La coppia criminale e la follia a due The criminal couple and the two-madness Antonella Renzi1, Matteo Pio Ferrara2, Alessandra Gherardini3, Alfredo De Risio4 Riassunto Non tutti gli assassini sono seriali; non tutti i seriali uccidono da soli. Secondo la definizione proposta dall’FBI, “l’omicida seriale è colui il quale commette tre o più omicidi, in tre o più località distinte, intervallati da un periodo di raffreddamento emozionale”. L’organizzazione della personalità ad espressione psicopatica oltre che a innestare condotte criminali, ha orientato anche la cosiddetta “Follia a due”. Questo concetto, introdotto per la prima volta nel 1800, se da un lato richiama il tema della relazione tra il carnefice e la sua vittima primaria, dall’altro evoca la complessa tematica dell’incontro tra la personalità dell’incube e del succube, che spesso aleggia nelle coppie criminali. Il confronto tra tecniche di risocializzazione e carcere condurranno poi il lettore a riflettere sui possibili percorsi volti alla riabilitazione dell’omicida seriale. Parole chiave Serial killer, follia a due, coppie criminali, trattamento penitenziario. Abstract Not all serial killers are; not all serial kill yourself. According to the definition proposed by the FBI, "the serial killer is someone who commits three or more murders, in three or more different locations, separated by a period of cooling emotional". The organization of the psychopathic personality to expression as well as engage in criminal behavior, he also directed the so-called "two-Madness". This concept was introduced for the first time in 1800, while it recalls the theme of the relationship between the perpetrator and his primary victim; on the other hand, evokes the complex theme of the meeting between the personality dell'incube and succubus, which often hovers in the criminal couple. The comparison of techniques and resocialization prison then lead the reader to reflect on the possible paths aimed at rehabilitation serial murderer. Keywords Serial killer, madness two, couples criminals, prison treatment. 39 Introduzione Facendo riferimento alla classificazione fornita dal Crime Classification Manual (2008), manuale di riferimento per lo studio del crimine violento, si intende per omicidio l’appropriazione illegittima della vita di una persona; esso può essere legato a diversi contesti: il potere, il guadagno personale, l’aggressività ed il sesso. L’omicidio può avere una o più vittime e, in questo secondo caso, possiamo distinguere: - mass murder, letteralmente “omicidio di massa”, indica l’uccisione di tre o più vittime in un’unica scena del crimine; quest’ultima può essere una strada aperta, un edificio, una casa, una scuola ecc.; - spree killer, letteralmente “omicida compulsivo”, fa riferimento all’uccisione di tre o più persone in luoghi e tempi diversi senza che vi sia un cooling-off period, ossia un periodo di raffreddamento emozionale in cui l’omicida torna al suo stile di vita originario; gli assassini compulsivi sembrano scegliere casualmente le loro vittime e ciò che li distingue dalla categoria successiva, quella dei killer seriali, è l’assenza del raffreddamento emozionale. Solitamente agiscono in un breve arco di tempo, sono delle “macchine assassine” che agiscono fino al momento in cui non vengono catturati oppure si costituiscono; sovente accade che si lascino uccidere durante operazioni di polizia dagli agenti (conosciuto come “suicidio per mano di un poliziotto”); - serial killer, letteralmente “omicida seriale”, indica un individuo che pone in essere due o più azioni omicidiarie, separate tra loro, oppure che influenza psicologicamente un’altra persona conducendola a compiere tali azioni al suo posto. Caratteristica necessaria per parlare di assassino seriale è la presenza di una “chiara volontà di uccidere ripetutamente” (Mastronardi, De Luca, 2013, p. 50) a prescindere che l’esito del crimine sia effettivamente la morte. Nella maggior parte dei casi i serial killer agiscono individualmente, ma vi sono casi in cui agiscono in coppia, e questo è l’aspetto che verrà approfondito in seguito, oppure come membro o capo di un gruppo. Le motivazioni superficiali delle condotte assunte nascondono in realtà motivazioni di tipo psicopatologico che spingono il soggetto ad attuare tali condotte criminali; nel caso in cui tali motivazioni psicopatologiche profonde siano presenti, sono