“QUESTA ESPERIENZA MI HA APERTO GLI OCCHI”: UNA NOTA SULLE ESPERIENZE EMOZIONALI CORRETTIVE1 Flavio Cannistrà2 Attorno agli anni ’40 Franz Alexander, uno psicoanalista americano di origini ungheresi, spiegò come certe esperienze giocassero un ruolo fondamentale nel processo terapeutico. Con il concetto di “esperienza emozionale correttiva”, Alexander suggerì che lo psicoanalista dovesse aiutare il paziente a “sentire la irrazionalità delle proprie reazioni emotive”, producendo un'esperienza capace di correggere le emozioni patogene della persona e, diremmo noi, il suo disfunzionale sistema di percezione e reazione, cambiandolo con uno più funzionale. Alexander dichiarò che “solo la reale esperienza di una nuova soluzione nella situazione transferale o nella vita quotidiana dà al paziente la convinzione che una nuova soluzione è possibile”, precisando che era del tutto irrilevante se essa fosse stata causata dalla relazione col terapeuta o da concrete esperienze di vita al di fuori della seduta, e che non dovesse essere considerata un “compromesso pratico”, ma un utile strumento al servizio del terapeuta (1946; 1963). Il concetto fu sviluppato e ampliato dallo stesso Alexander, così come da autori di diversi approcci (Cannistrà, 2009), che si trovarono a ragionarci su o vi si imbatterono in modo più o meno casuale. Ad esempio, è curioso il caso riportato da Michael Balint nel suo libro Il difetto fondamentale. Durante un periodo di stallo con una paziente bloccata e inibita in numerosi ambiti della propria vita e in analisi ormai da due anni, questa rivelò di non essere mai riuscita da bambina a fare una capriola. “E ora?”, chiese Balint. La paziente si alzò in piedi senza dir nulla e, con sua estrema sorpresa, fu in grado di compiere una capriola perfetta. Fu il punto di partenza per un sostanziale sblocco della persona e per un progresso della terapia, il principio per un rapido e proficuo processo di guarigione, che tra le altre cose le permise di essere ammessa a un difficile esame di specializzazione e di superarlo, nonché di fidanzarsi e sposarsi. Casualità? Esagerazione? Come può una singola esperienza, apparentemente banale, portare grandi cambiamenti? È chiaro che nel caso descritto da Balint lo psicoanalista ebbe il fondamentale ruolo di aiutare la paziente nel processo di cambiamento. Eppure, nella vita di tutti i giorni, esperienze capaci di modificare la nostra percezione della realtà (e dunque il nostro modo di interagire con 1 Versione 2.0 del 10.04.2012, aggiornata rispetto alla versione originale del 2010. 2 Psicologo clinico e formatore aziendale. Riceve presso gli studi di psicologia a Monterotondo in via 8 Maggio 7/A, e a Roma in v. Corvisieri 17 e v. Baldo degli Ubaldi 386. Il suo sito web è www.lostudiodellopsicologo.it e potete contattarlo al 340.95.488.35 essa), sono comuni per chiunque. A volte può sembrarci che solo alcune, più eclatanti e notevoli, abbiano questo “potere ristrutturante” (si pensi alle persone che tornano “cambiate” da una permanenza all’estero o da un viaggio), ma a volerci fare attenzione sono tante le esperienze di vita che, per quanto apparentemente poco significative, gettano il seme del cambiamento. Un seme che naturalmente dovrà germogliare, che avrà bisogno di ulteriori esperienze che lo rinforzino, che non sempre, o non velocemente, diventerà pianta. Ma come insegna la Teoria Generale dei Sistemi di von Bertalanffy, un cambiamento in una parte del sistema produrrà un cambiamento nell’intero sistema. Certo, è possibile che il sistema operi per ripristinare le condizioni precedenti, ma anche in questo caso sarà comunque avvenuto un cambiamento: inizialmente quello del passaggio dallo stato A allo stato B, e successivamente quello operato da un meccanismo di retroazione negativa, teso a riportarci allo stato A3. Tornando a noi, esperienze di vita più o meno comuni potrebbero