Regione Lazio
GRAVIDANZA ED ASMA
Thorax 2006 Feb; 61 (2): 169-76
Asthma exacerbations during pregnancy: incidence and
association with adverse pregnancy outcomes
Murphy VE, Clifton VL, Gibson PG
Le esacerbazioni asmatiche durante la gravidanza rappresentano un
problema clinico significativo e possono ripercuotersi sugli esiti della
gravidanza stessa. Gli autori hanno condotto una review sistematica
della letteratura: quattro studi con un gruppo di controllo (senza asma) e
due gruppi di donne con asma (con e senza esacerbazioni) sono stati inclusi in una meta analisi. Le esacerbazioni asmatiche in gravidanza richiedono, in generale, un intervento medico nel 20% delle donne e l’ospedalizzazione di circa il 6% di queste. Si presentano soprattutto alla fine del secondo trimestre e sono dovute ad infezioni virali o ad una non
completa aderenza alla terapia corticosteroidea inalatoria. Le esacerbazioni più severe comportano un più elevato rischio di nascita di un bambino piccolo per età gestazionale. Non è stata invece identificata alcuna
associazione tra le esacerbazioni asmatiche e la nascita pretermine o la
pre-eclampsia. L’uso di corticosteroidi per via inalatoria può ridurre il rischio di esacerbazione, mentre l’uso per via orale dovrebbe essere riservato all’emergenza. Un buon controllo della patologia nella madre è
quindi di fondamentale importanza per prevenire gli attacchi e preservare la salute sia della madre che del feto.
Rivista disponibile nelle seguenti biblioteche di Roma: Biblioteca S. Luca Agenzia di Sanità Pubblica, IRCCS San Raffaele, Azienda Ospedaliera S. Camillo-Forlanini
Il catalogo Italiano dei Periodici, tramite il quale è possibile conoscere in quali biblioteche sono presenti i periodici, è reperibile all’indirizzo internet: http://acnp.cib.unibo.it/cgi-ser/start/it/cnr/fp.html
Recensione acura di:
Marco Di Porto
Scuola di specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’ Università di
“Prevenendo”
Trimestrale di Medicina Preventiva
redatto a cura del Dipartimento
di Prevenzione ASL RmB
Viale Battista Bardanzellu, 8 00155 Roma
tel. 0641434906
fax 0641434957
e-mail: [email protected]
Proprietà
24
0641434906- 0641434619 – fax 0641434957- e-mail: [email protected]
Il materiale inviato, anche se non pubblicato, non verrà restituito.
ISSN 1722-0831
In questo
numero:
Azienda Unità Sanitaria Locale Roma B
Direttore responsabile
Fabrizio Ciaralli
Redazione
Maria Giuseppina Bosco, Matteo Ciava-
rella, Angela Marchetti, Pierangela Napo-
li, Sergio Rovetta, Pietro Russo, Barbara
Troiani, Massimo Valenti
Hanno collaborato a questo numero:
A.V.Ciardullo, M.Cardarelli, F.Ciaralli,
M.DiPorto, E.Franco, E.Maestri N. Magrini P.Paolillo, V.Rebella,S.Senatore,
F.Summaria, S.Tripodi.
Roma Tor Vergata
Note per i collaboratori.
La collaborazione al giornale è aperta a tutti e gli articoli firmati impegnano esclusivamente la
responsabilità degli autori. La Redazione si riserva in ogni caso l’accettazione dei lavori. La proprietà letteraria ed artistica di quanto pubblicato è riservata alla Rivista.
Prevenendo ringrazia tutti i futuri collaboratori che vorranno adeguarsi alle seguenti indicazioni per la stesura e l’invio del materiale da pubblicare.
Gli articoli dovranno pervenire alla Redazione Prevenendo su supporto magnetico o via e-mail,
utilizzando un formato di tipo diffuso (ambiente Windows). Si riserva, altresì, di proporre le
eventuali modifiche che si rendessero necessarie per soddisfare i criteri di uniformità editoriale. Gli eventuali grafici e le figure dovranno in ogni caso essere accompagnati dai dati grezzi.
I lavori, inediti, devono essere inviati alla Redazione presso:
Dipartimento di Prevenzione Asl Rm/B – viale Battista Bardanzellu, 8 – 00155 Roma tel.
Vol. IV Fasc. 4
• La carta del rischio cardiovascolare nella pratica clinica del medico di
medicina generale
• Screening neonatale
per le cardiopatie
congenite
• Gestione della Privacy
nello studio del medico di
medicina generale
• Probiotici e allergie:
un’analisi EBM
• Vaccinazione della donna in gravidanza per la
protezione del neonato
Anno IV numero 4
Autorizzazione Tribunale di Roma
del 20/12/2001 n.573
chiuso in redazione il 31/12/05
stampato in proprio
• Raccomandazioni per la
diagnostica delle
malattie tiroidee
• Flash dalla letteratura
internazionale
LA CARTA DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE
NELLA PRATICA CLINICA DEL MEDICO DI
MEDICINA GENERALE
L
a patologia cardiovascolare
continua a rappresentare, nei
paesi occidentali, uno dei problemi più rilevanti in Sanità
Pubblica; in Italia spiega circa
il 44% della mortalità generale rappresentando al contempo una delle principali cause di morbosità ed invalidità. Dal
punto di vista preventivo è possibile agire sui fattori di rischio modificabili con interventi di tipo comportamentale (per la
modifica di stili di vita associati a maggior rischio) o trattamenti di ordine farmacologico. Fino alla fine degli anni ‘80 il
contributo dei diversi fattori di rischio nel
determinare la patologia veniva pesato
singolarmente, dagli anni ‘90 in poi le diverse Carte del rischio considerano contemporaneamente i diversi fattori presenti stimando l’effetto sinergico degli
stessi e rispettando l’eziologia multifattoriale delle patologie cardiovascolari. Il
Rischio cardiovascolare assoluto rappresenta un indicatore sintetico di predizione di malattia basato sulla combinazione di più fattori di rischio, stima infatti
l’incidenza di malattia prevenibile e valuta la probabilità di ammalare negli anni
successivi a partire dal valore di alcuni
fattori di rischio. Il rischio cardiovascolare assoluto è un valore continuo non esistendo un livello di soglia al di sotto del
quale lo stesso si annulla. Per stimare il
Rischio si utilizzano le funzioni del rischio (equazioni costruite sulla base di
1F. Ciaralli, 2F. Summaria
Dipartimento di Prevenzione ASL RMB
2 U.O.C. Cardiologia Policlinico Casilino
1
studi epidemiologici longitudinali) e la
validità di queste funzioni dipende proprio dalle caratteristiche delle popolazioni che le hanno generate e degli individui
a cui vengono applicate in termini di tempo e di spazio. Infatti studi longitudinali
iniziati negli anni ‘60 producono funzioni
non applicabili attualmente, considerata
la diversa distribuzione dei fattori di rischio rispetto ad oggi così come funzioni
create su studi derivati da altre popolazioni tenderebbero a sovrastimare o sottostimare il numero di eventi se applicate alla popolazione italiana. Per questa
ragione il progetto CUORE (coordinato
dal Centro Nazionale di Epidemiologia,
Sorveglianza e Promozione della Salute-Reparto di Epidemiologia delle Malattie Cerebro e Cardiovascolari) ha costruito un database dei fattori di rischio
cardiovascolare a partire da alcuni studi
longitudinali italiani iniziati negli anni ‘80
e ‘90 e realizzato un follow-up della mortalità e morbosità cardiovascolare per
stimare il peso dei fattori di rischio. Apartire dalle funzioni del rischio sono stati
costruiti due strumenti la Carta del rischio ed il Punteggio individuale per il
calcolo della probabilità di ammalarsi di
un primo evento cardiovascolare maggiore fatale e non fatale (infarto del miocardio, ictus, morte coronarica, morte
improvvisa, interventi di rivascolarizzazione) nei dieci anni successivi per uomini e per donne esenti da precedenti
1
Vol. IV Fasc. 4
Vol. IV Fasc. 4
eventi cardiovascolari. Sulla base del valore del Rischio cardiovascolare assoluto è possibile una “contrattazione” tra il Medico di Medicina Generale (MMG) ed il paziente sulla scelta dei
fattori da modificare per assumere un profilo di rischio “sostenibile” dal paziente. La Carta del rischio ed il punteggio individuale oltre a consentire un intervento “individuale” attraverso
l’identificazione di soggetti ad alto rischio permettono, considerata la semplicità di utilizzo, un approccio di “popolazione” alla
luce del paradigma secondo cui “un gran numero di persone
esposte ad un piccolo rischio producono in termine assoluti
molti più casi di quanti derivano da un numero minimo di persone esposte ad un alto rischio”.
•
Utilizzo della Carta del rischio cardiovascolare
La carta del rischio cardiovascolare è uno strumento semplice
e obiettivo per stimare la probabilità di andare incontro a un primo evento cardiovascolare maggiore (infarto del miocardio o
ictus) nei 10 anni successivi, conoscendo il valore di sei fattori
di rischio: sesso, diabete, abitudine al fumo, età, pressione arteriosa sistolica e colesterolemia. La carta offre opzioni multiple al trattamento degli individui a rischio aumentato e facilita il
rispetto delle possibili preferenze della persona. Ad esempio,
un fumatore ipercolesterolemico può decidere di abbassare il
proprio rischio cardiovascolare smettendo di fumare. Inoltre la
valutazione attraverso la carta rende obiettiva e più accurata la
definizione del rischio dell’assistito da parte del medico. E’ possibile in questo modo confrontare il rischio calcolato in tempi
successivi e valutare il rapporto costo/beneficio delle azioni di
prevenzione intraprese.
E’ importante tenere presente che la carta del rischio:
•
deve essere usata dal medico
•
è valida se i fattori di rischio vengono misurati
seguendo la metodologia indicata
•
è utilizzabile su donne e uomini che non hanno
avuto precedenti eventi cardiovascolari
•
può essere usata su persone di età compresa fra
40 e 69 anni
•
non può essere applicata nelle donne in gravidanza
•
non può essere applicata per valori estremi dei fattori
di rischio: pressione arteriosa sistolica superiore a
200mmHg o inferiore a 90mmHg e colesterolemia
totale superiore a 320mg/dl o inferiore a 130mg/dl
I fattori di rischio considerati sono:
•
•
•
•
•
2
genere espresso in due categorie, uomini e donne;
diabete espresso in due categorie, diabetico e
non diabetico in base all’anamnesi;
età espressa in anni e considerata in decenni 40-49,
50-59, 60-69;
abitudine al fumo di sigaretta espressa in due
categorie fumatori e non fumatori;
pressione arteriosa sistolica espressa in mmHg;
rappresenta la pressione sistolica come media di due
misurazioni consecutive eseguite secondo la
-
metodologia indicata.Viene suddivisa in quattro
categorie: minore o uguale di 129 mmHg, da 130 a
149 mmHg, da 150 a 169 mmHg, uguale o superiore a
170 mmHg. Per persone che hanno il valore della
pressione arteriosa sistolica superiore a 200 mmHg o
inferiore a 90 mmHg non è possibile utilizzare la carta
per la valutazione del rischio;
colesterolemia espressa in mg/dl (o in mmol/l); viene
suddivisa in cinque intervalli, con valore centrale
rispettivamente di 154 mg/dl (4 mmol/l), 193 mg/dl
(5 mmol/l), 232 mg/dl (6 mmol/l), 270 mg/dl (7 mmol/l),
309 mg/dl (8 mmol/l). Per persone che hanno il valore
della colesterolemia totale superiore a 320 mg/dl o i
nferiore a 130 mg/dl non è possibile utilizzare la carta
per la valutazione del rischio.
il primo intervallo corrisponde a valori di colesterolemia
uguali o minori a 173 mg/dl (4.5 mmol/l)
il secondo intervallo corrisponde a valori di colesterolemia
uguali o maggiori a 174 e uguali o minori a 212 mg/dl (da 4.5
a 5.5 mmol/l)
il terzo intervallo corrisponde a valori di colesterolemia
uguali o maggiori a 213 e uguali o minori a 251 mg/dl (da 5.5
a 6.5 mmol/l)
il quarto intervallo corrisponde a valori di colesterolemia
uguali o maggiori a 252 e uguali o minori a 290 mg/dl (da 6.5
a 7.5 mmol/l)
il quinto intervallo corrisponde a valori di colesterolemia
uguali o maggiori a 291 mg/dl (7.5 mmol/l)
Metodologia per la misurazione dei fattori di rischio
Per la valutazione del rischio cardiovascolare sono necessarie
misure standardizzate dei fattori di rischio. Qui di seguito vengono illustrate le metodologie per raccogliere i valori di pressione arteriosa, diabete, colesterolemia e fumo. Al fine della valutazione del rischio cardiovascolare gli esami clinici di colesterolemia sono utilizzabili se eseguiti da non più di tre mesi.
Diabete
1. La determinazione della glicemia a digiuno deve essere
eseguita nei laboratori sottoposti a periodici controlli di qualità;
2. il prelievo di sangue deve essere eseguito a digiuno da almeno 12 ore;
3. il prelievo deve essere venoso, non capillare;
4. viene definita diabetica la persona che presenta, in almeno
2 misurazioni successive nell’arco di una settimana, la glicemia a digiuno uguale o superiore a 126 mg/dl o è sottoposta a trattamento con ipoglicemizzanti orali o insulina oppure presenta storia clinica personale di diabete.
Pressione arteriosa
La pressione arteriosa sistolica deve essere misurata due volte, a distanza di qualche minuto l’una dall’altra. Il valore della
pressione da utilizzare per la valutazione del rischio è la media
delle due misure successive.
Procedura
1. Prima dell’applicazione del bracciale è necessario rimuove-
Flash dalla letteratura internazionale
DIETA E NEOPLASIA MAMMARIA
JAMA 2006 Feb 8; 295 (6): 629-42
Low-fat dietary pattern and risk of invasive breast cancer: the Women’s Health Initiative Randomized Controlled Dietary Modification Trial
Prentice RL, Caan B, Onlebowski RT et al
Lo studio ha valutato gli effetti di una dieta povera di grassi sull’incidenza del cancro della mammella in 48.835 donne in post-menopausa (50-79 anni), senza un precedente di cancro, seguite in 40 centri medici americani dal 1993 al
2005 (studio randomizzato controllato). Le donne sono state assegnate random ad un gruppo di intervento, modificazione della dieta (40%, 19.541 donne) o al gruppo di controllo (60%, 29.294 donne). L’intervento è consistito nell’aver promosso un cambiamento dietetico, riducendo l’introito totale di grassi al 20% dell’energia totale e aumentando il consumo di frutta e verdura con almeno 5 porzioni giornaliere e di cereali con almeno 6 porzioni giornaliere.
