LUIGI SANDRI Gerusalemme, città santa, cuore di un mondo lacerato. Elementi per una lettura del conflitto medio-orientale. Con l’Accordo di Annapolis (Annapolis Agreement), siglato il 27 Novembre 2007, il premier israeliano Olmert e quello palestinese Abu Mahzen, con la sponsorizzazione di George W. Bush, hanno deciso di imboccare risolutamente la via della trattativa per risolvere entro la fine del 2008 tutti i problemi pendenti fra la stato di Israele e l’autorità palestinese.1 Purtroppo ciò non è avvenuto e la pace non è stata raggiunta a causa di una serie di problemi e complicazioni per cui l’accordo è rimasto inattuato. 1. Dalla parte degli ebrei 1.1. Le persecuzioni nella Russia zarista e l’affare Dreyfus La mancata attuazione dei suddetti accordi dipende prima di tutto dall’assenza di un intento comune su come risolvere i nodi fondamentali. Per meglio focalizzare la questione occorre fare un salto indietro nel tempo di oltre cento anni, ovvero al marzo 1881, quando lo zar Alessandro II fu ucciso in un attentato a San Pietroburgo. La polizia, dopo una breve e sommaria indagine incolpò dell’attentato degli ebrei; sicuramente alcuni di loro avevano preso parte all’evento criminoso, ma gli ideatori e i responsabili erano sicuramente russi. A quell’epoca in Russia vivevano circa cinque milioni di ebrei, concentrati soprattutto in alcune zone della Lituania, della Bielorussia, della Ucraina e della Polonia orientale. Per punirli, tutti indistintamente, il governo zarista emanò una serie di leggi repressive che impedirono loro tutta una serie di attività e ne limitarono fortemente la libertà. Fu per questo motivo che circa 750.000 ebrei russi decisero di lasciare la Russia alla volta degli Stati Uniti. Una parte più esigua, gruppi di poche unità, decise invece di tornare in Palestina, la terra dei padri, che all’epoca era controllata dall’impero Ottomano, ma abitata da arabi e solo in minima parte da ebrei. Dopo la distruzione di Gerusalemme ed il conseguente eccidio della popolazione operato dalle armate romane di Tito nel 70 d.C., un certo numero di ebrei si ritirarono a nord dell’attuale stato di Israele e malgrado le numerose dominazioni che si avvicendarono in questi territori attraverso i secoli, vi rimasero per sempre. Perciò gli ebrei provenienti dalla Russia si integrarono con coloro che vivevano da sempre in Palestina, continuando comunque a costituire una minoranza rispetto all’etnia araba. Successivamente il 5 gennaio 1895 a Parigi il capitano ebreofrancese Alfred Dreyfus accusato di essere una spia al servizio dei tedeschi, venne condannato, degradato e spedito alla Cayenna, la famosa prigione francese in America Latina. Ma questo capitano era innocente al punto che lo stesso stato francese lo riabilitò, molti anni dopo, nel 1906. Questo processo ebbe grande eco nella stampa di tutta Europa, ed un giornalista ebreo di Vienna, Theodore Herzl, prese spunto proprio da tale vicenda per scrivere, nel 1896, un libretto intitolato Lo stato degli Ebrei, considerato una sorta di Bibbia laica dell’ebraismo moderno. In questo libro si sottolineava che nonostante grandi eventi storici quali la Rivoluzione Industriale e la Rivoluzione Francese, oppure i grandi progressi tecnici in campo scientifico, la situazione per gli ebrei non era cambiata e l’anti-semitismo era ancora ben radicato in tutta Europa. Per salvarsi gli 1 Per il testo completo dell’accordo cfr. http://www.guardian.co.uk/world/2007/nov/27/israel.usa1. ebrei avrebbero avuto un’unica scelta: quella di crearsi un proprio stato. Il vero problema era dove crearlo. Furono avanzate così ben ventinove proposte (fra cui anche la Patagonia!), ma alla fine la scelta di Herztl ricadde sulla Palestina. Nasce così il famoso detto “Un popolo senza terra (gli ebrei), per una terra senza popolo (la Palestina)”. In sostanza la Palestina viene descritta come un luogo quasi mitico, disabitato e desertico che gli ebrei faranno rifiorire, come dice il profeta Isaia. Tuttavia la Palestina, non solo era sotto il dominio Ottomano, ma in più era abitata da una popolazione che per la stragrande maggioranza era araba. Perciò le affermazioni di Herztl erano ben lungi dall’essere esatte. 