrandimento, possono contenere sino a 15 lenti e un numero proporzionale di interfacce aria-vetro; se le superfici delle lenti non fossero trattate, le perdite di raggi assiali, dovute a fenomeni di riflessione, arriverebbero sino al 50%. L’applicazione di un trattamento antiriflesso, con un appropriato indice di rifrazione, può aumentare la rifrazione del 3-4%, trasmettendo quindi, quasi completamente la luce. Fig. 5.29 Geometria dei trattamenti antiriflesso. R0 angolo di incidenza raggio di luce incidente strati antiriflesso con diversi indici inter ferenze dei raggi riflessi R1 R2 n1 n2 n3 n4 t1 t2 strato A strato B super ficie del vetro 114 CA P I TO L O 5 P R I N C I P I D I OT T I CA D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O Oggi i trattamenti monostrato, utilizzati in passato, sono stati sostituiti da trattamenti multistrato che garantiscono una trasmissione del 99,9% dello spettro della luce visibile. Visivamente è possibile distinguere i trattamenti subiti dalla lente: quelli monostrato hanno un colore rossastro; mentre i multistrato hanno una tinta verdastra. Il fluoruro di magnesio è uno dei materiali utilizzati per la costruzione dei sottili strati antiriflessione; ma le diverse case produttrici producono formulazioni proprie. Nella figura precedente sono schematizzati i raggi luminosi riflessi o trasmessi attraverso una lente con due strati antiriflessione. I raggi luminosi arrivano sul primo strato del trattamento antiriflesso (A) con un angolo di incidenza e sono in parte riflessi (R0) e in parte rifratti. Raggiungendo il secondo strato del trattamento antiriflesso (B), un’ulteriore quota di raggi è riflessa (R1) con lo stesso angolo di riflessione e interferisce con i raggi riflessi dal primo strato. Lo stesso fenomeno si realizza sulla superficie del vetro della lente (R 2). I raggi riflessi dalla superficie di vetro interferiscono (sia in modo costruttivo, che distruttivo) con i raggi riflessi dagli strati antiriflessione. Il risultato generale dei trattamenti antiriflesso è un enorme miglioramento nella trasmissione della luce visibile, con interferenza distruttiva sulle frequenze armoniche che non appartengono alla banda trasmessa. La maggior parte della luce trasmessa (in relazione all’angolo di incidenza che in microscopia è perpendicolare alla lente) è, quindi, rifratta e focalizzata per formare l’immagine. I trattamenti antiriflesso possono essere facilmente danneggiati maneggiando o pulendo in modo sbagliato le lenti che devono quindi essere trattate e pulite con attenzione; le superfici interne delle lenti sono protette con strati più morbidi e si deve fare molta attenzione soprattutto pulendo le lenti smontate. Fig. 5.30 Il numero di lenti che compongono il sistema ottico di un microscopio. 115 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Tipi di lenti Gli obiettivi più comuni e meno costosi sono gli obiettivi acromatici, corretti: obiettivo • • • per le aberrazioni cromatiche di due lunghezze d’onda (blu 486 nm, rosso 656 nm sono messi a fuoco in un unico piano focale); per le aberrazioni sferiche nel colore verde (546 nm); per il coma (planacromatici). Il successivo livello di correzione è introdotto con gli obiettivi alla fluorite o semi-apocromatici, utilizzando formulazioni complesse di vetri che contengono il fluorspar o nuovi sostituti sintetici; questi obiettivi hanno una elevata apertura numerica (AN) e pertanto risultano molto luminosi. Il livello più elevato di correzione (e anche il più costoso) è oggi rappresentato dagli obiettivi apocromatici che consentono una maggior distanza di lavoro e sono corretti, per tre colori (rosso, verde, blu) e quindi privi di aberrazioni cromatiche: • sfericamente per una o due lunghezze d’onda. Fig. 5.31 Obiettivi con correzioni di diversi tipi di aberrazioni. lenti doppie tripla lente tripla lente gruppo di lenti doppie lenti doppie lente a menisco lenti frontali 1 0 X A C R O M AT I C O Tab. 5.5 1 0 X A P O C R O M AT I C O CORREZIONI DEGLI OBIETTIVI PER ABERRAZIONI OTTICHE Tipo di obiettivo Aberrazione sferica Aberrazione cromatica Curvatura del campo Acromatico 1 colore 2 colori no Planacromatico 1 colore 2 colori si Fluorite 2/3 colori 2/3 colori no Planfluorite 3/4 colori 2/4 colori si Planapocromatico 3/4 colori 4/5 colori si (semiapocromatici) 116 10X FLUORITE CA P I TO L O 5 P R I N C I P I D I OT T I CA D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O 117 REGOLAZIONE DEL MICROSCOPIO OPERATORIO 118 CA P I TO L O 6 L’utilizzazione del microscopio operatorio presuppone la conoscenza di una serie di regolazioni dello strumento che devono essere eseguite all’inizio e nel corso della seduta operatoria; per assicurare una visione nitida e a fuoco dei particolari del campo operatorio, in modo da poter lavorare per lunghi periodi in condizioni di riposo, senza eseguire sforzi di accomodazione potenzialmente forieri di disturbi del visus. Tab. 6.1 R E G O L A Z I O N E D E L M I C R O S C O P I O O P E R AT O R I O Regolazione Osservazioni Regolazioni preliminari Eseguite su un oggetto (ad esempio un foglio di car ta quadrettata). – distanza interpupillare In base al valore noto dell’operatore; o muovendo i tubi oculari per tentativi sino a vedere un campo unico. – correzione diottrica In base al valore noto dell’operatore; o par tendo da +5D e scalando sino a vedere nitidamente l’oggetto. – parafocalizzazione Mettere a fuoco al massimo ingrandimento, controllando il permanere a fuoco diminuendo gli ingrandimenti. Regolazioni preoperatorie Eseguite sul paziente prima di iniziare l’inter vento. – posizionamento dell’operatore e del paziente In relazione alla posizione del campo operatorio e al tipo di inter vento; vedi ergonomia. – primo posizionamento del corpo ottico In modo grossolano per posizionarsi circa sul campo operatorio e alla distanza di lavoro. – distanza tra occhio e oculare Sino a vedere un campo della massima estensione possibile e nitido (exit pupil). – messa a fuoco Muovendo in modo millimetrico il corpo ottico o la poltrona (nei microscopi con sistema manuale) o con il dispositivo di messa a fuoco elettrico (nei microscopi motorizzati). – centrare il campo operatorio Generalmente con un valore ridotto di ingrandimento per vedere il campo operatorio nel suo insieme. Regolazioni intraoperatorie – scelta e variazione dell’ingrandimento In relazione alla necessità di lavoro, mediamente a 6-10x per lavoro e a ingrandimenti maggiori per controllo. Se vi è par focalizzazione, il campo operatorio rimane a fuoco variando gli ingrandimenti. – regolazione del diaframma Per diminuire la luminosità e aumentare il contrasto e la profondità di campo. 119 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Distanza interpupillare Fig. 6.1 Distanza interpupillare regolabile in binoculari 0 0 La distanza interpupillare è mediamente compresa tra 52 e 76 mm (con una media di 65) ed è facilmente individuabile, muovendo i tubi binoculari sino a quando i campi visivi dei due oculari non si fondano in un unico campo operatorio circolare. Per chi volesse misurare la propria distanza interpupillare individuale, senza ricorrere ad un ottico, descriviamo il procedimento che ci sembra più pratico. Ci si pone davanti al vetro di una finestra e si guarda un oggetto molto piccolo disposto in lontananza. Sul vetro della finestra si segnano con un pennarello due punti (chiudendo prima un occhio e poi l’altro), in modo tale che essi vengano visti come un solo punto, che si sovrappone esattamente all’oggetto che si fissa in lontananza. L’intervallo che li separa è la distanza interpupillare e va riportata nella regolazione degli oculari. In alternativa si può far misurare la distanza interpupillare con appositi strumenti da un oculista o da un ottico. La distanza interpupillare coincide con la distanza interassiale quando si guarda un oggetto lontano (sguardo all’infinito) e quando si utilizza il microscopio operatorio o gli occhiali prismatici; mentre ne differisce utilizzando gli occhiali galileiani, che richiedono uno sforzo di convergenza. V B ass e vi sivo asse visivo asse visivo A piano delle lenti L distanza oggetto-lenti Figg. 6.2, 6.3 Distanza interpupillare (A) e distanza interassiale (B). P L1 distanza interassiale distanza interassiale distanza interpupillare O 120 linea di base O1 O B linea di base O1 CA P I TO L O 6 R E G O L A Z I O N E D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O Distanza tra occhio e oculare La distanza ideale tra occhio e oculare va trovata avvicinandosi lentamente all’oculare, fino a vedere un unico campo operatorio circolare (non sdoppiato), della massima estensione e nitido. Ciò si verifica quando la pupilla dell’occhio si pone nel punto in cui convergono i raggi di luce provenienti dall’oculare (pupilla d’uscita o exit pupil); con l’abitudine il movimento diviene spontaneo e automatico. Per coloro che preferiscono uno stretto contatto, è possibile regolare la distanza con una ghiera che ha un distanziatore regolabile. La distanza della pupilla d’uscita dal bordo degli oculari, prevista dalla maggior parte dei modelli, è di circa 22 mm e risulta sufficiente per permettere di lavorare, indossando gli occhiali, anche agli operatori affetti da vizi di rifrazione (miopia, ipermetropia, presbiopia); l’uso degli occhiali al microscopio è indispensabile solo in caso di astigmatismo. Degli anelli di gomma montati sugli oculari evitano di graffiare le lenti degli occhiali in caso di accidentale sfregamento. Per inciso, va ricordato che l’osservazione al microscopio avviene senza sforzo accomodativo, come se l’occhio fosse focalizzato su un oggetto lontano all’infinito (cioè il muscolo ciliare è in posizione di riposo): non si osserva cioè nel microscopio, ma attraverso il microscopio. Inizialmente alcuni odontoiatri lamentano di vedere un’immagine doppia persistente; il difetto di convergenza è comunque transitorio e, una volta superato, si può lavorare a lungo senza la minima difficoltà e affaticamento. 22 mm Fig. 6.4 Posizione di exit pupil. Fig. 6.5 La distanza della exit pupil permette di lavorare indossando gli occhiali. 121 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Correzione diottrica Fig. 6.6 Correzione diottrica regolabile in binoculari Gli oculari permettono la regolazione diottrica (generalmente da -5D a +5D) per consentire al chirurgo affetto da vizi di rifrazione di lavorare anche senza occhiali: in diottrie positive per i miopi e negative per i presbiti e gli ipermetropi. La correzione diottrica va svolta tutti i giorni, in quanto lievi e transitorie differenze accomodative possono verificarsi nello stesso individuo in relazione a fattori diversi (ad esempio stanchezza, stress) e va eseguita nel seguente modo: 1. 2. 3. +5 -5 +5 -5 4. porre il variatore di ingrandimenti sul valore minore ed alzare la correzione diottrica a +5D; osservare l’oggetto con un occhio solo abbassando la correzione diottrica sino a vedere l’oggetto in modo nitido; ripetere l’operazione tre volte per ciascun occhio e calcolare un valore medio; fissare il valore sull’oculare; in alcuni modelli si trovano delle viti di bloccaggio situate sugli oculari. Parafocalizzazione La condizione in cui l’immagine rimane nitida cambiando ingrandimento, prende il nome di parafocalizzazione. Tale regolazione è indispensabile, se non si vuole essere costretti a rimettere a fuoco ogni volta che si cambi l’ingrandimento nel corso dell’intervento; è ottenibile rispettando le seguenti fasi prima di iniziare la seduta operatoria : 1. 2. 3. 4. 5. 122 porre il variatore di ingrandimenti sul valore maggiore, porre un campione sul piano oggetto e verificare se l’immagine è nitida (una moneta, un foglio di carta quadrettata); mettere a fuoco; controllare se l’immagine rimane nitida variando gli ingrandimenti dal maggiore verso il minore; se si perde il fuoco ripetere l’operazione dall’inizio; riverificare la permanenza costante del fuoco al termine della regolazione. CA P I TO L O 6 R E G O L A Z I O N E D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O Il motivo della sequenza della procedura appare intuitivo, se si considera che ad elevati ingrandimenti la profondità di campo è minima e la focalizzazione risulta più difficile da ottenere; mentre a bassi ingrandimenti la profondità di campo è maggiore e la facilità nel mettere a fuoco aumenta. Messa a fuoco Il campo operatorio è a fuoco quando si trova in corrispondenza del piano focale anteriore dell’obiettivo, ne rispetta cioè la lunghezza focale, che, per le lenti sottili, è praticamente sovrapponibile alla distanza di lavoro. Quando, nel corso dell’intervento, si modifica la posizione del corpo ottico (al di sopra o al di sotto della distanza focale dell’obiettivo) l’immagine diviene sfuocata ed è necessario rimettere a fuoco, regolare, cioè, l’obiettivo in modo che l’immagine risulti nitida. La messa a fuoco, durante il lavoro, può essere effettuata con diversi metodi in relazione al modello di microscopio e all’entità della necessità di messa a fuoco: • • Fig. 6.7 Corpo ottico multifocale. alzando o abbassando la poltrona o il corpo ottico del microscopio operatorio in modo da ritrovare la distanza di lavoro, per grossi spostamenti; ruotando la ghiera di obiettivi regolabili manuali per movimenti micrometrici; in alternativa azionando dispositivi di messa a fuoco elettrico mediante pulsanti o pedaliere, dove disponibili, per movimenti di messa a fuoco più fini. L’operazione di messa a fuoco dell’immagine microscopica deve essere molto accurata, ma non deve durare a lungo; infatti, l’occhio si affatica rapidamente e può non distinguere più l’immagine nitida a causa della diminuzione del suo potere di accomodamento o della persistenza delle immagini sulla retina. Esistono microscopi dotati di obiettivo multifocale che consentono di variare in qualunque momento la distanza di lavoro. Questa caratteristica elimina la necessità di sostituzione dell’obiettivo, per passare da una distanza di lavoro ad un’altra e lo spostamento del corpo ottico per effettuare la messa a fuoco. 