Massimo Botti con Elena Dacrema Sasso Carta Forbice RIMEDI STRATEGICI AD USO DI GENITORI ED INSEGNANTI ALLE PRESE CON RAGAZZI DIFFICILI Prefazione Giorgio Nardone Prefazione Indice Avvertenza Introduzione Voglio, ma non posso: “il ticcoso” Cap. 1 - Autoinganni e realtà 1.1 La costruzione della realtà 1.2 Logica strategica 1.3 Il concetto di Tentata Soluzione (T.S.) 1.4 Cambiare per conoscere 1.5 La costruzione degli interventi 1.6 Terapia Strategica e intervento indiretto con genitori e insegnanti Cap. 2 - Ambiti di applicazione del Manuale 2.1 3 - 5 anni: l’ingresso nel mondo 2.2 6 - 10 anni: l’età scolare 2.3 11 - 14 anni: il pensare che gli altri pensino… 2.4 Tipologie di problemi 2.5 Problemi nella fascia d’età 3 - 5 anni 2.6 Problemi nella fascia d’età 6 - 10 anni 2.7 Problemi nella fascia d’età 11 - 14 anni Cap. 3 - Le Tentate Soluzioni 3.1 Comuni Tentate Soluzioni 3.2 Le T. S. specifiche per Disturbo d’Ansia di Separazione e dormire nel lettone 3.3 Le T. S. specifiche per Mutismo Selettivo 3.4 Le T. S. specifiche per Disturbi da Deficit di Attenzione/Iperattività 3.5 Le T. S. specifiche per Disturbo Oppositivo Provocatorio e classe indisciplinata 3.6 Le T. S. specifiche per Disturbo della Condotta 3.7 Le T. S. specifiche per Tricotillomania, Disturbi da Tic, Disturbo Ossessivo-Compulsivo 3.8 Le T. S. specifiche per Fobia Specifica, Fobia Sociale (Fobia scolare, lamentele su insegnanti e compiti, scarso rendimento scolastico e pignoleria) Cap. 4 - Manovre Terapeutico/educative Introduzione 4.1 Come peggiorare 4.2 La ristrutturazione 4.2.1 La ristrutturazione con connotazione positiva 4.3 Uso di paradossi, aneddoti, metafore 4.4 Le prescrizioni di comportamento 4.5 Dichiarazione d’impotenza e premio disorientante 4.6 Frustrazione del sintomo e “irragionevolezza” Cap. 5 - L’applicazione dell’intervento strategico 5.1 Sblocco nella fascia d’età 3 - 5 anni 5.2 Esempi di casi A scuola mi denigrano! … Un caso di Mutismo funzionale Mio figlio ha dei Tic Il piacere di dormire nel lettone 5.3 Sblocco nella fascia d’età 6 - 10 anni 5.4 Esempi di casi Comando io. E il re è nudo! Gli altri hanno l’orsacchiotto? Io ho l’orso! Un caso di lutto E’ pigra e con DSA. Non c’è nulla da fare! Io sono grande Pre-occupazioni genitoriali 5.5 Sblocco nella fascia d’età 11 - 14 anni 5.6 Esempi di casi Lo sfaticato con probabile deficit d’intelligenza Fobia scolastica. Un caso di paranoia Ad ogni pensiero un capello Trauma e Fobia specifica Asfal-ta-to! “Mi fa fastidio” Epilogo DSA o NON-DSA? − cosa sono i DSA e i NON-DSA − Come si accerta un DSA − Quanto sono i DSA? Esempi di DSA che non sono DSA La manipolatrice La paura di sbagliare L’aiuto inutile “Ci vedo!” Ringraziamento Appendice Disturbi da Deficit di Attenzione/Iperattività Disturbo Oppositivo Provocatorio Disturbo della Condotta Tricotillomania Disturbi da Tic Disturbo d’Ansia di Separazione Fobia Specifica Fobia Sociale Disturbo Ossessivo-Compulsivo Mutismo Selettivo Bibliografia Capitolo 1 Autoinganni e realtà “Ognuno, in base a quello che pensa, subisce quello che ha pensato” 1.1 La costruzione della realtà L’aforisma in apertura è stato formulato da un ragazzino di 12 anni. Venne in colloquio accompagnato dai genitori, poiché non riuscivano a mandarlo fuori dal “lettone”. Gli avevano arredato una bella cameretta in cui c’era il letto del fratellino e il suo; il piccolo dormiva da solo nel proprio lettino, mentre il “grande” nel proprio non ci metteva piede!. Il figlio dodicenne si preoccupava della paura di dormire da solo, della paura del buio, della paura dei fantasmi e di tante altre paure collegate alla soluzione di superarle dormendo con i genitori. I genitori, dal canto loro, e da tempo immemorabile e con notevoli sforzi, lo tranquillizzavano, spiegavano che non c’era motivo per avere paura, lo accompagnavano nel suo letto per farlo addormentare e - immancabilmente prima che i genitori crollassero dal sonno - andavano tutti e tre a dormire nel lettone. L’alternativa era che i genitori si addormentassero talvolta con il figlio nel suo letto con, immaginate, le difficoltà di stare in un letto ad una piazza in tre! Talvolta fu tentato di ordinare al dodicenne di dormire nel proprio letto, ma questi si dava al pianto