1.2. Il periodo della Prima Guerra Mondiale e l’accordo Sykes-Picot Durante la Prima Guerra Mondiale, l’Inghilterra insieme alla Francia estese la propria influenza sul Medio Oriente. Vi erano, infatti, due fondamentali interessi di carattere commerciale: - il controllo del canale di Suez, attraverso il quale si potevano raggiungere più facilmente e più rapidamente le Indie. lo sfruttamento del petrolio, di cui il Medio-Oriente era molto ricco. Così il 16 Maggio 1916, con l’accordo Sykes-Picot, Gran Bretagna e Francia sancirono la spartizione del Medio-Oriente in due sfere di influenza, nonostante quei territori fossero ancora sotto il controllo, almeno nominale, dell’impero Ottomano2. Successivamente il 2 Novembre 1917, il Ministro degli Esteri inglese, Lord Balfour, scrive una lettera a Lord Rothschild, un banchiere ebraico che aveva finanziato con molto denaro gli ebrei russi che andavano in Palestina, per comprare terre e costruirvi case, dal momento che molti di quegli ebrei erano poveri. Nella sua lettera Lord Balfour scrive: Il governo di Sua Maestà britannica vede con favore lo stabilimento in Palestina di una national home (focolare nazionale) per il popolo ebraico, ed eserciterà il massimo sforzo per il raggiungimento di questo scopo, essendo ben inteso che nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle esistenti comunità non ebraiche in Palestina, o i diritti e lo status politico goduto dagli ebrei in qualsiasi altro paese. Questa dichiarazione venne vista dagli ebrei di tutto il mondo come una luce che annunciava la giornata radiosa dell’indipendenza e della libertà. Nel dicembre dello stesso anno gli inglesi sconfissero definitivamente gli ottomani che abbandonarono così la Palestina e tutti i possedimenti in Medio Oriente. Iniziò così de facto il dominio britannico su quell’area, dominio che diventerà de iure nel 1922, quando la Società delle Nazioni affiderà alla Gran Bretagna il mandato, ovvero il potere civile e militare, di riorganizzare la regione. Durante questo mandato gli scontri tra la maggioranza araba e la minoranza ebraica si fecero sempre più frequenti, dal momento che gli arabi si resero sempre più conto che gli ebrei erano venuti in Palestina con la prospettiva di crearsi un vero e proprio stato. 1.3. L’ascesa del nazismo e il dramma della Shoah Nel frattempo in Germania era iniziata l’ascesa del nazismo e nel 1933 Adolf Hitler, leader del partito nazional-socialista, vinceva le elezioni divenendo cancelliere del Terzo Reich. In un 2 Cfr. http://news.bbc.co.uk/hi/english/static/in_depth/world/2001/israel_and_palestinians/key_maps/7.stm crescendo di azioni repressive nei confronti degli ebrei tedeschi, si giunse alla famosa ‘notte dei cristall’ (Kristallnacht) il 9 e 10 Novembre 1938, in cui i nazisti, in seguito all’uccisione a Parigi del terzo segretario dell’ambasciata tedesca, ad opera di un giovane ebreo di origine tedesca, Herschel Grynszpan, portarono a compimento un’impressionante serie di vandalismi e atti di violenza nei confronti dei negozi di commercianti ebrei in Germania3. L’apice di questa ondata di violenza si raggiunse nel 1942, quando i nazisti decisero lo sterminio scientifico e programmatico degli ebrei, non solo tedeschi, ma di tutti quelli presenti nei paesi occupati: Paesi Baltici, Bielorussia, Ucraina, Romania, Bulgaria, Ungheria, Cecoslovacchia e via dicendo. Questa terribile vicenda che portò alla morte di circa sei milioni di ebrei, in occidente viene comunemente chiamata ‘olocausto’. Ma il vocabolo è certamente sbagliato, in quanto ‘olocausto’ sottende ad un’azione spesso volontaria, che non può rendere l’idea dello sterminio del popolo ebraico. La definizione corretta, che del resto è quella usata dagli ebrei, è invece shoà vocabolo ripreso dai testi di Isaia, che significa ‘uragano devastante’. 