Sasso Carta Forbice

annuncio pubblicitario
 Massimo Botti
con Elena Dacrema
Sasso Carta Forbice
RIMEDI STRATEGICI AD USO DI GENITORI ED INSEGNANTI ALLE
PRESE CON RAGAZZI DIFFICILI
Prefazione
Giorgio Nardone
Prefazione
Indice
Avvertenza
Introduzione
Voglio, ma non posso: “il ticcoso”
Cap. 1 - Autoinganni e realtà
1.1
La costruzione della realtà
1.2
Logica strategica
1.3
Il concetto di Tentata Soluzione (T.S.)
1.4
Cambiare per conoscere
1.5
La costruzione degli interventi
1.6
Terapia Strategica e intervento indiretto con
genitori e insegnanti
Cap. 2 - Ambiti di applicazione del Manuale
2.1
3 - 5 anni: l’ingresso nel mondo
2.2
6 - 10 anni: l’età scolare
2.3
11 - 14 anni: il pensare che gli altri pensino…
2.4
Tipologie di problemi
2.5
Problemi nella fascia d’età 3 - 5 anni
2.6
Problemi nella fascia d’età 6 - 10 anni
2.7
Problemi nella fascia d’età 11 - 14 anni
Cap. 3 - Le Tentate Soluzioni
3.1
Comuni Tentate Soluzioni
3.2
Le T. S. specifiche per Disturbo d’Ansia
di Separazione e dormire nel lettone
3.3
Le T. S. specifiche per Mutismo Selettivo
3.4
Le T. S. specifiche per Disturbi da
Deficit di Attenzione/Iperattività
3.5
Le T. S. specifiche per Disturbo
Oppositivo Provocatorio e classe indisciplinata
3.6
Le T. S. specifiche per Disturbo della Condotta
3.7
Le T. S. specifiche per Tricotillomania,
Disturbi da Tic, Disturbo Ossessivo-Compulsivo
3.8
Le T. S. specifiche per Fobia Specifica,
Fobia Sociale (Fobia scolare, lamentele su
insegnanti e compiti, scarso rendimento
scolastico e pignoleria)
Cap. 4 - Manovre Terapeutico/educative
Introduzione
4.1
Come peggiorare
4.2
La ristrutturazione
4.2.1
La ristrutturazione con connotazione positiva
4.3
Uso di paradossi, aneddoti, metafore
4.4
Le prescrizioni di comportamento
4.5
Dichiarazione d’impotenza e premio disorientante
4.6
Frustrazione del sintomo e “irragionevolezza”
Cap. 5 - L’applicazione dell’intervento strategico
5.1
Sblocco nella fascia d’età 3 - 5 anni
5.2
Esempi di casi
A scuola mi denigrano! …
Un caso di Mutismo funzionale
Mio figlio ha dei Tic
Il piacere di dormire nel lettone
5.3
Sblocco nella fascia d’età 6 - 10 anni
5.4
Esempi di casi
Comando io. E il re è nudo!
Gli altri hanno l’orsacchiotto? Io ho l’orso!
Un caso di lutto
E’ pigra e con DSA. Non c’è nulla da fare!
Io sono grande
Pre-occupazioni genitoriali
5.5
Sblocco nella fascia d’età 11 - 14 anni
5.6
Esempi di casi
Lo sfaticato con probabile deficit d’intelligenza
Fobia scolastica. Un caso di paranoia
Ad ogni pensiero un capello
Trauma e Fobia specifica
Asfal-ta-to!
“Mi fa fastidio”
Epilogo
DSA o NON-DSA?
− cosa sono i DSA e i NON-DSA
− Come si accerta un DSA
− Quanto sono i DSA?
Esempi di DSA che non sono DSA
La manipolatrice
La paura di sbagliare
L’aiuto inutile
“Ci vedo!”
Ringraziamento
Appendice
Disturbi da Deficit di Attenzione/Iperattività
Disturbo Oppositivo Provocatorio
Disturbo della Condotta
Tricotillomania
Disturbi da Tic
Disturbo d’Ansia di Separazione
Fobia Specifica
Fobia Sociale
Disturbo Ossessivo-Compulsivo
Mutismo Selettivo
Bibliografia
Capitolo 1
Autoinganni e realtà
“Ognuno, in base a quello che pensa,
subisce quello che ha pensato”
1.1
La costruzione della realtà
L’aforisma in apertura è stato formulato da un ragazzino di 12 anni. Venne
in colloquio accompagnato dai genitori, poiché non riuscivano a mandarlo fuori
dal “lettone”. Gli avevano arredato una bella cameretta in cui c’era il letto del
fratellino e il suo; il piccolo dormiva da solo nel proprio lettino, mentre il
“grande” nel proprio non ci metteva piede!.
