DISEASE MONGERING IN ETA’ PEDIATRICA: DAI BAMBINI DIVERSAMENTE VIVACI AL MARKETING DEL FARMACO. Genova Palazzo Tursi 9/10/ 09 Via Garibaldi 9, h. 9 Prof. Dr. Emilia Costa Presidente Società Italiana Psicopatologia di Genere, CTU Tribunale di Roma. Cattedra di Psichiatria Sapienza Università di Roma Direttore UOC Psicofarmacologia e Disturbi Condotta Alimentare Policlinico Umberto I. Eventi avversi ed effetti iatrogeni derivanti dalla somministrazione di psicofarmaci ai bambini: il bene dei bambini o il bene del marketing? Piccoli segni e sintomi sono importanti segnali di malessere che il nostro corpo ci invia, chiedendo a noi ed a chi ci sta vicino di ascoltarli e decodificarli; ma al contrario nella società attuale ogni disturbo viene considerato un impiccio, un intralcio allo svolgimento degli impegni di tutti i giorni. Non importa qual è la causa del problema, l’importante è che passi il più in fretta possibile. C’é la paura di perdere tempo prezioso, di non essere produttivi sul lavoro, di rinunciare alle occasioni sociali o di non apparire sempre al top, che spinge ormai la maggioranza delle persone a ricercare nei farmaci la risposta più rapida ed efficace possibile ai propri mali. Questo modo affrettato e impaziente di affrontare i problemi ed in particolare i piccoli disturbi/problemi dei propri figli, si sta 1 pericolosamente estendendo anche negli ambiti più complessi della salute, come quello dei disturbi psicofisici dei bambini. Oggi si tende sempre di più a considerare malattie, semplici problemi e disagi, diagnosticandoli come ADHD o simili e cercando le soluzioni più comode e immediate per non essere disturbati dai problemi dei figli. Questo può spiegare il boom di psicofarmaci denunciato dal rapporto 2008 dell’Osservatorio Nazionale sull'impiego dei medicinali, e presentato a luglio di quest’anno: un’impennata di somministrazioni pari al 75 per cento in soli tre anni, con il 6,4 per cento degli italiani che ha avuto almeno una prescrizione di queste medicine nel corso dell'anno. Del resto, con questi dati, seppur allarmanti, l’Italia va di pari passo con gli altri paesi europei, dove i consumi medi di psicofarmaci oscillano dalle 20 alle 100 confezioni (in Italia sono 50) ogni 100 abitanti. E non va meglio fuori d’Europa: secondo uno studio 2009 pubblicato dagli Archives of General Psychiatry, negli Stati Uniti gli antidepressivi sono in costante crescita dal 1996, fino a essere diventati oggi la classe di farmaci più utilizzata in assoluto, con un numero di prescrizioni doppio rispetto al passato. L’aspetto più preoccupante di questo fenomeno riguarda il ricorso alla Psicoterapia che, al contrario delle prescrizioni farmacologiche, risulta paurosamente in calo: negli ultimi anni, in America, la percentuale di persone che si sono rivolte a uno psicoterapeuta è scesa dal 31.5 per cento al 20 per cento. Una pillola al posto dello Psicoterapeuta, insomma. C’è di che preoccuparsi. Di fronte a questi dati possiamo parlare di una vera 2 e propria medicalizzazione, o meglio ancora, psichiatrizzazione dei problemi, ovvero da un lato si tende sempre di più a trattare come malattie molti malesseri e disagi, preoccupazioni normali e passeggere, che derivano dai fatti della vita (le quotidiane arrabbiature, una perdita, un licenziamento, una separazione, un divorzio ecc.), dall’altro ad “inventare” di sana pianta nuove sindromi per dare un nome (e quindi una cura) al proprio stato d’animo. Ecco che qualsiasi umana paura si trasforma in fobia, un periodo di tristezza, di calo del tono dell’umore, viene scambiato per depressione, un momento di irrequietezza e disattenzione viene interpretato come sintomo di ADHD, la timidezza diventa fobia sociale e l’emotività un segnale di disturbo d’ansia, e così via. In secondo luogo, le numerose campagne degli ultimi anni volte ad inculcare nella mentalità comune l’importanza della Prevenzione e della Diagnosi precoce hanno avuto per certi aspetti un effetto boumerang di confusione generale nei confronti di presunte malattie a venire, per cui si cerca di curarsi con i farmaci prima ancora che il problema si presenti. Un comportamento assolutamente ingiustificato, irrazionale e nocivo nel campo della salute in generale ed in particolare della salute mentale, perché non è possibile prevenire farmacologicamente l’iperattività o la disattenzione con l’uso di psicofarmaci. O, come mi è capitato, addirittura con ES: una paziente che era stata trattata con terapia elettroconvulsivante per 10 anni consecutivi una volta la settimana a scopo preventivo di recidiva di depressione. 