1.4. La distruzione di Gerusalemme e la Shekinah Vorrei fare adesso un breve excursus per introdurre un concetto fondamentale per l’ebraismo che è la Shekinah. Quando nel 70 d. C. le armate romane di Tito conquistarono Gerusalemme, la distruzione della città non fu totale; ma quando nel 132 d.C. scoppiò la seconda rivolta ebraica guidata da Simone Ben Kosiba, detto Bar Kokba ‘il figlio della stella’, ancora una volta stroncata nel sangue dagli eserciti romani, per impedire una terza rivolta, l’allora imperatore Adriano, fece distruggere completamente Gerusalemme, stravolgendone la struttura urbana e architettonica, con l’intento di cancellare la memoria del suo passato. Sulle rovine di Gerusalemme fece costruire una nuova città a cui fu dato il nome di Aelia Capitolina, sulle cui mura venne scritto in ebraico, greco e latino, che qualunque ebreo avesse osato rientrare in quella città sarebbe stato messo immediatamente a morte. Distrutto il Tempio di Gerusalemme, è opportuno cercare di capire dove sia andata a finire la Shekinah, sostantivo femminile ebraico che significa ‘abitazione, dimora’, ma che viene usato per indicare la presenza di Dio, in particolare la Sua presenza all’interno del Tempio di Gerusalemme. La Bibbia ci narra che nel sancta sanctorum del primo tempio fatto costruire da Salomone intorno al 960 a.C., era conservata l’Arca dell’Alleanza, ovvero il contenitore al cui interno erano conservate le tavole della legge. Quando gli eserciti di Nabucodonosor, sovrano dei Caldei e di Babilonia, intorno al 586-587 a.C. conquistarono Gerusalemme, deportando l’intera popolazione e distruggendo il tempio, l’Arca dell’Alleanza scomparve e non se ne ebbero più notizie. Sono quindi 2600 anni che l’Arca è scomparsa4. Nel 539 a.C. Ciro il Grande, re di Persia, conquistò Babilonia e distrusse il regno dei Caldei dando origine ad un vastissimo impero che andava dall’Afghanistan fino alle sponde orientali del Mediterraneo. Dimostrandosi molto lungimirante e magnanimo, egli concesse agli ebrei deportati a Babilonia di poter ritornare in patria. Accadde così che una parte di loro scelse di restare a Babilonia, mentre altri ebrei decisero di tornare in Israele, dove intorno al 520 a.C., costruiranno un nuovo tempio, seppur più piccolo del precedente5. Il sancta sanctorum che nel primo tempio aveva ospitato l’Arca dell’Alleanza fu lasciato vuoto, ma in esso secondo gli ebrei vi era la Shekinah, la misteriosa presenza di Dio. Solo il sommo sacerdote poteva accedere alla stanza e per di più una sola volta l’anno, nel giorno dello Yom Kippur ‘il giorno 3 L’intera operazione Kristallnacht (‘notte dei cristalli’) prende il nome dal rumore delle vetrine dei negozi che vennero distrutti. 4 Ad Axum in Etiopia c’è un monastero copto al cui interno vi sarebbe custodita l’Arca dell’Alleanza. Nessuno sa se ciò sia vero o no, poiché è impossibile per chiunque accedere all’interno, ad eccezione del custode che senza avere contatti con il mondo, dedica tutta la propria vita alla custodia della sacra reliquia. 5 La decisione di una parte degli israeliti di restare a Babilonia, si presenta come un evento assai importante, poiché è a questi ebrei che si deve la stesura del famoso Talmud babilonese. dell’espiazione’, quando si chiedeva perdono a Dio per i peccati commessi dal popolo di Israele; questi peccati venivano poi simbolicamente caricati su un capro espiatorio che veniva cacciato nel deserto. Ma quando si verificò la distruzione di Gerusalemme per opera degli eserciti di Tito nel 70 a.C. cosa successe alla Shekinah? Nel mondo ebraico ci sono molte opinioni diverse, alcuni ritengono che questa essenza divina sia ancora là, al punto che alcuni ebrei particolarmente religiosi o comunque fedeli a questo credo, ancora oggi non si recano laddove quasi duemila anni fa sorgeva il tempio, proprio per non commettere il sacrilegio di ‘calpestare’ la Shekinah, giacché nel luogo dove essa dimorava solo il sommo sacerdote poteva recarsi e una sola volta l’anno. Dunque su questa spianata, proprio sopra il luogo dove sorgeva il tempio – di cui oggi resta un solo muro perimetrale di contenimento fatto costruire da Erode il Grande, il famoso Muro del Pianto – i musulmani hanno costruito le loro moschee, e l’islam è diventato in un certo senso l’erede di tutta la tradizione ebraica e di tutto il pensiero di Gesù sul tempio. 