123 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Diaframma In microscopia aprire il diaframma significa aumentare l’apertura (con spostamento della leva su valori numerici più alti) e rendere più luminosa l’immagine e più ridotta la profondità di campo. Se però il diaframma è troppo aperto, agli oculari arrivano i raggi luminosi lasciati filtrare dalla parte periferica della lente (raggi marginali) che danno luogo ad aberrazioni, per cui l’immagine può divenire meno nitida (soprattutto verso la periferia). Le attuali lenti dei microscopi operatori sono corrette per le aberrazioni, ma l’effetto non è completamente eliminabile, anche se poco apprezzabile a bassi ingrandimenti. Chiudere il diaframma, invece, significa diminuire l’apertura (spostando la leva su valori numerici minori). In questo modo, agli oculari arrivano solo i raggi luminosi lasciati filtrare dalla parte centrale della lente (assiali e parassiali) e perpendicolari ad essa (angolo di incidenza di 90°); ne consegue che: • • • • l’immagine è più oscura e ricca di contrasto luce-ombra, aumentando la percezione della tridimensionalità; aumenta di qualche millimetro la profondità di campo; si riducono le aberrazioni ottiche; diminuisce l’abbagliamento poiché passa una quantità inferiore di luce. Quando, invece, il diaframma è troppo chiuso, diminuisce bruscamente la risoluzione dei dettagli e i particolari dell’immagine vengono alterati dalla presenza di aloni di diffrazione. L’utilizzazione del diaframma, in microscopia operatoria, è inutile lavorando con valori superiori ai 10x, poiché a tali valori si utilizzano già solo le parti centrali della lente; per tale motivo alcune case produttrici hanno eliminato il diaframma. Non è possibile dare un’indicazione precisa sulla regolazione del diaframma, essendo in gioco elementi diversi e variabili: potenza dell’obiettivo, messa a punto del sistema di illuminazione, condizioni cliniche. 124 CA P I TO L O 6 R E G O L A Z I O N E D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O Profondità di campo È evidente che, se il campo operatorio presenta particolari anatomici con notevoli differenze in altezza, si potranno avere difficoltà nella messa a fuoco contemporanea di diversi piani anatomici. In questi casi o si aumenta la profondità di campo (chiudendo il diaframma o lavorando a ingrandimenti minori) o si sceglie di mettere a fuoco successivamente i diversi piani anatomici (sezionamento ottico). Tuttavia, anche se in microchirurgia è richiesta la maggior profondità di campo possibile, talvolta può essere necessario proprio il contrario, come quando si vogliono differenziare alcuni particolari anatomici dal campo operatorio circostante. In questi casi si opera a elevato ingrandimento e si regola la massima apertura del diaframma; in questo modo si mantengono sfuocati i dettagli al di sopra e al di sotto di ciò che si vuole mettere in evidenza. Ingrandimento Utilizzando ottiche diverse è possibile raggiungere un elevato numero di ingrandimenti; però si deve ricordare che, in microchirurgia, non è tanto importante il massimo potere di ingrandimento raggiungibile, quanto quella utilizzabile in ambito clinico considerando che, aumentando gli ingrandimenti, diminuisce la profondità e l’ampiezza del campo operatorio. Generalmente i microscopi, utilizzati in odontoiatria, garantiscono un ingrandimento di 16x-20x; range che si rivela sufficiente nella maggior parte delle situazioni cliniche. Gli ingrandimenti minori (da 3x a 8x) sono utilizzati inizialmente per il posizionamento del microscopio nel campo operatorio. Chi inizia ad utilizzare il microscopio operatorio, peraltro, inizierà con questi ingrandimenti; ma con l’esperienza tale limitazione risulterà ben presto superflua, e difficilmente verranno utilizzati ingrandimenti inferiori a 8x-10x. Agli ingrandimenti da 10x a 18x corrisponde un campo visivo più ridotto e una bassa profondità di campo, fattori che permettono di mantenere una discreta visione del campo operatorio; si tratta perciò del range di ingrandimenti utilizzato per delle procedure terapeutiche che richiedono particolare precisione. 125 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Ingrandimenti maggiori (18x-30x) risultano di difficile utilizzazione poiché la profondità focale è minima e il campo operatorio va fuori fuoco anche per piccoli movimenti, costringendo l’operatore a rimettere a fuoco; per tale motivo sono utilizzati solo per brevi periodi per controllare dettagli critici a scopo diagnostico. Nei modelli Leica i valori, riportati sul variatore di ingrandimenti, corrispondono agli ingrandimenti totali ottenibili per un oculare 10x e un obiettivo con f = 100 mm. Per calcolare l’ingrandimento totale sono disponibili delle tabelle di conversione, che evitano di eseguire i calcoli. Per esempio, con un obiettivo da 200 mm, oculari da 10x e un rapporto di ingrandimento 6.9, il minore, avremmo un ingrandimento di 3.2 volte; mentre con il rapporto di ingrandimento 40, il maggiore, l’immagine sarà ingrandita di 20 volte. 40 20 Figg. 6.8, 6.9, 6.10 Variatore di ingrandimento. I valori numerici riportati sono calcolati per una focale fissa e vanno ricalcolati quando si cambia l’obiettivo. 126 6 CA P I TO L O 6 R E G O L A Z I O N E D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O TA B E L L A DAT I O T T I C I D E I M I C R O S C O P I L E I C A OCUL ARE POSIZIONE DEL VARIATORE DI INGRANDIMENTO 10x-21B 10x-21B 10x-21B 6.4 10 16 25 40 6.4 10 16 25 40 6.4 10 16 25 40 100 mm (1,0x) distanza di lavoro 91 mm 6,4x 10x 16x 25x 40x 9,6x 15x 24x 37,5x 60x 12,8x 13x 32x 50x 80x 33* 21 13 8 5,2 22 14 8,7 5,3 3,5 16,5 10,5 6,5 4 2,6 150 mm (0,67x) distanza di lavoro 140 mm 4,3x 6,7x 10,7x 16,7x 26,7 6,4x 10x 16x 25x 40x 8,5x 13,3x 21,3x 33,3x 53,3x 49* 31,3 19,6 12,5 7,8 32,6 20,9 13,1 8,4 5,2 25,7 16,4 10,3 175 mm (0,6x) distanza di lavoro 170 mm 3,8x 6x 9,6x 15x 24x 5,8x 55* 35 22 14 8,8 36,5 23,3 14,6 200 mm (0,5x) distanza di lavoro 190 mm 3,2x 5x 8x 66* 42 26 16 225 mm (0,44x) distanza di lavoro 215 mm 2,8x 4,4x 7x 11x 17,6x 4,3x 6,6x 10,5x 16,5x 26,4x 5,8x 8,8x 14x 22x 35,2x 75* 47,7 30 19,1 11,9 49,7 31,8 19,9 12,7 7,9 39,1 25 15,6 10 6,3 250 mm (0,4x) distanza di lavoro 240 mm 2,5x 4x 6,4x 10x 16x 3,8x 6x 9,6x 15x 24x 5,1x 8x 12,8x 20x 32x 82* 52 33 21 13 58 35 22 14 8,7 41 26 16,5 10,5 6,5 275 mm (0,36x) distanza di lavoro 265 mm 2,3x 3,6x 5,8x OBIETTIVO 15,5x 20x 9x 10,4 9x 4,8x 7,5x 44 28 14,4x 22,5x 36x 17,4 10,6 2,1x 3,3x 5,3x 8,7x 13,3x 3,2x 5x 8x 99* 42 26 350 mm (0,28x) distanza di lavoro 340 mm 1,8x 2,8x 4,5x 7x 116* 46 30 19 1,6x 2,5x 4x 6,3x 10x 132* 52 32 21 39 75 84 24 7 4,1 12x 19,2x 30x 48x 28,6 18,3 11,5 7,3 4,6 6,4x 10x 16x 25x 40x 33 21 13 8 5,2 14,4x 3,5x 5,4x 8,7x 13,5x 21,6x 4,6x 7,2x 11,6x 18x 28,8x 91,3* 58,3 36,2 23,3 14,6 60,1 38,9 24,3 15,6 63 5,8 12x 18,7x 30x 300 mm (0,33x) distanza di lavoro 290 mm 400 mm (0,25x) distanza di lavoro 390 mm 9,3 7,7x 6,6 16 66 9,7 13,3x 20x 16 10,5 47,7 30,5 19,1 12,2 4,2x 6,6x 10,6x 17,4x 26,6x 49 31 11,2x 2,7x 4,2x 6,7x 10,5x 16,8x 3,6x 5,6x 78 50 2,4x 3,7x 88 56 7,6 19 12 9x 14x 22,4x 31,3 20 12,5 61,4 39,2 24,6 15,7 6x 9,4x 15x 3,2x 5x 8x 35 21 14 66 42 26 7,8 9,8 12,5x 20x 16 10,4 (*) massimo diametro del campo visivo ideale: 24 36 43 48 55 mm mm mm mm mm Tab. 6.2 per per per per per F F F F F = = = = = obiettivo obiettivo obiettivo obiettivo obiettivo 100 mm 150 mm 175 mm 200 mm 225 mm ingrandimento totale; 60 67 72 87 96 mm mm mm mm mm per per per per per F F F F F = = = = = obiettivo obiettivo obiettivo obiettivo obiettivo 250 275 300 350 400 mm mm mm mm mm diametro del campo visivo. 127 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Gli errori di osservazione e i difetti più frequenti Durante l’osservazione l’immagine può presentare difetti ed è utile potersi rendere conto delle possibili cause per porvi rimedio. L’immagine è poco nitida o mal definita: • • • la superficie delle lenti (obiettivo, oculare) è sporca per impronte, unto, schizzi di materiale biologico; si devono pulire le lenti; il diaframma è troppo aperto (eccessiva luminosità e abbagliamento) o chiuso (immagine troppo scura e contrastata); bisogna regolare il diaframma; le lenti dell’obiettivo o dell’oculare non sono allineate; se è scorretto il montaggio dell’oculare o dell’obiettivo si deve riavvitare l’oculare o l’obiettivo; se si è verificato uno scollamento delle lenti è necessario chiedere l’intervento di un tecnico riparatore. L’apertura dell’obiettivo non è completamente sfruttata dal fascio luminoso: • • il revolver degli obiettivi intercambiabili non è stato correttamente girato e si trova su una posizione intermedia; è sufficiente ruotare la manopola sino alla successiva posizione; il condensatore dell’illuminatore si è mosso; tale difetto richiede l’intervento di un tecnico riparatore. L’immagine si sposta lateralmente durante la focalizzazione. Il fenomeno, in misura molto limitata, è normale, poiché il campo operatorio è raramente perpendicolare all’asse ottico. In casi macroscopici si tratta di un difetto dello strumento ed è necessario chiedere l’intervento di un tecnico riparatore poiché è possibile che: • • i sistemi ottici del microscopio non siano allineati; il sistema di illuminazione non sia allineato con il sistema ottico. Si osservano figure indefinite, mobili lungo il campo di osservazione oppure fisse: • 128 nel caso di figure che fluttuano lentamente nel campo visivo, si tratta di difetti propri dell’occhio dell’operatore (scotomi, mosche volanti, ecc); è consigliabile richiedere una visita oculistica; CA P I TO L O 6 R E G O L A Z I O N E D E L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O • se le figure sono fisse può trattarsi di polvere o contaminante sulle lenti (oculare, obiettivo), filtri termici, condensatore; la polvere sulla lente obiettivo si vede come macchie scure completamente sfuocate ed è sufficiente pulire le lenti. L’illuminazione è troppo scarsa: • • • • il diaframma è troppo chiuso e va aperto; l’illuminatore o il condensatore è defocalizzato e va regolato da un tecnico riparatore; è presente un filtro di densità troppo elevata che va rimosso; il voltaggio della lampada è superiore a quello di rete e va sostituita. Si vede un’immagine doppia. Il problema è frequente per alcuni di coloro che si avvicinano la prima volta al microscopio a causa di: • • • mancata regolazione della distanza interpupillare; è da regolare la distanza dei binoculari; posizione troppo lontana o troppo vicina agli oculari; ci si deve posizionare in corrispondenza della pupilla d’uscita degli oculari; per la fusione delle immagini è necessario che esse si formino su zone corrispondenti della retina attraverso meccanismi di convergenza e accomodamento attraverso la muscolatura estrinseca dell’occhio. Tale situazione, può non avvenire in modo immediato e automatico in alcune persone che guardano in modo apprensivo nel microscopio; è necessario rilassare la muscolatura oculare e avere un po’ di pazienza. Rapida comparsa di affaticamento visivo, astenopia. L’osservazione al microscopio, per evitare di stancare la vista, va fatta con l’occhio focalizzato all’infinito in cui il muscolo ciliare è in posizione di riposo. Non si osserva cioè nel microscopio, ma attraverso il microscopio. Come fare ad assumere quest’abitudine? Si pone un occhio al microscopio e si mette a fuoco il campione; quindi si orienta uno specchietto, posto di fronte all’altro occhio, in modo da vedere oggetti lontani o il panorama fuori dalla finestra. All’inizio l’immagine vista con l’occhio estraneo al microscopio può dare fastidio, ma questo giochino, ripetuto più volte, costringerà l’occhio al microscopio ad adattarsi a vedere l’immagine in condizioni di assoluto riposo. 129 ERGONOMIA DELLE POSIZIONI DI LAVORO 130 CA P I TO L O 7 Ergonomia generale L’ergonomia è la disciplina scientifica che si occupa dei problemi relativi al lavoro umano e che, assommando, elaborando e integrando le ricerche e le soluzioni offerte dalle varie discipline (medicina generale e del lavoro, fisiologia, psicologia, sociologia, fisica, tecnologia), tende a realizzare un adattamento ottimale del sistema uomo-macchina-ambiente di lavoro alle capacità e ai limiti psico-fisiologici dell’uomo. Il fine viene perseguito con diversi strumenti d’analisi, che consistono prevalentemente nell’osservazione ragionata e nello studio dei tempi e dei movimenti svolto con ausili diversi (come ad esempio la fotografia, la misurazione dei tempi, le interviste, ecc.). I principi fondamentali dell’ergonomia generale sono inquadrabili in poche definizioni: il concetto di procedura operativa; l’individuazione dei movimenti elementari; il principio dell’economia dei movimenti. Il rispetto di questi principi consente di omogeneizzare, tra operatori di pari esperienza, il tempo e lo sforzo impiegati, nonché la qualità del risultato raggiunto compiendo gli stessi movimenti elementari. È evidente, comunque, che il tempo necessario all’espletamento di una procedura operativa e la qualità globale della prestazione in ambito sanitario, rappresentano variabili relative a diversi fattori, come le fasi operatorie e la difficoltà del caso, le possibilità terapeutiche e l’abilità dell’operatore. Tab. 7.1 PRINCIPI DELL’ERGONOMIA Procedura operativa Movimenti elementari Economia dei movimenti • Definizione: qualsiasi compito eseguito da un operatore isolato o da un gruppo di lavoro. • Fasi: preparazione, esecuzione (traspor to, fermata, controllo), riordino. • Movimenti semplici che si susseguono componendo la procedura operativa. • Eliminare i movimenti inutili. • Realizzare i movimenti necessari in tempi brevi ed estensioni spaziali limitate (predisporre i materiali e le attrezzature in posizioni facilmente raggiungibili; compiere movimenti rettilinei; utilizzare ambedue le mani in modo coordinato; etc. • Adattare la posizione di lavoro e l’illuminazione in modo tale da ridurre gli spostamenti della testa e degli occhi. 131 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Ergonomia in microscopia operatoria Estendendo il concetto di ergonomia all’odontoiatria, questa disciplina studia le modalità di lavoro degli operatori odontoiatrici, con lo scopo fondamentale di migliorarne l’efficacia e l’efficienza; più in dettaglio si parla di: un’ergonomia generale che interessa tutta l’odontoiatria; un’ergonomia speciale relativa alle diverse branche specialistiche come l’endodonzia, la parodontologia, la protesi, ecc. La nostra scelta consiste nell’occuparci esclusivamente degli aspetti inerenti l’ergonomia generale applicata alla microscopia, poiché questo libro è un manuale che intende indirizzare l’odontoiatra generico verso un corretto approccio al lavoro al microscopio operatorio come routine nella prassi clinica quotidiana e non è stato specificatamente pensato per gli specialisti delle diverse branche. L’obiettivo dell’ergonomia nel lavoro al microscopio riveste parecchi significati, in particolare, la conoscenza delle corrette posture di lavoro permette di ottimizzare l’efficienza e l’efficacia delle prestazioni dalle più semplici alle più complesse: • • • • lavorando con una postura fisiologica, sia per il paziente che per l’operatore in modo da diminuire stress e affaticamento muscolare; disponendo di un buon angolo di accesso visivo e di una visione operatoria precisa e nitida dei particolari, in condizioni ottimali di illuminazione; operando il più possibile in visione diretta, considerata la maggiore difficoltà di gestire la visione indiretta; minimizzando la necessità di cambiare frequentemente le posizioni di lavoro, fattore che allunga i tempi operativi. Al fine di facilitare l’apprendimento e la memorizzazione delle posizioni di lavoro abbiamo messo a punto un sistema, in cui sono sintetizzati i presupposti fondamentali per evitare posture estemporanee, prive di presupposto ergonomico. 