e alla rabbia facendo scenate tali da far desistere i genitori. Tutti e tre in studio analizzammo analiticamente del problema applicando il dialogo strategico per far “scoprire” al ragazzino che il vero problema era andare nel lettone, e di conseguenza la paura mantenuta proprio dalla soluzione disfunzionale adottata. La tecnica del dialogo strategico è una tecnica finalizzata a orientare il soggetto, intrappolato in percezioni patologiche, verso nuove modalità di sentire e reagire nei confronti del problema. Nel caso in questione sono state prevalentemente utilizzate le domande ad illusione di alternativa, già conosciute da Protagora e dai sofisti dell’Antica Grecia; le risposte e le successive ristrutturazioni portano, come in un percorso ad imbuto, ad un processo congiunto di scoperta, fino ad una reale esperienza emozionale correttiva. Il soggetto sperimenta sensazioni tali da rompere la percezione rigida della realtà. La persona cambia se stessa come effetto scoperta durante il dialogo. Attraverso questa tecnica, le prescrizioni diventano spesso un accordo che si raggiunge in maniera apparentemente naturale, dopo un riorientamento della persona verso una realtà più funzionale (Nardone G., Salvini A., 2004). Il colloquio terminò con l’accordo, pattuito con il ragazzo, che se lo riteneva poteva ancora dormire nel lettone, ma così avrebbe aumentato la sua paura; sarebbe stato lui a decidere cosa fare, non sarebbe stato più costretto a seguire i dettami della sua Tentata Soluzione. Come ci insegnavano i latini (ubi maior minor cessat), al secondo colloquio, dopo quindici giorni, il ragazzo esordì dicendo che aveva dormito solo una volta o due nel lettone per vedere se effettivamente la paura si manteneva o meno e scoprì invece che aveva coltivato il coraggio di dormire da solo e che poteva decidere dove dormire. Ci lasciammo con i doverosi complimenti per il buon lavoro svolto e, colloquiando piacevolmente di realtà inventate e paure concrete, il ragazzo coniò l’aforisma riportato all’inizio che - senza saperlo - va a parafrasare un noto aforisma di A. Salvini che recita: “Ognuno costruisce la realtà che poi subisce”. Noi siamo i costruttori della nostra realtà, in base al nostro autoinganno ci relazioniamo con noi stessi, con gli altri e con il mondo. “La mappa è il territorio”. Con questo teorema Heinz von Forster nel 1983 al MRI (Mental Research Institute) di Palo Alto in California sconvolse un pensiero sino ad allora dominante nell’ambito della psicologia; quello secondo cui è possibile accedere ad una verità “ultima”, univoca e definitiva che possa risolvere un problema attuale, magari dal passato! In realtà noi non possediamo nient’altro che mappe mentali, costrutti, quali forme di autoinganni. Rappresentazioni che possono essere disfunzionali o funzionali, ma possediamo solo mappe. L’oggettività è l’illusione che si possano fare osservazioni in assenza di un osservatore. In tutti gli altri campi della scienza, incluse la fisica e persino la matematica, è stata da tempo abbandonata l’idea di una realtà oggettiva, esistente all’esterno e accessibile alla nostra mente. «È la teoria che decide che cosa può essere osservato» disse Einstein a Heisenberg. E diciannove secoli prima di lui il filosofo stoico Epitteto era giunto a una conclusione del tutto simile: “Non sono le cose reali a turbare gli uomini, ma le opinioni che costoro si fanno di esse1”. La sofferenza sotto forma di comportamenti, pensieri e modalità di relazione è sull'immagine che l’individuo ha di sé, degli altri e del mondo. “Credere che la propria realtà, sia l’unica realtà, è il più pericoloso degli inganni” (P. Watzlawick) 1.2 Logica strategica Dobbiamo partire dal presupposto che, essendo noi lo strumento conoscitivo di noi stessi, nell'atto del conoscere contaminiamo quel lo che conosciamo. Se lo scienziato mentre osserva una cosa la influenza, ciò vale tanto di più per gli esseri umani nel rapporto con gli altri e con la propria realtà (Heisenberg W., 1958). Siamo continuamente “non ordinari”, è difficilissimo trovare qualcosa che funzioni senza che ci sia dietro un autoinganno. Dall'illusione non si esce. La logica dell'autoinganno, che è un fenomeno oscuro e per questo per secoli