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Anno XI - Numero 36 - 17 giugno 2005
L’Intervista
Parla il Regista
Renzo Giacchieri
A Pag
2
Orientalismo Francese
Il raffinato esotismo di Thaïs
A Pag
7
Prix de Rome
Il concorso
con soggiorno a Roma
vinto da Massenet
A Pag
8 - 9 e 10
Romanzo e Libretto
Le differenze tra
le due Thaïs
A pag.
11
THAÏS
di Jules Massenet
Thaïs
2
Il
Parla Renzo Giacchieri che ha ripreso la regia di Samaritani
Stagione Estiva
Un allestimento storico
senza pesantezze brechtiane
fiori di tulle compresi che
si e stare in scena di quegli anni
’Opéra di Parigi
erano interamente schiacciati.
di contestazioni. Abbiamo
appare all’apertura
Poi, a distanza di 27 anni era
anche tolto i sei prostituti che
della scena. Un paril caso di ricostruire la regia
in quell’allestimento volevano
allelo, che in una immagcon una visione meno
rappresentare una provoine racconta la storia della
brechtiana: è finito il tempo
cazione. Oggi questo non ha
Thaïs: una danzatrice cortidel teatro nel teatro. In genpiù senso. Purtroppo i travesgiana nell’Alessandria del
erale abbiamo modificato
titi, i viados li vediamo ogni
IV Sec. d.C.; una ballerina
giorno all’angolo
corrotta nella Parigi
delle nostre stradell’800 ed anche
de. Abbiamo invequel teatro dove
ce lasciato la bell’opera ebbe il suo
lissima immagine
debutto il 16 marzo
dell’Opéra all’inizio
1894. L’opera è
ed anche leggermessa in scena
mente alla fine, su
nella sua seconda
quei grandi respiri
versione,
quella
che accompagandata in scena
nano il finale».
nella ripresa parigiMa la storia
na del 13 aprile
potrebbe avere
1898 al Palais Renzo Giacchieri con il soprano Amarilli Nizza
un finale positiGarnier, quattro anni
poche cose, solo per necessità
vo, al di la del libretto:
dopo il debutto. Ci sono sei
sceniche. Insomma abbiamo
«Nel balletto del secondo
cambi di quadro, brevissidato un soffio per buttar via la
atto, dopo la “Meditation”,
mi, e due intervalli. A
polvere, un soffio per tagliare
ho chiesto al coreografo nel
dirigere è il maestro
le cose invecchiate, ridando
divertissment di riprendere
47enne francese Pascal
una grande eleganza al tutto
la vicenda con un finale triRophé, della scuola di
togliendo – come detto – quelonfante dove Thaïs è salva.
Pierre Boulez, al suo
la freddezza brechtiana di
Ma è solo, appunto, un
debutto nella direzione di
allora. Questo anche per il
divertissment».
un’opera in Italia. A Roma
modo disarmonico di muoverAndrea Marini
ha diretto solo a Santa
Cecilia. Ci sarà anche il
debutto nel ruolo della
protagonista della bella
Teatro Costanzi, 17 – 25 giugno 2005
soprano milanese Amarilli
Nizza che a Roma abbiamo ascoltato nel Tabarro
Comédie lyrique in tre atti e sette quadri
(Giorgetta) e nel ruolo
dal romanzo di Anatole France Libretto di Louis Gallet
della protagonista in
Musica di Jules Massenet
Francesca da Rimini. In
scena, nel balletto, sarà
Prima rappresentazione: Parigi, Opèra, 16 marzo 1894
anche Carla Fracci.
Maestro concertatore e Direttore Pascal Rophé
L’allestimento del Teatro
Maestro del coro
Andrea Giorgi
dell’Opera di Roma è lo
Allestimento di
Pier Luigi Samaritani
Riproposto
da
Renzo
Giacchieri
stesso del 1978, firmato da
Coreografia
Wayne Eagling
Pier Luigi Samaritani, …o
Disegno luci
Patrizio Maggi
quasi. «Dopo la scomparsa di
Personaggi / Interpreti
Samaritani, di questo allestiAtanaele, Cenobita (Bar)
Patrice Berger /
mento non esisteva una
Louis Otey / (18, 21, 23/6)
Nicia, giovane filosofo Sibarita (T)
Claudio Di Segni /
memoria storica, non c’erano
Valeriano Gamghebeli (18, 22, 24/6)
libri di regia o note varie»,
Palemone, vecchio Cenobita (B)
Armando Caforio /
dice Renzo Giacchieri, che
Roberto Nencini (22, 23, 24, 25/6)
Un servo (Bar)
Mario Bertolino
ha ripreso la regia per
Thaïs, Commediante e Cortigiana (S)
Amarilli Nizza /
questa occasione. «Abbiamo
Danielle Streiff (18, 22, 24, 25/6)
dovuto ricostruire le idee da
Crobila, schiava (S)
Orit Gabriel
Mirtale, schiava (Ms)
Géraldine Mélac
foto, da interviste, come poteAlbina,Abbadessa (Ms)
Anna Schiatti
vamo. Poi le scene. Alcune
La incantatrice (S)
Magalie Léger /
erano molto rovinate, dei parLetizia Colajanni (22, 23, 24, 25/6)
ticolari si erano persi. C’è
ORCHESTRA, CORO E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA
voluta la migliore pazienza ed
Allestimento del Teatro dell’Opera
abilità dei laboratori del
In lingua originale con sovratitoli in italiano
Teatro per ricreare il tutto,
L
~~
La Locandina ~ ~
THAÏS
Giornale dei Grandi Eventi
alle Terme di Caracalla
5 e 6 luglio
ROMEO E GIULIETTA
balletto su musica di Sergej Prokof’ev
da William Shakespeare
Coreografia:
Jean-Cristophe Maillot
Interpretato dalla Compagnia Les Ballet de Monte-Carlo
Dal 9 luglio
MADAMA BUTTERFLY
opera in tre atti
su musica di Giacomo Puccini
Donato Renzetti
Direttore:
Dal 23 luglio
AIDA
opera i quattro atti
su musica di Giuseppe Verdi
Placido Domingo / Stefano Reggioli
Nuovo allestimento
Direttore:
Dal 10 agosto
IL LAGO DEI CIGNI
balletto in quattro atti
su musica di Pêter Ciaikovskij
Allestimento del Teatro dell’Opera
Al Costanzi
si torna a settembre
22 – 29 settembre
LE NOZZE DI FIGARO
di Wolfgang Amadeus Mozart
Direttore:
Gianluigi Gelmetti
Anna Rita Taliento,
Laura Cherici, Marco Vinco, Laura Polverelli
Regia e Scene:
Quirino Conti
NUOVO ALLESTIMENTO
DAS RHEINGOLD (L’Oro del Reno)
di Richard Wagner
Direttore:
Will Humburg
Ralf Lukas, Kristian Frantz, Hartmunt Welker,
Katia Litting, Hanna Schwarz, Eva Matos
Regia, Scene e Costumi:
Pier’ Alli
ALLESTIMENTO TEATRO ALLA SCALA
In lingua originale con sovratitoli
18 – 25 ottobre
23 Novembre – 1 Dicembre
LA SONNAMBULA
di Vincenzo Bellini
Direttore:
Bruno Campanella Stefania Bonfadelli,
Nina Makarina Dimitri Korchak, Enzo Capuano
Regia:
Pier Francesco Maestrini
Il G iornale dei G randi Eventi
Direttore responsabile
Andrea Marini
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Il
Thaïs
Giornale dei Grandi Eventi
D
opo quasi un mese
e mezzo di pausa,
l’opera torna sul
palcoscenico del Teatro
Costanzi. Questa volta in
scena Thaïs, commedia lirica in tre atti e sette quadri
di Jules Massenet.
Un’opera di grande bellezza e liricità, che però non è
facile ascoltare: prima di
oggi a Roma è stata rappresentata solo sei volte
(1907, 1915, 1917, 1921,
1946 e 1978) e soltanto tre
volte è andata in scena in
Italia nel dopoguerra, a
Roma e Torino con questo
allestimento del Teatro
dell’Opera di Roma ed a
Venezia con regia e scene
di Pier Luigi Pizzi.
La storia della cortigiana
redenta (di cui parla
anche Dante nell’Inferno
della Divina Commedia),
con i suoi moti interiori,
lascia spazio ad una
grande forza drammatica
e lirica che la musica di
Massenet
riesce
ad
esaltare, riuscendo a toccare momenti di grande
poesia, di grande introspezione psicologica nel
continuo confronto-scontro tra l’amore terreno e
quello spirituale.
L’opera del musicista
francese,
il
quale
trascorse un lungo periodo a Roma presso
l’Accademia di Francia a
Villa Medici che lo vide
anche vincitore del prestigioso Prix de Rome, andò
in scena per la prima
volta all’Opéra di Parigi il
16 marzo 1894 senza
grande successo di pubblico. Successo che arrivò,
invece, cinque anni dopo,
il 13 aprile 1898 quando
fu riproposta al Palais
Garnier con la correzione
da parte dell’autore di
alcune parti e la sosti-
3
tuzione di altre con balletti, versione che è poi
quella che è in scena qui
al Costanzi in edizione
integrale.
Sul podio questa volta il
maestro francese Pascal
Rophé, al suo debutto con
un’opera in Italia. A Roma
ha già diretto solo a Santa
Cecilia.
L’allestimento
ideato nel 1978 per l’Opera
di Roma da Pier Luigi
Samaritani è stato ripreso
da Renzo Giacchieri con
alcune piccole modifiche.
Il ruolo di Thaïs, commediante e cortigiana, è
affidato alla bella Amarilli
Le Repliche
Sabato 18 giugno, ore 18.00
Domenica 19 giugno, ore 17.00
Martedì 21 giugno, ore 20.30
Mercoledì 22 giugno, ore 20.30
Giovedì 23 giugno, ore 20.30
Venerdì 24 giugno, ore 20.30
Sabato 25 giugno, ore 18.00
Nizza e Danielle Streiff,
mentre quello di Atanaele
a Patrice Berger e Louis
Otey. L’opera è presentata
in lingua originale, il
francese, con sovratitoli in
italiano.
L’opera di Jules Massenet solo 3 volte in Italia nel dopoguerra
Thaïs, la redenzione di una cortigiana
L
a vicenda si svolge nella
Tebaide e ad Alessandria
d’Egitto nel IV Sec. d.C
ATTO I – L’affascinante danzatrice Thaïs è responsabile,
secondo il cenobita Atanaele di
condurre all’immoralità ed alla
lussuria i giovani della città di
Alessandria, spingendoli al
culto di Afrodite. Per questo
Atanaele, deciso a redimere la
donna, lascia la Tebaide, presso
le rive del Nilo, alla volta di
Alessandria, dove è ospitato
dall’amico Nicia, al momento
amante di Thaïs. Durante un
banchetto organizzato in onore
della cortigiana, l’asceta ammonisce la donna a cambiar vita,
abbandonando i costumi dissipati. Ella, apparentemente noncurante, si esibisce nella pantomima degli amori di Afrodite,
La Trama
ma poi tenta di avvicinare
Atanaele, che si allontana promettendole di aiutarla a ritrovare la propria dignità.