132 CA P I TO L O 7 E R G O N O M I A D E L L E P O S I Z I O N I D I L AVO RO Le posizioni di lavoro L’angolo di accesso visivo, lavorando al microscopio, è più limitato nei confronti dell’operare a occhio nudo, poiché non sono possibili quei piccoli movimenti di adattamento del capo che si svolgono automaticamente per arrivare a vedere tutte le zone della bocca; in un certo senso, il paziente viene a ruotare attorno al microscopio e all’operatore e non viceversa. Per assicurare le migliori condizioni di visibilità in visione diretta è necessario orientare il campo operatorio il più perpendicolare possibile rispetto alla direzione dell’asse del sistema ottico; infatti, una buona combinazione, tra orientamento del corpo ottico e posizione del paziente, può permettere l’accesso visivo a tutte le zone della bocca nella quasi totalità delle situazioni. La prima cosa da fare, quando ci si accinge a lavorare al microscopio operatorio, è scegliere la posizione del paziente e dell’operatore, che ci permetta di eseguire il maggior numero possibile di operazioni in sequenza senza spostamenti, che verrebbero ad aumentare i tempi operativi. In pratica si sceglie una posizione di lavoro e, in questa, si eseguono tutte le terapie possibili, prima di passare alla successiva. L’operatore riesce a lavorare in modo ergonomico se associa, in modo logico e consequenziale, una serie di fattori e regolazioni che permettono, nel loro insieme, di impostare la posizione di lavoro più adatta al compito da eseguire: aree operative, posizione dell’operatore, posizione del paziente, regolazione del microscopio. Zone operative La divisione delle zone operative più pratica, cioè quella che meglio si applica all’ergonomia del lavoro al microscopio operatorio, è rappresentata dalla divisione in sei sestanti delle arcate dentarie: mandibolari e mascellari, destri, sinistri, anteriori e posteriori. I quadranti sono elencati con numeri romani cominciando dal sestante mascellare destro (I) e procedendo in senso orario sino al sestante mandibolare posteriore destro (VI). In ogni sestante si identificano, poi, un’area vestibolare e una linguale per un totale di sei aree, dalle quali va distinta l’area occlusale. Le aree sono numerate, computando prima l’area vestibolare (numeri dispari) e poi la linguale o palatina (numeri pari), e procedendo in senso orario a cominciare dal versante vestibolare mascellare destro (1) e finendo col versante mandibolare linguale (12). Le aree accessorie occlusali sono numerate 13 e 14. 133 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A II 5 6 I III Tab. 7.2 2 arcata superiore arcata inferiore arcata inferiore IV 7 10 8 3 9 12 V 11 S E S TA N T I AREE A R E E E S E S TA N T I M A N D I B O L A R I MANDIBOLA 3 sestanti VI mandibolare posteriore destro V mandibolare anteriore IV mandibolare posteriore sinistro 7 aree 134 4 arcata superiore VI Figg. 7.1, 7.2 Schema delle zone operative con suddivisione in sestanti. 1 MASCELLA 3 sestanti I mascellare posteriore destro II mascellare anteriore III mascellare posteriore sinistro 7 aree area sestante mandibolare posteriore destro, aspetto vestibolare 7 area sestante mascellare posteriore destro, aspetto vestibolare 1 area sestante mandibolare posteriore sinistro, aspetto linguale 8 area sestante mascellare posteriore sinistro, aspetto palatino 2 area sestante mandibolare posteriore sinistro, aspetto vestibolare 9 area sestante mascellare posteriore sinistro, aspetto vestibolare 3 area sestante mandibolare posteriore 10 destro, aspetto linguale area sestante mascellare posteriore destro, aspetto palatino 4 area sestante mandibolare anteriore, 11 aspetto vestibolare area sestante mascellare anteriore, aspetto vestibolare 5 area sestante mandibolare anteriore, 12 aspetto linguale area sestante mascellare anteriore, aspetto palatino 6 area super fici occlusali 14 dei denti mandibolari area super fici occlusali dei denti mascellari 7 CA P I TO L O 7 E R G O N O M I A D E L L E P O S I Z I O N I D I L AVO RO L’utilità di tale sistema di divisione appare chiaro quando si pensi alla possibilità di appaiare aree complementari che sono visibili con una stessa inquadratura del microscopio e che, quindi, possono essere curate contemporaneamente senza alterare la posizione di lavoro dell’operatore o del paziente; economizzando i movimenti e i tempi operativi in modo completamente diverso dai dettami dell’odontoiatria classica. Le posizioni sono state illustrate per un operatore destro (tab. 7.3), che rappresenta l’eventualità più frequente, e possono essere adattate per operatori mancini con variazioni simmetriche speculari. Posizione dell’operatore Le posizioni dell’odontoiatra vengono rappresentate secondo il classico schema del quadrante dell’orologio. Se immaginiamo di guardare dall’alto il paziente sulla poltrona, la bocca rappresenta il centro del quadrante di un orologio, con la testa sulle ore 12 e i piedi sulle ore 6; le ore 9 e le ore 3 rappresentano rispettivamente la destra e la sinistra della poltrona, perpendicolarmente al suo asse longitudinale. Nel lavoro al microscopio operatorio si utilizzano, di solito, tre posizioni: ore 9, 11 e 12 per l’operatore destro, la posizione prevalente risulta comunque, alle ore 12, per la maggior parte dei sestanti e tipo di prestazioni. Figg. 7.3, 7.4, 7.5 Posizione dell’operatore a ore 9, 11 e 12. L’odontoiatra deve essere seduto in posizione ergonomica, che riduca cioè il dispendio energetico e i danni da posture viziate; i principi non variano nei confronti dell’ergonomia tradizionale e il loro rispetto è facilitato dall’utilizzazione del microscopio: • • • • schiena e collo diritti; bacino appoggiato allo sgabello; cosce parallele al pavimento; angolazione tra cosce e gambe di 105° cioè con ginocchio leggermente più in alto delle anche; 135 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A • • • • • gambe perpendicolari al pavimento; piante dei piedi appoggiate sul pavimento; gomiti vicino ai fianchi; avambracci paralleli al terreno a livello della bocca del paziente o leggermente più alti, appoggiati sul paziente o ai braccioli dello sgabello, in modo da non rimanere sospese; mani che durante il lavoro cercano dei punti di appoggio (finger rest) sulle arcate dentarie o sul viso del paziente, in modo da muoversi con precisione ed evitare tremori. Tab. 7.3 POSIZIONI DI LAVORO DELL’OPERATORE Posizione seduta dell’operatore secondo i principi ergonomici in modo da permettere una posizione fisiologica della muscolatura. Punti di appoggio (finger rest) per assicurare la stabilità e precisione riducendo il tremore. 136 CA P I TO L O 7 Posizione del paziente e regolazione della poltrona E R G O N O M I A D E L L E P O S I Z I O N I D I L AVO RO Le posizioni che il paziente deve assumere sulla poltrona devono risultare comode, in modo da rendere sopportabili interventi prolungati, ma soprattutto permettere la visibilità e l’accesso al campo operatorio da parte dell’odontoiatra (angolo di accesso visivo), la cui mobilità è limitata dal sistema ottico. Per utilizzare correttamente il microscopio operatorio è necessario fare assumere al paziente posizioni peculiari che sono diverse da quelle classiche previste dall’odontoiatria tradizionale. Durante l’intervento l’operatore può usare sia la visione diretta che l’indiretta con l’ausilio dello specchietto. La visione indiretta rende più difficoltoso il coordinamento motorio poiché l’immagine è invertita; inoltre richiede frequenti interruzioni per detergere lo specchietto appannato dal vapore acqueo o sporcato dalla precipitazione dello spray e dei detriti. Questi problemi sono superabili con gli spray anti-appannanti, soffiando con la siringa dell’aria sullo specchietto, o posizionando lo specchietto lateralmente allo strumento (accorgimento, quest’ultimo, che limita considerevolmente la visione del campo operatorio). La visione diretta può essere utilizzata su tutte le superfici dei denti, ma richiede un posizionamento più complesso del paziente. Per lavorare al microscopio è quindi necessario che la poltrona disponga di diverse regolazioni dello schienale e del poggiatesta: • • • tre regolazioni dello schienale (semidiritto con schienale inclinato di circa 45°, supino con schienale e poltrona disposte in orizzontale a circa 180°, Trendelemburg con la testa più bassa dei piedi e poltrona inclinata di 215-225°); tre posizioni della testa sul piano frontale (diritta in avanti, ruotata a sinistra, e a destra); tre posizioni della testa sul piano sagittale, ottenute con la regolazione del poggiatesta o la flessione del collo (poggiatesta reclinato indietro e iperestensione del collo per ottenere il mento in alto; poggiatesta diritto e flessione del collo per posizionare il mento in basso). Da quanto detto consegue che la poltrona odontoiatrica deve, quindi, soddisfare i seguenti requisiti: • • • disporre di schienale e poggiatesta regolabili separatamente; permettere il posizionamento in Trendelemburg; contenere l’intero corpo del paziente in posizione supina, comprese le braccia. 137 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Le poltrone con movimento sincronizzato dello schienale e del sedile, in modo da non spostare indietro il corpo del paziente, sono preferibili alle poltrone in cui si reclina solo lo schienale. Le prime, infatti, hanno il vantaggio di non allontanare il paziente dalla posizione del microscopio operatorio, quando si regoli l’inclinazione dello schienale, fatto che evita di dovere riposizionare il corpo ottico. Per assicurare la comodità per il paziente nel corso di interventi prolungati è inoltre consigliabile applicare alcuni accorgimenti aggiuntivi, come ad esempio utilizzare un poggiaschiena e un poggiatesta morbidi, modellabili e stabili per sostenere la fisiologica curvatura lombare e cervicale della colonna vertebrale. Tab. 7.4 REGOLAZIONI SCHIENALE DELLA POLTRONA LA POSIZIONE DEL PAZIENTE Schienale semidiritto Schienale orizzontale Schienale Trendelemburg VARIAZIONI POSIZIONE TESTA SUL PIANO SAGITTALE Diritta Iper tensione Flessione ROTAZIONI DELLA TESTA Diritta Ruotata a sinistra Ruotata a destra 138 CA P I TO L O 7 E R G O N O M I A D E L L E P O S I Z I O N I D I L AVO RO Posizioni di lavoro in visione diretta Particolarmente in conservativa e protesi risulta agevole, con un minimo addestramento, trattare in visione diretta tutti i denti di entrambe le arcate, assumendo posizioni diverse dell’operatore e del paziente, a seconda delle superfici da trattare. Lo schema segnala le posizioni di un operatore destro utili a trattare le varie superfici dentali, abbinando tra loro gli aspetti vestibolari, linguali, palatini e occlusali dei diversi sestanti. In tal modo è possibile pianificare l’intervento abbinando le procedure che possono essere eseguite in una stessa posizione prima di passare alla successiva: 1. 2. 3. Fig. 7.6 Superfici e sestanti dentali da abbinare in posizioni di lavoro con visione diretta. gli aspetti vestibolari dei diatorici destri e linguali dei sinistri, sia mascellari che mandibolari, possono essere trattati da un operatore posizionato a ore 9, lo schienale della poltrona semidiritta e il paziente con testa rivolta in avanti; gli aspetti vestibolari dei diatorici sinistri e linguali dei destri, sia mascellari che mandibolari, possono essere trattati da un operatore posizionato a ore 12, lo schienale della poltrona supino e il paziente con testa rivolta a destra; le superfici occlusali di tutti i denti e gli aspetti vestibolari e linguali dei sestanti anteriori, possono essere trattati da un operatore posizionato a ore 12, lo schienale della poltrona supino e il paziente con testa rivolta in avanti. re incisivi palatini e vestibolari super fici occlusali super fici occlusali de s t p a lat a li de s tr e u a li l i ng ri de st v e s t i bo l a re ar i de st t i b ol ve s es t ib l in g o l ar ua l i i sini s tr e des tr e p al a t a l i de s t re n ri si v es t i b ol a is t re re L’accesso ai sestanti mascellari richiede una maggiore estensione del collo e inclinazione della poltrona (o in posizione di Trendelemburg 215°). incisivi linguali e vestibolari v OPERATORE ORE 12 TESTA PAZIENTE GIRATA A DESTRA SCHIENALE POLTRONA SUPINO OPERATORE ORE 9 TESTA PAZIENTE RIVOLTA IN AVANTI SCHIENALE POLTRONA SEMIDIRITTO OPERATORE ORE 12 TESTA PAZIENTE RIVOLTA IN AVANTI SCHIENALE POLTRONA SUPINO 139 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Tab. 7.5 Posizione di lavoro in visione diretta per molari e premolari mandibolari (aspetto linguale a sinistra e vestibolare a destra). Fig. 7.7 Posizione della poltrona e dell’operatore in prospettiva laterale. Figg. 7.8, 7.9, 7.10, 7.11 Zona operatoria in prospettiva extraorale ed intraorale. 140 MANDIBOL A : POSIZIONE DI L AVORO N.1 Denti 48-44 aspetto vestibolare Denti 38-34 aspetto linguale sestante VI, area 7 sestante IV, area 8 Posizione dell’operatore ore 9 Regolazione dello schienale semidiritto Posizione della testa diritta in avanti Regolazione del poggiatesta diritto Regolazione del corpo ottico diritto, tubo binoculare 120° su obiettivo Osservazioni braccia dell’operatore distese in avanti; appoggio delle dita su mento e guancia del paziente; per terapia area 7 l’aspirasaliva nel fornice vestibolare destro. Varianti posizione identica con testa ruotata sinistra; posizione in decubito laterale sinistro per evitare torsioni prolungate della muscolatura del collo in inter venti prolungati. CA P I TO L O 7 Tab. 7.6 Posizione di lavoro in visione diretta per molari e premolari mandibolari sinistri (area vestibolare). E R G O N O M I A D E L L E P O S I Z I O N I D I L AVO RO MANDIBOL A : POSIZIONE DI L AVORO N.2 Denti 38-34 aspetto vestibolare sestante IV, area 9 Posizione dell’operatore ore 12 Regolazione dello schienale semidiritto Posizione della testa ruotata a destra Regolazione del poggiatesta diritto Regolazione del corpo ottico diritto, tubo binoculare 90° su obiettivo Osservazioni divaricazione accentuata con specchietto per visualizzare i segmenti più posteriori; appoggio delle dita sul mento e guancia del paziente; aspirasaliva nel fornice vestibolare sinistro. Varianti posizione identica con testa ruotata a destra; posizione del paziente in decubito laterale destro; per evitare torsioni prolungate della muscolatura del collo in inter venti prolungati. Fig. 7.12 Posizione della poltrona e dell’operatore in prospettiva laterale. Figg. 7.13, 7.14, 7.15 Zona operatoria in prospettiva extraorale ed intraorale. 