da considerarsi serial killer anche coloro che agiscono all’interno della criminalità organizzata, i terroristi e i soldati, nel momento in cui traggono un piacere nell’uccidere che va oltre rispettivamente agli interessi dell’organizzazione, all’ideologia per cui combattono e agli ordini che devono eseguire (De Luca, 2006). Il periodo di raffreddamento emozionale può variare nella durata: giorni, mesi, anni; il serial killer non agisce con una frequenza prestabilita. In particolare, il serial killer organizzato, più avanti approfondito nella sua distinzione con quello disorganizzato, preferisce non correre rischi, ma agire in una situazione da cui può trarre solo dei vantaggi; non vi è, inoltre, la necessità di uccidere frequentemente nel momento in cui l’assassino sottrae degli oggetti alle sue vittime, i feticci, che gli consentono di rivivere il crimine e di prolungare le sue fantasie. Le vittime di un serial killer hanno, nella maggior parte dei casi, delle caratteristiche comuni: sesso, età, occupazione (Douglas et al., 2008). Come accennato sopra, la classificazione americana distingue i serial killer in organizzati e disorganizzati: il primo tipo tende a pianificare in dettaglio il crimine, scegliere con cura le vittime e molto spesso non lascia tracce fisiche; quello disorganizzato è caratterizzato da impulsività nella commissione nel crimine, sceglie la vittima a caso e lascia numerose tracce. Tuttavia questa dicotomia non è netta, e molti studiosi, ad esempio Wilson (1996), affermano che sia più corretto parlare di un 40 continuum tra organizzazione e disorganizzazione, dal momento che molti crimini violenti presentano elementi appartenenti ad entrambe le categorie (Mastronardi, De Luca, 2013). Le coppie criminali Accanto ai molteplici casi di omicidi commessi da assassini seriali, si sente in alcuni casi parlare di omicidi commessi da coppie criminali. I serial killer che uccidono in coppia costituiscono il 9% degli assassini seriali. Per parlare di omicidio in coppia non è necessario che siano stati entrambi i membri ad uccidere: si parla di omicidio seriale in coppia anche quando è solo un membro a commettere l’atto, e l’altro è complice, a volte silente, assistendo al fatto o aiutando a disporre il cadavere. Il fatto certo è che due sono gli individui che costituiscono la coppia, di cui uno costituisce il soggetto induttore (l’incube), un individuo più forte e più intelligente, l’altro rappresenta il membro debole (il succube), meno intelligente e capace di cedere facilmente alla suggestione del primo membro. In Italia si sono verificati diversi casi di omicidi in coppia, basti pensare al delitto di Novi Ligure e alla strage di Erba. Questi casi hanno suscitato grandissimo interesse tra la popolazione, al punto che sono state numerose le trasmissioni televisive basate sui crimini commessi in coppia, come il programma “Coppie da incubo” andato in onda nel mese di agosto del 2014. Con il passare del tempo si è cercato di comprendere quali siano state le dinamiche psicologiche che hanno sotteso l’agire della coppa criminale. Si parla spesso di follia a due e molti sono stati gli autori che hanno cercato di delineare questo concetto. Tra le teorie più accreditate, si mette in luce quella di Lasegue e Falret (1871). Gli autori si soffermano ad analizzare gli aspetti da cui ha origine tale quadro patologico: da un lato, c’è l’individuo portatore di una psicopatologia e dall’altro, l’individuo suggestionabile che subisce le influenze del primo accettandone le idee deliranti. La teoria propone che in condizioni normali, non è possibile il contagio delle idee tra una persona malata ed una sana di mente, neppure tra due persone malate; il contagio è possibile solo in particolari condizioni. Innanzitutto, uno dei due individui deve essere il membro attivo, più intelligente, e presentare il delirio che trasmette al secondo individuo, che costituisce il membro passivo. Inizialmente, il secondo membro resiste alle pressioni dell’individuo delirante, ma successivamente inizia a farsi influenzare gradualmente, fino a condividere le sue convinzioni, al punto tale da rafforzarne il delirio. La seconda condizione affinché si instauri la follia a due, è costituita dalla condivisione dello stesso ambiente, dello stesso stile di vita, stesse paure e speranze, e non devono esserci altre influenze esterne. La terza condizione è rappresentata