ISSN 2384-9029
03
novembre 2014
OFFICINA*
Bimestrale on-line di architettura e tecnologia
N.03 novembre-dicembre 2014
ISSN 2384-9029
Rivista consultabile e scaricabile gratuitamente su :
www.officina-artec.com/category/publications/officina-magazine
DIRETTORE EDITORIALE
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:
Emilio Antoniol
Michele De Mori, Arianna Garatti, Daniele Bellotto, Elena Longhin, Patrizio M. Martinelli, Claudia
Tavella, Matilde Tessari, Claudia Tessarolo, Diletta Zonzin.
COMITATO EDITORIALE
Valentina Covre
IMPAGINAZIONE GRAFICA
Francesca Guidolin
Margherita Ferrari
Daria Petucco
REDAZIONE
Filippo Banchieri
Margherita Ferrari
Valentina Manfè
Michele Menegazzo
Chiara Trojetto
PROGETTO GRAFICO
Valentina Covre
EDITORE
Margherita Ferrari
Self-published by
Chiara Trojetto
ArTec - Archivio delle Tecniche e dei materiali per l’architettura e il disegno industriale
Università Iuav di Venezia
Dorsoduro 2196, 30123 Venezia
tel. +39 041257 1673
fax +39 041257 1678
[email protected]
Copyright © 2014 OFFICINA*
Gettare le fondamenta
Ogni tecnica, arte, scienza o attività ha i suoi fondamenti, precetti basilari che ne sostengono l’intero apparato disciplinare o
ne definiscono metodi e regole. Il termine ‘fondamento’ trova
però la sua origine etimologica nel latino fundamentum, a sua
volta derivato da fundare, che significa ‘fondare’ o ‘porre le fondamenta’ di un edificio individuando quindi nell’ambito architettonico la sua naturale collocazione.
Fondamenti - Fundamentals - è anche il titolo scelto da Rem Koolhaas per la quattordicesima Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, ormai vicina alla sua conclusione, che trova
proprio nella narrazione storica dell’evoluzione degli elementi
dell’architettura, utilizzati da ogni architetto in ogni tempo e in
ogni luogo, uno dei suoi temi principali. Facciate, porte, finestre, muri, scale, solai e balconi sono solo alcuni degli elementi
che, partendo dal Padiglione Italia, si susseguono come componenti basilari di tutta l’architettura in mostra alla Biennale.
Allo stesso modo alcuni di essi sono il punto di partenza di
questo terzo numero di OFFICINA*, andando a gettare le
fondamenta per una riflessione più ampia che vuole fare da
ponte tra differenti approcci e discipline dove, oltrepassando
il principio del fondamento, il muro si fa di carta o di sottile
vetroresina, l’architetto diventa musicista e il cartongesso si fa
Chiara Trojetto
metafora del contemporaneo panorama edilizio veneto.
INDICE
4
ISSN 2384-9029
03
novembre 2014
N.03 nov-dic 2014
in copertina:
Inside Out
6
immagine di
Ilaria Fracassi*
2 OFFICINA*
ESPLORARE
La Ricerca Che Cambia
di Emilio Antoniol
Hiroshige. Da Edo a Kyoto: vedute celebri del Giappone. La collezione
del Museo d’Arte Orientale di Venezia.
di Michele Menegazzo
SHAPE! Bringing architecture to life
di Valentina Covre
AFRICA Big Change Big Chance
di Margherita Ferrari
14°BIENNALE
L’architettura della facciata
di Patrizio M. Martinelli
Detail. Architecture seen in section
di Claudia Tessarolo
Elements of Venice. Anatomia di Venezia
di Elena Longhin
Centottantaduepercento. In principio l’elemento
di Matilde Tessari
34
PORTFOLIO
Architettura come metafora
di Valentina Manfè
46
IN PRODUZIONE
Secco Sistemi per il restauro di Palazzo Onigo
di Filippo Banchieri
52
VOGLIO FARE L’ARCHITETTO
Architettura di carta
di Diletta Zonzin
Stamperie private in Italia: fra tradizione e modernità
di Claudia Tavella
Cataste d’Africa
di Margherita Ferrari
70 IMMERSIONE
L’abbandono edilizio e urbano a Verona
di Michele De Mori
74 DECLINAZIONI
Sughero
di Margherita Ferrari
76 MICROFONO ACCESO
Architects of Justice
di Francesca Guidolin
traduzione di Arianna Garatti
80 CELLULOSA
Cartongesso
di Francesco Maino
a cura di Valentina Covre
82 85
ARCHITETT’ALTRO
Musica o architettura?
di Daniele Bellotto
CALL FOR ARTICLE
Auto (Produzione - Costruzione - Recupero)
87 (S)COMPOSIZIONE
Sistema costruttivo a umido
di Valentina Covre
* Laureanda in Disegno Industriale, Università Iuav di Venezia. E-mail: [email protected]
N.03 NOV-DIC 2014 3
ESPLORARE
La Ricerca Che Cambia
Convegno nazionale dei dottorati
italiani dell’Architettura, della Pianificazione e del Design.
Scuola di Dottorato Iuav,
Palazzo Badoer, Venezia
19-20 novembre 2014
www.laricercachecambia.it
Hiroshige. Da Edo a Kyoto: vedute
celebri del Giappone. La
������������
collezio�
ne del Museo d’Arte Orientale di
Venezia
Museo di Palazzo Grimani, Santa
Maria Formosa, Venezia
20 settembre 2014 - 11 gennaio 2015
www.palazzogrimani.org
SHAPE! Bringing architecture to
life
Palazzo Giustinian Lolin
7 giugno - 23 novembre 2014
w w w.permasteelisagroup.com/
shape
In assoluta concomitanza con la chiusura della 14a edizione della Mostra In-
Nelle giornate del 19 e 20 novembre si
terrà a Venezia il primo convegno nazionale dei dottorati italiani dell’architettura, della pianificazione e del design.
L’evento, promosso della Scuola di Dottorato dell’Università Iuav di Venezia,
mira ad avviare una discussione attorno
al tema del dottorato in Italia inerente
ai settori del progetto, affrontando tale
questione sia sul piano degli esiti della
produzione scientifica che su quello del
rapporto tra ricerca accademica e realtà
produttiva e territoriale. Lo spunto per
queste riflessioni viene trovato in dieci
parole chiave (Costruzioni, Emergenze, Futuri, Paesaggi, Patrimoni, Politiche, Processi,
Scale, Storie, Teorie) alle quali coincideranno altrettanti tavoli di lavoro attorno ai
quali sono stati invitati a discutere dottorandi e dottori di ricerca provenienti
da tutta Italia.
Allo stesso tempo seriali e uniche, le
“immagini del mondo fluttuante” di
Hiroshige offrono uno spaccato di vita
reale nel Giappone della prima metà
dell’Ottocento: esse ci parlano degli interessi della classe borghese, dei modi di
viaggiare, delle riforme Tenpo. La mostra presenta le opere del periodo maturo dell’autore, quali i Racconti illustrati
dell’antica Edo, tre serie di vedute delle
53 stazioni del Tōkaidō (in quella del
1855, in particolare, viene adottato per
la prima volta il formato verticale per le
rappresentazioni di paesaggio), Le trentasei vedute del Fuji e la raccolta di Cento
vedute di luoghi celebri di Edo. A completare
l’esposizione, alcune foto della collezione Vittorio e alcuni oggetti del Museo
d’Arte Orientale di Venezia, che ritraggono gli stessi scorci delle xilografie di
questo “cantore della natura”.
ternazionale di Architettura veneziana,
domenica 23 novembre si conclude la
mostra SHAPE! Bringing architecture to life
curata da Permasteelisa Group in collaborazione con IN/ARCH.
Attraverso la selezione di otto facciate
continue progettate e realizzate dall’azienda veneta per altrettanti edifici collocati cronologicamente tra il 1999 e il
2013 e in contesti geografici diversi, la
mostra ripercorre l’evoluzione della facciata, uno dei fondamentali Elements of
Architecture radunati da Rem Koolhaas
all’interno delle stanze del Padiglione
Centrale dei Giardini alla Biennale .
All’interno di teche trasparenti sono
raccolti disegni assonometrici, prospetti
a linee, dettagli costruttivi, ricostruzioni
di porzioni di facciata che sfruttano la
tecnologia della stampante 3D.
di Emilio Antoniol
di Michele Menegazzo
di Valentina Covre
4 OFFICINA*
AFRICA Big Change Big Chance
Mostra a cura del prof. Benno
Albecht
Triennale di Milano
15 ottobre - 28 dicembre 2014
www.triennale.it
La mostra mira a descrivere importanti
fenomeni che stanno coinvolgendo l’Africa e che la stanno trasformando sotto
molteplici punti di vista. Trasformazioni
che allo stesso tempo possono offrire
molteplici opportunità, Big Chance appunto. Per poter attuare e concretizzare
queste opportunità c’è bisogno prima
di tutto di un’accurata osservazione e
conoscenza del luogo, delle sue architetture, siano esse spontanee o firmate
da grandi nomi, del suo territorio e della
sua società. La mostra così si suddivide
in differenti sezioni per affrontare nella maniera più completa questo grande
cambiamento che coinvolge l’intero
continente africano. Big Change Big Chance è un percorso di immagini e disegni,
modelli e contributi video, per fotografare l’Africa di oggi e disegnare l’Africa
di domani.
di Margherita Ferrari
N.03 NOV-DIC 2014 5
Q
uali sono oggi i Fundamentals nella formazione di un architetto secondo Rem
Koolhaas? Possiamo parzialmente arguire la risposta dopo aver visitato la
14^ Biennale d’Architettura di Venezia
da lui curata. Possiamo inoltre immaginare che, nel prepararne i contenuti, abbia ritenuto fondamentali sia la definizione
di un’ampia rete di supporto scientifico, sia la precisazione
di una solida struttura espositiva. I veri protagonisti della
mostra non sono, infatti, progetti su edifici nuovi ed esistenti
o esempi virtuosi di pianificazione e gestione a livello urbanistico, bensì gli esiti di tre filoni di ricerca, tra loro distinti e
complementari, da lui proposti.
Il primo di questi, Absorbing Modernity: 1914-2014, viene sviluppato attraverso i 65 padiglioni nazionali, distribuiti fra
Giardini, Arsenale e altri luoghi in città. I paesi partecipanti
raccontano le declinazioni dell’architettura moderna nelle
proprie realtà locali in cento anni di storia. Ne emergono
successi e fallimenti, realizzazioni e utopie, episodi circoscritti e fenomeni a grande scala. Ma anche cronache ed
evoluzioni degli stati dell’America Latina, dell’Africa, dell’ex
blocco sovietico, del Vicino e dell’Estremo Oriente, nazioni
6 OFFICINA*
spesso assenti dai testi su cui il grande pubblico si forma.
Cino Zucchi ha curato in maniera sapiente ed elegante il padiglione con il contributo italiano a questo studio. Il titolo, Innesti Grafting, concretato dalla presenza dell’Archimbuto
(il portale metallico d’ingresso) e del Nastro delle Vergini (la
panca per sostare e seguire gli eventi nel giardino), allude
alla capacità di certa architettura moderna italiana di inserirsi in maniera efficace nel tessuto urbano e nel paesaggio
preesistenti. L’architetto milanese ha riservato buona parte
dell’esposizione alla propria città, laboratorio della modernità per eccellenza nel nostro paese, analizzandola a partire dai
progetti per la facciata del Duomo, passando per quelli dei
grandi maestri del secondo dopoguerra fino ad arrivare alle
attuali realizzazioni di edifici verticali e all’Expo.
I risultati di 41 casi studio individuati lungo tutta la penisola
costituiscono invece Monditalia. L’allestimento è caratterizzato da una tenda con la riproduzione della Tabula Peutingeriana:
essa, in realtà, è una membrana semipermeabile, attraverso
cui possono avvenire, per la prima volta, scambi con contributi delle altre Biennali (Cinema, Danza, Musica, Teatro).
La ricerca condotta privilegia intelligentemente le storie alle
teorie, con l’obiettivo di restituire la fotografia di un paese ri-
Chiara Trojetto
FUNDAMENTALLY, ELEMENTS
di Michele Menegazzo*
tenuto fondamentale per comprendere la contemporaneità. Ciò
nonostante, molti lavori non riescono a descrivere esaurientemente la complessità dei fenomeni esaminati e non hanno
il sapore sperimentale e provocatorio di altre indagini condotte da Koolhaas.
La mostra organizzata nel padiglione centrale ai Giardini,
Elements of Architecture, propone infine lo studio sui componenti fondamentali degli edifici condotto dalla Harvard Graduate School of Design negli ultimi due anni. La rassegna
di esempi dell’antichità, del passato recente, del presente e
del futuro prossimo viene proposta con un taglio di tipo enciclopedico, a tratti quasi fieristico. I collegamenti possibili
con il primo tema sono numerosi, basti pensare ai pannelli
prefabbricati di Jean Prouvé del padiglione francese o a quelli di origine sovietica del padiglione cileno.
Elements of Architecture è anche il fil rouge per i quattro articoli
che presentiamo di seguito, contributi di ricerca di persone legate in più modi e a più livelli con l’Università Iuav di
Venezia. Abbiamo pensato di dare una rilettura in chiave
linguistica di questa sezione della Biennale per cercare di
colmare le lacune, forse solo apparenti, denunciate da alcuni
critici. All’arch. Martinelli abbiamo chiesto di fornirci un’analisi etimologica, morfologica e lessicografica di un element,
in particolare di una struttura di facciata. L’arch. Tessarolo,
presentando un’esposizione temporanea e un seminario legati alla mostra, sottolinea la necessità di curare la sintassi
fra i dettagli architettonici, progettandone adeguatamente
le interfacce. Elements of Venice, alla cui stesura ha collaborato l’arch. Longhin, è invece una traduzione semantica dello
studio più generale promosso da Koolhaas. Matilde Tessari,
infine, ci dà modo di riflettere sulla semiotica nella pubblicità dei vari componenti edilizi.
Fundamentally yours, l’ingegnere.
* Michele Menegazzo è un ingegnere edile padovano. Ha maturato
alcune esperienze nel campo della progettazione sostenibile e della
formazione. Attualmente sta sviluppando un assegno di ricerca presso
ArTec che ha come obiettivo la messa a punto di un sistema di facciata
continua con struttura portante in legno e tamponamento in vetro.
N.03 NOV-DIC 2014 7
L’architettura della
facciata
di Patrizio M. Martinelli*
Dimmi, poiché sei così sensibile agli effetti
dell’architettura, non hai osservato, camminando nella città, come tra gli edifici che la popolano
taluni siano muti, ed altri parlino, mentre altri
ancora, che son più rari, cantano?” (P. Valéry1)
L’espressione di un carattere (di una architettura e/o di un
luogo) e il concetto di “sguardo” sono questioni centrali,
nell’affrontare il tema della facciata. Facendo riferimento all’etimologia2 , il latino facies e il greco phàino (φαίνω, da
cui εκφαίνω, ek-phàino) rimandano al concetto di “apparire”,
“manifestarsi”, e anche del “portar fuori, mostrare al di fuori” qualcosa, come in effetti succede al nostro viso che esprime, più o meno in maniera conscia, un sentimento, un moto
d’animo, un pensiero che nasce da dentro ma spesso reagisce
anche ad un “fuori”.
Già Vasari avvicina le fattezze del volto umano a quelle della
facciata: “Per l’aspetto suo primo la facciata vuole avere decoro e maestà et essere compartita come la faccia dell’uomo: la porta da basso e in
mez[z ]o, così come nella testa ha l’uomo la bocca donde nel corpo passa
ogni sorte di alimento; le finestre, per gli occhi, una di qua e l’altra di là,
servando sempre parità”3.
Analogamente il Tommaseo, alla voce “facciata” del suo
dizionario, scrive che essa “fa nelle fabbriche ciò che fa la faccia
rispetto alle altre membra dell’uomo, onde gli artefici si sforzano di dare
ad essa maestà e decoro”4.
D’altro canto la parola “prospetto”, derivante dal verbo latino prospicere, richiama da una parte il “guardare innanzi”, il “guardare verso”, l’“osservare”, dall’altra si collega
(tramite la radice species) a “ciò che si vede”, all’“aspetto”,
8 OFFICINA*
all’“apparenza”. Peter Eisenman ricorda come Colin Rowe
intendesse per “prospetto” la “manifestazione letterale o tecnica
di organizzazioni interne”, mentre con “facciata” il mezzo architettonico che definisce il carattere, i significati simbolici e
iconici5. Robert Slutzky osserva che mentre i termini inglesi
facade e sur-face rimandano a qualità antropomorfiche, il sinonimo elevation suggerisce riferimenti morali e spirituali, ha a
che fare con lo “sforzo per ciò che è elevato; con l’aspirazione, e così
con l’ispirazione”6. In italiano uno dei termini per descrivere la
facciata è anche “alzato”, parola che potrebbe suggerire una
la facciata, in tal
senso, è il luogo architettonico dove
trova sede la sincera espressione
della “vita interiore”
dell’edificio, e anche
la corretta rappresentazione del dato
costruttivo
01
analoga interpretazione morale, ma che è chiaramente legata
alla tecnica grafica delle proiezioni ortogonali, per cui, sulla
base del disegno della pianta, si “alzano” le linee che definiscono il prospetto; e l’analogia, inoltre, può essere riferita al
fatto costruttivo stesso, secondo il quale l’edificio viene “alzato” dalle fondamenta, piano per piano, fino alla copertura.
La facciata, in tal senso, è il luogo architettonico dove trova
sede la sincera espressione della “vita interiore” dell’edificio,
e anche la corretta rappresentazione del dato costruttivo7.
“Un edificio - scrive Le Corbusier - è come una bolla di sapone.
Questa bolla è perfetta e armoniosa se il soffio è ben distribuito, ben regolato dall’interno. L’esterno è il risultato di un interno”, di una pianta
che presuppone innanzitutto i “procedimenti di costruzione”8.
Riecheggia in queste parole il portato dei trattatisti e della
cultura razionalista classica, secondo la quale il carattere di
un edificio non esulava dalla corretta relazione fra interno ed
esterno e fra architettura e costruzione9. Francesco Milizia
ripropone l’analogia fra fisionomia umana e facciate architettoniche, che esprimono “l’indole de’ vari edifici, i quali variano
tanto secondo la varietà de’ loro usi, de’ siti, e d’innumerevoli altre circostanze”; esse “son perfette, quando colla decorazione, colla simmetria,
e coll’euritmia esprimano adequatamente quella distribuzione interna,
e quella costruzione, le quali convengono alla natura dell’edificio”10;
La configurazione della facciata d’altro canto è determinata
anche dalla “risposta” dell’architettura a un dato contesto,
in un legame imprescindibile con il luogo, che essa stessa
contribuisce a costruire. Le condizioni di illuminazione, per
esempio, condizionano quantità e forma delle aperture, il sistema costruttivo e quindi il disegno dei fronti urbani. A
Venezia le facciate sono costituite da una sequenza di schermi traforati di diafani loggiati su cui si affacciano i saloni
passanti, e appartengono quasi più al canale che all’edificio,
da cui, come ravvisa Bettini, sembrano esser staccate, indipendenti, per trovare l’una accanto all’altra un’unità cromatica e ritmica di superficie12 . Invece nelle città del nord Europa
le facciate sono realizzate in murature a timpano portanti
con piccole aperture, poste lungo le strade, con coperture
a falde attrezzate da numerosi abbaini. Possiamo leggere
una simile analisi nell’editoriale “La casa all’italiana” di Gio
Ponti, pubblicato su “Domus” nel 1928, nel quale si spiega
che nel nostro paese la relazione fra interno ed esterno, fra
l’architettura e i giardini, gli orti, i cortili è “senza complicazioni” mediata da trasparenti dispositivi come logge, terrazze,
pergole e altane (“invenzioni tutte confortevolissime per l’abitazione
serena”), di contro alle casa nordica, chiuso rifugio protetto
contro la “natura inclemente”13.
allo steso modo Quatremère de Quincy vede necessaria la
“corrispondenza dell’esterno della sua massa coll’interno, che l’occhio e
lo spirito vi discuoprono il principio d’ordine ed il legame necessario che
ne hanno determinata la disposizione”, corrispondenza “alle ragioni,
suggezioni e bisogni a seconda de’ quali è stata ordinata l’interna sua
disposizione”, ma con l’appropriatezza al “genere, la natura, la destinazione dell’edificio”11.