3 ADHD o solo irrequietezza esistenziale? Il primo problema legato all’abuso di psicofarmaci è l’eccesso di diagnosi, anche da parte dei non addetti ai lavori come amici, parenti, insegnanti e degli stessi medici. Purtroppo accade che vengano etichettati come “malati” bambini che in realtà stanno semplicemente attraversando un periodo difficile o che presentano fragilità costituzionali, le quali hanno bisogno sicuramente di supporto, ma non (almeno all’inizio) di tipo farmacologico. Al contrario quando vengono trattati con eccesso di psicofarmaci senza necessità, agli abituali effetti collaterali, già più potenti nelle fasce d’età a rischio, come bambini ed anziani, si aggiungono gli effetti iatrogeni anche a distanza di tempo, anche nell’adolescenza, portando a sviluppare anche seri Disturbi di Personalità. Spesso la Diagnosi di ADHD viene fatta non da medici, come dovrebbe essere, ma dai genitori o dagli insegnanti, sulla base di criteri soggettivi che non hanno credito scientifico, mentre invece sappiamo bene che per l’inquadramento diagnostico di questo complesso disturbo devono essere soddisfatti precisi requisiti, sanciti dai Manuali Internazionali di Psichiatria. Solo quando la Diagnosi è certa e lo specialista lo ritiene opportuno, può essere prescritta, sempre dopo aver tentato per diversi mesi altri presidi terapeutici, come una buona Psicoterapia, una terapia farmacologia attenta e mirata». La Diagnosi di ADHD si fonda: criterio A, su sei o più dei seguenti sintomi di disattenzione e se questi sono persistiti per almeno sei mesi con una intensità che provoca disadattamento e che 4 contrasta con il livello di sviluppo: a) spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività; b) spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco; c) spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente; d) spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze o i doveri sul posto di lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni; e) spesso ha difficoltà ad organizzarsi nei compiti e nelle attività; f) spesso evita, prova avversione o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto (come compiti a scuola o a casa), g) spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (giocattoli o compiti di scuola, matite, libri, altri strumenti); h) spesso è facilmente distratto da stimoli estranei; i) spesso è sbadato nelle attività quotidiane. Inoltre devono essere presenti sei o più dei seguenti sintomi di iperattività-impulsività con una intensità che causa disadattamento e contrasta con il livello di sviluppo. Iperattività: a) spesso muove con irrequietezza mani e piedi o si dimena sulla sedia; b)spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci si aspetti che resti seduto; c) spesso scorazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è fuori luogo (negli adolescenti o negli adulti, ciò può limitarsi a sentimenti soggettivi di irrequietezza); d) spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo; e) è spesso “sotto pressione” o agisce come se fosse “motorizzato”; f) spesso parla troppo; Impulsività: g) spesso spara le risposte prima che le domande siano state completate; h) spesso ha difficoltà ad 5 attendere il proprio turno; i) spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (ad es. si intromette nelle conversazioni o nei giochi). Criterio B: Alcuni dei sintomi di iperattività-impulsività o di disattenzione che causano compromissione erano presenti prima dei 7 anni di età. Criterio C: Una certa menomazione a seguito dei sintomi è presente in due o più contesti (per es. a scuola o al lavoro ed a casa; Criterio D: deve esservi un evidente compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo. Criterio E: I sintomi non si manifestano esclusivamente durante il decorso di un Disturbo Generalizzato dello Sviluppo, di Schizofrenia, o di un altro Disturbo Psicotico, e non risultano meglio attribuibili ad un altro Disturbo Mentale (per es. Disturbo dell’Umore, Disturbo d’Ansia, Disturbo Dissociativo o Disturbo di Personalità. Per la codificazione: Per i soggetti (specie adolescenti ed adulti) che al momento hanno sintomi che non soddisfano pienamente i criteri si dovrebbe specificare in “Remissione parziale”. Troppo spesso i vari sintomi evidenziati singolarmente da profani, vengono confusi con l’ADHD, mentre al contrario derivano da variazioni transitorie del tono dell’umore dovute a fattori contingenti e/o temporanei. I comportamenti giudicati negativi, a differenza di quelli dell’ADHD, si risolvono in genere quando le circostanze che li hanno causati migliorano o si risolvono. I disattenti-iperattivi temporanei non hanno quindi bisogno di farmaci. Anche la durata e l’intensità dei comportamenti irrequieti è ben diversa: la disattenzione o l’iperattività sono 6 variabili e passeggere, durano qualche ora, qualche giorno, mentre la Sindrome da ADHD dura da almeno sei mesi o anni, con segni precoci e premonitori. Attenzione quindi alla Diagnosi Differenziale che deve essere Multiassiale e comprendere le Scale aggiuntive: Scala del Funzionamento Difensivo, Scala di Valutazione Globale del Funzionamento Relazionale, Scala di Valutazione del Funzionamento Sociale e Lavorativo. RICERCA E INDUSTRIA Ma c’è di più. Non sono solo i genitori e gli insegnanti a trattare i più comuni malesseri come fossero malattie biologiche. Anche i produttori di farmaci spesso cavalcano quest’onda di nevrosi collettiva per cercare di vendere di più. Nell’industria farmaceutica gli investimenti in marketing sono due volte più elevati rispetto a quelli destinati alla ricerca. Inoltre, solo una piccola percentuale di farmaci immessi sul mercato negli ultimi 30 anni sono delle vere e proprie novità, i restanti sono solo “copie” di quelli tradizionali e già in uso, ed hanno gli stessi principi attivi e le stesse indicazioni, vengono cambiati solo il nome, gli addittivi ed il prezzo, per aumentare le vendite. Industrie farmaceutiche che, oltre tutto, sono le principali finanziatrici delle ricerche (Università, CNR, Ospedali, Enti di Ricerca) sulle cure psichiatriche. Gli studi sulle malattie mentali sono molto costosi, per questo vengono supportati quasi sempre dalle case produttrici di farmaci, che hanno così la padronanza di decidere a chi assegnare le ricerche e come portare avanti i lavori, per esempio: la durata, il campione, i parametri, ecc., scegliendo spesso di focalizzare l’attenzione sulle molecole che 7 producono reddito, senza prendere in considerazione con studi controllati e paralleli anche altre opzioni di trattamento come la Psicoterapia, la cui validità nel trattamento dei disturbi mentali riceve continue conferme. Alcune ricerche hanno mostrato che gli studi che riportano un risultato positivo sull’efficacia dei farmaci hanno tre volte più probabilità di essere pubblicati rispetto a quelli che hanno deluso le aspettative delle Industrie, le quali ovviamente finanziano anche le pubblicazioni internazionali, cioè quelle che hanno più peso nelle valutazioni concorsuali e nell’opinione espressa dai media . In questo modo nella percezione comune l'efficacia degli psicofarmaci può essere sopravvalutata. Spesso le ricerche sono promosse proprio da quei professionisti, collegati alle Aziende Farmaceutiche, che utilizzano in terapia solo gli psicofarmaci, mentre le idee, che propongono sostanze naturali di maggior efficacia e sicurezza, senza effetti collaterali, idee che sono alla base della ricerca e della lunga catena che porta alla realizzazione ed alla commercializzazione del farmaco, vengono respinte dalle Aziende quando proposte da professionisti che utilizzano anche la Psicoterapia. Le conoscenze attuali sulle opportunità di cura, quindi, presentano ancora forti limiti: mancano studi indipendenti che mettano