Il figlio dodicenne si preoccupava della paura di dormire da solo, della
paura del buio, della paura dei fantasmi e di tante altre paure collegate alla
soluzione di superarle dormendo con i genitori.
I genitori, dal canto loro, e da tempo immemorabile e con notevoli sforzi, lo
tranquillizzavano, spiegavano che non c’era motivo per avere paura, lo
accompagnavano nel suo letto per farlo addormentare e - immancabilmente prima
che i genitori crollassero dal sonno - andavano tutti e tre a dormire nel lettone.
L’alternativa era che i genitori si addormentassero talvolta con il figlio nel suo
letto con, immaginate, le difficoltà di stare in un letto ad una piazza in tre!
Talvolta fu tentato di ordinare al dodicenne di dormire nel proprio letto, ma questi
si dava al pianto e alla rabbia facendo scenate tali da far desistere i genitori.
Tutti e tre in studio analizzammo analiticamente del problema applicando il
dialogo strategico per far “scoprire” al ragazzino che il vero problema era andare
nel lettone, e di conseguenza la paura mantenuta proprio dalla soluzione
disfunzionale adottata.
La tecnica del dialogo strategico è una tecnica finalizzata a orientare il
soggetto, intrappolato in percezioni patologiche, verso nuove modalità di sentire e
reagire nei confronti del problema. Nel caso in questione sono state
prevalentemente utilizzate le domande ad illusione di alternativa, già conosciute
da Protagora e dai sofisti dell’Antica Grecia; le risposte e le successive
ristrutturazioni portano, come in un percorso ad imbuto, ad un processo congiunto
di scoperta, fino ad una reale esperienza emozionale correttiva. Il soggetto
sperimenta sensazioni tali da rompere la percezione rigida della realtà. La persona
cambia se stessa come effetto scoperta durante il dialogo. Attraverso questa
tecnica, le prescrizioni diventano spesso un accordo che si raggiunge in maniera
apparentemente naturale, dopo un riorientamento della persona verso una realtà
più funzionale (Nardone G., Salvini A., 2004).
Il colloquio terminò con l’accordo, pattuito con il ragazzo, che se lo riteneva
poteva ancora dormire nel lettone, ma così avrebbe aumentato la sua paura;
sarebbe stato lui a decidere cosa fare, non sarebbe stato più costretto a seguire i
dettami della sua Tentata Soluzione.
Come ci insegnavano i latini (ubi maior minor cessat), al secondo colloquio,
dopo quindici giorni, il ragazzo esordì dicendo che aveva dormito solo una volta o
due nel lettone per vedere se effettivamente la paura si manteneva o meno e scoprì
invece che aveva coltivato il coraggio di dormire da solo e che poteva decidere
dove dormire. Ci lasciammo con i doverosi complimenti per il buon lavoro svolto
e, colloquiando piacevolmente di realtà inventate e paure concrete, il ragazzo
coniò l’aforisma riportato all’inizio che - senza saperlo - va a parafrasare un noto
aforisma di A. Salvini che recita: “Ognuno costruisce la realtà che poi subisce”.
Noi siamo i costruttori della nostra realtà, in base al nostro autoinganno ci
relazioniamo con noi stessi, con gli altri e con il mondo.
“La mappa è il territorio”. Con questo teorema Heinz von Forster nel 1983
al MRI (Mental Research Institute) di Palo Alto in California sconvolse un
pensiero sino ad allora dominante nell’ambito della psicologia; quello secondo cui
è possibile accedere ad una verità “ultima”, univoca e definitiva che possa
risolvere un problema attuale, magari dal passato!
In realtà noi non possediamo nient’altro che mappe mentali, costrutti, quali
forme di autoinganni. Rappresentazioni che possono essere disfunzionali o
funzionali, ma possediamo solo mappe. L’oggettività è l’illusione che si possano
fare osservazioni in assenza di un osservatore.
In tutti gli altri campi della scienza, incluse la fisica e persino la matematica,
è stata da tempo abbandonata l’idea di una realtà oggettiva, esistente all’esterno e
accessibile alla nostra mente. «È la teoria che decide che cosa può essere
osservato» disse Einstein a Heisenberg. E diciannove secoli prima di lui il filosofo
stoico Epitteto era giunto a una conclusione del tutto simile: “Non sono le cose
reali a turbare gli uomini, ma le opinioni che costoro si fanno di esse1”.
