1 Formazione delle immagini Oggetto dell’ottica geometrica Se accendiamo una lampadina al centro di una stanza buia l’intero spazio della stanza è immediatamente reso visibile. La rapidità con cui la luce si propaga ci impedisce di apprezzare il ritardo tra l’instante di accensione della lampada e l’arrivo della illuminazione agli estremi della stanza. L’osservazione di fenomeni astronomici, riguardando sorgenti di luce poste a grandissima distanza, ha fornito per la prima volta evidenza che la luce si propaga con una velocità non infinita. Il fatto stesso che un oggetto illuminato da una sorgente luminosa risulta visibile dipende dal fatto che la luce proveniente dal corpo si propaga fino ai nostri organi di visione, in primis l’occhio, e produce la percezione visiva interagendo con essi. In effetti, un oggetto che si trova nella stanza buia da cui siamo partiti viene raggiunto dalla perturbazione luminosa che ha origine nel filamento della lampadina e, a sua volta, ne provoca la diffusione nello spazio circostante. Una parte di questa luce diffusa raggiunge l’occhio la cui struttura anatomica e tissutale forma, sulla parete del fondo oculare, un’immagine dell’oggetto che è all’origine della sensazione visiva. Ci proponiamo dunque in questa lezione di descrivere un modello della propagazione luminosa che, sulla base di un numero ristretto di regole rende conto del processo di formazione delle immagini. Questo modello è basato sulla nozione di raggio luminoso e le regole di propagazione dei raggi nei mezzi trasparenti costituiscono la base dell’ottica geometrica. Alla fine di questa breve discussione daremo conto del principio di funzionamento di un microscopio ottico. Questo strumento sfrutta le leggi di propagazione della luce nei mezzi trasparenti per produrre nell’occhio immagini ingrandite degli oggetti. Raggi luminosi Generalmente un oggetto luminoso, il sole per esempio, è visibile da infiniti punti di vista. In effetti, la luce proveniente da un corpo comunemente si propaga in tutte le direzioni. L’ottica geometrica si basa su un modello della perturbazione luminosa secondo il quale dai punti delle sorgenti la perturbazione luminosa si estende allo spazio circostante viaggiando lungo rette. Queste rette vengono dette raggi luminosi e costituiscono l’oggetto di studio dell’ottica geometrica. A questo livello, la nozione di raggio luminoso è quindi un concetto astratto fondamentale che non è derivato da descrizioni più approfondite, che pure si potrebbero fare e che poggiano sulla interpretazione della propagazione luminosa come la manifestazione di un fenomeno ondulatorio. Diamo dunque per primitiva la idea che un oggetto luminoso irradia nello spazio circostante raggi di luce in grado di attraversare i mezzi trasparenti, come l’aria. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 2 La prima proprietà che enunciamo come prima legge dell’ottica geometrica consiste dunque nella propagazione rettilinea dei raggi in un mezzo omogeneo e isotropo. Per illustrare con un esempio familiare questa legge ci basiamo sulla osservazione della similitudine tra gli oggetti e le ombre da essi proiettate quando vengono illuminati da una sorgente puntiforme. Esempio: l’ombra della luna Figura 11.1: Ombra della luna Per eseguire qualche calcolo quantitativo prendiamo un esempio in cui la sorgente luminosa è il sole e l’oggetto opaco che proietta sulla terra la propria ombra è la luna. Il diametro1 del sole è dS = 1.392 106 km e la stella si trova a distanza RS = 1.496 108 km dalla terra che ha un diametro di circa dT = 12756 km. La luna orbita attorno alla terra ad una distanza media di RL = 384401 km ed ha un diametro dL =3476 km. Osservando la figura, si vede che tra i raggi provenienti da un punto A del disco solare e che si propagano in linea retta nello spazio interplanetario, alcuni sono intercettati dalla luna e non arrivano sul piano in cui si trova un osservatore sulla terra. In particolare, ci sono due punti A0 ed A00 che delimitano il cono d’ombra sulla terra. I raggi provenienti da A arrivano sul piano di osservazione al di sopra del punto A0 ed al di sotto del punto A00 . Lo stesso succede per i raggi provenienti dalla zona diametralmente opposta del disco solare che non illumina la zona compresa tra B 0 e B 00 . Si distinguono dunque tre zone. Al di sopra di B 0 e al di sotto di A00 , si ha illuminazione completa, nel disco tra A0 e B 00 si ha ombra completa e nella corona tra A0 e B 0 e tra A00 e B 00 si ha la cosiddetta penombra in quanto i raggi provenienti da una parte del sole sono oscurati, ma rimane una parte del sole visibile. Al crescere della distanza del piano di osservazione dall’ostacolo le dimensioni della zona di ombra completa si riducono fino ad annullarsi quando l’angolo sotto cui è visto da un punto il 1 È un buon esercizio reperire i dati qui forniti usando le risorse della rete, confrontando magari i valori riportati da siti di atendibilità presumibilmente diversa. Per i dati astronomici ci sembra ragionevole considerare il sito della agenzia spaziale americana NASA massimamente attendibile. G.Paffuti, F.Maccarrone - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 3 sole eguaglia quello con cui è vista la luna. Chiamando r1 ed r2 rispettivamente le distanze osservatore-sole ed osservatore-luna la possibilità di eclisse totale si ha se l’angolo di vista del sole è minore dell’angolo di vista della luna: dS dL < r1 r2 per cui deve essere dS r1 > ' 400 r2 dL Il rapporto tra le distanze non è costante durante il moto orbitale in quanto l’orbita della luna è alquanto eccentrica. La distanza massima