2. Dalla parte degli arabi 2.1. Maometto e la rivelazione coranica Nell’anno 612 Maometto ha una visione in cui gli appare l’arcangelo Gabriele che inizia a recitargli i versetti di un libro che sta davanti ad Allah: il Corano (Quram in arabo significa ‘rivelazione’). Fra i principi fondamentali enunciati in questo libro ve ne sono due che ci interessano in modo particolare: – – l’islam considera se stesso come il coronamento delle precedenti rivelazioni di Dio all’umanità. Secondo il Corano sia gli ebrei che i cristiani hanno ricevuto delle vere rivelazioni e i loro profeti sono dunque anche profeti dell’islam. La terza rivelazione, quella a Maometto, funge da corona alle altre due, ma è l’ultima e non ve ne sarà una quarta. In un certo senso l’islam pone le proprie radici sia nel cristianesimo che nell’ebraismo; la sura 17 del Corano dice che nella notte del mistero, Maometto fu preso misticamente dalla Mecca e trasportato misteriosamente a Gerusalemme dove, nella zona conosciuta oggi come ‘la spianata delle moschee’, ascende al cielo, vede Allah e i profeti che lo hanno preceduto, e torna quindi sulla terra. Questo misterioso viaggio notturno di Maometto lega indubbiamente la vita e la missione del profeta alla città di Gerusalemme. È noto a tutti che attualmente l’islam ha tre città sante: La Mecca e Medina da dove è iniziata la predicazione di Maometto, e Gerusalemme, chiamata in arabo al-Quds ‘La Santa’. L’appellativo ‘santa’ deriva dal fatto di essere stata santificata dai profeti dell’ebraismo e del cristianesimo e dal profeta Maometto. 2.2. La conquista araba di Gerusalemme Nel 636 presso lo Yarmuk, un piccolo fiume che discende dalle alture del Golan e si immette nel Giordano, avvenne una battaglia in cui gli eserciti arabi sconfissero i bizantini, strappando loro il controllo e il dominio sull’intera Palestina. Cominciò così l’espansione araba in Medio Oriente e nel 638 gli eserciti del califfo Omar ibn al-Kattab, entrarono in Gerusalemme senza spargimento di sangue e senza operare distruzione alcuna, mostrando rispetto per i luoghi sacri ebraici e cristiani, tanto che sulla spianata dove si trovava il tempio, prima della distruzione ordinata dall’imperatore Adriano, costruirono anch’essi i propri edifici sacri. Le motivazioni di questo comportamento sono, a mio avviso, una delle principali questioni teologiche odierne. Per cercare di trovare una spiegazione, dobbiamo risalire molto indietro nel tempo, fino all’epoca in cui visse il patriarca Abramo. Egli non aveva figli e sua moglie Sara cercò di convincerlo a giacere con la schiava egiziana Agar; secondo la legge mesopotamica, la patria originaria di Abramo, il figlio di una schiava, che una sposa sterile dava in moglie al proprio marito poteva, infatti, essere riconosciuto come legittimo. Fu così che Agar partorì Ismaele e anche Abramo ebbe un figlio e una discendenza. Ma la Bibbia ci narra che mentre questo figlio cresceva, Sara diveniva sempre più triste, consapevole che il figlio era in realtà un bastardo ma Dio avrà pietà di Sara e farà in modo che nonostante l’età avanzata possa avere un figlio: Isacco. Chiaramente essa amò questo figlio ben più di Ismaele e alla fine convinse Abramo a cacciare nel deserto Agar e Ismaele. Ma il Signore apparve in sogno ad Abramo e promise una discendenza altrettanto numerosa anche per Ismaele (Gen. 21, 11-13). Così da un lato gli ebrei e i cristiani si dichiarano discendenti di Abramo e di Isacco, dall’altro gli arabi si dichiarano discendenti di Abramo e di Ismaele. L’episodio del sacrificio di Isacco che noi tutti conosciamo bene dalla Bibbia, è presente in più passi anche nel Corano, ma qui non viene mai riportato il nome del figlio di Abramo e Sara. Gli esegeti musulmani sono divisi sul nome del figlio di Abramo, in quanto alcuni sostengono che si tratti di Isacco ed altri di Ismaele, anche se oggi sembra prevalere questa seconda interpretazione. Questo fatto sarebbe accaduto proprio sulla spianata dove sorgeva il tempio di Gerusalemme fatto distruggere da Adriano. Ed è questo il luogo in cui gli arabi, dopo la conquista di Gerusalemme, avvenuta come detto in precedenza nel 638, costruirono l’edificio noto come la ‘Cupola della Roccia’ (popolarmente chiamata ‘moschea di Omar’). Poco più in basso, a circa 150 metri di distanza, vi è un altro