ATTO II – Durante un colloquio
con Atanaele, il quale comincia
ad essere turbato dalla bellezza
della donna, Thaïs è illuminata
sull’importanza dell’amore eterno (qui è una pagina di grande
lirismo – la Méditation - con un
Andante per violino con accompagnamento d’arpa, che ben
descrive il cambiamento spirituale) e decide di seguire il consiglio del cenobita di lasciare
tutte le sue ricchezze terrene per
ritirarsi nel convento delle
monache, retto dalla romana
Albina. Thaïs, ormai redenta,
porge un canto d’addio alla statuetta dell’Eros fanciullo. Per un
taglio radicale con il passato, la
casa di Thaïs è data alle fiamme,
mentre Atanaele comunica a
Nicia che la donna d’un tempo
non esiste più. Thaïs esce vestita
di una semplice tunica. Nicia
distrae i presenti regalando loro
monete preziose, poi saluta la
donna commosso.
ATTO III – Il monastero si trova
nei pressi di un’oasi nel deserto.
Thaïs,
accompagnata
da
Atanaele, giunge stremata
all’oasi. In lontananza si ode il
Pater Noster recitato dalle
monache. E’ il momento della
separazione. Thaïs è accolta nel
monastero da Albina e dalle
altre monache, mentre Atanaele
torna nella Tebaide. Ma nella
sua capanna il cenobita si accorge di rivolgere continuamente i
propri pensieri alla donna che
ha redento e che nel monastero,
tra preghiere e meditazioni, ha
trovato la serenità interiore. Egli
però una notte nel sonno sogna
la donna morente. Svegliatosi di
soprassalto, si precipita da lei.
Thaïs, stremata da tre mesi di
penitenza, è ormai sulla via
della santità, distaccata dalle
cose terrene. Distesa su un letto
nel giardino del convento,
vedendo Atanaele gli manifesta
riconoscenza per averla riportata verso la fede ed assorta in
una dolce estasi muore tra le
braccia dell’uomo, senza udire
le parole con cui l’angosciato
Atanalele le proclama in extremis il proprio amore.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Thaïs
5
Amarilli Nizza e Danielle Streiff
Patrice Berger e Luis Otey
Thaïs, danzatrice e cortigiana
L’anacoreta Athanaël
I
l ruolo di Thaïs sarà interpretato dalla milanese Amarilli Nizza (17,
19, 21, 23 giugno) e dalla francese Danielle Streiff (18, 22, 24, 25 giugno). Amarilli Nizza ha vinto giovanissima il concorso per giovani
voci Maria Battistini; ha esordito come protagonista in Madama Butterfly
al Teatro F. Vespasiano di Rieti, cantando in seguito presso importanti
teatri e festival di livello internazionale. Ha interpretato i ruoli di Mimì
(la Bohème), della Tosca, di Giorgetta e Suor
Angelica (il Trittico), dell’Aida, di Violetta
(la Traviata), di Adriana Lecouvrier, di Luisa
Miller, di Elena (i Vespri Siciliani). Di particolare rilievo sono i successi che ha ottenuto nel 2001 come Aida presso i teatri di
Atene, Macerata, Rovigo, Pisa, Trento e negli
anni seguenti come Tosca a Lecce, Parma e
Tokyo. Al Teatro dell’Opera di Roma l’abbiamo ascoltata come Giorgetta ne Il Tabarro per
Amarilli Nizza
l’inaugurazione della stagione 2002 diretta
dal maestro Gelmetti. Nel 2003 il suo debutto – sempre all’Opera di Roma nel ruolo di protagonista in Francesca da Rimini diretta da Donato Renzetti.
Sempre nel 2003 ha debuttato in Aida a Berlino, ottenendo il premio del
pubblico del Deutsche Oper, e nel 2005 ne I Masnadieri di Verdi, presso
l’Opéra Royal de Wallonie Liegi.
Danielle Streiff, francese, si è diplomata con il massimo dei voti al CNR di
Bordeaux in canto. Notata dal direttore dell’Opéra parigina B.Lefort, ha studiato altri quattro anni all’Ecole d’Art Lyrique de l’Opéra de Paris Garnier,
debuttando accanto a personalità del calibro di N. Ghiaurov e G. Strehler.
E’ grande conoscitrice delle opere di Massenet; in particolare ha registrato Amadis con l’orchestra dell’Opéra di Parigi e l’opera religiosa La
Vierge. Ha cantato sui palcoscenici di Pittsburgh (su invito di L. Maazel),
di Los Angeles (invitata da P. Domingo), di Wallonie, di Maastricht, di
Tokyo, di Osaka oltre che nei principali teatri francesi. In Italia ha cantato all’Arena di Verona nel ruolo di Blanche nei Dialogues des Carmélites
di Poulenc; inoltre si è esibita a Trieste, a Napoli, a Catania. A Roma nel
dicembre scorso ha sostenuto la parte della protagonista Rosalinde ne Il
Pipistrello. Torna a Roma come Thaïs, ruolo tanto caro a Georges Pretre,
il quale ascoltandola le assegnò il ruolo nel film omonimo.
Claudio Di Segni e Valeriano Gamghebeli
Nicia, giovane filosofo
amante di Thaïs
I
tenori che interpreteranno Nicia sono rispettivamente Claudio Di
Segni (17, 19, 21, 23, 26 giugno) e Valeriano Gamghebeli (18, 22, 24 giugno). Claudio Di Segni, nato a Roma nel 1958, si è diplomato presso
il Conservatorio di S. Cecilia, proseguendo gli studi con G. Morelli e presso il Mozarteum di Salisburgo. Ha vinto concorsi importanti (il concorso
internazionale Toti Dal Monte, il concorso Mattia Battistini di Rieti, il concorso Briccialdi di Terni). Ha cantato con regolarità al Teatro dell’Opera di
Roma, debuttando nel 1988 nel Poliuto di Doninzetti come protagonista;
nel 1989 ha cantato la prima assoluta di Charlotte Corday di Ferrero diretto da Roberto Abbado. Si è esibito in Falstaff, ne I dialoghi delle Carmelitane
di Poulenc, nel Rigoletto, nella Bohème, in Adina di Rossini. Oltre che nei
principali teatri italiani, si è esibito all’estero a Stoccolma, al Festival di
Montpellier e Radio France, a Israele, a Pretoria, ad Osaka. Nell’estate del
2000 è stato Cavaradossi in Tosca allo Stadio Olimpico di Roma. Ha doppiato, nella versione italiana, il ruolo tenorile del filn The Phantom of the
I
l personaggio di Athanaël avrà la voce dei baritoni Patrice Berger (17,
19, 22, 24, 25 giugno) e Luis Otey (18, 21, 23 giugno). Patrice Berger ha
scoperto il canto solo dopo i suoi studi di tuba e direzione d’orchestra
presso il Conservatoire National Supérieur di Parigi. Ha studiato con J.P.
Blivet ed è risultato vincitore di numerosi concorsi internazionali, tra i
quali l’internazionale di Marmande, il
Tournoi des Voix
d’Or, il concorso di
Saint-Chamond e
quello di Beziers.
Ha debuttato come
Monterone in Rigoletto al Festival
Lirico di Nevers ed
si è esibito, oltre che
sulle scene francesi,
sui palcoscenici di
Amsterdam, Liège,
Brescia, Roma.
Padroneggia
un Amarilli Nizza e Patrice Berger
vasto repertorio di opere francesi ed italiane.
Louis Otey ha calcato le scene dei maggiori teatri del mondo: si è esibito nel ruolo di Don Giovanni per Opera di St Louis, di Houston, di
Graz (Austria), del Connecticut, di Hamilton e di Indianapolis; ha
debuttato in Europa (a Basel, in Svizzera) nel ruolo del protagonista
nell’Eugene Onegin, cantando poi in Francia, Germania, Inghilterra.
Particolarmente prestigiose le sue esibizioni come Figaro e Danilo ne
La Vedova allegra con la New York City Opera, come Marcello nella
Bohème ed ancora come Danilo con la Dallas Opera, come Scarpia in
Tosca a Forth Worth; come Einstein, infine, nel Die Fledermaus con la
Lyric Opera of Chicago, l’Opera de Montreal, il Teatro Comunale di
Firenze, la Royal Opera House e il Covent Garden.
opera. Dal 1987 alterna all’attività professionale quella di insegnante di
canto nei conservatori di Lecce e Salerno.
Valeriano Gamghebeli, tenore spinto georgiano, ha studiato piano, dizione corale e canto nel
Conservatorio Superiore di
Tibilisi. Ha vinto significativi premi internazionali
come il premio internazionale di canto Francesco
Viñas e il premio José
Carreras di Pamplona. Ha
perfezionando la tecnica
vocale con A. Krauss, R.
Scotto e A. Stella. Dopo l’eccellente debutto nel 1997
con il ruolo di Don José in
Carmen
all’Opera
di
Sabadelle e l’interpretazione del Duca in Rigoletto alla
Deutsche Oper di Berlino,
ha ottenuto grandi successi
in Spagna, Portogallo, Claudio Di Segni
Germania, Francia e Italia. Il
repertorio di Gamghebeli, che canta in sette lingue, è centrato sulle opere
di Doninzetti, Verdi, Mascagni, Leoncavallo, Puccini, Albeniz, e sulle
musiche di compositori russi e tedeschi (in particolare Wagner, Mahler e
Beethoven). A Roma ha cantato nel Trittico di Puccini per l’apertura della
stagione 2002.
Pagina a cura di Diana Sirianni – Foto Corrado M. Falsini
Thaïs
6
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Storia dell’opera
Massenet affascinato dal contrasto
tra amore terreno ed amore spirituale
I
l lavoro di Jules Massenet (1842-1912) per la
composizione della Thaïs cominciò nel 1892,
quando, già da tempo Louis Gallet si stava
dedicando alla trasformazione in libretto d’opera
dell’omonimo romanzo di Anatole France (18441924). Il soggetto era piaciuto molto a Massenet, il
quale in solo un anno completò la partitura. I due
avevano già collaborato in più di un’occasione. La
prima risaliva al 1873, quando Gallet aveva scritto
per Massenet il dramma sacro per soli, coro e
orchestra, Marie Magdeleine, cui era seguita, due
anni dopo, l’ Eve.
Di Gallet è anche il libretto della prima opera,
propriamente lirica, di successo, di Massenet: Le
Roi de Lahore, il cui debutto avvenne a Parigi nel
1877. Nelle memorie del pianista compositore
Saint Saens, Gallet è descritto come un infaticabile artista, sempre seduto alla scrivania del proprio ufficio Amministrazione per i Poveri, penna
alla mano, intento alla stesura di articoli, novelle,
libretti e, per distrazione e divertissement, sonetti
in versi!