Il gruppo di intervento ha introdotto effettivamente una minore quantità di grassi rispetto al gruppo di controllo, passando da 10.7% ad 1 anno a 8.1% a 6 anni. Il numero di donne che ha sviluppato un cancro del seno negli 8,1 anni
medi di follow-up è risultato pari a 655 (0.42%) nel gruppo di intervento ed a 1072 (0.45%) nel gruppo di controllo (hazard ratio = 0.91; IC 95% 0.83-1.01). Una dieta povera di grassi non risulta quindi influire nella riduzione, statisticamente significativa, del rischio di sviluppare un cancro invasivo della mammella. In realtà, il trend osservato, che suggerisce un ridotto rischio associato alla dieta povera di grassi, indica che è necessario valutare il follow-up con tempi
più lunghi e pianificati prima di effettuare una valutazione definitiva.
Rivista disponibile nelle seguenti biblioteche di Roma: Biblioteca IRCCS Istituto Regina Elena per lo Studio e la Cura dei Tumori; Biblioteca Istituto Italiano di Medicina Sociale
CONSUMO DI FRUTTA E VERDURA E RISCHIO DI STROKE
Neurology 2005; 65: 1193-1197
Fruit and vegetable consumption and risk of stroke
Dauchet L, Amouyel P, Dallongeville J
Il consumo di frutta e verdura è associato con il più basso rischio di essere affetti da malattie coronariche. Risultati di
studi osservazionali suggeriscono che esista una associazione simile anche per quanto riguarda lo stroke. Gli autori hanno condotto una meta analisi su studi prospettici per esaminare l’associazione tra il consumo di frutta e verdura ed il rischio di stroke. Gli studi sono stati selezionati se riportavano i valori di Rischio Relativo (RR) e l’Intervallo di
Confidenza al 95% (IC 95%) per ciascun tipo di stroke, e se veniva usato un questionario validato per il calcolo dell’assunzione degli alimenti, valutando il RR aggiustato e la linearità delle associazioni esaminate. I sette studi valutati nella meta analisi hanno valutato 90.513 uomini, 141.536 donne e 2.955 strokes. Il rischio di stroke è diminuito
dell’11% (RR 95% CI: 0.89 [0,85-0,93]) per ogni porzione di frutta aggiunta quotidianamente, del 5% (RR:0,95[0,920,97]) per l’aggiunta di frutta e verdura insieme e del 3% (RR= 0.97 [0,92-1,02]) per le verdure. L’associazione tra frutta o frutta e verdura e stroke è risultata lineare, suggerendo una relazione dose-risposta. Il consumo di frutta oppure
di frutta e verdura porta quindi ad una rilevante diminuzione del rischio di incorrere in patologie di carattere cardiovascolare.
Rivista disponibile nelle seguenti biblioteche di Roma: Biblioteca Facoltà di Medicina e Chirurgia A. Gemelli
MEDICINALI UTILI PER LA PROFILASSI DELL’EMICRANIA
Am Fam Physician . 2006 Jan 1; 73 (1):72-80
Medication for migraine prophylaxis
Modi S, Lowder DM.
L’articolo prende in rassegna il trattamento attualmente in uso negli Stati Uniti. Sufficienti evidenze tendono a raccomandare l’uso di propanololo, timololo, aminotriptiline e valproato sodico come agente farmacologico da utilizzare in
prima istanza per la prevenzione dell’emicrania. Ci sono differenti evidenze sull’efficacia dell’utilizzo della gabapentina ed il naprossene sodico, anche la tossina botulinica ha evidenziato una certa efficacia, ma saranno necessari per
definire il suo ruolo nella prevenzione dell’emicrania. Esistono ancora dei dubbi sull’utilizzo dell’atenololo, metoprololo, nadololo, fluoxetina, magnesio, vitamina B12 (riboflavina) e coenzima Q10. Alcuni farmaci come il verapamil
possono essere utilizzati nel trattamento preventivo dell’emicrania, nel caso in cui gli altri farmaci non siano efficaci.
Esistono prove a supporto dell’utilizzo della diidroergotamina mesilata a lento rilascio, ma i pazienti trattati con questo farmaco hanno smesso a seguito dei diversi effetti avversi
L’articolo è disponibile full text all’indirizzo internet (sito dell’American Academy of Family Physicians):
http://www.aafp.org/afp/200660101/72.html
23
Vol. IV Fasc. 4
Flash dalla letteratura internazionale
RUOLO PREDITTIVO DI ALCUNI SINTOMI NEL MORBO DI PARKINSON
Archives of Neurology 2006; 63: (doi:10.1001/archneur.63.3.noc50312)
Subjective Complaints Precede Parkinson Disease
Lonneke M.L. de Lau, Peter J.Koudstaal, Albert Hofman, Monique M.B. Breteler
Il morbo di Parkinson (MdP) è causato da una degenerazione selettiva dei neuroni dopaminergici della substanza nigra del cervello. I tipici segni clinici del MdP (tremore, rigidità, bradicinesia ed instabilità posturale) cominciano ad apparire quando la degenerazione neuronale associata alla perdita della dopamina, supera il 50%. Le manifestazioni
cliniche di tale patologia, sono precedute da una fase preclinica della durata di diversi anni nella quale la degenerazione neuronale si sviluppa senza che però siano ancora presenti sintomi motori. Tra i sintomi non associati a disturbi motori, si possono riconoscere alterazioni quali disfunzioni olfattorie, disturbi della personalità e depressione.
Molti sintomi generali non specifici sono stati descritti come segni predittivi del MdP per diversi anni. E’ stato ipotizzato come una moderata deficienza dopaminica in una fase preclinica della malattia potrebbe essere determinante
come ruolo predittivo dei disturbi motori ed è stato studiato come queste problematiche sono associate con un incremento del rischio di morbo di Parkinson.
Sono stati esaminati 6038 soggetti che non manifestavano demenza o segni parkinsoniani, per un periodo di circa
tre anni, seguito da due follow up di uguale periodo. E’ stato utilizzato al riguardo un questionario con almeno 5 domande che valutavano almeno 4 dei segni cardinali del parkinsonismo. I partecipanti a tale studio sono stati continuamente monitorati per tutto il periodo. Il più forte fattore predittivo di successivo sviluppo della malattia, è risultato
essere la presenza di rigidità dei movimenti, tremori e disturbi dell’equilibrio. I risultati del presente studio, suggeriscono che un questionario che riporti e valuti tutti i sintomi soggettivi, potrebbe risultare un valido aiuto nello screening del morbo di Parkinson.
Rivista disponibile nelle seguenti biblioteche di Roma: Biblioteca Facoltà di Medicina e Chirurgia A. Gemelli- Biblioteca dell’ ISS- Biblioteca IRCSS
Istituto Regina Elena per lo Studio e la Cura dei Tumori
USO DEI CONTRACCETTIVI ORALI IN SOGGETTI AFFETTI DA LES
N.Engl J Med.2005 Dec 15;353(24):2602-4
Combined oral contraceptives in women with systemic lupus erythematosus
Petri M, Kim MY, Kaluniap KC, Grossman J, Hahn BH, Sammaritano LR et al.
I contraccettivi orali vengono prescritti raramente alle donne affette da lupus eritematoso sistemico poichè potrebbero dare luogo al manifestarsi di probabili effetti negativi. In uno studio a doppio cieco si è valutato l’effetto sul lupus
dell’uso dei contraccettivi orali su donne in premenopausa affette da tale patologia. Ad un totale di 183 donne di cui
76 % con una forma inattiva e 24 % con una forma stabile di lupus, è stato somministrato in maniera random o un contraccettivo orale (etinil estradiolo trifasico alla dose di 35 microgrammi più norethindrone da 0,5 a 1 mg per 12 cicli di
28 giorni; 91donne) oppure un placebo (92 donne) e poi sono state successivamente seguite per un periodo di 1, 2,
3, 6, 9 e 12 mesi. Sono stati esclusi soggetti che avevano un moderato o un elevato livello di anticorpi anticardiolipina o una storia di trombosi. Al primo end point si è visto che 7 su 91 donne che facevano uso del contraccettivo avevano manifestato un riacutizzarsi del lupus (7,7%), mentre tale sintomatologia si è manifestata in 7 donne su 92
(7,6%) che avevano ricevuto il placebo. Anche a 12 mesi i risultati delle severe manifestazioni sono risultati essere
identici nei due gruppi: tasso dello 0,084 per il gruppo con i contraccettivi orali e tasso dello 0.087 per i soggetti con il
placebo. Si è verificato un episodio di trombosi venosa nelle donne che facevano terapia estrogenica e nelle donne
che invece hanno ricevuto il placebo hanno, manifestato un episodio di trombosi venosa, uno di trombosi oculare uno
di tromboflebite superficiale ed un decesso (dopo la fase sperimentale). In conclusione tale studio indica che i contraccettivi orali non incrementano il rischio dell’esacerbazione delle manifestazioni cliniche del LES.
Rivista disponibile nelle seguenti biblioteche di Roma:
Biblioteca del CNR – Facoltà di Medicina e Chirurgia A. Gemelli
Biblioteca Medica Statale – ISS – Ospedale Forlanini
Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica Università La Sapienza
INRAN – Ministero della Salute
Biblioteca Area Bio-Medica “P. Fasella” Università Tor Vergata
Istituto Italiano di Medicina Sociale – Università Campus Bio-medico
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Vol. IV Fasc. 4
re tutti gli indumenti che costringono il braccio. La misura
va effettuata per due volte di seguito al braccio destro.
2. Applicato il bracciale, la persona deve essere lasciata traquilla in posizione seduta e deve rilassarsi per circa cinque
minuti prima della misurazione.
3. Il braccio destro deve trovarsi a 45 gradi rispetto al tronco;
il bracciale deve essere posizionato all’altezza del cuore.
4. Durante la misurazione, sia la persona che l’operatore devono stare seduti.
5. Palpare il polso dell’arteria radiale e insufflare nel bracciale fino a 20-30 mmHg sopra la scomparsa del polso. Questo è il livello massimo a cui deve essere mandata la colonnina di mercurio durante la misurazione. Sgonfiare il
manicotto attendere qualche secondo.
6. Gonfiare il manicotto. Posizionare il diaframma dello stetoscopio sull’arteria brachiale nella fossa antecubitale e
sgonfiare lentamente il bracciale, facendo scendere la colonnina di mercurio alla velocità di 2 mmHg al secondo.
Non posizionare la membrana del fonendoscopio sotto il
manicotto.
7. Registrare il primo tono udibile seguito da uno identico, corrispondente al livello della pressione arteriosa sistolica; registrare l’ultimo tono udibile, corrispondente alla pressione
arteriosa diastolica. La misura della pressione arteriosa
deve essere effettuata con l’approssimazione di 2 mmHg.
8. Dopo aver sgonfiato completamente il manicotto, eseguire
una seconda misurazione a distanza di qualche minuto; ripartire dal punto "6". Utilizzare come valore la media fra
due misure successive.
Lo sfigmomanometro a mercurio è da preferirsi rispetto agli
strumenti anaeroidi, che sono difficili da standardizzare e possono deteriorarsi.
Comuni cause di imprecisione
1- apparecchiatura difettosa
2- mancato azzeramento della colonna di mercurio
3- intasamento dello scarico dell’aria
4- perdite dai tubi di connessione
5- inadeguate dimensioni del bracciale
Fumo
Si definisce fumatore chi fuma regolarmente ogni giorno (anche una sola sigaretta) oppure ha smesso da meno di 12 mesi. Si considera non fumatore chi non ha mai fumato o ha
smesso da più di 12 mesi.
Al fine della valutazione del rischio cardiovascolare, i valori
degli esami clinici di glicemia e colesterolemia sono utilizzabili se eseguiti da non più di tre mesi.
Si consiglia di eseguire la valutazione del rischio cardiovascolare con nuove determinazioni emato-chimiche almeno:
- ogni sei mesi per persone a elevato rischio cardiovascolare (probabilità di un primo evento cardiovascolare uguale o
superiore al 20% nei prossimi 10 anni)
- ogni anno per persone a rischio da tenere sotto controllo
attraverso l'adozione di uno stile di vita sano (probabilità di
un primo evento cardiovascolare uguale o superiore al 35% e inferiore al 20% nei prossimi 10 anni)
- ogni 5 anni per persone a basso rischio cardiovascolare
(probabilità di un primo evento cardiovascolare inferiore al
3-5% nei prossimi 10 anni)
Come utilizzare la carta?
Identificare la carta corrispondente al genere e allo stato di diabete: uomo diabetico, uomo non diabetico, donna diabetica, donna non diabetica. Per ognuna di queste quattro categorie le carte sono suddivise per fumatori e non-fumatori.
Identificare quindi il decennio di età e posizionarsi nella casella in cui ricade il proprio valore di colesterolemia e pressione
arteriosa.
Il rischio cardiovascolare è espresso in sei categorie di rischio
MCV (da I a VI): la categoria di rischio MCV indica quante persone su 100 con quelle stesse caratteristiche si ammaleranno
nei 10 anni successivi.
Le categorie di rischio sono espresse in:
Tecnica difettosa
1- bracciale non a livello del cuore, cioè in posizione
non corretta
2- tubicini schiacciati dal braccio
3- posizione scomoda
4- sgonfiamento troppo rapido del bracciale
5- ipoacusia (sordità) del misuratore
6- preferenza per le cifre (in particolare per lo zero): imprecisione legata all’osservatore, in quanto la scala dello sfigmomanometro a mercurio è tarata di 2 mmHg in 2 mmHg
Colesterolemia totale e HDL
1. Il prelievo di sangue deve essere eseguito a digiuno da almeno 12 ore.
2. Il prelievo deve essere venoso, non capillare.
3. La determinazione della colesterolemia totale e HDL va effettuata nei laboratori sottoposti a periodici controlli di qualità.