dalle base che costituisce il delirio e deve basarsi su esperienze del passato o su paure e speranze per il futuro; solo questa condizione rende possibile la trasmissione del delirio al secondo individuo. Gli autori indicano come trattamento efficace la separazione dei due individui, in quanto se i due soggetti vengono separati, il soggetto indotto va incontro a guarigione, poiché cade il punto di appoggio costituito dall’induttore che ha trasmesso il delirio. La Folie a deux è, dunque, caratterizzata da deliri condivisi da due o più persone che hanno una relazione vicina e intima. Gralnick (1949) descrive quattro sottotipi di follia che riguardano questa sindrome. - La follia imposta, che rappresenta la forma classica della follia a due, in cui c’è un individuo dominante che trasmette le sue idee ad un altro individuo (probabilmente predisposto a tale manifestazione), il soggetto sottomesso e passivo; 41 - La follia simultanea, una tipologia di follia a due che si manifesta in maniera indipendente nei due individui e, a differenza della classica forma di tale disturbo, una volta che i due individui vengono separati, non c’è miglioramento in nessuno dei due; - La follia comunicata, una forma in cui il soggetto dominante trasmette le sue idee deliranti al secondo individuo, il quale le accetta, e in caso di separazione il delirio presente nel secondo soggetto non si annulla; - La follia indotta, in cui la persona delirante assume i deliri di una seconda persona, aumentando i propri. Nella maggioranza dei casi riportati dalla letteratura clinica, i soggetti coinvolti nella Folie à deux sono membri della stessa famiglia o della stessa coppia (marito e moglie o coppia di amanti). Esiste generalmente una relazione dominante-sottomesso, carneficevittima. Uno dei primi riferimenti letterari alle coppie criminali si deve a Scipio Sighele, che nella sua opera “La coppia criminale” (1909), distinse quattro tipologie: - gli amanti assassini: il ruolo principale è ricoperto dalla suggestione d’amore ed è, solitamente, uno dei due amanti a spingere l’altro a commettere il crimine; all’interno della coppia s’individua un partner perverso e l’altro debole, che viene manipolato dal primo, diventando così uno strumento nelle sue mani. L’amore passionale, nella sua forma patologica, costituisce il punto d’origine del delitto; - la coppia infanticida: il crimine è spesso conseguenza di un amore illecito, per cui “la prova” deve sparire, il bambino deve sparire. Questo tipo di reato è rintracciabile soprattutto nelle classi sociali basse, dal momento che le persone delle classi sociali più elevate tendevano a sostituirlo con l’aborto, benché l’autore consideri entrambi il medesimo reato, definendo l’aborto come forma precoce dell’infanticidio; - la coppia familiare: può formarsi all’interno di nuclei familiari in cui è presente un individuo di scarso senso morale e la vicinanza con altri componenti della famiglia, dovuta al contesto, può dar vita alla suggestione criminosa; solitamente alla base di questi delitti vi sono motivi legati al denaro; - la coppia di amici: nasce spesso in ambienti quali il carcere o in locali in cui si ritrovano non solo delinquenti, ma anche vagabondi, squilibrati e sfaticati; in questo caso è il rapporto amicale a dar vita alla suggestione criminosa tra il soggetto perverso dominante e quello debole. Nell’ampia categoria delle coppie criminali, vi sono diverse tipologie: poco più di un terzo del totale è costituito da coppie uomo/donna tra i quali, nella quasi totalità dei casi, vi è un rapporto di tipo erotico-sentimentale. Furio (2001) identifica alcune caratteristiche ricorrenti in tale coppia: la natura dei crimini da questa commessi è prevalentemente sessuale, la donna è nella maggior parte dei casi più giovane ed incontra l’uomo con cui commetterà i crimini intorno ai 20-25 anni, età connotata da vulnerabilità emotiva; i ruoli all’interno della coppia sono piuttosto chiari e la donna funge da “esca” nei confronti delle vittime, anch’esse frequentemente di sesso femminile. Il motivo per cui la donna sceglie di partecipare risiede spesso nel desiderio di non sentirsi esclusa dal partner e dalle sue fantasie sessuali; tuttavia, man mano che l’attività criminale progredisce, la donna prova risentimento nei confronti del compagno dominante e questo diviene particolarmente evidente nel momento in cui decide di confessare i reati. Più rare sono le coppie formate da madre/figlio e padre/figlia. Più della metà delle coppie di serial killer è composta da due uomini, nella maggior parte dei casi risultano essere amici, per cui accomunati da una passione/predisposizione per il comportamento predatorio verso altri esseri umani; sovente questi individui hanno precedentemente commesso omicidi da soli e, quando si incontrano, uniscono le loro carriere criminali. 