Thaïs, Taide in italiano, è uno di quei personaggi
inossidabili che in epoche diverse è tornato ad
imporsi nei modi e nei contesti più vari.
Nata come cortigiana di buon cuore, con il nome
di Criside, nella “commedia dei tipi” del greco
Menandro, passò poi nell’Eunuco di Terenzio
(185?-159 a.C.) e, solo in forma di citazione, nel
Lelio o De Amicitia di Cicerone. In epoca cristiana la
sua storia cambiò di segno e Taide divenne una
seduttrice redenta dall’incontro con un santo anacoreta e da lui, a sua volta, fatta santa.
Tal’è almeno la storia del IV secolo tramandataci
nelle Vite dei Santi. Diversa quella di Dante, che
doveva averne letto in Cicerone, e che nell’Inferno
(XVIII-133) costrinse Taide fra gli adulatori, nella
seconda bolgia dell’ottavo cerchio.
Dopo un passaggio in uno dei Drammi della monaca medioevale Rosvita, il personaggio divenne
protagonista del romanzo di France, che sembra
riunire insieme le sue due nature: quella pagana di
raffinata cortigiana e quella cristiana di santa che
rinuncia ai piaceri sensuali per trovare l’estasi
mistica. La musica di Massenet tenterà, invece, di
conciliare le sue due vite, lasciando però che il prodigio della conversione si svolga in segreto, durante un intermezzo sinfonico.
Il romanzo di Anatole France apparve inizialmente a puntate nel 1889 sulla Revue des Deux Mondes
con il titolo del protagonista maschile, Paphnuce e,
successivamente, in volume, nel 1890 con il nome
Taide in Dante
(43°-44°-45° terzina del XVIII Canto dell’Inferno)
(127)
(130)
(133)
(136)
Appresso ciò lo duca: «Fa che pinghe»,
mi disse, «il viso un poco più avante,
sì che la faccia ben con l’occhio attinge
di quella sozza e scapigliata fante
che là si graffia con l’unghie merdose,
e or s’accoscia e ora è in piedi stante.
Taide è, la puttana che rispose
al drudo suo, quando disse: ‘Ho io grazie
grandi appo te?’ – ‘Anzi maravigliose!’ E quinci sian le nostre viste sazie ».
Taide in una incisione di Gustave Dorè
D
ante pone Taide tra i lusingatori, che per la legge del contrappasso sono immersi nello sterco. Siamo nell’VIII cerchio dell’Inferno, in un luogo di pietra livida detto Malebolge, con il
fondo diviso in dieci valli concentriche (bolge). I lusingatori si trovano nel fondo oscuro
della seconda bolgia. Dopo aver riconosciuto ed interpellato Alessio Interminei, cavaliere di antica
famiglia lucchese (nominata anche Interminelli o Antelminelli) della fazione dei Bianchi, Dante è
richiamato da Virgilio che lo induce a guardare un poco più avanti, così da poter scorgere con l’occhio la «sozza e scapigliata fante», ossia la meretrice con i capelli lunghi ed imbrattati di sterco, la quale
si graffia con le unghie sporche, infliggendo a se stessa le sofferenze che Cerbero imponeva ai golosi.
E’ Taide, celebre etèra di Atene. Per questo esempio di lusinga Dante si rifà al De Amicitia di
Cicerone, che a propria volta si era ispirato all’Eunuco di Terenzio, nel quale il mezzano Gnatone,
interrogato da Trasone suo signore, sul fatto che Taide avesse gradito o meno il suo regalo di una
giovane schiava sonatrice, rispose che n’era rimasta contentissima (Magnas vero agere gratias Thais
mihi? – Ingentes!). Molti sostennero che Dante avesse scambiato il mezzano con la prostituta,
attribuendo alla donna le parole dell’uomo. Ma il Poeta, in realtà, non cadde in errore, ma ripresa
la materia dai testi antichi la riplasmò alle sue necessità letterarie.
Il XVIII Canto si conclude con un ultimo verso nel quale Virgilio afferma che dopo aver visto tanto sporco
in questo luogo «le nostre viste sono sazie» e così dicendo prosegue con Dante verso la bolgia dei simoniaci.
Mic. Ma
attuale. Il testo riprende il dialogo filosofico e
ripercorre la dialettica peccato-redenzione, carnespirito, materialismo-misticismo, propria della
cultura francese all’epoca di Verlaine e Flaubert,
nonché di Massenet.
Nel libretto, prevedibilmente, l’ironia e il filosofeggiare del testo originale vanno un po’ perdute ma,
esotismo raffinato, eleganza Parnasse, psicologismo e sensualità rimangono inalterate.
Massenet riservò il ruolo della protagonista alla
bellissima soprano americana ventottenne Sybil
Sanderson, che dal 1891 aveva un contratto con
l’Opéra-Comique. Quando il contratto giunse alla
scadenza, all’inizio del 1893, la Sanderson ne firmò
un’altro con Gailhord, direttore dell’Opéra, il che
costrinse la Thaïs a seguire la cantante nel nuovo
teatro e a subire delle prime variazioni per adattarsi agli usi e ai costumi della nuova sede.
La prova generale pubblica dell’opera non riscosse il favore della stampa e l’autore fu costretto ad
apportare alcune altre modifiche alla partitura.
La prima versione dell’opera andò in scena il 16
marzo 1894 all’Opéra di Parigi, protagonista femminile appunto Sybil Sanderson, diretta da Paul
Vidal con la coreografia di Joseph Hansen. Il successo fu discreto e persino Anatole France si congratulò con l’autore: «Caro Maestro, Lei ha innalzato
al più alto livello consentito a un’eroina del melodramma la mia povera Thais. E’ la mia gloria più dolce. Sono
in una vera estasi… l’aria a Eros, il duetto finale, tutto
è di una bellezza grande e incantevole. Sono felice e fiero
di averle fornito il soggetto su cui lei ha sviluppato le
frasi più ispirate. Le stringo le mani con gioia…».
Nonostante l’entusiasmo dello scrittore, la stampa
non riservò a questa prima rappresentazione un
egual calore. Gran parte delle critiche riguardavano le ascendenze wagneriane dell’opera (specialmente in riferimento al Parsifal, dramma di redenzione di Wagner).Vi fu però anche chi pensò la
Thais come «l’opposto del Parsifal, una satira del
wagnerismo», è questo il caso di Réné de Récy,
giornalista della Revue Bleue. Le critiche spinsero
comunque il musicista a correggere alcune parti o
a sostituirle con balletti di repertorio. La nuova
versione modificata andò in scena al Palais Garnier,
il 13 aprile 1898. Questa volta il successo coinvolse
oltre al pubblico anche la critica, soddisfatta dalle
nuove pagine. La seconda versione si presenta in
effetti meno trasgressiva dal punto di vista formale, più equilibrata e convenzionale.
La prima italiana, avvenuta al Teatro Lirico di
Milano nel 1903, con l’eccellente interpretazione di
Lina Cavalieri, è tra le rappresentazioni memorabili di quest’opera, insieme con quella del 1908 al
Manhattan Opera House di New York, con Mary
Garden nel ruolo della protagonista. A Roma Thaïs
fu rappresentata per la prima volta al Teatro
Costanzi il 26 gennaio 1907 con interpreti Carmen
Melis (sostituita poi in alcune repliche da gemma
Bellincioni) e Mattia Battistini, guidati dalla bacchetta del direttore d’orchestra Rodolfo Ferrari.
Maria Elena Latini
Il
Thaïs
Giornale dei Grandi Eventi
7
Nel filone dell’orientalismo francese
Thaïs, il raffinato esotismo di Jules Massenet
«L
a sua voce
risuonò in modo
magico, stupefacente, nell’aria della
Regina della Notte dal
Flauto magico... insieme
alla rarità di questo strumento naturale, avevo
subito riconosciuto nella
futura artista un’intelligenza, una fiamma, una
personalità che si riflettevano luminosamente nel
suo sguardo mirabile...».
Scriveva così Massenet
ricordando l’incontro
avvenuto nel 1887 in un
salotto di Parigi con la
cantante americana Sybil
Sanderson.
L’artista
aveva solo 21 anni, da
due studiava nella capitale francese. Aveva una
voce splendida, limpida
negli acuti. Ed era bellissima, tanto che il quarantacinquenne musicista
ne rimase immediatamente conquistato.
Capita spesso che il fascino di un’artista condizioni l’estro di un compositore. In questo caso,
Massenet scrisse per la
giovanissima americana
ben due opere, Esclarmonde e Thaïs.
Esclarmonde seguì di cinque anni il trionfo di
Manon (1889).
L’ambientazione a
Bisanzio
portò
Massenet a puntare
sulla sensualità e la trasgressione, approntando una partitura
dalla tavolozza di
colori straordinariamente
variegata,
con un’orchestrazione che sfrutta ogni
modulo espressivo,
sostegno per una
vocalità esplorata in
tutte le sue possibilità, dal canto poeticamente lirico, agli
sconfinamenti negli
estremi limiti delle
tessiture.
Nel 1894 (due anni
dopo Werther) Massenet varò Thaïs nel
quale confluirono
atmosfere di Esclarmonde
ma anche di Le roi de
Lahore. L’opera rientrava
infatti in quel filone dell’orientalismo raffinato,
un po’ fiabesco che in
Francia aveva un certo
seguito (si pensi anche
alla Lakmè di Delibes del
1883).
Il soggetto era tratto dal
romanzo omonimo che
Anatole France aveva
pubblicato dapprima a
puntate nel 1867 come
poema sulla Revue des
deux mondes con il titolo di
Paphnuce dal nome del
protagonista, e quindi nel
1889 come romanzo con il
titolo definitivo. Al centro
della storia una bellissima
fanciulla, sensuale e amorale, ricondotta sulla retta
via da un monaco che
rimane però turbato dalla
sua straordinaria personalità. Un ruolo costruito
su misura per la Sybil
Sanderson.
Un libretto in prosa
poetica
Opera d’estrema raffinatezza, Thaïs si basa su
un libretto di Louis
Gallet costruito non in
versi, ma in una sorta di
prosa poetica dai tratti
Sybil Sanderson, prima interprete di Thais
scritto Maurizio Modugno nel suo libro
“Guida
all’ascolto
di
Massenet” (Mursia, 1994),
non a caso, «Thaïs è l’opera
in cui vanno in quiescenza i
fuochi dell’attenzione di
Massenet per il mondo musicale tedesco. E’ un addio,
ideale ma importante per
comprendere – ad un punto
di svolta qual è Thaïs – i modi
e le cause del proseguimento
del cammino creativo massenetiano su percorsi che saranno per lungo tempo diversi e
segnati da altre affinità elettive». Massenet, insomma, si
staccava dal romanticismo
esplorato sul doppio versante franco-tedesco (wagneriano) per sperimentare le
atmosfere
simbolicoimpressioniste, dominanti
nella Parigi fra fine
Ottocento
e
primo
Novecento.