La sofferenza sotto forma di comportamenti, pensieri e modalità di relazione
è sull'immagine che l’individuo ha di sé, degli altri e del mondo.
“Credere che la propria realtà, sia l’unica realtà,
è il più pericoloso degli inganni”
(P. Watzlawick)
1.2
Logica strategica
Dobbiamo partire dal presupposto che, essendo noi lo strumento conoscitivo
di noi stessi, nell'atto del conoscere contaminiamo quel lo che conosciamo. Se lo
scienziato mentre osserva una cosa la influenza, ciò vale tanto di più per gli esseri
umani nel rapporto con gli altri e con la propria realtà (Heisenberg W., 1958).
Siamo continuamente “non ordinari”, è difficilissimo trovare qualcosa che
funzioni senza che ci sia dietro un autoinganno. Dall'illusione non si esce. La
logica dell'autoinganno, che è un fenomeno oscuro e per questo per secoli
rintanato nelle segrete della logica lineare, nell'ultimo trentennio è tornata alla
ribalta perché, cominciando a studiare con maggiore correttezza metodologica ed
epistemologica il rapporto tra il soggetto e la sua realtà, non si è più potuto eludere
il fatto che tendiamo ad alterare la realtà che percepiamo e a costruire
costantemente la realtà sulla base dei nostri autoinganni.
L'autoinganno è una dotazione naturale che ci protegge; è qualcosa di
positivo, ma che abusato può divenire patogeno.
Pensiamo alla paura che, all'apparenza negativa, è in realtà la nostra più
primitiva sensazione, la più sana che abbiamo. Quel meccanismo fisiologico che
innesca, grazie a certe percezioni, le attivazioni dell'organismo che ci rendono
migliori.
1 Ray
W. e Nardone G., (a cura di), (2007), Guardarsi dentro rende ciechi, Ponte alle Grazie,
Milano Senza la paura non faremmo niente. Sappiamo tutti che l'ansia, il suo
corrispettivo in termini prettamente fisiologici, segue una curva per cui fino a un
certo punto ci rende molto più efficaci; è quando supera la soglia che ci rende
incapaci. L'autoinganno, quindi, non è qualcosa da denigrare come coloro che
pensano in virtù dell'illusione del controllo razionale; l'autoinganno è una
dotazione che dobbiamo utilizzare, visto che non la possiamo evitare!
L'approccio strategico alla terapia si richiama direttamente alle moderne
scoperte costruttiviste (Glaserfeld E. von 1979, 1984; Foerster H. von 1974, 1987;
Piaget J. 1971, 1973; Watzlawick P. 1976, 1981). Essa si fonda essenzialmente
sull’impossibilità, da parte di qualunque osservatore, di conoscere e definire la
realtà vera ed ultima delle cose. La prospettiva strategica si basa, dunque, sulla
conoscenza del funzionamento del comportamento umano di fronte alla realtà
percepita nella propria esistenza. Ogni realtà cambia dunque a seconda del punto
di vista di chi la osserva, e ciò conduce a reazioni diverse sulla base delle
differenti attribuzioni che si possono dare della medesima realtà.
Si riconosce il ruolo del passato sul comportamento attuale, ma è fallace e si
assiste all’assenza di oggettività quando si rievocano eventi (Watzlawick P.,
Beavin J., Jackson D. D., 1967; Watzlawick P., Weakland J. H., Fisch R., 1974;
Glasersfeld E. von. 1988; Watzlawick P., Nardone, G., 1997). Qualunque persona
A che parli del suo passato alla persona B è strettamente legata alla relazione in
corso tra queste due persone, e ne è determinata!
L'indagine del passato è inattendibile oltreché fuorviante.
Si preferisce l'osservazione diretta della comunicazione nel suo hic et nunc,
che permette l'identificazione della modalità di persistenza del problema utile da
un punto di vista diagnostico e per la messa a punto delle più appropriate strategie
terapeutiche.
1.3
Il concetto di Tentata Soluzione (T.S.)
Il rigoroso lavoro di ricerca svolto al MRI di Palo Alto (CA) già a partire
dagli anni ’70 ed affinato dagli anni ’80 presso il Centro di Terapia Strategica di
Arezzo, ha portato gradualmente a definire un riduttore di complessità quando
affrontiamo un problema umano: la Tentata Soluzione.