3
Vol. IV Fasc. 4
Donne diabetiche
rischio cardiovascolare a 10 anni
Vol. IV Fasc. 4
Flash dalla letteratura internazionale
RAPPORTO COSTO EFFICACIA TRA COLON-TC E COLONOSCOPIA PER LO SCREENING
DEL CANCRO COLON RETTALE
CMAJ 2005 Oct 11;173 (8): 877-81
Cost-effectiveness of computerized tomographic colonography versus colonoscopy for colorectal
cancer screening
Heitman SJ, Manns BJ, Hilsden RJ, Fong A, dean S, Romagnuolo J.
La colon TC è una potenziale alternativa alla colonscopia per lo screening del cancro colon rettale. Il suo principale
vantaggio è rappresentato da una migliore capacità di prognosi che potrebbe essere ridotta però dalle sue limitazioni quali, una bassa sensibilità, la necessità comunque di una colonscopia nei casi in cui i risultati risultino essere positivi ed infine l’elevato costo. Nel nostro studio abbiamo effettuato un riscontro fra le due metodiche usando diversi
criteri ossia economico, criteri clinici, comparando la colon TC con la colonscopia per lo screening del cancro colon
rettale in soggetti di età superiore ai 50 anni. Tre anni di risultati includono il numero di colonscopie eseguite, le perforazioni e gli adenomi rimossi, le morti in seguito a perforazioni e quelle dovute allo svilupparsi del cancro in seguito
alla mancata diagnosi di adenoma ed infine la valutazione dei costi per queste procedure. I risultati di tale studio hanno portato all’ipotesi che l’utilizzo della colon TC, per lo screening del cancro colon rettale, verrebbe a costare 2,27
milioni di dollari extra per 100,000 pazienti sottoposti a screening, 3.78 morti in seguito a perforazione potrebbero essere evitate, ma 4,11 ulteriori morti potrebbero accadere per il mancato riconoscimento di un adenoma. Poiché lo
screening con la colon TC risulta essere molto costoso ed il numero di morti comparate con la colonscopia tradizionale risulta complessivamente essere uguale, la seconda metodica rimane la strategia preferita. Al momento quindi
la colon TC non può essere considerata come prima scelta per lo screening della patologia rettale.
L’articolo è disponibile full text al sito:http://www.cmaj.com .
Donne non diabetiche
rischio cardiovascolare a 10 anni
L’IMPORTANZA DELLA SPIROMETRIA NELLA GESTIONE DELL’ASMA INFANTILE
J PEDIATR 2005; 147:797-801
The influence of Pulmonary Function Testing on the managment of Asthma in Children
Suja J. Nair, Karen L. Daigle, Petè De Cuir, Craig D. Lapin, Craig M Schramm
Spesso per valutare la condizione di asma e la sua susseguente gestione, si utilizza un test spirometrico associato
alla storia clinica ed ad un esame fisico.
Uno studio condotto su 367 bambini affetti da asma, con un età compresa fra i 4 ed i 18 anni, ha evidenziato il ruolo
della spirometria e come questa ha influenzato il trattamento iniziale al momento della visita di controllo. La spirometria è risultata essere alterata nel 45% dei soggetti esaminati che sembrava evidenziare un quadro di asma severo, ma che non corrispondeva però alle condizioni cliniche. Il quadro della spirometria ha così cambiato la gestione dei pazienti nel 15% dei casi, questi valori non erano peraltro influenzati dall’età del paziente, nè dalla severità della malattia. Quando i valori spirometrici non hanno dato particolari valori, si è visto che i medici hanno mantenuto la
terapia iniziale nel 58% dei casi, mentre l’hanno incrementata nel 17% e diminuita nel 24% dei pazienti. In contrapposizione quando la spirometria ha evidenziato un quadro di gravità, si ha avuto un cambio del trattamento terapeutico e si è visto che c’è stato un incremento della terapia nel 75% dei casi, un mantenimento nel 20% ed un decremento nel 5% dei casi. In conclusione spesso i valori spirometrici inducono i medici a sovrastimare l’entità dell’asma e di conseguenza le successive variazioni terapeutiche potrebbero avere risultati non ottimali nella gestione del
paziente.
L’articolo è disponibile full text al sito:http:// www.pidj.org
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Vol. IV Fasc. 4
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avere effetti clinici imprevedibili.
Le modifiche delle proteine plasmatiche
indotte dai contraccettivi (e dalla gravidanza) portano ad un aumento dei livelli
totali degli ormoni tiroidei (oltre che del
cortisolo); in questa frequentissima condizione, essendo comunque normali i livelli degli ormoni liberi, le donne si trovano in una condizione di eutirodismo. Più
complessi gli effetti dell'amiodarone che potendo causare sia iper- che ipo- tiroidismo - richiede un monitoraggio costante
della funzione tiroidea. Interferendo a livello ipofisario, la molecola dell'amiodarone aumenta frequentemente il TSH
senza per questo indurre una reale situazione di ipotiroidismo, è quindi indispensabile disporre di una simultanea determinazione di fT3 ed fT4 per escludere
che vi sia una riduzione di funzione tiroidea. Le situazioni di iperfunzione da
amiodarone saranno caratterizzate da
incremento di fT3 o\e fT4 con livelli soppressi di TSH. La somministrazione di
prodotti contenenti jodio in genere (p. es.
mezzi di contrasto oppure sciroppi per la
tosse), anche solo topicamente sulla cute o mucose (p.es. antisettici come il povidone-jodio), è in grado di produrre quadri sia di ipo- che di iper-funzione tiroidea
anche gravi, soprattutto in pazienti portatori di tireopatie iperplastiche, nei quali
questi prodotti andrebbero utilizzati valutandone questo potenziale rischio. I diversi tipi di interferone possono avere differenti effetti sulla tiroide. Se l'interferone
beta interferisce raramente ed in modo
transitorio, il trattamento con interferone
alfa può indurre frequentemente ipotiroidismo (8-29%) e meno frequentemente
iperfunzione (1-5%), questi problemi sono più frequenti nei pazienti con ricerca
positiva per gli anticorpi antitroidei. Gli effetti dell'interferone sulla attività tiroidea
possono essere di durata molto lunga. I
glucocorticoidi sono in grado di ridurre al
secrezione di TSH e la dismissione di ormoni tiroidei, l'effetto è clinicamente rile-
vante nei pazienti affetti da malattia di Basedow. I preparati contenenti litio, bloccando la dismissione di ormoni tiroidei,
sono in grado di indurre un ipotiroidismo
jatrogeno, con riduzione degli ormoni tiroidei ed incremento del TSH oltre allo
sviluppo di gozzo. Da tenere presenti
inoltre gli effetti sull'assorbimento enterico della tiroxina da parte di numerosi farmaci quali idrossido di alluminio, sucralfato, colestiramina e derivati della soia.
Importanti sul piano pratico quelli dei preparati contenenti calcio che vengono frequentemente somministrati dopo la tiroidectomia e che possono ridurre l'assorbimento della tiroxina somministrata a scopo terapeutico.
Farmaco
Amiodarone
ASA e FANS
(solo alte dosi acute)
Calcio carbonato
TSH
· TSH
· TSH
· TSH
fT3
fT4
fT3 = fT4
fT3 fT4
fT3 fT4
·T3 Tot T4 tot
· FT3 fT4
TSH
fT3
Effetto-i
Riduzione dell'assorbimento della tiroxina
·Molto frequente all'inizio: significa esposizione
·Ipotiroidismo: relativamente frequente
·Tireotossicosi, molto grave: rischio più elevato nella ipertrofia tiroidea
fT4
· Riduzione quota ormoni legati alle proteine
· Dismissione di ormoni dalle proteine che divengono liberi
Rilevanza clinica
Potenzialmente
rilevante
Nessuna
Rilevante
Molto rilevante
Nessuna
Raramente rilevante
Riduzione dell'assorbimento della tiroxina
Potenzialmente
rilevante
Riduzione dell'assorbimento della tiroxina
Potenzialmente
rilevante
Carbamazepina
diazepam
T3 Tot
Contraccettivi
(gravidanza)
FT3 fT4 TSH = T3 tot T4 Tot
Incremento proteine leganti e quota ormone
totale
Difenilidantoina
·TSH
· fT3 fT4
· Riduzione quota ormoni legati alle proteine
· Aumento della clearance ormonale
Nessuna
Transitoria e modesta riduzione quota ormoni legati alle proteine
Nessuna
· Ipotiroidismo, relativamente frequente
· Ipertiroidismo, meno frequente
Rilevante
Molto rilevante
Colestiramina
Corticosteroidi
(alte dosi)
TSH
Eparine
Furosemide
(solo alte dosi acute)
Interferone alfa
Iodofori
Litio
Metoclopramide,
anti-dopaminergici in genere
Penicillina
(solo alte dosi acute)
Soia
Sucralfato
T3 Tot
fT3
FT3
fT4
fT4
T4 tot
FT3
·T3 Tot T4tot
· FT3 fT4
· TSH fT3 fT4
· TSH fT3 fT4
· TSH
· TSH
TSH
TSH
fT3
fT3
fT3
fT4
fT4
fT4
· T3 Tot T4 tot
· FT3 fT4
TSH
TSH
Legenda:
=
T4 tot
·TSH
· fT3 fT4
Dopamina, Dopamino agonisti in
TSH
genere
20
Parametro-i interessato-i
fT3
fT3
fT4
fT4
grande aumento della concentrazione plasmatica,
concentrazione plasmatica invariata,
fT4
rischio cardiovascolare a 10 anni
Il Documento, completo delle principali prove disponibili e della bibliografia, è consultabile sul sito web
del Programma Nazionale Linee Guida:
http://www.pnlg.it
Appendice II: Tabella Riassuntiva delle principali interferenze farmacologiche segnalate
Al idrossido
Uomini diabetici
Riduzione quota ormoni legati alle proteine
Nessuna
Uomini non diabetici
rischio cardiovascolare a 10 anni
Nessuna
· Blocco a livello ipofisario
Nessuna
· Blocco della dismissione degli ormoni tiroidei e della conversione T4 _T3 Utile negli stati di iperfunzione
Riduzione della secrezione di TSH da stimolo del recettore D1 ipofisario iniNessuna
bitore
· Riduzione quota ormoni legati alle proteine
· Dismissione di ormoni dalle proteine che divengono liberi
·Ipotiroidismo: relativamente frequente
·Tireotossicosi, con rischio più elevato nei pazienti con gozzo
Riduzione della dismissione degli ormoni tiroidei - gozzo
Incremento del TSH mediante blocco del recettore ipofisario inibitore
·Riduzione quota ormoni legati alle proteine
·Dismissione di ormoni dalle proteine che divengono liberi
Riduzione dell'assorbimento della tiroxina
Riduzione dell'assorbimento della tiroxina
aumento della concentrazione plasmatica
diminuzione della concentrazione plasmatici
Nessuna
Raramente rilevante
Rilevante
Rilevante
Poco rilevante
Nessuna
Nessuna
Raramente rilevante
Potenzialmente
rilevante
Potenzialmente
rilevante
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Utilizzo del Punteggio individuale
Il punteggio individuale del Rischio cardiovascolare è disponi-
bile sul sito web del progetto CUORE www.cuore.iss.it ed è applicabile a uomini e donne esenti da precedenti eventi cardio-
vascolari, di età compresa tra 35 e 69 anni. La fascia di età con-
siderata è superiore a quella della Carta in quanto include anche persone da 35 a 39 anni. Tra i fattori di rischio, oltre a quelli considerati dalla Carta, il punteggio tiene conto del valore dell’HDL-colesterolemia e della eventuale prescrizione di farmaci
antipertensivi (indicatori di una condizione di ipertensione di
vecchia data). La valutazione del rischio derivata dal Punteggio
è più precisa rispetto alla Carta in quanto utilizza i valori di cole-
sterolemia, età e pressione arteriosa come variabili continue,
espresse come valori puntuali, e non in classi. Lo stesso rischio
viene stimato come valore puntuale mentre nella Carta è
espresso in classi di punteggio. Inserendo quindi nel questionario i dati richiesti si otterrà il punteggio individuale che indica
quante persone su 100 della stessa età, sesso e con le stesse
caratteristiche si ammaleranno di un primo evento cardiova-
Calcolo del punteggio individuale
Per un appropriato utilizzo del test compila il questionario,
avendo cura di riportare i valori individuali così come indicato:
Sesso M
F
Età (espressa in anni)
scolare maggiore (infarto o ictus) nei successivi 10 anni. Il pro-
Abitudine al fumo di sigaretta (si intende chi fuma regolarmente
la valutazione del punteggio ed il confronto con il rischio minimo
ogni giorno, anche una sola sigaretta, oppure ha smesso da meno di 12
gramma è scaricabile dal sito (previa registrazione) e permette
ottenibile in un soggetto di pari età in condizioni “protettive”,
consente inoltre l’archiviazione del valore dei fattori e del punteggio di rischio ottenuto ed il controllo nel tempo di questi valori.
mesi) Si
No
Qual è il valore della pressione sistolica?
(espressa in mmHg)
Nota importante:
Qual è il valore della colesterolemia totale?
menti.
(espressa in mg/dl)
Si raccomanda di consultare il medico per consigli o per tratta-
Non è possibile valutare il rischio per valori estremi dei fattori di
rischio, cioè per colesterolemia inferiore a 130 mg/dl o superiore a 320 mg/dl, per HDL-colesterolemia inferiore a 20 mg/dl o
superiore a 100 mg/dl e per pressione arteriosa sistolica inferiore a 90 mmHg o superiore a 200 mmHg.
(la bibliografia completa può essere richiesta alla redazione
L'abitudine di eseguire regolari controlli
della conta leucocitaria è inutile ai fini del
riconoscimento della agranulocitosi da
antitiroidei. Più consigliabile l'esecuzione immediata dell'esame in caso di sintomi quali iperpiressia, stomatite o segni
cutanei di intolleranza.
Qual è il valore della colesterolemia HDL?
(espressa in mg/dl)
E' mai stato diagnosticato il diabete?