a confronto sia le diverse terapie (farmacologiche e non), sia più farmaci tra loro e le loro interferenze. Scarse sono anche le misure di controllo “dall’alto” degli studi condotti dalle aziende private (in questo senso l’Inghilterra ha mosso i primi passi, con un'organizzazione pubblica, il Mental Health Research 8 Network, che monitora le ricerche indipendenti sui farmaci. Infine c’è il problema di non poter utilizzare, negli studi clinici, i malati più gravi che, se usati come cavie di nuove cure, potrebbero subire un peggioramento dei sintomi. Un altro fattore che spiega l’exploit di psicofarmaci è il dilagante e drammatico fenomeno dell’autoprescrizione, basato su logiche irrazionali di passaparola e fai-da-te. “Quello che funziona per uno funziona per tutti” è un assioma privo di validità scientifica in psichiatria, come in tutti gli altri ambiti della medicina, e deriva da una cattiva educazione sanitaria della popolazione che non è stata correttamente formata sul corretto utilizzo dei farmaci. Ed inoltre anche dai proprietari delle farmacie, che specie in questo periodo di riduzione degli acquisti di creme e belletti, tendono a favorire le richieste eccessive dei pazienti dipendenti dai farmaci. Per fare un solo esempio, qualche giorno fa, un gestore di Farmacia in persona, si scomodava per portare a casa di un anziano signore che vive da solo, un pacco pieno di farmaci, tra cui tranquillanti ed antidepressivi del valore di 600 E. Se esistesse davvero una “pillola per ogni singolo problema, la cura dell’anima”, un rimedio miracoloso, magico, salvatore, che funziona allo stesso modo per tutti, sarebbe ottimale e tutte le malattie mentali sarebbero debellate per sempre. Sappiamo tutti che ciò è un’utopia e che la realtà è molto più dura: bisogna affrontare i problemi e risolverli. Gli psicofarmaci aiutano, quando servono veramente, se affiancati da una psicoterapia mirata ed efficace, portata avanti con impegno e responsabilità e protratta per tutto il tempo necessario, senza fretta. Ad esempio 9 in caso di un “momento di psicosi” ed impossibilità di relazione, un farmaco dato bene può favorire lucidità e consapevolezza e far accettare il lavoro di Psicoterapia. Per un bambino con ADHD vero ci possono volere da diversi mesi a qualche anno di cura. La guarigione dall’ADHD è un lavoro lungo, che richiede pazienza, costanza ed approfondimento, ma spesso si fa fatica ad accettarlo e si cercano scorciatoie per dimezzare i tempi del disagio dei genitori. «Bisogna formare la mentalità comune alla consapevolezza che ogni medicina ha un effetto terapeutico ed uno tossico. Ciascuna di queste due facce della medaglia si rivela in modo diversificato secondo la persona (sesso, età, status pregresso, ecc.) e le sue problematiche attuali. Per questo è difficile mettere a confronto l’effetto che una stessa cura esercita su bambini diversi. Il medico specialista ha il compito di informare i genitori di questi aspetti e di metterlo al corrente dei possibili rischi e dei possibili benefici del farmaco che gli viene prescritto e, nel caso fossero necessari più farmaci, delle eventuali reazioni che possono scatenarsi dall’uso di più molecole combinate. Com’é noto ogni psicofarmaco ha i suoi effetti collaterali, che non sempre e non sempre interamente vengono descritti negli appositi depliance dei vari farmaci: ad esempio gli antidepressivi triciclici danno effetti legati all’attività adrenolitica, come ipotensione ortostatica, tachicardia, vertigini, tremore, eiaculazione precoce; effetti legati all’attività antistaminica, come sonnolenza, ipotensione, aumento di peso, compromissione della performance psicomotoria e cognitiva; conseguenze dell’attività 10 serotoninergica, come nausea, vomito, diarrea, cefalea irritabilità, tremori, diminuizione della libido. Gli Antiepilettici o Stabilizzanti dell’Umore hanno effetti collaterali ancora più impegnativi come epatopatie, emorragie, porfiria, poliuria, anoressia, stipsi, dolore epigastrico, cefalea, ipotiroidismo, insufficienza renale, debolezza muscolare, leucocitosi, ecc. Recentemente, dopo due anni dalla richiesta