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n° 352 - ottobre 2011
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
“Horror vacui”
controverso e fecondo
L’evoluzione del pensiero filosofico intorno al concetto di vuoto e le
sue ripercussioni sulle espressioni artistiche tra Oriente e Occidente
Il pensiero intorno all’idea di vuoto è stato
elaborato praticamente
lungo tutto il percorso
della conoscenza umana
e, almeno in Occidente,
ha dato vita a un concetto, definito in periodo
medievale Horror vacui,
che si è legato indissolubilmente a una vera
e propria forma di angoscia. Gli sviluppi di questo lungo e travagliato
dibattimento hanno ispirato infatti una nozione
di paura del vuoto perché quest’ultimo è stato
pericolosamente associato al nulla assoluto,
alla totale assenza, alla
mancanza originando la
convinzione che esprima
negazione, desolazione,
solitudine in opposizione
a un pieno che invece
evoca ricchezza, abbondanza, vita.
Una tappa fondamentale in quest’evoluzione
formativa c’è stata nel
mondo greco, in particolare quando Aristotele
ha praticamente fermato
la discussione stabilendo
che il vuoto non può esistere dal momento che
la natura stessa aborre il
vuoto. Egli ha osservato
infatti, che quando da
un luogo si toglie tutta
la materia, subito dell’altra vi si precipita a
riempirlo: la materia perciò deve essere ovunque.
Le considerazioni aristoteliche hanno di fatto arrestato la discussione al-
meno fino al XVII secolo quando, dal punto
di vista fisico, sono state
definitivamente smentite.
La stessa definizione di
paura del vuoto è stata
assunta dalla critica d’arte
per definire l’analoga attitudine, propria di epoche e autori diversi e forse
come forma spontanea
di imitazione della natura in senso aristotelico, a colmare l’intera
superficie dell’opera con
segni o figure: le aree libere non sono concepite
come possibili spazi di
relazione e collegamento
tra le immagini, ma
come assenze da riempire. Gli esempi più antichi si possono riscontrare in quel periodo chiamato Medioevo ellenico
quando, osservando la
pittura vascolare che ci
è pervenuta, nell’evoluzione dello stile geometrico la decorazione si
infittisce tanto da arrivare a perdere la funzione
di identificare le varie
parti del vaso fino a ricoprire l’intera superficie disponibile con scene
figurate che si uniscono
ai motivi decorativi stilizzati. Riconducibili
allo stesso concetto di
paura del vuoto sono anche le espressioni dell’arte barbarica dove figure dall’anatomia appena abbozzata sono circondate da numerose decorazioni, che vanno a
riempire meticolosamente ogni punto vuoto,
e lo stesso si può dire dei
manoscritti miniati dei
monasteri, in particolare nelle cosiddette pagine tappeto del VII secolo dove la decorazione
arriva a ricoprire l’intero
folio. Questa però è una
convinzione propria del
mondo occidentale, perché se ci si sposta verso
Oriente il pensiero cambia completamente, anzi,
si ribalta. Il vuoto non
corrisponde al nulla, ma
al principio di tutto, all’insieme delle possibilità che attendono di essere colte: comprende il
tutto nel momento presente, è la fonte di ispirazione e allo stesso
tempo il punto di arrivo,
esprime fiducia, positività, speranza. Pieno e
vuoto sono inscindibili
e ogni disciplina, dalla
meditazione all’arte,
tende sempre alla ricerca
di quest’ultimo. Sostanzialmente questa è l’idea
sia del taoismo cinese,
sia del Buddhismo indiano, che poi ha avuto
anche fondamentali sviluppi in Giappone grazie all’influsso della scuola
Zen. Nell’arte il potere
del vuoto si esprime
molto bene nella pittura
a inchiostro, qui lo spazio lasciato bianco è preponderante rispetto a
quello dipinto, tanto che
il ruolo di protagonista non lo prende il nero
sopra Bonamico(?): Pieve di San Giovanni Battista a
Mensano (Siena)
sotto Altare del duca Ratchis - Cividale del Friuli,
Museo Cristiano
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dell’inchiostro, ma il
bianco iniziale della carta.
Alla fine gli spazi residui armonizzeranno le
immagini riprodotte
come una pausa silenziosa. L’inchiostro non
fa altro che rendere visibile la figura già esistente nel bianco, nel
vuoto dello sfondo. Anche l’architettura, in questa parte di mondo,
esprime la stessa filosofia attraverso un rigoroso minimalismo con
giardini che, come dei
quadri, addirittura si
compongono e disegnano
su un fondo di ghiaia
bianca.