141 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Tab. 7.7 Posizione di lavoro in visione diretta per molari e premolari mandibolari destri (area linguale). Fig. 7.16 Posizione della poltrona e dell’operatore in prospettiva laterale. Figg. 7.17, 7.18, 7.19 Zona operatoria in prospettiva extraorale ed intraorale. 142 MANDIBOL A : POSIZIONE DI L AVORO N.3 Denti 48-44 aspetto linguale sestante VI, area 10 Posizione dell’operatore ore 12 Regolazione dello schienale semidiritto Posizione della testa diritta in avanti Regolazione del poggiatesta diritto Regolazione del corpo ottico lieve inclinazione verso destra dell’asse del corpo ottico sul piano frontale (visione d’infilata) Osservazioni lo specchietto dell’operatore divarica la guancia destra; appoggio delle dita su mento e arcata dentaria destra, l’assistente con lo specchietto divarica la guancia sinistra per ampliare l’angolo di accesso visivo. Varianti stessa posizione con testa del paziente ruotata a destra; posizione del paziente in decubito laterale destro per evitare torsioni prolungate della muscolatura del collo in inter venti prolungati. CA P I TO L O 7 Tab. 7.8 Posizione di lavoro in visione diretta per le superfici occlusali dei molari e premolari mandibolari. E R G O N O M I A D E L L E P O S I Z I O N I D I L AVO RO MANDIBOL A : POSIZIONE DI L AVORO N.4 Superfici occlusali dei denti mandibolari area 14 Posizione dell’operatore ore 12 Regolazione dello schienale semidiritto Posizione della testa diritta in avanti Regolazione del poggiatesta diritto Regolazione del corpo ottico diritto, tubo binoculare 90° su obiettivo Osservazioni piano occlusale parallelo al pavimento; lieve flessione del collo e mento in basso per le zone più posteriori; appoggio delle dita sul mento e sull’arcata dentale inferiore; lo specchietto dell’assistente protegge la lingua. Fig. 7.20 Posizione della poltrona e dell’operatore in prospettiva laterale. Figg. 7.21,7.22, 7.23, 7.24 Zona operatoria in prospettiva extraorale ed intraorale. 143 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Tab. 7.9 Posizione di lavoro in visione diretta per le superfici vestibolari e linguali degli incisivi e dei canini inferiori. Fig. 7.25 Posizione della poltrona e dell’operatore in prospettiva laterale. Figg. 7.26, 7.27, 7.28 Zona operatoria in prospettiva extraorale ed intraorale. 144 MANDIBOL A : POSIZIONE DI L AVORO N.5 Denti 33-43 aspetto vestibolare e linguale sestante II, area 11, area 12 Posizione dell’operatore ore 12 Regolazione dello schienale semidiritto Posizione della testa diritta in avanti Regolazione del poggiatesta lieve flessione del collo e mento in alto per area 11; lieve flessione del collo e mento in basso per area 12 Regolazione del corpo ottico diritto, tubo binoculare 90° su obiettivo Osservazioni piano occlusale parallelo al pavimento; appoggio delle dita sul mento e sull’arcata dentale inferiore (zona incisiva) Varianti per la super ficie linguale spostamento ore 11 e lieve inclinazione del corpo ottico verso sinistra (visione d’infilata) con bocca molto aperta CA P I TO L O 7 Tab. 7.10 Posizione di lavoro in visione diretta per le superfici palatine dei molari e premolari sinistri e superfici vestibolari dei molari e premolari destri. E R G O N O M I A D E L L E P O S I Z I O N I D I L AVO RO MASCELL A : POSIZIONE DI L AVORO N.1 Denti 18-14 aspetto vestibolare Denti 28-24 aspetto palatino sestante I, area 1 sestante III, area 2 Posizione dell’operatore ore 9 Regolazione dello schienale supino Posizione della testa ruotata a sinistra Regolazione del poggiatesta lieve iper tensione del collo e mento in alto Regolazione del corpo ottico diritto, tubo binoculare -90° -120° su obiettivo Osservazioni appoggio delle dita sull’arcata dentale Varianti posizione identica con rotazione della testa verso sinistra; posizione del paziente in decubito laterale per evitare torsioni prolungate della muscolatura del collo in inter venti prolungati Fig. 7.29 Posizione della poltrona e dell’operatore in prospettiva laterale. Figg. 7.30, 7.31, 7.32 Zona operatoria in prospettiva extraorale ed intraorale. 145 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Tab. 7.11 Posizione di lavoro in visione diretta per le superfici palatine dei molari e premolari destri e vestibolari sinistri. Fig. 7.33 Posizione della poltrona e dell’operatore in prospettiva laterale. Figg. 7.34, 7.35, 7.36, 7.37 Zona operatoria in prospettiva extraorale ed intraorale. 146 MASCELL A : POSIZIONE DI L AVORO N.2 Denti 18-14 aspetto vestibolare Denti 28-24 aspetto palatino sestante I, area 4 sestante III, area 2 Posizione dell’operatore ore 12 Regolazione dello schienale supino Posizione della testa ruotata a destra Regolazione del poggiatesta lieve iper tensione del collo e mento in alto Regolazione del corpo ottico tubo binoculare 90° su obiettivo Osservazioni appoggio delle dita sull’arcata dentale Varianti posizione identica con rotazione della testa verso sinistra; posizione del paziente in decubito laterale per evitare torsioni prolungate della muscolatura del collo in inter venti prolungati CA P I TO L O 7 Tab. 7.12 Posizione di lavoro in visione diretta per le superfici palatine degli incisivi e canini mascellari. E R G O N O M I A D E L L E P O S I Z I O N I D I L AVO RO MASCELL A : POSIZIONE DI L AVORO N.3 Denti 13-23 aspetto palatino sestante II, area 6 Posizione dell’operatore ore 12 Regolazione dello schienale Trendelemburg o supino Posizione della testa girata a sinistra per 23, 22, 21 girata a destra per 13, 12, 11 Regolazione del poggiatesta iper tensione del collo e mento in alto Regolazione del corpo ottico corpo ottico inclinati verso sinistra per 23, 22, 21 corpo ottico inclinati verso sinistra girato a destra per 13, 12, 11 (visione d’infilata) Osservazioni piano occlusale perpendicolare al pavimento; angolo tra binoculare e corpo ottico < 90°; appoggio delle dita sull’arcata dentale Fig. 7.38 Posizione della poltrona e dell’operatore in prospettiva laterale. Figg. 7.39, 7.40, 7.41, 7.42 Zona operatoria in prospettiva extraorale ed intraorale. 147 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Tab. 7.13 Posizione di lavoro in visione diretta per le superfici vestibolari degli incisivi e canini mascellari. Fig. 7.43 Posizione della poltrona e dell’operatore in prospettiva laterale. Figg. 7.44, 7.45, 7.46, 7.47 Zona operatoria in prospettiva extraorale ed intraorale. 148 MASCELL A : POSIZIONE DI L AVORO N.4 Denti 13-23 aspetto vestibolare sestante II, area 5 Posizione dell’operatore ore 12 Regolazione dello schienale supino Posizione della testa diritta in avanti Regolazione del poggiatesta diritto Regolazione del corpo ottico angolo tra binoculare e corpo ottico < 90° Osservazioni piano occlusale perpendicolare al pavimento CA P I TO L O 7 Tab. 7.14 Posizione di lavoro in visione diretta per le superfici vestibolari degli incisivi e canini mascellari. E R G O N O M I A D E L L E P O S I Z I O N I D I L AVO RO MASCELL A : POSIZIONE DI L AVORO N.5 Denti 13-23 aspetto vestibolare sestante II, area 13 Posizione dell’operatore ore 12 Regolazione dello schienale Trendelemburg o supino Posizione della testa diritta in avanti Regolazione del poggiatesta iper tensione del collo e mento in alto Regolazione del corpo ottico angolo tra binoculare e corpo ottico < 90° Varianti piano occlusale perpendicolare al pavimento; appoggio delle dita su arcata dentaria mascellare o palato. La visione diretta può essere ottenuta diminuendo l’angolo tra asse del binoculare e corpo ottico per le super fici occlusali posteriori. Fig. 7.48 Posizione della poltrona e dell’operatore in prospettiva laterale. Figg. 7.49, 7.50, 7.51 Zona operatoria in prospettiva extraorale ed intraorale. 149 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Posizioni di lavoro in visione indiretta In molte situazioni non è possibile lavorare in visione diretta ed è necessario ricorrere alla visione indiretta con l’ausilio di uno specchietto. Per non avere sdoppiamento dell’immagine è necessario utilizzare specchietti piatti rodiati; che hanno la caratteristica di specchiare l’immagine sulla superficie anteriore del vetro e non sulla posteriore come gli specchi tradizionali, che hanno l’inconveniente di dare una visione meno nitida e con sdoppiamenti. Con tale tipo di approccio, i movimenti risultano invertiti rispetto alla realtà e la coordinazione motoria parzialmente difficoltosa; inoltre, tale metodica non è praticabile in tutte quelle attività, dove sono normalmente impegnate ambedue le mani dell’operatore (prima fra tutte la chirurgia). I vantaggi, della visione indiretta, consistono nella possibilità: di raggiungere tutte le posizioni (come ad esempio le cavità distali e i canali radicolari dei denti posteriori mascellari); di mettere a fuoco e variare l’angolo di accesso al campo operatorio, solo muovendo lo specchietto, senza riposizionare il corpo ottico o il paziente (contrariamente a quanto avviene nella visione diretta che richiede spostamenti più complessi). Per assicurare le migliori condizioni di visibilità è necessario rispettare alcune fasi: • • • • Fig. 7.52 Diverse possibilità in visione indiretta con lo specchietto posto vicino alla zona operatoria, a livello delle labbra e in sede extraorale. 150 mettere il paziente in una posizione orizzontale predeterminata; posizionare il microscopio operatorio in modo che l’operatore abbia una postura fisiologica del rachide; aggiustare l’altezza della poltrona e la testa del paziente in modo da inquadrare il campo operatorio nello specchietto; la testa va posizionata in modo che le superfici occlusali da trattare siano orientate verticalmente (perpendicolari al pavimento) per l’arcata mascellare; per l’arcata mandibolare il collo va CA P I TO L O 7 E R G O N O M I A D E L L E P O S I Z I O N I D I L AVO RO • • • lievemente iperesteso per reclinare la testa all’indietro (e quindi il piano occlusale); lo specchietto è orientato idealmente a circa 45° con il campo operatorio, in modo che le radiazioni ottiche vi incidano e siano riflesse sull’asse del sistema ottico (gli specchi rodiati permettono un’ottima visione anche con angoli minori o maggiori); la distanza di lavoro diviene quella tra obiettivo e superficie dello specchio; il campo è messo a fuoco regolando la distanza tra lo specchietto e il campo operatorio; l’angolo di accesso visivo è mutato spostando lo specchietto; in questo modo è possibile variare il sestante e la prospettiva attraverso cui si vede il campo operatorio (occlusale, vestibolare, linguale o palatale). I movimenti dello specchietto vanno combinati con piccoli spostamenti della testa del paziente, lasciando ferme le altre regolazioni (poltrona, odontoiatra, corpo del paziente). Il metodo di lavoro più semplice consiste nel posizionare lo specchietto intraoralmente, vicino alla sede d’intervento; posizione che presenta il vantaggio di potere lavorare correggendo la posizione degli strumenti, utilizzando contemporaneamente la visione diretta e indiretta, ma anche lo svantaggio derivante dal fatto che lo specchietto è reso rapidamente inservibile dal deposito di spray, di detriti formati dagli strumenti rotanti o dall’appannamento causato dall’umidità orale. Tale problema può essere superato tenendo lo specchietto lontano dalla zona operatoria: sull’arcata antagonista, in corrispondenza delle labbra o, addirittura, in posizione extraorale; in questo modo, però, può risultare un po’ complesso mantenere inquadrato il campo operatorio, anche per piccole variazioni della posizione della mano e diviene particolarmente importante un buon supporto per mantenere in posizione lo specchietto. Fig. 7.53 Fasi di posizionamento per il lavoro in visione indiretta. Piccoli aggiustamenti per la messa a fuoco possono essere eseguiti spingendo con le ginocchia sullo schienale della poltrona. y zoom focus x 151 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Figg. 7.54, 7.55, 7.56, 7.57, 7.58, 7.59 Dente 17, paziente orizzontale, dentista a ore 12, specchio intraorale vicino al dente; modificazione dell’angolo di accesso visivo spostando lo specchietto senza alterare la posizione del paziente o dell’operatore. Figg. 7.60, 7.61 Primo molare mascellare destro (16) in visione indiretta con paziente orizzontale, dentista a ore 12, specchio in regione canina inferiore destra (43) a 3x e 11x. Il posizionamento dello specchietto lontano dalla zona operativa permette di lavorare con lo spray senza difficoltà di visibilità. 152 CA P I TO L O 7 E R G O N O M I A D E L L E P O S I Z I O N I D I L AVO RO Figg. 7.62, 7.63, 7.64, 7.65, 7.66, 7.67 Premolari mascellari destri (14, 15) osservati in visione indiretta con il paziente orizzontale, il dentista a ore 12 e lo specchio intraorale vicino al sestante. Lo spostamento dello specchietto e una leggera rotazione del capo del paziente permettono la modificazione dell’angolo di accesso visivo senza cambiare la posizione del microscopio operatorio o dell’odontoiatra. 153 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Figg. 7.68, 7.69, 7.70, 7.71, 7.72, 7.73 Denti frontali mascellari (11, 21) osservati in diverse posizioni inclinando lo specchietto. Per la diagnosi o lo zeppamento di materiale da ricostruzione lo specchietto è posizionato vicino ai denti; per la preparazione con spray il posizionamento dello specchietto lontano dalla zona operativa permette di lavorare senza difficoltà di visibilità. Figg. 7.74, 7.75 Nella visione indiretta l’aspetto labiale degli incisivi mandibolari è visto raddrizzato. 154 CA P I TO L O 7 E R G O N O M I A D E L L E P O S I Z I O N I D I L AVO RO Figg. 7.76, 7.77 Nella visione indiretta con un angolo di accesso visivo eccentrico proveniente da sinistra e labiale, gli incisivi inferiori appaiono inclinati di 60°. Figg. 7.78, 7.79 Nella visione indiretta con un angolo di accesso visivo eccentrico proveniente da sinistra e linguale, gli incisivi inferiori appaiono inclinati di 135°. Figg. 7.80, 7.81 Nella visione indiretta con un angolo di accesso visivo linguale, gli incisivi inferiori appaiono ruotati di 180°. 