Le due versioni
Jules Massenet in una caricatura
estremamente originali
che consentì una particolare libertà nel periodare
musicale. Massenet visitò,
dunque, ancora una volta
l’Oriente, ma gli esiti qui
furono diversi rispetto
alle precedenti esperienze: si avverte
una maggiore
levigatezza,
meno esuberanza melodica, un
alleggerimento
della scrittura,
una più ricca
tavolozza armonica.
Un’orchestra di
rara leggerezza
e varietà coloristica a conferma
della
grande
perizia
di
Massenet orchestratore. E poi il
canto, elegante,
fine, prezioso
di Thaïs. Si
pensi alla pagina in cui Thaïs
si spoglia dei
suoi beni ter-
reni, o ancora alla straordinaria conclusione dell’opera con la ragazza
ormai morente e in estasi che parla già il linguaggio degli angeli. Per
contro, qua e là, il senso
di religiosità si scontra
con l’erotismo: così è
nella “Visione” del primo
atto, solo strumentale, o
nel canto di Crobyle e
Myrtale o di Nicias.
Celebre la “Meditation”
affidata al violino: è
puro lirismo, teso e coinvolgente, riflessione sul
passato,
autocritica
silenziosa di Thaïs, non a
caso tema conduttore del
dolcissimo epilogo.
Infine, la rarefazione
sonora, l’indugio sui
silenzi, quasi una dilatazione dei tempi musicali, un presentimento di
Debussy. Non va dimenticato che proprio il 1894
fu l’anno del debussyano Prelude a l’apres midi
d’un faune, punto d’avvio dell’impressionismo
in musica. Come ha
Va ricordato che di Thaïs
esistono in realtà due versioni, quella del 1894 e
quella della ripresa quattro anni dopo. Forse più
agile e fantasiosa la prima
edizione, più strutturata
ed equilibrata la seconda.
Dopo il debutto del ‘94
Anatole France scrisse a
Massenet: «Caro Maestro,
Lei ha innalzato al più alto
livello consentito ad un’eroina
del melodramma la mia povera
Thaïs. E’ la mia gloria più
dolce. Sono in una vera estasi.
“Assieds-toi pres de nous”,
l’aria ad Eros, il duetto finale,
tutto è di una bellezza grande
e incantevole. Sono felice e
fiero d’averle fornito il soggetto su cui lei ha sviluppato le
frasi più ispirate...».
Per quanto riguarda la
Sanderson, poco tempo dopo
sposò un ricco cubano e si
ritirò dalle scene. Alla morte
del marito, azzardò senza
fortuna un ritorno al teatro.
L’artista che aveva fatto
sognare tanti spettatori con
la sua voce e il suo charme
morì appena trentottenne nel
1903.
Roberto Iovino
Thaïs
8
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Il Prix de Rome, vinto da Massenet nel 1863
Un concorso francese
per conoscere l’Italia
A
rroccata e svettante con due
bianche
torri
dalla collina del Pincio,
Villa
Medici
ospita
l’Accademia di Francia a
Roma,
fondata
da
Colbert e Le Brun nel
1666, al tempo di Luigi
XIV. Scopo dell’Accademia è di favorire la
comprensione vera e profonda delle opere d’arte
presenti in Italia e, per
questo, è stata fin dall’inizio destinata ad ospitare
il “Prix de Rome”, un
ambito premio che forniva ai giovani talenti il privilegio di perfezionarsi
con un soggiorno di vari
anni nella Città eterna.
L’Accademia sul Pincio
Simbolo della Francia a
Roma, l’Accademia fu
chiusa negli anni della
Rivoluzione francese e
quindi trasferita dal
Palazzo Mancini di Via
del Corso (dove si trovava dal 1725) a Villa
Medici. Nello stesso
anno, Bonaparte aggiunse ai premi di pittura,
scultura ed architettura,
anche un prix de musique
per i compositori, seguito
poco dopo dai premi per
gli incisori. Oggi, oltre
alle discipline tradizionali, sono previste la storia
dell’arte, la letteratura, il
restauro, la fotografia, il
design, la sceneggiatura e
perfino le arti culinarie.
Con la riforma napoleonica, il concorso fu affidato all’Académie des
Beaux-Arts del prestigioso Institut de France, a
cui rimase fino al 1968,
quando – già molte volte
accusato di esagerato
conformismo – fu soppresso. Il premio, però,
continua ancor’oggi a
vivere sotto altri nomi,
poiché dal 1971 l’Académie de France à Rome
gode di una giurisdizio-
ne ed un’amministrazione indipendenti, è posta
sotto la tutela del
Ministère des Affaires
Culturelles ed ha un
nuovo statuto, promosso
dall’allora
ministro
Malreaux e dal direttore
Balthus, che regola la vita
dei pensionnaires, quest’anno quattordici.
Attualmente, i candidati
al soggiorno presso
l’Accademia di Francia a
Roma, tutti francesi o
francofoni, devono essere
già impegnati nella vita
professionale ed avere
un’età compresa fra i 20 e
i 35 anni. L’ammissione
avviene sulla base di un
concorso
per
titoli,
accompagnato dalla presentazione di un progetto
di studio che viene valutato da un’apposita
Commissione, mentre nei
secoli passati bisognava
superare un esame lungo
e durissimo.
retta, aveva una sua loge,
con un letto, una sedia ed
un pianoforte. Nella loge
l’esaminando
restava
tutto il giorno finché il
custode non lo liberava
per il pasto serale, che si
consumava in comune,
talvolta con amici e spesso con tanto vino e champagne. Una vera e propria reclusione nel caldo
dell’estate, che in alcuni
periodi arrivò a durare
anche un mese, o più,
come nel caso dei pittori
che avevano fino a 72
giorni di tempo per realizzare la tela di cui avevano presentato lo schizzo nella prova preliminare.
Dopo tanta fatica, il vincitore era però ben pre-
François Nicolas Chifflart - Villa Medici, dal lato del giardino
loro e riceveva una
medaglia d’oro. Sempre
in autunno, i compositori
presentavano l’opera del
concorso anche alla seduta pubblica annuale del
Conservatoire Royale.
Tuttavia, il premio più
ambito era la possibilità
vano aggiungersi un
secondo Premier Grand
Prix, due Seconds Grand
Prix e la Mention.
Inizialmente, il primo
Grand Prix era invitato a
soggiornare in Italia per
cinque anni; in seguito il
periodo si è accorciato o è
Una mise en loge
per conquistare Roma
I candidati erano chiamati a compiere la prova
preliminare o concours
d’essai, che per i compositori consisteva nel produrre in un solo giorno
una partitura per coro o
una fuga, il cui soggetto
era tratto a sorte fra quelli proposti dai membri
della giuria. Una volta
dimostrata la sensibilità
melodica, la conoscenza
della strumentazione e
degli elementi indispensabili alla composizione,
si passava alla prova
principale: la rinomata
cantata su soggetto imposto. Quest’ultima prova
era organizzata con una
mise en loge: i candidati
venivano segregati in un
luogo chiuso, spesso un
castello sulla Senna,
come
Compiègne
o
Fontainebleu. Ciascuno,
dietro pagamento di una
J.B.C. Corot - La vasca di Villa Medici
miato. Innanzi tutto era
esonerato dal servizio
militare e poi otteneva il
diritto di presentare la
sua scena lirica – o nel
caso di altri artisti il frutto dell’esame – al pubblico dell’Académie des
Beaux-Arts, nel corso di
una cerimonia solenne,
durante la quale veniva
cinto di una corona d’al-
di diventare pensionnaire
dell’Accademia
di
Francia a Roma, dove il
vincitore giungeva – e
giunge tutt’oggi – coperto da un rimborso spese e
dotato di una cospicua
cifra di denaro.
Il vincitore assoluto si
fregiava del titolo di
primo Premier Grand
Prix de Rome, a cui pote-
stato abbinato a soggiorni in altri paesi europei.
Oggi va dai sei mesi ai
due anni.
Una città tutta da copiare
Nell’Ottocento, oltre a
direttori celebri, come
Ingres e David d’Angers,
fra i nomi dei compositori ospitati a Villa Medici
troviamo Halévy (1813),
Il
Thaïs
Giornale dei Grandi Eventi
Berlioz (1830), Thomas
(1832), Gounod (1839),
Bizet (1857), Massenet
(1863), Debussy (1884),
Charpentier (1887).
Il clima che regnava a
Villa Medici era determinato dalla personalità
del direttore in carica e
celebri rimasero le serate
particolarmente
gaie
organizzate al tempo di
Vernet.
Ogni anno i pensionnaires
dovevano mandare a
Parigi un envoi, un saggio del loro progresso
negli studi. L’envoi era
diverso per ogni anno di
studio: ai compositori
potevano essere richiesti
brani di musica da camera o per coro ed orchestra, una sinfonia o un
poema sinfonico, un
mottetto per gli anni iniziali; due atti di un’opera, un’ouverture sinfonica
negli anni successivi; e,
infine, una composizione religiosa.
Sempre, però, era necessario ispirarsi alla musica italiana, possibilmente rispettando i toni
classico-mitologici
o
ispirati alle sacre scritture che tanto piacevano
alle giurie francesi. Ma,
soprattutto, era obbligatorio raccogliere arie
popolari e cantiche,
nonché
trascrivere
manoscritti
musicali
inediti o sconosciuti in
Francia. Tutto questo
materiale, insieme alle
copie delle opere d’arte
richieste ai pittori e agli
scultori, andava ad
arricchire il patrimonio
artistico d’oltralpe.
Tuttavia, nonostante le
rigide regole ed il programma di lavoro imposto ai pensionnaires, i
giorni e, spesso, le notti
trascorsi in giro per
Roma producevano un
senso di abbandono e di
affrancamento dalle teorie e dalle costrizioni
accademiche, che talvolta arrivarono a sconvolgere gli artisti, trasformando radicalmente il
corso della loro opera.
Elena Cagiano
9
Jules Massenet a Roma
Il soggiorno che influenzò una vita
Q
uando vinse il Prix
de Rome, Jules
Emile
Fréderic
Massenet aveva 21 anni ed
era in cerca di fortuna,
soprattutto finanziaria.
Era l’autunno del 1863 e,
insieme a lui, furono premiati per la musica Titus
Constantin con il “Second
Grand Prix” e Gustave
Ruiz con la menzione d’onore.
Massenet aveva già tentato il prestigioso concorso
bandito dall’Académie
des Beaux-Arts l’anno precedente, con la cantata
Louise de Mézières, che gli
aveva fruttato la menzione
d’onore, ed il “Second
Grand Prix” per il contrappunto e la fuga.