terra-luna è circa 410000 km e per la luna all’apogeo il rapporto r1 /r2 non verifica la disuguaglianza e l’eclisse totale non è possibile in nessun punto sulla Terra. Es.1 Considerando la distanza della luna al perigeo è possibile che vi sia eclisse totale della Luna per un osservatore sulla Terra? Formazione delle immagini: la camera obscura La legge di propagazione rettilinea dei raggi luminosi fornisce da sola un primo esempio di formazione dell’immagine di un corpo da cui provengono raggi luminosi. Consideriamo per un attimo il meccanismo della visione nell’occhio umano. La luce che arriva alla pupilla dell’occhio entra all’interno e la parte dell’occhio in cui si forma la sensazione luminosa è la retina, un tessuto formato di cellule che reagiscono alla luce generando segnali che eccitano il nervo ottico. Affinchè sulla retina si formi l’immagine fedele di un corpo illuminato occorre che la luce proveniente dai differenti punti del corpo giunga in punti diversi della retina. Le cellule che sono interessate dalla luce proveniente da un punto particolarmente luminoso danno luogo ad un segnale più forte e apposite strutture sono destinate anche alla distinzione del colore della luce. Il cervello poi interpreta tutti questi segnali producendo, in un modo che è ancora sotto indagine, la sensazione visiva. Uno strumento ottico, che fornisce un modello materiale che potrebbe essere applicato in primissima approssimazione all’occhio umano, stato usato da molti secoli, ad esempio da pittori ed architetti, ed è detto camera oscura. Esso si può realizzare con una scatola su una parete della quale è realizzato un forellino, che corrisponde alla pupilla dell’occhio. La parete opposta, che ha la funzione del piano della retina è realizzata con un foglio od un vetro smerigliato che diffonde all’esterno la luce che proviene dall’interno della scatola. Un punto di questo foglio colpito da raggi luminosi appare luminoso sia in trasparenza che visto di fronte. La situazione che si realizza quando di fronte al forellino viene posta una sorgente luminosa o un corpo illuminato è rappresentata nella figura ?? che riproduce un disegno originale del XVII secolo: Come si vede, il forellino assicura una corrispondenza tra ogni punto della sorgente e i punti dello schermo. È questa la condizione per la formazione F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 4 Figura 11.2: Camera oscura dell’immagine. Nel caso ideale in cui il foro è puntiforme la corrispondenza è biunivoca e l’immagine è perfettamente nitida. Naturalmente in questo caso la quantità di luce che entra nella camera tende a zero ed il caso non si applica in pratica. Se il forellino ha un diametro finito è facile convincersi che i raggi provenienti da un punto della sorgente possono raggiungere tutta una regione introno al punto allineato con il centro del foro. Tuttavia, per dimensioni del foro non troppo grandi l’immagine è sufficientemente nitida. Es.2 Davanti ad una camera oscura a distanza L1 = 1m dal forellino viene posta un segmento luminoso di d = 10cm di lunghezza. Il fondo della camera oscura si trova a L2 = 50cm dal forellino. Giustificando la risposta con un disegno si tracci l’immagine dei punti della sorgente e se ne calcoli la lunghezza. Legge della riflessione speculare Nella descrizione della formazione delle ombre non abbiamo detto nulla sul destino dei raggi luminosi che incidono sui corpi opachi. Si tratta di un problema molto complesso che può essere generalizzato con la domanda: cosa si può dire quando un raggio luminoso propagandosi giunge alla superficie di separazione di due mezzi differenti?. Come abbiamo detto all’inizio, il fenomeno è alla base della visibilità degli oggetti che ci circondano. Questi non sono, almeno nella regione di frequenze alle quali il nostro occhio è sensibile, delle sorgenti di luce. Noi vediamo gli oggetti perché essi rimandano verso i nostri occhi la luce che li investe proveniendo o direttamente da una sorgente luminosa (ad esempio se il cammino tra la sorgente e l’oggetto avviene in un mezzo omogeneo e c’è G.Paffuti, F.Maccarrone - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 5 un cammino rettilineo tra i due), o da altri oggetti circostanti, come è il caso della luce solare che, diffusa dal cielo, giunge sulla superficie della terra prima dell’alba o dopo il tramonto. In generale, la superficie dell’oggetto illuminato è otticamente irregolare ossia presenta dossi ed avvallamenti su scala dell’ordine della estensione di un fascio parallelo di raggi provenienti da una sorgente luminosa distante e incidenti sulla superficie. Nei diversi punti di incidenza il raggio emergente ha direzioni diverse, casualmente distribuite in prima approssimazione (vedi figura ??). Figura 11.3: Riflessione e diffusione La situazione è completamente diversa se la superficie di separazione è otticamente liscia quale è quella del vetro di una finestra o della lamina metallica depositata su un supporto al fine di realizzare uno specchio o ancora la superficie di uno stagno in quiete. Consideriamo per semplicità che la superficie di separazione sia piana e prendiamo uno dei raggi del fascio incidente. Il raggio, proveniente dal punto P colpisce la superifice nel punto O individuando con la perpendicolare alla superficie nel punto O un piano, detto piano di incidenza. L’angolo θi che il raggio fa con la perpendicolare è detto angolo di incidenza. Vale una seconda legge dell’ottica geometrica: la legge della riflessione secondo cui al raggio incidente segue un raggio riflesso che appartiene allo stesso piano di incidenza e che si allontana