Si
No
Presenza di ipertensione arteriosa per cui il medico ha prescritto farmaci anti-ipertensivi
Si
No
e-mail: [email protected])
(si considera sotto trattamento chi assume regolarmente questi farmaci)
6
Questo effetto di normalizzazione almeno fino al terzo-quarto mese è improbabile per il TSH, la cui sintesi a livello ipofisario risulta inibita per lunghi periodi, anche dopo il ripristino di una funzione tiroidea accettabile. Il dosaggio del TSH nella fase immediatamente successiva alla
istituzione della terapia, può condurre alla erronea interpretazione della persistenza di una situazione di tireotossicosi, e non dovrebbe essere effettuato, per
evitare decisioni terapeutiche errate.
Nei pazienti in trattamento con terapia
antitiroidea da oltre 3 mesi la determinazione del TSH, oltre al fT4 può essere in
grado di svelare un sovradosaggio della
terapia antitiroidea; il riscontro di livelli
elevati di TSH anche in presenza di ormoni tiroidei normali è segnale di sovradosaggio della terapia antitiroidea e ne
richiede la riduzione. Per il monitoraggio
delle terapie protratte con antitiroidei, si
rende necessario un controllo ogni 3-6
mesi o anche più frequente in caso di
anomalie cliniche o di malattie ad evoluzione rapida. Il suggerimento della determinazione regolare di un emocromocitometria per identificare il raro effetto
collaterale della agranulocitosi da antitiroidei (si calcola 1\1000 trattati) non ha
alcun rilievo pratico in quanto tale evenienza, si manifesta in tempi brevissimi e
non ha alcuna utilità un esame eseguito
a paziente asintomatico; l'indicazione degli esperti è di istruire il paziente a ricorrere
al medico di famiglia in caso di iperpiressia,
stomatite e\o sintomi sospetti per reazione
allergica, che sospenderà la cura e richiederà in quei specifici casi l'esame della
conta leucocitaria.
Comparsa di dolore nella regione
tiroidea
Il dolore in sede tiroidea (spesso irradiato
all'orecchio) può essere dovuto a tireopatie
flogistiche oppure alla espansione acuta di
lesioni nodulari dovuta a colliquazione o
emorragia intralesionale.
La presentazione può essere acuta in individui precedentemente esenti da patologie
tiroidee note, oppure sovrapposta a tireopatie già identificate o addirittura in trattamento.La presenza di dolenzìa spiccata,
spontanea o provocata, di febbre e di altri
segni di compromissione generale può
orientare direttamente verso il sospetto di
una forma flogistica; la contemporanea
Scenario clinico
Dolore in sede tiroidea
Esami da richiedere:
- di base TSH VES PCR antic. anti TPO
-ecografia
- es.citologico su agoaspirato in caso di
espansione di noduli tiroidei
comparsa di sintomi di tireotossicosi può
suggerire una dismissione di ormoni tiroidei da lisi follicolare. In ogni caso è necessario eseguire una ecografia per documentare lesioni nodulari colliquate ed il
prelievo per TSH per identificare una eventuale tossicosi da lisi follicolare, e la determinazione di VES e PCR per la valutazione
della componente flogistica.
In presenza di un quadro tipico la scintigrafia non è indispensabile ma risulta utile per
una eventuale conferma diagnostica in casi dubbi, per esempio nelle forme con dolorabilità modesta o fugace. L'agoaspirato si
rende indispensabile per nell'eventualità
della concomitante presenza di lesioni nodulari in espansione, anche a scopo evacuativo.
Considerazioni conclusive
Il medico non specialista ha un ruolo fondamentale nella gestione ottimale del paziente tireopatico, che beneficerà della
massima collaborazione tra le diverse figure assistenziali.
La scelta di proporre percorsi diagnostici
mirati su situazioni cliniche concrete elementari, privilegiando criteri di qualità ed
escludendo decisamente tutti i fattori di
confusione, consente di razionalizzare
interventi e risorse con una più rapida
evasione delle richieste di esame ed un
rilevante risparmio economico. La determinazione del solo livello del TSH con
metodiche sensibili dovrebbe essere
l'approccio base alla diagnostica funzionale tiroidea; la pratica di stoccare e depositare una aliquota del siero prelevato
rende possibili successive determinazioni di ulteriori parametri per completare il
quadro diagnostico in caso di anomalia o
incongruità clinica del risultato del TSH.
Appendice I: Effetti di alcuni trattamenti di frequente impiego, sui dati di
funzionalità tiroidea.
Considerazioni pratiche
Le interferenze farmacologiche possono
complicare notevolmente la diagnostica
tiroidea.
I farmaci possono indurre:
1. anomalie interpretative dei risultati
dei test diagnostici (con possibili conclusioni diagnostiche errate);
2. reali quadri di disfunzione tiroidea
(con possibili stati patologici secon-
dari ai farmaci impiegati).
L'interesse e la vastità di questo argomento sono tali da non potere essere affrontati esaurientemente in questo documento, ma risulta importante almeno
esporre le più frequenti problematiche
diagnostiche, che è utile conoscere per
un medico non specialista. L'impiego di
farmaci dotati di azioni antagoniste sui recettori D2 della Dopamina è molto diffuso
(metoclopramide, l-sulpiride, domperidone, fenotiazine): e può - soprattutto nelle
fasi iniziali della terapia - indurre un aumento dei livelli del TSH senza che sia
presente ipotiroidismo. Al contrario, i farmaci dopamino-agonisti (es. levodopa e
tutti gli ergot-derivati impiegati nella terapia dei disturbi extrapiramidali) sono in
grado di ridurre i livelli del TSH senza che
vi sia una condizione di tireotossicosi. Gli
effetti clinici delle benzodiazepine sarebbero irrilevanti, pur potendosi riscontrare
transitori incrementi della frazione libera.
Non sono state descritte interferenze da
parte di clozapina, risperidone, aloperidolo. La somministrazione di eparina calcica, sodica e di eparine frazionate in dosi di comune impiego terapeutico, è in
grado di indurre un lieve decremento degli ormoni totali ed incremento dei livelli
degli ormoni liberi, normalmente privo di
significato clinico, ma potenziale fonte di
confusione diagnostica. Per un effetto
combinato di spiazzamento dalle proteine plasmatiche ed aumento della clearance degli ormoni tiroidei, il trattamento
con anticonvulsivanti - in particolare difenilidantoina - è in grado di abbassare i livelli di T4 totale incrementandone la frazione libera ma senza comunque indurre
un ipotiroidismo clinicamente rilevante.
Nessun effetto viene indotto nell'adulto
dalla somministrazione di valproato sodico, mentre nel bambino sia valproato che
carbamazepina sembrano in grado di indurre ipotiroidismo subclinico. Gli effetti
descritti a carico dei farmaci antiepilettici
si esprimono quindi con anomalie dei dati di laboratorio senza tradursi in anomalie clinicamente rilevanti. Anche dosi elevate di furosemide, in grado di spiazzare
gli ormoni tiroidei dalle proteine plasmatiche, possono avere effetti di transitorio
incremento delle frazioni libere e riduzione dei livelli i ormoni tiroidei totali, ma normalmente senza effetti clinicamente rilevanti.
L'impiego acuto di farmaci ad elevata affinità di legame con le proteine plasmatiche (ASA, diclofenac, penicilline etc.)
può spiazzare l'ormone legato rendendone improvvisamente disponibili quote libere. Questi effetti raramente assumono
rilevanza clinica ed ancor più raramente
giungono all'osservazione dello specialista, ma in particolari circostanze (p.es.
terapie soppressive con dosi elevate di ltiroxina in individui cardiopatici) possono
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Nel follow-up della terapia dell'ipotiroidismo primario (cioè quello da cause tiroidee) è sufficiente la determinazione del
solo TSH.
Scenario clinico
Ipotiroidismo centrale in ter.
sostitutiva
Da richiedere: fT3 (o fT4)
Obiettivo: mantenere fT3 (o fT4) a valori
normali
Esclusivamente in caso di situazioni particolari si rende necessaria la determinazione della T4 o T3 libera (fT4 o fT3),
p.es. nei pazienti affetti da ipotiroidismo
centrale, oppure quando il TSH risulta
soppresso nei pazienti affetti da ipotiroidismo e gozzo per verificare un eventuale sovradosaggio della cura.
E' importante che il prelievo non venga
eseguito subito dopo la assunzione della
dose terapeutica, che induce per oltre un
ora livelli di ormoni tiroidei spesso oltre il
limite di norma.
Il riscontro di un TSH normale è sufficiente per potere ritenere adeguata la dose
della terapia sostitutiva, indipendentemente dai livelli di ormoni liberi o totali
che potrebbero portare a conclusioni erronee o decisioni terapeutiche rischiose.
Frequentemente, nei pazienti in terapia
sostitutiva con l-tiroxina, si trovano livelli
leggermente ridotti di fT3, se rapportati
agli intervalli della norma per gli individui
sani: porsi come obiettivo la normalizzazione di questo parametro espone al rischio di sovradosaggio. L'andamento
dei livelli degli anticorpi antitiroidei: antiTg od anti- TPO non è dato diagnostico
per la funzione tiroidea ma ha solo un rilievo etiopatogenetico, potenzialmente
utile esclusivamente in fase di inquadramento riguardo un possibile coinvolgimento autoimmune. Il riscontro di variazioni dei livelli anticorpali in risposta alla
terapia non fornisce indicazioni pratiche
ai fini delle scelte terapeutiche che devono basarsi sull'andamento del TSH. Il
controllo del TSH nei pazienti ipotiroidei
in trattamento cronico oramai stabilizzato dovrebbe essere ripetuto a cadenza
semestrale - annuale. Controlli anticipati
si rendono utili in caso di anomalie cliniche oppure in caso di eventi che possono modificare le dosi richieste della terapia (gravidanza, trattamenti concomitanti con altri farmaci, p.es. amiodarone
o altri interferenti con l'assorbimento della tiroxina).
Sospetta tireotossicosi
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La corretta definizione di tireotossicosi
esprime la esposizione del paziente a li-
velli eccessivi di ormoni tiroidei. Il termine non equivale automaticamente a
quello di "ipertiroidismo" poiché nel novero degli stati di tireotossicosi troviamo
anche alcune condizioni dove non si ha
iperfunzione tiroidea come nella tiroidite
ad esordio tireotossico, dove l'eccesso
di ormoni proviene da una lisi dei follicoli
e non da un funzionamento eccessivo,
oppure negli stati di ingestione di ormoni
tiroidei in eccesso (sovradosaggio terapeutico o accidentale o tireotossicosi
"factitia").
Scenario clinico
Sospetta tireotossicosi
Esame da richiedere: TSH
Note : Stoccaggio del siero per fT3 fT4
da eseguire solo in caso di riscontro di
TSH soppresso per valutazione del livello di produzione ormonale
Il Medico di Famiglia può sospettare una
tireotossicosi in presenza dei classici segni (tachicardia, tremori, dimagrimento,
eretismo etc.) ma bisogna tener presente che negli anziani, l'espressione clinica
tende ad essere particolarmente insidiosa, rappresentata solo da aritmie saltuarie, oppure da astenia o adinamia. Nella
diagnostica standard di base della tireotossicosi il dato da richiedere è sempre il
TSH. Nel caso questo risultasse soppresso, il dosaggio dovrebbe essere seguito dall'esame delle frazioni libere di
T3 e T4 per distinguere le condizioni di
franca tireotossicosi da quelle dette
"subcliniche" che non sempre richiedono un provvedimento terapeutico immediato. Saranno però necessarie anche
indagini atte ad identificare la "causa"
della tireotossicosi, solitamente di interesse specialistico. Queste dovrebbero
essere sempre orientate dall'aspetto clinico del paziente: p.es la scintigrafia non
è richiesta in ogni caso ma solo in caso di
patologia nodulare associata o nel sospetto di una tireotossicosi secondaria a
patologia flogistica o ad interferenze farmacologiche. Anche nei pazienti affetti
da tireotossicosi, la positività della ricerca degli autoanticorpi anti Tg ed anti TPO
può rivelarne una patogenesi autoimmune. La positività della ricerca degli autoanticorpi anti recettore per il TSH (TSH
rec. Ab o TBIA) è un dato molto più specifico in favore della etiopatogenesi autoimmune della tireotossicosi, ma la sensibilità delle metodiche disponibili per la
routine laboratoristica non è soddisfacente. Nella pratica clinica l'esame non è
ritenuto necessario per la diagnosi di
malattia di Basedow Graves; è indicato
invece nelle gravide a termine affette da
m. di Graves ( anche pregresso), per la
previsione della tireotossicosi del neonato da transfert degli anticorpi materni.
Monitoraggio della terapia
dell'ipertiroidismo
Scenario clinico
Ipertiroidismo in trattamento recente
(fino a 2 mesi) con anti-tiroidei
Da richiedere: fT3 fT4
Obiettivo: riportare fT3 ed fT4 a valori
normali
Note: Il TSH nelle prime fasi (primi 2-3
mesi) della terapia è normalmente soppresso e non deve quindi essere richiesto
La terapia medica della tireotossicosi
può essere diversa a seconda della patogenesi (m. di Basedow, gozzo multinodulare tossico, adenoma tossico, tiroidite etc.) ed a seconda della condizione clinica del paziente. Il prodotto più frequentemente utilizzato in Europa è il metimazolo (in Italia Tapazole ®). La somministrazione del metimazolo avviene in 1-3
dosi giornaliere, preferibilmente dopo i
pasti per migliorarne la tollerabilità gastrica. All'esordio della malattia vengono
utilizzate normalmente dosi maggiori
che vengono poi ridotte in base alla evoluzione clinica e degli esami.
Nel monitoraggio immediato della terapia medica dell'ipertiroidismo la richiesta
del TSH è inutile in quanto regolarmente
soppresso per almeno 3-4 mesi, anche
in presenza di terapia efficace o addirittura eccessiva. Normalmente è sufficiente dosare la sola tiroxina libera (fT4),
che è l'indice più sensibile della attività tiroidea, il dosaggio dell' fT3 può essere
un utile complemento di indagine in
quanto, soprattutto nelle fasi iniziali della
terapia medica, può esservi una risposta
più precoce per la fT4 e più lenta per la
fT3. Nei pazienti in trattamento con propiltiouracile (ora non disponibile in Italia,
ma vi si ricorre in caso di intolleranza al
metimazolo ed è l'unica terapia autorizzata in Italia nelle pazienti gravide) è frequente il riscontro di una fT3 ridotta rispetto al corrispondente valore di fT4 per
un effetto di inibizione della trasformazione da tiroxina a tri-iodotironina.