rintanato nelle segrete della logica lineare, nell'ultimo trentennio è tornata alla ribalta perché, cominciando a studiare con maggiore correttezza metodologica ed epistemologica il rapporto tra il soggetto e la sua realtà, non si è più potuto eludere il fatto che tendiamo ad alterare la realtà che percepiamo e a costruire costantemente la realtà sulla base dei nostri autoinganni. L'autoinganno è una dotazione naturale che ci protegge; è qualcosa di positivo, ma che abusato può divenire patogeno. Pensiamo alla paura che, all'apparenza negativa, è in realtà la nostra più primitiva sensazione, la più sana che abbiamo. Quel meccanismo fisiologico che innesca, grazie a certe percezioni, le attivazioni dell'organismo che ci rendono migliori. 1 Ray W. e Nardone G., (a cura di), (2007), Guardarsi dentro rende ciechi, Ponte alle Grazie, Milano Senza la paura non faremmo niente. Sappiamo tutti che l'ansia, il suo corrispettivo in termini prettamente fisiologici, segue una curva per cui fino a un certo punto ci rende molto più efficaci; è quando supera la soglia che ci rende incapaci. L'autoinganno, quindi, non è qualcosa da denigrare come coloro che pensano in virtù dell'illusione del controllo razionale; l'autoinganno è una dotazione che dobbiamo utilizzare, visto che non la possiamo evitare! L'approccio strategico alla terapia si richiama direttamente alle moderne scoperte costruttiviste (Glaserfeld E. von 1979, 1984; Foerster H. von 1974, 1987; Piaget J. 1971, 1973; Watzlawick P. 1976, 1981). Essa si fonda essenzialmente sull’impossibilità, da parte di qualunque osservatore, di conoscere e definire la realtà vera ed ultima delle cose. La prospettiva strategica si basa, dunque, sulla conoscenza del funzionamento del comportamento umano di fronte alla realtà percepita nella propria esistenza. Ogni realtà cambia dunque a seconda del punto di vista di chi la osserva, e ciò conduce a reazioni diverse sulla base delle differenti attribuzioni che si possono dare della medesima realtà. Si riconosce il ruolo del passato sul comportamento attuale, ma è fallace e si assiste all’assenza di oggettività quando si rievocano eventi (Watzlawick P., Beavin J., Jackson D. D., 1967; Watzlawick P., Weakland J. H., Fisch R., 1974; Glasersfeld E. von. 1988; Watzlawick P., Nardone, G., 1997). Qualunque persona A che parli del suo passato alla persona B è strettamente legata alla relazione in corso tra queste due persone, e ne è determinata! L'indagine del passato è inattendibile oltreché fuorviante. Si preferisce l'osservazione diretta della comunicazione nel suo hic et nunc, che permette l'identificazione della modalità di persistenza del problema utile da un punto di vista diagnostico e per la messa a punto delle più appropriate strategie terapeutiche. 1.3 Il concetto di Tentata Soluzione (T.S.) Il rigoroso lavoro di ricerca svolto al MRI di Palo Alto (CA) già a partire dagli anni ’70 ed affinato dagli anni ’80 presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo, ha portato gradualmente a definire un riduttore di complessità quando affrontiamo un problema umano: la Tentata Soluzione. Questo concetto fondamentale fu illustrato chiaramente per la prima volta nel 1974 da Watzlawick,, Weakland e Fish, e nuovamente nel 1983 con Fish, Weakland e Segal. Questi autori, prendendo spunto dall’azione geniale e innovatrice di Milton Erickson, il primo terapeuta ad aver utilizzato il termine “Terapia Breve”, definirono che i problemi si formano e si mantengono dalle Tentate Soluzioni che opera la persona per risolverli. “Per strano che possa sembrare, ciò che più di ogni altra cosa contribuisce al mantenimento o all’esacerbazione di un problema è un qualche aspetto della soluzione tentata dal paziente, è il modo stesso in cui egli sta cercando di cambiare il problema medesimo. Il più delle volte, è facile che l’inizio di un problema sia dovuto ad una comune difficoltà. La maggior parte della gente affronta queste difficoltà in modo ragionevolmente adeguato (non è né comune né indispensabile affrontarle alla perfezione), cosicché non li troveremo mai nei nostri studi. Perché invece una difficoltà si tramuti in problema, occorre che siano soddisfatte le seguenti condizioni: la difficoltà viene