155 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Figg. 7.82, 7.83 Primo molare mandibolare sinistro (36) in visione indiretta con paziente orizzontale e odontoiatra a ore 12. Figg. 7.84, 7.85, 7.86, 7.87 Secondo molare mandibolare sinistro (37). La visione indiretta permette di cambiare semplicemente l’angolo di accesso visivo e quindi il versante visibile del dente; nella mandibola, però, l’immagine risulta invertita. 156 CA P I TO L O 7 E R G O N O M I A D E L L E P O S I Z I O N I D I L AVO RO Conclusioni Il rispetto delle posizioni indicate permette di lavorare con un’ottima visibilità, con posture corrette del rachide e con muscolatura rilassata, riducendo l’affaticamento psico-fisico e in definitiva lo stress. L’obiettivo consiste nel mantenere la schiena distesa e allungata per non alterare le curvature fisiologiche, lavorare il più possibile in visione diretta, mantenere il paziente in una posizione comoda, minimizzare i cambiamenti di posizione, sia propri che del paziente. L’inserimento del microscopio nel campo operatorio comporta una variazione della posizione della testa dell’operatore che non guarderà più direttamente in bocca al paziente, bensì dentro agli oculari. In questo modo l’asse del sistema ottico può essere considerato un prolungamento dello sguardo dell’odontoiatra. Con lo svantaggio, però, che l’angolo di accesso visivo è più limitato, nei confronti dell’operare a occhio nudo, visto che è necessario che i raggi luminosi arrivino perpendicolarmente dal campo operatorio all’obiettivo e che non sono possibili quei piccoli movimenti di adattamento del capo che si svolgono automaticamente per arrivare a vedere tutte le zone della bocca. Per assicurare le migliori condizioni di visibilità è quindi necessario orientare il sistema ottico sul campo operatorio rispettando alcuni requisiti che non sono sempre completamente soddisfatti: • • • lavorando in visione diretta, il campo operatorio deve essere posizionato il più perpendicolare possibile rispetto alla direzione dell’asse del sistema ottico; lavorando in visione indiretta, lo specchietto deve essere posizionato il più possibile parallelo al campo operatorio e perpendicolare all’asse del sistema ottico (in media con un angolo di 45° tra i due); la prima cosa da fare, quando ci si accinga ad iniziare un intervento al microscopio operatorio, è scegliere la posizione del paziente e dell’operatore che ci permetterà di eseguire il maggior numero possibile di operazioni in sequenza, senza cambiare posizione, dato che gli spostamenti richiedono complessi movimenti per rimettere a fuoco il campo operatorio ed allungano i tempi operativi. 157 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Il posizionamento avviene in più fasi che si susseguono generalmente secondo l’ordine riportato nella tabella 7.15 a seguire. Tab. 7.15 REGOL AZIONE DELL A POSIZIONE DI L AVORO E DEL SISTEMA OTTICO Regolazioni ottiche preliminari 1 Distanza interpupillare. 2 Correzione ottica. 3 Parafocalizzazione. Regolazione della posizione iniziale 1 Posizionare l’operatore nella posizione a quadrante di orologio (ore 9-12) in cui si intende eseguire l’inter vento. 2 Posizionare il corpo del paziente regolando l’altezza della poltrona e l’inclinazione dello schienale (trendelemburg, supino, semidiritto). 3 Posizionare la testa del paziente mediante inclinazione del poggiatesta, torsione del capo, flessione o estensione del collo per garantire l’accesso visivo al campo operatorio. 4 Posizionare il corpo ottico del microscopio alla distanza di lavoro. 5 Avvicinare l’occhio all’oculare alla corretta distanza (exit pupil). 6 Centrare e mettere a fuoco il campo operatorio con un valore ridotto di ingrandimento (3-4x) muovendo il corpo ottico o la poltrona (nei microscopi operatori manuali) o con lo zoom (nei microscopi operatori motorizzati). 7 Regolare l’angolazione dei tubi binoculari sull’asse del corpo ottico per garantire un efficace angolo di accesso visivo. 8 Regolazione e verifica della posizione dell’operatore adattando l’altezza del seggiolino per assumere una posizione ergonomica di schiena, gambe e gomiti. Regolazioni intraoperatorie della posizione di lavoro per mutare l’angolo di accesso visivo 1 Spostare la testa del paziente (rotazione, estensione, flessione). 2 Regolare la posizione della poltrona (inclinazione dello schienale e del poggiatesta). 3 Regolare l’angolazione dei tubi binoculari sull’asse del corpo ottico. Regolazioni ottiche intraoperatorie 1 Variare l’ingrandimento in base alle necessità operatorie. 2 Regolare il diaframma. Una volta in posizione è utile verificare periodicamente la propria posizione per controllare se si stia lavorando in posizione corretta, in assenza di posture viziate, rispondendo mentalmente ai seguenti quesiti: 158 CA P I TO L O 7 E R G O N O M I A D E L L E P O S I Z I O N I D I L AVO RO • • • • • • • come sono seduto? la posizione della schiena, del collo, di gomiti e gambe è corretta? la posizione oraria è riferita al sestante in cui sto operando? la testa del paziente è posizionata correttamente? il paziente è in posizione comoda? la visione del campo operatorio è sufficiente e nitida? quali procedure possono essere associate con la stessa posizione? Tra le obiezioni, per quanto marginali, sulla indiscussa utilità dell’adozione del microscopio operatorio, mosse a sfavore della sua introduzione nella prassi clinica, le più frequentemente ricorrenti sono inerenti la difficoltà della visione diretta e l’allungamento dei tempi di lavoro. La prima vexata quaestio è riconducibile più a preferenze personali che a reali difficoltà oggettive. L’obiezione inerente l’allungamento dei tempi di lavoro è solo parzialmente vera e superabile con un’efficace pianificazione delle sequenze di lavoro, considerando la possibilità di organizzare il lavoro a quadranti e di riunire diverse operazioni in un’unica seduta, proprio per la possibilità di controllo e minima invasività e lesività sui tessuti. Caso clinico di intarsi adesivi indiretti in serie Figg. 7.88, 7.89, 7.90 Situazione preoperatoria e isolamento con diga di gomma e cunei di legno. Figg. 7.91, 7.92, 7.93 Preparazione della spoglia con fresa diamantata a testa piatta e angoli arrotondati, asportazione di dentina infetta residua con fresa al carburo di tungsteno. Figg. 7.94, 7.95, 7.96 Rifinitura dei margini occlusali e assiali con fresa diamantata a grana fine e/o dischetto abrasivo per asportare le irregolarità della fresa a grana grossa da preparazione. 159 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Figg. 7.97, 7.98, 7.99 Rifinitura dei margini cervicali delle cavità approsimali con scalpello da smalto. Figg. 7.100, 7.101 Preparazioni terminate. Fig. 7.102 Impronta con siliconi per addizione. Figg. 7.103, 7.104, 7.105 Intarsi appena cementati in seconda seduta. Caso clinico di protesi unitaria Figg. 7.106, 7.107, 7.108, 7.109, 7.110, 7.111 Situazione preoperatoria e fasi della preparazione della cavità per ricostruzione conservativa. 160 CA P I TO L O 7 E R G O N O M I A D E L L E P O S I Z I O N I D I L AVO RO Figg. 7.112, 7.113, 7.114 Preparazione per ricostruzione adesiva diretta con perno endocanalare. Figg. 7.115, 7.116, 7.117 Preparazione per ricostruzione adesiva diretta con perno endocanalare. Figg. 7.118, 7.119, 7.120, 7.121, 7.122, 7.123 Preparazione iuxtagengivale. Figg. 7.124, 7.125, 7.126 Preparazione sottogengivale nelle zone estetiche. Figg. 7.127, 7.128, 7.129 Presa d’impronta. Figg. 7.130, 7.131, 7.132 Provvisorio. 161 ASSISTENZA E DISINFEZIONE 162 CA P I TO L O 8 Introduzione In questo capitolo sono affrontati alcuni problemi accessori ma non marginali inerenti l’utilizzazione del microscopio operatorio in odontoiatria: • • • il ruolo dell’assistente alla poltrona; la selezione e preparazione del paziente; la disinfezione. Per quanto riguarda il ruolo dell’assistente si deve tenere presente che, lavorando al microscopio, l’odontoiatra focalizza la sua attenzione sui particolari di un campo visivo ristretto, perdendo la visione globale dell’ambiente e quindi tutto ciò che succede attorno al riunito dello studio. L’assistenza, quindi, richiede una maggiore intesa tra personale sanitario e parasanitario: • • • gli strumenti devono essere passati in sequenza corretta, in modo da essere impugnati dall’odontoiatra senza essere visti; è utile guidare la mano dell’odontoiatra verso il ristretto campo visivo fornito dall’obiettivo per evitare movimenti inutili, potenzialmente forieri di lesioni ai tessuti periorali del paziente; è, inoltre, opportuno siano segnalati all’odontoiatra eventuali problemi accessori, come necessità del paziente dovute a una posizione di immobilità prolungata o problemi tecnici come, ad esempio, la perdita di una inquadratura centrata nei sistemi di videoregistrazione. Per quanto riguarda la selezione e la preparazione del paziente è bene sottolineare che i soggetti i quali non sono in grado di sottoporsi ad un intervento di microscopia sono molto pochi, in relazione a problemi organici, mentre aumenta il numero delle prestazioni che richiede un’elevata qualità attraverso l’utilizzo di sistemi di ingrandimento. I problemi, quindi, si riducono a un posizionamento confortevole del paziente sulla poltrona, eventualmente con un cuscino per sorreggere la colonna vertebrale nella zona lombare; infine, di una lieve sedazione nei pazienti ansiosi o fobici, peraltro non in modo differente da quanto viene applicato nell’odontoia- 163 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A tria tradizionale. Anche la disinfezione non rappresenta un problema di particolare difficoltà, anche se si deve ammettere che i microscopi attualmente utilizzati in odontoiatria non rappresentano superfici lavabili paragonabili in funzionalità ed igiene ai più sofisticati riuniti odontoiatrici. L’inserimento dello stereomicroscopio nell’attività odontoiatrica si risolve quindi, come già segnalato, in un problema di ergonomia e di cambiamento di mentalità, più che in reali difficoltà pratiche. Come per tante altre cose della vita si tratta, quindi, di un bilancio tra i vantaggi ottenibili, le proprie aspirazioni e le scomodità insite in qualsiasi cambiamento. Per quanto ci riguarda noi non abbiamo dubbi che l’odontoiatria del futuro sarà una professione figlia di questi sistemi di ingrandimento. Il ruolo dell’assistente alla poltrona Posizione dell’assistente L’individuazione delle aree di attività, la programmazione dell’intervento e le mansioni mutano in relazione al numero di assistenti con cui l’odontoiatra lavora. Un’assistenza ottimale prevede la presenza di due assistenti alla poltrona, con le quali è importante un buon livello di intesa e comunicazione in modo da evitare interruzioni dell’intervento. La prima si pone seduta stabilmente sul lato non dominante dell’odontoiatra con lo scopo: • • aiutare la retrazione dei tessuti e l’aspirazione per mantenere il campo attivo asciutto, deterso e visibile; controllare sullo schermo che il campo operatorio sia centrato dal sistema di registrazione della videocamera. La seconda generalmente rimane in piedi, si posiziona sul lato dominante e svolge compiti ausiliari e di raccordo: • • • preparare e passare gli strumenti e i materiali; regolare i sistemi di registrazione; aiutare occasionalmente il divaricamento e la retrazione dei tessuti. Se ci si avvale di una sola assistente il suo raggio di lavoro si estende; pertanto, per evitare che lasci la posizione seduta a lato della poltrona, è necessario aumentare il carico di programmazione, distribuendo preliminarmente tutto lo strumentario potenzialmente necessario durante l’intervento, su vassoi, servomobili e piani di lavoro circostanti. 164 CA P I TO L O 8 ASSISTENZA E DISINFEZIONE 12 1 3 9 2 10 11 4 8 0,5 m 5 7 ODONTOIATRA ORE 11 ASSISTENTE ORE 2-3 12 1 3 9 2 10 11 4 8 0,5 m 5 7 ODONTOIATRA ORE 11 ASSISTENTE ORE 3-4 Secondo gli schemi tradizionali, le posizioni assunte dall’odontoiatra e dalla prima assistente sono complementari: l’odontoiatra lavora prevalentemente in una posizione compresa tra le ore 9 e le 12 e l’assistente, che siede alla poltrona, tra le 1 e le 3; ma possono essere modificate, a seconda di specifiche necessità, estendendo l’area occupata dall’odontoiatra dalle 7 alle 3 e quella dall’assistente dalle ore 11 alle 4. Le posizioni assunte per il lavoro con il microscopio operatorio sono, invece, più ridotte: più frequentemente l’odontoiatra si posiziona ore 11 o 12 e l’assistente alle ore 3 o 4.30; talvolta l’odontoiatra alle ore 9 e l’assistente alle ore 3. Lo stativo a pavimento del microscopio riduce, peraltro, le aree di lavoro utilizzabili dall’assistente; considerando che esso va disposto ad una distanza media di 50-80 cm dalla zona operativa in funzione della lunghezza del braccio snodato: questo è uno dei motivi che rende preferibile lo stativo a soffitto. Considerando il rapporto tra le gambe che si determina tra odontoiatra e assistente seduti, tra le diverse posizioni riportate nell’odontoiatria tradizionale (ad angolo retto, a incastro, a cerniera, parallela), nel lavoro al microscopio risultano preferibili quelle che garantiscono la maggiore libertà di movimento: la posizione ad angolo retto per gli operatori in posizione 12 e 3; parallela per gli operatori in posizione 9 e 3. 12 1 3 9 2 10 11 4 8 0,5 m Figg. 8.1, 8.2, 8.3 Schema delle posizioni di lavoro più frequentemente adottate dagli operatori nel lavoro al microscopio operatorio. 