Questo concetto fondamentale fu illustrato chiaramente per la prima volta
nel 1974 da Watzlawick,, Weakland e Fish, e nuovamente nel 1983 con Fish,
Weakland e Segal. Questi autori, prendendo spunto dall’azione geniale e
innovatrice di Milton Erickson, il primo terapeuta ad aver utilizzato il termine
“Terapia Breve”, definirono che i problemi si formano e si mantengono dalle
Tentate Soluzioni che opera la persona per risolverli. “Per strano che possa
sembrare, ciò che più di ogni altra cosa contribuisce al mantenimento o
all’esacerbazione di un problema è un qualche aspetto della soluzione tentata dal
paziente, è il modo stesso in cui egli sta cercando di cambiare il problema
medesimo. Il più delle volte, è facile che l’inizio di un problema sia dovuto ad una
comune difficoltà.
La maggior parte della gente affronta queste difficoltà in modo ragionevolmente
adeguato (non è né comune né indispensabile affrontarle alla perfezione),
cosicché non li troveremo mai nei nostri studi. Perché invece una difficoltà si
tramuti in problema, occorre che siano soddisfatte le seguenti condizioni: la
difficoltà viene affrontato in modo non adeguato, e non riuscendo a risolvere la
difficoltà, non si fa che applicare di più la stessa soluzione. In questo modo si
assiste ad un inasprirsi della difficoltà originale, e si entra in un circolo vizioso
che condurrà ad un problema, che alla fine avrà mole e natura apparentemente
del tutto dissimili dalla difficoltà iniziale stessa” (Fish R., Weakland P., Segal L.,
p. 24, 1983).
Dopo aver ottenuto una definizione del problema che sembra
sufficientemente chiara, si individua che cosa è stato fatto sino a quel momento
per risolverlo e quali consigli hanno ricevuto da altre persone. Ottenere questa
informazione ci permette di identificare proprio i meccanismi attraverso cui il
sistema - disfunzionale - mantiene la propria omeostasi. Già Freud era
consapevole del fatto che molti dei suoi pazienti tendevano a commettere sempre
lo stesso errore e definì il fenomeno coazione a ripetere. Darwin, ancora prima,
aveva osservato che la sopravvivenza di una specie può essere minacciata dalla
propria incapacità ad abbandonare ciò che rappresenta un ottimo (e pertanto
assolutamente non patologico) adattamento, ma il cui ostinato mantenimento a
fronte di condizioni ambientali in continuo mutamento può infine minacciarne la
sopravvivenza. La convinzione di aver trovato la soluzione ottimale (unita al
tentativo di perfezionare questa strategia di soluzione a fronte delle crescenti
difficoltà) rende cieche le persone nei confronti di strategie di cambiamento che
possono essere presenti e disponibili in ogni momento.
Contestualizzato in un frequente caso che si riscontra in Infanzia, è il caso di
due fratelli che litighino violentemente e ripetutamente tra loro. In queste
situazioni generalmente il genitore si pone tra i due assumendo di volta in volta il
ruolo d’investigatore, di giudice e per finire di mediatore, ma questa Tentata
Soluzione - quando il problema del litigio persiste - peggiora la situazione perché
accresce il rancore del figlio che, a seconda della situazione, verrà ritenuto il più
colpevole.
Quando si presenta un problema all’interno di un determinato contesto si ha
la tendenza a far ricorso all’esperienza sotto forma di riproposizione di interventi
risolutivi che in passato hanno funzionato per problemi analoghi. Di fronte
all’insuccesso di tali strategie, poi, piuttosto che ricorrere a modalità di soluzione
alternative, si ha la tendenza ad applicare con maggior vigore la strategia iniziale,
nell’illusione che fare “più di prima” la renderà efficace.
Rende bene l’idea l’umoristico racconto dell’episodio secondo cui, sotto un
lampione, c'è un ubriaco che sta cercando qualcosa, si avvicina un poliziotto e gli
chiede che cosa ha perduto. «La mia chiave» risponde l'uomo, e si mettono a
cercare tutti e due. Dopo aver guardato a lungo, il poliziotto gli chiede se è proprio
sicuro di averla persa lì. L'altro risponde: «No, non qui, là dietro; solo che là è
troppo buio!»
Questi tentativi di reiterare una stessa soluzione che non funziona finiscono
per dar vita a un complesso processo di retroazioni in cui sono proprio gli sforzi in
direzione del cambiamento a mantenere la situazione problematica immutata. Da
questo punto di vista possiamo affermare che le Tentate Soluzioni diventano parte
integrante del problema (Watzlawick, et al., 1974), come l’eccesso nell’uso di un
farmaco costituisce un veleno, i nostri autoinganni, se irrigiditi e replicati sebbene
fallimentari, finiscono per risultare dannosi per l’individuo.