Allievo del Conservatorio
di Parigi, nella romanzata
autobiografia Mes souvenirs, Massenet raccontò di
aver sostenuto le spese per
il concorso impegnando il
suo orologio d’oro per
sedici franchi. Per la prova
principale aveva prodotto
la cantata David Rizzio,
ispirata al segretario italiano di Maria Stuarda, fatto
uccidere dal secondo
marito della Regina. La
composizione era stata
interpretata da tre artisti
dell’Opéra ed ebbe un
buon riscontro da parte
del pubblico e della giuria,
composta dal maestro di
Massenet
Ambroise
Thomas, da Auber e da
Berlioz, che sostenne la
validità dell’assegnazione
del primo premio, con
l’ambito soggiorno a
Roma ed i 3000 franchi di
rendita annuale che lo
accompagnavano.
Massenet partì per l’Italia
nel dicembre dello stesso
1863, in treno e poi in battello per il tratto da
Livorno a Civitavecchia.
La tradizione di Villa
Medici prevedeva che i
primi mesi di vita romana
fossero dedicati alla scoperta della Città e all’inserimento nell’Accademia,
allora diretta da Victor
Massenet al tempo del soggiorno a Roma
Schnetz. Come da copione, Massenet dovette
affrontare gli scherzi
goliardici degli anziani,
che una notte lo “seminarono” nei pressi del
Colosseo, in una zona allora tutta dedali e viuzze,
dove fu costretto a dormire in attesa della luce del
giorno che gli chiarisse il
cammino per tornare alla
Villa. Un topos, quello di
dormire all’aperto, che
ricorre spesso nell’aneddotica dei giovani “esploratori” della Città Eterna.
Nel secondo anno
seguente intervento del
console francese.
In
questa
atmosfera
goliardica,
Massenet
riuscì a compiere anche i
suoi
doveri
verso
l’Accademia, componendo musica da camera, una
Messa, un Requiem e la
suite sinfonica Pompeia,
che fu presentata a Parigi
il 24 febbraio 1866.
Ma oltre agli envois, i due
anni trascorsi nel Bel
Paese dovevano lasciare
un segno ben più duraturo nella vita del compositore. La sera di Natale del
1864 egli si recò alla Messa
Come previsto
dal programma
accademico, il
secondo anno
Massenet
compì lunghi
viaggi di studio. Si recò a
Firenze, Siena,
Assisi, Venezia,
Capri, Pompei
e a Napoli
dove, con due
compagni, scese dal treno
vestito da galeotto, provocando i sospetti della polizia partenopea ed il con- Manifesto opera “Roma” di Jules Massenet
di Mezzanotte nella chiesa
dell’Aracoeli che, a sentire
i colleghi, doveva fargli
meglio assaporare il palpito ed il colore di Roma.
Secondo il racconto che sa
di fiabesco dello stesso
musicista, tutto quella
notte sembrava predisposto per un evento suggestivo: aria tersa, plenilunio e una giovane donna
bellissima che, accompagnata da una più anziana,
saliva la ripida scala che
conduce alla chiesa. La silhouette della damigella
restò impressa nell’animo
del pensionnaire e tanta fu
la sua sorpresa nell’incontrarla due giorni dopo ad
un ricevimento, al quale
era presente anche Liszt,
che in quell’epoca soggiornava presso il cardinale Hohenlohe. Il maestro ungherese, venuto a
conoscenza del colpo di
fulmine di Massenet, si
prodigò affinché la fanciulla prendesse lezioni di
pianoforte dal giovane
francese. Le lezioni durarono poco, ma l’amore fu
grande, tanto che, tornati
in Francia, Massenet e
Louise-Constance
de
Gressy, detta Ninon (18411938), si sposarono nella
piccola chiesa di Avon,
vicino a Fontainebleau, l’8
ottobre del 1866 e due
anni dopo ebbero una
figlia, Juliette.
Comunque, il soggiorno
romano lasciò in Massenet
un ricordo indelebile della
Città Eterna, spesso idealizzata nei Souvenirs, ed
ebbe la sua conclusione
spirituale nella partitura
di Roma, un’opera tragica
in cinque atti su libretto di
Henri Cain, tratta da Rome
vaincue di Alessandro
Parodi e rappresentata la
prima volta al Teatro Reale
dell’Opera di Monte Carlo
il 17 febbraio 1912, sei
mesi prima della morte di
Massenet e quasi cinquant’anni dopo il suo meraviglioso viaggio in Italia.
E. Ca.
Thaïs
10
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La vita quotidiana dei vincitori del “Prix de Rome” a Villa Medici
Tra entusiasmo e nostalgia, il soggiorno
romano degli artisti francesi
«L
a festa si è conclusa nell’atelier
di
Falguière,
illuminato a giorno a nostre
spese. Le danze a questo
punto ci hanno trascinato
in modo così inebriante che
tutti abbiamo finito per danzare in coppia con i trasteverini il saltarello conclusivo...Abbiamo
mangiato,
bevuto: le donne soprattutto
hanno molto apprezzato il
nostro punch!” »
Questa è la descrizione di
una festicciola informale
a Villa Medici, tra i pensionnaires francesi e i
popolani di Trastevere,
con musicanti in costume
tradizionale, contenuta in
una lettera di Jules
Massenet al suo maestro
Ambroise Thomas.
Entrambi i compositori
erano stati vincitori del
celebre Prix de Rome,
(Thomas nel 1832 e
Massenet nel 1863).
Dal vivace racconto dell’autore di Thaïs, saremmo portati a immaginare
il soggiorno romano dei
giovani artisti francesi
come ricco di esuberanti
distrazioni... .
Tuttavia la vita mondana
di Roma e le condizioni
materiali del soggiorno
all’Accademia delusero
più di un pensionnaire,
come risulta dalle lettere
inviate da costoro a familiari ed amici.
Il direttore Guérin, scrivendo alla moglie del suo
successore nel 1828 così si
esprimeva: «Vi è una cosa
molto gradevole che qui è
totalmente
sconosciuta,
Signora, alla mancanza della
quale dovrete fin d’ora rassegnarvi: è il”comfort”».
Ancora
più
ironico
Chapu, che scriveva: «I
mobili non sono certo lussuosi e sono pochi, è probabilmente notorio che abbiamo la mania di collezionare
ogni tipo di cose. Ci lasciano
così lo spazio per metter-
Leon Cogniet: artista nella sua stanza a Villa Medici (1818)
le.[...] Si teme che la civetteria ci dia alla testa e non
abbiamo uno specchio».
Sarcastico, ancora, Léon
Cogniet, nella sua prima
lettera alla famiglia:
«Felice colui che ottiene il
premio, felice colui che arriva a Roma, ancor più felice
colui che rivede Parigi».
In parte responsabile
della disagevole vita
degli artisti era la pesante
situazione deficitaria che
affliggeva l’istituzione
francese fin dagli inizi e
che nel 1810 raggiunse
l’apice: mancavano i
fondi per la biancheria,
per gli alloggi e per i
viaggi.
Vi erano poi le condizioni
di povertà e di arretratezza generale in cui versava
Roma: una città schiacciata dal ricordo delle
passate grandezze, infestata da febbri durante i
mesi estivi, caratterizzata
da un’alta società chiusa
e retrograda e da una
popolazione diffidente.
Ancora, vi erano le difficoltà di comunicazione
pagne, le rovine
dell’antichità ed il
popolino pittoresco offrivano un
repertorio vastissimo e suggestivo
per ispirare i giovani pittori, scultori, architetti e
incisori d’Oltralpe.
I
pensionnaires
vivevano
in
comune, pranzavano tutti insieme
in un grande
refettorio adorno
dei ritratti dei
predecessori, e
questo
forniva
loro l’occasione
per stringere amicizie e fondare
cenacoli goliardico-intellettuali
come quello dei
Cipollésiens, che
aveva come tradizione una zuppa di
cipolle ogni sera, o quello
dei Cald’arrosti, formatasi
attorno a Jean Jacques
Henner, (tra l’altro autore
del quadro riprodotto
nella copertina). La vita in
comune provocava non
pochi disagi agli ammogliati, che erano costretti a
lasciare le consorti in città
o addirittura in patria.
La lontananza da Parigi
aveva anche l’inconveniente di estraniare i gio-
con la madrepatria (una
lettera impiegava un
mese per il tragitto
Roma-Parigi).
La vita mondana era ravvivata dalle grandi feste
religiose, durante le quali
l’Accademia si illuminava a giorno, e soprattutto
dallo spirito d’iniziativa
dei pensionnaires, che a
volte ottenevano il permesso di organizzare piccole riunioni mondane
cui partecipavano sovente popolani in
costume tradizionale, come
ricorda
Massenet.
Questa tendenza si era
acuita
nel
corso dell’800,
grazie al crescente interesse per il «pittoresco» e per
gli usi e i costumi caratteristici dei popolani.
Certamente il
sole, le cam- F. J. Navez: Musicisti trasteverini
vani talenti dal mercato
dell’arte francese, di escluderli dal «giro» artistico.
Per contro, c’era la possibilità di vivere per cinque
anni senza grandi preoccupazioni economiche e
liberi da ogni obbligo, a
parte quello di inviare
uno studio a Parigi ogni
anno, il cosiddetto: envoi
de Rome.
Benché il Prix de Rome
avesse visto progressivamente scemare il proprio
grande prestigio durante
il corso del Secolo e nonostante tutti i disagi
materiali che il soggiorno romano comportava,
ciò che esercitava un’irresistibile
attrazione
erano indiscutibilmente
la mi-tezza del clima, il
profumo degli aranceti
della Villa, la vista panoramica dalle camere, il
contatto diretto con la
terra classica delle belle
arti, le escursioni ai
Castelli e nelle città vicine, la cameratesca amicizia dei compagni. Tutti
aspetti che riempivano
l’animo dei nuovi arrivati e che poi continuavano, anche a distanza di
anni ad affollare la
memoria degli «exromani» di brillanti e
toccanti ricordi.
Andrea Cionci
Il
Thaïs
Giornale dei Grandi Eventi
11
Integrate nel contesto storico-culturale dell’800 francese
Le due Thaïs, spirito di un’epoca
N
ata come racconto
nel 1889 dalla
mano dello scrittore Anatole France, e ripresa
dopo appena cinque anni da
Jules Massenet per essere
rielaborata in forma di opera
lirica, La Thäis si presenta
come un esemplare prodotto
dell’atmosfera culturale francese di fine Ottocento.
La trama, ambientata in un
misterioso Egitto alessandrino, è piuttosto semplice.
Tutta l’opera è giocata sull’articolazione della dialettica
che scaturisce dal binomio
carne/spirito,
peccato/redenzione, materialismo/misticismo. E l’elemento conclusivo di questa
dialettica è, a prima vista,
scandaloso, dato il trionfo
finale dell’amor profano su
quello sacro. Ma è davvero
così? E’ davvero un finale
“immorale”? O forse le due
polarità, le due alternative
che vengono proposte – l’ascetismo da un lato, il trionfo
della carnalità dall’altro - non
possiedono un peso e un
significato davvero pieno?