di avvio di procedura della Commissione Europea del Farmaco del 22 Giugno 2007, per gli effetti collaterali delle sostanze contenenti metilfenidato, si é terminata la revisione del Ritalin e l’ EMEA nel suo report finale ha stabilito i rischi potenziali di questo psicofarmaco in tachicardia, aritmie cardiache, arresto cardiaco, ictus, ischemia ed infarto cerebrale, morte improvvisa, ecc. concludendo che , comunque, il farmaco va mantenuto in commercio. Ciò nonostante gli eventi avversi anche sul piano mentale, segnalati dagli studi clinici, a normali dosaggi terapeutici, quali: irritabilità, ostilità, rabbia, aggressività, comportamenti violenti, iperattività psicomotoria, disordine psicotico e pensieri ossessivi, variazioni dell’umore e depressione, sonnolenza, letargia, ansia, disturbi di personalità, stati confusionali e paranoici e suicidabilità, ecc. Si potrebbe continuare con una lunga lista di effetti nocivi sui vari apparati e tessuti del corpo farmaco per farmaco, ma ciò servirebbe a poco se non si fa sistematicamente e su ogni paziente una corretta informazione su costi e benefici di ogni sostanza e le sue interazioni con altri farmaci. Effetti che sono legati oltre che alla costituzione, anche all’età, peso, altezza, sesso, al dosaggio ed 11 orario della somministrazione, alla risposta individuale alla malattia ed al farmaco. Il principale pericolo, comunque, legato all’abuso di farmaci è l’assuefazione, che comporta il bisogno, nel tempo, di aumentare la dose o di combinare l’azione di più molecole per mantenere alti i benefici della cura, senza conoscerne gli eventi avversi di ciascuno, né gli effetti interattivi tra un farmaco e l’altro, che poco alla volta si sommano e portano alle cosidette malattie iatrogene, cioè legate ad eccessivo e/o cattivo uso di psicofarmaci». I Bambini sono la fascia principale della popolazione più a rischio di grandi sofferenze e squilibri, dato che sono in fase evolutiva ed il cervello può subire seri danni anche irreversibili, le cui conseguenze possono evidenziarsi anche molto tempo dopo, nella fase adolescenziale, conducendo verso Disturbi di Personalità e quant’altro. Ad una prima occhiata l’Italia sembra viaggiare ancora su binari sicuri: secondo il rapporto Osmed le prescrizioni di psicofarmaci sui minori non superano l’1 per cento. Ma sotto la coltre rassicurante delle prescrizioni ufficiali la realtà che emerge è ben diversa: i bambini ed i ragazzi che utilizzano o si procurano psicofarmaci senza ricetta sarebbero uno su dieci, e tra quelli più gettonati ci sarebbero proprio gli antidepressivi, usati per regolare il tono dell’umore e migliorare le proprie performance scolastiche o le proprie relazioni sociali. 12 Lo rivela il rapporto annuale Espad (European School Project on Alcool and Other Drugs), che aggiunge che l’abuso è più frequente in presenza di un cattivo rapporto con genitori e insegnanti, oppure quando gli studenti hanno un rendimento scolastico insufficiente. Un fatto gravissimo, in quanto le evidenze scientifiche attestano che su organismi non ancora completamente formati come quelli di bambini e ragazzi l'efficacia degli psicofarmaci non è dimostrata, mentre è assodato che i rischi sono superiori ai benefici: il danno tossicologico acuto sul sistema nervoso centrale può essere irreversibile, inoltre è molto facile, come si diceva, scivolare nella dipendenza. L’allarme è quello che oggi non si accetta di affrontare la crisi, proprio nel suo significato di momento di passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza, dall’adolescenza all’età adulta. Sembra che i genitori abbiano bisogno di pillole per affrontare i cambiamenti fisiologici del corpo e della mente dei loro figli. L’incapacità e la mancanza di informazioni e strumenti adeguati per affrontare questi cambiamenti fisiologici e questi passaggi imprescindibili della vita dei giovani portano i genitori e gli insegnanti a ricorrere e consumare quantità disumane di psicofarmaci. Anche la scelta della cura farmacologica è dettata più da questioni “pratiche” di tempo disponibile che da una reale necessità, senza rendersi conto