Analoga “risposta” alle condizioni del luogo è quella delle
facciate del Quirinale a Roma, che si aprono l’una sulla strada urbana, l’altra sul giardino, così come descritta nell’interpretazione di Colin Rowe in Collage City:
“Rispetto alla strada su un lato e ai giardini dall’altro, la Manica
lunga occupa spazio e lo definisce, funge da forma positiva e da sfondo
passivo, permettendo sia alla strada che ai giardini di esprimere le loro
N.03 NOV-DIC 2014 9
distinte e indipendenti personalità. Verso la strada essa proietta una
presenza massiccia e “esterna” che funge da punto di riferimento per l’irregolarità e la casualità (S. Andrea eccetera) dell’altro lato della strada;
ma mentre in questo modo afferma il pubblico, è in grado di fornire al
lato del giardino una situazione totalmente opposta: più dolce, privata e
potenzialmente più adattabile”14.
Il differente affaccio (strada-città versus giardino-natura)
plasma l’architettura, l’edificio si confronta con il luogo con
una differente declinazione del prospetto. È suggerito qui
il tema del “Giano bifronte” (la divinità, lo ricordiamo, che
protegge le porte, gli accessi, le soglie, i passaggi), che Robert
Slutzky propone nella sua lettura delle facciate di Villa Stein
a Garches di Le Corbusier, in cui una composta e cartesiana
pacatezza governa il prospetto quando l’edificio affronta la
città, mentre una più giocosa e plastica composizione di volumi e scavi domina l’affaccio quando lo “sguardo” è rivolto
al giardino e alla natura:
“Così il volto di questa villa suburbana è come quello di Giano: la facciata di ingresso, ordinata e planare, rivolgendosi guardinga e maestosa
al mondo (ma con un po’ di humour sornione), risponde al senso della
griglia urbana lineare, all’urbanistica e all’urbanità parigina; invece la
facciata sul retro, più elegante e trasparente, risponde alla condizione
rurale e pittoresca. È come se il lato pubblico e quello privato di un
individuo fossero riflessi uno nella severa espressione della facciata di
ingresso, l’altro in quella più intimamente attraente del giardino”15.
Risposta/reazione al luogo dunque: ma la facciata è anche
una delle forme della “volontà di connessione” fra lo spazio
pubblico e l’interno architettonico, non solo per l’evidente
funzione pratica di chiusura/apertura del fabbricato, ma an-
10 OFFICINA*
02
che come vera e propria rappresentazione “architettonica”
di un legame, di un punto di incontro, di comunicazione, di
passaggio fra il momento privato e quello pubblico. Possiamo dunque leggere in tal senso i dispositivi di mediazione
spaziale che costruiscono l’ingresso nell’architettura religiosa, come il protiro (ovvero elemento che sta “davanti alla
porta”), che con la sua copertura sostenuta da colonne protegge il portale dell’edificio e si richiama ai riti dell’accoglienza dell’antichità16, il nartece, il westwerk carolingio; quest’ultimo si configura come un vero e proprio ispessimento della
facciata in corrispondenza dell’ingresso, quasi una struttura
separata, dedicata ad un santo (sovente San Michele, protettore della Porta del Paradiso) dove poter stare, protetti: la
facciata come “luogo architettonico abitato”, dunque.
la configurazione della facciata
d’altro canto è determinata anche dalla “risposta” dell’architettura a un dato contesto, in un
legame imprescindibile con il
luogo, che essa stessa contribuisce a costruire
03
La relazione con il contesto si definisce anche dall’interno
verso l’esterno, per mezzo dello sguardo attraverso il dispositivo della finestra (“la finestra esiste per il guardar-fuori, non per il
guardar-dentro”, nell’univocità della direzione che presuppone
essa diviene una “strada per lo sguardo”17 ) o della loggia. Anche in questo caso la facciata può ispessirsi e assumere una
dimensione architettonica che trasforma il fronte in vero e
proprio luogo abitato, addirittura assumendo una sua indipendenza fisica, dimensionale, figurativa.
Per fare solo due esempi legati al Movimento Moderno italiano, ciò è verificabile nella milanese Casa Rustici di Giuseppe Terragni, in cui la reinterpretazione dell’isolato urbano diviene occasione per disegnare un unitario elemento che
mette in relazione pubblico e privato, casa e città, attraverso
le terrazze lineari, su cui si affacciano i soggiorni, che costruiscono l’unità dei due blocchi residenziali perpendicolari
alla strada; oppure nella Casa al Parco di Ignazio Gardella,
in cui gli spazi della zona giorno sono collocati in una delle
tre fasce che compongono l’edificio, che appare sganciata dal
corpo centrale distributivo e aperta su parco Sempione: disegnata come un grande portico a scala monumentale, consente, con il suo spessore e con la sua trasparenza e leggerezza,
di risiedere e affacciarsi. Vera e propria finestra urbana, essa
mette in relazione l’abitazione con la città, il verde, la natura.
In questa lettura, il luogo delle relazioni fra casa e città non si
risolve attraverso una diafana tela, un sottile diaframma bidimensionale; ritrovando una metafora di Slutzky (che a sua
volta sembra richiamarsi ad una immagine lecorbuseriana18),
biente architettonico, partecipando in un fluido interscambio”19.
04
Per far questo, la composizione della facciata come sovrapposizione di piani è una delle procedure per superare, pur
solo per piccoli scarti, la bidimensionalità del piano verticale, raccontando nel contempo la complessità spaziale dell’interno architettonico: le facciate delle chiese palladiane, secondo la nota interpretazione di Rudolf Wittkower20, sono
sovrapposizione in pochi centimetri e per via di porre di
più piani, ciascuno dei quali rappresenta, una componente
spaziale dell’interno architettonico; ma, come nel caso del
Redentore, la configurazione del prospetto costituito dalla
composizione di cinque piani/facciate sembra trovare ragione nella forza necessaria per instaurare le relazioni con
il luogo (il canale della Giudecca) o, per San Giorgio, nella
triangolazione con le altre architetture che costituiscono la
“piazza d’acqua” del bacino marciano.
Ma la facciata può acquisire ancora più profondità, diventando luogo abitato. Restando al riferimento palladiano, Palazzo
Chiericati può essere letto come “edificio-facciata” e compo-
la facciata assume profondità, deve divenire porosa come
una spugna per poter “assorbire tutte le energie presenti nell’am05
N.03 NOV-DIC 2014 11
risposta/reazione al luogo dunque: ma la facciata è anche una
delle forme della “volontà di connessione” fra lo spazio pubblico e
l’interno architettonico, non solo
per l’evidente funzione pratica di
chiusura/apertura del fabbricato,
ma anche come vera e propria
rappresentazione “architettonica”
di un legame, di un punto di incontro, di comunicazione, di passaggio fra il momento privato e
quello pubblico
sizione in pianta di strati architettonici paralleli all’affaccio;
questo è risolto con un ampio portico al piano terra e con
una loggia al piano nobile, che costruiscono “un’architettura
tridimensionale, ove lo spazio si fa di essa parte integrante, incorporandovisi e diventandone protagonista determinante”21. Anche questa è
un’architettura che trova una delle sue ragioni nel confronto
con lo spazio aperto di una piazza22; un’architettura in cui
il portico, luogo urbano fra pubblico e privato, e la loggia,
luogo abitato dove lo sguardo abbraccia la città, costruiscono
il dispositivo architettonico e urbano della facciata.
* Patrizio M. Martinelli, architetto, dottore di ricerca in composizione architettonica e assegnista di ricerca presso lo Iuav, dal 1999 svolge
attività didattica e di ricerca presso l’Università Iuav di Venezia e
dal 2007 anche presso la Münster School of Architecture. Ha curato
i volumi Fare centro. Progetti per il centro città di Mestre, Architetture di Mart Stam 1924-1933 (con A. Dal Fabbro), Progetto Porto
Marghera. Da prima zona industriale a quartiere urbano della città
metropolitana. Svolge inoltre attività professionale con realizzazioni
nell’ambito degli spazi pubblici, dell’architettura della residenza, degli
allestimenti di mostre e partecipando a concorsi nazionali e internazionali.
12 OFFICINA*
NOTE
1 - Valéry, P., Eupalino o dell’architettura, Biblioteca dell’immagine, Pordenone 1988 (prima ed. Parigi 1923), p. 36.
2 - Voce “Facciata” in Pianigiani, O., Vocabolario etimologico della
lingua italiana, Dioscuri, Genova 1988 (prima ed. 1907).
3 - Vasari, G., Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, nell’edizione per tipi
di Lorenzo Torrentino Firenze 1550, a cura di L. Bellosi e A. Rossi,
Einaudi, Torino 1991.
4 - Voce “Facciata” in Tommaseo, N.; Bellini, B., Dizionario della
lingua italiana, Rizzoli, Milano 1977 (prima ed. 1861).
5 - Eisenman, P., Giuseppe Terragni. Trasformazioni, scomposizioni,
critiche, Quodlibet, Macerata 2004 (prima ed. New York 2003), p. 33.
6 - Slutzky, R., Aqueous Humor, in “Oppositions”, n. 19-20, 1980,
p. 34 (traduzione Patrizio M. Martinelli).
7 - “Il rappresentare è l’atto di rendere visibile in un luogo tettonico, in modo sintetico ed unitariamente percepibile la realtà
dell’organismo: dunque in architettura la facciata, a differenza
di quanto potrebbe avvenire nelle arti figurative, è strettamente
legata alla concretezza dell’organismo che deve rappresentare.
[...] per espressione si intende lo sforzo compiuto perché i caratteri criticamente e soggettivamente letti nell’organismo siano
resi manifesti. Mentre la rappresentazione può ancora appartenere, dunque, alla coscienza spontanea del costruttore, che
riporta indirettamente, ma in forma esplicita, i dati della realtà
costruttiva, l’espressione è operazione squisitamente critica, legata all’intenzionalità dell’artefice”. Strappa, G., Unità dell’organismo architettonico, Dedalo, Bari 1985, p. 176.
8 - Le Corbusier, Verso una architettura, Longanesi, Milano 1984
(prima ed. Parigi 1923), p. 146.
9 - Si veda in particolare la voce “Carattere” in Quatremère de Quincy,
A.C., Dizionario storico di architettura: le voci teoriche, a cura di V.
Farinati e G. Teyssot, Marsilio, Venezia 1992 (prima ed. 1985).
10 - Milizia, F., Principj di architettura civile, tomo II, Remondini,
Bassano del Grappa 1785, p. 183.
11 - Voce “Unità” in Quatremère de Quincy, A.C., Dizionario storico di architettura: le voci teoriche, op.cit., p. 284.
12 - Bettini, S., Venezia e Wright, in “Metron”, n. 49-50, 1954, pp.
22-23; Id., Venezia: nascita di una città, Electa, Milano 1978; Pierini, O.S., Sulla facciata. Tra architettura e città, op.cit.
13 - Ponti, G., La casa all’italiana, in “Domus”, n. 1, 1928.
14 - Rowe, C.; Koetter, F., Collage city, Il Saggiatore, Milano 1981
(prima ed. Cambridge-MA 1978), pp. 130-132.
15 - Slutzky, R., Aqueous Humor, op.cit., p. 45 (traduzione Patrizio
M. Martinelli).
16 - Su questi temi si veda Baldwin Smith, E., Architectural symbolism of imperial Rome and the middle ages, Hacker Art Books, New
York 1978 (prima ed. New Jersey 1956) e il terzo capitolo della tesi.
17 - Simmel, G., Ponte e porta, op.cit., p. 6
18 - Cfr. il paragrafo “Le Corbusier e la strada: dal Dom-ino al
redent” nel secondo capitolo.
19 - Slutzky, R., Aqueous Humor, op.cit., p. 48 (traduzione Patrizio
M. Martinelli).
20 - Cfr. il capitolo “Genesi di un’idea: le facciate delle chiese palladiane” in Wittkower, R., Principî architettonici nell’età dell’Umanesimo, Einaudi, Torino 2004 (prima ed. Londra 1949), p. 88 e seguenti.
21 - Scheda “Palazzo Chiericati” in AA.VV., Mostra del Palladio.
Vicenza/Basilica Palladiana, Electa, Milano 1973, p. 100.
22 - Palazzo Chiericati “doveva essere costruito sul lato di un’ampia piazza, non in una stretta strada come gli altri [palazzi]. Perciò
Palladio concepì la facciata nei termini della visione tipica di un
foro romano, e disegnò lunghi colonnati su due piani”. Wittkower,
R., Principî architettonici nell’età dell’Umanesimo, op.cit., p. 82.
Come nota lo studioso, l’idea del colonnato sovrapposto è rappresentata con evidenza nell’illustrazione della facciata presente nei Quattro libri, laddove anche i muri delle campate centrali
del piano nobile, che interrompono la loggia, sono campiti come
quelli più arretrati, restituendo la continuità e la trasparenza del
chiaroscuro a entrambi i piani.
IMMAGINI
06
01 - Espressioni delle passioni, tratte dall’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, 1751.
02 - Le Corbusier, Villa Stein, Garches 1926-28, le due facciate su
giardino e strada e scomposizione per piani di Villa Stein, realizzata da B. Hoesli.
03 - Abbazia di Corvey, in Westfalia, 822. Lo spessore del westwerk all’interno si apre verso la navata e si configura come
luogo architettonico dove risiedere e assistere alla celebrazione
04 - G. Terragni, Casa Rustici, Milano 1933. Diagramma assonometrico che evidenzia il dispositivo della facciata che lega i due
corpi edilizi e diventa luogo di affaccio sulla città (ridisegno di
P.M. Martinelli)
05 - I. Gardella, Casa Tognella (detta “Casa al Parco”), Milano
1947-53.
06 - A. Palladio, Palazzo Chiericati, Vicenza 1550-55. Veduta fotografica risalente al 1869-70 con il palazzo in relazione al grande spazio pubblico della Piazza dell’Isola.
N.03 NOV-DIC 2014 13
Details.Architecture
seen in section
I
n occasione della Biennale d’architettura 2014, nella sala delle Armi all’Arsenale di Venezia, dall’ 8 al 10 luglio scorso, sono stati esposti più di 250 dettagli
costruttivi, suddivisi in due sessioni.
Una sessione della mostra è stata dedicata ai dettagli originali
(120 circa) forniti dagli studi di architettura e ingegneria1 che
hanno accolto l’invito, formulato dall’Unità di ricerca Arte
del Costruire, a partecipare al progetto “DETAILS, l’architettura vista in sezione”, un progetto di ricerca concepito da
Marco Pogacnik che vede impegnati docenti di diversi campi disciplinari e la collaborazione del Politecnico di Milano.
(www.iuav.it/Ricerca1/ATTIVITA-/aree-temat/costruttiv/
arte-del-c/ricerche/index.htm).
Una seconda sessione dell’esposizione ha visto protagonisti gli studenti che hanno partecipato a Biennale Session, un
seminario organizzato dal corso di laurea Architettura e
Innovazione2 . Circa 150 dettagli costruttivi di architetture
realizzate a partire dal secondo dopoguerra ad oggi sono
state ridisegnate criticamente dagli studenti nell’arco di un
semestre. Il prodotto che è uscito da quest’ultima operazione si è concretizzato, da una parte, in una decina di tavole
tematiche in cui il dettaglio viene delineato e declinato in
relazione ai diversi ruoli e/o variabili espressive (the cornice, the
cladding, the glass envelope, timber , ecc.) e dall’altra in una serie di
tavole storiche che illustrano l’insegnamento dei maestri italiani come I. Gardella, L. Caccia Dominioni, V. Magistretti,
P.L. Nervi, F. Albini, L. Moretti e A. Mangiarotti.
La mostra si è conclusa con un dibattito a cui sono intervenuti, oltre al prof. Marco Pogacnik (DACC), al prof.Umber-
14 OFFICINA*
di Claudia Tessarolo*
to Trame (DPPAC) dell’Università Iuav di Venezia e la prof.
Orsina Simona Pierini, (DAStU) del Politecnico di Milano,
alcuni ospiti, tra cui il Prof. Arch. Pierre Alain Croset del
Politecnico di Torino, l’Arch. Francesco Pagliari di “The
Plan” (Mediapartner) e l’Ing. Olindo de Luca, Direttore
dell’Ufficio Operativo Permasteelisa.
Il tema della Biennale di Rem Koolhaas dal titolo “Fundamentals” restituisce, in parte, all’architettura il suo fine principale, quello di costruire luoghi attraverso gli “elements” che
la compongono, ed è proprio nell’atto della composizione,
nella sintassi tra gli elementi, che la narrazione architettonica
assume significato. Il modo di mettere assieme, aggregare
parti ed elementi diversi consente, infatti, di costruire racconti di volta in volta differenti. Ma l’operazione effettuata
da Koolhaas non racconta l’architettura, è volutamente una
mera classificazione eterogenea di elementi, un grande catalogo di “frammenti” architettonici decontestualizzati, molte
volte tra loro dissonanti. Il loro farsi architettura è affidato
all’immaginazione del visitatore e alle grandi pagine esposte
che riproducono le tavole sinottiche presenti in ognuno dei
15 volumi dedicati ai vari “elements”.
L’attenzione al particolare, inteso come una parte del tutto, è
invece uno degli obiettivi della ricerca in corso3. Gli elementi
non vengono decontestualizzati dall’opera ma si interfacciano tra loro componendo porzioni di architettura in cui è evidente il processo costruttivo e l’appropriatezza delle scelte
tecnologiche rispetto alla concezione progettuale. Il disegno
e ridisegno del dettaglio, pertanto, non specifica soluzioni
conformi proprie di un manuale costruttivo, ma diventa
01
è nell’atto della composizione, nella sintassi tra gli elementi,
che la narrazione
architettonica assume significato
02
N.03 NOV-DIC 2014 15
un’indagine del particolare non
è mai fine a se stessa ma sempre finalizzata a un programma
mentale. (...) Il particolare è e
deve essere un particolare: una
parte cioè del tutto
piuttosto uno dei metodi di comprensione e di conoscenza
della costruzione architettonica e della sua corrispettiva figurazione. “Un’indagine del particolare non è mai fine a se stessa ma
sempre finalizzata a un programma mentale e di lavoro legato all’idea
iniziale. [...] Il particolare è e deve essere un particolare: una parte cioè
del tutto. Il particolare non è qualche cosa che si può aggiungere,ma
è qualche cosa che bisogna pensare come facente parte del totale della
costruzione”4.