santuario, la moschea al-Aqsa (‘la Remota’). È proprio nei pressi di questa moschea che si trova la roccia sulla quale, secondo la tradizione, Abramo stava per sacrificare il figlio. Il 15 luglio 1099 le armate cristiane guidate da Goffredo di Buglione entrarono a Gerusalemme, cacciarono gli arabi e istituirono il regno crociato di Terrasanta, che resterà a Gerusalemme per 88 anni, finché il 2 ottobre 1187 il grande condottiero arabo Salāh al-Dīn – il Saladino della tradizione cristiana occidentale – riconquistò la città. Anche gran parte del regno cristiano di Terrasanta cadde in mano musulmana e i crociati fissarono il loro centro a San Giovanni d’Acri, l’attuale Akko nelle vicinanze di Haifa, dove rimasero fino al 1291. La conclusione fondamentale è questa: nonostante il breve intervallo di 88 anni del regno crociato di Terrasanta, Gerusalemme è sempre rimasta ininterrottamente in mano musulmana per oltre 1400 anni. Prima gli arabi, poi all’inizio del secondo millennio i mammalucchi6, i turchi ottomani dal 1517: popoli diversi per etnia, ma accomunati tutti dalla stessa religione, quella islamica. 3. I giorni nostri 3.1. L’immediato dopoguerra e la nascita dello stato di Israele Nell’aprile 1945 il nazismo viene definitivamente sconfitto e finisce la Seconda Guerra Mondiale. In quello stesso anno nasce anche l’ONU e uno dei primi problemi che dovrà affrontare sarà proprio la ‘questione palestinese’. Infatti, mentre in Europa e nel Pacifico si combatteva la 6 I ’mammelucchi’ sono guerrieri mercenari circassi che conquistarono l’Egitto, regno dal cui sultano, al tempo, dipendeva anche la Palestina. guerra, in Palestina continuavano gli scontri fra arabi ed ebrei. Si giunse così ad un piano di spartizione basato su criteri esclusivamente demografici, per cui i territori a maggioranza ebraica sarebbero dovuti andare agli ebrei ed i territori a maggioranza palestinese agli arabi. Se l’applicazione di questo criterio risultava facile per alcune zone, in altre era quasi impossibile a causa della marcata promiscuità delle due popolazioni. Alla fine lo stato ebraico risultava formato da tre piccoli stati, mentre Gerusalemme diveniva corpus separatum ed assegnata al diretto controllo dell’ONU. Il piano prevedeva in sostanza una spartizione che assegnava il 54% dei territori agli ebrei e il restante 46% agli arabi. Quando il 29 novembre 1947 questo piano venne presentato all’assemblea delle Nazioni Unite, i rappresentanti ebrei e i paesi favorevoli a questa spartizione, sostennero il diritto morale, storico, religioso, umano per il popolo ebraico di avere un proprio paese. E quale posto migliore se non la terra dei padri. Del resto la shoà aveva dimostrato che senza una propria nazione gli Ebrei sarebbero rimasti in balia delle prepotenze altrui. I paesi arabi presenti alle Nazioni Unite non furono però d’accordo e considerarono la spartizione illegale, immorale e ingiusta, adducendo anch’essi motivazioni di carattere storico, sociale e religioso. A New York all’assemblea dell’ONU del 29 novembre 1947, i paesi musulmani gridarono allo scandalo per l’arbitraria e ingiusta espropriazione di una terra loro da oltre 1400 anni. Ma nonostante l’opposizione dei paesi arabi, la risoluzione che prevedeva la suddivisione della Palestina e la creazione dello stato di Israele venne approvata. La notte stessa fra il 29 e il 30 novembre in Palestina cominciarono gli scontri fra arabi e israeliani, che divennero sempre più violenti, finché il 14 maggio 1948 David Ben Gurion, primo premier israeliano, lesse e firmò a Tel Aviv la dichiarazione di indipendenza dello Stato d’Israele. Scoppiò subito la guerra con i paesi arabi vicini – Siria, Libano, Transgiordania, Egitto e Iraq – che nonostante alcune divergenze politiche si coalizzarono contro il nemico comune. Questa guerra finì nel 1949 con la vittoria di Israele che concluse una serie di armistizi separati con i vari paesi nemici. È importante far notare che rispetto all’originaria spartizione delle Nazioni Unite che assegnava ad Israele 14000 Km2 di territorio, lo stato ebraico dopo la guerra vittoriosa aveva conquistato altri 6000 Km2 divenendo l’attuale stato che tutti