da O facendo un angolo θr con la perpendicolare, detto angolo di riflessione, uguale all’angolo di incidenza (vedi figura ??). Il fenomeno che abbiamo appena descritto è detto di riflessione speculare. La sua validità non è limitata alle superfici di separazione piane. Essa si applica anche alle superfici curve tenuto conto che la perpendicolare nei diversi punti della superficie riflettente è diretta in modo diverso. Nel punto di incidenza di un raggio sono comunque definiti il piano e l’angolo θi di incidenza e il raggio riflesso appartiene allo stesso piano e fa con la perpendicolare un angolo θr tale che: θi = θr F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 (0.1) 6 Figura 11.4: Riflessione Naturalmente vale sempre l’avvertenza che gli oggetti con cui interagisce la luce non abbiano particolari di dimensioni paragonabili alla lunghezza d’onda della luce. in caso contrario l’approssimazione dei raggi luminosi non è valida e neppure le leggi dell’ottica geometrica. Pertanto, la descrizione precedente si applica a patto che la curvatura sia grande rispetto alla lunghezza d’onda. Formazione delle immagini nella riflessione L’applicazione della semplice legge della riflessione permette già di illustrare la formazione delle immagini. In effetti, è proprio di fronte ad uno specchio che usiamo spesso questa parola. Noi vediamo all’interno dello specchio delle immagini ossia delle copie degli oggetti che sono posti di fronte ad esso. Anche nel caso della camera oscura realizziamo un copia della sorgente luminosa sullo schermo di fondo. Tuttavia, le due situazioni sono qualitativamente diverse. Nel secondo caso l’immagine è prodotta facendo arrivare in punti diversi di un corpo diffondente, il fondo della camera oscura, la luce proveniente da punti diversi della sorgente. Un immagine di questo tipo è detta immagine reale. Nel caso dello specchio, invece l’immagine è virtuale in quanto non vi è un effettivo passaggio della luce nei punti dell’immagine. Consideriamo dunque un oggetto puntiforme S di fronte ad uno specchio piano π. Da S si origina un fascio di raggi luminosi. Il raggio che da P viaggia perpendicolarmente a π e incide nel punto O si riflette su se’ stesso. Il raggio che viaggia da S al punto A forma un angolo θ con la perpendicolare a π in A. Da A emerge un raggio riflesso che forma un angolo θ, uguale a quello di G.Paffuti, F.Maccarrone - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 7 incidenza, con la perpendicolare. I prolungamenti dei due raggi all’interno dello specchio si incontrano nel punto S 0 che si trova ad una distanza uguale a quella di S. Figura 11.5: Riflessione Non è difficile convincersi, mediante la costruzione geometrica diretta, che ogni altro raggio emesso da S viene riflesso in modo che il suo prolungamento passi per S 0 . In effetti i due triangoli rettangoli SAO e S 0 AO sono uguali perché hanno il lato OA in comune e gli angoli uguali. Cosa vede dunque un osservatore che stia di fronte allo specchio? L’insieme dei fasci riflessi appaiono tutti provenire da una sorgente posta all’interno dello specchio. Questo punto è detto immagine virtuale della sorgente reale S. L’osservatore vede dunque un punto luminoso posto in S 0 . D’altra parte, un qualunque sistema ottico come l’occhio oppure un altro specchio si comporta come se il fascio provenisse effettivamente dalla sorgente virtuale e ne produce a sua volta una immagine. È la ben nota situazione di chi ha provato a specchiarsi in una coppia di specchi affacciati l’uno sull’altro. Ogni specchio produce non solo la nostra immagine, ma anche l’immagine delle immagini in una successione idealmente infinita. Se qualcuno prova ad eseguire l’esperimento noterà che le immagini di ordine elevato non sono cosiı̀ nitide come le prime. Sapreste dare una spiegazione qualitativa? È evidente che il ragionamento vale per una sorgente composta da un numero qualunque di sorgenti puntiformi, quale si può sempre considerare una sorgente macroscopica. Lo specchio devia il fascio di raggi proveniente da ciascun punto P in modo che i raggi riflessi appaiano provenire dal punto immaginario che si trova dalla parte opposta della superficie riflettente alla stessa distanza sulla perpendicolare da P allo specchio. Vedremo in seguito che non in tutte le F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 8 situazioni un fascio di raggi proveniente da un punto emerge da un sistema ottico in modo che tutti i raggi uscenti (o i loro prolungamenti) hanno un unico punto in comune. Quando questo accade, come è per lo specchio piano in modo esatto, si dice che il sistema è stigmatico. Lo specchio piano è dunque un sistema stigmatico in grado di produrre immagini virtuali di corpi illuminati. Allo stesso modo la camera oscura ideale è un sistema stigmatico in grado di produrre immagini reali. Es.3 Due specchi piani, M ed N , sono posti in modo da formare un angolo retto. Una sorgente puntiforme S è posta a 90 cm da M ed a 120 cm da N . (a) Trovare le posizioni delle immagini di S dovute alle riflessioni singole o multiple sugli specchi. (b) Disegnare i raggi che raggiungono un punto P posto a 1290 cm da M e a 240 cm da N dopo una o due riflessioni (supporre che S e P giacciano in un piano perpendicolare agli specchi)2 Legge della rifrazione Il fenomeno della riflessione si osserva anche quando il raggio incontra la interfaccia tra due mezzi trasparenti. Ad esempio, è facile vedere la propria immagine riflessa in un vetro comune, se lo sfondo non è troppo illuminato. Questa condizione è legata al fatto, di cui non abbiamo parlato, che oltre alle proprietà