L’esercizio del dettaglio
Gli studenti delle magistrali Iuav che hanno aderito al workshop Biennale Sessions5, (www.iuav.it/Ricerca1/ATTIVITA-/aree-temat/costruttiv/arte-del-c/eventi/BIENNALE-S/index.htm) sono stati incaricati di ridisegnare alcuni
dettagli, principalmente sezioni verticali, di architetture realizzate a partire dal secondo dopoguerra ad oggi. Il primo
obiettivo, vista l’eterogeneità delle fonti (riproduzione fotografica di disegni originali, ridisegni su riviste e/o libri,
scale di rappresentazione diverse, ecc.) è stato quello di uni-
03
16 OFFICINA*
formare il linguaggio attraverso l’adozione di convenzioni
grafiche comuni sull’indicazione dei materiali e sulla scala
di rappresentazione (1:10), per poter permettere e facilitare
la lettura e il confronto tra i diversi particolari presi in esame. Inizialmente il ridisegno dell’architettura in sezione, da
parte degli studenti, è apparso come un esercizio di semplice
trascrittura di informazioni date, un esercizio passivo, privo di implicazioni immaginative e/o intellettive. In realtà lo
studente nel ridisegnare il dettaglio, non conoscendo per lo
più l’architettura assegnata e non potendo pertanto rappresentare correttamente ciò che non conosceva, è stato obbligato ad operare un processo cognitivo che gli ha permesso
di ottenere le conoscenze necessarie per la corretta rappresentazione. Infatti il ridisegno, come il disegno, è uno dei
metodi per acquisire la capacità di raffigurare quanto si è osservato e compreso. Inoltre, assumendo il dettaglio un ruolo
fondamentale nel disegno architettonico, in quanto costituisce il momento delle scelte tecnologiche definitive per la costruibilità fisica e immaginativa del progetto, ha impegnato
lo studente a continui feedback tra le varie scale di rappresentazione e l’opera costruita. L’esercizio ha posto in evidenza
problematiche ricorrenti: l’incomprensione di alcuni dettagli
di facciata, in particolare nell’interfaccia tra chiusura esterna
e solaio, la non corrispondenza tra il dettaglio disegnato e
la sua messa in opera, l’incompletezza del disegno,riportato
da alcune fonti in modo diagrammatico, privo delle informazioni necessarie per una rappresentazione corretta del
dettaglio. Questioni, queste, che hanno trovato soluzione,
reali e/o ipotetiche, nella discussione collettiva. Nel ragionamento collaborativo e collettivo lo studente è stato facilitato
nell’acquisire un nuovo sapere, nuove conoscenze migliorando il proprio spirito critico. L’esercizio gli ha consentito di
capire come, nel migliore dei casi, “ogni opera d’arte dovrebbe
essere l’espressione formale del materiale con cui è costruita”6 e che
l’Architettura è il risultato di una iterazione tra idee e scelte strutturali, tecnologiche e materiali, le quali possiedono,
come affermava Loos, un proprio Formensprache (linguaggio
formale), e quindi non solo caratteristiche fisiche, prestazionali e funzionali ma anche emozionali. Lo studente è stato
indotto a osservare attentamente i materiali/prodotti, la loro
combinazione e il loro sistema di assemblaggio, si è confrontato con soluzioni differenti di chiusure esterne monomateriali (vetro) in relazione ai vincoli formali e, soprattutto, a
quelli legislativi, ha constatato a quali variabili è sottoposto il
“muro” in relazione al suo comportamento ambientale (modello conservativo, passivo, attivo, ambiental-interattivo,
ecc.) e come questo ha mutato nel tempo7 la sua fisicità, spessore, sistema costruttivo e materiali.
La lettura del dettaglio
La grande quantità di dettagli a disposizione ha consentito
di impostare una prima organizzazione dei dati e compiere alcune letture lineari e trasversali8 che hanno permesso
di definire alcune tematiche che, solo in parte, sono state
esposte in Biennale. I criteri di osservazione del dettaglio
possono essere molteplici. Può avvenire, per esempio, attraverso lo studio delle interfacce tra i “fundamentals”, cioè
osservando il punto, l’area o la superficie sulla quale due entità qualitativamente differenti si incontrano come, ad esempio, l’elemento the cornice (ppv-copertura) o the string course
04
(ppv-solaio intermedio). La cornice, il punto di incontro tra
l’elemento di chiusura verticale e quello orizzontale non è
sempre un’ovvia giunzione o la soluzione di un problema
funzionale (raccolta e smaltimento dell’acqua piovana) ma
diventa l’occasione per l’invenzione architettonica che può
rafforzare o meno il prospetto dell’opera. Visibile o non visibile dall’osservatore, come nel caso Macconi building (Lugano) di L. Vacchini in cui non è percepibile data l’altezza
dell’edificio, è un punto in cui l’architetto fa la sua scelta formale. Sembra quasi il raddoppio del primo piano orizzontale
in Farnsworth House (1951, Mies van der Rohe) tranne per
il fatto che quella stretta fascia conclusiva lievemente sporgente contrassegna, dimensionandolo, l’elemento strutturale
orizzontale. In Rosen House (1961-63 Craig Ellwood) il “copy
and paste” dei piani è evidente, l’architetto sceglie infatti di
arretrare di 20 cm circa gli ultimi strati della copertura mettendo in evidenza la struttura metallica orizzontale. Operano una scelta figurativa completamente diversa gli architetti
Herzog & De Meuron in Ricola storage (1986-87): la cornice
è un elemento ripetibile quasi all’infinito, una modanatura
ritmata dai chiaro scuri determinati dagli elementi inclinati
che sorreggono il sottile piano di cemento che conclude l’edificio. Questi dettagli possono essere definiti come unfold,
in quanto sono evidenti le relazioni che si stabiliscono tra le
parti reciprocamente a contatto e al contempo consentono
l’attuazione stessa del processo costruttivo (Img. 04).
Il dettaglio può, invece, essere definito parting quando sono
evidenziate, per finalità simboliche e/o formali, le giunzioni
tra superfici consequenziali, sottolineando, molto spesso, la
separazione tra piani diversi (U. Burkard & A. Meyer, Flat
N.03 NOV-DIC 2014 17
05
Martinbergstrasse, Baden 1999 - Baumschlager & Eberle,
Rückversicherung, Münich, 2001) o dividendo e ritmando
la pelle dell’edificio o la chiusura verticale (UN Studio, Electricity Substation 1993, Eduardo Souto de Moura, Burgo Tower Porto, 2007).
Nella tavola intitolata the cladding, i dettagli costruttivi sono
occultati (hide), il rivestimento maschera infatti le reali articolazioni delle strutture portanti e portate, nasconde indifferentemente elementi continui in cemento armato o elementi
puntuali in acciaio, si sovrappone ad essi come un “carter”.
Queste sono solamente alcune considerazioni che si posso
effettuare sui details rispetto al tema “fundamentals”. La sezione dettagliata potrebbe essere studiata rispetto al materiale
prevalente con cui è costruita l’opera (acciaio, legno, cemento armato, ecc.) o ancora, la si può esaminare in funzione del
tipo di involucro, opaco o trasparente, o di come questo si
rapporta, modificandosi, con la normativa esigenziale/prestazionale vigente nel contesto ambientale in cui si colloca.
La ricerca è ancora in corso per cui le riflessioni che si possono fare attorno al dettaglio e all’architettura vista in sezione
sono ancora aperte, lo dimostrano anche le recenti pubblicazioni monografiche (Architectural Design, Future details of
architecture, July/August 2014, n. 230) e le riviste di settore
che da sempre si occupano del tema (Detail, The Plan, Arketipo ma anche Casabella, Costruire in Laterizio, ecc.).
Il dettaglio non è quindi morto, come annunciato da H. P.
Berlage nel 1906 o da G. Lynn nel 2005, ma acquisisce valori
18 OFFICINA*
God is in the details
e articolazioni diverse perché come racconta una filastrocca
“Per un chiodo che mancava perse un ferro il buon destier. E pel ferro
che mancava cadde insieme al cavalier! Per mancanza di cavallo l’infelice
messagger dal nemico fu raggiunto e morì per il dover. Ma il messaggio
fu carpito. La battaglia per tal modo fu perduta e tutto questo per un
chiodo”. Si può affermare dunque che “Dieu est dans les détails”
(G. Flaubert, 1821/1880), o “God is in the details” (Mies van
der Rohe, 1886/1969), quello che è cambiato, rispetto a un
passato recente, è l’approccio dell’architetto al dettaglio, ma
questa è un’altra storia.
* Claudia Tessarolo, architetto, Dottore di Ricerca in Tecnologia
dell’architettura presso Facoltà di Architettura di Ferrara. Dal
1998 svolge attività didattica e di ricerca presso l’Università Iuav di
Venezia.
Ha svolto attività di ricerca su temi inerenti al Design for All, al
progetto di recupero e di riqualificazione e alla produzione edilizia nel
progetto d’architettura, partecipa a convegni nazionali e internazionali
ed è autrice di saggi attinenti alla cultura tecnologica, all’innovazione
tecnica e alla sostenibilità.
Si occupa attualmente di innovazione tecnologica, prefabbricazione e
sostenibilità ambientale.
E-mail: [email protected]
NOTE
1 - Tra gli studi che hanno accettato di partecipare ci sono: Burkhalter-Sumi, Barkow Leibinger, Kahlfeldt Architekten, Werner Sobek,
Artec Wien, Hermann Czech, Boris Podrecca, Dominique Perrault,
Miller & Maranta, Conzett Bronzini Gartmann, Pascal Flammer, Peter Maerkli, Carlos Ferrater OAB , Studio Valle, C + S Architects, Tezuka Architects, Kengo Kuma, Emilio Tuñón, Cino Zucchi Architetti,
Bevk Perovic Arhitekti, Shim + Sutcliffe, Associati Parco, Périphériques Architetti, Laps Architettura, Gigon / Guyer Architekten, Walt
+ Galmarini, Hild und K Architekten, Labics, Elasticospa, Staufer +
Hasler, Navarro Baldeweg Asociados.
2 - Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in ambienti
complessi, Università Iuav di Venezia.
3 - Details: l’architettura vista in sezione.
4 - Ignazio Gardella, L’architettura della coralità, in Emilio Faroldi, Maria Pilar Vettori, a cura di, Dialoghi di architettura, Alinea,
Firenze, 1995, pp. 61-77, p. 62.
5 - Workshop organizzato da Umberto Trame (DPPAC) e Marco
Pogacnik (DACC), un progetto di Marco Pogacnik, Unità di Ricerca
Arte del costruire.
6 - Gottfried Semper, The four elements of architecture and other
writings, Cambridge, Cambridge University Press, 1989, pp. 269.
7 - attraverso l’analisi e il ridisegno dei dettagli dei maestri.
8 - Il lavoro di lettura analisi e confronto dei dati è ancora in corso.
9 - Edward Ford, The Architectural detail, New York, Princeton
Architectural Press,2011, p 226.
06
IMMAGINI
01, 02, 03 - Immagini della mostra, Biennale di Venezia,
foto di Marco Pogacnik.
04 - The cornice, ridisegni.
05 - The string course, ridisegni.
06 - The cladding, ridisegni.
“DETAILS. ARCHITECTURE SEEN IN SECTION” CONTINUA...
www.detailsinsection.org
Il 24 novembre a Cà Tron Santa Croce 1957,30135 Venezia,
Università Iuav di Venezia in collaborazione con il Politecnico
di Milano con una mostra e seminario
www.detailsinsection.org/?p=321
Dal 9 al 27 febbraio 2015
presso lo Spazio Mostre Guido Nardi, Politecnico di Milano Facoltà di Architettura e Società , Via Ampère 2, Milano
PER APPROFONDIRE
- Edward Ford, The architectural detail, New York, Princeton
Architectural Press, 2011
- Ignazio Gardella, L’architettura della coralità, in Emilio
Faroldi,Maria Pilar Vettori, a cura di, Dialoghi di architettura,
Alinea, Firenze, 1995
- Enzo Legnante, Antonio Laurìa, L’architettura nei dettagli ,
Firenze, Alinea, 1988
- Gottfried Semper, The four elements of architecture and
other writings, Cambridge, Cambridge University Press, 1989
- Architectural Design, Future details of architecture, July/
August 2014, n. 230
N.03 NOV-DIC 2014 19
“Elements of Venice”,
Anatomia di Venezia
Il libro che racconta la città secondo la logica di Elements
of Architecture commentato dall’architetto Elena Longhin
di Elena Longhin*
Per raccontare come la pubblicazione è
stata concepita è fondamentale partire
dall’indagine operata dalla ricerca di
Elements of Architecture, mostra allestita
all’interno del padiglione centrale dei
Giardini della 14^ Mostra Internazionale di Architettura,
per la quale Rem Koolhaas propone Fundamentals, una rassegna sostanzialmente diversa da tutte le precedenti, che
sradica l’idea consolidata di una esposizione che indaghi l’architettura come un unicum.
Elements Of Venice nasce come progetto di ricerca parallelo a
Elements Of Architecture, la quale assieme a Monditalia fa parte
del più ampio tema di Absorbing Modernity 1914-2014, esposti
rispettivamente all’Arsenale e ai padiglioni nazionali della
Biennale.
La mostra allestita al padiglione centrale espone un palinsesto architettonico, una dissezione delle singole parti – i
fondamentali – che compongono il progetto architettonico,
tracciando un alfabeto visivo degli elementi costruttivi, una
sorta di manuale che ripercorre tecniche, periodi, dinamiche
e luoghi differenti1.
Il curatore, concretizzando la volontà precedentemente
espressa di rivolgere il suo interesse all’essenza dell’architettura come metodo di pensiero2 parte da un’analisi al mi-
01
20 OFFICINA*
Elements Of Venice, Giulia Foscari, Rem
Koolhaas (prefazione), Lars Müller Publishers, Zurich, Giugno 2014, 692pp.
- Ricerca e coordinazione: G.Foscari /
E.Longhin - © 2014 Lars Müller Publishers/ G. Foscari W. R.
croscopio degli elementi fondamentali che costituiscono
l’edificio e utilizzati by any architect, anywhere, anytime (Koolhaas, 2014). Sceglie di svelare molteplici storie, le origini, le
contaminazioni, le similarità e le differenze degli elementi
architettonici e come essi siano evoluti nelle iterazioni contemporanee, attraverso il progresso tecnologico, sottostando
a requisiti normativi e ai nuovi sistemi digitali e presentando delle micro-narrative rivelate alla scala del dettaglio e del
frammento3.
Ogni singola stanza del padiglione centrale si configura
come un capitolo di una enciclopedia dell’architettura ricreato tridimensionalmente, che conduce il visitatore attraverso
una fiera della costruzione architettonica, una sorta di museo dell’evoluzione degli elementi possibili, all’interno del
quale è indubbiamente di non immediata semplicità focalizzare una regola o un metodo che permetta di ricongiungere
gli elementi alla scala del singolo edificio.
Il vasto repertorio di oggetti ricorda spesso una camera delle
meraviglie, e spinge ad una valutazione del ruolo stesso degli
elementi, come questo sia mutato radicalmente nel tempo (la
porta della città contemporanea è uno scanner aeroportuale), venga modulato dalla spinta del progresso tecnologico
(l’idea che il gabinetto diventi un dispositivo di misurazione
della salute), o come venga plasmato dalla necessità di un’esistenza sostenibile (l’impianto di riscaldamento monitorato
da un’analisi computerizzata dei movimenti umani4). Contemporaneamente sposta la riflessione sulla capacità dell’architetto di dominare un progetto architettonico che spesso
02
N.03 NOV-DIC 2014 21
03
pare essere concepito come puro assemblaggio di parti e
sistemi, frequentemente dominato dalle situazioni economiche e dalle logiche di mercato.
La ricerca di Elements of Venice nasce innanzitutto come applicazione della logica degli elementi alla indagine della città.
Venezia come campo per questa indagine al microscopio,
nonchè struttura fondante stessa della Biennale, è sembrata
22 OFFICINA*
subito un’entusiasmante opportunità esplorativa. La forma
di guida è tuttavia maturata e cresciuta solo davanti agli esiti
che essa ci stava conducendo e grazie alla volontà di Rem
Koolhaas di approfondire l’attuazione di questo metodo di
osservazione.
Il lavoro è stato indubbiamente un’entusiasmante occasione di studio, approfondimento e dibattito durato circa un
anno che correva di pari passo, ma non senza intersezioni,
con l’analisi di Elements of Architecture. Personalmente, come
architetto ed ex alunna dello Iuav di Venezia, l’invito a partecipare ad un progetto di questo tipo ha rappresentato una
preziosa esperienza di lavoro e ricerca nonché un complesso
esercizio di astrazione della città, compiuto attraverso una
lente di ingrandimento che cambia puntualmente la scala
della sua indagine.
Venezia viene sottoposta ad uno smembramento che ripercorre gli ultimi dieci secoli di storia passata, per poi essere
ricomposta in dodici capitoli distinti, ovvero gli elementi –
nell’ordine facciata, scala, corridoio, pavimento, rampa, tetto, soffitto,
porta, camino, finestra, balcone, muro – necessariamente plasmati
sulle caratteristiche peculiari della città. Giulia Foscari chiarisce l’intento del lavoro precisando come l’indagine prenda
le sembianze di un esercizio anatomico operato sul tessuto
costruito della città (Foscari, 2014, p. 10), il cui obiettivo è
rivelare che “la città ha modulato la sua storia proprio come
i suoi edifici si sono adattati alla subsidenza e che solo attraverso indizi o minime alterazioni degli elementi dell’architettura è percepibile una metamorfosi già – in realtà – avvenuta e tutt’ora in atto” 5.
Elements of Venice scandaglia la città servendosi di un’eterogenea molteplicità di dispositivi, documenti e opere, sia
antichi che contemporanei, trattati di architettura, mappe,
documenti della Serenissima, progetti irrealizzati, e restituisce gli esiti dell’indagine attraverso una combinazione di
collage, disegni, quadri, fotografie, citazioni, e scene cinematografiche, che scuotono l’immagine di una città cartolina
cristallizzata nei secoli per rivelarne lo scheletro e l’incredibile evoluzione a cui è stata sottoposta attraverso i secoli,
spesso sovvertendone radicate superstizioni (mostrando per
esempio che la pedonalità in Venezia è un’invenzione del
diciannovesimo secolo, o che non esistevano scale interne
nelle antiche case veneziane), indagando la morfologia urbana della città (attraverso la mappa del De Barbari, il catasto
Napoleonico, mappando l’orientamento e la rotazione delle
facciate delle centodieci chiese che la pervadono…), riscoprendo alcuni dei progetti perduti (la piscina galleggiante del
Dr. Rima nel bacino di San Marco), abbandonati (la Colonia dei Principi di D. Calabi) o mai realizzati (l’ospedale di
un complesso esercizio di astrazione
della città compiuto
attraverso una lente
di ingrandimento che
cambia puntualmente la scala della sua
indagine
N.03 NOV-DIC 2014 23
24 OFFICINA*
04
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06
Le Corbusier, il palazzo di L. Kahn, Casa Masieri di F. L.