Nell’intervento strategico non ci si interessa al conoscere le verità profonde
e il perché delle cose, ma “come” farle funzionare nel miglior modo possibile. La
prima preoccupazione è quella di adattare le proprie conoscenze alle realtà parziali
che ci si trova di volta in volta ad affrontare, mettendo a punto strategie fondate
sugli obiettivi da raggiungere e in grado di adattarsi, passo dopo passo,
all’evolversi della realtà.
Rinunciando alla pretesa di una conoscenza a priori dei fenomeni oggetti di
studio, è necessario avere a disposizione un riduttore di complessità che consenta
di cominciare a intervenire sulla realtà da modificare e di svelarne così,
progressivamente, la modalità di funzionamento.
Operando sui casi per la soluzione dei più comuni e invalidanti problemi
dell’Infanzia e della prima Adolescenza, a livello operativo-conoscitivo, si è
ottenuto il risultato di far calzare perfettamente l'intervento al problema grazie
all'utilizzo della logica costitutivo-deduttiva e mettere a punto così protocolli di
intervento efficaci per il superamento dei problemi di bambini e ragazzi.
Lo sforzo scientifico profuso si è concretizzato nella messa a punto di
manovre terapeutiche essenziali per lo sblocco della sintomatologia in breve
tempo, individuando scientificamente la corretta leva di cambiamento che
producesse effetti virtuosi sin da subito. Seguendo la logica secondo cui è la
soluzione che spiega il problema, sono state approntate specifiche manovre focali
terapeutiche/educative e si è giunti pertanto a creare un modello d’intervento
efficace e puntuale che mira alla soluzione del problema in quanto tale attraverso
il minor numero di manovre terapeutiche necessarie.
1.4
Cambiare per conoscere
Il concetto teorico originario dell'approccio strategico era basato sul fatto
che, concentrarsi sulle Tentate Soluzioni che mantengono il problema e
interrompere questo circolo vizioso, avrebbe portato a sbloccare la situazione
patologica. Infatti, le persone, quando si trovano di fronte ad un problema,
tendono a porre in atto dei comportamenti e delle strategie spesso mantenute
anche quando non funzionano. Ossia, nel caso specifico dei problemi in età
evolutiva, quando un genitore o un insegnante avverte un problema nel
comportamento del bambino, applica la soluzione che ritiene più adeguata. Se non
funziona, il più delle volte l'adulto ritiene di non averlo applicato abbastanza bene
oppure con minore intensità di quanto necessario, perciò insiste.
A questo punto se il problema permane si andrà a sedimentare un copione
patologico basato prevalentemente sulle Tentate Soluzioni messe in atto proprio
per risolvere il problema originario. Talvolta invece accade che a fronte di un
lieve miglioramento del problema poi il risultato svanisca, ma l'adulto
continuando ad insistere ad applicare la stessa Tentata Soluzione iniziale riporta il
comportamento allo stato patologico originario ricadendo nell’ipotesi precedente
in cui si viene a crearsi un nuovo problema causato dalle Tentate Soluzioni
adottate.
La moderna evoluzione della Terapia Breve Strategica, pur riconoscendo
l'importanza delle Tentate Soluzioni tipiche dei diversi comportamenti patologici,
migliora il modello strategico adottando una prassi empiricamente verificabile che
da un lato opera una mappatura delle Tentate Soluzioni tipiche delle patologie e,
dall'altro, adotta dei protocolli di trattamento specifici per ogni tipo di logica che
mantiene il problema attraverso stratagemmi terapeutici basati scientificamente su
di un gran numero di casi.
Il modello evoluto di trattamento strategico, permette quindi la predittività
del percorso terapeutico e le possibili contromosse pur all'interno di una
flessibilità terapeutica che consente sempre di adottare gli opportuni
aggiustamenti terapeutici secondo il caso che si manifesta.
Uno degli elementi distintivi che caratterizza l'approccio evoluto alla
Terapia Breve Strategica, è il concetto di Sistema Percettivo-Reattivo2.
Con tale termine ci si riferisce a quel modello ridondante e ricorrente in base
al quale la persona, sulla base dei propri autoinganni, agisce nel mondo.
Quindi, all'interno del lavoro di sistematizzazione di specifici protocolli di
trattamento per le diverse patologie, è stata attentamente studiata la mappatura di
tali sistemi percettivo-reattivi attraverso l'adozione di modelli terapeutici di
soluzione efficaci ed efficienti empiricamente validati scientificamente. La
strategia che ha funzionato descrive chiaramente la struttura della persistenza del
problema. Il modello terapeutico adottato quindi diventa efficiente e replicabile,
inoltre diviene anche predittivo delle varie fasi di evoluzione dal disturbo alla
condizione di superamento della patologia.