apparire prive di qualunque influenza. La realtà, però, è che le esperienze, da sole, non producono mai un cambiamento: hanno bisogno della mediazione del sistema; sia di quello contestuale alla persona che, per così dire, di quello strettamente individuale. È per questo che le medesime esperienze traumatiche possono causare un disturbo in alcuni soggetti e non in altri; o, per la stessa ragione, causare questo o quell’altro tipo di disturbo (come insegnano i concetti di equifinalità e multifinalità – si veda Watzlawick, Beavin, Jackson, 1967). Allo stesso modo, alcune persone, in determinate situazioni, possono ricavare un’utilità da particolari esperienze di vita, mentre altre non saranno in grado di utilizzarle per trarne un beneficio, o magari ne trarranno un beneficio diverso. Tornando per un attimo al contesto terapeutico, come accennato lo psicoterapeuta potrebbe essere considerata una delle parti del sistema che aiutano il paziente nel processo di mediazione del percorso “esperienza ristrutturazione”. Questa, d'altronde, è in linea di massima la base degli interventi ad orientamento strategico (Haley, 1976; Erickson et al., 1979; Watzlawick, 1980; Nardone, Watzlawick, 1990; Watzlawick, Nardone, 1997) Al di là di ciò che si può fare in terapia, comunque, crediamo che aprirsi alle esperienze, soprattutto a quelle che pensiamo possano essere in grado di fornirci un ulteriore modo di percepire la realtà del momento (che in determinate situazioni possono essere esperienze che sottostimiamo o rifuggiamo), è la base per il cambiamento, la crescita, la guarigione. Questo assunto parte da tesi costruttiviste che mostrano come il sistema di percezione della realtà del soggetto sia la base da cui partire per trovare nuovi e più funzionali adattamenti (Watzlawick, Nardone, 1997; Watzlawick, 2007). Un'esperienza può così condurre a un piccolo cambiamento che produce un altro piccolo cambiamento che, come una palla di neve, porta ad un cambiamento via via più grande, 3 E tuttavia, anche in questo caso dovremmo più correttamente parlare di uno stato A¹ e di uno stato A². modificando così le nostre percezioni. Nardone e Salvini (2004) ci spiegano come da un cambiamento di percezione si possa passare a un cambiamento di reazione emotiva, da qui a un cambiamento di reazione comportamentale e infine a una nuova e più adeguata comprensione della realtà, ma ciò che è necessario è un'inversione di paradigma: cominciamo col cambiare la reazione comportamentale per produrre una nuova reazione emotiva che porterà a una diversa percezione della realtà – e infine a una ristrutturazione cognitiva della stessa. Allora, se la realtà la costruiamo a partire dalle nostre percezioni, avere la possibilità di cambiarle vuol dire avere la possibilità di cambiare la realtà stessa: la nostra e, essendo noi stessi parte di un sistema più grande, quella che ci circonda. BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO ALEXANDER, F., FRENCH, T. (1946). Psychoanalytic Therapy. New York: Ronald Press (tr. it. Migone, P. (1993). Psicoterapia e scienze umane, n°2). ALEXANDER, F. (1963). Gli elementi fondamentali della psicoanalisi. Firenze: Sansoni. CANNISTRÀ, F. (2009). L'uso delle 'esperienze di vita' nel processo terapeutico. Non pubblicato. ERICKSON, M.H., ROSSI, E.L., ROSSI, S.I. (1979). Tecniche di suggestione ipnotica. Roma: Astrolabio. HALEY, J. (1976). Terapie non comuni. Roma: Astrolabio. NARDONE, G., WATZLAWICK, P. (1990). L'arte del cambiamento. Milano: Ponte alle Grazie. NARDONE, G., SALVINI, A. (2004). Il dialogo strategico. Milano: Ponte alle Grazie. WATZLAWICK, P. (2007). Guardarsi dentro rende ciechi. Milano: Ponte alle Grazie. WATZLAWICK, P., BEAVIN, J.H., JACKSON, D.J. (1967). Pragmatica della comunicazione umana. Roma: Astrolabio WATZLAWICK, P., NARDONE, G. (a cura di). (1997). Terapia breve strategica. Milano: Raffaello Cortina.