Wright, l’isola di Alvise Cornaro) e risollevando alcuni dei
dibattiti contemporanei più discussi (la presenza delle grandi
navi, la pressione turistica, la costruzione del Mose).
per mostrarla al di là della propria decadenza e dalle predeterminate persuasioni di città immobile, e mostrarne l’identità come “proiezione su di un oggetto in costante mutamento
di definizione e autenticità” 10.
Tutti gli elementi trovano ricomposizione nella collocazione
cartografica della mappa6 che seziona la città alla quota del
piano terra, e permette di rimettere in scala gli edifici illustrati.
Il risultato di questo poché, seppur rimandando direttamente
a quello del Nolli7, non mostra semplicemente la realtà urbana di Venezia, ma uno scenario possibile. La carta infatti
permette la coesistenza di una Venezia passata, presente ed
ideale, scegliendo di mostrare sia le opere perdute (il Teatro
di Aldo Rossi) che temporanee (il ponte galleggiante allestito in occasione della festa del Redentore), e tutti gli edifici
mai realizzati in loco di quelli presenti o sovrapponendo il
progetto al tessuto urbano contemporaneo (come nel caso
del progetto di P. Eisenman per Cannaregio Ovest8 o dell’ospedale di Le Corbusier9).
Il proposito della pubblicazione è la volontà di indagare Venezia svincolandosi dai tradizionali criteri di investigazione
* Elena Longhin è un architetto veneziano. Ha collaborato per un
anno con Giulia Foscari per la ricerca e la realizzazione di Elements of
Venice tra Venezia e Buenos Aires.
Attualmente vive a Londra dove frequenta la Graduate School presso
l’Architectural Association. Collabora con vari studi, tra cui in passato
Secchi-Viganò (Milano) e OMA (Buenos Aires).
26 OFFICINA*
07
N.03 NOV-DIC 2014 27
08
NOTE
1 - Il progetto è il risultato della collaborazione biennale di Koolhaas con il team di AMO, l’architetto e teorico Stephen Trüby,
Harvard Graduate School of Design, e il Rettore Mohsen Mostafavi.
2 - Intervista di H. U. Obrist a R.Koolhaas, Rem Koolhaas, 11.
3 - “[...] Elements of Architecture looks under a microscope at
the fundamentals of our buildings, used by any architect, anywhere, anytime: the floor, the wall, the ceiling, the roof, the door, the
window, the façade, the balcony, the corridor, the fireplace, the
toilet, the stair, the escalator, the elevator, the ramp. [...] It brings
together ancient, past, current, and future versions of the elements in rooms that are each dedicated to a single element. To
create diverse experiences, we have recreated a number of very
different environments – archive, museum, factory, laboratory,
mock-up, simulation... (R. Koolhaas, Fundamentals, 2014) “Koolhaas, Fundamentals, 193.
4 - Local Warming,Carlo Ratti, Senseable City Lab MIT.
5 - Foscari, Elements of Venice, 11.
6 - La mappa è presente nel libro suddivisa in quadranti e disponibile nella sua interezza nella stanza introduttiva al Padiglione
Centrale.
7 - Roma Interrotta, 1736.
8 - 10 immagini per Venezia : mostra dei progetti per Cannaregio
Ovest : Venezia, Ala Napoleonica, 1 aprile-30 aprile 1980 / a cura
di Francesco Dal Co. - Roma : Officina, 1980.
9 - Progetto per il nuovo ospedale di Venezia, Le Corbusier, 1965,
AULSS 12.
10 - Rem Koolhaas in discussione sul tema della preservation
28 OFFICINA*
and authenticity con Reiner e Graaf, Francesco Bandarin (UNESCO) e Tom Buchner, Biennale, 06.06.2014.
IMMAGINI
Tutte le immagini ad eccezione della n. 09 sono tratte dal libro
di Giulia Foscari, Elements Of Venice (Lars Müller Publishers,
Zurich, Giugno 2014).
01 - Gli elementi della Basilica di San Marco. - (Introduction, pg
31). Foscari/Longhin, © Foscari.
02 -Profezia dei pilotis (collage). - (Façade, pg 38) Foscari/Longhin, © Foscari.
03 - Disegno assonometrico della Scala d’Oro, Palazzo Ducale. (Stair, pg 183). Foscari/Longhin, © Foscari.
04 - L’orientamento delle facciate delle chiese. (Facade, pg 98)
Longhin, © Longhin.
05 - Nuovi Balconi. Le grandi navi. (pg 598) Foscari/Longhin, ©
Foscari.
06 - Sezione longitudinale di Piazza San Marco. Riscotruzione
ipotetica della Cappella Ducale prima dell’intervento da parte
del Doge Ziani, quando la Piazza era ancora circondata dal Rio
Batario (sopra). Sezione odierna (sotto). (Roof pg 366) Foscari/
Longhin © Foscari.
07 - L’intercapedine tra le due cupole della Basilica di San Marco
(fotografia) (Roof pg 367) Foscari/Longhin © Foscari.
08 - Un dettaglio della mappa. Foscari/Longhin, © Foscari.
09 - L’installazione della mappa al Padiglione Centrale. Longhin,
© Longhin.
09
Centottantaduepercento
In principio l’elemento
A
di Matilde Tessari*
mezza pagina, a doppia pagina, a pagina
singola, a colori o in bianco e nero, su carta patinata, su carta velina, d’autore, divulgativa, tecnico - specialistica, artistica: è la
pubblicità dell’elemento dell’architettura.
Appese al padiglione centrale dei giardini della Biennale, a
rivestire un muro, quasi duecento stampe giganti di pubblicità di elementi dell’architettura, le fortunate ad essere selezionate tra un archivio di decine di migliaia, un lavoro di
ricerca che nasce da una collaborazione con la Biennale e lo
studio OMA svolto attraverso lo Iuav, coordinato dall’architetto Manfredo di Robilant, in stretto contatto con il curatore, Rem Koolhaas. A vederle così, sembra tutta una gran
confusione, sono appese proprio come quelle degli attacchini per strada, si sormontano, sono un po’ sgualcite, formano
un grande collage, creato ad arte per raccontare una storia. È
una storia alternativa, dell’elemento dell’architettura, attraverso le pubblicità delle riviste di architettura.
È una storia che parte dalle riviste di settore, dal primo numero di periodici come Architectural Review 1896, Casabella 1928, El Croquis 1982, Bauwelt 1910, L’architecture
d’aujourd’hui 1930, per citarne alcune, fino ai numeri più
recenti, per coprire un arco temporale di più di cent’anni. È
una narrazione ampia e ricca, dilatata nel tempo, delle caratteristiche sociali, dell’evoluzione tecnologica, delle peculiarità nazionali e dello stile di rappresentazione degli elements
(Img. 01). È la percezione di un mondo, di uno stato dell’arte
restituito e svelato nelle istantanee commerciali.
30 OFFICINA*
La pubblicità, ha come scopo presentare al fruitore l’oggetto,
cercare di fare capire come funziona, a cosa serve, quali vantaggi comporta; nelle riviste di architettura, è un mezzo di
comunicazione che sembra di per sè non essere mai mutato,
diventando un vero e proprio linguaggio; cambia l’oggetto
della comunicazione, il tempo della comunicazione, ma rimangono medesimi gli intenti. L’elemento è presentato in
è una narrazione ampia e ricca, dilatata nel
tempo, delle caratteristiche sociali, dell’evoluzione tecnologica,
delle peculiarità nazionali e dello stile di
rappresentazione degli
elements. È la percezione di un mondo, di
uno stato dell’arte restituito e svelato nelle
istantanee commerciali
01
N.03 NOV-DIC 2014 31
02
32 OFFICINA*
IMMAGINI
01 - Architectural Record, 1977, May.
02 - Architectural Review, 1963, August.
03 - Architettura Cronaca e Storia, 1957, April.
04 - Casabella, 1938, October.
05 - L’architecture d’aujourd’hui, 1931, August-September
06 - El Croquis, 1997.
03
04
N.03 NOV-DIC 2014 33
l’elemento è presentato in modo seducente, come materia
autonoma
05
modo seducente, come materia autonoma, in molti casi indipendente dall’oggetto architettonico, in altri strettamente
legato ad esso, tanto che l’architettura, di solito protagonista
come un tutto, diventa lo strumento per mettere in luce le
sue parti elementari.
Con evidenza emerge la storia dell’evoluzione tecnologica
e del costume: dai primi ascensori Stiger degli anni ’30 in
Casabella, al Linoleum gettonatissimo degli anni ’40, dall’isolante acustico e i controsoffitti Armstrong degli anni ’50 e
’60, all’approccio voyeur (con primi corpi nudi di donna) per
vendere finestre Williams&Williams negli anni ’70, fino alle
porte automatizzate Dor-o-matic degli anni ’80 (Img. 02).
Eletti dai manifesti commerciali a memorabilia da collezione,
ceiling, door, elevator, facade, floor, heart, roof, toilet, windows, i nove
argomenti elementari, rispondono ad altrettanti sottotemi in
cui possiamo apprezzare la bellezza, alzando lo guardo ad un
controsoffitto (Img. 03), o stupirci delle elevate altezze dell’ascensore Edoux Samain (Img. 04), che tende addirittura alla
luna, o ai cristalli Securit (Img. 05): con quattro incisive parole
garantiscono trasparenza-resistenza-flessibilità-inalterabilità.
34 OFFICINA*
Senza retorica, poiché esclusivamente funzionale, la pubblicità agisce postuma portando l’attenzione sul valore di simboli, miti e utopie di una società e di un tempo. Da ragione
dell’oggetto architettonico in modo del tutto essenziale a
capirne i principi, le pratiche costruttive e distributive, interpretando con un linguaggio scientifico l’attenzione per gli
aspetti formali estetico-percettivi dell’architettura. Comunicare l’elemento a mezzo stampa significa renderlo manifesto.
Trasporlo fuori dal contesto significa renderlo icona (Img. 06).
*Matilde Tessari, qualche anno fa è entrata allo Iuav e non ha ancora
trovato l’uscita. Ha il vizio di imbarcarsi in missioni impossibili.
E-mail: [email protected]
06
N.03 NOV-DIC 2014 35
PORTFOLIO
Architettura come
metafora
Serpentine Gallery Pavilion 2014, Londra
Smiljan Radic l’architetto poeta
testo e foto di Valentina Manfè*
In un villaggio c’è il castello del Gigante. Il
castello ha un immenso bellissimo giardino, con
tanti fiori dai molti colori, alberi da frutta e
gli uccelli che vi cantano felici. Ogni giorno,
finita la scuola, i bambini del villaggio vanno
a giocare fino a sera nel giardino del Gigante.
Ma un giorno, il Gigante, che era stato lontano per sette anni, torna
al castello caccia i bambini dal giardino e costruisce un muro di cinta
tutt’intorno per impedire l’accesso al giardino. I bambini, di conseguenza, sono costretti a giocare per strada. Quando arriva primavera, tutto
si riempie di fiori e si popola di uccelli... il giardino del Gigante no: lì
regna ancora l’inverno. Il Gigante osserva preoccupato il suo giardino
sempre gelido e bianco; spera che finisca l’inverno, ma ciò non accade.
Un giorno il Gigante si sveglia al canto di un merlo... tutto felice va alla
finestra e vede che i bambini sono riusciti ad entrare da una piccola breccia del muro. Son saliti sugli alberi che, come per incanto, sono rifioriti.
Solo nell’angolo più lontano è ancora inverno: lì c’è un bambino talmente
piccino che non riesce a salire sul suo albero, che rimane coperto di ghiaccio e neve. Il Gigante si intenerisce: esce, attraversa il giardino e solleva
il bambino facendolo salire sull’albero che subito rifiorisce. Il bambino
contento gli getta le braccia al collo e lo bacia. Il Gigante, non più egoista, invita allora tutti i bambini a venire a giocare ogni giorno in quello
che adesso è il “loro giardino”. E così avviene: tutti i giorni i bambini
vengono a giocare, ma il bambino più piccolo, il prediletto del Gigante,
quello non si vede più... e il Gigante soffre di nostalgia. Gli anni passano e il Gigante diventa sempre più vecchio e debole. Un mattino alla
fine di un inverno, il Gigante vede nel giardino un albero interamente
36 OFFICINA*
coperto di fiori bianchi e ai piedi dell’albero il suo piccolo amico. Questi
ha mani e piedi segnati da impronte di chiodi, che il piccolo chiama “le
ferite dell’amore”. Il Gigante cade in ginocchio davanti al bambino.
Quel pomeriggio, quando i bambini arrivano per giocare, trovano il
Gigante morto ai piedi dell’albero tutto coperto di fiori bianchi.”
da“The Selfish Giant” di Oscar Wilde (1854-1900)
01
Questo è stato il punto di partenza per l’architetto cileno
Smiljan Radic quando gli è stato chiesto di occuparsi del
Padiglione temporaneo della Serpentine Gallery di Londra
2014 ai Kensington Gardens. Smiljan Radic carpisce la natura imponente e il senso di vanità del Gigante di Oscar Wilde
e la traduce in architettura, mediante un sofisticato uso dei
materiali.
A terra, maestose rocce primordiali restituiscono una
sensazione di possenza. Sensoriale leggerezza è ottenuta con l’uso di un sottile guscio in vetroresina nella parte
superiore. L’utilizzo di materiali diversi coincide con la
sua complessità di emozioni. Il richiamo diretto all’opera
di Wilde è la volontà di creare un luogo che appaia come
se fosse trascurato, ma che repentinamente riprende vita.
In riferimento alla poetica architettonica di Radic ricorre
spesso un verso del poeta francese René Char : “to suppress
distance is to kill”, in quanto l’intento è che la sua architettura non sia immediatamente comprensibile, per lui non è
necessario che si colga subito il significato; i suoi progetti
infatti non si rivelano tutti in una volta. Le rocce sono uno
degli elementi che caratterizzano il padiglione, nell’architettura di Smiljan Radic queste riconducono alle costruzioni
primordiali, spontanee, che godono di una propria organizzazione, dice: “The problem is the sensation of how they appear, if
we don’t feel the heaviness of the stone, we don’t have a good project”.
L’architetto cileno inoltre sostiene “The shape is not important,
I don’t care if it is a box or a free curve. I am not a creator of shapes.
My method is to respond to the possibility in each commission.” ovvero
esprime il concetto secondo cui la forma non è importante, lui non crea forme, ma ciò che conta è il metodo e l’appropriatezza con la quale si risponde ad ogni committente
in base alle possibilità e alle potenzialità. Quando parla di
“respond to the possibility” fa riferimento sia ai sensi che all’aspetto fisico. Gli elementi fondanti sono il sensoriale, ciò
che non è possibile vedere con gli occhi, tutto quello che è
transitorio, l’accidentale e ciò che non necessariamente viene progettato. Smiljan Radic unisce in modo superbo questi
suoi interessi ed è proprio da qui che scaturisce il progetto.
01 - Lisbeth Zwerger, Selfish Giant, 1984. llustrazione ad acquerello.
N.03 NOV-DIC 2014 37
il problema è la sensazione di come esse
appaiono, se noi non
percepiamo la pesantezza della roccia,
non otteniamo un
buon progetto
Smiljan Radic
02
03
38 OFFICINA*
04
05
La struttura che si genera al di sopra delle possenti rocce
è un leggero involucro, un vero e proprio “guscio cilindrico”,
realizzato in vetroresina bianca dello spessore di soli 18 millimetri, che permette alla luce di essere filtrata durante il
giorno e durante la notte.
L’architetto lavora spesso con modelli in cartapesta e per
questo progetto ha voluto trovare un materiale esattamente corrispondente. Il desiderio di ottenere una struttura che appaia fragile e sottile è molto forte; ma allo steso
tempo emerge la volontà di esaltare l’architettura in tutta
la sua imponenza. Materialmente questo risultato è stato ottenuto creando una forma in negativo con blocchi
di polistirolo, sulla quale è stata modellata la vetroresina
in fasce. Solitamente questo materiale viene utilizzato per
le sue caratteristiche prettamente costruttive; in questo
caso, invece, l’architetto è fortemente interessato all’aspetto architettonico che può ottenere con esso, essendo estremamente declinabile in curvature diverse. Interessante e
laboriosa è stata la fase di preparazione della vetroresina,
consistente nel giusto dosaggio di fibre, resina e additivo
per la colorazione, affinché il guscio lasciasse trasparire la
luce voluta, quale questione centrale all’interno del progetto.
La struttura del padiglione è costituita da elementi di
supporto metallici poco visibili dall’esterno, che fungono da connessione tra le rocce di basamento e il guscio.
02, 03, 04 - Visibile il rapporto tra le pietre del basamento e il
guscio leggero di rivestimento.
05 - Il dettaglio mette in evidenza uno degli elemeti metallici di
supporto che viene totalmente inglobato tra la pietra ed il rivestimento per evidenziarne la secondarietà della funzione sul piano
formale.
N.03 NOV-DIC 2014 39
06
07
40 OFFICINA*
08
06, 07 - Vista della corte esterna, dall’interno del padiglione, attorno la quale si sviluppa l’edificio. L’interno è messo in comunicazione con l’esterno, e viceversa, attraverso veri e propri squarci nel rivestimento in vetroresina; solo un parapetto metallico,
costituito da sottili elementi metallici e cavi in acciaio, assume
la funzione di filtro.
Nelle ore del giorno in cui non si può godere della luce naturale, lo spazio interno viene illuminato artificalmente mediante dei
tubi a led collocati nella parte superiore del guscio.
La pavimentazione è costituita da assi di legno posati sulla struttura metallica sottostante.
08 - Il particolare evidenza il rapporto tra interno ed esterno,
come risultato di uno spazio continuo, in cui spazi interni si possono affacciare su altri interni.
Smiljan Radic descrive l’opera in tutta la sua complessità,
spiegando come il Serpentine Gallery Pavillion 2014 sia parte della storia di piccole costruzioni romantiche inserite in
parchi, definite folies. Sostiene che esternamente il visitatore
deve percepire “un guscio fragile sospeso su grandi pietre di cava”,
un guscio che è percorribile all’interno e si sviluppa intorno
a una corte. Diverso era l’approccio progettuale dall’architetto Peter Zumthor nel Padiglione realizzato per la Serpentine
Gallery nel 2011. Questo si sviluppava attorno ad una corte
concepita come un vero e proprio “hortus conclusus”, opera del
paesaggista olandese Piet Oudolf, trasformando così lo spazio
del Padiglione di Zumthor in una stanza per la contemplazione. La corte racchiudeva “un giardino nel giardino” come
luogo introverso e staccato dal parco di Kensington Gardens.
Per Radic invece lo spazio della corte interna assume un’altra
funzione, quella di voler far apparire il volume di rivestimento leggero, come se fluttuasse nell’aria; la sensazione viene
rafforzata proprio dal fatto che la nautura all’interno della
corte può essere apprezzata solo osservandola dall’alto verso
il basso. Ed è qui che entra il gioco un ulteriore elemento della
progettazione di Radic, ovvero l’aria, elemento intangibile, un
termine che per lui riguarda l’umore e il clima al tempo stesso.
N.03 NOV-DIC 2014 41
42 OFFICINA*
09
di notte, grazie alla
semi-trasparenza del
guscio, la luminosità
ambrata delle superfici attirerà l’attenzione dei passanti, come
le lampade attirano
le falene
Smiljan Radic
10
09 - L’apertura a “cannocchiale” verso l’esterno realizzata in lamiera d’acciaio; mediante l’effetto di contrasto di luce, viene messa in
evidenza la trasparenza del guscio.