Non risente questa polarità,
considerata nella modalità in
cui è offerta nella Thäis, di un
processo culturale che le ha
fatto perdere il suo valore originario?
Sembra, in effetti, che i pro-
cessi siano due: difatti da un
lato c’è un processo di esasperazione dei due estremi –
l’attaccamento alla materia
diventa una consacrazione
alla dissolutezza e all’immoralità, la “spiritualità” diviene ascetismo e ripudio di
ogni aspetto sensibile della
realtà -, mentre dall’altro c’è,
parallelamente a questa
estremizzazione, uno svuotamento del significato delle
due possibilità, che fa sì che
entrambi i poli concettuali
risultino in definitiva equivalenti. Da questo processo
complessivo, da questa generale perdita di significato,
derivano atmosfere culturali
come quella decadentista. E
in tale quadro è fondamentale considerare il ruolo giocato
dalla sfera etico-politica, nel
senso che generalmente questi svuotamenti hanno come
causa e come effetto un ristagno dell’attività politica.
Thäis può essere, dunque,
considerata a pieno titolo
portavoce dello spirito della
sua epoca. In entrambe le
sue forme – quella letteraria e
quella musicale - non è stata
interpretata da personaggi
sconosciuti al loro tempo,
bensì da celebri e riconosciuti rappresentanti della cultura dell’epoca.
Esistono opere che, essendo
in qualche misura anticipatrici di un tempo a venire, spesso, proprio a causa della loro
preveggenza, sono incomprese dai loro contemporanei
e prive di fortuna. Altre
opere invece sono perfettamente integrate e interne al
loro contesto storico e culturale, e per questo vengono
apprezzate e approvate. Le
due Thäis appartengono a
questa seconda tipologia:
sono opere che descrivono con grande eleganza, raffinatezza e maturità tecnica - la
sensibilità del mondo a cui
appartengono, opere che si
muovono del tutto “all’interno” del loro contesto.
Probabilmente, più che nel
loro valore intrinseco (pur
essendo entrambe opere
estremamente valide e godibili), l’interesse delle due
Thäis risiede proprio in questo valore di testimonianza
culturale, o, più precisamente, nella loro capacità di esibire quella sensibilità estetica decadente e raffinata - che si
era diffusa a fine secolo in
Europa e in particolare in
ambito francese (la Thäis di
Massenet più della Thäis di
France, dato che è giocata
tutta sulle atmosfere di raffinato esotismo, sull’eleganza
“Parnasse”, su psicologismo
e sensualità; invece la secon-
da Thäis è caratterizzata da alcuni aspetti
razionalistici che si
esprimono nel tono
ironico e nel taglio
filosofeggiante del
racconto).
E’ la sensibilità di una
cultura
estenuata,
ripiegata su se stessa,
sensuale, preziosa, il
cui amore per la bellezza formale arriva a
generare
fenomeni
come il movimento
della poesia parnassiana (1861 – 1876); qui, la
preoccupazione per
l’eleganza della forma
sostituisce completamente l’interesse per la
sostanza tematica. Dal
punto di vista politico
gli esiti della cultura
decadente sono tendenzialmente conservatori ed elitari. Tutte
caratteristiche, queste,
che si completano e
nello stesso tempo si
spiegano bene se si
considera come fattore Il manifesto di Orazi per la Thaïs
determinante di quest’atzionali che nel ‘48 avevano
mosfera culturale il disimpescosso l’Europa intera, e la
gno politico diffuso, la forte
definitiva disgregazione nel ’51
estraniazione dell’intellighendi quel loro estremo prolungazia da qualsiasi progetto di
mento che la Comune di Parigi
trasformazione sociale. Così
aveva rappresentato.
si pagava, d’altra parte, il falDiana Sirianni
limento di quei moti insurre-
Non eccessive, ma necessarie
e la costruzione del romanzo,
densa di simboli e risonanze,
semplificata. L’acqua, il sangue o le lacrime nel libretto
scompaiono, così come i piccoli sciacalli che rappresentano le tentazioni del monaco nel suo eremitaggio nel deserto. Episodio, quest’ultimo, che
Gallet omette completamente. Anche il lungo
“banchetto filosofico”, che tanta parte occupa
all’interno del romanzo, non trova spazio nel
libretto se non come contorno dei giochi amorosi
tra Nicias e Thaïs. La discussione, di argomento
filosofico, prevedeva l’intervento di numerosi
personaggi e poco si sarebbe prestata ad una
scena d’opera.
Gli imperativi del libretto costringono Gallet
ad una semplificazione della materia letteraria. Ma ciò che nel libretto si perde, la musica
di Massenet ricrea. Libretto e musica sono la
trama dello stesso tessuto ed il piacere del
romanzo viene restituito sotto un’altra forma.
Mic. Mont.
Le differenze tra romanzo e libretto
L
’entusiasmo di Anatole France per il risultato della trasposizione in libretto d’opera
della sua Thaïs ad opera di Louis Gallet è
risaputo, anche se nei due testi si riscontrano inevitabili differenze dovute all’adattamento di un
romanzo – opera di per se lunga e complessa – ai
ritmi ed ai tempi teatrali, rischiando di impoverire i contenuti più profondi.
Gli aspetti filosofici e simbolici che caratterizzano il romanzo di France non vengono resi nei
versi del librettista e l’evoluzione psicologica dei
personaggi trova poco spazio sulla scena. Come
sempre, quest’ultimo fu proprio il compito più
difficile per Gallet: trasformare in personaggi
teatrali i protagonisti di un romanzo.
Il personaggio che soffre di più dell’adattamento
è quello di Thaïs. Pafnuzio diventerà Athanaël,
ma Gallet, nell’insieme, non modificherà molto
questa figura. France ci presenta Thaïs come una
vittima, figlia di genitori terribili, condannata da
subito alle durezze della vita. Nel romanzo la
seducente Thaïs, conoscitrice dell’amore carnale,
non è priva di valori morali, vive nel dubbio continuo, nella volontà di interrogarsi e di conoscere. Lo spirito di Dio appartiene ad essa ancor
prima dell’incontro con Pafnuzio. E proprio quest’ultimo, il monaco integerrimo e senza peccato,
risulterà il vero peccatore. Per Gallet, Thaïs incarna più semplicemente lo stereotipo della “femme
fatale”, incantatrice e misteriosa, che si converte per
opera di Athanaël. L’infanzia ed il battesimo dell’eroina, che certamente avrebbero contribuito a rendere più completo il personaggio, non vengono
ripresi da Gallet.
L’opera, a differenza del romanzo, è basata su
opposizioni elementari, il sacro ed il profano, il
lusso sofisticato di Alessandria e la nudità del
deserto, il vizio e la virtù. L’erotismo è attenuato
Thaïs
12
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Il compositore
Jules Massenet, musicista
dall’animo nobile
U
ltimo di 21 figli,
Jules Massenet nacque a Montaud,
presso Saint-Etienne, il
12 maggio 1842. Studiò
pianoforte con la madre
e ad undici anni entrò
nel conservatorio di
Parigi, città dove la famiglia si era trasferita nel
1848. Gli anni dell’adolescenza furono tormentati da un’insofferenza alla
disciplina familiare e dai
disagi economici e che
costrinsero il giovane
Jules a sottrarre tempo
agli studi per dedicarsi a
piccoli lavori.
Nonostante questo si
distinse fra i compagni,
fino a vincere nel 1863 il
prestigioso “Prix de
Rome” con la cantata
David Rizzio, che gli
valse un lungo ed
importante soggiorno a
Roma. Tornato a Parigi
si misurò con diversi
generi senza attirare
Una poesia su Massenet
Il Maestro Massenetto
(da “Il Sacripante di Circassia”, giornale satirico
di Genova, 1/2 febbraio 1896)
Eccovi le sembianze inalterate
Del Massenetto, il maestro francese;
Qui corso apposta a gambe assai levate
Per confortar l’italico paese;
Ei ci diè tante e tante violinate
Che vinti dal piacer tutti ci rese,
Mostrandoci con vena italiana
D’aver studiato un po’ la Rusticana.
Il pubblico a plaudir fece ben presto
E sciolse tosto la sgranchita mano.
Perdio, diceva, che maestro è questo?
E’m forse uno straccione d’italiano?
Nemmen per sogno; è autentico foresto
E ci è venuto proprio da lontano;
Santo Entusiasmo deh saltaci addosso
E facci applaudire a più non posso.
troppa attenzione, il
riscatto venne nel 1873
con il dramma sacro
Marie Magdalene a cui
seguirono altri successi
che resero più salda la
sua fama. Nel 1878 fu
chiamato a succedere a
Bazin nella classe di
composizione al Conservatorio e ottenne la
nomina
a
membro
dell’Academie des BeauxArts. Sollevato dal peso
delle
preoccupazioni
economiche che sempre
lo avevano agitato,
Massenet si dedicò completamente all’insegnamento e alla composizione consolidando la sua
fama fino ad ottenere
con Manon il riconoscimento e la piena affermazione. La sua umiltà
lo spinse a non
cimentarsi nel
canto di
a m p i
affreschi
musicali. Ai toni grandiosi preferiva le sfumature, riconobbe i propri
limiti e li rispettò, non
permise mai all’ambizio-
ne di prendere il sopravvento. Timoroso delle
critiche cercò sempre di
accattivarsi le
simpatie e il
c o n senso del pubblico scegliendo toni amabili e misurati e privilegiò una musica piacevole, incline al sentimentalismo e attenta al gusto
dell’epoca senza però
sacrificare la tecnica
O Massenetto del bel numero uno;
Tu che hai s’ tondo il viso e sembri un frate
Corri a Parigi e narra che per niuno
Le cose tanto ben mai sono andate;
E se notizie ti domanda alcuno
Perfin le donne, dì, si son scaldate
Gridando: “Massenetto anch’unna- volta
Un po’ di Werde e un poco di Carlotta”
Va Massenetto e se incontri per caso
O Rocheforte o l’inclito Saint-Cèro
Od altri cui siamo mosca sopra il naso
(Ed è perciò che dicon bianco al nero)
Narra la storia a lor di
Affin che possan giudicare il vero
E dicano: -In Italia son pur buoni:
E sembrano persino…. (1)
(1) Qui c’era una parola che il vento ha portato via.
Chiediamo scusa ai lettori, pregandoli a mettervela
di loro scelta
Massenet in una caricatura riferita alle sue due opere: "Thais" e "Roma"
sempre ricca ed evoluta.