5 7 O D O N T O I AT R A O R E 9 ASSISTENTE ORE 3 165 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Visibilità del campo operatorio La prima assistente è seduta circa 20 cm più in alto dell’odontoiatra poiché non ha bisogno di vedere i particolari del campo operatorio, quanto piuttosto l’insieme dell’area di lavoro. Alcuni modelli di microscopio prevedono come accessorio un secondo oculare per l’assistente, che è collegato alla stessa via ottica dell’operatore e tale soluzione presenta alcune particolarità che possono tradursi in parziali difficoltà operative: • • ridurre parzialmente la manovrabilità del microscopio, intralciando i continui movimenti necessari all’operatore per inquadrare il campo operatorio; offrire all’assistente una visione del campo operatorio orientata nella stessa direzione dell’odontoiatra (ad es. ore 12); mentre l’assistente interviene da un’altra angolazione, in relazione alla sua diversa posizione (ad es. ore 3). Per ovviare a tali difficoltà, in alcune branche specialistiche della medicina e della chirurgia, sono stati proposti microscopi dotati di due ottiche diverse per operatore ed assistente, dove quest’ultimo è un chirurgo con un compito attivo come secondo operatore. L’adozione di tali soluzioni, gravate da maggior costo, appare per ora ingiustificato in odontoiatria, dove l’operatore è unico e il ruolo delle assistenti alla poltrona è limitato al passaggio degli strumenti ed alla divaricazione. Figg. 8.4, 8.5, 8.6, 8.7 Avvicinamento dello strumento rotante alla bocca con guida del palmo della mano. 166 CA P I TO L O 8 ASSISTENZA E DISINFEZIONE Figg. 8.8, 8.9 Passaggio siringhe per anestesia. Una valida possibilità consiste nel collegare la videocamera ad uno schermo, per permettere all’assistente di vedere l’intervento odontoiatrico e regolare le procedure di assistenza, anche distogliendo lo sguardo dal campo operatorio, dove fenomeni di riflessione della radiazione ottica prodotta dall’illuminatore possono causare abbagliamento. Scambio degli strumenti Molti degli strumenti di dimensioni tradizionali, risultano troppo ingombranti per lavorare sotto ingrandimento, in quanto la loro utilizzazione occuperebbe l’angolo di accesso visivo dell’operatore al campo operatorio. Per questo motivo molti odontoiatri selezionano semplicemente strumenti di dimensioni minori, tra quelli normalmente disponibili sui cataloghi, ricorrendo ai più costosi microstrumenti (perlopiù versioni miniaturizzate di strumenti ordinari) nei casi in cui anche i più piccoli degli strumenti tradizionali risultino troppo grandi per lavorare sotto ingrandimento. L’assistente deve conoscere il tipo di strumentario necessario e la successione delle singole fasi di ogni specifica procedura terapeutica, in modo da aiutare efficacemente l’odontoiatra, che ha la necessità di non distogliere lo sguardo e di tenere le mani sul campo operatorio, per evitare le interruzioni e i conseguenti movimenti di riposizionamento e rimessa a fuoco. Per il passaggio dei materiali è sufficiente dire che essi devono essere portati entro il campo visivo del microscopio, in modo che possano essere visti e presi dall’odontoiatra. Il passaggio degli strumenti è invece più complesso poiché prevede una funzione di guida da parte dell’assistente in più fasi: • • • la consegna da parte dell’assistente, nella “zona di scambio” immediatamente davanti alla bocca del paziente; la presa da parte dell’odontoiatra e il trasferimento verso la zona operatoria; la restituzione all’assistente, al termine dell’utilizzazione. 167 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A L’assistente deve conoscere le prese utilizzate dall’odontoiatra e il modo in cui lo strumento deve essere utilizzato; al fine di porgere lo strumento con la mano destra, afferrandolo dalla parte attiva, in modo che possa essere preso e immediatamente utilizzato dall’odontoiatra, in assenza di controllo visivo, semplicemente stringendo le dita, senza bisogno di riorientarlo. In questo modo, delle varie possibilità di scambio tra odontoiatra e assistente, descritte nell’odontoiatria tradizionale (prendi e deponi, scambio parallelo, scambio rotatorio), l’unica utilizzabile rimane quella più semplice, del tipo prendi e deponi. A questo proposito va ricordato che per prendere uno strumento, in zona esterna al campo visivo, è opportuno adottare alcune strategie per rientrare nel campo operatorio, in modo da evitare il rischio di ferire accidentalmente il paziente: • • • Figg. 8.10, 8.11, 8.12, 8.13, 8.14, 8.15 Passaggio strumenti e rientro con guida del palmo della mano. Figg. 8.16, 8.17, 8.18 Aggancio trapano con aspirasaliva per guidare il movimento di rientro. 168 l’odontoiatra può proteggere la parte attiva dello strumento con la mano non dominante; tecnica bimanuale che migliora sia la sensibilità propriocettiva, che il coordinamento motorio; l’odontoiatra può afferrare lo strumento, appoggiare il palmo della mano sul viso del paziente e quindi avvicinarsi ruotando le dita con un movimento guidato dal contatto; l’assistente può guidare con la propria mano il movimento di rientro dell’odontoiatra o con l’aspira-saliva. CA P I TO L O 8 ASSISTENZA E DISINFEZIONE Viceversa, quando l’odontoiatra vuole riconsegnare o cambiare lo strumento, allontanare di pochi centimetri la parte attiva dello strumento dalla zona operatoria e portarlo nell’aria di scambio, dove avviene il trasferimento con l’assistente. A differenza di tutto l’altro strumentario, lo strumentario rotante è generalmente preso e riposto direttamente dall’odontoiatra senza controllo visivo; dato l’ingombro rappresentato dal corpo ottico, la faretra portastrumenti viene generalmente posta alle ore 7 o 8, per l’operatore destro che lavori a ore 12, cioè per la posizione di lavoro più frequentemente assunta. Figg. 8.19, 8.20 L’assistente guida con la propria mano i movimenti di avvicinamento al campo operatorio di quella dell’odontoiatra per evitare ferite accidentali del paziente. Fig. 8.21 Posizione della faretra portastrumenti a ore 7-8 per operatore destro a ore 12. 169 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Preparazione del paziente Raramente le condizioni mediche del paziente possono limitare l’uso del microscopio e la maggiore controindicazione consiste nella capacità tecnica dell’operatore. La particolarità, del lavoro al microscopio, consiste nella necessità di mantenere il paziente in posizione supina per lunghi periodi di tempo, limitando al minimo le interruzioni (ad esempio per sciacquare) che condizionerebbero il riposizionamento del sistema ottico. La situazione odontoiatrica, peraltro, è ulteriormente caratterizzata dalla presenza di un paziente vigile ed è completamente diversa da quanto avviene nelle altre specialità medico-chirurgiche, in cui il paziente è in anestesia totale, quindi immobile. Sebbene la pratica abbia suffragato l’ampia applicabilità di questa metodica di lavoro, alcuni pazienti possono presentare difficoltà nel mantenere a lungo la posizione di lavoro: • • • • pazienti con ortopnea per insufficienza cardiaca e respiratoria, che condizioni una posizione semiseduta; pazienti nel terzo trimestre di gravidanza, dove è consigliabile erogare interventi terapeutici semplici; inoltre è necessario mantenere la paziente in posizione confortevole (generalmente seduta) e permettere frequenti cambiamenti di posizione, in relazione alle richieste individuali e per prevenire potenziali lipotimie, dovute a compressione prolungata della vena cava inferiore da parte dell’utero, in posizione supina; pazienti con limitata apertura della bocca dovuta a condizioni individuali di facile stancabilità o a patologie disfunzionali della muscolatura masticatoria e della muscolatura temporomandibolare; pazienti con scarso grado di collaborazione per la presenza di ansia, odontofobia, ipercinesia e incapacità a rimanere fermi, ipereflessia orofaringea con vomito e bisogno frequente di sciacquare. Infine vanno ricordati i pazienti con sindromi disfunzionali dei muscoli e/o delle articolazioni temporo-mandibolari, che possono avere difficoltà nel mantenere aperta la bocca a lungo o in misura tale da assicurare un angolo visivo d’accesso sufficiente all’uso del microscopio operatorio. In questi casi alcuni esercizi, simili a quelli utilizzati per la fisioterapia delle disfunzioni cranio-mandibolari, possono rilassare la muscolatura e permettere l’utilizzazione del microscopio operatorio anche in casi apparentemente sfavorevoli all’esame eseguito nel corso della prima visita. 170 CA P I TO L O 8 Sedazione per via orale ASSISTENZA E DISINFEZIONE La lieve sedazione per via orale è un valido presidio per i pazienti candidati a sedute prolungate, indipendentemente dalla collaborazione e dagli aspetti psicologici, per ottenere un minimo grado di rilassamento muscolare che renda più sopportabile l’intervento. Le diverse benzodiazepine sono psicolettici bene assorbiti per via orale, simili per meccanismo d’azione, effetti farmacologici e collaterali, che differiscono, sostanzialmente, per l’emivita. Per l’elevato indice terapeutico tra dose efficace e tossica sono i farmaci di scelta per la premedicazione; gli effetti collaterali alle dosi normalmente utilizzate sono infrequenti; mentre, in caso di sovradosaggio, possono manifestarsi eccesso di sedazione (astenia, sonnolenza, confusione) amnesia anterograda ed eccitamento paradosso. Il farmaco più utilizzato è il diazepam che ha una emivita di 14-70 ore; il paziente va avvertito che il rallentamento dei riflessi e la sonnolenza possono ostacolare lo svolgimento di attività che richiedano coordinazione motoria, come ad esempio guidare o utilizzare macchinari in movimento. In questo senso le benzodiazepine per os a breve durata d’azione sono più maneggevoli e tra esse ricordiamo il triazolam con emivita < 5 ore o il temazepam con emivita 3-25 ore. Tab. 8.1 SEDAZIONE PER VIA ORALE* farmaco dosaggio Diazepam capsule (compresse 5 mg, gocce 30 ml) 5-10 mg per os 30-60 minuti prima dell’inter vento Temazepam compresse (20 mg e 40 mg) 20-40 mg per os 30-60 minuti prima dell’inter vento Triazolam compresse (0,125 mg e 0,250 mg) 0,25-0,50 mg per os 30-60 minuti prima dell’inter vento (*) dosaggi indicati per adulti normopeso, in assenza di controindicazioni. 171 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Pulizia e disinfezione del microscopio operatorio I componenti ottici e meccanici del microscopio richiedono un’attenta manutenzione, se si desidera una resa costantemente elevata dello strumento. Peraltro, il corpo ottico e i suoi accessori sono parti esposte al rischio di contaminazione batterica e richiedono una protezione meccanica o, in alternativa, una detersione e disinfezione particolarmente accurate ed effettuate ad ogni impiego dello strumento, tenendo presente la estrema delicatezza delle parti. Pulizia La lotta alla polvere è la prima cosa da attuare: delle parti meccaniche • • • l’ambiente di lavoro deve essere pulito; lo stereomicroscopio deve essere protetto da una cappa di plastica durante i periodi di inattività; la polvere dallo stativo e dalle parti meccaniche deve essere tolta con un pennello o un panno di tela morbida che non lasci residui. Gli ingranaggi adibiti al posizionamento, al frizionamento e alla messa a fuoco possono presentare col tempo difetti di movimento, sia per la perdita del lubrificante che per la deposizione di polvere nel grasso stesso. È importante non pulire mai, con solventi, i dispositivi di movimento dall’esterno, a microscopio montato; il liquido potrebbe penetrare tra gli ingranaggi e permanervi a lungo, fluidificando il grasso fino a scioglierlo e farlo uscire dai meccanismi, che non funzionerebbero più perfettamente. Non è mai buona norma smontare da soli gli ingranaggi ma affidarsi a un tecnico specializzato; se si preferisce fare da sé si deve: disporre degli utensili adatti; dopo aver smontato, pulire con alcol (ad esempio xilolo); lubrificare solo con l’apposito lubrificante fornito dalla casa costruttrice; rimontare con attenzione ai rapporti tra le singole parti. Pulizia e detersione delle lenti 172 Le lenti dell’oculare sono soggette alla polvere e all’unto sia per la loro posizione, che per il grasso depositatovi dalle sopracciglia; mentre le lenti dell’obiettivo sono esposte alla contaminazione da schizzi e aereosol, data la loro vicinanza al campo operatorio. Durante le manovre di pulizia, è buona norma non toccare le lenti o trattarle con modalità aggressive, per non rigarle o intaccarne i trattamenti di superficie, eseguiti per migliorarne la qualità (trattamenti antiriflesso). L’abitudine di strofinare direttamente le CA P I TO L O 8 ASSISTENZA E DISINFEZIONE lenti con un fazzoletto o un panno è errata; si deve prima eliminare la polvere, mediante getto d’aria con la siringa multifunzione del riunito o un pennello a pompetta; in questo modo si evita che i granelli di polvere più grossolani possano rigare le lenti con l’azione di strofinamento. Se la spolveratura è stata insufficiente, si applica un cauto strofinamento con cartina ottica non siliconata (il silicone può danneggiare lo strato protettivo o antiriflesso); generalmente il sottile film di vapore che si deposita sulla lente alitandovi (o qualche goccia di acqua distillata) sono sufficienti ad aiutare l’azione della cartina ottica. Per la detersione/disinfezione si può utilizzare anche un panno umido imbevuto con una soluzione di sapone delicato e poi risciacquato; si possono utilizzare l’etere, il cloroformio o l’alcol.Alcune case consigliano di evitare l’uso dell’alcol, che può determinare la scollatura di lenti che siano state fissate con collanti sensibili a tale solvente. Controllo dell’infezione crociata Il microscopio operatorio non entra direttamente in contatto con i tessuti del paziente e può essere classificato come articolo non critico, contraddistinto, cioè, da un basso rischio di trasmissione crociata dell’infezione. Il rischio si concreta in modo indiretto, attraverso le mani contaminate dell’operatore che tocchino il campo operatorio e alcune parti di regolazione del corpo ottico, rendendole vere e proprie zone a rischio ai fini di una trasmissione diretta dell’infezione: • • • • • Tab. 8.2 le maniglie utilizzate per il posizionamento del corpo ottico; le viti macrometriche del braccio dello stativo per regolare il frizionamento; le leve del diaframma del corpo ottico; le manopole del variatore di ingrandimento del corpo ottico; la ghiera di regolazione micrometrica dell’obiettivo e degli oculari. LIVELLI DI ATTIVITÀ DEI DISINFETTANTI* Alto livello dotati di azione sporicida Adelaide glutarica 2% Clorodonatori 1000-5000 ppm (0,1-0,5%) Medio livello attivi sui bacilli acido-alcool resistenti e su alcune specie di miceti e virus Clorodonatori 500-1000 ppm (0,01-0,05%) Alcool 70%, Iodofori 75-150 ppm, Fenoli sp* Basso livello attivi su forme vegetative di batteri, miceti e virus più sensibili Clorodonatori 100-500 ppm (0,001-0,005%) Composti dell’ammonio quaternario (QUAC) in soluzione acquosa sp*, Clorexidina in soluzione acquosa 0,05-4% (*) secondo le indicazioni del produttore 173 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Figg. 8.22, 8.23 Maniglia per il posizionamento e copriobiettivo autolavabili. Ne consegue che il microscopio necessita, oltre alle normali procedure di pulizia, anche della detersione e disinfezione del corpo ottico; manovre che non risultano, tuttavia, di agevole esecuzione per la presenza di diverse superfici difficilmente raggiungibili come ad esempio i bracci meccanici, gli accessori e i cavi di collegamento esterni. Peraltro, nonostante la progressiva diffusione di questo strumento nelle sale operatorie e negli studi odontoiatrici, le industrie produttrici non hanno ancora provveduto alla ricerca di soluzioni idonee per facilitare le manovre di pulizia e disinfezione. Per prevenire la contaminazione dello strumento con schizzi di materiali biologici provenienti dal campo operatorio, risulta utile la protezione con mezzi meccanici monouso forniti dalle case costruttrici, applicati alle aree di regolazione già segnalate: • • • teli protettivi in plastica trasparente (o più semplicemente pellicole di plastica ad uso domestico); manopole in plastica sterilizzabili e intercambiabili per il commutatore di ingrandimento; copri-obiettivo rimovibili e intercambiabili, costruiti generalmente in vetro, disponibili isolatamente o inseriti in appositi teli sterili. Molti operatori, comunque, preferiscono eseguire una detersione e disinfezione delle superfici a rischio dopo ogni paziente, limitando l’utilizzazione di barriere meccaniche. La detersione consiste nella rimozione e allontanamento del materiale organico e di parte dei microrganismi; è un intervento obbligatorio prima della disinfezione in quanto la persistenza di materiale organico può Figg. 8.24, 8.25 Protezione dalla contaminazione del corpo ottico con barriera monouso; manopole in plastica sterilizzabili e intercambiabili per il commutatore di ingrandimento. 