affrontato in modo non adeguato, e non riuscendo a risolvere la difficoltà, non si fa che applicare di più la stessa soluzione. In questo modo si assiste ad un inasprirsi della difficoltà originale, e si entra in un circolo vizioso che condurrà ad un problema, che alla fine avrà mole e natura apparentemente del tutto dissimili dalla difficoltà iniziale stessa” (Fish R., Weakland P., Segal L., p. 24, 1983). Dopo aver ottenuto una definizione del problema che sembra sufficientemente chiara, si individua che cosa è stato fatto sino a quel momento per risolverlo e quali consigli hanno ricevuto da altre persone. Ottenere questa informazione ci permette di identificare proprio i meccanismi attraverso cui il sistema - disfunzionale - mantiene la propria omeostasi. Già Freud era consapevole del fatto che molti dei suoi pazienti tendevano a commettere sempre lo stesso errore e definì il fenomeno coazione a ripetere. Darwin, ancora prima, aveva osservato che la sopravvivenza di una specie può essere minacciata dalla propria incapacità ad abbandonare ciò che rappresenta un ottimo (e pertanto assolutamente non patologico) adattamento, ma il cui ostinato mantenimento a fronte di condizioni ambientali in continuo mutamento può infine minacciarne la sopravvivenza. La convinzione di aver trovato la soluzione ottimale (unita al tentativo di perfezionare questa strategia di soluzione a fronte delle crescenti difficoltà) rende cieche le persone nei confronti di strategie di cambiamento che possono essere presenti e disponibili in ogni momento. Contestualizzato in un frequente caso che si riscontra in Infanzia, è il caso di due fratelli che litighino violentemente e ripetutamente tra loro. In queste situazioni generalmente il genitore si pone tra i due assumendo di volta in volta il ruolo d’investigatore, di giudice e per finire di mediatore, ma questa Tentata Soluzione - quando il problema del litigio persiste - peggiora la situazione perché accresce il rancore del figlio che, a seconda della situazione, verrà ritenuto il più colpevole. Quando si presenta un problema all’interno di un determinato contesto si ha la tendenza a far ricorso all’esperienza sotto forma di riproposizione di interventi risolutivi che in passato hanno funzionato per problemi analoghi. Di fronte all’insuccesso di tali strategie, poi, piuttosto che ricorrere a modalità di soluzione alternative, si ha la tendenza ad applicare con maggior vigore la strategia iniziale, nell’illusione che fare “più di prima” la renderà efficace. Rende bene l’idea l’umoristico racconto dell’episodio secondo cui, sotto un lampione, c'è un ubriaco che sta cercando qualcosa, si avvicina un poliziotto e gli chiede che cosa ha perduto. «La mia chiave» risponde l'uomo, e si mettono a cercare tutti e due. Dopo aver guardato a lungo, il poliziotto gli chiede se è proprio sicuro di averla persa lì. L'altro risponde: «No, non qui, là dietro; solo che là è troppo buio!» Questi tentativi di reiterare una stessa soluzione che non funziona finiscono per dar vita a un complesso processo di retroazioni in cui sono proprio gli sforzi in direzione del cambiamento a mantenere la situazione problematica immutata. Da questo punto di vista possiamo affermare che le Tentate Soluzioni diventano parte integrante del problema (Watzlawick, et al., 1974), come l’eccesso nell’uso di un farmaco costituisce un veleno, i nostri autoinganni, se irrigiditi e replicati sebbene fallimentari, finiscono per risultare dannosi per l’individuo. Nell’intervento strategico non ci si interessa al conoscere le verità profonde e il perché delle cose, ma “come” farle funzionare nel miglior modo possibile. La prima preoccupazione è quella di adattare le proprie conoscenze alle realtà parziali che ci si trova di volta in volta ad affrontare, mettendo a punto strategie fondate sugli obiettivi da raggiungere e in grado di adattarsi, passo dopo passo, all’evolversi della realtà. Rinunciando alla pretesa di una conoscenza a priori dei fenomeni oggetti di studio, è necessario avere a disposizione un riduttore di complessità che consenta di cominciare a intervenire sulla realtà da modificare e di svelarne così, progressivamente, la modalità di funzionamento. Operando sui casi per