conosciamo. Gerusalemme divenne una città divisa in due: la parte est, ovvero la città vecchia dove ci sono le moschee, restò in mano alla Giordania, mentre la parte ovest andò a Israele. Questa situazione perdurò fino al 1967 quando in seguito alla ‘Guerra dei sei giorni’ (5-10 giugno 1967), combattuta contro Egitto, Siria e Giordania, Israle vittorioso occupò anche il Sinai egiziano, la Striscia di Gaza, la Cisgiordania, le alture del Golan, in territorio siriano, e soprattutto la parte est di Gerusalemme. Di questi territori ben tre erano palestinesi: la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme est. 3.2. Gli accordi di Oslo Il 13 settembre 1993 ad Oslo venne firmato un importante accordo fra ebrei e palestinesi. Tale accordo partiva da un fondamentale presupposto etico-politico: la pace in cambio della terra e la terra in cambio della pace. L’allora leader palestinese Yasser Arafat e capo dell’OLP era favorevole ad una pace, ma in cambio voleva la terra, quella terra che era araba da 1400 anni. Purtroppo non vennero quantificati i territori che Israele avrebbe dovuto concedere ai palestinesi in cambio della pace. Comunque in seno agli Accordi di Oslo si programmò un periodo di cinque anni per giungere ad una pace totale su entrambi i fronti, un processo di pacificazione che si sarebbe dovuto sviluppare in due fasi: 1) durante i primi due anni Israele avrebbe dovuto concedere l’autonomia alla Striscia di Gaza e alla Cisgiordania, impegnandosi a lasciare il potere civile su quei territori ai palestinesi; 2) nei restanti tre anni le due parti avrebbero dovuto discutere di tutte le altre questioni menzionate nell’accordo, ovvero: - i confini definitivi tra Israele e l’Entità Palestinese;7 i profughi; gli insediamenti; Gerusalemme; la spartizione dell’acqua. Purtroppo questi accordi, per vari motivi, non trovarono applicazione, se non in minima parte. Inoltre poco tempo dopo la stipula di questi accordi accadde un episodio che riportò in discussione l’intero processo di pace. Il 25 febbraio 1994 Baruc Goldstein, un medico israeliano, entrò a Hebron, nella parte araba del santuario che ospita quella che secondo la tradizione sarebbe la tomba di Abramo8, e cominciò a sparare compiendo una strage – 29 morti e 100 feriti – fra i fedeli musulmani in preghiera per la festività del Ramadan. Qualche settimana dopo Hamas accusò pesantemente Israele della strage e iniziò una lunga serie di attentati in territorio israeliano per mezzo di kamikaze. Il 19 ottobre 1994 Salah Abdel Rahim Suai, un giovane cisgiordano di ventisette anni, si fece saltare in aria su un autobus nel pieno centro di Tel-Aviv, facendo 21 morti e 47 feriti fra i civili israeliani. Prima di farsi saltare in aria il giovane arabo aveva registrato un video dove dichiarava di andare a compiere una missione “in nome di Allah clemente e misericordioso”. Anche Baruc Goldstein aveva lasciato un messaggio, prima di compiere la sua strage in cui dichiarava “vado a difendere l’onore del Dio di Israele”. È evidente che si tratta di un atteggiamento di odio reciproco che non può e non potrà mai portare a niente, anche se è indubbio che la radice di tutto è l’occupazione militare e coloniale dei territori palestinesi da parte di Israele, dove per ‘coloniale’ si intende la struttura di una serie di insediamenti formati da villaggi israeliani costruiti a macchia di leopardo all’interno dei territori palestinesi. É superfluo sottolineare che questi villaggi o insediamenti sono costruiti tutti in posizione strategica: vicino a fonti d’acqua, su alture dalle quali è possibile tenere sotto controllo le aree circostanti, oppure laddove vi è terreno adatto alle coltivazioni agricole. Questi insediamenti fino all’agosto del 2005 erano circa 180, così suddivisi: 21 nella Striscia di Gaza e 160 nella Cisgiordania, finché l’allora premier israeliano Ariel Sharon decise di ritirare tutti gli insediamenti israeliani all’interno della Striscia.9 Al contrario i coloni della Cisgiordania sono rimasti tutti ed anzi il loro numero è aumentato come dimostra il sensibile sviluppo edilizio che si è verificato in quella regione. Questi insediamenti sono inoltre collegati da strade, spesso percorribili soltanto da israeliani, per la cui realizzazione è stato necessario eliminare o abbattere completamente terreni, coltivazioni, abitazioni e villaggi appartenenti a palestinesi. Vi è quindi una violenza innegabile nei confronti non solo delle persone, ma anche del territorio. 