2 Per Sistema Percettivo-Reattivo di un individuo s’intende la modalità ridondante di percezione e
reazione di un individuo nei confronti della realtà, che si esprime nel funzionamento delle tre
fondamentali tipologie di relazione interdipendenti:
• La relazione tra il Sé e il Sé;
• La relazione tra il Sé e gli altri;
• La relazione tra il Sé e il mondo.
Se una sola di queste tre categorie di interazione non funziona bene, anche le altre vengono
inficiate. “Non importa se un gatto è bianco o nero,
purché catturi i topi”
(Deng Xiaoping)
1.5
La costruzione degli interventi
Le considerazioni esposte precedentemente, in termini operativi si
traducono nell'applicazione di una modalità di ricerca attraverso la quale mettere i
punto specifici protocolli di trattamento volti sia all'ambito della clinica che al
contesto educativo/d’istruzione Tale particolare metodologia sperimentale muove
dal presupposto che per conoscere il funzionamento di un problema è necessario
introdurre un cambiamento. Kurt Lewin, nell’ambito della psicologia sociale, ha
definito ricerca-azione questa metodologia che studia il fenomeno sul campo
modificando gli eventi in maniera empirica e sperimentale e osservando gli effetti
dei cambiamenti apportati. Il modo in cui la persona, il sistema o l'organizzazione
risponderà a essi ci svelerà il precedente funzionamento del fenomeno stesso. In
altri termini, non è il tipo di problemi a dirci qual è la soluzione idonea, ma è il
tipo di soluzione individuata a spiegare come funzionava il problema, ovvero
“cambiare per conoscere”. E’ un processo di ricerca sistematizzato caratterizzato
da fasi di scoperta e successive fasi di organizzazione dell’esperienza terapeutica,
e non più un processo di convalida di una teoria a priori (Glasersfeld E. von, 1984,
1995; Nardone G., 1997).
Con il concetto di “consapevolezza operativa” von Glasersfeld (1984) si
riferisce proprio a quel tipo di conoscenza, quella costruttivista, che ci permette di
adattarci nel modo più funzionale possibile a ciò che percepiamo tramite la messa
a punto, di fronte ai singoli problemi, di strategie che si fondino di volta in volta
sugli obiettivi che ci poniamo e che si adattino mano a mano all'evolversi di tali
realtà.
Da tale assunto nasce il modello di intervento definito autocorrettivo, nel
senso che si modifica ed è modificabile in ogni momento sulla base degli effetti
ottenuti durante il processo terapeutico (Nardone G., Salvini A., 1997).
Nel corso del lavoro svolto per oltre 10 anni su più di 1.000 casi, sia presso
il Centro di Terapia Strategica di Piacenza sia presso le Scuole d’Infanzia,
Primaria e Secondaria di I Grado negli istituti scolastici di Piacenza e provincia, è
stato possibile individuare specifiche modalità ridondanti di comportamento
disfunzionale in bambini e adulti, così come le chiare e sistematiche Tentate
Soluzioni adottate. L’ausilio della disponibilità del confronto su migliaia di casi
trattati nel corso degli ultimi vent’anni dal Centro di Terapia Strategica di Arezzo
e dagli Studi Affiliati in Italia, Europa e Stati Uniti, ha consentito la validazione e
affinamento degli interventi presentati di seguito.
Negli ultimi tre anni, allorché il tempo medio di trattazione dei casi risolti è
stato di 3/5 sedute con insegnanti/genitori e, complessivamente, i casi sono stati
trattati con successo fra le 3 e le 10 sedute, sono stati sistematizzati gli interventi
focali e sono state determinate le tre fasce d’età di riferimento per i problemi e gli
interventi per il definitivo superamento del problema. Sono stati individuati i
Sistema Percettivo-Reattivo tipici del problema portato dal soggetto e le ricorrenti
e ridondanti Tentate Soluzioni messe in atto dal bambino e dagli adulti di
riferimento.
Gli ultimi 287 casi risolti in Infanzia e prima Adolescenza, trattati dall’anno
scolastico 2009/10 sino al 2001/12 con i protocolli creati nell’arco di un decennio,
sono stati suddivisi per omogeneità di problemi secondo le fasce d’età in: 3 - 5
anni, 6 - 10 anni, 11 - 14 anni.