che il rapporto fra rischi e benefici non è favorevole ai bambini. Ovviamente non possiamo fare di tutta l’erba un fascio. L’incremento nella somministrazione di psicofarmaci è 13 giustificato anche dall’aumento dei casi diagnosticati come ADHD e dalle false diagnosi: in Italia sono circa sei milioni, più altri nove milioni di casi presunti, che non sono giunti all’attenzione dei medici. E le stime denunciano un trend di vendita di psicofarmaci in continua crescita: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ad esempio nel 2020 la depressione sarà la seconda causa di malattia dopo quella cardiovascolare. Un crescendo dovuto in parte a fattori esterni di tipo biologico e psicosociale: la società che cambia e diventa sempre più esigente in fatto di prestazioni, il decadimento dello stile di vita, l’aumento dello stress, ecc. Questi elementi creano un substrato di frustrazione e senso di inadeguatezza che diventa terreno fertile di stress e depressione nei genitori introversi o ansiosi, che mancano delle abilità psicosociali ed emotive per adattarsi alle pressioni della vita. In certe situazioni il ricorso al farmaco è legittimo, ma non prima di aver fatto un lungo e attento lavoro di analisi dei sintomi e del vissuto del bambino, fino ad arrivare a una diagnosi precisa. Infatti di disturbi con sintomi simili all’ADHD, ce ne sono diversi. In queste diagnosi rientrano diversi quadri psicopatologici, ognuno con caratteristiche proprie: il Manuale Internazionale dei Disturbi dell’Infanzia e dell’Adolescenza distingue principalmente i sottotipi del Disturbo da Deficit di attenzione/iperattività: Disturbo da Deficit di attenzione/iperattività, tipo combinato; Disturbo da Deficit di attenzione/iperattività, tipo con disattenzione prevalente; Disturbo da Deficit di attenzione/iperattività, tipo con iperattività- impulsività prevalenti; Disturbo da Deficit di attenzione/iperattività NAS. Ed 14 ancora la diagnosi differenziale va posta nei riguardi del Disturbo d’Ansia, Disturbo Dissociativo, Disturbo Generalizzato dello Sviluppo, Disturbo Autistico, Ritardo Mentale, Disturbo della Condotta, Disturbo Oppositivo Provocatorio, Disturbo Bipolare, Disturbi dell’Apprendimento, Disturbo delle Capacità Motorie, Disturbo di Tourette, ecc. LA PSICOTERAPIA SU MISURA In conclusione va ricordato che il farmaco se serve veramente non funziona mai da solo. Gli antidepressivi lavorano sui sintomi (l’ansia, l’insonnia, il panico, la paura persistente, l’umore depresso, l’isolamento, ecc.), aiutano a sentirsi meglio temporaneamente, a migliorare la qualità della vita. Ma non curano il problema, che immancalbimente si ripresenta sotto forma di recidiva e poi di cronizzazione del disturbo. La psicoterapia, invece, va a focalizzare l’origine del disturbo, di cui il sintomo è la manifestazione e cerca di risolverla, rende le persone consapevoli delle loro potenzialità di guarigione e di realizzazione personale, insegna ad attingere alle proprie risorse interiori e sviluppare abilità e potenzialità, invece di ricorrere a supporti artificiali per dimenticare di risolvere i propri problemi. È questo il motivo per cui la psicoterapia non può essere rimpiazzata da una pillola: non esiste un farmaco capace di sciogliere il nodo esistenziale di chi è depresso, un compito che invece è svolto con un’elevata probabilità di successo dalla terapia psicodinamica. 15 La psicoterapia riduce le malattie e i costi a esse correlati, permettendo al sistema sanitario di risparmiare circa 8.700 euro all'anno per ogni malato. Poi c’è l’aspetto, importantissimo, del mantenimento nel tempo: la psicoterapia continua a essere efficace, anche dopo la sua conclusione, al contrario dei farmaci, la cui azione è contingente. Non solo. Secondo una recente scoperta, realizzata grazie a tecniche avanzate di diagnostica per immagini, la psicoterapia è in grado di modificare l’attivazione di aree specifiche del cervello, in modo tale che l’individuo possa gestire meglio le sue emozioni negative, con un effetto simile a quello prodotto dai farmaci antidepressivi. Per abbattere le resistenze di chi non si affida