10 - Vista dello spazio interno ad andamento circolare.
11 - Dettaglio del rivestimento in vetroresina, dove sono evidenti i
punti di giunzione tra le porzioni di materiale.
11
N.03 NOV-DIC 2014 43
12 - Rampa di accesso con finiture in assi di legno, costituita da
elementi metallici con parapetto in cavi d’acciaio.
13 - Nodo di connessione tra il parapetto metallico, la pavimentazione in legno e il guscio in vetroresina.
14 - Elemento verticale strutturale a puntoni metallico, connesso
alla struttura metallica inferiore mediante una giunzione a cerniera.
15 - Sistema di supporto dello sbalzo in vetroresina in prossimità
dell’ingresso, ottenuto mediante un profilato metallico a croce
sostenuto da un puntone.
13
44 OFFICINA*
12
14
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15
il padiglione è un
oggetto futuristico
che, come un guscio
spaziale e alieno, è
venuto a riposare su
un sito neolitico
Julia Peyton Jones
Dal 2000, ogni anno la Serpentine Gallery commissiona un
padiglione estivo temporaneo ad un importante architetto,
requisito fondante è che il progettista non abbia mai realizzato nessuna architettura nella città di Londra. I padiglioni
temporanei, concepiti come spazi di condivisione, includono
sempre l’elemento della natura.
La direttrice della Serpentine Gallery, Julia Peyton-Jones,
per il progetto dei Serpentine Pavillions, invita ogni anno
architetti, artisti e paesaggisti di fama mondiale.
* Valentina Manfè, architetto, laureata in Architettura per la costruzione presso l’Università Iuav di Venezia.
E-mail: [email protected]
46 OFFICINA*
16
Smiljan Radic, architetto cileno nato nel 1965 a Santiago, laureato nel 1989 in Architettura presso l’ Università Cattolica del Cile e poi allo Iuav di Venezia, ha
fondato il proprio studio nel 1995.
Ha esposto alla 12° Biennale di Architettura di venezia insieme all’artista Marcela Correa.
Nel 2014 è stato selezionato per la progettazione
2014 Serpentine Gallery Pavilion a Londra.
16 - Vista esterna della connessione tra il guscio in vetroresina e
il cannocchiale metallico.
17 - Vista frontale dall’esterno del padiglione.
N.03 NOV-DIC 2014 47
17
IN PRODUZIONE
Secco Sistemi per
il restauro di
Palazzo Onigo
Dopo anni di abbandono è tornato al suo antico splendore
un palazzo caratteristico del centro storico di Treviso
U
n suggestivo scorcio di Treviso è
tornato a vivere;
si è, infatti, da
poco concluso il
restauro di palazzo Onigo.
Dopo anni di chiusura, lo storico edificio è tornato al suo splendore, ridando
prestigio ad un angolo caratteristico
della città.
Il palazzo, probabilmente di origine
rinascimentale, venne costruito in un
isolato di proprietà dei D’Onigo (già
proprietari del limitrofo teatro Onigo,
oggi teatro comunale) e si colloca in
un punto strategico del centro storico,
nella parte sud della città, a 500 metri
dalla stazione ferroviaria, all’incrocio
tra Corso del Popolo e viale Cadorna.
L’edificio si sviluppa su tre piani, più
sottotetto e dal 1924 risultava diviso in
due proprietà: i locali del secondo e terzo piano erano di pertinenza comunale
e sono stati destinati ad uffici a partire dal 1972, quindi progressivamente
inutilizzati nel corso dagli anni ‘90. Il
piano terra e primo, appartenenti alla
famiglia veneziana Frigerio, hanno invece ospitato per circa quindici anni il
ristorante Brek, chiuso nel 2011.
di Filippo Banchieri*
Da allora l’intero palazzo è rimasto in
stato di completo abbandono, sebbene
il Comune si fosse ben presto impegnato a vendere la sua porzione dell’immobile.
La messa all’asta indetta a settembre
2012, inizialmente non ha avuto alcun
riscontro e solamente nel febbraio 2013
si è conclusa la difficile vendita dei due
piani superiori, acquistati dallo stesso
conte Frigerio, già proprietario del piano terra e primo.
I lavori di restauro, iniziati lo scorso
autunno, sono stati svolti in meno di
un anno, procedendo a pieno regime,
grazie anche all’impiego di una tecnica
insolita per i cantieri italiani.
Una grande tensostruttura era stata
collocata al di sopra del tetto, fasciando
anche le pareti esterne. La speciale
01
48 OFFICINA*
01 - Prospetto che si affaccia su viale Cadorna, così come appare oggi, in seguito al
restauro terminato recentemente.
02 - A sinistra particolare del prospetto su
via Cadorna come appare oggi. A destra,
veduta dello stesso fronte da un’immagine
del 1930 (da cartolina della Collezione F.
Grosso. Archivio fotografico FAST, Provincia di Treviso).
03 - Treviso, Palazzo Fiorioli, meglio noto
come Palazzo degli Onigo, all’angolo tra
corso del Popolo e via Cadorna.
Immagine di metà ‘900. Archivio fotografico FAST, Provincia di Treviso.
gabbia in metallo, poi coperta da ampi
teloni, ha permesso agli operai di lavorare in qualsiasi condizione atmosferica, anche in pieno inverno. Così, già
quest’estate, quando sono stati tolti i
teloni che nascondevano il cantiere, si
è potuta ammirare la sistemazione delle facciate esterne che ha restituito un
nuovo volto al palazzo.
La sua struttura è caratterizzata da
un’imponente volume parallelepipedo
e si delinea per la raffinata distribuzione forometrica e per l’eleganza delle aperture centinate che culminano
nell’ampia trifora balaustrata centrale
richiamando, nella compostezza della
soluzione formale, i nobili prospetti dei
palazzi patrizi cinquecenteschi.
Le finestre dell’ultimo piano sono a sesto ribassato.
Tutti i serramenti lignei, che in molti
casi non erano in buono stato di conservazione, sono stati sostituiti.
Gli infissi erano probabilmente già stati cambiati nel corso di lavori eseguiti
nella prima metà del Novecento.
Gli interventi di adeguamento ai piani
alti e la totale revisione dei primi due,
avevano creato una disomogeneità dei
vari serramenti, che al piano nobile
02
03
N.03 NOV-DIC 2014 49
Le fasi di sostituzione dei serramenti
A
conservavano ancora parte dei balconi, seppure assai rovinati, all’ultimo
risultavano di bassa fattura e per lo più
gravemente deteriorati, mentre ai due
piani bassi erano stati completamente
rifatti. Per ridare unitarietà al palazzo
è stata quindi riprogettata una nuova
soluzione, concorde con i requisiti qualitativi adeguati alla funzione del complesso.
Le grandi aperture curvilinee della trifora e della bifora al secondo piano, la
lunetta nel lato d’ingresso e le ampie dimensioni degli altri fori, avrebbero reso
complicato l’utilizzo del legno, in quanto lo spessore necessario per realizzare
i montanti dei serramenti avrebbero
comportato un sostanziale oscuramento delle superfici vetrate. Inoltre c’era
l’intenzione di utilizzare i serramenti
anche come rinforzo strutturale visto
lo stato di indebolimento generale delle
50 OFFICINA*
B
murature perimetrali, pertanto è stato
deciso di impiegare profili metallici.
Ciò ha permesso di esaltare l’estensione
dei fori e ottenere le superfici vetrate
più ampie possibili.
I telai in legno verniciato con vetro
singolo erano fissati alla muratura per
mezzo di una “cassamatta” posta in
mazzetta a filo interno su un probabile
spessoramento della parete. Con la rimozione dei serramenti è, infatti, risultato visibile l’ampliamento della soglia
in marmo con l’aggiunta di sottili cordoli in cemento.
Le “cassematte” lignee che incorniciavano i vani finestra su tre lati sono state
sostituite da falsotelai in acciaio sui quali
si fissano i nuovi serramenti. Questi,
caratterizzati dalla colorazione bruna
dell’acciaio cor-ten, si adattano molto
bene al tono delle facciate.
Per la realizzazione dei profili in accia-
C
io, sono stati scelti i prodotti della
Secco Sistemi di Preganziol, una delle
principali aziende del settore, leader a
livello nazionale, mentre l’assemblaggio e la posa degli infissi finiti è stata
affidata alla Brombal serramenti di Caselle di Altivole.
I serramenti in acciaio a taglio termico sono della serie EBE al piano terra,
mentre nel resto dell’edificio sono stati
utilizzati profili OS2.
Nel progetto di recupero, la complessa
scelta dei nuovi serramenti ha dato una
forte impronta caratterizzante nella lettura dell’edificio.
Grazie alle nuove finestre, la matrice
storica del palazzo e gli equilibri estetici delle facciate sono stati messi in
risalto con la creazione di una cornice
di separazione di grande armonia tra le
superfici trasparenti e gli elementi decorativi affrescati e lapidei.
D
E
F
SEQUENZA DI SOSTITUZIONE
DEI SERRAMENTI
A - Rimozione dei vecchi serramenti lignei. Si può notare la cassamatta in legno
fissata con dei chiodi al muro in mazzetta
a filo interno.
B - Rimozione della cassamatta e sostituzione con i profili a taglio termico del
falsotelaio in acciaio.
Sul quarto lato è appoggiato un tubolare
in acciaio.
C - Aggiunta di scossaline in cor-ten di
rivestimento del tubolare e del davanzale
in marmo. Saldatura di distanziatori del
telaio fisso sul quarto lato.
D - Attacco del telaio fisso al controtelaio
per mezzo di viti autofilettanti.
E - Incernieramento del telaio mobile al
telaio fisso e assemblaggio delle lastre
vetrate con fermavetro e guarnizioni.
F - Aggiunta del cappotto interno e finitura
delle superfici delle pareti. Il serramento
quindi non risulta più a filo interno ma in
luce nel vano finestra.
04
05
04 - Una delle finestre del primo piano che
si affaccia su viale Cadorna, caratterizzata da sopraluce murato.
05 - Dettaglio assonometrico dei profili
OS2 dei serramenti in acciaio cor-ten a
taglio termico.
N.03 NOV-DIC 2014 51
Le facciate che si presentavano di un
colore rosso caldo sbiadito, sono state
ripulite durante il restauro, e ora sono
caratterizzate da un colore rosa pallido.
Su questo sfondo le colonne-lesene in
tinta bianca, risultano dipinte.
Il fronte su Corso del Popolo, dotato
di ampie fasce marcapiano, presenta un
grande portale arcuato in pietra con sovrastante cimasa e delle grandi aperture con poggiolo poste al piano nobile.
Oltre al suo nuovo aspetto esterno, il
palazzo è stato completamente restaurato internamente con il consolidamento delle strutture dei solai lignei e delle
capriate del sottotetto.
Nel corso del Novecento, a causa dello
sdoppiamento della proprietà e all’insediamento di diverse attività, l’impianto
originario del palazzo ha subito forti
variazioni, alterando l’impianto tipologico che si era evoluto tra ’500 e ’800.
52 OFFICINA*
Con il restauro si è cercato di recuperare le originali ambientazioni, coniugando la conservazione con le esigenze
indotte dalla nuova funzionalità. Per la
distribuzione ai piani è stato mantenuto l’impianto originario, con il prolungamento della scala principale fino al
piano terzo e l’inserimento di due nuovi ascensori.
Dall’androne al piano terra si accede
allo scalone posto di lato con gradini in
pietra d’Istria e una ringhiera in ghisa;
la scala marmorea mantiene una funzione di collegamento secondario.
La scala in legno di collegamento tra
secondo piano e sottotetto è stata sostituita da una nuova struttura in acciaio.
Dopo anni di degrado, Palazzo Onigo
ha iniziato una nuova vita riaprendo le
sue porte al pubblico; l’intero stabile è
ora a disposizione della catena svedese
di abbigliamento low-cost H&M che lo
06
scorso 16 ottobre ha inaugurato il suo
megastore di 1500 metri quadri complessivi.
In questi tempi di crisi, dove si registrano spesso le chiusure di attività
commerciali nel centro storico di Treviso, l’arrivo di un rinomato marchio
di moda internazionale in un contesto
prestigioso come quello di Palazzo
Onigo, potrebbe ridare la spinta giusta
all’aumento di presenze quotidiane in
città con conseguente visibilità anche
per gli altri negozi.
* Filippo Banchieri, architetto, laureato in
Architettura per il Paesaggio presso l’Università Iuav di Venezia.
E-mail: [email protected]
06 - Veduta di palazzo Onigo all’incrocio tra corso del Popolo e
viale Cadorna, come appariva prima del restauro.
07 - Veduta di palazzo Onigo all’incrocio tra corso del Popolo e
viale Cadorna, come si presenta oggi a seguito del restauro.
08 - La trifora del secondo piano durante le fasi di montaggio del
telaio metallico.
07
PER APPROFONDIRE
Roberto Fioretti, “Il restauro di Palazzo Zeno Onigo di Treviso”, Antiga edizioni, 2014.
Federico Cipolla, “Riecco palazzo Onigo svelato per H&M e
Zara è alle porte” in La Tribuna di Treviso, 22 luglio 2014.
“Terminati i lavori a Palazzo Onigo: ecco H&M, ma Zara è alle
porte”, Treviso today, 22 luglio 2014.
“Palazzo Onigo si prepara ad accogliere il megastore di H&M”,
in Oggi Treviso, 12 dicembre 2013.
“Palazzo Onigo, tetto raddoppiato”, in La Tribuna di Treviso, 12
dicembre 2013.
“Palazzo Onigo tornerà al suo splendore: aprirà un megastore
di abiti”, in Treviso today, 11 ottobre 2013.
“Venduto palazzo Onigo, il futuro è targato H&M”, in Oggi Treviso, 28 febbraio 2013.
“Il comune vende: palazzo Onigo all’asta”, Veneto uno.it, 3 agosto 2012.
Valentina Dal Zilio, “Caffè, bistrot e H&M all’ex Brek”, in Corriere del Veneto.it, 28 luglio 2012.
“Piano alienazioni – immobile Palazzo Onigo”, Comune di Treviso, Settore Pianificazione Territoriale e Urbanistica, novembre 2011.
08
N.03 NOV-DIC 2014 53
VOGLIO FARE L’ARCHITETTO
Architettura di
carta
La paper tube structure di Shigeru Ban
L
di Diletta Zonzin*
a prima volta in
cui ho sentito
parlare di architettura in carta
ammetto di aver
fatto piuttosto fatica ad immaginare
una casa o un qualsiasi altro edificio
costruito con uno dei materiali tra i più
fragili a cui riesco a pensare. Ad oggi
devo dire che, pur avendo convinto me
stessa che ebbene sì, si può fare, faccio
molta fatica a convincere della medesima cosa più o meno tutte le persone
alle quali racconto della mia tesi sull’architettura in tubi di carta.
Non si può negare, in effetti, che risulti difficile pensare alla carta come
ad un qualcosa in grado di sostituirsi
al calcestruzzo, al legno o al mattone.
La realtà dei fatti tuttavia è ben diversa:
l’architetto pioniere dell’architettura di
carta Shigeru Ban (www.shigerubanarchitects.com) ha realizzato infatti negli
ultimi anni decine di costruzioni in Paper Tube Structure (PTS).
Ciò che forse rende difficoltoso convincere gli altri di questa particolare
tecnologia è che i tubi di carta sono effettivamente presenti nella quotidianità
di tutti. La cosa curiosa è che il pro-
cedimento con cui vengono prodotti i
tubi strutturali della PTS non è poi così
diverso da quello con cui si producono
i tubi per la carta dei plotter piuttosto
che quelli della carta da cucina. Bisogna poi tener presente che la tecnologia con cui vengono prodotti i tubi
non è recente né tantomeno innovativa
ma, al contrario, nel corso dei decenni è
rimasta pressoché invariata. Il procedimento di realizzazione dei tubi di carta
parte da lunghissime strisce di carta per
lo più riciclata che vengono avvolte e
incollate tra loro. L’unico fattore che
rende in qualche modo innovativo
questo processo è l’utilizzo di diversi additivi che forniscono al prodotto
specifiche caratteristiche e prestazioni
per ottenere prodotti da costruzione
all’avanguardia. L’aggiunta degli additivi può rendere infatti il prodotto finale
più resistente a curvatura, a compressione o taglio, più compatto e resistente
all’acqua e al fuoco. A questo proposito
la domanda che mi viene fatta più spesso è se i tubi si sciolgono alla pioggia
oppure se prendono fuoco facilmente.
In realtà ciò avviene con estrema difficoltà in quanto gli additivi utilizzati
rendono i tubi idrorepellenti ed ignifu-
01
54 OFFICINA*
la durata di un edificio non ha a
che fare con la durata del materiale che lo costituisce
ghi (le prime opere di Shigeru Ban, per
esempio, sono spesso trattate con la paraffina per renderle resistenti all’acqua).
Una domanda che però sorge spontanea è “perché mai bisognerebbe
scegliere di costruire con la carta?”.
La prima ragione è il costo: produrre
tubi di carta costa relativamente molto
poco e certamente avere un prodotto
economico in sostituzione di uno più
costoso, a parità di prestazioni, è sicuramente un fattore non di poco conto.
Diminuisce sensibilmente il costo di
costruzione anche il fatto di utilizzare
elementi leggeri, facili da trasportare,
da montare e da smontare.
Oltre ad essere economici, i tubi di carta sono anche di facile realizzazione,
possono essere prodotti in qualunque
formato, diametro e spessore, possono
essere resi ignifughi e resistenti all’acqua, sono ecologici, riutilizzabili e riciclabili e inoltre all’interno contengono
aria e garantiscono quindi un certo isolamento termico.
Come afferma spesso l’architetto Shigeru Ban, la durata di un edificio non
ha a che fare con la durata del materiale che lo costituisce. Questa sua celebre affermazione è basata sul principio
02
N.03 NOV-DIC 2014 55
il principio della PTS consiste nel
poter costruire con un materiale
debole strutture estremamente
resistenti
per il quale ogni materiale è diverso
rispetto agli altri e di conseguenza va
trattato come tale. Anche se i tubi di
Shigeru Ban posti all’aperto possono
durare molto a lungo non significa che
possano essere utilizzati in maniera inconsapevole: come tutti i materiali da
costruzione vanno in qualche modo
protetti dalle intemperie. Un esempio
è la Paper House che Ban ha costruito per sé sulle rive del lago Yamanaka
in Giappone con dieci tubi di carta che
supportano il carico verticale e ottanta
tubi interni che supportano le spinte
laterali. Questo edificio, se si osserva-
no con attenzione le foto, è quasi totalmente racchiuso in una sorta di scatola
di vetro.
Bisogna poi tenere a mente che, come
avviene per le costruzioni in legno, nel
caso in cui una parte della struttura
venga danneggiata, questa può essere
facilmente sostituita in quanto tutte le
giunzioni sono realizzate a secco e consentono di montare e smontare le varie
parti dell’architettura con facilità.
Per questa ragione diventa in un certo
senso inutile parlare di durata maggiore o minore della carta rispetto ad un
altro materiale. I fattori in gioco sono
03
56 OFFICINA*
non solo la durata del materiale in sé,
ma anche come è costruito l’edificio
in questione, come viene protetto, la
possibilità di sostituzione di parti, il
costo che ne deriva, la facilità con cui
può essere effettuata tale sostituzione
e così via. Ne consegue che un edificio
costruito con un materiale più durevole
possa avere addirittura una vita inferiore a quella di un edificio costruito con
la carta: il principio della PTS consiste
nel poter costruire con un materiale debole strutture estremamente resistenti.