174 CA P I TO L O 8 ASSISTENZA E DISINFEZIONE inattivare o proteggere i microrganismi dal successivo contatto con il disinfettante; inoltre, è un intervento sufficiente in situazioni con basso rischio infettivo. La disinfezione è l’utilizzazione di agenti chimici o fisici per abbassare, sino a livello di sicurezza, la carica microbica; porta all’uccisione dei microrganismi patogeni ma non necessariamente di tutti i microrganismi presenti; non elimina, inoltre, le spore batteriche. Per la disinfezione dello stereomicroscopio si utilizzano generalmente i disinfettanti a basso o medio livello. La modalità di disinfezione delle zone critiche è realizzata “by weeping” passando, cioè, ripetutamente il disinfettante con un panno monouso e lasciandolo alla fine asciugare per evaporazione in modo da assicurare un conveniente tempo di contatto (10-20 minuti). Tab. 8.3 DETERSIONE E DISINFEZIONE DELLO STEREOMICROSCOPIO Componente Rischio infettivo Igenizzazione Modalità Stativo assente periodica settimanale protezione con teli e pulizia a secco o con panno umido Corpo ottico basso dopo ogni paziente telo di protezione o in alternativa detersione e disinfezione con disinfettanti a basso-medio livello Lenti degli oculari assente secondo necessità spolveratura e detersione con car ta ottica (acqua distillata, etere o cloroformio) Lente dell’obiettivo assente dopo ogni paziente copriobiettivo o in alternativa spolveratura e detersione Maniglie, leve, pulsanti e commutatori di ingrandimento medio dopo ogni paziente avvolgimento con pellicole di plastica, detersione disinfezione con disinfettanti a basso-medio livello 175 LE PATOLOGIE OCULARI 176 CA P I TO L O 9 Introduzione La funzione visiva è sollecitata in modo consistente, nel corso del lavoro odontoiatrico a occhio nudo, dalla coesistenza di diversi fattori che richiedono un costante sforzo accomodativo; si tratta, infatti, di un’attività ad elevato impegno visivo, che richiede un lavoro prolungato da vicino. La prestazione odontoiatrica, infatti, sollecita l’apparato visivo, in quanto richiede uno sforzo di accomodazione continuo per mettere a fuoco oggetti piccoli a una distanza di circa 30-50 cm; l’illuminazione, inoltre, dato il ristretto campo operatorio, può facilmente essere inadeguata in alcune posizioni. Una domanda che viene frequentemente posta è, se l’introduzione del microscopio operatorio nella prassi odontoiatrica, possa favorire la comparsa o influire sfavorevolmente su patologie oculari preesistenti. Le condizioni di lavoro al microscopio sono sicuramente migliori del lavoro a occhio nudo in quanto: non richiedono sforzo di accomodazione poiché il fuoco del sistema ottico è posto all’infinito e il muscolo ciliare è, quindi, a riposo; l’illuminazione coassiale, dell’illuminatore incorporato, illumina in modo uniforme ed efficace tutti i particolari del campo operatorio. Vi sono, inoltre, da considerare i rischi occupazionali, derivanti da sistemi di illuminazione ambientali inadeguati e dall’esposizione accidentale a radiazioni ottiche di elevata intensità di attrezzature odontoiatriche (fotopolimerizzatori, laser). 177 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Anomalie dell’accomodazione Se lo sforzo accomodativo richiesto è superiore alle capacità funzionali dell’apparato visivo, si determina una situazione di adattamento e di fatica visiva, da cui possono derivare alcune anomalie transitorie dell’accomodazione: l’ipertonia del muscolo ciliare, l’inerzia accomodativa, l’insufficienza accomodativa e l’astenopia possono essere considerati gradi progressivi di impegno della funzione visiva. Questi sintomi possono sottendere situazioni molto diverse, anche patologiche, che è bene distinguere; in questo capitolo ci riferiamo ad alterazioni funzionali transitorie (perlopiù di scarsa rilevanza sintomatologica e clinica), correlate alle condizioni di lavoro odontoiatrico, in assenza di patologie oculari. Ribadiamo che l’uso del microscopio non comporta anomalie dell’accomodazione, poiché l’osservazione viene fatta con l’occhio focalizzato all’infinito, in cui il muscolo ciliare è in posizione di riposo. In questo senso i disturbi dell’accomodazione sono più frequenti nel tradizionale lavoro a occhio nudo, in quanto prolungato lavoro da vicino che richiede un continuo sforzo di accomodazione. Gli operatori che segnalano disturbi visivi a seguito dell’uso del microscopio, generalmente usano lo strumento in modo scorretto: per abitudine a lavorare costantemen- Tab. 9.1 DISTURBI VISIVI CORRELABILI AL LAVORO ODONTOIATRICO Disturbi transitori dell’accomodazione – Iper tonia del muscolo ciliare Differenza tra refrazione statica e con cicloplegici (reper to occasionale durante una visita oculistica) – Inerzia accomodativa Rallentata messa a fuoco degli oggetti lontani – Insuf ficienza accomodativa Transitorio allontanamento del punto prossimo rispetto ai valori normali per età – Astenopia Riduzione transitoria del visus, congiuntivite e cefalea Altri disturbi 178 Sintomi Sintomi – Abbagliamento Cheratocongiuntiviti transitorie, invecchiamento dei ricettori retinici per esposizioni ripetute – Danni permanenti da laser Cheratocongiuntiviti, cataratta, lesioni retiniche CA P I TO L O 9 L E PATO L O G I E O C U L A R I te fuori fuoco per mancata regolazione diottrica degli oculari o distanza focale dell’obiettivo (errata regolazione); perché “osservano nel microscopio piuttosto che attraverso il microscopio” eseguendo un continuo, inutile sforzo accomodativo (cfr. “Errori di osservazione”, cap. 6). Ipertonia del muscolo ciliare Fig. 9.1 Sezione orizzontale del bulbo oculare. Il processo di accomodazione è attuato modificando la convessità del cristallino, regolata dal muscolo ciliare, attraverso il legamento sospensore. L’ipertonia ciliare, cioè un tono accomodativo lievemente superiore al normale, non deve essere considerata un reperto abnorme ed è normalmente presente nei giovani ipermetropi. Le forme di lieve grado sono accentuate dall’abitudine al lavoro da vicino e molto spesso accompagnano un’insufficienza dell’accomodazione, come se il muscolo ciliare, nell’impossibilità di effettuare un’attività normale e continuamente adeguata agli stimoli accomodativi, cercasse di sopperire a questa deficienza entrando in uno stato di contrazione spastica. In generale questa condizione non costituisce un problema, in quanto asintomatica, ed è evidenziata durante la visita oculistica come reperto occasionale, misurando una differenza tra refrazione statica e quella misurata con cicloplegici (atropina). Se tale quadro si associa ad una marcata insufficienza accomodativa, possono insorgere cefalea e sintomi astenopici. Fibre della zona ciliare (o legamento sospensore della lente cristallina Seno venoso della sclera (o canale dello Schlemm) Sperone sclerale Capsula della Cornea lente cristallina Camera anteriore Lente Camera posteriore cristallina Angolo della camera anteriore Iride Processi ciliari Corpo ciliare e muscolo ciliare Parte ciliare della retina Congiuntiva Ora serrata Tendine del muscolo retto mediale dell’occhio Tendine del muscolo retto laterale dell’occhio Parte ottica della retina Corpo vitreo Corioidea Spazio sovracorioideo Canale ialoideo Sclera Fascia bulbare (o capsula del Tenon) Spazio episclerale Fovea centrale della macula lutea Lamina cribrosa della sclera Nervo ottico (II) Arteria e vena centrali della retina Guaina del nervo ottico Spazio intervaginale (continuantesi nello spazio subaracnoideo) 179 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Inerzia accomodativa Insufficienza accomodativa Il processo accomodativo si realizza attraverso un arco riflesso e si attua nell’occhio normale in meno di 1 secondo. La messa a fuoco da vicino (nei casi di insufficienza accomodativa) o la messa a fuoco da lontano (nei casi di lieve ipertono del muscolo ciliare) possono risultare rallentate; a questa condizione si dà il nome di inerzia accomodativa. Tale situazione transitoria riconosce come cause il sovraffaticamento, il lavoro eccessivo e/o l’insufficiente riposo; situazioni che sono segnalate anche come cause dell’ipertonia ciliare e dell’insufficienza accomodativa. L’ampiezza accomodativa dell’occhio umano si riduce con il procedere dell’età; si tratta di un fenomeno fisiologico dovuto a una progressiva riduzione della plasticità del cristallino che dà origine alla presbiopia. Il metodo più diffuso per valutare l’ampiezza accomodativa è quello di misurare il punto prossimo, cioè la distanza minima dell’occhio a cui le immagini cominciano a sfuocarsi (ad es. avvicinando un oggetto verso gli occhi). L’insufficienza accomodativa consiste in un’ampiezza accomodativa ridotta rispetto ai valori normali per età ed è caratterizzata dalla incapacità, costante o intermittente, di mettere a fuoco gli oggetti ravvicinati; può accompagnarsi ai sintomi della astenopia accomodativa. Nella grande maggioranza dei casi, è un’alterazione funzionale dovuta a una perturbazione dell’innervazione che regola l’attività del muscolo ciliare, che può dipendere da diverse cause patologiche e fisiologiche; in rapporto al lavoro odontoiatrico, può manifestarsi in condizioni di sovraffaticamento, lavoro eccessivo, insufficiente riposo. La terapia consiste nella normalizzazione delle condizioni di lavoro ed è generalmente da evitare la prescrizione di occhiali. Tab. 9.2 180 ETÀ ED AMPIEZZA ACCOMODATIVA Età (anni) 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 Ampiezza accomodativa (D) 14 12 10 9 8 7 6 4 2 1,5 1 0,5 Punto prossimo (cm) 7 8,3 10 50 66 11 12,5 14 16,5 25 100 200 CA P I TO L O 9 Astenopia L E PATO L O G I E O C U L A R I Numerosi sono i fattori che possono essere all’origine dell’affaticamento visivo nel personale odontoiatrico, soprattutto di tipo ambientale per carenze della illuminazione dello studio (insufficiente o mal distribuita), eventualmente aggravate da patologie oculari (ametropie non corrette e altri disturbi accomodativi). Se gli impegni occupazionali richiesti sono superiori alle capacità funzionali dell’apparato visivo (fatica visiva) può manifestarsi una sintomatologia caratterizzata dalla impossibilità a perseguire per lungo tempo il lavoro da vicino, a causa di: annebbiamenti del visus che si succedono con frequenza sempre maggiore; cefalea frontale localizzata perlopiù alle sopracciglia, dolori oculari, iperemia della congiuntiva e dei margini palpebrali. Con il termine di astenopia si intende una sindrome clinica, causata da un disagio della visione, che si manifesta con un insieme di sintomi e segni in prevalenza oculari e visivi, ma anche generali. Tab. 9.3 SINTOMI E SEGNI DELL’ASTENOPIA Visivi • Riduzione della acuità visiva • Miopizzazione transitoria • Transitorio allontanamento del punto prossimo • Comparsa o aumento di forie Oculari • Lacrimazione • Cefalea • Ammiccamento aumentato • Astenia • Prurito • Irritazione • Secchezza • Nausea • Dispepsia • Ver tigine • Tensione generale • Bruciore • Fotofobia • Sensazione di sabbia sotto le palpebre • Visione sfuocata • Pesantezza dei bulbi • Visione sdoppiata • Dolore oculare • Aloni colorati • Arrossamento congiuntivale • Effetto MC Collough (visione rosata) Sistematici • Alterazioni qualitative/quantitative del film lacrimale 181 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Ametropie Si dice emmetrope quell’occhio in cui i raggi, che provengono da oggetti distanti, vengono messi a fuoco sulla retina in condizioni di massima accomodazione; in tutte le altre condizioni l’occhio è detto ametrope. L’ametropia, cioè, è una anormalità dell’occhio, per cui il secondo fuoco non cade, come in quello normale o emmetropico, sulla retina e tale difetto può derivare da difetti di struttura del cristallino o da malformazione del globo oculare. La diottria è utilizzata in oculistica come unità di misura della capacità visiva; più precisamente, l’entità di un difetto visivo viene espressa dallo stesso numero di diottrie che deve avere la lente adatta a correggerlo. Le diottrie di una lente (D) misurano la convergenza che la lente stessa imprime ai raggi luminosi che la attraversano; equivale all’inverso della distanza focale espressa in metri (d) secondo la formula: D = 1/d. La miopia è un vizio di rifrazione dell’occhio dovuto a particolari condizioni anatomiche oculari (abnorme curvatura della cornea o del cristallino, allungamento dell’asse antero-posteriore dell’occhio); per cui i raggi luminosi, provenienti da oggetti distanti, vanno a fuoco su un piano anteriore la retina, sulla quale si formano immagini sfuocate e diffuse. La miopia è misurata in diottrie positive (D+) e si distingue in: leggera, fino a circa 4 diottrie; media, fino a 8-10 diottrie; forte, superiore a 10 diottrie. L’ipermetropia è un’anomalia dell’occhio, generalmente dovuta alla brevità dell’asse anteroposteriore del globo oculare, per cui le immagini si formano dietro la retina e pertanto sono sfocate; è misurata in diottrie negative (D-). Fig. 9.2 Posizione del fuoco principale posteriore (F) e del punto coniugato della retina o punto remoto (PR) in un occhio emmetrope (E), miope (M), ipermetrope (I). E M I 182 F F PR PR F PR CA P I TO L O 9 L E PATO L O G I