la soluzione dei più comuni e invalidanti problemi dell’Infanzia e della prima Adolescenza, a livello operativo-conoscitivo, si è ottenuto il risultato di far calzare perfettamente l'intervento al problema grazie all'utilizzo della logica costitutivo-deduttiva e mettere a punto così protocolli di intervento efficaci per il superamento dei problemi di bambini e ragazzi. Lo sforzo scientifico profuso si è concretizzato nella messa a punto di manovre terapeutiche essenziali per lo sblocco della sintomatologia in breve tempo, individuando scientificamente la corretta leva di cambiamento che producesse effetti virtuosi sin da subito. Seguendo la logica secondo cui è la soluzione che spiega il problema, sono state approntate specifiche manovre focali terapeutiche/educative e si è giunti pertanto a creare un modello d’intervento efficace e puntuale che mira alla soluzione del problema in quanto tale attraverso il minor numero di manovre terapeutiche necessarie. 1.4 Cambiare per conoscere Il concetto teorico originario dell'approccio strategico era basato sul fatto che, concentrarsi sulle Tentate Soluzioni che mantengono il problema e interrompere questo circolo vizioso, avrebbe portato a sbloccare la situazione patologica. Infatti, le persone, quando si trovano di fronte ad un problema, tendono a porre in atto dei comportamenti e delle strategie spesso mantenute anche quando non funzionano. Ossia, nel caso specifico dei problemi in età evolutiva, quando un genitore o un insegnante avverte un problema nel comportamento del bambino, applica la soluzione che ritiene più adeguata. Se non funziona, il più delle volte l'adulto ritiene di non averlo applicato abbastanza bene oppure con minore intensità di quanto necessario, perciò insiste. A questo punto se il problema permane si andrà a sedimentare un copione patologico basato prevalentemente sulle Tentate Soluzioni messe in atto proprio per risolvere il problema originario. Talvolta invece accade che a fronte di un lieve miglioramento del problema poi il risultato svanisca, ma l'adulto continuando ad insistere ad applicare la stessa Tentata Soluzione iniziale riporta il comportamento allo stato patologico originario ricadendo nell’ipotesi precedente in cui si viene a crearsi un nuovo problema causato dalle Tentate Soluzioni adottate. La moderna evoluzione della Terapia Breve Strategica, pur riconoscendo l'importanza delle Tentate Soluzioni tipiche dei diversi comportamenti patologici, migliora il modello strategico adottando una prassi empiricamente verificabile che da un lato opera una mappatura delle Tentate Soluzioni tipiche delle patologie e, dall'altro, adotta dei protocolli di trattamento specifici per ogni tipo di logica che mantiene il problema attraverso stratagemmi terapeutici basati scientificamente su di un gran numero di casi. Il modello evoluto di trattamento strategico, permette quindi la predittività del percorso terapeutico e le possibili contromosse pur all'interno di una flessibilità terapeutica che consente sempre di adottare gli opportuni aggiustamenti terapeutici secondo il caso che si manifesta. Uno degli elementi distintivi che caratterizza l'approccio evoluto alla Terapia Breve Strategica, è il concetto di Sistema Percettivo-Reattivo2. Con tale termine ci si riferisce a quel modello ridondante e ricorrente in base al quale la persona, sulla base dei propri autoinganni, agisce nel mondo. Quindi, all'interno del lavoro di sistematizzazione di specifici protocolli di trattamento per le diverse patologie, è stata attentamente studiata la mappatura di tali sistemi percettivo-reattivi attraverso l'adozione di modelli terapeutici di soluzione efficaci ed efficienti empiricamente validati scientificamente. La strategia che ha funzionato descrive chiaramente la struttura della persistenza del problema. Il modello terapeutico adottato quindi diventa efficiente e replicabile, inoltre diviene anche predittivo delle varie fasi di evoluzione dal disturbo alla condizione di superamento della patologia. 