I tubi di carta non solo sono un prodotto economico ma anche ad un prodotto
sostenibile in quanto la materia prima
da cui vengono prodotti è la carta da
macero che si ottiene dal riciclo di carta e cartone o, ancor meglio, dal riciclo
dei tubi stessi. La scelta di costruire in
carta limita al meglio lo spreco di risorse e assolve alle esigenze di riciclo
in quanto il tubo compie un cosiddetto
“ciclo chiuso” di produzione e riuso,
realizzando materiali uguali a quelli dismessi. Costruire con la carta è, a tutti
gli effetti, un costruire sostenibile.
Uno degli aspetti più convenienti che
caratterizzano l’impiego della PTS è
certamente la possibilità di smontare
e poi rimontare una costruzione. Questa caratteristica offre sia la possibilità
di spostare un edificio da un luogo ad
un altro ma anche, più semplicemente,
di sostituire facilmente pezzi o intere
parti della struttura per esigenze di
varia natura. La PTS è infatti caratterizzata da una metodologia costruttiva che richiede un montaggio a secco
piuttosto semplice, basti pensare che è
stata utilizzata in diverse occasioni in
cui il montaggio della struttura doveva
essere effettuato da parte di personale
non qualificato come nel caso di edifici temporanei costruiti in zone colpite
da disastri naturali o nel caso in cui il
montaggio fosse affidato a volontari o
studenti. Proprio questo è stato il caso
della Paper Church realizzata a Kobe
in Giappone dopo che il terremoto
distrusse completamente la chiesa precedente. Questa nuova chiesa/centro
sociale fu realizzato in sole cinque settimane esclusivamente da 160 volontari
non qualificati, ciò fu possibile grazie
all’estrema semplicità della costruzione
stessa. La struttura della chiesa che doveva essere temporanea diventò a tutti
gli effetti permanente quando nel 2005
fu smontata e rimontata in maniera definitiva a Taiwan.
La possibilità di smontare e rimontare
la PTS favorisce in effetti il suo impiego in tutti gli edifici temporanei che
ospitano mostre, fiere e installazioni,
negli edifici per le emergenze e negli
edifici che hanno bisogno di garantire
un’adeguata flessibilità. Inoltre, laddove le diverse componenti della struttura non fossero necessarie in un futuro
immediato, possono essere facilmente
riposte e conservate in magazzini o
container senza occupare molto spazio nell’attesa di un nuovo utilizzo.
04
costruire con la carta
è, a tutti gli effetti, un
costruire sostenibile
N.03 NOV-DIC 2014 57
05
Un esempio è il caso del Paper Theater, una cupola geodetica costituita da
circa 700 tubi uniti tra loro da giunti
d’acciaio con la funzione di teatro temporaneo realizzato per accogliere una
performance di poche settimane. L’intera struttura fu completata in tre mesi,
compreso il tempo di preparazione dei
tubi in cartone, dei sistemi di aggancio
in acciaio e della copertura a membrana. Il progetto risulta essere a tutti gli
effetti un kit di montaggio e smontaggio per una struttura temporanea mobile: fu costruita prima ad Amsterdam
nella primavera del 2003, dove rimase
per le sei settimane richieste, successivamente fu smontato e nell’estate del
2004 venne rimontato a Utrecht con la
funzione di spazio multiuso, qui rimase fino alla primavera del 2012 e venne
quindi smontato nuovamente in attesa
di essere rimontato per la terza volta ad
Amsterdam.
Nota dolente per l’utilizzo della PTS,
perlomeno in Italia, è la questione delle normative che nel nostro paese sono
estremamente restrittive. Al contrario,
in Giappone la carta è a tutti gli effetti
58 OFFICINA*
considerata ed utilizzata come un materiale strutturale. Ciò è stato possibile
in quanto Ban nel 1994 iniziò la costruzione della Paper House con lo scopo
principale di far entrare i tubi di carta
nella normativa giapponese. In Giappone infatti se un edificio viene costruito
con una metodologia innovativa ha bisogno di una certificazione che garantisca, tramite test ed accertamenti, che
la struttura soddisfi o superi particolari
requisiti. Nel caso della Paper House le
autorità locali imposero controlli e test
con cadenza mensile per il primo anno
e più distanziate nel periodo successivo. Nel 1993 questo processo ha fatto sì
che i tubi di carta fossero autorizzati dal
Ministero giapponese della costruzione
come materiale strutturale che può essere utilizzato anche per edifici permanenti che rientrano nell’Articolo 38 della
Building Standard Law of Japan.
* Diletta Zonzin, Architetto, Laureata
in Architettura per la Costruzione presso
l’Università Iuav di Venezia.
E-mail: [email protected]
NOTE
I contenuti e le immagini sono tratte dalla tesi di Laurea Magistrale in Architettura per la Costruzione di Diletta Zonzin
dal titolo “Architettura di carta”, relatore
MariaAntonia Barucco, discussa nel 2013
presso l’Università IUAV di Venezia.
IMMAGINI
01 - Shigeru Ban, Paper House, Lake Yamanaka, Giappone, 1995.
02 - Shigeru Ban, Paper House, Lake Yamanaka, Giappone, 1995 – dettaglio.
03 - Shigeru Ban, Paper Church, Kobe,
Giappone, 1995.
04 - Shigeru Ban, Paper Church, Kobe,
Giappone, 1995 – fase di montaggio.
05 - Shigeru Ban, Paper Theater, Amsterdam, Olanda, 2003 – Assemblaggio della
struttura.
06 - Shigeru Ban, Paper Theater, Amsterdam, Olanda, 2003 – Vista dell’interno.
06
Stamperie
private in Italia:
fra tradizione e
modernità
U
na
stamperia
privata è un micromondo dove
generalmente una
o poche persone
lavorano unendo con abilità il mestiere
di tipografo, stampatore ed editore, il
tutto finalizzato alla creazione di qualcosa di unico e pregiato: libri realizzati
con tecniche artigianali, come la composizione a caratteri mobili (Img.01), la
stampa in torchio e la rilegatura manuale. Le edizioni, estremamente curate,
diventano così piccole perle immerse
nel mare dell’editoria contemporanea,
dominata dalla produzione in serie.
di Claudia Tavella*
più alla qualità che alla quantità e la
cura artigianale divenne assoluta.
Ancora oggi esiste un movimento delle
stamperie private anche in Italia, poco
conosciuto ma allo stesso tempo affascinante e ricco di nomi illustri.
Alessandro Zanella (Img. 02), recentemente scomparso in modo improvviso, si poteva considerare il più grande
stampatore dei nostri tempi: realizzava
le sue edizioni a Santa Lucia ai Monti,
tra le colline veronesi, stampando con
il suo torchio1 sotto l’insegna Ampersand. Per ogni libro seguiva un per-
corso libero, studiando nuove forme
ed equilibri, senza mai dimenticare
un’impostazione classica come base. Le
sue produzioni, sempre a tiratura limitata, presentano generalmente un testo
inedito poetico o in prosa, accostato a
delle opere di artisti di fama internazionale, come Joe Tilson, Guido Strazza
o Mimmo Paladino. Tra le uscite degli
ultimi anni Poesie Verticali (Img. 03) è
sicuramente un titolo da menzionare:
quattordici poesie di Maria Luisa Spaziani, a cui si affiancano sette immagini incise a rilievo su matrice sintetica
e svolte su più pagine dell’artista Ma-
Il private press movement nasce in Inghilterra verso la fine dell’Ottocento,
quando tutto sembrava prendere la
strada dell’industrializzazione. William
Morris, designer inglese di successo,
mise al centro delle sue idee il recupero
dell’artigianalità e diede vita a questo
fenomeno, le cui idee avrebbero contribuito a cambiare lo stile editoriale del
Novecento.
Nel campo tipografico tutto il procedimento della creazione del libro tornò
ad essere manuale, si iniziò a puntare
01
60 OFFICINA*
rina Bindella. Il volume colpisce per la
struttura innovativa e per lo sviluppo
imprevisto, che obbliga il lettore a spostare lo sguardo in direzioni non convenzionali per un libro.
Altra realtà importante nel filone veronese è l’Officina Chimérea, avventura tipografica di Gino Castiglioni e
Alessandro Corubolo (Img. 06), che,
coltivando la loro passione giovanile
per la poesia arrivarono ad essere una
tra le stamperie italiane più raffinate.
Nelle loro produzioni i punti di forza
sono l’impressione impeccabile dei te-
02
sti e un approccio al progetto sempre
inaspettato, essendo ognuno un’opera
indipendente.
Ricordiamo il testo Alterego e altre ipotesi
(Img. 05) di Roberto Sanesi, con cinque acquetinte di Enrico Baj. Datato
1970, il testo esce in un volume curatissimo in un contenitore con telai in
legno foderati con tela. Il testo, composto in Bauer Bodoni, è impaginato in
modo insolito ma armonico e le opere
originali colpiscono il lettore per la loro
freschezza.
Se il filone veronese affonda le sue ra-
dici in una tradizione quasi centenaria
e legata al concetto di libro in senso più
classico, i protagonisti dell’area milanese sono molto legati al mondo dell’arte e presentano uno stile più vivace e
scherzoso. Tra i tanti possiamo ricordare Lucio Passerini che gestisce con
passione le Edizioni del Buon Tempo,
Luciano Ragozzino con le sue Edizioni
de Il Ragazzo Innocuo e Alberto Casiraghi, padre delle Edizioni Pulcinoelefante.
Quest’ultima è una realtà insolita anche
nel piccolo mondo delle stamperie pri-
sollevando la carta dal carattere
si mostra l’impressione del segno, netta e incisa, è un lampo la
sua forma nera ancora lucente, e
il desiderio è quello di sfiorarla in
punta di dita per valutarne al tatto
la qualità. Soddisfazione e piacere
03
N.03 NOV-DIC 2014 61
04
vate italiane: Casiraghi, in arte Casiraghy, è una personalità vulcanica, la cui
vita è mossa dall’amore per la poesia,
che traspare in ogni suo gesto. La sua
casa editrice venne fondata nel 1982 e
da allora Casiraghi fa uscire quasi quotidianamente piccoli libricini che basta
prendere in mano per sentire l’anima
volare leggera: un breve testo, un aforisma o una citazione si accosta per affinità ad una piccola opera originale, una
stampa, una fotografia o un oggetto.
Una definizione delle più azzeccate gli
è stata data dall’amico Vanni Scheiwiller: “Il panettiere degli editori: l’unico
che stampi in giornata.”2 Ama definirsi
in questo modo anche lui stesso, testimonianza che si può continuare a vivere di poesia anche ai nostri giorni.
Osservando queste realtà che sembrano ferme in un’epoca lontana, si
accendono numerose considerazioni.
Innanzitutto nell’ambiente italiano si
nota come gli stampatori sopravvivano grazie a piccoli circoli di bibliofili
che continuano a seguirli in ogni passo
05
62 OFFICINA*
della loro attività. Le loro conoscenze
diventano fonti rare di saperi antichi,
frutto dell’opera e della dedizione di
molti anni, che li porta ad andare contro qualsiasi criterio commerciale rovesciando le logiche di mercato dell’editoria tradizionale.
Il fine dei pochi private printers odierni
non è quello di rifiutare l’avanzare della
tecnologia e sostituire la praticità delle nuove invenzioni nel campo della
stampa, ma piuttosto creare e mantenere un rapporto diverso tra libro e lettore, che regali a quest’ultimo emozioni
profonde.
Cambia in modo significativo il rapporto che una persona può avere con
l’attività tipografica, che recupera la sua
originaria semplicità e si trasforma in
pura materia tangibile. La vera differenza tra una stampa a caratteri mobili
e una stampa con una macchina offset
si vede nel tipo di produzione: da artigianale, curato in ogni dettaglio con
l’unico intento di realizzare un’opera
impeccabile, ad industriale, più legato
al mercato e quindi con un certo ri-
la perfezione di registro, il nero intenso
dell’inchiostro, la purezza della carta, sono
qualità che l’occhio
umano arriva ad individuare in un manufatto
solo una volta scoperto
questo mondo segreto
06
guardo anche nei confronti dell’aspetto
economico. Anche la lingua italiana si è
adattata alla digitalizzazione della tipografia: da ‘morso’ del carattere, termine
che si usava per definire il momento in
cui la carta veniva segnata dai caratteri
in piombo appena inchiostrati, si è passati a ‘bacio’, dato dalle macchine offset, che toccano appena la superficie,
facendo quindi perdere la sensazione
tattile di riconoscere le lettere appena
impresse nel foglio di carta sfiorandolo
appena.
Innegabile è la qualità e la perfezione
che si ottiene gestendo in modo sapiente una stampa manuale, risultato ancora irraggiungibile con i mezzi digitali
nonostante i miglioramenti che si susseguono giorno dopo giorno. La perfezione di registro, il nero intenso dell’inchiostro, la purezza della carta, sono
qualità che l’occhio umano arriva ad
individuare in un manufatto solo una
volta scoperto questo mondo segreto.
Da parte dello stampatore, il diletto di
poter creare un oggetto prezioso e duraturo con le proprie mani, seguendone
ogni aspetto dall’ideazione alla fase finale, acquista quasi un valore mistico.
Come affermava Zanella: “Sollevando
la carta dal carattere si mostra l’impressione del segno, netta e incisa, è un
lampo la sua forma nera ancora lucente, e il desiderio è quello di sfiorarla in
punta di dita per valutarne al tatto la
qualità. Soddisfazione e piacere.”3
*Claudia Tavella è calligrafa e graphic designer presso lo studio Ivat&Klerb, Milano.
www.claudiatavella.com
IMMAGINI
cortesia di Claudia Tavella
01 - Alessandro Zanella alla composizione
manuale a caratteri mobili.
02 - Alessandro Zanella al lavoro sul torchio Stanhope.
03 - Poesie Verticali, Edizioni Ampersand.
04 - Edizioni Pulcinoelefante, copie del
Centro Apice dell’Università degli Studi di
Milano.
05 - Copertina del libro Alterego e Altre Ipotesi di Roberto Sanesi, Officina Chimérea,
copia della Biblioteca Civica di Verona.
06 - Alessandro Corubolo e Gino Castiglioni con il loro torchio Albion (autori
Enzo e Raffaello Bassotto).
NOTE
1 - Il torchio di Zanella è un modello Stanhope, costruito dalla ditta Amos
Dell’Orto di Monza nel 1854. Amos
Dell’Orto fu colui che ebbe maggior successo nella costruzione di torchi tipografici in ghisa in Italia, probabilmente per
l’alta qualità dei suoi prodotti che resero
la sua città e in modo più esteso l’intera
Lombardia, il più importante centro di
produzione di attrezzature tipografiche
nel corso dell’Ottocento. I due modelli in
produzione da lui e dalle altre ditte italiane furono lo Stanhope e l’Albion, entrambi
costruiti per la prima volta in Inghilterra
nei primi anni dell’Ottocento.
2 - Vanni Scheiwiller, Edizioni Pulcinoelefante, catalogo generale 1982-2004, Milano, Libri Scheiwiller, 2005, p. 1.
3 - Alessandro Zanella, Stampare ad Arte,
Alessandro Zanella tipografo ed editore ,
a cura di Marina Bindella, Verona, novembre 2009, p. 19.
N.03 NOV-DIC 2014 63
Cataste d’Africa
Il progetto di un processo circolare
L
a mostra AFRICA Big Change
Big Chance racconta l’Africa, le
sue
trasformazioni e le sue potenzialità. Una descrizione completa curata dal prof. Benno
Albrecht, la cui volontà è stata anche
quella di rendere la mostra un’occasione
concreta non solo per studiare la storia
ma anche per progettare il futuro. Per
questo motivo i tavoli dell’allestimento
sono stati realizzati con prodotti da costruzione i quali, una volta disallestista
l’esposizione, verranno reimpiegati in
Africa.
La selezione dei materiali da costruzione più adatti a questo scopo e il disegno dei tavoli catasta, sono stati svolti
in ArTec (Archivio delle Tecniche e dei
Materiali per l’Architettura e il Disegno
Industriale, presso Iuav di Venezia). La
progettazione dei tavoli catasta è stata
frutto dello studio delle varie caratteristiche dei prodotti: questa è stata una
fase essenziale del lavoro al fine di ottimizzare le scelte, le quantità di materiale e le lavorazioni, e consentire infine
lo smontaggio dei tavoli catasta, il trasporto degli elementi e il loro riuso.
64 OFFICINA*
di Margherita Ferrari*
Il disegno delle strutture di allestimento
invece si è ispirato alle caratteristiche geometrie dell’arte africana che hanno determinato la disposizione degli elementi dei
tavoli catasta e il disegno dei prospetti.
I materiali impiegati si articolano in
prodotti dalla valenza strutturale, come
profili in acciaio sagomato a freddo e
travi in fibra di vetro con matrice in
resina termoindurente, e per tamponamento, come pannelli in fibre di legno
mineralizzate e legate con cemento,
pannelli alveolari in policarbonato e
pannelli in fibra di vetro con matrice in
resina termoindurente.
il costo dei materiali
in termini di energia,
di impatto ambientale
e di materia
Marco Introini
01
02
N.03 NOV-DIC 2014 65
66 OFFICINA*
PANNELLI IN FIBRE DI LEGNO MINERALIZZATE E LEGATE CON CEMENTO
ELEMENTI IN CARTONE ALVEOLARE
I pannelli sono costituiti da fibre di legno, generalmente di abete, che attraverso un processo
di mineralizzazione sono più durature. Le fibre
sono a loro volta legate con cemento, il quale
rende il pannello compatto e stabile, conferendogli capacità di isolamento termico. Grazie
agli interstizi tra le fibre di legno, il pannello
risulta essere un ottimo materiale per l’assorbimento acustico.
Gli elementi sono costituiti da un’anima in nido
d’ape, rivestita da due strati esterni di irrigidimento. In base alle necessità, il profilo può essere più o meno rigido a seconda delle geometrie , degli strati e del tipo di carta impiegata.
I profili utilizzati per l’allestimento possono essere reimpiegati per realizzare arredi interni.
Marco Introini, riproduzione parziale
Marco Introini, riproduzione parziale
I materiali
PROFILI IN ACCIAIO SAGOMATI A FREDDO
PANNELLI ALVEOLARI IN POLICARBOANTO
Il prodotto permette di realizzare strutture
leggere e resistenti, grazie alla composizione
del materiale stesso. I profili impiegati in questo allestimento sono indicati soprattutto per
realizzare partizioni orizzontali.
I profili vengono impiegati come montanti e
traversi per creare telai autoportanti, adatti
per nuove costruzioni o ampliamenti. Questo
sistema costruttivo permette inoltre di impiegare differenti tecnologie e scegliere dunque la
più idonea al contesto edilizio.
Questi elementi sono caratterizzati da durabilità e leggerezza, in grado di filtrare la luce
necessaria in base alle differenti gradazioni.
Ideali per coperture esterne e partizioni interne, i pannelli si assemblano tra loro per mezzo
di un incastro maschio-femmina che conferisce loro stabilità.