La distribuzione dei casi è la seguente:
Fascia d’età
3 - 5 anni
6 - 10 anni
11 - 14 anni
Numero di casi
49
147
91
La scelta di questa suddivisione è con riferimento ai tre gradi di scuola che
accumunano le età delle fasce. In prima fascia abbiamo i bambini che frequentano
la Scuola d’Infanzia, nella seconda si trovano i bambini e fanciulli della Scuola
Primaria e nella terza abbiamo i preadolescenti della Scuola Secondaria di I
Grado.
Nell’elencazione successiva sono evidenziate le tipologie di problemi
prevalenti per ogni fascia d’età. La nomenclatura dei problemi fa riferimento alla
terminologia utilizzata da genitori e insegnanti in sede di esposizione del
problema, ed è stata mantenuta per semplificare la lettura.
Come sarà riportato anche più avanti (par. 2.4, 2.5, 2.6 e 2.7), si potrà notare
la stessa denominazione di problemi per fasce d’età diverse, sebbene cambi la
modalità di manifestazione del problema che sarà descritto nelle sue peculiari
caratteristiche di funzionamento anche con riferimento al Manuale Diagnostico e
Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV-TR).
Nella prima fascia d’età (dai 3 ai 5 anni) si sono rilevati prevalentemente i
seguenti problemi:
- Difficile controllo degli impulsi talvolta con opposizione;
- Ansia di separazione ;
- Dormire con i genitori nel lettone;
- Mutismo Selettivo.
Nella fascia d’età dai sei ai dieci anni, i problemi inventariati e a cui è stata
data soluzione sono:
- Scarso rendimento scolastico anche unito talvolta a capricci per
compiti e cattiva grafia (disgrafia);
- Dubbio, bugia, pedanteria;
- Deficit di Attenzione/Iperattività anche con condotte aggressive
verso oggetti;
-
Dormire con i genitori nel lettone, anche con opposizione;
Ansia di separazione;
Tricotillomania, tic, rituali compresa l’autostimolazione genitale;
Amico immaginario;
Trauma, lutto;
Fobia specifica;
Comportamento Oppositivo Provocatorio;
Fobia scolare;
Litigio fra fratelli/sorelle;
Classe indisciplinata.
Nell’ultima fascia d’età, fra gli undici e i quattordici anni, i problemi
prevalenti sono:
- Scarso rendimento scolastico anche unito talvolta a rifiuto dello
studio a casa e scuola;
- Dormire con i genitori nel lettone;
- Tic, rituali in Disturbo Ossessivo-compulsivo;
- Deficit di Attenzione/Iperattività;
- Fobia specifica;
- Comportamento Oppositivo Provocatorio;
- Fobia scolare;
- Litigio fra fratelli/sorelle;
- Classe indisciplinata.
La dimostrazione della validità delle manovre individuate, è data dal fatto
che tali interventi focali sono stati adottati con successo allo stesso problema
attuati da adulti diversi in contesti e tempi diversi e a bambini diversi; pertanto
l’applicazione del protocollo d’intervento conferma la trasmissibilità del
protocollo stesso e la predittività sull’esito. Infatti, quando noi abbiamo di fronte
un bambino con una patologia o un problema, abbiamo di fronte due livelli logici
che interagiscono; il primo è l’originalità del paziente; come già affermava
Erickson, infatti, ogni individuo possiede caratteristiche uniche ed irripetibili, così
come la sua interazione con se stesso gli altri e il mondo rappresenta sempre
qualcosa di originale. Di conseguenza, ogni interazione umana risulta essere unica
ed irripetibile, all'interno della quale sta al terapeuta adattare la propria logica ed
il proprio linguaggio a quello del paziente procedendo, in tal modo, nell'indagine
delle caratteristiche del problema da risolvere, sino alla rilevazione della sua
specifica modalità di persistenza. Una volta individuate le peculiarità della
persistenza del problema, egli potrà utilizzare il protocollo di intervento strategico
che appare più idoneo, ma formulando ogni singola manovra adattandola alla
logica e al linguaggio del paziente. In questo modo, in realtà l'intervento
terapeutico mantiene la sua capacità di adattarsi alle singolarità di ogni nuova
persona e situazione, mantenendo, tuttavia, anche il rigore strategico a livello di
struttura dell'intervento. Infatti il secondo livello è sul piano del problema e della
struttura della soluzione.
Qui possiamo individuare che certe patologie hanno una struttura che si
replica in persone differenti, quindi a livello della struttura della soluzione
possiamo costruire strategie che si applicano a problemi che funzionano in quel
modo su persone differenti. In questo caso si rispetta l’adattabilità dell’intervento
su ogni singola persona e allo stesso tempo si possono costruire piani di interventi
rigorosi, tecnologicamente più avanzati (Nardone G., 2007).