2 Per Sistema Percettivo-Reattivo di un individuo s’intende la modalità ridondante di percezione e reazione di un individuo nei confronti della realtà, che si esprime nel funzionamento delle tre fondamentali tipologie di relazione interdipendenti: • La relazione tra il Sé e il Sé; • La relazione tra il Sé e gli altri; • La relazione tra il Sé e il mondo. Se una sola di queste tre categorie di interazione non funziona bene, anche le altre vengono inficiate. “Non importa se un gatto è bianco o nero, purché catturi i topi” (Deng Xiaoping) 1.5 La costruzione degli interventi Le considerazioni esposte precedentemente, in termini operativi si traducono nell'applicazione di una modalità di ricerca attraverso la quale mettere i punto specifici protocolli di trattamento volti sia all'ambito della clinica che al contesto educativo/d’istruzione Tale particolare metodologia sperimentale muove dal presupposto che per conoscere il funzionamento di un problema è necessario introdurre un cambiamento. Kurt Lewin, nell’ambito della psicologia sociale, ha definito ricerca-azione questa metodologia che studia il fenomeno sul campo modificando gli eventi in maniera empirica e sperimentale e osservando gli effetti dei cambiamenti apportati. Il modo in cui la persona, il sistema o l'organizzazione risponderà a essi ci svelerà il precedente funzionamento del fenomeno stesso. In altri termini, non è il tipo di problemi a dirci qual è la soluzione idonea, ma è il tipo di soluzione individuata a spiegare come funzionava il problema, ovvero “cambiare per conoscere”. E’ un processo di ricerca sistematizzato caratterizzato da fasi di scoperta e successive fasi di organizzazione dell’esperienza terapeutica, e non più un processo di convalida di una teoria a priori (Glasersfeld E. von, 1984, 1995; Nardone G., 1997). Con il concetto di “consapevolezza operativa” von Glasersfeld (1984) si riferisce proprio a quel tipo di conoscenza, quella costruttivista, che ci permette di adattarci nel modo più funzionale possibile a ciò che percepiamo tramite la messa a punto, di fronte ai singoli problemi, di strategie che si fondino di volta in volta sugli obiettivi che ci poniamo e che si adattino mano a mano all'evolversi di tali realtà. Da tale assunto nasce il modello di intervento definito autocorrettivo, nel senso che si modifica ed è modificabile in ogni momento sulla base degli effetti ottenuti durante il processo terapeutico (Nardone G., Salvini A., 1997). Nel corso del lavoro svolto per oltre 10 anni su più di 1.000 casi, sia presso il Centro di Terapia Strategica di Piacenza sia presso le Scuole d’Infanzia, Primaria e Secondaria di I Grado negli istituti scolastici di Piacenza e provincia, è stato possibile individuare specifiche modalità ridondanti di comportamento disfunzionale in bambini e adulti, così come le chiare e sistematiche Tentate Soluzioni adottate. L’ausilio della disponibilità del confronto su migliaia di casi trattati nel corso degli ultimi vent’anni dal Centro di Terapia Strategica di Arezzo e dagli Studi Affiliati in Italia, Europa e Stati Uniti, ha consentito la validazione e affinamento degli interventi presentati di seguito. Negli ultimi tre anni, allorché il tempo medio di trattazione dei casi risolti è stato di 3/5 sedute con insegnanti/genitori e, complessivamente, i casi sono stati trattati con successo fra le 3 e le 10 sedute, sono stati sistematizzati gli interventi focali e sono state determinate le tre fasce d’età di riferimento per i problemi e gli interventi per il definitivo superamento del problema. Sono stati individuati i Sistema Percettivo-Reattivo tipici del problema portato dal soggetto e le ricorrenti e ridondanti Tentate Soluzioni messe in atto dal bambino e dagli adulti di riferimento. Gli ultimi 287 casi risolti in Infanzia e prima Adolescenza, trattati dall’anno scolastico 2009/10 sino al 2001/12 con i protocolli creati nell’arco di un decennio, sono stati suddivisi per omogeneità di problemi secondo le fasce d’età in: 3 - 5 anni, 6 - 10 anni, 11 - 14 anni. La distribuzione dei casi è la seguente: Fascia d’età 3 - 5 anni 6 - 10 anni 11 - 14 anni Numero di casi 49 147 91 La scelta di questa suddivisione è con riferimento ai tre gradi di scuola che accumunano le età delle fasce. In prima fascia abbiamo i bambini che frequentano la Scuola d’Infanzia, nella seconda si trovano i bambini e fanciulli della Scuola Primaria e nella terza abbiamo i preadolescenti della