L'obiettivo delle prime fasi della terapia è
di portare rapidamente i livelli di ormoni
tiroidei nei limiti di norma.
Scenario clinico
Ipertiroidismo in trattamento protratto
(oltre i 3 mesi)
Da richiedere: TSH, fT4
Obiettivo: mantenere TSH ed fT4 a valori
normali
Note : In caso di TSH elevato anche in presenza di fT4 normale si deve sospettare un
sovradosaggio della terapia antitiroidea
La care del cuore.
Screening neonatale per la cardiopatie congenite
D
Istituzione di un servizio ambulatoriale presso la UOC
di neonatologia del Policlinico Casilino
al mese di ottobre 2005 è stato attivato, presso gli ambulatori dell’Unità Operativa Complessa di Neonatologia del Policlinico Casilino, un innovativo servizio di
Screening Ecocardiografico Neonatale per la diagnosi delle
cardiopatie congenite. Vengono sottoposti ad esame ecocardiografico, previo appuntamento, entro le prime due settimane
di vita tutti i neonati che non hanno eseguito lo studio completo della morfologia cardiaca al quinto mese di vita intrauterina,
nonché tutti quelli ritenuti bisognevoli. Scopo principale dello
screening è quello di diagnosticare tempestivamente quelle
cardiopatie congenite, silenti sul piano clinico a causa della peculiarità del circolo sanguigno del neonato, che possono esordire con un quadro di scompenso gravissimo di cuore 7-14
giorni dopo la dimissione. Ma anche riconoscere precocemente quelle cardiopatie congenite lievi che potrebbero passare
inosservate. Spesso infatti la sola visita medica tarda ad evidenziare difetti cardiaci congeniti, gravi e non, che viceversa
riconosciuti precocemente, hanno una ottima aspettativa
quoad vitam e valetudinem. Le cardiopatie congenite (CHD)
figurano tra le malformazioni più frequentemente diagnosticabili nel primo anno di vita con un’ incidenza oscillante tra il 3,5
e il 13,7 per mille. Nel nostro paese le sole CHD costituiscono
il 20% delle anomalie congenite diagnosticabili nella prima settimana di vita: non deve sfuggire quindi la portata quali-quantitativa del problema assistenziale connessa a queste patologie. A queste considerazioni dobbiamo aggiungere che alcune
cardiopatie congenite, pur non bisognevoli di intervento terapeutico precoce, se diagnosticate per tempo possono fornire
ai genitori del bambino informazioni utili sull’ iter diagnosticoterapeutico successivo. Ci sono inoltre patologie cardiache
congenite che possono rimanere completamente silenti sul
piano clinico a causa della particolarità del circolo sanguigno
del neonato (pervietà del dotto arterioso, difetto interatriale,difetto interventricolare, coartazione aortica). In particolare, nella coartazione aortica (che incide per il 10% delle CHD) l’assenza di elementi clinici orientativi nei primi giorni di vita è
usuale; così come usuale è la gravità clinica con cui tale malformazione esordisce 7-10 giorni dopo la dimissione del neonato, cioè un quadro di scompenso cardiaco gravissimo. Altre
CHD che possono avere una evoluzione rapida verso lo scompenso di cuore (stenosi aortica severa, sindrome del cuore sinistro ipoplasico, interruzione dell’arco aortico, trasposizione
delle grandi arterie, ritorno venoso polmonare anomalo, ecc.)
si gioverebbero di una diagnostica per immagini precoce, es-
P.Paolillo
Responsabile della U.O.C. di Neonatologia- Policlinico Casilino
senziale ai fini di una terapia cardiologica interventistica, sia in
sede emodinamica che chirurgica ricostruttiva. La diagnosi
precoce permette infatti di inviare al centro di riferimento cardiologico un paziente non scompensato, riducendo al minimo i
rischi operatori e altre sequele. Occorre inoltre considerare il
grande afflusso, in Italia, e a Roma in particolare, di immigrati
provenienti da nazioni nelle quali l’epidemiologia delle CHD
non è conosciuta, quali i paesi dell’EST e quasi tutti i paesi dell’Africa e del Continenete Asiatico (non esiste infatti in nessuno di questi paesi un osservatorio epidemiologico affidabile).
Alcune osservazioni fanno ritenere che l’incidenza delle CHD
in questi paesi sia sensibilmente più alta rispetto ai paesi occidentali, basti pensare agli incidenti nucleari di cui non è mai
stato fornito un resoconto dettagliato (vedi Cernobyl), oppure
laddove si è fatto uso di armi chimiche (Kurdistan,Rhuanda,
balcani etc.). Come a tutti noto la Unità Operativa Complessa
di Neonatologia del Policlinico Casilino svolge la sua attività in
un ambito territoriale in continuo incremento demografico legato in modo significativo all’ aumento della natalità.
Questo fenomeno è connesso alla presenza sempre maggiore di cittadini exta comunitari. Queste persone sono spesso
sprovviste, unitamente alle fasce deboli della popolazione indigena, di adeguata copertura assistenziale, sia per motivi culturali che economici. I dati del 2004 evidenziano che il 22,5%
della nascite al Policlinico Casilino sono di cittadini extacomunitari: 371 su 1648 nati nel 2004 e che il 20% dei neonati italiani non hanno eseguito lo studio morfologico del cuore al
quinto mese di vita intrauterina così come previsto, per cui
molte cardiopatie congenite non vengono tempestivamente
diagnosticate in utero. Lo screening cardiologico permetterà di
fare diagnosi fornendo ai genitori del bambino informazioni utili sull’iter diagnostico-terapeutico da seguire. I soggetti con patologia cardiaca non grave ,verranno controllati mediante un
“follow–up” in struttura, i portatori di un difetto cardiaco importante saranno inviati al centro specialistico cardiologico di riferimento. Consideriamo di arruolare circa 1500 neonati in un
anno e abbiamo l’ambizione, dopo un normale periodo di rodaggio, di estendere lo Screening Ecocardiografico Neonatale anche ai neonati dei Punti Nascita di cui siamo il centro di riferimento di III livello per la Terapia Intensiva Neonatale .
(la bibliografia completa può essere richiesta alla
redazione- e-mail: [email protected])
7
Vol. IV Fasc. 4
GESTIONE DELLA PRIVACY NELLO STUDIO DEL MEDICO
DI MEDICINA GENERALE
D
8
al 1 gennaio 2004 è in vigore il
“Codice in materia di protezione
dei dati personali” (Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196) che innova
notevolmente la disciplina sulla Privacy.
Il Codice abroga e sostituisce tutte le
precedenti leggi, decreti e regolamenti in
materia, riunendo in un unico testo l’intera normativa sulla Privacy. Diversi principi affermati dal nuovo Codice non sono
nuovi per gli operatori. In particolare è
stato confermato il principio secondo cui
le "misure minime" per la sicurezza dei
dati, per la mancanza delle quali il legislatore prevede anche una sanzione penale, sono solo una parte degli accorgimenti obbligatori in materia di sicurezza
(art. 33 del Codice).
In materia, come già previsto dalla legge
n.675/1996, si distinguono due distinti
obblighi:
a) l’obbligo generale di ridurre al minimo
determinati rischi. Occorre custodire e
controllare i dati personali oggetto di trattamento per contenere nella misura più
ampia possibile il rischio che i dati siano
distrutti, dispersi anche accidentalmente, conoscibili fuori dei casi consentiti o
trattati in modo illecito. Come in passato,
l’inosservanza di questo obbligo rende il
trattamento “illecito”, anche se non si determina un danno per gli interessati; viola inoltre i loro diritti, compreso il diritto
fondamentale alla protezione dei dati
personali che può essere esercitato nei
confronti del titolare del trattamento (articoli 1 e 7 comma 3, del Codice), ed espone a responsabilità civile per danno anche non patrimoniale qualora, davanti al
giudice ordinario, non si dimostri di aver
adottato tutte le misure idonee ad evitarlo (articoli 15 e 152 del Codice);
b) nell’ambito del predetto obbligo più
generale, il dovere di adottare in ogni caso le "misure minime". Occorre assicurare in ogni caso un livello minimo di protezione dei dati personali. Il Codice conferma l’impianto secondo il quale l’omessa
adozione di alcune misure indispensabili ("minime"), le cui modalità sono specificate tassativamente nell’Allegato B del
Codice, può costituire reato (art. 169 del
Codice), che prevede l’arresto sino a due
M. Di Porto, V. Rebella
Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva,
Università di Roma Tor Vergata - Dipartimento di Prevenzione ASL RMB
anni o l’ammenda da 10 mila euro a 50
mila euro, e l’eventuale "ravvedimento
operoso" di chi adempie puntualmente
alle prescrizioni impartite dal Garante
per la protezione dei dati personali, una
volta accertato il reato ed effettua un pagamento in sede amministrativa, ottenendo così l’estinzione del reato.
Il Garante per la protezione dei dati personali ha quindi richiamato l’attenzione
sulla necessità di garantire la più assoluta riservatezza ed il più ampio rispetto
dei diritti fondamentali e della dignità dell’individuo che venga a contatto con
qualsiasi struttura sanitaria. La riservatezza dei dati riguardanti le informazioni
cliniche dei pazienti ha da sempre assunto una notevole rilevanza anche per il
Medico di Medicina Generale (MMG) sia
che esse siano conservate su materiale
cartaceo sia su sistema informatizzato. Il
MMG è autorizzato dal Garante per la
protezione dei dati personali, senza dover presentare una richiesta di autorizzazione, a trattare dati personali e sensibili, poiché esercente la professione sanitaria, iscritto in albi o in elenchi. L'autorizzazione è rilasciata anche per consentire ai destinatari di adempiere o di
esigere l'adempimento degli specifici
obblighi e compiti previsti dalle leggi (in
materia di igiene e di sanità pubblica, di
prevenzione delle malattie professionali
e degli infortuni, di diagnosi e cura, compresi i trapianti di organi e tessuti, di riabilitazione degli stati di invalidità e di
inabilità fisica e psichica, di profilassi delle malattie infettive e diffusive, di tutela
della salute mentale, di assistenza farmaceutica, di medicina scolastica e di
assistenza sanitaria alle attività sportive). Il trattamento può riguardare anche
la compilazione di cartelle cliniche, di
certificati e di altri documenti di tipo sanitario. A seguito della crescente informatizzazione delle attività quotidiane, anche il MMG deve confrontarsi con la necessità di usufruire dei sistemi di archiviazione elettronica dei dati, al fine di migliorare e semplificare le attività routinarie.
Il Codice in materia di protezione dei dati
personali sancisce che “chiunque ha di-
ritto alla protezione dei dati personali” e
garantisce che il trattamento di questi si
svolga nel rispetto dei diritti dell’interessato, delle libertà fondamentali, della
sua dignità, con particolare riferimento
alla riservatezza. In particolare il decreto
illustra una serie di definizioni, utili anche
nella pratica clinica, che sono riportate in
tabella 1.
All’interno di uno studio del MMG che
preveda un unico titolare, egli stesso è
considerato titolare e responsabile del
trattamento dei dati, l’infermiera e/o la
segretaria possono essere considerati
incaricati al trattamento (a tale proposito
è opportuno che esista un documento
scritto da parte del titolare che li classifichi come tali e ne specifichi i compiti),
mentre l’interessato è in ogni caso il paziente. Nello studio medico in cui operino
più MMG, le attività di titolare e di responsabile del trattamento possono essere svolte da due medici diversi, laddove non sia già stato stabilito diversamente. I dati raccolti nello studio medico sono
classificati come sensibili e non solo come personali: ciò comporta una maggiore attenzione nella gestione di tali informazioni.
E’ responsabilità del MMG informare l’interessato sui propri diritti, illustrati dall’art.7 del decreto (diritto di accesso ai
dati personali), e allo stesso tempo è
priorità del medico far sì che l’interessato, opportunamente informato per iscritto, dia mandato al MMG per il trattamento dei dati personali tramite consenso
scritto. L’informativa data all’interessato
è valida anche quando i dati vengono
trattati dal sostituto o specialista che fornisca prestazione su richiesta dell’MMG
(art.78).
In ambito sanitario, la tutela dei dati personali è un argomento delicato, che richiede aggiornamenti e verifiche: recentemente sono state comunicate le indicazioni del Garante per la protezione dei
dati personali relative all’uso dei dati in
ambito sanitario, riportate schematicamente nella tabella 2.
Vol. IV Fasc. 4
una prima verifica a 6-8 mesi, l'ecografia
potrà essere eseguita, in caso di stazionarietà, a cadenza annuale-biennale o
anche anticipatamente, in caso di sospetto clinico di accrescimento di una o
più lesioni. L'indagine citologica, essenziale nell'accertamento iniziale delle lesioni nodulari tiroidee, dovrebbe essere
ripetuta solo in caso di riscontro di nuove
lesioni o di sospetto clinico di neoplasia
su lesioni già documentate. La ripetizione del dosaggio della calcitonina, deve
essere riservata ai casi di comparsa di
nuove lesioni in pazienti di età superiore
ai 50 anni, e non dovrebbe essere praticata di routine a tutti i controlli.
La ripetizione routinaria di scintigrafie tiroidee, di dosaggi per tireoglobulina,
calcitonina o ricerca degli anticorpi antitiroidei non è indicata nel normale monitoraggio delle tireopatie.
La determinazione della tireoglobulina
sierica o la ricerca degli anticorpi antitiroidei non hanno alcun ruolo nella strategia di base per il follow-up delle tireopatie iperplastiche.
La scintigrafia tiroidea non dovrebbe di
norma essere eseguita durante la terapia con l-tiroxina, la cui funzione è proprio quella di impedire il funzionamento
della tiroide e quindi di inibire la captazione del radiofarmaco. Questa indagine
viene riservata alle sole condizioni cliniche di tireopatia nodulare che facciano
presupporre un viraggio verso l'autonomia funzionale (TSH soppresso in assenza di terapia con l-tiroxina, o con basse dosi).
(TPO) od anti-Tireoglobulina (Tg) non
fornisce indicazioni diagnostiche per
l'andamento della funzione tiroidea ma
ha solo un rilievo etiologico riguardo una
possibile patogenesi autoimmune della
malattia.