geometriche della riflessione, espresse dalla (??), il fenomeno è caratterizzato anche dalla quantità di luce che è riflessa. In termini più precisi, si può definire un coefficiente di riflessione, come il rapporto tra l’energia luminosa riflessa e quella incidente. Nel caso aria-metallo il coefficiente è prossimo all’unità e la luce è riflessa pressoché totalmente. Nel caso aria-vetro il coefficiente di riflessione e dell’ordine di qualche per cento e l’immagine riflessa è visibile solo se la luce proveniente dal retro del vetro non è troppo intensa. Una parte dell’energia è invece trasmessa attraverso l’interfaccia3 . Ciò significa che alla superficie di separazione tra due mezzi trasparenti un raggio luminoso incidente viene trasmesso. La trasmissione non avviene però nella direzione di incidenza e il raggio subisce una deviazione che è detta rifrazione. L’entità della deviazione è descritta dagli indici di rifrazione4 dei due mezzi ed è espressa dalla legge di Snell-Cartesio. Questa afferma che se il raggio 2 L’esercizio è tratto dal capitolo I del libro: B.Rossi - Ottica - Milano 1971. Bruno Rossi (1905-1993), nato a Venezia, fu professore di Fisica Sperimentale alla università di Padova fino al 1938, anno in cui fu costretto a rifugiarsi negli Stati Uniti in seguito alle leggi razziali antisemite emanate dal governo fascista italiano. È stato uno dei più eminenti studiosi della radiazione cosmica ed ha dato contributi rivelantissimi alla fisica sperimentale delle particelle elementari. Un appassionante resoconto della sua vita scientifica è in B.Rossi - Momenti nella vita di uno scienziato - Bologna 1987 3 Una parte, infine, è assorbita, ma di questo fenomeno non ci occuperemo 4 L’indice di rifrazione di un mezzo misura di quanto differisce la velocità della luce v al suo interno, rispetto a quella nel vuoto c. Se l’indice di rifrazione di un mezzo per una data radiazione elettromagnetica è n vale : c v= n G.Paffuti, F.Maccarrone - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 9 Figura 11.6: Rifrazione incidente fa un angolo θi con la normale nel punto di incidenza proveniendo da un mezzo con indice di rifrazione n1 , il raggio rifratto, che è trasmesso nel mezzo di indice di rifrazione n2 , appartiene al piano di incidenza e fa un angolo θt tale che: sin θi n2 = (0.2) sin θt n1 Nella figura è illustrato il caso in cui n2 > n1 e la rifrazione provoca l’avvicinamento del raggio trasmesso alla perpendicolare. Formazione delle immagini nella rifrazione Consideriamo la legge della rifrazione su un’interfaccia piana dal punto di vista della formazione della immagine di una sorgente S posta, a distanza5 o = SV dal piano π di separazione nel mezzo di indice n1 . Per prima cosa, tracciamo l’asse passante per S e perpendicolare in V a π. Secondo la legge di rifrazione (??), il raggio SV prosegue nella direzione di incidenza. Consideriamo ora un raggio uscente da S e che fa un angolo θ1 con SV , 5 Qui e nel seguito la lettera o indica la posizione dell’ oggetto e i quella dell’immagine. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 10 Figura 11.7: Rifrazione e legge di Snell incidendo alla superficie di separazione del punto O, come in figura e poi prosegue inclinato rispetto a SV = o di un angolo θ2 tale che n1 sin θ1 = n2 sin θ2 . Il prolungamento del raggio rifratto incontra la direzione perpendicoalre nel punto S 0 che si triva a distanza i = S 0 V dall’interfaccia. La stessa distanza d = V O può essere espressa in due modi, considerando i triangoli SV O e S 0 V O: d = SV tan θ1 = o tan θ1 d = S 0 V tan θ2 = i tan θ2 Uguagliando i due secondi membri si vede che sussiste la relazione: i sin θ1 o = cos θ2 sin θ2 cos θ1 e se consideriamo solo i fasci che fanno un angolo piccolo con la perpendicolare da S all’interfaccia, i coseni valgono 1 al primo ordine e tutti i raggi rifratti, indipendentemente dalla posizione del punto O, appaiono provenire da una imn2 magine definita S 0 posta a distanza i = o e allineata con S. Torneremo su n1 questo risultato più avanti quando tratteremo la rifrazione da una interfaccia sferica. G.Paffuti, F.Maccarrone - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 11 Esempio: riflessione totale Un fenomeno interessante si trova quando la rifrazione avviene con luce incidente da un mezzo con indice di rifrazione maggiore ad uno con indice di rifrazione minore. La legge di Snell richiede, in questo caso, che l’angolo del raggio trasmesso con la normale nel punto di incidenza aumenti. Ora, all’aumentare della inclinazione del raggio incidente, aumenta anche l’angolo del raggio rifratto finché quest’ultimo diventa ortogonale alla superficie. In queste condizioni non si può avere più raggio rifratto e si ha solo riflessione. In assenza di perdite per assorbimento tutta l’energia luminosa incidente viene riflessa, non si ha trasmissione. Il fenomeno prende il nome di riflessione totale. La condizione di riflessione totale si ha per un angolo di incidenza critico θc tale il seno dell’angolo rifratto è 1: sin θc = Es.4 n2 n1 L’indice di rifrazione dell’acqua è circa nH2 O = 4/3. Si dimostri che i cui raggi provenienti da una sorgente sommersa e che incidono sulla superficie a riposo ad un angolo maggiore di θc = sin−1 0.75 ' 48.5 ◦ , non vengono trasmessi e la sorgente è, da quella direzione invisibile. Rifrazione su un interfaccia sferica Per ragioni pratiche la maggior parte dei dispositivi ottici è realizzato come una successione di mezzi trasparenti separati da superfici sferiche coassiali. Ad esempio una lente è un pezzo di materiale trasparente (ad esempio vetro) lavorato in modo da