3.3. Il vertice di Camp David: un nuovo fallimento Dall’11 al 15 luglio 2000 a Camp David (USA) si svolse un nuovo vertice fra palestinesi, rappresentati da Arafat, e israeliani, rappresentati da Ehud Barak. Questo però fallì completamente per una serie di questioni e motivi che cercherò di riassumere sinteticamente:10 7 Si noti che lo stesso testo degli accordi di Oslo non parla di stato, ma di entità palestinese. Abbiamo già detto che Abramo è il patriarca capostipite per entrambe le religioni, ebraica e islamica. Quando nel 1967 gli israeliani conquistarono la città di Hebron, si decise di dividere in due parti, con una paratia di legno, l’edificio che ospitava la tomba di Abramo, cosicché tutti i fedeli, musulmani o ebrei, potevano recarsi in pellegrinaggio ciascuno nella propria metà. 9 È importante tenere presente che questi insediamenti occupavano un terzo del territorio di Gaza ed erano abitati da 8000 coloni israeliani su una popolazione totale di circa 1.500.000 persone. Sono numeri e cifre che devono fare necessariamente riflettere. 10 Si tenga conto che non esistono documenti ufficiali di questo vertice, ma tutto ciò che sappiamo è il risultato di indiscrezioni della stampa. 8 - - - Arafat voleva che fosse sancito il diritto al ritorno in patria dei profughi palestinesi, ovvero coloro che durante la guerra del 1947-1949 erano fuggiti per paura o – come riconosciuto anche da storici israeliani contemporanei – sotto la minaccia delle armi. Si trattò all’epoca di circa 750.000 persone che si rifugiarono in Libano, in Siria, in Giordania o in Egitto. Ovviamente questi palestinesi nel mentre avevano avuto figli e nipoti ed all’epoca del vertice di Camp David erano circa 3.500.000 (attualmente sono diventati circa 4.500.000). È ovvio che Barak non potè assolutamente accettare le richieste di Arafat, dal momento che il rientro di un numero così elevato di palestinesi avrebbe destabilizzato l’intera regione;11 altra questione di disaccordo fu la suddivisione della ‘spianata delle moschee’, sacra per entrambe le religioni, islamica ed ebraica. L’allora presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, promotore del vertice, propose di lasciare la sovranità effettiva ad Israele, ma al tempo stesso di conferire l’autorità funzionale ai palestinesi che avrebbero così potuto innalzare la loro bandiera sulla moschea al-Aqsa e sulla Cupola della Roccia; la terza e ultima questione, forse la più complessa, fu quella della Cisgiordania che nella mente di Barak e di Clinton avrebbe dovuto essere in gran parte (si parla del 85%-90%) restituita ai palestinesi. Si veniva però a creare un territorio discontinuo, suddiviso in tre parti, separate l’una dall’altra da due ‘corridoi’ a sovranità israeliana che dovevano giungere fino alla valle del Giordano. In tal modo, uscendo da una delle aree sotto controllo israeliano si sarebbe entrati direttamente nello stato ebraico, mentre le zone palestinesi che pure comprendevano la maggior parte del territorio, erano separate tra loro e separate anche dalla Giordania. È chiaro che si trattò di una proposta inaccettabile per Arafat, in quanto impediva l’unità territoriale della Giordania. 3.4. La nuova intifada e gli accordi di Bolling Fallito quindi anche il vertice di Camp David, il 28 settembre 2000, Ariel Sharon, leader del Likud, il partito nazionalista ebraico, si recò sulla spianata delle moschee, non come semplice turista o pellegrino, bensì scortato e circondato da 1000 soldati, per ribadire la sovranità israeliana su quel piccolo pezzo di terra. Chiaramente per i palestinesi si trattò di un affronto assai grave e la conseguenza fu l’inizio della ‘nuova’ intifada (in arabo ‘rivolta’), dopo la precedente durata dal 1987 al 1993, che continua tuttora. Nonostante il precipitare degli eventi Clinton provò a convocare un nuovo vertice fra palestinesi e israeliani nel