42 In queste coppie è possibile ritrovare, per quanto possa non esistere una relazione omosessuale, i ruoli di dominante e sottomesso; nel caso in cui, invece, vi sia una relazione omosessuale sono valide le stesse dinamiche ricorrenti nelle coppie eterosessuali. L’uomo dominante, tuttavia, si dimostra più sadico nella commissione degli omicidi rispetto al sottomesso; il livello di gelosia è spesso superiore in una coppia omosessuale ed il partner sottomesso riporta numerosi tradimenti, che aumentano nel tempo, da parte del proprio compagno. La denuncia può arrivare a causa del risentimento del sottomesso verso il dominante. Casi molto atipici sono quelli in cui esiste un legame di parentela tra i membri della coppia (padre/figlio, fratelli, cugini). Nel caso di una coppia donna/donna, le peculiarità rintracciabili riguardano il ruolo dominante ricoperto da una delle due come nei casi precedenti, la componente sessuale, che in questi omicidi non è centrale come in quelli in cui sono coinvolti gli uomini, la tipologia delle vittime, nella maggior parte dei casi anziani, bambini ed altre persone indifese; prevale l’omicidio nell’ambito delle professioni sanitarie e queste donne sono conosciute come “angeli della morte” ed anche in questi casi, la denuncia può arrivare per risentimenti provati dalla sottomessa. Meccanismi alla base della Folie a deux Il DSM-5 non separa più il Disturbo Delirante dal Disturbo Psicotico Condiviso (Folie à Deux), cosa che accadeva nella precedente edizione del DSM-IV-TR. Nella nuova edizione, se vengono soddisfatti i criteri per il Disturbo Delirante, allora tale diagnosi può ritenersi conclusa; se i criteri per tale disturbo non sono soddisfatti, poiché sono presenti credenze deliranti condivise, allora la diagnosi diventa “Altro Disturbo dello Spettro Schizofrenico Specificato e Altri Disturbi Psicotici”. All’interno di una coppia criminale, molteplici sono i meccanismi che possono portare alla formazione di un delirio psicotico condiviso. Innanzitutto, bisogna considerare la manipolazione da parte del soggetto induttore. La manipolazione induce la persona a compiere azioni che non avrebbe mai commesso se non avesse incontrato il soggetto induttore. Il manipolatore attraverso la tecnica della manipolazione arriva a distruggere psicologicamente chi gli sta vicino; modella a suo piacere la personalità del compagno, sottraendogli ogni volontà. Le persone che subiscono maggiormente la manipolazione sono individui dipendenti che ricercano nell’altro sicurezza e stabilità; tanto più una persona è vulnerabile, maggiore è la possibilità che subisca plagio e manipolazione della psiche. Uno stato di debolezza, anche momentaneo, può rappresentare un momento di maggiore rischio. L’altro processo che interviene è la suggestione, da parte del soggetto indotto; quest’ultimo è una persona altamente suggestionabile e quindi le tecniche di manipolazione possono avere esiti favorevoli. Si tratta di persone con una debole personalità che per cercare sicurezza si aggrappano a qualsiasi cosa: una promessa da parte del partner, la prospettiva di una vita migliore, l’esclusività della relazione con l’induttore. Un altro processo alla base dell’instaurarsi della follia a due è la patologia della relazione. Lo psicologo statunitense Paul Watzlawick enuncia i cinque assiomi della comunicazione umana e gli individui possono sviluppare delle patologie relativamente ad ognuno di essi. L’assioma che interessa sottolineare è il quinto: “Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza” (Watzlawick et al.,1997). Nel primo caso, ovvero la simmetria, la persona che parla tende a rispecchiare il comportamento dell’altro, 43 creando un’interazione simmetrica. Nel secondo caso, la complementarietà, il comportamento di un interlocutore completa quello dell’altro e costituisce un tipo diverso di struttura comportamentale, creando un’interazione complementare. In quest’ultimo caso, un partner assume una