Marco Introini, riproduzione parziale
Marco Introini, riproduzione parziale
MariaAntonia Barucco
PROFILI E RIPIANI N FIBRA DI VETRO CON
MATRICE IN RESINA TERMOINDURENTE
N.03 NOV-DIC 2014 67
Mining/materials manufacturing
Parts manufacturer
Product manufacturer
Recycle
ArTec
Refurbish/
remanufacture
Reuse/redistribute
Maintenance
Il progetto dei tavoli catasta si basa sul
concetto del processo circolare che mira
prima di tutto a superare la mentalità
basata sull’idea di usa e getta di un prodotto, e punta a un riutilizzo dello stesso.
In questo progetto i materiali impiegati
sono statai studiati fin dal loro processo di
produzione, per poterlo ottimizzare e impiegare elementi a misure standard, riducendo così al minimo ulteriori lavorazioni.
Insieme alle aziende fornitrici è stato valutato anche il sistema di assemblaggio,
per poter compromettere il meno possibile la qualità del prodotto e agevolare le
fasi di allestimento e smontaggio.
Terminata la mostra, le cataste saranno
smontate e gli elementi saranno inviati in
Africa per poter essere impiegati direttamente nell’edilizia locale. Il processo
circolare non termina qui, anzi si sviluppa
ulteriormente poiché i materiali una volta
utilizzati, potranno essere soggetti a processi di reimpiego e di manutenzione nel
caso di materiali durevoli.
Immagine elaborata da Chiara Trojetto,
in riferimento a “Adapted from the Cradle
to Cradle Design Protocol by Braungart &
McDonough” Ellen McArthur Foundation.
La progettazione delle cataste si è basata sull’ottimizzazione della produzione
degli elementi, impiegando prodotti a
misure standard, riducendo al minimo
lavorazioni quali il taglio degli elementi e utilizzando anche le parti di scarto
risultanti da questi processi. Inoltre, le
connessioni a secco impiegate tra gli
elementi hanno permesso un rapido
smontaggio delle componenti, senza
comprometterne le proprietà e facilitandone il reimpiego nel contesto africano.
Ciò che accomuna tutti i materiali per
l’edilizia selezionati per questo allestimento è lo studio del loro ciclo di vita,
inserito in uno schema di processo circolare. Tale studio ha lo scopo di valutare il costo dei materiali in termini
di energia, di impatto ambientale e di
materia. Tale costo non deve essere un
peso per l’ambiente e un probema per
chi lo impiega. Tale costo può invece
essere considerato un valore, a disposizione per realizzare buona architet-
68 OFFICINA*
tura1.
degrado della loro qualità3.
Il progetto di un processo circolare
mira inoltre a sradicare una mentalità
legata alla visione usa e getta, di tipo
lineare e incorporata nella maggior
parte delle produzioni industrializzate di oggi. Il progetto di un processo
circolare mira a sradicare i rifiuti non
solo dai processi di produzione ma in
modo sistematico, nel corso dei cicli di
vita e degli usi dei prodotti e delle loro
componenti 2 .
Di conseguenza tutto ciò che è realizzato con materiali durevoli (come i metalli e la maggior parte delle plastiche)
deve essere quello del riuso e della riqualificazione per l’adattamento a nuove possibili applicazioni, per il maggior
numero possibile di cicli di vita. L’obiettivo per i prodotti che deperiscono
è la riciclabilità, prestando attenzione a
distinguere tra subriciclo, che reimpiega
la materia dedicandola ad altre funzioni
con evidente dispersione di energia, e
riciclo, che trasforma i materiali senza il
L’utilità di questi prodotti non si riduce al loro stesso riutilizzo, ma si ripercuote sul processo produttivo intero, il
quale può trarre vantaggio da questo
specifico contesto e dare inizio dunque
a una serie di processi analoghi.
*Margherita Ferrari è architetto, assegnista di
ricerca presso Iauv di Venezia. Nel corso degli anni universitari ha approfondito gli studi
relativi ai sistemi costruttivi a secco, e attualmente svolge attività di ricerca sul sistema in
profili in acciaio sagomati a freddo.
E-mail: [email protected]
NOTE
1, 2, 3 - M.A. Barucco, Il senso dei materiali,
in “Africa Big Change Big Chance”, a cura
di Benno Albrecht, catalogo della mostra,
2014
IMMAGINI
01 - La mostra è organizzata in sezioni,
allestita con plastici stampati in 3D, fotografie, progetti e video: a supporto di questi ci sono i tavoli catasta. In primo piano
la catasta realizzata con profili in acciaio
sagomato a freddo.
02 - Vista frontale e laterale del tavolo
catasta realizzato con profili in acciaio sagomato a freddo.
03 - Interno della mostra. La sequenza dei
tavoli catasta realizzati con differenti materiali, sia di valenza strutturale che per
tamponamento.
PER APPROFONDIRE
Maggiori informazioni sulla mostra
AFRICA Big Change Big Chance disponibili su www.triennale.it
Le foto pubblicate in questo articolo
sono di Marco Introini
marcointroini.net.
Si ringraziano le aziende che hanno
collaborato al progetto Tavoli Catasta:
CELENIT S.p.A.
pannelli in fibre di legno mineralizzate
e legate con cemento
MOVE s.r.l.
pannelli e ripiani in cartone alveolare
per realizzazione di tavoli tondi
PCR s.r.l.
travi e ripiani in fibra di vetro con matrice in resina termoindurente
RODECA Italia
pannelli alveolari in policarbonato
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N.03 NOV-DIC 2014 69
02
IMMERSIONE
L’abbandono edilizio
ed urbano a Verona
Domande, studi e tentativi di riuso temporaneo
S
pesso sono le domande che ci poniamo, i
nostri interrogativi, le nostre curiosità, che
delineano e determinano i nostri percorsi
e le nostre attività.
Proprio dal desiderio di individuare risposte alle numerose domande relazionate all’abbandono
edilizio, una delle più interessanti attuali dinamiche urbane,
nasce nel settembre 2012 l’Associazione di Promozione Sociale A.G.I.L.E. Un’associazione composta in buona parte
da architetti ed ingegneri, ma che contempla al suo interno
anche un sociologo ed un organizzatore di eventi e servizi
per lo spettacolo.
Le domande occupano diversi periodi temporali, dal passato: “Perchè questo spazio è stato abbandonato?”; al presente:
“Cos’è uno spazio in disuso e cosa implica?”; fino ad arrivare ad un propositivo futuro: “Come si può trasformare?”,
“Cosa può diventare?”.
Domande che scaturiscono dal desiderio di essere parte attiva nella propria città, di poter modificare, seppur in maniera
limitata, i luoghi che frequentiamo quotidianamente. Ed è
proprio nello spazio abbandonato che si esprime al meglio
questa necessità di trasformazione.
Gli spazi in disuso rappresentano un luogo incompiuto,
mancante di una conclusione, non più consolidato nella città. Spesso questi luoghi producono un fascino architettonico
ed urbano notevole, proprio in virtù di possibili evoluzioni.
Il fascino della “presenza dell’assenza” che evoca sogni, desideri e anche speranze.
Riconosciuta la potenzialità di questi spazi, è stato avviato,
con l’appoggio del Comune di Verona, dell’Ordine degli Ar-
70 OFFICINA*
di Michele De Mori*
01
chitetti di Verona e dell’Ordine degli Ingegneri di Verona,
un programma atto al riuso temporaneo di alcuni spazi comunali, seguendo un duplice obiettivo: sensibilizzare sulle
potenzialità di questi luoghi e mostrare, concretamente, il
possibile inserimento di nuove funzioni.
Nella prima attività, settembre 2012, è stata proposto un
incontro/dibattito sullo sviluppo dell’area Sud di Verona
attrezzando l’area sottostante il cavalcavia di Viale del Piave, situato tra gli ex Magazzini Generali e la ex Manifattura Tabacchi. Alla conferenza si è unita la presentazione
dei risultati di un workshop, organizzato dall’Ordine degli
Architetti in collaborazione con l’ETSAV di Barcellona, e
delle passeggiate urbane alla scoperta dell’interessantissimo
patrimonio industriale presente nella zona. L’Obiettivo primario era far percepire la potenzialità dello spazio, anche in
relazione con i futuri interventi di riqualificazione dell’intero
comparto Sud.
A seguito della manifestazione l’area è stata trasformata in
una “palestra/laboratorio” per artisti, dove oggi possono
liberamente utilizzare le pareti verticali della struttura per
realizzare le proprie opere.
A questo primo episodio ha fatto seguito, nel maggio 2013, la
riapertura temporanea del sottopassaggio pedonale di Porta
Vescovo chiuso da diversi decenni. L’infrastruttura, situata
nella zona Est della città è nata per migliorare la viabilità del
nodo stradale, oggi ha perso completamente la sua originale
funzione diventando un grande attrattore di criticità.
Per tre giorni la struttura è tornata a vivere integrandosi
con nuove attività quali eventi culturali, musica in acustico, teatro, passeggiate urbane per i quartieri ed attività per
bambini. A seguito della grande adesione da parte della cittadinanza si è continuato ad utilizzare la struttura, nell’estate
del 2014, proponendo un cineforum su temi riguardanti il
paesaggio e l’architettura.
Il lavoro sull’uso temporaneo degli spazi ha portato ad analizzare ulteriormente il fenomeno dell’abbandono. Come
si può però discutere un fenomeno senza conoscerlo? Una
seconda serie di domande si è quindi resa necessaria per approfondire la problematica/risorsa dell’abbandono: “Quanti
spazi in disuso ci sono a Verona? Che caratteristiche hanno?
Che superficie occupano?”
Per rispondere a queste domande, tra il giugno 2013 e il febbraio 2014 è stato intrapreso un progetto di mappatura del
territorio del comune di Verona con lo scopo di censire e catalogare gli spazi abbandonati in questo determinato perio-
02
IMMAGINI
01 - “Passare sotto”. Tre giornate di riuso temporaneo del sottopasso pedonale di Porta Vescovo organizzato nel maggio 2013:
l’evento ha permesso di organizzare anche passeggiate urbane
nei quartieri limitrofi, per conoscerne la nascita e l’evoluzione.
02- “Oltre il vuoto”, evento di presentazione della mappatura dei
luoghi in disuso di Verona, organizzato il 20 giugno 2014 presso
Porta Vescovo, riaperta per l’occasione. Hanno partecipato anche
alcuni esponenti del Politecnico di Milano, dell’Università IUAV di
Venezia e dell’Università degli Studi di Trento, facenti parte del
progetto “Re-Cycle Italy”.
coniugare la disponibilità di superficie
priva di utilizzo con
la necessità di spazio
per nuove funzioni
do temporale, arrivando a definire il fenomeno con esattezza
sia nel numero di spazi che nella superficie occupata.
L’abbandono e il conseguente recupero sono fenomeni estremamente dinamici: oggigiorno ad alcuni mesi dalla conclusione del censimento, alcuni edifici sono in fase di recupero
mentre altri sono caduti in disuso. Nonostante ciò lo studio
ha permesso di definire un punto di partenza per ulteriori
N.03 NOV-DIC 2014 71
lavori di censimento, al fine di poter realizzare delle serie
storiche a scadenze definite.
Come prima operazione si sono stabiliti dei parametri per
permettere una oggettiva identificazione degli spazi; ad
esempio, si sono selezionati solo edifici terra cielo e non appartamenti sfitti, oppure si è introdotta la voce “sottoutilizzo” per evidenziare situazioni dove le attività erano estremamente ridotte in rapporto alla superficie.
La mappatura ha portato all’individuazione di 555 spazi, per
una superficie complessiva di 2.636.570 m². Un numero importante, che è stato localizzato esattamente all’interno del
territorio cittadino, permettendo di evidenziare, in modo
preciso, le dinamiche di disuso più evidenti.
La dinamica sicuramente più interessante sul territorio, nonché oggetto di dibattito da innumerevoli anni, è la dismissione delle aree militari, siano esse fortificazioni o caserme.
Un totale di circa 845.000 m² disposti in modo concentrico
intorno alla città.
Una seconda dinamica è rappresentata dalla dismissione industriale che comprende circa 1.000.000 di m², superficie
risultante in parte grazie alla grande estensione di pochi stabilimenti.
Si sono evidenziate due tipologie: sia ampie aree, localizzate
in punti strategici del territorio, sia fabbricati di piccola/media dimensione inseriti nel contesto cittadino.
72 OFFICINA*
L’analisi ha individuato anche un ampio numero di edifici
residenziali, per una superficie totale più limitata rispetto
alle altre due categorie citate: circa 173.000 m². Se nella maggior parte dei casi si tratta di vecchi fabbricati che richiedono
costosi interventi per ritornare abitabili, nel contempo però
troviamo nuove edificazioni ai margini della città mai completate poichè invendute.
Il lavoro di mappatura ha messo in evidenza, soprattutto
per le aree di grandi dimensioni, la necessità di una attenta
pianificazione territoriale che deve svilupparsi secondo un
concetto di rete e condivisione delle necessità della città.
A conclusione della mappatura è stata attivata una “Fase 2”,
ossia la presa di contatto con realtà cittadine (associazioni,
gruppi informali, professionisti) che sono alla ricerca di uno
spazio per le proprie attività. La “Fase 2” è attualmente in
esecuzione e mira a coniugare la disponibilità di superficie
priva di utilizzo con la necessità di spazio per nuove funzioni.
Gli ostacoli che si stanno evidenziando sono però notevoli,
in parte legate alla difficoltà da parte della proprietà nel
percepire il vantaggio di un utilizzo temporaneo del proprio
immobile, soprattutto se indirizzato ad attività giovani
e creative; si preferisce lasciare in stato di abbandono il
proprio edificio, in attesa di tempi migliori, piuttosto che
tentare nuove strade.
La mappatura degli spazi e degli edifici
pubblici e privati, in disuso ed abbandonati del territorio cittadino veronese.
Da sinistra:
La locandina della Progetto Mappatura
e una delle tavole prodotte dalla ricerca, in questo relativa agli spazi militari
in disuso.
Il progetto di mappatura è stato realizzato dall’Associazione AGILE:
Michele De Mori, Emilia Quattrina, Giulio Cattazzo, Francesca Lui, Roberto
Tavella, Andrea Galliazzo, Alessandro
Scalia, Michela Angileri, Marco Buonadonna, Alberto Bragheffi, Silvia La
Face, Barbara Alberti, Filippo Olioso.
Con il patrocinio di:
Comune di Verona, Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Verona,
Ordine degli Ingegneri della Provincia
di Verona.
Con il contributo di:
Arredoluce S.r.l.
Una politica dell’immobilismo che, anche nel riguardo di
molti contenitori di proprietà comunale, ha portato solo al
deteriorarsi delle strutture architettoniche e ad aumentare il
degrado urbano di intere aree. Fortunatamente siamo ancora
in tempo per invertire questo processo.
*Michele De Mori è architetto e presidente dell’associazione A.G.I.L.E.
E-mail: [email protected]
spesso questi luoghi producono
un fascino architettonico ed urbano notevole, proprio in virtù di
possibili evoluzioni. Il fascino della
“presenza dell’assenza” che evoca
sogni, desideri e anche speranze
A.G.I.L.E. è una libera associazione di giovani che provengono
da differenti percorsi formativi (architetti, designers, sociologi…) costituita con lo scopo di stimolare, accrescere e diffondere l’interesse verso le dinamiche che intervengono sul
territorio Veronese, tanto architettonico-urbanistiche quanto
sociali. L’Associazione mira ad un costante confronto culturale
e professionale sul tema del Territorio con l’organizzazione di
ricerche, studi, dibattiti, incontri, mostre ed eventi culturali.
L’interesse di A.G.I.L.E. è particolarmente rivolto ai luoghi
abbandonati ed in disuso, ossia spazi strategici della città
e del territorio nei quali è possibile avviare oggi importanti
processi di rigenerazione urbana e di promozione di attività
culturali e sociali, in un ottica di miglioramento della qualità
di vita della comunità.Diventa fondamentale sensibilizzare la
cittadinanza sull’importanza ricoperta da questi luoghi cercando di evidenziare sia le singole positività sia la potenzialità
nel strutturare una rete che coinvolga l’intero territorio.
L’Associazione in seguito al lavoro di mappatura degli spazi in
disuso e abbandonati nel territorio cittadino, sta proseguendo
la propria attività sui risultati ottenuti da questo progetto
di ricerca. Nasce da qui “Il viaggio nell’abbandono”, una
rassegna dei più interessanti luoghi abbandonati di Verona,
nata in collaborazone con Alice Cristiano e la redazione di
Telenuovo.
Tutte le informazioni relative all’Associazione e alle loro attività
sono disponibili su www.associazioneagile.wordpress.com
N.03 NOV-DIC 2014 73
DECLINAZIONI
di Margherita Ferrari
Tessuto secondario, detto anche fellema, costituente la corteccia di grossi alberi e in particolare della quercia da sughero (Quercus suber).
Si estrae dalle piante per la prima volta e
prende il nome di sughero maschio, sugherone
o sughero vergine, quando il fusto ha raggiunto
la circonferenza di almeno 60 cm, misurato sopra scorza a 130 cm da terra; successivamente
l’estrazione avviene a turni di 9-12 anni ed è
chiamato sughero femmina, sughero gentile o
sughero di produzione. L’operazione può avvenire in un periodo di tempo compreso tra maggio e agosto, periodo in cui la zona generatrice
è in attività e le cellule appena formatesi sono
fragili, per cui il distacco avviene con relativa
facilità; il prelievo è eseguito dagli scorzini,
operai specializzati.
In edilizia viene utilizzato sia nella sua forma naturale, appositamente trattato, sia sotto
forma di agglomerato, come isolante o rivestimento. Il sughero femmina, mediante taglio a
mano o a macchina, è destinato alla fabbricazione di solette da scarpe , turaccioli, oggetti
d’arredamento, ecc; il sughero maschio alla
triturazione, insieme con gli scarti di lavorazione (cascami), per la formazione di pannelli
agglomerati, “neri” e “bianchi”.
Da “Dizionario dei materiali e dei
prodotti”, Dizionari di Architettura
UTET, 1998
74 OFFICINA*
Sughero /’sugero/ s. m.
N.03 NOV-DIC 2014 75
MICROFONO ACCESO
Architects of
Justice
di Francesca Guidolin*
Traduzioni di Arianna Garatti**
Abbiamo intervistato i tre giovani architetti fondatori dello studio AOJ
- Architects of Justice - di Johannesburg in Sud Africa.
L’interesse suscitato dal loro approccio alla progettazione architet�
tonica, espresso nel progetto SEED library, si inserisce nella loro
concezione di una “progressive architecture and design practice,
founded on the principle of creating bespoke, responsible, client cen�
tred architecture”1.Abbiamo posto loro delle domande che potessero
illustrare un punto di vista giovane e multiculturale...
Quali sono gli insegnamenti che avete tratto nella vostra esperienza
in quanto giovane studio di progettazione ?
Costruire con il meno possibile non solo come materiali ma anche come “skills”
(abilità). Una buona parte della manodopera con cui lavoriamo è al di sotto degli
“skills” necessari (underskills). Proprio per questi motivi il processo edilizio nel nostro contesto è molto complicato. Molte persone arrivano nel cantiere, vengono
assunte e licenziate, è una lunga ricerca. La questione da cui si parte, e che si può
espandere, è proprio “learn to build with less”.
Qual è l’importanza della tradizione per l’architettura che voi fate,
come giovane studio? In che senso vi ispira?
