RatOn

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Armando Rotondi
Recensione: RatOn
INIT 31 ottobre 2016
Recensione
RatOn
Da I topi di Dino Buzzati
Produzione: ToTum TeaTre
Idea Originale: Valentina Temussi e Oscar Valsecchi
Con Evi Charalampidou, Olivier Décriaud, Oscar Valsecchi e Anna Ripoll Companys
Regia: Oscar Valsecchi e Valentina Temussi
Residencia de Creación 2015 avvenuta presso l’Asociación Cultural La Miranda (Barcelona)
Testo in castigliano
14 ottobre 2014
IAB – Institute of the Arts Barcelona
Precedentemente in scena presso la Sala Fenix di Barcelona.
In un contributo pubblicato per “Quaderns d’Italià”, Elisa Martínez Garrido analizza il racconto I topi
di Dino Buzzati, pubblicato per la prima volta sul Corriere della Sera del 9 agosto 1953,1 alla luce della
psicoanalisi freudiana (e lacaniana, aggiungiamo noi) e dell’esperienza esistenziale dell’autore veneto,
allo scopo di dimostrare la polisemica e ricca valenza ermeneutica dei roditori all’interno della
narrazione.2
Si parta dalla trama: il narratore, amico della famiglia Corio, viene ogni anno invitato nella loro
villa di campagna per trascorrere l’estate. Tuttavia, l’invito viene per un anno a mancare. Il narratore
inizia quindi il suo racconto a ritroso spiegando il perché di questo strappo alle abitudini. Negli anni
precedenti, infatti, nella villa si era riscontrata una crescente invasione di topi, parola questa che
incuteva timore sino a diventare tabu per la famiglia Corio.
Martínez Garrido muove da premesse precise, che guardano, in primo luogo, alla definizione di
“perturbante” (unheimlich), così come presentata da Sigmund Freud nel suo omonimo saggio del 1919.3
Scrive Freud a inizio della sua opera: “Non c'è dubbio che esso appartiene alla sfera dello spaventoso,
di ciò che ingenera angoscia e orrore, ed è altrettanto ceno che questo termine non viene sempre usato
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L’anno successivo è compreso nella raccolta Il crollo della Baliverna e poi nei Sessanta racconti del 1958.
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Elisa Martínez Garrido, Brevi considerazioni sulla familiarità perturbante di Dino Buzzati : Una animalesca metamorfosi terrificante, in
“Quaderns d’Italià”, 16, 2011, pp.165-174.
3 Sigmund Freud, Il perturbante, pubblicato per la prima volta sulla rivista “Imago” nel 1919.
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in un senso nettamente definibile, tanto che quasi sempre coincide con ciò che è genericamente
angoscioso. È lecito tuttavia aspettarsi che esista un nucleo particolare, che giustifichi l'impiego di una
particolare terminologia concettuale. Ciò che vorremmo sapere è: che cos’è questo nucleo comune che
consente appunto di distinguere, nell’ambito dell’angoscioso, un che di ‘perturbante’?”4
Riprende Freud, ed è il punto iniziale per Martínez Garrido, che il perturbante è quella sorta di
spaventoso che ha a che vedere con le cose più conosciute e familiari. E prosegue: “La parola tedesca
unheimlich [perturbante] è evidentemente l'antitesi di heimlich [da Heim, casa], heimirch [patrio, nativo], e
quindi familiare, abituale, ed è ovvio dedurre che se qualcosa suscita spavento è proprio perché non è
noto e familiare”.5
In questo senso, I topi si pone come “uno dei testi più inquietanti della narrativa fantastica di
Buzzati, dove si manifestano anche tutte le costanti strutturali, tematiche, simboliche e stilistiche della
sua opera”,6 in cui, facendo nostro il pensiero di Martínez Garrido,7 si riscontrano i punti fondamentali
del mondo letterario buzzatiani, fra cui: l’inversione e il capovolgimento dei principi e delle realtà del
mondo naturale; la commistione tra realtà e fantasia; la metamorfosi dell’animale domestico in un
qualcosa di spaventoso e diabolico; il simbolismo di bene e male; la ripetizione che si pone come
ripetizione dell’unico motivo narrativo posto, nota Martínez Garrido, in crescendo con la presenza e la
moltiplicazione dei topi, e come una ripetizione anche testuale evidente nella parola chiave “paura”.
Nel loro adattamento teatrale del racconto di Buzzati, RatOn, Valentina Temussi e Oscar
Valsecchi lavorano sul tema del perturbante buzzatiano, soffermandosi esattamente su quegli elementi
individuati come essenziali nel testo originario.
RatOn, a detta degli adattatori e registi, come si può leggere nel loro dossier di lavoro, si pone
infatti come “una parábola de cotidianidad insólita que se agranda hasta adquirir la dimensión de una
pesadilla pavorosa y grotesca”.8
Lo spettacolo prende Buzzati e lo spinge verso una forma teatrale che gioca sulla commistione
di realismo, grottesco e simbolismo, sino quasi a porsi come teatro dell’assurdo. Non è uno spettacolo
solo di parola, benché vi sia il testo, vi siano i dialoghi, ma essi sono complementari a un teatro fisico e
di movimento, che utilizza motivi, temi e stili del mimo e della pantomima, ma anche altri del teatro di
strada, con risultati di indubbio interesse.
Sigmund Freud, Il perturbante, in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Torino, Bollati Boringhieri 1991, p. 269.
Ivi, p. 271.
6 Elisa Martínez Garrido, op. cit., p. 167.
7 Ivi, pp. 167-168.
8 Valentina Temussi, Oscar Valsecchi, RatOn, dossier di lavoro, Barcelona, ToTum Teatre 2015, p. 4
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Gli autori riescono a trattare e presentare agli spettatori il testo di Buzzati come una metafora
della paura che subdolamente si insinua e cresce, così come a realizzare una critica della indifferenza e
del rifuggire i problemi da parte degli esseri umani.
RatOn si pone, in questo senso, come uno spettacolo prettamente buzzatiano. La struttura del
racconto viene rispettata, con la ripetizione del motivo narrativo e del leitmotiv, fino a far diventare ogni
situazione e ogni personaggio il doppio di se stesso (uomo-topo). Riprende e ripropone il perturbante
freudiano così come individuato da Martínez Garrido per Buzzati: un perturbante che, sia ne I topi che
in RatOn, nasce dalla presenza del doppio, da atti ripetitivi e cosiddetti meccanismi semoventi (e il
movimento in RatOn è componente essenziale), e da desideri repressi che affiorano.
All’interno del tessuto drammaturgico si mescolano abilmente realtà e onirismo (o incubo), in
cui la scenografia, stilizzata, è allo stesso tempo realistica (un tavolo e delle sedie, ad esempio) e
fantastica (si muove e/o viene spostata, lo stesso tavolo arriva in scena sulle proprie e “umane” gambe).
E così anche i personaggi e gli interpreti si muovono tra questi due mondi, sino alla inquietante
trasformazione in topi.
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