posizione primaria, superiore, mentre l’altro completa per così dire la configurazione assumendo una posizione inferiore. In una relazione sana vi è quindi sia simmetria, ovvero la capacità dei due soggetti di accettarsi a vicenda, sia complementarietà, ovvero la capacità dei singoli di assumere ruoli differenti ma complementari che permettono di mantenere una giusta definizione del sé. Nella follia a due vi è proprio una patologia di questo assioma; viene a mancare la relazione simmetrica e la relazione complementare viene portata all’estremo: il membro forte della coppia attira maggiormente attenzione su di sé, è lui che prevale nella conversazione, mentre il membro debole ha un ruolo passivo e viene considerato come un oggetto nelle mani dell’altro. La personalità dell’“incube” e del “succube” Nella maggior parte dei casi, l’incube è affetto da schizofrenia o da disturbo delirante o dell’umore con manifestazioni psicotiche, mentre il succube è affetto da disturbo dipendente della personalità (DSM 5, 2013). Dai quadri diagnostici dei disturbi che colpiscono l’induttore e l’indotto, è possibile dedurre che i due soggetti si completino a vicenda. Il caso primario è l’individuo che porta il delirio trasmettendolo al secondo. Ma cosa spinge due persone così diverse a restare unite? I due individui si incontrano per colmare ognuno i bisogni dell’altro, inizialmente è il soggetto indotto a vedere colmati i suoi bisogni in quanto, essendo bisognoso di avere accanto una persona che si prenda cura di lui e di cui possa fidarsi, trova nell’altro una persona forte che sappia guidarlo e a cui possa affidarsi. Inoltre, il fatto di essere scelti dal soggetto forte è fonte di grande soddisfazione. L’induttore invece è mosso da un desiderio legato alle caratteristiche del suo delirio. Il fine ultimo è l’annientamento del soggetto perseguitato per appagare un bisogno che non è più possibile tenere a freno. Il soggetto indotto rappresenta quindi un mezzo per portare a termine gli scopi del caso primario. Nel caso in cui i due soggetti presentino questi tipi di disturbi vengono definiti, a livello giuridico, incapaci di intendere e di volere; tuttavia molte volte accade che le persone coinvolte nella follia a due siano persone che, nel momento in cui commettono il delitto, hanno le piene facoltà mentali. I due soggetti possono presentare un disturbo narcisistico della personalità. Quale possibile intervento e trattamento da parte dello psicologo Ancora oggi, non esiste un trattamento specifico per gli assassini seriali. Vengono utilizzate modalità di trattamento che sono comuni a tutti i detenuti degli istituti penitenziari. Apparentemente, è possibile osservare un miglioramento nel comportamento dei serial killer che può sembrare autentico e può portare a pensare che possa mantenersi anche al di fuori del carcere. Ma in molte circostanze non è così. Ci sono stati casi di assassini seriali che, una volta usciti dal carcere hanno ripreso la loro serie di omicidi. I trattamenti in ambiente carcerario hanno molti insuccessi, e l’autore statunitense Michael Newton (1993) esprime alcune motivazioni di questi fallimenti. Prima di tutto, sottolinea il sovraffollamento delle carceri americane, discorso che può essere esteso anche all’Europa e, quindi, all’Italia. Questo comporta una situazione di maggiore stress 44 per i detenuti e, un eventuale trattamento perderebbe i suoi effetti per le tensioni che il soggetto riceve dall’ambiente circostante. In secondo luogo, sembra che il sistema legale sia più a favore dei criminali che delle vittime. Questo perché ai detenuti viene promessa la possibilità di uscire sulla parola oppure, come avviene nel nostro Paese, la possibilità di ottenere benefici grazie alla “buona condotta” e i criminali si sforzano e simulano un cambiamento della condotta riuscendo ad ottenere la libertà. Tutti questi detenuti, una volta usciti dal carcere, riprendono a commettere reati. In ultimo, gli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari), destinati alla chiusura in base alla Legge 30 maggio 2014 n.81 di conversione del DL 52/2014 e che verranno sostituiti dalle REMSResidenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, che ospitano i criminali incapaci di intendere e di volere, non hanno abbastanza fondi per effettuare dei trattamenti adeguati. (De Risio, Venosa, 2014). Le condizioni di vita sono misere, c’è