Ma questo appartiene
a un pensiero puramente
orientale, anche l’arte
islamica infatti, nello
sviluppo della calligrafia, dalle pagine dei libri alle architetture, con
gli elaborati arabeschi
dimostra d’essere permeata dalla stessa tendenza al riempimento
del vuoto. L’arabesco altro non è che quello stile
ornamentale elaborato
con forme stilizzate, ripetute e organizzate in
modo da ottenere un intreccio armonico tale da
poter rivestire tutta la
superficie disponibile.
Un’elaborazione diversa,
ma per certi aspetti simile a quella prodotta
dall’azione congiunta,
secondo la lettura di Jurgis Baltrušaitis, della
legge dell’horror vacui e
di quella dell’“attrazione
della cornice” (per la
quale la figura animata
si adatta alle linee di una
cornice geometrica), che
guida l’artista medievale
a piegare e deformare le
figure per portarle a riempire tutta l’area disponibile. I mostri di ogni
sorta che si vengono a
creare perciò non sono
casuali bizzarrie, ma
hanno una precisa origine contestuale e morfologica e seguono un
procedimento ben regolato.
Passa il tempo e cambiano gli stili, ma il concetto di vuoto, come
qualcosa che deve essere
riempito, ogni tanto riemerge anche quando dal
punto di vista scientifico determinati principi sono stati ampiamente confutati. Nel
XVII secolo è definitivamente cambiato il rapporto tra conoscenza e
raffigurazione e le figure
di artista e scienziato
sono ormai definitivamente distinte, l’arte
si occupa unicamente del
decoro e in quel periodo
assume anche il ruolo di
rappresentare il prestigio nella società, è il momento un cui apparire
diventa fondamentale.
Ecco il perché della ridondanza decorativa nell’arte barocca, dove ogni
centimetro di superficie
pittorica o architettonica è accuratamente sa-
turato per inserire quante
più figure o stucchi possibili: una versione di
horror vacui che nasconde
la paura di un vuoto e di
un nulla più che altro sociale.
Horror vacui è una locuzione che è andata a
esprimere anche una vera
e propria malattia psichica, conosciuta come
xenofobia, cioè la paura
degli spazi vuoti sia fisici che mentali. In conseguenza di queste fobie, autentiche forme
d’arte vengono fuori direttamente dagli ospedali psichiatrici, sono
opere appartenenti alla
cosiddetta Art Brut (arte
grezza), termine coniato
dal pittore Jean Dubuffet per definire proprio
quell’arte tanto al di fuori
da ogni conformità o accademismo da risultare
assolutamente anticonvenzionale. Ricordiamo
fra tutti l’internato nel
manicomio di Waldau,
vicino a Berna, Adolf
Wölfli, che nonostante
fosse privo di ogni educazione artistica, è stato
invece considerato un
dall’alto in senso orario Arabesco nella Medina di
Azahara - Cordoba, Spagna
Evangeliario di Lindisfarne - Londra, British
Museum
Hasegawa Tohaku: Pini - Tokyo, National Museum
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vero artista: i suoi quadri sono densi di segni
e di colori fino a risultare insopportabili ed
è evidente l’attenzione
maniacale posta a riempire tutto lo spazio disponibile. Anche senza
arrivare ai casi psichiatrici, la storia dell’arte
ci fornisce numerosi
esempi di autori con una
particolare attitudine
alla saturazione dello spazio utilizzabile, sia per
personale tendenza, sia
per specifiche risonanze
stilistiche, anzi una possibile classifica potrebbe
essere fatta proprio in
base a questa propensione. Possiamo citare
per esempio Gustav
Klimt e la sua disposizione a riempire completamente la tela con
decorazioni e arabeschi,
tanto che i soggetti ar-
rivano a confondersi con
gli sfondi sia che questi
attingano agli ori dei
mosaici bizantini, sia che
facciano riferimento allo
stile fiorito di un misticismo orientale. Oppure
a certi artisti africani
come Edward Said Tingatinga, che negli anni
sessanta del secolo scorso
ha dato vita allo stile che
porta il suo nome: forme
semplici, tra il naïf e il
surreale e colori vivaci
che riempiono ogni centimetro di superficie.
Questi esempi, avvicinandosi all’oggi dimostrano che, anche se, grazie alla ricerca o alla meccanica quantistica il mistero del vuoto è stato
definitivamente spazzato via ed estromesso
dalla fisica perché dichiarato inesistente, non
abbiamo mutato di
molto il nostro pensiero.
Millenni di speculazioni
cultural-filosofiche sul
concetto di vuoto si sono
così radicate nella nostra
cultura che ancor oggi
lo confondiamo con il
nulla, con l’assenza, la
mancanza di qualcosa:
quando in un contenitore c’è solo dell’aria questo è indiscutibilmente
vuoto, le considerazioni
positive e negative restano immutate e inesorabilmente il pessimismo resta legato al “bicchiere mezzo vuoto”.
francesca bardi
Adolf Wölfli: Senza titolo
Gustav Klimt: Ritratto di Friederike Maria Beer - Collezione privata
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