1.6
Terapia Strategica e intervento indiretto con genitori e
insegnanti
Genitori e insegnanti risolvono “direttamente” il problema
“È impossibile non comunicare”.
Il primo e incontrovertibile assioma della comunicazione (Watzlawick et al.,
1967), ci insegna che comunichiamo comunque: intenzionalmente o meno. Visto
che è una peculiarità a cui non ci possiamo sottrarre, e preso atto che ad ogni
comunicazione segue l’influenzamento del ricevente, i genitori e gli insegnanti si
trovano costantemente ad influenzare il figlio e/o lo studente con la propria
comunicazione. Sia che ne siano consapevoli sia che non lo siano.
L’adulto di riferimento, direttamente coinvolto nel processo
d’influenzamento del ragazzo, può, pertanto scegliere la modalità di
comunicazione3 più consona a risolvere il problema a cui assiste.
Una delle peculiarità degli intereventi messi a punto, generalmente consiste
nel risolvere il problema mediante il trattamento indiretto del bambino.
L’intervento prevede il coinvolgimento di uno o più membri adulti della
famiglia, o nella fattispecie gli insegnanti della scuola, i quali rappresentano la
risorsa principale per un cambiamento positivo e realizzare in tal modo una
situazione di benessere del minore e di tutto il sistema.
Molti dei problemi che si manifestano nel contesto familiare o scolastico
possono essere, a volte, non affrontati in modo adeguato o possono essere
sottovalutati. I problemi psicologici che coinvolgono il bambino e gli adulti di
riferimento si costruiscono spesso sulla base delle reazioni messe in atto dagli
adulti stessi per cercare di risolvere il problema. Il problema così, anziché
risolversi, viene alimentato o addirittura estremizzato dal modo in cui si sta
cercando di risolverlo.
Il rischio maggiore al quale una famiglia può andare incontro, continuando
ad utilizzare le Tentate Soluzioni, è che un problema possa trasformarsi in un
profondo disagio e di conseguenza in un disturbo psicopatologico. Questo accade
quando il problema si mantiene, si stabilizza e si amplifica in seguito alla messa in
atto di soluzioni disfunzionali perpetuate nel tempo.
Le competenze e le capacità genitoriali richieste per aiutare concretamente i
figli (o gli studenti) a superare i problemi possono essere identificate nella
capacità di assumere una visione sistemico-interazionale dei problemi e una
3 Comunicazione
intesa nell’accezione più ampia e scientifica del termine, ossia quale interazione
costituita dal fare, dal pensare, dal dire e dall’essere con il bambino. capacità strategica di intervento correttivo sui fattori che alimentano i circoli
viziosi classici rinvenibili nei problemi da risolvere4
La soluzione del problema procede sin dal primo colloquio attuando la
collaborazione fra psicoterapeuta e adulti di riferimento che attueranno con il
bambino le manovre del protocollo d’intervento. Nel giro di poche sedute, le
prescrizioni bloccheranno le Tentate Soluzioni disfunzionali, e faranno sì che
s’inneschino gli opportuni cambiamenti per la risoluzione del problema.
Quello che molto spesso si sottovaluta è che un bambino, quando va dallo
psicologo, dallo psicoterapeuta o purtroppo dal logopedista per un problema non
di sua competenza, si sentirà diverso già per il solo fatto che è in cura da uno
specialista. Il rischio è di sommare ad un problema già presente, l’etichetta
diagnostica di una possibile patologia che, anziché risolvere il problema, lo
complica e lo aggrava.
Inoltre è molto più proficuo lavorare con i genitori e/o insegnanti, piuttosto
che con un bambino o ragazzo problematico che potrebbe boicottare la terapia e
rendere vano il nostro intervento. Non venendo fisicamente in terapia, il bambino
non si sentirà problematico e senza essere sottoposto alle domande dello
specialista, ma quasi magicamente attraverso i nuovi comportamenti degli adulti –
guidati dallo psicoterapeuta – cambierà comportamento e/o guarirà.
Gli attori principali del cambiamento sono pertanto coloro che avvertono per
primi il problema; lo osservano, soffrono e interagiscono con esso. Gli adulti di
riferimento quindi sono parte integrante sia del problema sia della soluzione in
quanto in diretta comunicazione - e non potrebbe essere altrimenti - col bambino.
4
Nardone G. e l’Équipe del Centro di Terapia Strategica, (2012), Aiutare i genitori ad aiutare i
figli, Ponte alle Grazie, Milano
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