alla psicoterapia per via dei suoi presunti tempi lunghi, oggi esistono programmi specifici, anche brevi e brevissimi, modulati sulla persona. L’importante è dare la priorità al colloquio, l’unico strumento in grado di far emergere conflittualità e difficoltà interiori. I farmaci, invece, se assunti senza sostegno psicologico e compresione possono azzerare o ridurre le capacità di reazione. Al contrario, ben venga il loro uso, quando veramente necessitano ed all’interno di un programma di ricerca, che evidenzi come la psicofarmacologia tenendo a bada i sintomi e rasserenano il malato lo porta ad accettare di mettersi in gioco attraverso la psicoterapia. Ma quando il ricorso al farmaco è inevitabile? In genere come seconda opzione quando la psicoterapia non dà i risultati sperati, 16 o in alcuni casi anche in prima battuta, all’inizio della terapia, se il medico riscontra nel malato una grande sofferenza, che compromette gravemente le sue abilità individuali e sociali e la sua qualità della vita. Per il trattamento di molti disturbi psichiatrici la terapia cognitiva avrebbe un’efficacia pari o in alcuni casi maggiore degli psicofarmaci: lo affermano le linee guida dell’APA, American Psychiatric Association, dopo la pubblicazione di uno studio condotto su 312 persone affette da disturbo di panico sulla rivista scientifica Jama. Sono state confrontate le azioni di un farmaco antidepressivo di comprovata efficacia, l’imipramina, con la psicoterapia e i risultati hanno dimostrato che la terapia cognitiva è più efficace del farmaco sul lungo periodo. In particolare, sei mesi dopo la fine del trattamento, i malati che avevano ricevuto la terapia cognitiva, sia da sola che in combinazione con il farmaco, erano ancora in buone condizioni, mentre il gruppo che aveva ricevuto solo imipramina non era (più) in condizioni migliori di quelli che avevano ricevuto placebo. Inoltre nuove frontiere si apriranno per questa branca della psicoterapia se verranno confermati i risultati di un lavoro pubblicato su Psychological Review da Philip Nicholas Johnson-Laird, uno dei massimi studiosi mondiali nel campo della psicologia del ragionamento, che ha evidenziato che chi soffre di depressione non ragiona peggio, ma meglio delle persone sane, almeno in domini sui quali sono esperti, come l’ansia e la paura. Se così fosse, sarà possibile creare percorsi terapeutici che prevedono l’apprendimento di una serie di strategie di maggiore 17 accettazione del rischio, e non più di semplice correzione degli errori cognitivi. In conclusione: TROPPI ANTIDEPRESSIVI AI BAMBINI In Australia, nell'ultimo anno, sono stati prescritti antidepressivi a migliaia di bimbi al di sotto dei dieci anni, tra cui 553 sotto i cinque anni e 48 con meno di un anno d'età. La notizia shock è stata resa nota dal quotidiano The Australian sulla base di statistiche del Dipartimento della Salute. E il fenomeno sarebbe addirittura sottostimato, perché i dati pubblicati riguardano solo le prescrizioni rimborsate dal servizio sanitario nazionale. L'antidepressivo più prescritto ai minori australiani è il Prozac, con 7.833 ricette, seguito dall'Effexor XR, con 3.347 prescrizioni. Intanto sia l'Adverse Drug Reactions Advisory Committee che l'Agenzia Europea dei Medicinali hanno ribadito il divieto di prescrizione degli antidepressivi inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) a individui al di sotto dei 18 anni, i quali verrebbero esposti a gravi rischi come la tendenza al suicidio, ostilità ed aggressività, senza peraltro nessuna comprovata efficacia terapeutica. ---------------------------------------------------------------------------------------------ABC DIZIONARIO ADHD = letteralmente Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, è un disturbo del comportamento che rende difficoltoso e in taluni casi impedisce il normale sviluppo emotivocognitivo e l’integrazione sociale dei bambini. 18 PLACEBO = qualsiasi sostanza o trattamento privo sia di finalità terapeutica che di effetto tossico, somministrata deliberatamente ai fini di studio per verificare comparativamente l’efficacia di nuove cure. 19