La sua arte è stata definita “femminile” perché
proprio la donna nel suo
teatro trova un’espressione e un carattere di
rilievo. Le donne di
Massenet rappresentano
il dualismo tra la purezza e la carnalità, tra il
misticismo e la corruzione terrena, eroine decadenti di cui esalta con
discrezione la bellezza, la
sensualità, la giovinezza,
Salomè, Maria Maddalena,
Eva, Esclar-monde, Thaïs,
Arianna e persino l’animo
femminile che emerge
dalle spoglie maschili del
Werther. Anatole France
in seguito alla prima rappresentazione della Thaïs
così si congratulò con
l’autore: «Caro Maestro lei
ha innalzato al più alto
livello consentito a un’eroina del melodramma la mia
povera Thais. E’ la mia gloria più dolce. Sono in una
vera estasi». Universi
magici e simbolici, storici
e leggendari, cavallereschi e mistici che nel
gusto sobrio del suo linguaggio e delle sue melodie ripetute gli permisero
di essere amato come
pochi altri artisti. Morì a
Parigi il 13 agosto 1912.
Lun. San.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Thaïs
13
Schiacciato tra i due grandi musicisti europei
Massenet fra Verdi e Wagner
«I
suoi colleghi non
gli perdonarono
quella capacità di
piacere che è propriamente
un dono.... Un tale successo fece sì che per un certo
periodo andasse di moda
copiare le manie melodiche
di Massenet, poi improvvisamente gli stessi che lo
avevano così tranquillamente saccheggiato lo trattarono duramente».
Il passo, tratto dal
“Signor Croche antidilettante” di Debussy, coglie
lucidamente quello che fu
il destino di Jules
Massenet, all’epoca certamente uno dei compositori più amati e nello stesso tempo più discussi del
teatro francese.
Una cinquantina di lavori
teatrali fra opere, operette, oratori e musiche di
scena, un’ampia produzione di musica sinfonica,
cameristica e vocale,
Massenet è stato fra i
grandi protagonisti della
cultura francese del
secondo Ottocento. Ha
contribuito ad “europeizzare” il teatro del suo
Paese che proprio in quegli anni invase i palcoscenici italiani facendo una
concorrenza spietata ai
nostri musicisti.
Ha mosso i primi passi
come
successore
di
Gounod e ha chiuso la
carriera, nei primi anni
del Novecento, nella
Francia di Debussy. Ha
saputo destreggiarsi fra i
due grandi colossi del
teatro europeo dai quali
era pressoché impossibile prescindere, Wagner e
Verdi. Conobbe entrambi
ed entrambi lasciarono
su di lui una forte
impressione.
L’incontro con Wagner
Al 1861 risale l’incontro
fra il giovane musicista
francese
e
Wagner:
«Abitavo in una piccola
camera accanto alla sua nel
castello di Plessis-Trevise
del celebre tenore Gustave
Roger», ha raccontato
nelle sue “Memorie”.
«Roger conosceva il tedesco
e si era candidato a curare la
traduzione francese del
più o meno del tutto bandito le cadenze perfette a partire da “Werther”, preferendo loro il più spesso possibile cadenze interrotte che
si crede che essa stia per
fermarsi».
La sottile invidia di
Verdi
Nel 1879 Le roi de
Lahore raggiunse
la Scala.
Recatosi a Milano, il musicista
francese fu oggetto di calorosi
festeggiamenti
che l’austero Verdi stigmatizzò in
una lettera da
Genova alla Contessa
Maffei:
«...tutto
questo
movimento, questo
fracasso per un’opera, tutte queste
lodi o adulazioni,
mi fanno ripensare
al passato (si sa che
i vecchi lodano
sempre i loro tempi)
quando Noi senza
réclame, senza quasi conoscere persona presentavamo il
nostro muso al pubVerdi, Wagner e Massenet (in alto a destra) in una litografia caricaturale
blico e se ci applaudiva si diceva o non
respingono inopinatamente
“Tannhäuser”.
Richard
si diceva “grazie”. Se ci
la musica in una direzione
Wagner lo aveva raggiunto
fischiava:
“Arrivederci
nuova nel momento in cui
per curare l’accordo fra le
un’altra volta”. Non so se
parole francesi e
la
musica.
Ricordo ancora
la sua possente
interpretazione
quando suonava
al piano i frammenti del suo
capolavoro...».
Massenet fu
conquistato
dalla personalità del tedesco e certamente alcune
soluzioni
armoniche da
lui adottate
derivarono da
Wagner: «Sotto
l’influenza di
Wagner – ha
scritto Gérard
Condé analizzando l’opera
Cleopatra
Massenet aveva Incontro di Massenet con Siegfried Wagner, figlio del compositore Richard
questo era più bello, ma era
certamente più degno...».
Erano, del resto, quegli
anni, contrassegnati da un
particolare interesse da
parte dei nostri teatri e del
nostro pubblico per la
produzione d’oltralpe. A
ciò non erano estranei il
silenzio cui si era condannato proprio Verdi dopo
Aida e il disagio con cui si
muovevano i giovani
autori italiani, schiacciati
dal mito di Wagner,
preoccupati dalla concorrenza francese, culturalmente chiusi fra un
romanticismo al tramonto, una scapigliatura vitale solo nella critica “in
negativo” e un verismo
ancora all’orizzonte.
Massenet e Verdi si
incontrarono qualche
anno dopo, nel novembre 1894, quando l’artista francese, nuovamente in Italia, passò da
Genova e rese omaggio
al suo più vecchio collega a Palazzo del
Principe.
Dopo aver attraversato
una vasta anticamera e
un salone affacciato su
un’ampia terrazza, Massenet entrò nello studio di Verdi che sedeva
al suo tavolo di lavoro.
L’anziano compositore
di Busseto si alzò, gli
andò incontro e lo trattò con estrema affabilità. La conversazione si
protrasse per una trentina di minuti e lasciò
una profonda impressione sull’artista francese: «Passai in sua
compagnia
alcuni
istanti di un fascino
indefinibile, parlando
con la più deliziosa
semplicità nella sua
camera, poi sulla terrazza da dove si dominava il porto di Genova
e il mare. Ebbi l’illusione che fosse lui stesso
un Doria che mi
mostrasse con orgoglio
la sua flotta vittoriosa».
Francesca Oranges
14
Thaïs
Il
Giornale dei Grandi Eventi
L’autore del romanzo alla base del libretto
Il librettista
Il Premio Nobel
Anatole France
Louis Gallet
L
’opera di François-Anatole Thibault, che divenne famoso con lo
pseudonimo di Anatole France, per il gusto della parola e l’ironia,
incarna lo spirito razionalista francese. Nato a Parigi il 16 aprile
1844, da una famiglia appartenente alla piccola borghesia conservatrice,
France fu dalla nascita legato al mondo della carta stampata (il padre era
proprietario di una libreria). Studiò con alterni successi presso il Collegio
Stanislas ma coltivò sempre la propria erudizione: già ad otto anni infatti scriveva e componeva poesie. Visse dapprima di impieghi editoriali,
poi divenne bibliotecario presso il Senato. Collaborò attivamente a quotidiani e riviste. Cominciò ad interessarsi di teatro come autore drammatico verso il 1868. Il suo esordio letterario avvenne con alcune poesie inserite nel «Parnasse contemporain» del 1871. Poco dopo uscirono i Poemi
dorati (Les poèmes dorés, 1873) dedicati a Leconte de Lisle. Presto però
prevalse la sua maggiore attitudine per la prosa, prima con due racconti,
Jocaste e Il gatto magro (Jocaste; Le chat maigre, 1879) che si guadagnarono
gli elogi di Flaubert, e quindi con il romanzo Il delitto di Sylvestre Bonnard,
membro dell’Institut (Le crime de
Sylvestre Bonnard membre de l’Institut,
1881), satira impietosa del mondo
accademico.
France partecipò attivamente alla
vita politica della Francia di fine
secolo e intervenne in diverse questioni che divisero il Paese. Il suo
pensiero fu sempre improntato alla
tolleranza e al distacco dal fanatismo.
Durante il processo Dreyfus si schierò con Zola nella difesa della libertà
di pensiero ricorrendo alla più
tagliente delle armi, l’ironia.
Partecipò alla propaganda socialista
e anticlericale dichiarandosi anche a
favore delle idee comuniste e fu tra gli ispiratori delle leggi per la laicizzazione della scuola pubblica. Il suo impegno gli attirò le antipatie
della Chiesa di Roma che negli anni Venti mise all’indice i suoi scritti.
Il grande successo France lo ottenne con Thaïs (1889), romanzo ambientato in un decadente mondo alessandrino che concilia tradizioni pagane e cristiane nell’incoerente ma poetica figura della protagonista a cui
l’autore restituisce, dissolvendo gli aspetti più torbidi, la redenzione
negata dall’implacabile giudizio dantesco. Il lavoro, ispirato al dramma
Paphnutius di Hrosvitha (X Sec.) ed integrato da altre letture come la
Vita dei santi, era stato dapprima (1867) pubblicato a puntate come
poema sulla Revue des deux mondes con il titolo di Paphnuce dal nome del
protagonista e quindi, nel 1889, come romanzo con il titolo definitivo.
Del 1893 sono le opere Le opinioni di Jérôme Coignard (Les opinions de
Jérôme Coignard), La tragedia umana (L’humaine tragédie), e La rosticceria
della regina Piedoca (La rôtisserie de la reine Pédauque), a cui seguirono una
serie di quattro romanzi, raccolti con il titolo di Storia contemporanea
(Histoire contemporain) che rivelano una maggiore sensibilità verso i
temi sociali e politici ed una più ferma padronanza dei mezzi espressivi: L’olmo del viale (L’orme du mail, 1897), Il manichino di vimini (Le manniquin d’osier, 1897), L’anello d’ametista (L’anneau d’améthyste, 1899), e
Monsieur Bergeret a Parigi (Monsieur Bergeret à Paris, 1901). France fu uno
scrittore raffinato ed elegante che in un ironico disincanto e in indulgente epicureismo trovò la misura per esprimere la sua profonda partecipazione ai drammi dell’uomo moderno e il suo impegno in difesa
della dignità umana. Nel 1921 ricevette il Nobel per la letteratura. Le
motivazioni del premio: «Come riconoscimento delle sue brillanti conquiste
letterarie, caratterizzate da una nobiltà di stile, una profonda simpatia umana,
grazia e vero temperamento gallico». Tre anni più tardi, il 12 ottobre 1924
France morì a la Bechellerie nei pressi di Saint-Cyr-sur-Loire.
Ludovica Sanfelice
L
ouis Gallet nasce in Francia
nel 1835.Il suo debutto nel
mondo musicale è del 1868
quando, insieme ad Edmond Blau
si occupa della stesura del libretto
per
l’opera
incompiuta
di
Massenet La coupe du Roi de Thule.
Successivamente lavora per diversi
compositori, tra i quali Gounod,
Joucières, Guiraud, BourgaultDucoundray.
Per Bizet compone il libretto di
Djamileh (1872), tratto dal poema
Namouna di Alfred de Musset.
L’opera, nonostante le attestazioni
di stima ricevute da musicisti quali
Gustave Mahler e Camille Saint-Saëns, non riscosse grande successo forse a causa di un intreccio poco efficace a livello teatrale.