sovraffollamento e la superficie minima di spazio, per detenuto, in una cella, è molto minore rispetto a quella stabilita dal Comitato per la Prevenzione della Tortura e della Pena o trattamenti inumani e degradanti (CPT). Un ulteriore problema è quello relativo alla diagnosi da parte di psicologi e psichiatri che, molto spesso, relativamente ad uno stesso detenuto, sono molteplici tanto quanto è il numero dei clinici che effettuano la diagnosi. Molti sostengono l’incapacità di intendere e di volere dei detenuti, mentre altri affermano l’opposto. Sarebbe opportuno quindi sia migliorare le condizioni di vita in carcere dei singoli detenuti, che effettuare una precisa diagnosi degli eventuali disturbi da cui possono essere affetti i detenuti. I problemi evidenziati possono essere considerati una delle cause della recidiva dei criminali seriali una volta usciti dal carcere ed alcuni esempi in territorio italiano sono Maurizio Minghella, detto il “Travoltino della Val Brembana”, e Angelo Izzo, il “Mostro del Circeo”: entrambi hanno ripreso ad uccidere appena hanno avuto la possibilità di uscire dal carcere, nel loro caso specifico, in stato di semilibertà. La diagnosi e l’assessment psicologico-clinico Da un punto di vista diagnostico, i criminali possono essere divisi in due categorie: - gli individui capaci di intendere e di volere affetti da uno o più disturbi di personalità, ma che sono consapevoli delle loro azioni e sono in grado di discernere tra realtà e fantasia; sono gli individui che vengono definiti psicopatici o sociopatici. L’esito di una diagnosi di psicopatia o di disturbo di personalità, e quindi della capacità di intendere e di volere, consiste nella restrizione in carcere di durata conforme alla gravità del reato commesso; - gli individui incapaci di intendere e di volere, che sono affetti principalmente da schizofrenia e che non sono responsabili delle proprie azioni, confondendo la realtà con il loro deliri, che possono essere di natura visiva o uditiva. L’esito di questa diagnosi è il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario con un periodo di internamento variabile, fino all’esclusione della loro pericolosità sociale. Per meglio comprendere, possiamo far riferimento alla distinzione fornita da Fornari (2012) tra “delitti folli” e “delitti di folli”: i primi sono crimini connotati da crudeltà ed efferatezza, i cui autori è probabile che non vengano riconosciuti affetti da vizio totale o parziale di mente, per quanto spesso non possano essere definiti sani di mente proprio perché in molti casi affetti da disturbi di personalità, mentre i secondi sono, nella maggior parte dei casi, opera di persone con un alterato funzionamento mentale, espresso attraverso sintomi e comportamenti. 45 Per quanto riguarda le coppie criminali, possono essere fatte, anche in questo caso, due tipi di diagnosi per entrambi i membri della coppia: - nel caso del soggetto induttore può essere fatta diagnosi di schizofrenia ed egli viene ritenuto incapace di intendere e di volere. Oppure può essere fatta diagnosi di un disturbo di personalità, nella maggior parte dei casi si tratta di disturbo narcisistico, istrionico, borderline o antisociale, quindi disturbi appartenenti al cluster B, definito “drammatico”, caratterizzato da individui melodrammatici, emotivi, imprevedibili, contraddistinti da un’alterazione affettiva e/o del controllo degli impulsi. Soggetti con disturbi simili sono ritenuti capaci di intendere e di volere; - il soggetto indotto presenta, molto spesso, un disturbo dipendente di personalità che lo porta a condividere i deliri del soggetto induttore, perdendo le sue facoltà mentali. Il soggetto diventa incapace di intendere e di volere. In questo caso si manifesta il disturbo psicotico condiviso che scompare nel momento in cui il soggetto viene separato dall’individuo induttore. Nel caso in cui il soggetto sia sano di mente e quindi capace di intendere e di volere, può manifestare sia un disturbo dipendente, sia un disturbo narcisistico o istrionico di personalità. E’ stato sottolineato da molti psichiatri come sia difficile curare uno psicopatico e come, molte volte, gli esiti siano negativi; rimane, infatti, aperto il dibattito sul trattamento della psicopatia. Un riferimento importante è ciò che Robert Hare, uno dei maggiori studiosi della psicopatia, ha detto in merito: “Non sprecate il vostro tempo. Nulla di