La terapia dell’ipotiroidismo: criteri
generali di monitoriaggio
La terapia dell'ipotiroidismo si basa normalmente sulla somministrazione orale
della l-tiroxina sodica sintetica. La somministrazione di tri-iodotironina da sola o
in associazione è da riservarsi a poche
particolari situazioni cliniche di pertinenza specialistica. La lunga emivita della ltiroxina condiziona la necessità di attendere almeno 1 mese per eseguire una
verifica degli esami dopo l'inizio o la modifica della dose terapeutica; possono
essere necessari anche tempi più lunghi
per consentire alla terapia di raggiungere uno stato di equilibrio.
Scenario clinico
Monitoraggio dell'Ipotiroidismo primario
in terapia sostitutiva
Da richiedere: TSH
Obiettivo: mantenere il TSH a valori normali
Note: Il raggiungimento di livelli troppo bassi
di TSH espone ad effetti collaterali
Importante: i pazienti dovrebbero essere avvisati di NON interrompere la terapia in occasione del prelievo e di assumere la compressa di l-tiroxina della
giornata, solo a prelievo eseguito, per
possibili interferenze coi risultati (falsa
ipertiroxinemia).
Sospetti ipotiroidismo
Scenario clinico
Sospetto ipotiroidismo
Esame da richiedere: TSH
Note: Dosare anche fT4 in caso di discrepanza diagnostica o se TSH è risultato elevato
per valutazione del livello di produzione
ormonale.
L'ipotiroidismo è una condizione molto
diffusa, soprattutto nelle sue forme più
lievi (definite anche "subcliniche"). La
aspecificità dei sintomi dell'ipotiroidismo, fa si che il Medico di Famiglia riconosca un TSH elevato più spesso durante richieste di esami di routine o nel corso
degli accertamenti eseguiti per altri motivi. Nell'accertamento iniziale di uno stato
di ipotiroidismo è sufficiente il dosaggio
del solo TSH. Soltanto in caso di incertezze diagnostiche (es. rilievo di TSH
basso - normale con sospetto clinico di
ipotiroidismo) si rende utile la simultanea
determinazione del T4free. La ricerca
degli anticorpi anti- Tireoperossidasi
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Vol. IV Fasc. 4
Scenario clinico
ACCERTAMENTO DI BASE SULLA
FUNZIONE TIROIDEA
(individui asintomatici - screening)
Esame da richiedere: s-TSH
Note: è pratica utile raccomandare al
laboratorio lo stoccaggio di una quantità di
siero per una eventuale determinazione di
altri esami qualora necessario, senza dovere ripetere il prelievo
TSH), rappresenta l'esame di prima
scelta per potere individuare sia un ipotiroidismo che una tireotossicosi, anche in
quadri di modesta gravità definiti "subclinici": in entrambe le condizioni si rivela
dotato di maggiore sensibilità rispetto alla determinazione delle frazioni libere
degli ormoni tiroidei. L'impiego di metodiche di terza generazione o delle tecniche di rilevazione basate sulla chemiluminescenza, dotate di buona riproducibilità, è associato ad una migliore sensibilità per i bassi valori e consente la migliore identificazione tra le condizioni
con TSH soppresso e quella nelle quali il
TSH è semplicemente ridotto. Sul piano
pratico il ricorso alle metodiche di seconda generazione, comunemente impiegate nei laboratori di analisi, è da ritenersi comunque adeguato per le esigenze
della diagnostica corrente, dove i valori
bassi necessitano comunque di una
conferma e rimandano in ogni caso al
dosaggio delle frazioni libere degli ormoni tiroidei ed eventualmente alla esecuzione di ulteriori esami di accertamento.
Gli unici falsi negativi o falsi positivi si riscontrano nei pazienti affetti da disfunzione ipofisaria o da malattie non tiroidee
intercorrenti di un certo impegno, soprattutto negli anziani.
Il riscontro di un TSH soppresso o ridotto, oppure superiore alle 10 mU\L, dovrebbe essere seguito da una verifica dei
livelli degli ormoni tiroidei per stabilire la
gravità della disfunzione tiroidea o documentare problematiche legate a patologia ipofisaria o malattie non tiroidee.
La conferma degli indici di ipotiroidismo
o tireotossicosi dovrebbe innescare le
relative procedure di accertamento etiologico.
Iperplasia tiroidea - Gozzo - Nodulo
tiroideo
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L'approccio pratico al problema dell'iperplasia tiroidea semplice - espressa clinicamente da una tiroide visibile e\o palpabile - prevede un accertamento della funzione tiroidea di base col dosaggio del sTSH e della morfologia con una ecografia tiroidea. L'eco è finalizzata a misurare
le dimensioni dei lobi e di eventuali formazioni nodulari oltrechè a verificare
(escludere) la eventuale presenza di noduli non palpabili indovati nel parenchi-
ma tiroideo iperplastico.
Solo nel caso vi sia il sospetto di problematiche autoimmuni (gozzo a superficie
irregolare e\o segni clinici di patologia
autoimmune) o in presenza di TSH elevato, è utile la determinazione degli anticorpi anti Tireoperossidasi (-TPO) o anti
tireoglobulina (-Tg) per confortare il sospetto di una etiopatogenesi autoimmune.
Scenario clinico
IPERPLASIA TIROIDEA - GOZZO (riscontro visivo di gonfiore o senso soggettivo di ingombro al collo)
Esami da richiedere:
- subito: s-TSH
- ecografia
- se l'eco mostra noduli > 1 cm o con
morfologia sospetta: es. citologico
Note: Anticorpi anti-Tg o anti-TPO da eseguire in pazienti con gozzo a superficie irregolare o TSH elevato
Il nodulo tiroideo rappresenta uno scenario clinico frequentissimo che pone tre
quesiti diagnostici:
a) l'accertamento della funzionalità
b) l'esclusione della natura neoplastica
c) la valutazione volumetrica legata all'accertamento delle potenzialità
evolutive compressive
Scenario clinico
NODULO TIROIDEO
Esami da richiedere:
- in tutti i casi TSH – ecografia
- nei noduli tiroidei palpabili e
di dimensioni > 10 mm esame citologico
su agoaspirato
- se il TSH è soppresso scintigrafia
- nei pazienti con età > 50 aa.
Calcitonina
In caso di sospetto clinico l'esame citologico
su agoaspirazione dovrebbe essere eseguito il più rapidamente possibile
Già l'esame clinico-anamnestico rende
possibile l' identificazione di situazioni di
maggiore o minore sospetto per la presenza di un tumore in base a:
- anamnesi positiva per radioterapia in
sede cervicale
- presenza di neoplasia tiroidea accertata in famiglia
- durezza della lesione
- presenza di linfoadenopatie satelliti
- presenza di sintomi compressivi
- recente incremento volumetrico.
Il dosaggio del TSH è diretto alla valutazione della funzionalità ghiandolare
mentre l'ecografia sarà utile per la valutazione morfovolumetrica e per riconoscere potenziali evoluzioni compressive.
Nel campione prelevato verrà dosata anche la calcitonina nel caso di pazienti con
età superiore a 50 anni ed in quelli a ri-
Scenario clinico
Monitoraggio della iperplasia tiroidea
(gozzo) semplice o nodulare
- Esami da richiedere: TSH , ecografia a cadenza circa annuale-biennale (aggiungere
fT3 o fT4 se il paziente è in trattamento soppressivo)
Note: solo la comparsa di nuove lesioni nodulari dovrà essere rivalutata con l'esame citologico; il dosaggio della calcitonina deve
essere aggiunto nel caso della comparsa di
nuovi noduli in pazienti con età > 50 aa. o a rischio per carcinoma midollare della tiroide
La ripetizione routinaria dell'esame citologico su lesioni non sospette non è indicata. In caso di sospetto clinico per
neoplasia, l'agoaspirazione per esame
citologico deve essere richiesta in qualsiasi momento della storia del nodulo tiroideo.
schio per carcinoma midollare. La scintigrafia, in passato ritenuta elemento diagnostico importante per il sospetto di
malignità delle formazioni nodulari, è
stata soppiantata in questo ruolo dalla citologia su agoaspirato ed è da riservare
alle sole situazioni dove il nodulo sia riscontrato assieme ad un TSH basso per
valutare se la sede di autonomia funzionale è il nodulo oppure il resto della
ghiandola.
L'esame citologico è indispensabile nello studio di tutte le lesioni nodulari superiori al cm di diametro: la presenza di elementi clinici di sospetto è indicazione alla esecuzione immediata del prelievo
per l' esame citologico.
Monitoraggio del gozzo non tossico
(eutiroideo)
Una volta esclusa l'indicazione chirurgica per un gozzo e dimostratone lo stato
di eutiroidismo, l'approccio terapeutico
al problema dell'iperplasia tiroidea diffusa o nodulare è tuttora controverso. Esistono numerosi clinici che scelgono di
iniziare una terapia, mentre altrettanto
numerosi sono coloro che scelgono di
monitorare semplicemente l'evoluzione
dei diversi parametri considerati.
La l-tiroxina ha come meccanismo d'azione la "messa a riposo" della tiroide,
che viene ottenuta mediante la riduzione
dei livelli di TSH, unica sostanza tireostimolante controllabile con la terapia.
La terapia con tiroxina, in questi casi dovrebbe mirare al conseguimento di bassi
valori di TSH (a differenza dal semplice
compenso cui si tende nell'ipotiroidismo)
pur senza elevare i livelli di ormoni liberi
a livelli "tossici". Nei pazienti trattati occorrerà quindi monitorare sia il TSH che
fT3 o fT4. La morfologia tiroidea viene
seguita con l'esame ecografico. Dopo
Tab.1 Principali definizioni del decreto 196/2003
Trattamento
Dato personale
Dati sensibili
Titolare
Responsabile
Incaricati
Qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il
blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione dei dati, anche se non registrati in una banca dati.
Qualunque informazione relativa a persona fisica, giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale.
I dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro
genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale nonché i dati personali idonei rivelare lo stato di salute e la vita
sessuale.
La persona fisica, giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo cui competono, anche unitamente ad altro titolare, le decisioni in ordine alle finalità, alle modalità del trattamento di dati personali e agli strumenti utilizzati, ivi compreso il profilo della sicurezza.
La persona fisica, giuridica, la pubblica amministrazione qualsiasi altro ente, associazione od organismo preposti dal titolare al trattamento di dati personali.
Le persone fisiche autorizzate a compiere operazioni di trattamento dal titolare o dal responsabile.
Interessato
La persona fisica, giuridica, l’ente o associazione cui si riferiscono i dati personali.
Misure minime
Il complesso delle misure tecniche, informatiche, organizzative, logistiche e procedurali di sicurezza
che configurano il livello minimo di protezione (in relazione ai rischi previsti nell’art.31).
Banca dati
Qualsiasi complesso organizzato di dati personali, ripartito in una o più unità dislocate in uno o più siti.
Strumenti elettro- Gli elaboratori, i programmi per elaboratori e qualunque dispositivo elettronico o comunque automanici
tizzato con cui si effettua il trattamento.
Tab. 2 Uso dei dati in ambito sanitario (Comunicato stampa 22 novembre 2005, Garante per la protezione dei dati
personali)
-
Quando prescrive medicine o rilascia certificati, il personale sanitario deve evitare che le informazioni sulla salute dell'interessato possano essere conosciute da terzi. Lo stesso obbligo è valido per la consegna di documentazione (analisi, cartelle cliniche, prescrizioni), quando questa avvenga in situazioni di promiscuità.
Nei locali di grandi strutture sanitarie i pazienti, in attesa di una prestazione o di documentazione (es. analisi cliniche),
non devono essere chiamati per nome. Occorre adottare soluzioni alternative, per esempio attribuendo un codice numerico al momento della prenotazione o dell'accettazione.
Si possono dare informazioni sullo stato di salute a soggetti diversi dall'interessato quando questi abbia manifestato
uno specifico consenso. Tale consenso può essere dato da un familiare in caso di impossibilità fisica o incapacità dell'interessato o, valutato il caso, anche da altre persone legittimate a farlo, come familiari, conviventi o persone in stretta relazione con l'interessato stesso.
Non devono essere resi visibili ad estranei documenti sulle condizioni cliniche dell'interessato.
I referti diagnostici, i risultati delle analisi e i certificati rilasciati dai laboratori di analisi o dagli altri organismi sanitari
possono essere ritirati anche da persone diverse dai diretti interessati purché munite di delega scritta e con consegna
in busta chiusa.
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Vol. IV Fasc. 4
Vol. IV Fasc. 4
I MMG, gli studi medici privati e i medici
specialistici non rientrano nell'obbligo di
adottare le misure riportate nella tabella
2, ma sono comunque tenuti a garantire
il rispetto della dignità degli interessati
nonché del segreto professionale.
Il MMG che opera con strumenti informatici deve elaborare, entro il 31 marzo di
ogni anno, un documento programmatico di sicurezza (DPS). Questo è un
documento in cui si devono elencare tutti i possibili rischi a cui i dati personali custoditi dal medico possono andare incontro (distruzione, perdita anche accidentale, accesso non autorizzato o trattamento non consentito o non conforme
alle finalità della raccolta) e le misure che
vengono prese per fronteggiare tali situazioni. L’elaborazione del DPS è con-
siderata una delle misure minime di sicurezza: si tratta di una misura non nuova,
sebbene sia aumentato il numero dei
soggetti che deve redigere il DPS e sia
parzialmente diverso il suo contenuto.
Infatti, la precedente disciplina prevedeva già l’obbligo di predisporre e aggiornare il DPS, almeno annualmente, in caso di trattamento di dati sensibili o relativi a determinati provvedimenti giudiziari
effettuato mediante elaboratori accessibili grazie ad una rete di telecomunicazioni disponibili al pubblico (articoli 22 e
24 della Legge n. 675/1996; art. 6 del
D.P.R. n. 318/1999). Oggi deve essere
redatto anche da alcuni soggetti che non
vi erano precedentemente tenuti (ad
esempio, da chi trattava dati sensibili o
giudiziari, ma con elaboratori non acces-
sibili mediante una rete di telecomunicazioni disponibili al pubblico).
Nel DPS occorre descrivere anche i criteri e le modalità per ripristinare i dati, in
caso di distruzione o danneggiamento
delle informazioni o degli strumenti elettronici, ed occorre individuare specificatamente i criteri da adottare per cifrare o
per separare i dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.