avere due superfici sferiche con i centri sull’asse di simmetria. È dunque particolarmente importante il caso della rifrazione quando la superficie di separazione tra un mezzo di indice di rifrazione n1 e uno di indice di rifrazione n2 è una porzione di sfera di raggio R e centro C. Chiamiamo questo sistema diottro sferico. Figura 11.8: Diottro sferico F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 12 Usiamo per il diottro una convenzione dei segni per le posizioni degli oggetti e delle immagini. Consideriamo che la luce si propaghi da sinistra a destra e per la coordinata della sorgente (oggetto) la scelta è di considerare l’ascissa positiva se essa si trova dal lato di provenienza dei raggi6 . I raggi provenienti da sinistra producono eventuali immagini reali a destra ed è da questa parte che considereremo positive le ascisse delle immagini e i raggi di curvatura7 . Consideriamo dunque i triangoli SAC e S 0 AC e limitiamo il nostro calcolo alla approssimazione di piccoli angoli di inclinazione. Possiamo usare qui il termine approssimazione parassiale che esprime appunto che i raggi sono vicini all’asse. In questo caso, la lunghezza dei lati obliqui può essere confusa con l’ascissa dei punti sull’asse, ossia SA ' SV = x e S 0 A ' S 0 V = x0 . Il raggio di curvatura R è positivo (il centro si trova dalla parte dove si propagano i raggi rifratti) per cui V C = R. Gli angoli con vertice C dei due triangoli SAC e S 0 AC sono rispettivamente φ = i − α e π − φ ed hanno seni uguali. Applichiamo il teorema dei seni ai due triangoli, osservando che SC = SV + V C e S 0 C = S 0 V − V C e scriviamo le uguaglianze: x x0 x0 − R x+R = = sin i sin φ sin φ sin i0 da cui tenendo conto della (??) ossia in questo caso: sin i n2 = sin i0 n1 si ricava, con pochi passaggi che lasciamo per esercizio, la formula del diottro sferico: n2 n2 − n1 n1 + 0 = (0.3) x x R La costruzione fatta non dipende dal punto A e, quindi tutti i raggi provenienti dal punto S vengono rifratti nello stesso punto S 0 ed il diottro sferico è stigmatico (per raggi parassiali). Es.5 La superficie sferica del diottro appia raggio di curvatura R di 20 cm e separi il primo mezzo (aria) di indice di rifrazione n1 ' 1 dal secondo mezzo (acqua) di indice di rifrazione n2 ' 1.5. Una sorgente puntiforme è posta in aria a distanza di un metro dal vertice del diottro. Dove si forma l’immagine? Fuochi di un diottro Si osservi che la formula del diottro è valida per qualunque combinazione dei parametri. Ad esempio se la parte della superficie su cui incide la luce da sinistra 6 Nel caso di una singola superficie questo appare superfluo perchè sembra ovvio che se la luce proviene da sinistra è là che si trova l’oggetto/sorgente. Vedremo subito che nel caso di più superfici questo non è detto. 7 Si osservi che questa è una delle possibili convenzioni. Altre danno luogo a formule che differiscono per alcuni segni, anche se, naturalmente, le conclusioni fisiche sono le stesse qualunque sia la convenzione scelta. Una buona giustificazione per la nostra scelta è che essa è quella che faceva Gauss. G.Paffuti, F.Maccarrone - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 13 è quella concava il raggio di curvatura è negativo. Si può vedere che in questo caso se gli indici di rifrazione sono nel rapporto n1 < n2 l’immagine ha ascissa x0 negativa, ossia è virtuale. Per chiarire questo punto e per il seguito risulta utile definire per un diottro il punto, detto secondo punto focale F2 , che è l’immagine di un oggetto posto all’infinito e anche il punto, detto primo punto focale F1 , che ha l’immagine all’infinito. Le rispettive distanze focali f2 ed f1 dal vertice del diottro si ricavano dalla (??) ponendo rispettivamente x → ∞ e x0 → ∞ e risolvendo per l’altra ascissa. Si trova: f2 = n 2 R n2 − n1 f1 = n 1 R n2 − n1 (0.4) Ad esempio, per il diottro che porge alla luce incidente la parte convessa e per cui il secondo mezzo ha indice di rifrazione maggiore (n2 > n1 ), F2 si trova nel secondo mezzo e a distanza maggiore di F1 . In questo caso il diottro è convergente. Costruzione grafica della immagine in un diottro Figura 11.9: Costruzione delle immagini (diottro). Nota la posizione dei due fuochi è facile anche trovare una costruzione grafica per la formazione delle immagini in un diottro. Per prima cosa osserviamo che per oggetti posti in prossimità dell’asse ottico vale la nozione di piani coniugati, ossia tutti i punti che nella sorgente si trovano sullo stesso piano ortogonale all’asse hanno immagini che stanno su uno stesso piano. Inoltre, sempre per raggi parassiali il diottro è stigmatico per cui bastano due raggi rifratti per trovare l’immagine. Per eseguire la costruzione grafica, dunque, si prende, da un punto della sorgente un raggio parallelo all’asse ottico che viene rifratto in modo da passare F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 14 per F2 e un raggio passante per F1 che emerge parallelo all’asse ottico. Si veda la figura (??) per un diottro concavo che forma una immagine virtuale. Lente sottile Uno strumento ottico particolarmente importante è la lente semplice. Questa è un pezzo di materiale trasparente limitato da due superfici sferiche8 . Sia R1 il raggio di curvatura della prima superficie, R2 quello della seconda e n l’indice di rifrazione del materiale della lente. Possiamo applicare la (??) e trovare la posizione i1 dell’immagine di un oggetto, posto a distanza o dalla prima superficie. In particolare se, come accade comunemente la lente è immersa nell’aria il cui indice di rifrazione è con ottima approssimazione 1: n n−1 1 + = o i1 R1 Ora