Scuola Secondaria di I Grado. Nell’elencazione successiva sono evidenziate le tipologie di problemi prevalenti per ogni fascia d’età. La nomenclatura dei problemi fa riferimento alla terminologia utilizzata da genitori e insegnanti in sede di esposizione del problema, ed è stata mantenuta per semplificare la lettura. Come sarà riportato anche più avanti (par. 2.4, 2.5, 2.6 e 2.7), si potrà notare la stessa denominazione di problemi per fasce d’età diverse, sebbene cambi la modalità di manifestazione del problema che sarà descritto nelle sue peculiari caratteristiche di funzionamento anche con riferimento al Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV-TR). Nella prima fascia d’età (dai 3 ai 5 anni) si sono rilevati prevalentemente i seguenti problemi: - Difficile controllo degli impulsi talvolta con opposizione; - Ansia di separazione ; - Dormire con i genitori nel lettone; - Mutismo Selettivo. Nella fascia d’età dai sei ai dieci anni, i problemi inventariati e a cui è stata data soluzione sono: - Scarso rendimento scolastico anche unito talvolta a capricci per compiti e cattiva grafia (disgrafia); - Dubbio, bugia, pedanteria; - Deficit di Attenzione/Iperattività anche con condotte aggressive verso oggetti; - Dormire con i genitori nel lettone, anche con opposizione; Ansia di separazione; Tricotillomania, tic, rituali compresa l’autostimolazione genitale; Amico immaginario; Trauma, lutto; Fobia specifica; Comportamento Oppositivo Provocatorio; Fobia scolare; Litigio fra fratelli/sorelle; Classe indisciplinata. Nell’ultima fascia d’età, fra gli undici e i quattordici anni, i problemi prevalenti sono: - Scarso rendimento scolastico anche unito talvolta a rifiuto dello studio a casa e scuola; - Dormire con i genitori nel lettone; - Tic, rituali in Disturbo Ossessivo-compulsivo; - Deficit di Attenzione/Iperattività; - Fobia specifica; - Comportamento Oppositivo Provocatorio; - Fobia scolare; - Litigio fra fratelli/sorelle; - Classe indisciplinata. La dimostrazione della validità delle manovre individuate, è data dal fatto che tali interventi focali sono stati adottati con successo allo stesso problema attuati da adulti diversi in contesti e tempi diversi e a bambini diversi; pertanto l’applicazione del protocollo d’intervento conferma la trasmissibilità del protocollo stesso e la predittività sull’esito. Infatti, quando noi abbiamo di fronte un bambino con una patologia o un problema, abbiamo di fronte due livelli logici che interagiscono; il primo è l’originalità del paziente; come già affermava Erickson, infatti, ogni individuo possiede caratteristiche uniche ed irripetibili, così come la sua interazione con se stesso gli altri e il mondo rappresenta sempre qualcosa di originale. Di conseguenza, ogni interazione umana risulta essere unica ed irripetibile, all'interno della quale sta al terapeuta adattare la propria logica ed il proprio linguaggio a quello del paziente procedendo, in tal modo, nell'indagine delle caratteristiche del problema da risolvere, sino alla rilevazione della sua specifica modalità di persistenza. Una volta individuate le peculiarità della persistenza del problema, egli potrà utilizzare il protocollo di intervento strategico che appare più idoneo, ma formulando ogni singola manovra adattandola alla logica e al linguaggio del paziente. In questo modo, in realtà l'intervento terapeutico mantiene la sua capacità di adattarsi alle singolarità di ogni nuova persona e situazione, mantenendo, tuttavia, anche il rigore strategico a livello di struttura dell'intervento. Infatti il secondo livello è sul piano del problema e della struttura della soluzione. Qui possiamo individuare che certe patologie hanno una struttura che si replica in persone differenti, quindi a livello della struttura della soluzione possiamo costruire strategie che si applicano a problemi che funzionano in quel modo su persone differenti. In questo caso si rispetta l’adattabilità dell’intervento su ogni singola persona e allo stesso tempo si possono costruire piani di interventi rigorosi, tecnologicamente più avanzati (Nardone G., 2007). 