L’allegato B del D. Lgs. 196/2003 definisce in modo particolareggiato tutte le misure minime di sicurezza e le informazioni che devono essere contenute nel
DPS. Nelle tabelle seguenti si riportano
schematicamente le modalità tecniche
da adottare sia nel trattamento dei dati
con strumenti elettronici (tabella 3), sia
senza il loro ausilio (tabella 4).
Tab. 3 Misure minime di sicurezza – ausilio di strumenti elettronici (D.Lgs 196/2003, art 34)
Autenticazione informatica (password per accedere al pc)
Adozione di procedure di gestione delle credenziali di autenticazione (codice per l’identificazione dell’incaricato associato ad una parola chiave personale)
Utilizzazione di un sistema di autorizzazione
Aggiornamento periodico dell’individuazione dell’ambito del trattamento consentito ai singoli incaricati e addetti alla gestione o alla manutenzione degli strumenti elettronici
Protezione degli strumenti elettronici e dei dati rispetto a trattamenti illeciti dei dati, ad accessi non consentiti ed a determinati programmi informatici (Installazione di firewall per proteggersi da eventuali hacker ed installazione ed aggiornamento periodico di antivirus)
Adozione di procedure per la custodia di copie di sicurezza, il ripristino della disponibilità dei dati e dei sistemi (back up dati)
Tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza
Adozione di tecniche di cifratura o di codici identificativi per determinati trattamenti di dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale effettuati da organismi sanitari
Tab. 4 Misure minime di sicurezza – senza ausilio di strumenti elettronici (D.Lgs 196/2003, art. 35)
Aggiornamento periodico dell’individuazione dell’ambito del trattamento consentito ai singoli incaricati o alle unità organizzative
Previsione di procedure per un’idonea custodia di atti e documenti affidati agli incaricati per lo svolgimento dei relativi
compiti
10
Previsione di procedure per la conservazione di determinati atti in archivio ad accesso selezionato e disciplina delle modalità di accesso finalizzata all’identificazione degli incaricati
RACCOMANDAZIONI PER LA DIAGNOSTICA DELLE MALATTIE
TIROIDEE DOCUMENTO DI AUSILIO ALLE SCELTE DECISIONALI
A.V. Ciardullo, E. Maestri, N. Magrini
Centro per la Valutazione dell’Assistenza Sanitaria (CeVEAS), Modena
L
Introduzione
'elevata frequenza delle tireopatie
fa sì che anche il Medico non specialista si trovi quotidianamente a
dovere affrontare problemi diagnostici tiroidei ex-novo oppure ad intervenire su
pazienti affetti da patologie tiroidee già
accertate. La consultazione dell' endocrinologo avviene solitamente dopo un
primo approccio diagnostico, eseguito in
ambito non specialistico.
Il solo fatto che la l-tiroxina fosse nel
2001 all'11° posto nell'elenco dei principi
attivi maggiormente prescritti in Italia, fa
sì che la gestione dei pazienti tireopatici
non possa essere ritenuta di esclusiva
pertinenza specialistica. La scarsa sensibilità dell'esame clinico nella maggior
parte delle disfunzioni tiroidee di gravità
lieve-moderata e l'efficacia delle misure
terapeutiche nell'impedirne sequele cliniche rilevanti, ha condotto alla formulazione di proposte di screening per le tireopatie, da applicare a sottogruppi selezionati di individui o alla popolazione
generale. L'analisi dei dati di prescrizione in diverse realtà territoriali ed ospedaliere, pongono le richieste di esami tiroidei ai primi posti tra le indagini diagnostiche e mostrano un frequente ricorso a
metodiche inappropriate. Anomalie prescrittive di frequente riscontro, quali richieste di parametri non indispensabili
per la soluzione di specifici quesiti clinici
(es. dosaggio sistematico di ormoni tiroidei e TSH o ripetuto di anticorpi antitiroidei) comportano una importante dispersione di risorse. La revisione delle Linee
Guida più recenti sull'argomento, pur se
elaborate da autorevoli Società Scientifiche e contenenti indicazioni rilevanti, ha
messo in evidenza documenti redatti per
un utilizzo prevalentemente specialistico, con limiti metodologici non trascurabili. Alle stesse conclusioni sono giunti
altri esperti metodologi nell'applicare i
criteri di valutazione alle Linee Guida
esistenti in ambito tiroidologico. La valutazione comparata delle linee guida disponibili è accessibile nella Banca Dati di
Linee Guida del Programma Nazionale
Linee Guida.
Da quanto esposto, emerge la necessità
di un documento diretto a tutti i medici in
generale. Le carenze metodologiche
delle Linee Guida esaminate e la scarsa
La richiesta sistematica di analisi di molteplici parametri nella diagnostica
delle tireopatie, si traduce in:
•
•
•
•
rischio di individuazione di anomalie
apparenti (falsi positivi) o irrilevanti ai
fini clinici
ritardo nella esecuzione di procedure
diagnostiche essenziali
dispersione ingente di risorse
nessun beneficio clinico per il paziente
disponibilità a tutt'oggi di studi adeguati a
supporto di un buon grading di evidenza,
si traducono inevitabilmente in una serie
di raccomandazioni la cui forza è conseguentemente limitata. Le raccomandazioni di questo documento di sintesi derivano, oltre che dalle Linee Guida revisionate, anche da una attenta analisi della
loro praticabilità in diverse situazioni cliniche e delle loro implicazioni in termini
di rapporto costo\beneficio.
Percorsi diagnostici ottimali nella gestione degli scenari clinici più frequenti nella pratica
Le raccomandazioni nell'adozione di
procedure diagnostiche ottimali in area
clinica deve prevedere approcci diversi
basati sulle situazioni cliniche reali piuttosto che sulle singole patologie.
L'importanza di strategie di indagine
specifiche per differenti obiettivi diagnostici deriva dalla ovvia constatazione che
metodiche utilissime per rispondere a un
quesito specifico possono essere assolutamente inutili per soddisfare altre esi-
genze diagnostiche; per esempio: il reperto di un TSH normale è solitamente
garanzia di eutiroidismo, ma questo non
esaurisce la diagnostica di base nella
patologia iperplastica perché non fornisce le informazioni indispensabili riguardo la situazione morfo- volumetrica ed il
rischio neoplastico del gozzo.
Deve essere evidenziato inoltre che, nelle fasi diagnostiche di inquadramento si
possono rendere necessari accertamenti più estesi o diversi rispetto a quelli
da utilizzare nel monitoraggio successivo delle differenti patologie già riconosciute. Queste diversità tra prima diagnosi e follow-up devono essere tenute
ben presenti nella impostazione dell'approccio alle varie situazioni cliniche.
L’accertamento della funsione tiroidea nell’ individuo asintomatico
Non sempre l'accertamento della funzione tiroidea nella pratica corrente risponde ad esigenze derivanti da disturbi evidenziati o riscontri clinici specifici. In un
numero sempre crescente di situazioni,
vengono suggeriti esami tiroidei in individui asintomatici, come a seguito del rilievo di ipercolesterolemia, o ipertensione
arteriosa, oppure in discutibili protocolli
locali per la valutazione della idoneità
agli esami contrastografici. La valutazione della adeguatezza delle prove di efficacia a favore dello screening nella popolazione generale per i disturbi di funzionalità tiroidea pur sostenuto da illustri
organismi scentifici, non fa parte delle finalità di questo documento.
Il dosaggio del solo ormone tireotropo,
con metodiche ad elevata sensibilità (s-
PROBLEMI PRATICI RICORRENTI NELL'APPROCCIO DIAGNOSTICO
"DI BASE" ALLE TIREOPATIE
L'accertamento della funzione tiroidea nell'individuo asintomatico
(lo screening)
• Come comportarsi di fronte al paziente con iperplasia tiroidea (gozzo)
o nodulo tiroideo
• Come seguire l' evoluzione dell' iperplasia tiroidea e del nodulo
• Sospetto ipotiroidismo: come fare diagnosi
• Monitoraggio della terapia nell'ipotiroidismo
• Sospetto di tireotossicosi: diagnosi e inquadramento eziologico
• Come seguire la terapia con antitiroidei nell'immediato e nel lungo
termine
• Approccio al problema "dolore" in sede tiroidea
•
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tossoide tetanico ha determinato una
notevole riduzione o eliminazione del tetano neonatale; tale successo, in aree
dove l’immunizzazione attiva dei bambini o la terapia specifica contro le infezioni comportano difficoltà di tipo pratico ed
economico, ha portato ad un’accettazione diffusa della vaccinazione in gravidanza. Lo scopo principale di questi studi è stato quello di valutare l’immunogenicità e l’efficacia dei vaccini in gravidanza a scapito di un approfondimento ac-
curato dell’aspetto della sicurezza. Tuttavia, non essendovi segnalazioni di gravi reazioni avverse nelle madri e nei loro
figli, è emersa l’opportunità di effettuare
ulteriori studi di sicurezza con un numero
adeguato di coppie madre-figlio anche
nei Paesi industrializzati. Solo disponendo di dati attendibili potrebbero essere
superate le questioni di carattere etico e
psicologico relative alla vaccinazione
delle gestanti, e medici e donne potrebbero essere sensibilizzati sull’importan-
za di un tale programma di prevenzione
come valido strumento di protezione dei
bambini in un’età particolarmente vulnerabile quale quella neonatale.
(la bibliografia completa può essere
richiesta alla redazione- e-mail:
[email protected])
Tabella - Dimostrazione della sicurezza dei vaccini in gravidanza
Vaccino
Paese (anno)
n° coppie madre-figlio
Risultati
Anti-pneumococco_
Tari (1992/1994)
202
Sicuro -Efficace
-Immunogeno
Anti-H.influenzae_
Gambia (1996)
Texas (1992)
451
130
-Sicuro -Efficace
-Immunogeno
Anti-RSV_
USA (2003)
35
-Sicuro -Efficace
-Immunogeno
Anti-influenzale4
Texas (2005)
225
-Sicuro -Efficace
-Immunogeno
Anti-GBS5
Texas (2003)
-
-Sicuro -Efficace
-Immunogeno
_ Non sono emerse significative differenze per quanto concerne malformazioni congenite, tasso
di mortalità o cause di morte nei figli delle donne immunizzate e di quelle del gruppo di controllo.
_ Non sono state osservate reazioni avverse quali anafilassi e travaglio precoce.
_ La valutazione della sicurezza è stata portata avanti, nelle donne, fino al parto e, nei loro figli,
fino al compimento del 1° anno di vita.
4Solo 8 donne (3.5%) hanno avuto reazioni avverse nei 14 giorni seguenti la somministrazione del vaccino,
ma nessuna è stata correlata alla vaccinazione stessa; inoltre, non sono state riscontrate, tra i due
gruppi, differenze per quanto riguarda le modalità di parto (includendo parto cesareo e parto prematuro)
e le condizioni di salute dei bambini dalla nascita fino a 6 mesi di età.
5Durante i 7 giorni dopo l’immunizzazione, tutte le donne hanno tenuto un diario su cui
appuntare temperatura corporea e sintomi, al fine di tenere sotto controllo la frequenza e la gravità di
eventuali segni e sintomi locali o sistemici.
I bambini sono stati seguiti fino a 6 mesi di età per valutare lo sviluppo, l’altezza, il peso, il manifestarsi di
malattie da GBS o altre patologie che hanno richiesto ospedalizzazione.
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Il Garante per la privacy ha pubblicato in
data 11/06/2004 una guida operativa per
elaborare il DPS, presentando modelli e
tabelle, ma specificando anche che il loro uso non è obbligatorio. Alcuni enti ed
ordini provinciali hanno proposto modelli di documento semplificati, spesso più
mirati alle effettive esigenze dei MMG,
ma tuttavia tutti questi modelli presentano dei limiti. In un documento standard
non possono infatti essere comprese tutte le tipologie di rischio e tutti i casi particolari. Una caratteristica comune a tutte
le direttive è l’obbligo di rinnovare annualmente il DPS e di conservarlo scrupolosamente nello studio del MMG. Al
documento va sempre associato la dichiarazione della formazione del personale dipendente. Questa consiste in una
dichiarazione dei soggetti operanti nello
studio (segretaria, infermiera, tirocinante ecc.) da essi firmata nella quale confermino di essere stati informati ed istrui-
L
ti sulle modalità di trattamento dei dati
personali contenuti nell’archivio, sul rischio cui questi possono andare incontro e sulle misure di prevenzione dell’uso
improprio o della perdita dei dati. Nei casi in cui il MMG non si avvalga di un sistema informatico, il titolare non ha l’obbligo
di redigere il DPS, ma deve impartire comunque istruzioni scritte per il controllo e
la custodia dei dati, aggiornando annualmente la lista degli incaricati.
Il decreto legislativo 196/2003 può essere avvertito solo come un inutile adempimento burocratico: sono previste però
pesanti sanzioni contro le inosservanze,
quindi è necessario rispettare tutte le formalità. L’iniziale difficoltà nel recepimento e nell’attuazione delle nuove normative non esime dall’applicare le disposizioni, anche se è auspicabile la semplificazione della gestione dei dati personali
e sensibili.
Nella tabella 5 sono riportati gli indirizzi
internet di alcuni siti, utili per l’approfondimento.