Proprio Saint-Saëns, con il quale più volte Gallet si troverà a lavorare, dirà di lui:
«La sua capacità di lavoro era prodigiosa. Potevi trovarlo nel suo ufficio
presso l’Amministrazione per l’Assistenza ai poveri, sempre intento a scrivere su pezzi di carta redigendo rapporti, scrivendo novelle, articoli per
varie riviste, commedie, libretti e, per rilassarsi, comporre sonetti». La collaborazione tra i due aveva prodotto diverse opere: La princesse
jaune (1872), Etienne Marcel (1879), Ascanio (1890) e Déjanire (1911).
Quest’ultima, da una tragedia omonima di Gallet per la quale SaintSaëns tredici anni prima aveva composto le musiche di scena, trasposta in veste operistica suscitò un’ottima accoglienza.
I primi lavori di Gallet per Massenet furono le tragedie di argomento sacro Marie Magdeleine (1873) e Eve (1875). Successivamente egli
si dedicò ai versi per Le Roi de Lahore (1877) prima composizione di
Massenet per il grand-opéra e primo grande successo di pubblico.
Insieme ad Auguste-Philippe d’Ennery ed Eduard Blau adatta, sempre per Massenet, una celebre opera della storia letteraria di Francia
Le Cid ou L’honneur Castillan di Corneille (1638). Il libretto di Le Cid
(1885) risultava ben riuscito anche se la versificazione si dimostrava
poco adatta a fondersi con la partitura musicale.
Dal romanzo Thaïs di Anatole France, Gallet realizzò il libretto per l’opera omonima musicata da Massenet da subito entusiasta del soggetto.
L’opera, andata in scena all’Opéra di Parigi il 16 marzo 1894, ricevette
tiepida accoglienza da parte degli spettatori, ma la piena approvazione
dello stesso autore dell’opera letteraria Anatole France.
L’adattamento del romanzo per il libretto pose a Gallet la necessità
di una versificazione che risultasse adeguata alla rappresentazione
operistica. «Un libretto è un lavoro in versi che viene consegnato al musicista in modo che egli lo trasformi in prosa» - scriveva Gallet nella prefazione al libretto della Thaïs. «Dato che i compositori inevitabilmente
alterano o ignorano il ritmo di tale lavoro, perché un librettista dovrebbe
passare attraverso la farsa della versificazione? D’altro canto una semplice
prosa sarebbe troppo piatta…».
Il risultato fu quello che egli stesso definì poésie mélique, una
prosa ritmata che si prestava perfettamente ad essere trasformata in suono. Nonostante nel libretto si perda parte dell’ironia e
del filosofeggiare del romanzo, rimangono intatte nell’opera le
atmosfere esotiche, la sensualità, gli psicologismi che avevano
caratterizzato il testo di Anatole France.
Anche Dumas, George Sand, Zola furono tra gli autori che Gallet
riadattò per il palcoscenico della lirica.
Di talento versatile ed intelligente, dopo aver lavorato con i maggiori operisti francesi della sua epoca si spense a Parigi il 16 ottobre 1898.
Mic. Mont.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Dal mondo della musica
15
Dal 24 giugno la Stagione Estiva dell’Accademia di S. Cecilia
“Classica sotto le stelle” e “Voci di donna”
Q
uattro
grandi
concerti sinfonici
più quattro concerti di It’s wonderful dedicati ad altrettante Voci di
donna formano la Stagione
Estiva
dell’Accademia
Nazionale di S. Cecilia
che anche quest’anno
punta ad un’osmosi tra
diversi generi musicali.
Musiche di grande appeal
anche per chi non è abituato a entrare in una sala
da concerto. E per favorire
la partecipazione del pubblico, in funzione anche il
servizio di babysitting,
che al costo di 5 Euro, permetterà ai bambini dai 4
agli 11 anni di passare due
ore in compagnia di educatori che li faranno divertire con la musica.
Concerti sinfonici
Ad aprire la stagione dei
concerti
nella
Cavea
dell’Auditorium il 24 giugno è Richard Galliano, il
Matrimonio segreto e Traviata
Estate in musica
ad Orvieto
I
l matrimonio segreto di Cimarosa e La traviata di Verdi formano l’interessante menù che l’associazione Spazio
Musica di Genova, attiva da 27 anni, propone questa
estate ad Orvieto.
Dal 24 luglio al 31 agosto, nell’incantevole scenario della
città etrusca, fra i suoi monumenti e lo splendido Teatro
Mancinelli, si svolgerà la 27° edizione dei Corsi internazionali di Perfezionamento e del Laboratorio lirico che prevedono,
con la guida di artisti di fama ed esperienza, la preparazione e la realizzazione in recite pubbliche delle opere Il
Matrimonio segreto e La Traviata.
Oltre alle opere liriche, parallelamente si terrà la stagione musicale con una serie di concerti dei docenti e dei migliori allievi.
Il Teatro Mancinelli ospiterà inoltre la 10° edizione del
Concorso Internazionale per cantanti lirici e la prima edizione
del Concorso internazionale per direttori d’opera, ambedue con
finale-concerto aperto al pubblico. Il Concorso per direttori
d’opera sarà intitolato a Luigi Mancinelli, grande direttore,
oltre che compositore e violoncellista, nato a Orvieto nel
1848, artista di primo piano nel secondo Ottocento, vivamente apprezzato da Verdi e da Wagner.
Questo il calendario
dei principali appuntamenti di Orvieto
Il 25 luglio al Teatro Mancinelli concerto pubblico con
i finalisti del Concorso lirico.
Il 27 il Palazzo dei Sette recital del pianista
Massimiliano Damerini, impegnato in pagine di
Chopin e di Liszt.
Il 12 agosto al Teatro Mancinelli (repliche 13 e 14)
debutto del Matrimonio segreto con Fabio Maestri sul
podio e la regia di Paolo Miccichè.
Il 18 concerto dei finalisti del Concorso per direttori
d’orchestra.
Il 20 e il 22 (Palazzo dei Sette) due concerti affidati
rispettivamente a Ubaldo Rosso e Danilo Costantini
(flauto e cembalo) e a Paloma Tironi e Demetrio
Comuzzi (viola e arpa). Dal 28 al 30, al Teatro
Mancinelli, recite di Traviata, con la direzione di
Aldo Faldi e la regia di Gabriella Ravazzi.
Per informazioni: “Spazio Musica”, tel. 010/317192.
Sito www.spaziomusica.org
grande jazzista che torna a
suonare l’amato Concerto per
bandoneon e orchestra di Astor
Piazzolla, abbinato al popolarissimo Bolero di Ravel. Sul
podio il direttore Carlo
Rizzi. Il programma sinfonico prosegue il 6 luglio con la
prima mondiale, in forma di
concerto, della colonna
sonora del film The Passion
of Christ, pluripremiata pellicola di Mel Gibson. La
suite sinfonica di John
Debney verrà diretta dall’autore.
E sarà un’altra rarità, la
Sinfonia dell’Aida a caratterizzare il 13 luglio il Gala
Verdi nel quale l’Orchestra e
il Coro dell’Accademia,
diretti da Riccardo Frizza,
eseguiranno Cori e Sinfonie
tratti dalle più popolari
opere verdiane, compresa la
Sinfonia che Verdi compose
nel 1872 per la prima
dell’Aida alla Scala, ma mai
eseguita in teatro per espresso divieto dell’autore. In
occasioni diverse è stata
diretta
da
Toscanini,
Bernardino Molinari e
Claudio Abbado.
Il 20 luglio in programma la
Sinfonia n.9 di Beethoven,
diretta da Gustavo Dudamel, giovane compositore
venezuelano, uno dei testimonial del risveglio musicale del Sudamerica.
Voci di donna
Quattro artiste simbolo di
diverse culture e tradizioni
musicali cantano la storia e le
emozioni delle proprie terre
nella rassegna Voci di donna.
Il 4 luglio apre la rassegna
Gal Costa, classe 1945, diva
assoluta della musica brasiliana, in Italia dopo oltre
dieci anni di assenza. Gal
Costa è stata, insieme a
Caetano Veloso e Gilberto
Gil una presenza fondamentale del movimento tropicalista; tra le sue interpretazioni
memorabili Divino Maravilhoso. Gal Costa considerata, insieme a Elis Regina, la
più grande vocalist del
Brasile moderno, presenterà
le canzoni del nuovo album:
“Todas As Coisas e Eu”, ma
anche sue indimenticabili
interpretazioni.
L’11 luglio arriva Ute
Lemper, classe 1963, che ha
legato il suo nome alla grande tradizione del cabaret
europeo, ridando vita al
mito della Piaf e della
Dietrich, ma anche sapendosi rinnovare con collaborazioni con artisti come
Luciano Berio, Nick Cave e
Michael Nyman.
Straordinaria interprete di
Kurt Weil e del musical,
porta a Roma il suo ultimo
progetto Voyage, vero e proprio viaggio in diverse culture. Cassandra Wilson,
classe 1955, ritenuta la più
grande jazz singer vivente,
torna a Roma il 18 luglio.
Versatile,
brillantissima,
dotata di tecnica impeccabile e pathos travolgente,
riesce a re-inventare brani di
Bob Dylan così come il blues
dei vecchi maestri della sua
terra natale sul delta del
Mississippi.
Il 21 luglio, a chiudere la
rassegna, la diva sudafricana Miriam Makeba, classe
1932, nota internazionalmente come Mama Africa.
Autentica icona della canzone africana. Vincitrice del
Grammy vanta una produzione discografica di enorme successo: la sua canzone
Pata Pata del 1967, un trionfo
mondiale, riesce ancora a
scatenare il pubblico.
Un bel DVD di Thaïs
I
l maestro Marcello Viotti ed il regista Pier Luigi Pizzi sono gli artefici della bella
edizione di Thaïs realizzata alla Fenice di Venezia e ora in commercio in un
DVD edito dalla Dynamic.
Pizzi, ben aiutato dalle coreografie di Gheorghe Iancu, ha accentuato gli aspetti
sensuali ed esotici dell’opera. Danzatrici svestite, colori accesi a sottolineare le passioni, fiori rossi intorno a Thaïs. E poi, in contrasto, croci bianche a riempire il palcoscenico al momento della redenzione e del tragico, eppure sereno, epilogo.
Da parte sua, Viotti ha riletto la partitura con
duttilità e eleganza, curando il fraseggio, variando le dinamiche, assicurando una leggerezza
melodica ammirevole.
Lodevole il cast. Eva Mei garantisce a Thaïs
una vocalità piena, agile negli acuti, ma intensa
sul piano espressivo. Molto bene Michele
Pertusi nel ruolo di Athanael, mentre William
Joyner risolve con bravura la parte di Nicias e
Christine Bouffle e Elodie Mechain formano un
duo brillante nelle vivaci parti di Crobyle e
Myrtale.
Da segnalare ancora Letizia Giuliani, flessuosa ed affascinante ballerina, protagonista della
suggestiva “Meditation” restituita con gusto
dal violinista Roberto Baraldi.
R.I.
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