Architettura: riscoprire i vuoti urbani come spazi di

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Architettura: riscoprire i vuoti urbani come spazi di margine e spazi pubblici
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Giovedì 26 Agosto 2010 22:48
Da Democrito in poi s’intende come vuoto quella qualità dello spazio che permette il
movimento.
Il vuoto di spazio diventa “materia” e giunge a rappresentare una valenza culturale e collettiva.
La struttura di questa materia, in ambito urbano, diventa spazio pubblico, nel quale si
producono movimento e variazione, dove vengono esplicitati il trascorrere del tempo e
dell’azione umana. Questo spazio pubblico, però, segue un processo temporale di
accumulazione e modificazione; sin dall’antichità esso è il luogo collettivo, emblema dello spirito
civico. J.-P.Vernant ha evidenziato come la città ippodamea [di Mileto] subisca l’influenza
dell’ordine cosmico descritto da Anassimandro: “(…). Il suo pensiero [di Ippodamo] non separa
spazio fisico, spazio politico e spazio urbano, ma li unisce in una stessa analisi”.
Lo spazio urbano diventa, dunque, un elemento suscettibile e modificabile secondo la volontà
generale del momento, perde il significato di spazio residuale tra le edificazioni e assume le
caratteristiche di un vuoto misurato, di uno scenario allestito. Nel 1963, Melvin Webber definì
questo tipo di spazio come “l’urbano senza-luogo”. Secondo i suoi ragionamenti, lo sviluppo
della mobilità e delle nuove forme di comunicazione stava portando a una drastica riduzione
delle distanze e modificando, a livello di ordine urbano, il concetto di centralità. La città,
trasformata in una rete di trasporti e comunicazioni quasi invisibile, diviene, così, una “metropoli
galattica”, secondo la definizione del geografo Lewis Pierce (Cenzatti, Crawford 1993), una
geografia urbana i cui elementi sono esplosi, disperdendosi. Uno dei caratteri dello spazio
urbano riguarda, infatti, l’ordine discontinuo della città moderna. La città storica si basa su una
relazione fisica tra pieni e vuoti: questa relazione è definita in termini di proporzioni e qualità
percettive. Nella città aperta del moderno questa relazione è, invece, concepita come intervallo
e distanziamento tra gli edifici. Nella città moderna, dunque, lo spazio vuoto è stato interpretato
come elemento astratto al negativo: il vuoto come risultante dei pieni dell’architettura. A
riguardo, ai Moderni è mancata quella sensibilità topologica che, al contrario, era affrontata da
Camillo Sitte quando descriveva lo spazio aperto come uno spazio concavo, come uno spazio
interno.
Nel Moderno domina l’isolamento dei volumi, posti a buona distanza gli uni dagli altri e distribuiti
uniformemente sul terreno, un terreno spesso trattato, nei limiti del possibile, come un piano
quasi astratto. Questa scelta deriva dalle teorie igieniste della scuola urbanistica tedesca, che
fanno dipendere una vita sana da aria, luce, separazione delle vie di comunicazione pedonali e
veicolari.
Lo spazio è interpretato come quel “vuoto” che sta tra i “pieni”.Tuttavia, ancora oggi, tra gli
studiosi di città c’è una tendenza a descrivere lo spazio come “tutto ciò che impedisce che tutto
resti allo stesso posto”. Espuelas descrive il vuoto come un’architettura stratificata che, da
elemento fisico e categoria spaziale, assume il significato di esperienza personale: “Le
concrezioni architettoniche del vuoto sono quegli spazi e luoghi nei quali, in determinati piani
conoscitivi, si producono impressioni di vacuità (Espuelas 1999)”.
Nel Moderno come nel neoclassico – alla fine del Settecento e all’inizio dell’Ottocento – l’idea di
uguaglianza e di democrazia veniva trasmessa nel campo dell’urbanistica attraverso una
visione “isotropa” (=stesso spazio) dei volumi edilizi: parallelepipedi identici e giustapposti,
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Architettura: riscoprire i vuoti urbani come spazi di margine e spazi pubblici
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senza gerarchie. Lo spazio dei Moderni, comunque, non riguarda uno spazio immobile. I
riferimenti alle coeve ricerche del cubismo e di De Stijl dimostrano come, anche nell’ambito
dell’architettura, si procedesse all’introduzione della quarta dimensione, a favore di una nozione
legata allo spazio-tempo. Si doveva tenere conto dell’esperienza percettiva che l’osservatore
poteva provare riguardo un oggetto architettonico. Oggi, lo spazio aperto si è dilatato,
diventando paradossalmente sempre più una grandezza residuale, di margine appunto, un
luogo di pratiche sociali marginali ed emarginate rispetto alle strutture urbane consolidate.
Diventano allora, come sottolineato insistentemente dalla sociologia e l’antropologia
contemporanea, luoghi legati agli incontri gli spazi degli aeroporti, delle banchine portuali, i
parchi ferroviari, le aree circostanti i grandi nodi infrastrutturali e di interscambio, i grandi
parcheggi, i parchi di divertimento organizzato.
G. Donini, Margini della mobilità - Collana Babele, Meltemi ed. 2008
M. Augé, Non-luoghi. Introduzione a un’antropologia della sub modernità - MI, Eleuthera, 1993
Melvin Webber 1963
L. Pierce, Cenzatti, Crawford 1993
Espuelas 1999
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