dobbiamo considerare l’immagine in i1 come l’oggetto della seconda rifrazione, la cui immagine è l’immagine finale di o. La cosa risulta particolarmente semplice nel caso in cui si può trascurare lo spessore della lente (lente sottile). Per una lente sottile, dunque, le distanze si possono riferire, con un errore trascurabile, al piano centrale della lente e l’ascissa della prima immagine i1 è precisamente l’ascissa dell’oggetto della seconda rifrazione a meno del cambiamento di segno. In effetti se i1 risulta positivo dalla equazione precedente vuol dire che si forma al di là della lente e, quindi, è un oggetto virtuale per la seconda rifrazione. Il contrario accade se i1 è negativo. In ogni caso, notando che ora il primo mezzo ha indice n e il secondo ha indice 1, si ha: − n 1 1−n + = i1 i R2 Sommando le due ultime equazioni si trova la formula delle lenti sottili: 1 1 1 1 1 + = (n − 1)( − )= o i R1 R2 f (0.5) Come è evidente dalla (??), f è la distanza a cui si forma l’immagine di una sorgente posta all’infinito. Quindi è la distanza del secondo punto focale. Essa è anche la distanza del primo punto focale. Quindi nella lente sottile i due fuochi si trovano da parti opposte e ad uguale distanza dalla lente. La distanza focale della lente è in relazione al materiale e ai parametri geometrici tramite: 1 1 1 = (n − 1)( − ) f R1 R2 8 Possiamo anche includere il caso in cui una delle due superfici è un piano, considerandolo una superficie sferica con raggio di curvatura infinito G.Paffuti, F.Maccarrone - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 15 che è detta storicamente formula dei fabbricanti di lenti ed è valida quando si trascura lo spessore della lente (la distanza tra i vertici dei due diottri). La quantità 1/f è detta potere diottrico della lente ed è misurata in diottrie se le distanze sono espresse in metri. Il potere diottrico è positivo per una lente convergente negativo per una lente divergente. Una lente con un potere diottrico di -2.5 diottrie è una lente divergente con una focale di 40 cm. Costruzione dell’immagine con una lente sottile La conoscenza della distanza focale f di una lenete sottile è alla base del procedimento grafico di costruzione dell’immagine. Per una lente convergente f > 0 e la costruzione si fa, come per il diottro con due raggi, provenienti da un punto A della sorgente. Il primo raggio che viaggia parallelo all’asse converge verso il fuoco e quello che passa per il fuoco emerge parallelo all’asse. Il punto di incontro di questi due raggi è l’immagine di A, come si vede dalla figura, tratta dalla voce lente di Wikipedia. Figura 11.10: Costruzione delle immagini (lente sottile). Come si vede anche un terzo raggio, quello che passa per il centro della lente e che procede senza deviare può essere usato per tracciare la immagine. Per una lente convergente, come è quella di figura si ha che l’immagine è reale ( e capovolta) se l’oggetto è a distanza maggiore di f ed è virtuale (e diritta) se l’oggetto si trova tra la lente ed il primo fuoco. Ingrandimento lineare per una lente sottile Nella formazione delle immagini dell’ottica geometrica i segmenti dei punti della sorgente e i corrispondenti segmenti dell’immagine sono lati di triangoli simili con il vertice nel vertice della lente. Pertanto esite un rapporto di similitudine tra le misure prese sulla sorgente e quelle prese sull’immagine9 . 9 Ricordiamo ancora una volta che stiamo trattando il caso ideale dell’ottica parassiale e non consideriamo fenomeni ondulatori quali la diffrazione. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 16 Una misura interessante sulle immagini formate in una lente sottile è dunque il rapporto tra le dimensioni lineari dell’immagine e quelle dell’oggetto. Più precisamente, preso un segmento illuminato perpendicolare all’asse ottico si considera la coordinata trasversale do rispetto all’asse. L’oggetto è a distanza o dal vertice e produce un’immagine che è un segmento, anche esso perpendicolare all’asse ottico e posto a distanza i dal vertice, secondo la (??). Si chiama di la coordinata dell’estremo del segmento-immagine dall’asse. Infine, si definisce ingrandimento trasversale I: I= di do Nella figura (??) è illustrato il caso di immagine reale di una lente convergente. L’immagine è rovesciata, ossia con la coordinata trasversale dell’immagine negativa. Dalla similitudine dei triangoli A0 CB 0 e ACB si ricava A0 B 0 : AB = CB 0 : CB. In termini delle coordinate di i = do o ossia, applicando la (??): I= f f −o (0.6) Come si vede, per distanze dell’oggetto maggiori di 2f l’ingrandimento è negativo e minore di 1, ossia l’immagine è rovesciata e rimpicciolita. Es.6 Mostrare che per distanze dell’oggetto comprese tra 2f ed f , l’immagine prodotta da una lente convergente è reale, capovolta ed ingrandita. Per distanze dell’oggetto minori di f l’ingrandimento è positivo (immagine virtuale dritta) ed ingrandita. L’ingrandimento trasversale è dunque uguale al rapporto tra le distanze dell’immagine e dell’oggetto dal vertice dello specchio. Il segno dell’ingrandimento indica se l’immagine è diritta o capovolta. Esercizio svolto: immagine con due lenti sottili Supponiamo di avere disposte sul medesimo asse ottico due lenti sottili di lunghezza focale f1 ed f2 , separate da una distanza d. Un oggetto è posto a distanza o dalla prima lente e la sua immagine si forma alla distanza i0 dalla lente, secondo la ??. Si ha dunque: i0 = of1 o − f1 L’immagine formata dalla prima lente funge da oggetto per la seconda essendo la distanza10 da questa o0 = d − i0 . Applicando la ?? alla seconda si trova 10 Si osservi il