dicembre dello stesso anno a Bolling (Washington). Stavolta si cercò di concedere di più ai palestinesi rispetto a quanto si era fatto a Camp David (ancora una volta non esistono documenti ufficiali e tutto si basa su informazioni di stampa): – – – – il 96% della Cisgiordania ed una parte di terra israeliana presa dal deserto del Neghev, quest’ultima come compensazione per il restante 4% costituito da insediamenti israeliani che, soprattutto vicino a Gerusalemme, diventavano territorio israeliano; la sovranità ‘sopra’ la Spianata (la sovranità ‘sotto’, ovvero le rovine del tempio di Gerusalemme distrutto dai romani, restava israeliana); una sovranità limitata su Gerusalemme-est; esclusione di ogni diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Se da un lato Barak, pur ponendo alcune condizioni, accettava le proposte di Clinton, dall’altra Arafat ribadì ancora una volta le sue obiezioni. Si trattò così di un nuovo fallimento. 11 Fra i profughi palestinesi che vivono, per esempio, in Libano o in Siria, vi è l’uso di passare di padre in figlio le chiavi della casa che la famiglia aveva in Palestina prima dell’allontanamento forzato negli anni dell’immediato dopoguerra, e dove ancora spera di tornare. Questa vicenda è tanto più drammatica se si pensa che queste persone sono del tutto ignare del fatto che le loro case non esistono più, poiché sono state distrutte o abbattute per far posto ai nuovi insediamenti dei coloni israeliani. 3.5. Gli anni più recenti Si può affermare che la maggior parte dei palestinesi che vogliono la pace sono consapevoli che per ottenerla è necessario giungere a un compromesso, ovvero ad ammettere e accettare l’esistenza dello stato di Israele, il quale deve necessariamente rimanere in quell’area. I suoi confini dovrebbero però essere quelli del 1967, prima cioè della ‘Guerra dei sei giorni’, quando la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme-est erano palestinesi. Ma avendo Israele costruito degli insediamenti e avendo speso per questi svariate centinaia di migliaia di dollari è chiaro che questo compromesso si presenta di assai difficile attuazione. Nel 2002 l’Arabia Saudita durante la riunione della Lega Araba a Beirut propose a tutti i paesi arabi la pace con Israele a patto che lo stato ebraico si ritirasse all’interno dei suoi confini del 1967. Purtroppo Sharon, allora premier israeliano, rifiutò categoricamente la proposta, soprattutto per il fatto che accettarla avrebbe significato l’abbandono di tutti gli insediamenti. Questo rifiuto lascia la situazione inalterata, offrendo al terrorismo il pretesto per continuare gli attacchi suicidi in territorio israeliano. Il governo ebraico ha optato allora per la costruzione di un muro lungo circa 160 Km. in parte fatto in muratura, in parte di filo spinato, fra la Cisgiordania e Israele allo scopo di impedire ai kamikaze di entrare in territorio ebraico. Il punto è che questo muro non è costruito sul confine dell’armistizio del 1949, ma è costruito al suo interno, cosicché tutta quella terra è stata rubata ai plaestinesi. Ci sono villaggi palestinesi che si basano sulla produzione e la coltivazione degli ulivi che hanno le case da una parte e il terreno dall’altra. Nel 2004 la Corte Internazionale dell’Aia ha stabilito che la costruzione di questo muro è illegale. Ma gli israeliani invece di abbatterlo lo hanno mantenuto e addirittura ingrandito. Si tratta quindi di una sfida costante alla legalità internazionale e alla pace. Il 25 gennaio 2006 le elezioni nei territori palestinesi hanno decretato la vittoria di Hamas che ha ottenuto la maggioranza assoluta in parlamento ed è così iniziata la difficile convivenza con il premier Abu Mahzen, successore di Arafat, appartenente al partito di al-Fatah. Questa convivenza però non ha retto e nel giugno del 2008 a Gaza è scoppiata la guerra civile. Attualmente nei territori palestinesi vi è una ‘diarchia’, per cui in Cisgiordania comandano Abu Mahzen e al-Fatah, mentre a Gaza comanda Hamas. La speranza è riposta nel nuovo presidente degli Stati Uniti, il quale secondo indiscrezioni di stampa vorrebbe riproporre gli accordi di Camp David e cercare di portarli a termine.