Tab. 5 Siti web utili per l’approfondimento
- http:// www.garanteprivacy.it
- http:// www.ministerosalute.it
- http:// www.fimmg.org
(la bibliografia completa può essere
richiesta alla redazione- e-mail:
[email protected])
Probiotici e allergie: un’analisi EBM
’incidenza delle malattie allergiche è drammaticamente aumentata negli ultimi decenni, tanto che
si parla di “epidemia allergica” ed esse
rappresentano le patologie croniche più
frequenti dell’infanzia nelle società più
evolute. Tra queste, la dermatite atopica
(DA) è la prima tra le manifestazioni allergiche a comparire e comporta notevoli disagi sia ai bambini affetti sia ai loro familiari, con notevole dispendio di tempo
e di risorse. Alla DA, nella classica sequenza della così detta “marcia allergica”, fa seguito la rinite allergica (RA) e
l’asma bronchiale (A). Recentemente,
pertanto, sono stati proposti nuovi approcci terapeutici della DA e della RA e
tra questi una particolare attenzione da
parte dei ricercatori è stata posta sull’uso
dei probiotici. Per definizione universalmente accettata i probiotici sono dei microrganismi vivi che, quando ingeriti,
possono avere effetti benefici sull’organismo. L’utilizzo dei probiotici nelle ma-
S. Tripodi
U.O.S.D. Allergologia Pediatrica – Osp. “Sandro Pertini”
lattie allergiche ha il suo razionale nel fatto che la normale flora intestinale, aderendo alla superficie mucosale dell’intestino, interagisce con esso e determina
importanti effetti sullo sviluppo e la rego-
lazione del sistema immunitario dell’ospite. Gli effetti clinici ascritti, per es.,
nella DA, infatti, sono stati spiegati con la
promozione delle funzioni di barriera intestinale, con la normalizzazione dell’aumentata permeabilità intestinale e dell’alterata microecologia e con un’aumentata secrezione delle IgA intestinali. Recenti dati epidemiologici e sperimentali
hanno dimostrato un’associazione inversa tra infezioni a trasmissione oro-fecale e allergia. Il primo incontro con gli
antigeni microbici inizia, immediatamente dopo la nascita, proprio nel tratto gastrointestinale con l’insediarsi della microflora. La normale microflora che aderisce e cerca di penetrare nella mucosa
intestinale, ha profondi effetti sullo sviluppo immunologico dell’ospite; tale pre-
coce e costante stimolo microbico può
sopravanzare quello di occasionali infezioni. Infatti il ruolo fondamentale di alcuni specifici ceppi di microflora nel modulare la risposta immunitaria ad antigeni
alimentari (tolleranza) e a bilanciare la
formazione di citochine pro- e anti-infiammatorie è stata dimostrata in vitro .
Un ceppo batterico, per essere considerato un probiotico, deve soddisfare alcuni requisiti che si possono riassumere in:
•
•
•
•
•
essere normali componenti della microflora intestinale umana;
essere assolutamente sicuri per l’impiego nell’uomo;
essere attivi e vitali alle condizioni
presenti nell’intestino;
essere resistenti alle secrezioni gastrointestinali (succo gastrico, bile e
succo pancreatico);
essere in grado quindi di persistere,
almeno temporaneamente, nell’intestino umano;
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I probiotici sono rappresentati da tre
gruppi di batteri, i batteri lattici, i bifidobatteri e altri microrganismi.
Probiotici e Dermante Atopica
Il primo studio randomizzato e in doppio
cieco, svolto per valutare l’efficacia dei
probiotici nella terapia della DA, ha riportato che la somministrazione di Lactobacillus rahmnosus GG in lattanti con DA e
allergia alle proteine del latte vaccino
avrebbe ridotto la severità dell’eczema.
Critiche metodologiche sono state però
sollevate a tali risultati da diversi autori,
fra cui il dermatologo inglese Williams,
uno dei maggiori esperti del settore. Gli
autori dello studio infatti hanno analizzato la modificazione della gravità della DA
al termine della terapia rispetto al basale, mentre non hanno confrontato le risposte del gruppo trattato con farmaco
attivo rispetto a placebo. Inoltre, non è
stato tenuto in considerazione nell’analisi il diverso livello di gravità (SCORAD)
tra i due gruppi al basale. E infine, a soli
due mesi dall’ inizio della terapia, la differenza del punteggio SCORAD tra i due
gruppi non era più statisticamente significativa, anzi la stima puntuale era lievemente a favore del placebo. Pressoché
la stessa cosa è stata osservata in un
successivo studio, sempre lo stesso
gruppo finlandese ha documentato un
miglioramento della gravità della DA con
diminuzione significativa dello SCORAD
dopo 2 mesi di terapia con Lactobacillus
GG o Biphidobacterium lactis, rispetto al
gruppo placebo. Tuttavia, anche questo
studio presentava dei limiti in quanto erano stati arruolati lattanti con una forma di
DA lieve tanto che dopo 6 mesi, il primo
controllo riportato, tutti e tre i gruppi pre-
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sentavano uno SCORAD pari a zero. Si
potrebbe così ipotizzare un effetto solo
transitorio dei probiotici che anticiperebbero di qualche mese la guarigione
spontanea della DA. Ancor più recentemente un gruppo danese ha pubblicato
uno studio in cui la somministrazione
combinata di Lactobacillus rhamnosus e
Lactobacillus reuteri risulta efficace nel
trattamento di bambini affetti da DA, specialmente in quelli con positività agli skin
prick test (SPT) e livelli aumentati di IgE.
Anche questi risultati presentano dei limiti in quanto lo studio è affetto da una
percentuale di esclusi dall’ analisi finale
dei dati >25% ed è risultato significativo
solo con un’analisi post hoc per sottogruppi. Nel 2005 sono stati pubblicati altri due trial randomizzati controllati sull’impiego dei probiotici nella DA. Il primo,
ancora di un gruppo finlandese, ha il pregio di aver arruolato un numero elevato
di bambini con DA, ma ha documentato
un miglioramento dello SCORAD solo
nei bambini con IgE specifiche positive,
sempre con un’analisi post hoc per sottogruppi. Le analisi post hoc sono utili per
generare ipotesi, ma esse non godono
dei benefici derivanti dalla randomizzazione non essendo state preventivamente pianificate, i gruppi a confronto
non possono essere sicuramente ben bilanciati. Inoltre, non si assisteva parallelamente ad un risparmio di corticosteroide topico e quando il Lactobacillus rhamnosus GG veniva somministrato in associazione ad altri 3 probiotici ciò rendeva il
trattamento uguale al placebo. L’ultimo
lavoro in ordine di tempo, australiano, ha
studiato bambini affetti da DA, stratificati
in base alla gravità, documentando un
miglioramento significativo dello SCORAD nel gruppo trattato con Lactobacillus fermentum rispetto al placebo, anche
se di una percentuale inferiore a quella
preventivata dagli stessi autori. Anche in
questo studio, però, il consumo di steroidi topici non è cambiato nel tempo in en-
trambi i gruppi e il giudizio dei genitori
sull’efficacia e sull’intenzione a proseguire era risultato ugualmente positivo
per i due gruppi.
Probiotici e Rinite Allergica
Per quanto riguarda la RA gli studi randomizzati e controllati sono ancora meno numerosi. Il primo studio ha trattato
18 pazienti (14-36 anni) affetti da rinocongiuntivite da monosensibilizzazione
alla betulla, con L. rhamnosus per 5,5
mesi con uno schema pre-costagionale.
Ma gli autori non hanno documentato alcun beneficio, rispetto al placebo, né per
i sintomi clinici né per il consumo dei farmaci. Nel 2004 alcuni colleghi cinesi
pubblicano un primo lavoro in cui trattano 60 pazienti con rinite perenne da acari, età media 16 anni, con L. paracasei,
mentre 20 hanno assunto il placebo. Lo
studio documenta una diminuzione significativa della frequenza e del fastidio
dei sintomi nasali pre-post nei trattati,
ma non c’è alcuna differenza significativa intergruppo, inoltre il gruppo attivo
stava significativamente peggio in partenza. Sempre lo stesso gruppo nel 2005
pubblica un lavoro analogo su pazienti
affetti da RA persistente da acari, con età
media di 16 anni. Un gruppo viene trattato con L. paracasei vivo, un secondo
gruppo con L. paracasei inattivato al calore ed il terzo con il placebo. Sia il L.
paracasei vivo che ucciso dimostrano
un’efficacia sui sintomi nasali nel gruppo
dei trattati (pre-post), ma non viene documentata alcuna differenza significativa tra i gruppi, ad eccezione del punteggio globale sulla qualità della vita.
Conclusioni
Certamente l’interesse per l’uso dei probiotici nella terapia (ed anche nella prevenzione) delle malattie allergiche è rilevante, anche per ovvi motivi di carattere
commerciale. Purtroppo i dati pubblicati
sono poco numerosi, con risultati contrastanti e viziati da numerosi bias metodologici , e, a tutt’oggi, non consentono di
consigliare il loro utilizzo nella terapia né
della DA né della RA. Sono necessari ulteriori lavori, che, almeno per quanto riguarda la DA, ci vedranno direttamente
coinvolti in un prossimo futuro.
(la bibliografia completa può essere
richiesta alla redazione- e-mail:
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VACCINAZIONE DELLA DONNA IN GRAVIDANZA PER
LA PROTEZIONE DEL NEONATO
A
lla luce dei dati epidemiologici
nazionali e internazionali emerge la necessità di ridurre l’incidenza di malattie determinate da patogeni, quali lo Streptococco del gruppo B
(GBS) e lo Streptococcus pneumoniae,
che provocano morbosità e mortalità
neonatali. Infatti, il sistema immunitario
nei primi mesi di vita è immaturo ed incapace di mettere in atto una risposta efficace e l’immunizzazione mediante vaccinazione non è in grado di elicitare una
risposta protettiva. Pertanto, l’unica possibilità di difesa dalle infezioni per il neonato rimane la protezione passiva fornitagli dal passaggio degli anticorpi materni attraverso la placenta prima e l’allattamento al seno poi. La quantità di anticorpi specifici può essere incrementata dalla vaccinazione della donna in gravidanza, ma i rischi di carattere medico, sociale e legale legati a qualsiasi tipo di intervento durante la gestazione sollevano
questioni delicate, quali il timore di problemi riproduttivi (sterilità, infertilità,
aborto, nascita di un bambino morto,
malformazioni congenite, ritardo nello
sviluppo del feto e prematurità). L’incapacità di trovare un’eziologia definitiva
per oltre i 2/3 delle malformazioni congenite fa sì che in gravidanza ogni pratica
non consolidata venga messa sotto accusa. Poichè i vaccini vengono somministrati raramente alle donne in gravidanza, molto poco sappiamo circa i loro effetti sulla riproduzione. Si parla, pertanto, solo di “potenziali” ed “ipotetici” rischi
della vaccinazione: trasmissione alla
placenta o al feto di un microrganismo attenuato contenuto nel vaccino; malformazioni, aborti, ritardo di accrescimento,
nascita di bambino morto; effetti neurlogici; reazioni idiosincrasiche o tossiche
nella madre; inefficacia del vaccino. Al di
là di questi limiti teorici, diversi possono
essere i benefici di un tale programma di
prevenzione come, ad esempio, la riduzione o l’eliminazione delle infezioni contro le quali il neonato non è in grado di
S. Senatore, M. Cardarelli, E. Franco
Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva e Dipartimento
di Sanità Pubblica, Università di Roma Tor Vergata
sviluppare anticorpi, la riduzione delle infezioni intrauterine che contribuiscono
alla nascita pre-termine o che possono
esser causa di malformazioni, la diminuzione delle epidemie nelle comunità infantili. Inoltre, l’immunizzazione materna
potrebbe superare il problema sempre
più diffuso dell’antibiotico-resistenza per
quelle infezioni in cui viene raccomandata la chemioprofilassi antibiotica intrapartum. Infatti, sebbene nella grave infezione neonatale da Streptococco del
gruppo B (GBS), l’antibiotico riduca l’incidenza di colonizzazione, la vaccinazione offre maggiori vantaggi: è meno invasiva; non necessita di essere somministrata durante ogni gravidanza; ha un migliore rapporto costo-beneficio; non è
associata al problema dello sviluppo di
resistenza antimicrobica al GBS; ha la
potenzialità di ridurre la malattia precoce
e tardiva da GBS. Un recente studio caso-controllo ha confermato il rapporto tra
esposizione intrapartum agli antibiotici e
aumento di gravi infezioni batteriche tardive nei neonati. Inoltre, è stato evidenziato che i microrganismi responsabili di
tali infezioni nei neonati sottoposti ad antibiotico-profilassi intrapartum presentano più frequentemente ampicillino-resistenza, mentre non è stata osservata
maggiore resistenza ad altri antibiotici.
In diversi studi, nel corso dei quali sono
stati somministrati alle gestanti vaccini
tossoidi, polisaccaridici, polisaccaridici
coniugati e inattivati, è stato dimostrato
che la vaccinazione in gravidanza risulta
efficace, immunogena e sicura per la
madre e per il feto/neonato. Il passaggio
transplacentare degli anticorpi materni,
ed in particolare delle IgG1, avviene in
quantità adeguate nel corso del 3° trimestre di gestazione. In linea generale, elevati livelli di anticorpi specifici, che hanno
una vita media di 4 settimane circa, possono ridurre la risposta del bambino all’immunizzazione attiva, ma in modo solo transitorio e modesto; dopo 6 mesi, gli
anticorpi materni non sono più presenti
nel sangue del bambino o lo sono solo in
tracce. Le donne vaccinate in gravidanza sono anche in grado di trasferire anticorpi, soprattutto IgA, attraverso l’allattamento al seno. Sebbene la sicurezza
della vaccinazione materna, che racchiude in sé una grande promessa di
prevenzione delle malattie infettive neonatali, sia stata dimostrata in numerosi
studi (tabella), forti sono i dubbi e i timori
tra la popolazione generale e tra i medici
riguardo la sicurezza della somministrazione dei vaccini in gravidanza, come
emerso da uno studio sul vaccino antipneumococco, condotto dall’Università
del Minnesota, nel corso del quale la percentuale di adesione delle gestanti è stata appena del 3%. Nei Paesi industrializzati notevole è l’avversione verso la
somministrazione di un qualunque farmaco o vaccino durante la gravidanza;
un atteggiamento comprensibile, ma
non sempre fondato. Negli USA, nonostante l’Advisory Commettee of Immunization Practices dei Centers for Disease Control and Prevention raccomandi la
vaccinazione con vaccino inattivo trivalente alle donne che, durante la stagione
invernale, sono in gravidanza, il tasso di
vaccinazione anti-influenzale in questa
popolazione ad alto rischio risulta estremamente basso, con una media di circa
il 12%. Il rifiuto della profilassi appare del
tutto ingiustificato se si considera che la
sicurezza per madre e feto/bambino del
vaccino contro l’influenza è stata ampiamente dimostrata in numerosi studi condotti su larga scala nei Paesi industrializzati; inoltre le gestanti sono ad aumentato rischio di ospedilazzione in seguito a
grave malattia influenzale e complicanze polmonari. Donne sane al 3° trimestre
di gravidanza, infatti, hanno un tasso di
ricovero simile a quello riscontrato nei
soggetti con fattori di rischio (oltre
250/100000 casi). La maggioranza degli
studi sull’immunizzazione materna ha
avuto luogo nei Paesi in via di sviluppo,
dove la vaccinazione della gestante con
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