ciò che potrete fare cambierà qualcosa”. Ed ancora: “Cosa curare? Non soffrono, non hanno un basso livello di autostima e neppure sono insoddisfatti del proprio comportamento. Perché curare tratti di personalità che questi soggetti non hanno alcuna voglia di cambiare?” (Hare, 1993). Questo accade per via delle caratteristiche proprie della personalità psicopatica. Gli psicopatici sono molto resistenti ai cambiamenti perché, in loro, manca proprio il desiderio di cambiare e l’angoscia per le azioni commesse, elementi che costituiscono dei requisiti essenziali per la buona riuscita della cura. Inoltre, siccome gli psicopatici hanno grandi difficoltà a provare empatia, non riescono a stabilire con il terapeuta quella relazione che è alla base del processo terapeutico. Lo psicopatico non prova senso di colpa, e quindi non si fa scrupoli nel saltare le sedute, nell’aggredire il terapeuta o nell’interrompere bruscamente la terapia. Sono state portate avanti due ipotesi contrastanti rispetto al trattamento dei serial killer: da un lato, alcuni Paesi, come il Canada, la Scandinavia, la Germania, l’Inghilterra, considerano possibile il trattamento e il reinserimento dei serial killer nella società; dall’altro, gli Stati Uniti non credono nell’efficacia della terapia con gli assassini seriali e una loro risocializzazione; l’unica soluzione è l’ergastolo o la pena di morte nei paesi in cui è legale. Nel caso in cui gli assassini siano una coppia, si riscontra come, nel momento in cui i due membri vengono separati, il soggetto secondario perde del tutto le idee deliranti, acquisite tramite il partner dominante e, può confessare gli omicidi commessi; mentre l’induttore prosegue nel mantenere il suo delirio, negando ciò che ha fatto o giustificandosi di aver commesso quei delitti per una giusta causa. E’ necessario quindi intervenire specificatamente su ognuno dei membri della coppia. Nel caso del soggetto induttore è necessario cercare di eliminare il delirio e di far aderire il pensiero del soggetto alla realtà. Nel caso del succube, bisogna intervenire in modo da migliorare il senso di autostima e di indipendenza, in modo tale da portare il soggetto a sentire in maniera minore il bisogno di appoggiarsi a qualcuno. 46 Conclusioni Nel presente articolo si è parlato di varie tipologie di assassini, per poi soffermarsi ad analizzare le coppie criminali. Un aspetto importante da sottolineare è l’influenza che su ognuna di queste persone hanno avuto e hanno fattori di vario ordine: familiare, sociale e culturale, oltre al temperamento individuale. In base a questo, una prima importante riflessione può essere fatta sul ruolo della prevenzione laddove esistono e persistono condizioni critiche che possono mettere a rischio un “sano” sviluppo della persona; un intervento precoce su aspetti critici e, talvolta, disfunzionali possono evitare a quest’ultima di commettere reati, anche violenti, in età adulta. Prendendo in esame coloro che tali atti già li hanno compiuti, non possiamo non riflettere sulla mancanza di condizioni idonee e trattamenti ad hoc, dovuta in primis alle criticità presentate dagli istituti penitenziari, per cui non risulta possibile contrastare la pericolosità sociale di queste persone e non viene permesso loro di intraprendere un percorso volto alla risocializzazione, nel caso in cui essa sia possibile. Alla base della valutazione trattamentale deve, chiaramente, esserci la valutazione degli esperti che, per essere tali, necessitano di formazione ed aggiornamenti in linea con la letteratura e la scienza, che consenta loro di distinguere le varie tipologie di rei, le patologie da cui essi sono affetti, la presenza o meno di psicopatia, tutti aspetti necessari alla programmazione di un trattamento individualizzato. Bibliografia Betsos I. M., Tallarico I., (2008), “Narcisi di provincia, partner dipendenti e parenticidi di coppia”, Rassegna italiana di criminologia. Callieri B., (1984), Paranoia. Enciclopedia medica italiana. XI vol., USES, Firenze. Caponnetto P., Auditore R., D’Alessandro M., Nasca G., Palumbo V., Mariconda L., Maglia M., (2013), “L’aggressività della coppia criminale: la strage di Erba analizzata nell’ottica della coscienza intersoggettiva di Stern”, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, 7, 3. Catalisano G., (2010), Colpevolezza ed opinione pubblica. 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