rispetto della convenzione dei segni. Se i0 è maggiore di d allora vuol dire che la immagine della prima lente si forma al di là della seconda lente e ne costituisce l’oggetto virtuale, ossia ha ascissa negativa G.Paffuti, F.Maccarrone - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 17 la distanza i dalla seconda lente a cui si forma l’immagine: 1 1 1 + = of1 i f2 d− o − f1 La relazione trovata risolve il problema delle due lenti ed ha una forma particolarmente semplice se le due lenti sottili sono in contatto (d = 0). In questo caso le distanze sono riferite al piano comune delle due lenti e si legge: 1 1 1 1 + = + o i f1 f2 (0.7) ossia il sistema delle due lenti a contatto si comporta come una singola lente di potere diottrico pari alla somma dei poteri diottrici delle singole lenti. Un occhio miope ha una lunghezza focale maggiore della lunghezza dell’occhio (vedi più avanti). Per correggere il difetto si può usare una lente a contatto (o un occhiale) divergente, ossia con focale negativa. In questo modo la focale del sistema composto occhio+lente diminuisce. Un difetto di +2 diottrie significa che occorre usare una lente divergente (biconcava) con un potere diottrico di -2 diottrie (ossia con una distanza focale di -50 cm) per ottenere una visione nitida degli oggetti lontani. L’occhio umano Siamo ora in condizione di migliorare il nostro modello ottico dell’occhio umano, perfezionando il modello a camera oscura. Una visione schematica dell’anatomia dell’occhio è illustrata in figura (??). La parte anteriore dell’occhio si comporta come un sistema ottico centrato, le cui caratteristiche geometriche sono controllate dai muscoli del corpo ciliare i quali modificano la curvatura delle superfici rifrangenti, regolando le distanze focali del sistema. La parete posteriore dell’occhio è il supporto della retina uno strato di cellule fotosensibili sul quale viene a formarsi l’immagine reale degli oggetti della visione. In condizioni di riposo del muscolo ciliare la seconda distanza focale dell’occhio f2 , il cui valore è essenzialmente fissato dalla curvatura della cornea, cade sulla retina. Su di essa si formano le immagini reali degli oggetti posti a grande distanza. Può capitare per ragioni patologiche o congenite che la lunghezza dell’occhio, ovvero la distanza tra il sistema rifrangente e la retina sia maggiore di f2 . In questo caso si dice che l’occhio è miope e l’immagine degli oggetti distanti si forma di fronte alla retina e su di essa arriva sfuocata. In una lente, le immagini reali di oggetti vicini si mettono a fuoco a distanze maggiori della distanza focale. Affinché nell’occhio siano a fuoco sulla retina, occorre che f2 sia minore della lunghezza oculare. Per ottenere questo risultato va variata la curvatura del cristallino. Questa procedura ha un limite fisiologico che impedisce di mettere a fuoco oggetti più prossimi di una certa distanza, detta di minima visione distinta. Per un adulto giovane questa distanza vale F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 18 Figura 11.11: Anatomia di un occhio umano. all’incirca d0 =25 cm e diventa sempre maggiore con l’età (un bambino di 10 anni ha una distanza di visione distinta di 7 cm). Ingrandimento angolare Le dimensioni dell’immagine sulla retina dipendono dall’angolo sotto cui è visto un oggetto. Si consideri nella figura un oggetto di dimensioni trasversali y posto ad una distanza d dalla pupilla dell’occhio che in figura è schematizzata dalla lente. Per oggetti piccoli a breve distanza e comunque a grande distanza l’angolo θ, sotto cui è visto l’oggetto è con buona approssimazione: θ= y d L’occhio, agendo da sistema ottico centrato forma l’immagine a fuoco sul piano in cui si trova la retina ad una distanza pari alla lunghezza anatomica dell’occhio. Come si vede dalla figura (??) l’angolo con cui l’immagine vede la pupilla è ancora θ. Per ottenere un immagine più grande e, quindi una visione più dettagliata dell’oggetto occorre allora aumentare l’angolo di vista. Ad occhio nudo, il massimo angolo di vista si ottiene per la distanza di minima visione distinta G.Paffuti, F.Maccarrone - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 19 Figura 11.12: Ingrandimento angolare. ovvero: θ0 = y d0 In queste condizioni detta L la lunghezza dell’occhio l’immagine sulla retina ha dimensioni h = Lθ0 . Per ottenere una immagine più grande, non potendo agire sulla lunghezza dell’occhio, non resta che aumentare l’angolo di vista. Microscopi Con l’uso di strumenti ottici è possibile aumentare considerevolmente l’angolo di vista e mettere in evidenza particolari altrimenti invisibili. Gli strumenti che realizzano questo risultato sono i microscopi. Lente di ingrandimento Il più semplice di questi strumenti è la lente di ingrandimento la quale è una lente semplice convergente di corta lunghezza focale. Consideriamone il principio di funzionamento. Secondo la formula delle lenti una lente convergente produce un immagine virtuale ingrandita di un oggetto che si trova in una posizione compresa tra il primo fuoco e la lente; infatti: 1 1 1 = − i f o e se o < f allora i < 0 e l’immagine è virtuale. L’angolo visuale dell’immagine è evidentemente: y0 i1 y =y = i oi o e affinché l’occhio possa vederla comodamente bisogna che l’immagine si formi a una distanza abbastanza grande. Quindi l’oggetto deve essere posto in prossimità del piano focale ovvero o ' f . Definiamo ingrandimento angolare w il rapporto tra i due angoli di visione ad occhio nudo e con la lente. θ0 = F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 20 L’ingrandimento angolare ottenibile con la lente