E O C U L A R I La presbiopia è un difetto della vista, frequente nell’età matura o senile, consistente in una diminuzione del potere di accomodazione (cioè della facoltà che possiede il cristallino di modificare, mediante variazione della curvatura delle sue superfici, il suo potere rifrattivo) con conseguente impossibilità della visione distinta da vicino. In ottica fisiologica, con il termine astigmatismo si intende un difetto che può presentare l’occhio, dovuto al fatto che la cornea, non essendo esattamente una superficie di rivoluzione, non ha la stessa curvatura nelle diverse sezioni mediane; è misurata in diottrie sferiche o “D sf”. Tale accezione va tenuta distinta dal significato del termine astigmatismo in ottica, che è l’aberrazione di un sistema ottico, in conseguenza della quale, i raggi, provenienti da un punto luminoso fuori dall’asse ottico, che attraversano il sistema ottico medesimo, non concorrono in un punto immagine, ma si distribuiscono in modo da appoggiarsi su due lineette, disposte ortogonalmente tra loro (dette lineette astigmatiche). Gli operatori affetti da ametropie non presentano difficoltà o particolari problemi nell’utilizzazione del microscopio operatorio. Comunque, l’utilizzazione di strumenti non regolati, per negligenza, può imporre uno sforzo suppletivo e causare disturbi transitori dell’accomodazione. I miopi, gli ipermetropi e i presbiti possono lavorare al microscopio: sia tenendo gli occhiali e quindi senza eseguire nessuna regolazione del microscopio, che togliendoli ed eseguendo la regolazione diottrica degli oculari (cfr. “Regolazione del microscopio operatorio”, cap. 6). Solo per gli astigmatici è, invece, necessario tenere gli occhiali. Va ricordato che, per chi toglie gli occhiali, è opportuno eseguire la regolazione diottrica degli oculari tutti i giorni, poiché quotidianamente possono verificarsi lievi e transitorie differenze del potere accomodativo. Fig. 9.3 Astigmatismo: i raggi provenienti dal punto P concorrono sulle due lineette stigmatiche (l e l 1 ) perpendicolari tra loro. P l1 l 183 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A Abbagliamento L’abbagliamento è un fenomeno causato da una eccessiva differenza di luminanza tra due superfici che, nei casi estremi, porta a vedere solo l’oggetto luminoso abbagliante e non il campo circostante. La luce, prodotta dall’illuminatore del microscopio e riflessa dal campo operatorio, può determinare disturbi da abbagliamento del visus del personale odontoiatrico. Tali disturbi sono prevalentemente temporanei e reversibili; ma l’esposizione ripetuta può causare un invecchiamento precoce dei recettori retinici, con effetti permanenti. Il disturbo è lamentato prevalentemente dal personale di assistenza, che risulta maggiormente esposto ai raggi riflessi provenienti da tutto il campo. L’odontoiatra, invece, raramente lamenta tale inconveniente, poiché è protetto dal sistema ottico: osserva porzioni più ristrette del campo operatorio ed è ridotta l’ampiezza del cono di luce che entra nell’obiettivo (AN, apertura numerica). Per evitare situazioni di abbagliamento è possibile agire in diversi modi: • • • • ridurre l’illuminamento agendo sul reostato che regola la lampadina; assicurare una corretta luminosità nell’ambiente circostante sia con finestre ampie che assicurino una illuminazione naturale, sia con un sistema di illuminazione artificiale con caratteristiche simili alla luce diurna; collegare il sistema di ripresa ad uno schermo permettendo al personale assistente di osservare l’intervento senza guardare direttamente il campo operatorio; fornire occhiali protettivi al personale. Il range di illuminamento, consigliato nello studio odontoiatrico, varia nelle diverse zone a seconda dei compiti richiesti: • • • • 184 2400 lux nel campo operatorio (bocca del paziente) dove si riconosce un compito visivo di notevole difficoltà e speciali requisiti; 1000 lux nella zona perioperatoria (0,5 attorno alla bocca) dove è ancora necessario distinguere dettagli critici; 550 lux nella zona di servizio (0,5-1m attorno alla bocca), dove le esigenze visive sono elevate; 300 lux nelle altre zone periferiche contraddistinte da esigenze visive medie o semplici. CA P I TO L O 9 Fig. 9.4 Illuminazione e zone di lavoro: E1 = zona di servizio E2 = zona perioperatoria E3 = campo operatorio L E PATO L O G I E O C U L A R I E1 E2 E3 Uso di laser e fotopolimerizzatori I sistemi di ingrandimento possono amplificare e focalizzare, sulle strutture oculari, le radiazioni ottiche prodotte da alcuni strumenti terapeutici e, in linea generale, non si dovrebbe mai osservare il campo operatorio, mediante sistemi ottici non schermati, durante l’applicazione di apparecchi che producano intense radiazioni ottiche. Per la polimerizzazione delle resine composite fotoindurenti si utilizzano diverse fonti di radiazioni ottiche: le lampade alogene con potenza di 400-1000 mwatt/cm2; le lampade ARC plasma per la polimerizzazione rapida, in cui la potenza è mediamente di 20.000 mwatt/cm2. Il rischio di danni permanenti dovuti a questi apparecchi rappresenta un’ipotesi remota; è comunque possibile che esposizioni violente possano provocare ustione dei ricettori retinici, mentre esposizioni brevi ma ripetute possano provocare un progressivo invecchiamento degli stessi. Le precauzioni consistono nell’evitare di guardare la luce diretta e nell’utilizzare occhiali o schermi protettivi. Il laser è utilizzato in odontoiatria per diverse applicazioni in chirurgia, conservativa e endodonzia; il principale organo bersaglio, potenziale fonte di rischio professionale per gli operatori, è l’occhio, in cui il danno può variare dalla congiuntivite, alla cheratite, alla cataratta, alle lesioni retiniche. La pericolosità dei laser è in relazione alla lunghezza d’onda e alla potenza che determinano la capacità di penetrazione nelle strutture oculari e quindi l’entità del danno: 185 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A • • le radiazioni con lunghezza d’onda situata nel campo visibile (VIS, 400-760 nm) e le radiazioni infrarosse di tipo A prossime alla regione della luce visibile (IRA, 760 -1400 nm) sono in grado di attraversare l’occhio e di danneggiare la retina. Il fascio di raggi, infatti, può facilmente venire fatto convergere ed essere focalizzato dal cristallino sulla macula lutea (zona deputata alla visione distinta e alla percezione dei colori), determinando un elevato rischio di distruzione con esiti di cecità parziale. Le radiazioni laser con lunghezza d’onda situata nella regione dei raggi ultravioletti più vicini alla luce visibile (UVA, 315-400 nm), riescono ad attraversare le prime strutture dell’occhio, cioè la cornea e l’umor acqueo e possono raggiungere il cristallino danneggiandolo (cherato-congiuntivite, cataratta); le radiazioni laser con lunghezza d’onda situata a maggior distanza dalla luce visibile si arrestano invece in corrispondenza della congiuntiva e della cornea, potendo causare cherato-congiuntiviti; si tratta in questo caso dei raggi ultravioletti a lunghezza d’onda più corta (UVB, 280-315 nm, UVC 100-280 nm) e degli infrarossi dotati di maggior lunghezza d’onda (IRB, 1400-3000 nm, IRC, 3000-10.000 nm). La prima e più importante misura preventiva per gli operatori consiste nel non guardare direttamente il fascio laser, sia esso visibile o invisibile, per evitare danni oculari da radiazione diretta. Esiste inoltre il rischio di danni oculari da radiazione indiretta, considerato che quando una luce laser colpisce una superficie, può venirne riflessa con due diversi meccanismi: per riflessione speculare, con cui il fascio tende a non disperdersi (come ad esempio avviene da parte di strumenti che funzionino come superfici riflettenti); per riflessione a carat- Tab. 9.4 PREVENZIONE DEI DANNI OCUL ARI DA RADIAZIONI OTTICHE Rischio Prevenzione Radiazione diretta Non guardare la sorgente delle radiazioni ottiche a occhio nudo; utilizzare schermi protettivi specifici (occhiali, filtri). Radiazione riflessa (speculare e diffusa) 186 Usare strumentario antiriflesso (specchi e strumenti satinati, non lisci). CA P I TO L O 9 L E PATO L O G I E O C U L A R I tere diffuso quando il fascio tende a disperdersi, come ad esempio avviene da parte di mucose e sangue. La radiazione riflessa specularmente è più pericolosa di quella diffusa, in quanto tutta l’energia rimane concentrata in un piccolo raggio d’azione senza disperdersi su una superficie più ampia, mantenendo intatta la forza e il potere lesivo. Per evitare i danni da radiazione riflessa si devono eliminare dal campo operatorio gli oggetti metallici o riflettenti come ad esempio gli strumenti chirurgici lisci e gli specchi endorali; in alternativa, si possono ricoprire gli oggetti con materiale anti-riflesso o utilizzare strumenti satinati. 187 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A 188 Bibliografia ABRAMOWITZ M., Optics: a primer, Olympus America Inc., Melville, New York, 1994 BRADBURY S., BRACEGIRDLE B., The objective, in introduction to light microscopy: microscopy handbooks, vol. 42, Bios Scientific PublishersSpringer, Oxford, United Kingdom, pp. 69-76, 1998. BUNCKE H.J., Forty years of microsurgery: what’s next? Journal Hand. Surg., 20A: S34-S45, 1995. CAPLAN S.A., Magnification in dentistry, Journal Esthet. Dent., 2(1): 17-21, 1990. DE FAZIO P., TRIPODI D., Lo studio odontoiatrico operatore e assistente, Edizioni Martina, 1995. FORGIE A.H., PINE C.M., LONGBOTTOM C., PITTS N.B., The use of magnification in general dental practice in Scotland. A survey report, Journal Dent., Sep. 27(7): 497-502, 1999. FRIEDMAN M.J., LANDESMAN H.M., Microspope-assisted precision (MAP) dentistry. A challenge for new know ledge, Journal Calif. Dent. Assoc., Dec. 26(12): 900-905, 1998. FRIEDMAN M., MORA A.F., SCHMIDT R., Microscope-assisted precision dentistry, Compend. Contin. Educ. Dent., Aug. 20(8): 723-728, 730-731, 735-736, Quiz 737, 1999. GOLDSTEIN D., Lenses and lens aberrations., in understanding the light microscope: a computer-aided introduction, Academic Press, New York, pp. 16-26, 1999. GORACCI G., MORI G., PROIETTI P.R., BAGNATO B., Ricostruzioni in composito con l’uso del microscopio, Dental Cadmos, 15: 17-26, 2001. GOULD J.S., RAYMOND MADIFORD, PEARDON ? DONAGHY M.D., In tribute. Microsurgery, 13: 109-110, 1992. HERMAN B., Fundamental optics of microscopy in fluorescence microscopy, Bios Scientific Publishers-Springer, Oxford, United Kingdom, pp. 17-20, 1998. INOUÉ S., SPRING K., Performance characteristics of microscope optics, in: Video Microscopy: the fundamentals, Plenum Press, New York, pp. 49-59, 1997. 189 L AVO R A R E A L M I C RO S C O P I O O P E R ATO R I O I N O D O N TO I AT R I A INOUÉ S., OLDENBOURG R., Microscope lenses, aberrations, in: Handbook of Optics, vol. 2, McGrawHill, New York, pp. 17.12-17.20, 1995. JAMES J., TANKE H., The objective as an optical tool; resolving power, in: Biomedical Light Microscopy, Kluwer Academic Publishers, Boston, pp. 4-15, 1991. KAYAT B., L’ingrandimento in terapia endodontica: il microscopio operatorio, L’informatore endodontico, Vol. 2, n. 2, 1998. KELLER E., The objective, in: Cells: a laboratory manual, vol. 2: SPECTOR D., GOLDMAN R., LEINWAND L., Light Microscopy and Cell Structure, Cold Spring Harbor Press, Cold Spring Harbor, New York, pp. 94.9-94.21, 1998. KELLER E., Objective lenses for confocal microscopy, in: PAWLEY, J. Handbook of Biological Confocal Microscopy, Plenum Press, New York, pp. 111-126, 1995 MARTIGNONI M., SCHONENBERGER ?, Precisione e contorno della ricostruzione protesica, Quintessenz Verlags-GmbH, Berlin, 1987 MICHAELIDES P.L., Use of the operating microscope in dentistry, Journal Calif. Dent. Assoc., Jun 24(6): 45-50, 1996. 190 MILLAR B.J., Focus on loupes, Br. Dent. J. Nov 28 185(10): 504-8, 1998. MONTAGNA F., Prevenzione delle infezioni in odontoiatria: epatiti e Aids, Promoass Ed., Roma, pp. 291-304, 1997. MONTAGNA F., Le patologie professionali del personale odontoiatrico e il contenzioso odontoiatra-paziente, Masson Ed., Milano, pp. 83-90, 2001. MONTAGNA F., Effetti indesiderati e interazioni dei farmaci sistemici in odontoiatria, II parte, I quaderni della professione, Promoass Ed, Roma, pp. 7-8, 2001. PERRIN P., JACKY D., HOTZ P., The operating microscope in general dental practice, Schweiz Monatsschr Zahn med, sept, vol 10, 2000. PIONTKOWSKI P.K., Consideration for integrating a dental operating microscope into the general practice, Dent. Today, Oct. 18(10), 92-5, 1999. RICHARDSON J., Primary objective lens design parameters, in: Handbook for the light microscope: a user’s guide, Noyes Publications, Park Ridge, New Jersey, pp. 52-80, 1991. ROST F., OLDFIELD R., The objective, in: Photography with a Microscope, Cambridge University Press, Cambridge, United Kingdom, pp. 70-82, 2000. RUBINSTEIN DDS.MS, JUTTA DORSCHER-KIM.MA, Color atlas of microsurgery in endodontics, W.B. Saunders Company, A Harcourt Health Sciences Company, Philadelphia, London, NewYork, St. Louis, Sydney, Toronto. RUBINSTEIN R., The anatomy of the surgical operating microscope and opeating positions, Dent. Clin. North Am., Jul. 41(3): 391-413, 1997. RUCKER L.M., BEATTIE C., MC GREGOR C., SUNELL S., ITO Y., Declination angle and its role in selecting surgical telescopes, J. Am. Dent. Assoc., Jul. 130(7): 1096-1100, 1999. SHANELEC D.A., Optical principles of loupes, J. Calif. Dent. Assoc., Nov. 20(11): 25-32, 1992. SHIMIZU Y., TAKENAKA H., Microscope objective design, in: Advances in Optical and Electron Microscopy, vol. 14, Academic Press, New York, pp. 249-334, 1994. STROPKO J., Microchirurgia apicale, L’informatore endodontico, II parte, vol. 3, n. 2, 2000. SYNGCUK KIM, DDS, PhD, GABRIELE PECORA. MD.DDS, RICHARD A., STRASSLER HE, SYME SE, SERIO F., KAIM JM, Enhanced visualization during dental practice using magnification systems, Compend. Contin. Educ. Dent., Jun. 19(6): 595-598, 600, 602 passim, quiz 612, 1998. WEST J.D., Il ruolo del microscopio nell’endodonzia del XXI secolo: la visione di una nuova frontiera, L’informatore endodontico, II parte, vol. 4, n. 2, 2001. WONG R., CHO F., Microscopic management of procedural errors, Dent. Clin. North Am. Jul. 41(3): 455-79, 1997. SMITH R., Objectives, in: Microscopy and photomicrography: a working manual, CRC Press, New York, pp. 47-58, 1994. STROPKO J., Microchirurgia apicale, L’informatore endodontico, I parte vol. 2, n. 4, 1999. STROPKO J., Microchirurgia apicale, L’informatore endodontico, II parte, vol. 3, n. 1, 2000. 191 finito di stampare presso la Union Printing spa di Viterbo nel mese di Marzo 2004 192