C’è ovviamente una storia post coloniale in Sud Africa e molte delle nostre città
sono state organizzate sulla tipologia delle città occidentali. Per vernacolare intendiamo il contesto architettonico antecendente a noi. 350 anni prima di noi.
In questo senso vi sono dei problemi riguardanti gli edifici più vecchi: essi sono
costruiti con un orientamento scorretto. Non capivano come orientare le case
perché il sole, differentemente dall’emisfero boreale è “north facing” e non “south
facing”. È più una questione di imparare dal clima e di fatto gli edifici che noi
stiamo facendo adesso sono molto diversi dagli edifici post-coloniali. In questo
76 OFFICINA*
01
02
senso, penso che la nostra architettura sia tornata indietro ai fondamenti, alla base
del costruire.
Che rapporto c’è tra i nuovi materiali, le nuove tecniche e la tradizio�
ne?
Fin’ora in nessun progetto abbiamo pensato alla tradizione nel senso di background
culturale. Quello che consideriamo invece sono i materiali che utilizziamo e la
modalità. Queste sono le cose primarie, rilevanti; forse non il vernacolare, ma il
contesto e la tradizione riguardano “con che cosa” le persone costruiscono e “in
che modo”. Ultimamente spesso guardiamo ai mezzi di costruzione prima che ai
materiali: cosa, come e quali mezzi possono essere accessibili in quell’area. Qualche volta addirittura consideriamo chi costruirà mentre disegnamo.
La forma è la funzione. Non si possono slegare le due cose. Quello che noi abbiamo disponibile e quello che abbiamo bisogno di fare.
Per esempio nella biblioteca SEED, dovendo costruire qualcosa di prefabbricato,
ci siamo rivolti a qualcuno che potesse realizzare queste cose. Non necessariamente la forma viene prima della funzione, ma dobbiamo chiederci se è possibile
realizzarlo, e assicurarci di questo prima di realizzarlo.
L’uso del colore. Qual è la funzione del colore, ha un valore psicolo�
gico?
Questa è una risposta facile: in questo progetto ad esempio, la SEED library, ha
un valore psicologico, perché è per bambini. In altri progetti usiamo il colore ma
si tratta solo di un plus. Se l’architettura è bella senza colori, quando ci metti il
colore diventa “amazing”. Per questa cosa abbiamo un designer che ci insegna che
quello che è bello in monocrome, si può trasferire a colori. È molto difficile disegnare in puri colori: non si comincia con un edificio rosso, ma con un edificio che
fa qualcosa per qualcuno. Il colore si aggiunge alla funzione.
Nella pratica, come gestite il rapporto con il cliente? Ad esempio,
se l’architettura è
bella senza colori,
quando ci metti il
colore diventa “amazing”
Lo studio di progettazione AOJ (Architects of Justice), viene fondato nel 2009
a Johannesburg in Sud Africa, da Mike
Rassmann, Alessio Lacovig e Kuba
Granicki.
Tra i progetti principali, l’Edenglen
Primary Resource Centre, il Raceway
Industrial Park, il Gondola Café dell’
Afriski Mountain Resort, e la biblioteca
SEED presso la MC Weiler Primary
School in Alexandra, Johannesburg.
Lo studio sviluppa un’attività poliedrica
nelle tipologie del residenziale, commerciale e culturale.
www.architectsofjustice.com
N.03 NOV-DIC 2014 77
03
come coniugate le necessità espresse dal cliente e le istanze di so�
stenibilità nel contesto in cui costruite?
Per il 98% i nostri clienti sono dei privati. Il progetto SEED, ad esempio, è una
donazione da parte di una compagnia del settore privato. Per il momento il Governo non supporta molto gli interventi architettonici in Sud Arica.
Per quanto riguarda l’iter progettuale, dal principio ci sediamo e cominciamo
a capire ciò che la committenza vuole. Cerchiamo delle idee che siano simili a
ciò che essi vorrebbero, considerando ciò che è possibile fare e sviluppiamo il
progetto assieme al cliente. In questo modo il risultato è che l’intero progetto è
un processo in cui educhiamo, ci confrontiamo con il committente…ovviamente
c’è la normativa, le istanze della buona pratica, questioni economiche che devono
essere prese in considerazione…è un continuo dialogo con il cliente, in modo da
fargli capire che stai pensando, a cosa stai pensando e a volte esporgli delle cose a
cui non avevano pensato, in modo da capire se vi siano cose che ha considerato e
non considerato..l’onestà con il cliente diventa una necessità.
Infine: tecnicamente, quali sono le difficoltà che avete riscontrato
quando siete stati in cantiere?
A volte produciamo dei documenti che non sempre sono recepiti in cantiere. Ci sono
persone che dicono che possono fare certe cose e quindi concludi il contratto, e poi
c’è un problema, perché non riescono a fare quelle cose, non possono farle…quindi
devi cercare qualcun altro, chiedere più soldi al cliente…la più grande sfida sono le
abilità, la qualifica delle imprese. Ci sono delle grosse differenze tra costruttori e
architetti: i costruttori spesso non si interessando al risultato e ricercano il modo più
semplice e veloce per risolvere il problema – e non sempre il modo migliore.
Tre parole per descrivere l’architettura africana che voi fate.
“Design, innovate, deliver”. Il nostro lavoro non è commonplace (non è un luogo comune), né overtily pragmatic, né naively utopian (ingenuamente utopico). Non è così
pratico da essere noioso. (Quindi sapete cosa la vostra architettura non è. N.d.R.)
78 OFFICINA*
04
*Francesca Guidolin, Dottoranda in Nuove
tecnologie per il territorio, la città e l’ambiente
all’Università Iuav di Venezia.
**Arianna Garatti, Laureata in Lingue e
letterature Europee, Americane e Postcoloniali all’Università Cà Foscari di Venezia.
NOTE
1 - Estratto del Company Profile dello studio Architects of Justice.
IMMAGINI
cortesia di Architects of Justice
01 - Fase di cantierizzazione del progetto
SEED, l’uso del colore.
02 - Mike Rassmann, Alessio Lacovig,
Kuba Granicki, Architects of Justice,
nell’ambito dell’esposizione YAA-Young
Architects in Africa presso Ca’ Asi, evento
collaterale della XIV Biennale di Venezia,
organizzato dallo studio di architettura
parigino AS. Architecture Studio.
03 - Progetto SEED, fasi di cantierizzazione: le operazioni di sistemazione delle
strutture metalliche prefabbricate.
04 - Il procedimento di assemblaggio delle
strutture metalliche. Posa del piano terra.
05 - Operazioni di posa e ancoraggio del
piano primo.
06 - La costruzione del sistema di collegamento verticale.
07 - La dotazione impiantistica del complesso.
08 - Il progetto SEED Library ultimato.
PER APPROFONDIRE
- Thinking Inside the box, The Times,
July 10, 2014.
- The SEED, Digest of South African Architecture 2013, Volume 18.
05
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07
08
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CELLULOSA
Cartongesso
Francesco Maino, 2014
D
ifficile. La parola
che ha contraddistinto la lettura
di Cartongesso e
la conoscenza di
Michele Tessari, protagonista e alter
ego dell’autore Francesco Maino, è sicuramente questa. Innanzitutto per il
metodo adottato, un rullo continuo di
duecentotrenta pagine che scorre con
l’aiuto quasi esclusivo delle virgole,
senza paragrafi, senza capitoli, senza
trama, una scrittura fitta e torrenziale
che necessita di pazienza e concentrazione. Difficile anche dare un genere a questo testo, forse un saggio, un
romanzo, una narrazione, un pamphlet
sviscerato principalmente in italiano
ma intramezzato da singoli termini in
dialetto veneto, alcuni tradotti in nota
e altri no. Parole ricche di connotati
culturali, miratamente selezionate e
recuperate dal grezzo, come lo definisce
l’autore, dalla terra dalle mille lingue e
dai trentasette modi per dire “vento”
di Chioggia ma che allo stesso tempo
ha ospitato le trincee di guerra per la
conquista di una lingua unitaria. Una
scrittura lontana anche dal freddo e
distaccato, forse disumano, linguaggio
80 OFFICINA*
a cura di Valentina Covre*
forense dei quarantaduenni avvocati
penalisti Maino e Tessari.
Difficile assistere a una fotografia impietosa del Veneto in cui tutti i suoi
elementi di risonanza sono portati all’estremo, denunciati in maniera
grottesca e tragicomica, facendo il
verso a una serie di fenomeni che lo
connotano. Un territorio che viviamo
di persona, che esploriamo quotidianamente e all’interno del quale è possibile ritrovare le lacune e gli stereotipi
architettonico-urbanistici descritti in
alcuni passaggi: la casetta (femmina)
della nuova zona residenziale, con l’ulivo bonsai della grecia salentina, la
pompeiana egizia, il capitello dorico, il
finto timpano e il mosaico veneziano;
la terra, trasformata in una specie di
crosta lunare dagli insediamenti antropici; il capannone (maschio), l’esito del
cambiamento di sesso della stalla e ventre del futuro uomo privo di profondità. Difficile dunque ammettere che sì,
queste descrizioni corrispondono effettivamente a ciò che ci sta attorno.
Ma l’attacco sfrontato non è solo alla
qualità dei manufatti; è anche al modo
di vivere veneto e alle persone, con critiche particolarmente feroci ad alcune
Francesco Maino (Motta di Livenza, 1972)
è avvocato penalista a Venezia e vive a San
Donà di Piave. Cartongesso (Einaudi) è il
suo primo libro ed è vincitore del Premio
Calvino 2013.
sullo scaffale
categorie lavorative, tutte simbolicamente rappresentate dal cartongesso,
dal materiale capace di dar vita alle più
finte conformazioni simulando quello
che di fatto non è. Lo fa esplorando
altrettanto stereotipati momenti della
vita comune: l’infanzia, l’adolescenza,
la laurea, il matrimonio, le esperienze
lavorative, sia attraverso episodi leggeri
sia con momenti resi quasi drammatici
dall’intensità delle situazioni descritte.
Ma la cosa più difficile di questa lettura
è stato il fatto di non aver trovato nessuno slancio verso un riscatto da questa
situazione, nessuna chance data al futuro.
Si parla di un veneto “molto” tradizionale, con una donna “molto” tradizionale, della gente dalla vita fisiologicamente
elementare che vi risiede, di lavori antichi
perduti, forse dimenticando però che la
modernità e l’innovazione tanto criticata e ridicolizzata è proprio quella che
gli occhi esterni apprezzano e invidiano a questa terra, un rinnovamento che
ha portato a sollevarsi da una condizione di povertà diffusa e che ne ha fatto
la fortuna. E’ difficile pensare anche a
un Veneto così uniforme come quello
descritto, date le sfaccettature che lo
contraddistinguono dall’arco alpino
fino alla costa adriatica. E riprendendo una similitudine lanciata alla presentazione del libro da Dario di Vico,
editorialista del Corriere della Sera,
sembra di assistere alla manifestazione
di piazza contro il 2013 fatta il 31 dicembre 2012 a Tolosa. Tradizionalista,
forse nostalgico, il tentativo è quello
di fermare il tempo, immobilizzare le
cose come stanno anziché ingraziarsi il
nuovo anno in arrivo e rilanciare verso
qualcosa di migliore come solitamente
si tende a fare. Ci proviamo noi allora,
a prescindere dal lieto fine che manca a
questa favola, e puntiamo ad andare al
di là di questo sfogo inutile come l’adolescenza.
*Valentina Covre, Dottoranda in Nuove
tecnologie per il territorio, la città e l’ambiente
all’Università Iuav di Venezia.
E-mail: [email protected]
Rem Koolhaas
Elements
Marsilio, 2014
Ilka & Andreas Ruby and
Nathalie Janson
The Economy of Sustaina�
ble Construction
Ruby Press, 2014
N.03 NOV-DIC 2014 81
ARCHITETT’ALTRO
Musica o
architettura?
Alla ricerca di un’architettura musicale
D
urante gli studi
allo IUAV di Venezia e parallelamente al conservatorio di Musica
della stessa città, fui continuamente
tormentato su quale strada intraprendere in futuro: Musica o Architettura?
L’interesse per entrambe le discipline,
così apparentemente lontane ma così
profondamente vicine, mi portò a cercare di unire in qualche modo queste
mie due passioni; trovai così una soluzione o forse una combinazione a questo mio problema che in tedesco suona
così: “Orgelbauer” ovverro “Costruttore d’organo”.
Sono Daniele Bellotto, 30 anni, laureato in architettura (curriculum costruzione) nel 2011 e diplomato in organo
e composizione organistica nel 2012;
cercherò in poche righe di raccontare
la mia esperienza d’oltralpe.
Nell’idea di unire i miei studi in un’unica figura, scrissi una sera, durante gli
ultimi mesi di preparazione al concerto
di diploma, una mail ai più affermati costruttori di strumenti musicali al
mondo proponendo la mia figura professionale con l’unico obiettivo: dare
82 OFFICINA*
di Daniele Bellotto*
una risposta concreta alla mia esigenza di combinare i miei studi e le mie
competenze, cercando così di rendermi
il più competitivo possibile nel mondo
del lavoro.
Scrissi così poche righe in inglese presentando la mia candidatura ed inviai.
Non ci pensai più per qualche settimana, finchè ricevetti una serie di risposte
positive.
Le risposte giunsero dai più affermati
costruttori del settore, scelsi quello che
più mi interessava e fissai un colloquio;
partii così per l’Austria, nel workshop
del costruttore Rieger Orgelbau, un’a-
VENEZIA
01
566 km
BREGENZ
telier fondato nel 1845 ancora oggi
all’apice del settore della costruzione di
organi sinfonici.
Presentai i miei lavori universitari, discussi dell’imminente preparazione al
diploma d’organo, visitai il workshop
dell’azienda; la risposta fu positiva:
finito il percorso di studi musicali mi
avrebbero dato un’opportunità di prova per inserirmi nel loro Team come
designer e con la prospettiva di curare
i progetti architettonici di strumenti
musicali.
Mi diplomai il 25 settembre 2012 e l’1
ottobre iniziai a lavorare in Austria,
nella regione del Vorarlberg a confine
con la Svizzera, Liechtenstein e Germania.
Il primo giorno vidi la mia scrivania ed
il mio nuovo pc solo per pochi secondi,
mi aspettavano tre mesi di prova in falegnameria dove iniziai, sotto un tutor
personale, a realizzare dai più semplici
ai più complessi incastri in legno, secondo le regole di accostamento dettate dall’attenta lettura delle fibre; tutto
questo utilizzando solo pochi attrezzi
manuali: un paio di seghe, quatto o
cinque scalpelli, strumenti di misura e
tracciatura, in modo da svilupare il più
possibile una sensibilità costruttiva con
il materiale. L’esperienza Iuav nella realizzazione di modelli d’architettura fu
sicuramente una buona base di partenza ma dovetti mettermi parecchio alla
prova con un materiale -il legno- che
conoscevo ben poco per le loro aspettative.
A poche settimane dalla fine del mio
periodo di prova e formazione, mi fu
chiesto di pensare durante il mio lavoro
extra-laboratorio ad un nuovo progetto: l’organo sinfonico e la console mobile per la nuova filarmonica di Parigi,
firmata dallo studio di J. Nouvel.
Lavorai molto, investendo totalmente
il mio tempo libero di quel freddo ed
innevato inverno austriaco. Presentai
3 varianti al progetto, una di queste fu
scelta dallo studio parigino e confermata la futura realizzazione del progetto.
Fui così confermato all’interno del
team Rieger.
Dopo due anni di intenso lavoro, mi ritengo soddisfatto di continuare la mia
formazione di architetto potendomi
confrontare con professionisti e realtà
da tutto il mondo, avere la possibilità
di approcciarmi al progetto architettonico tramite il disegno (molto spesso a
N.03 NOV-DIC 2014 83
02
dare una risposta concreta alla mia esigenza
di combinare i miei studi e le mie competenze
mano libera) e la realizzazione di modelli di studio.
Ritengo inoltre che la formazione
dell’architetto, sia ancora tutt’oggi una
grande risorsa, frutto di un processo
culturale millenario: questo ci dà la
possibilità di “saper vedere” ed un’attitudine ad articolare i diversi saperi che
orientati al progetto architettonicoscenografico vanno oltre alla funzione
dell’opera che si intende progettare.
* Daniele Bellotto, Architetto, Organista,
laureato in Architettura della Costruzione
presso l’Università Iuav di Venezia.
e-mail: [email protected]
IMMAGINI
01 - La città di Dornbirn.
02 - Vista sul Bodensee (Lago di Costanza)
- Bregenz.
03 - Progetto a Kwansei, Japan.
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84 OFFICINA*
PRODUZIONE
COSTRUZIONE
RECUPERO
N.03 NOV-DIC 2014 85
Call for article
PRODUZIONE
COSTRUZIONE
RECUPERO
In un periodo storico come quello attuale, caratterizzato dall’incertezza economica e dalla consapevolezza della limitatezza
delle risorse a nostra disposizione, anche i tradizionali sistemi di produzione e di costruzione devono adeguarsi alle rinnovate esigenze del vivere contemporaneo. Al paradigma della produzione industriale - modulare, standardizzata, prefabbricata
- si contrappone sempre più un’idea di personalizzazione e customizzazione della produzione in grado di dare risposte alle
diverse esigenze esprimibili da un’utenza sempre più varia e diversificata. A tale tendenza si sovrappongono poi con forza i
temi della sostenibilità - tecnologica, economica ma soprattutto sociale - che impongono un radicale cambiamento nel modo
di concepire il futuro del settore della produzione, della costruzione e del recupero in edilizia. In tale scenario “il produrre
da sé” e “il costruire da sé” o “il recuperare da sé” diventano alcuni tra i principali strumenti di inclusione sociale, di crescita
culturale ed di sviluppo economico andandosi ad affiancare a temi quali la rigenerazione urbana, il recupero e riutilizzo delle
risorse o la gestione condivisa di spazi, attrezzature e strutture.
La rivista OFFICINA* vuole essere un luogo di confronto rispetto a queste dinamiche, particolarmente attuali
ed innovative nel panorama dell’architettura, attraverso una call for article dal titolo Auto (Produzione-Costruzione-Recupero). La call si rivolge a studenti, ricercatori, docenti, tecnici e professionisti che intendano portare un loro contributo di
riflessione su tali questioni affrontandole da differenti punti di vista.
Materiale da consegnare e tempistiche
09.01.2015 Consegna Abstract
in duplice formato .doc e .pdf di massimo 700 battute spazi inclusi
10.01.2015-15.01.2015 Valutazione e sezione dei contributi
16.01.2015 Comunicazione accettazione abstract
27.02.2015 Consegna articoli selezionati
Tutti i materiali vanno spediti via mail all’indirizzo [email protected]
Per maggiori informazioni consulta il nostro sito al link:
www.officina-artec.com/auto-produzione-costruzione-recupero/
Tra i contributi pervenuti saranno selezionati da 5 a 8 abstract per la redazione di un articolo
da pubblicare nel numero 05 della rivista on-line OFFICINA*- ISSN 2384-9029 - di marzo 2015.
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(S)COMPOSIZIONE
Sistema costruttivo a umido
lavorare, aggiungere, amalgamare, montare, incorporare, inzuppare,
stendere, stratificare, ricoprire, cospargere
Tiramisù
Immagine di Valentina Covre
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