rispetto alla condizione ottimale a occhio nudo che si ha quando l’oggetto è alla distanza di visione distinta d0 , vale: y θ0 d0 = yo = (0.8) w= θ0 o d0 Nell’uso pratico della lente si trova conveniente per ragioni fisiologiche di osservare l’immagine con l’occhio dell’osservatore è a riposo e mette a fuoco ad una distanza grande. Quindi l’oggetto simette all’incirca alla distanza focale e l’ingrandimento ottimale vale: d0 w' f Più precisamente il massimo ingrandimento angolare per la lente si ha quando l’immagine virtuale si forma alla distanza di visione distinta, ossia quando i = −d0 , allora: 1 1 1 − + = d0 o f dalla quale si ricava che l’oggetto va posto alla distanza: o= f d0 f + d0 e l’ingrandimento angolare e dunque l’ingrandimento dell’immagine sulla retina vale: d0 d0 =1+ w= o f In ogni caso l’ingrandimento cresce al diminuire della distanza focale. D’altra parte, dal momento che l’oggetto deve essere avvicinato alla lente ad una distanza minore del fuoco questo pone dei limiti nell’uso pratico di lenti di ingrandimento di piccola distanza focale. Inoltre, è difficile realizzare una lente di ingrandimento priva di distorsioni con lunghezze focali molto piccole. Tipicamente una lente di ingrandimento di buona qualità ha una lunghezza focale di qualche centimetro; ciò rende possibili ingrandimenti angolari di 5-10 volte, per cui se ad occhio nudo si riescono a discernere particolari di lunghezza pari a qualche decimo di millimetro, mediante una lente di ingrandimento comunesi può arrivare a distinguere dettagli pari a qualche centesimo di millimetro. In effetti, va sottolineato che l’inizio della microscopia moderna e soprattutto la sua applicazione alla biologia microscopica (microbiologica) inizia con l’opera dello scienziato olandese van Leeuwenhoek (1632-1723) che impegava una singola piccola lente sferica di piccolo diametro come microscopio. Con quel primitivo strumento egli scoprı̀ i batterui, i vacuoli della cellula e molte altre strutture invisibili ad occhio nudo, divenendo in certo modo il padre della microbiologia. Es.7 Si ha una lente semplice convergente. Osservando una sorgente di luce (una finestra illumi- nata) ad una distanza di circa 3 metri dalla lente si nota che questa forma un’immagine reale su uno G.Paffuti, F.Maccarrone - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 21 schermo posto a 30 centimetri. Si determini la distanza focale f della lente. Con questa distanza focale, quale è l’ingrandimento massimo che si può ottenere, usandola come lente di ingrandimento? Es.8 Si ha una serie di cinque lenti di ingrandimento di lunghezza focale differente da 4mm a 4 cm. Si realizzi una tabella con tre colonne. Nella prima colonna f , nella seconda la posizione dell’oggetto in modo che l’immagine virtuale si formi alla distanza di visione distinta e nella terza l’ingrandimento visuale. Come cambia quest’ultimo se l’immagine viene vista con l’occhio a riposo ovvero che mette a fuoco a grande distanza? Microscopio ottico composto Per aumentare l’ingrandimento si ricorre a microscopi composti da più lenti. I componenti ottici dei microscopi commerciali sono molto complessi, essendo realizzati con gruppi di lenti. Il principio di funzionamento può, tuttavia essere illustrato utilizzando una coppia di lenti convergenti. Figura 11.13: Semplice microscopio composto. Una di queste, detta obbiettivo, di corta lunghezza focale produce una immagine reale dell’oggetto da ingrandire. L’ingrandimento lineare, come si deduce anche dalla osservazione della figura (??), è, come al solito: I=− fob i =− o o − fob dove si è indicato con fob la distanza focale dell’obbiettivo e il segno meno ricorda che l’immagine reale è capovolta rispetto all’oggetto. Per avere ingrandimenti rilevanti l’oggetto, di dimensione trasversa y, va posto ad una distanza di poco superiore alla distanza focale per cui o ' fob . L’immagine reale viene poi osservata tramite la seconda lente, detta oculare, che agisce da lente di ingrandimento aumentando l’angolo di vista dell’immagine dell’obbiettivo. Come abbiamo visto la condizione migliore si ha quando l’immagine reale è formata nel piano focale dell’oculare. Occorre, quindi scegliere o in modo che l’immagine F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 22 reale di dimensioni trasversali y 0 = Iy si formi ad una distanza ∆ dall’obbiettivo dell’ordine di D − foc dove D è la distanza obbiettivo-oculare (la distanza focale dell’obbiettivo è in genere trascurabile). Le dimensioni sulla retina sono quindi incrementate ulteriormente di un fattore w dato dalla (??). In conclusione l’ingrandimento N del microscopio è il prodotto dell’ingrandimento lineare dovuto all’obbiettivo e dell’ingrandimento angolare dell’oculare: N =− ∆ d0 fob foc In pratica, gli obbiettivi più potenti usati nei microscopi commerciali hanno una lunghezza focale dell’ordine del millimetro, mentre gli oculari non superano generalmente lunghezze focali di 1 cm. Per una distanza ∆ dell’ordine di 20 cm si ottengono cosı̀ ingrandimenti N ' 1000. È del tutto inutile immaginare ingrandimenti maggiori in quanto l’ingrandimento calcolato è corretto nell’ambito della validità dell’ottica geometrica. Al di là di questa occorre tenere conto delle proprietà ondulatorie della luce. L’ingrandimento è allora limitato dal fenomeno della diffrazione che dipende dalla lunghezza d’onda. Per limitare questo effetto occorre usare radiazione di lunghezza d’onda più corta di quella visibile e le immagini che si producono non possono essere guardate direttamente con l’occhio. G.Paffuti, F.Maccarrone - Fisica per Biotecnologie - 2010/011