1.6 Terapia Strategica e intervento indiretto con genitori e insegnanti Genitori e insegnanti risolvono “direttamente” il problema “È impossibile non comunicare”. Il primo e incontrovertibile assioma della comunicazione (Watzlawick et al., 1967), ci insegna che comunichiamo comunque: intenzionalmente o meno. Visto che è una peculiarità a cui non ci possiamo sottrarre, e preso atto che ad ogni comunicazione segue l’influenzamento del ricevente, i genitori e gli insegnanti si trovano costantemente ad influenzare il figlio e/o lo studente con la propria comunicazione. Sia che ne siano consapevoli sia che non lo siano. L’adulto di riferimento, direttamente coinvolto nel processo d’influenzamento del ragazzo, può, pertanto scegliere la modalità di comunicazione3 più consona a risolvere il problema a cui assiste. Una delle peculiarità degli intereventi messi a punto, generalmente consiste nel risolvere il problema mediante il trattamento indiretto del bambino. L’intervento prevede il coinvolgimento di uno o più membri adulti della famiglia, o nella fattispecie gli insegnanti della scuola, i quali rappresentano la risorsa principale per un cambiamento positivo e realizzare in tal modo una situazione di benessere del minore e di tutto il sistema. Molti dei problemi che si manifestano nel contesto familiare o scolastico possono essere, a volte, non affrontati in modo adeguato o possono essere sottovalutati. I problemi psicologici che coinvolgono il bambino e gli adulti di riferimento si costruiscono spesso sulla base delle reazioni messe in atto dagli adulti stessi per cercare di risolvere il problema. Il problema così, anziché risolversi, viene alimentato o addirittura estremizzato dal modo in cui si sta cercando di risolverlo. Il rischio maggiore al quale una famiglia può andare incontro, continuando ad utilizzare le Tentate Soluzioni, è che un problema possa trasformarsi in un profondo disagio e di conseguenza in un disturbo psicopatologico. Questo accade quando il problema si mantiene, si stabilizza e si amplifica in seguito alla messa in atto di soluzioni disfunzionali perpetuate nel tempo. Le competenze e le capacità genitoriali richieste per aiutare concretamente i figli (o gli studenti) a superare i problemi possono essere identificate nella capacità di assumere una visione sistemico-interazionale dei problemi e una 3 Comunicazione intesa nell’accezione più ampia e scientifica del termine, ossia quale interazione costituita dal fare, dal pensare, dal dire e dall’essere con il bambino. capacità strategica di intervento correttivo sui fattori che alimentano i circoli viziosi classici rinvenibili nei problemi da risolvere4 La soluzione del problema procede sin dal primo colloquio attuando la collaborazione fra psicoterapeuta e adulti di riferimento che attueranno con il bambino le manovre del protocollo d’intervento. Nel giro di poche sedute, le prescrizioni bloccheranno le Tentate Soluzioni disfunzionali, e faranno sì che s’inneschino gli opportuni cambiamenti per la risoluzione del problema. Quello che molto spesso si sottovaluta è che un bambino, quando va dallo psicologo, dallo psicoterapeuta o purtroppo dal logopedista per un problema non di sua competenza, si sentirà diverso già per il solo fatto che è in cura da uno specialista. Il rischio è di sommare ad un problema già presente, l’etichetta diagnostica di una possibile patologia che, anziché risolvere il problema, lo complica e lo aggrava. Inoltre è molto più proficuo lavorare con i genitori e/o insegnanti, piuttosto che con un bambino o ragazzo problematico che potrebbe boicottare la terapia e rendere vano il nostro intervento. Non venendo fisicamente in terapia, il bambino non si sentirà problematico e senza essere sottoposto alle domande dello specialista, ma quasi magicamente attraverso i nuovi comportamenti degli adulti – guidati dallo psicoterapeuta – cambierà comportamento e/o guarirà. Gli attori principali del cambiamento sono pertanto coloro che avvertono per primi il problema; lo osservano, soffrono e interagiscono con esso. Gli adulti di riferimento quindi sono parte integrante sia del problema sia della soluzione in quanto in diretta comunicazione - e non potrebbe essere altrimenti - col bambino. 4 Nardone G. e l’Équipe del Centro di Terapia Strategica, (2012), Aiutare i genitori ad aiutare i figli, Ponte alle Grazie, Milano