dicembre 2013 anno 0 numero 6 TeatrocultFOGLIO Campania www.teatrocult.it kkk Tempi duri, e il teatro risponde per le rime Antonio Tedesco Tempi duri, e il teatro risponde per le rime. Un mese di dicembre non certo accomodante e pacificato quello che si prospetta sulle scene dei teatri napoletani. Poca, quasi nulla, della scontata e conciliante bonomia natalizia e spazio al disagio, alla ribellione, all’urlo fuori dagli schemi. Quasi un movimento spontaneo, un anelito di protesta che si innalza attraverso lo strumento dei linguaggi scenici e si concretizza in una rosa di proposte meno prevedibili e usuali, in grado di trasformarsi, allo stesso tempo, in un’occasione preziosa per allargare il campo di un’offerta teatrale spesso troppo scontata e ripetitiva. Una rapida ricognizione ai cartelloni dei teatri di Napoli ci presenta subito titoli dal forte valore simbolico, oltre che drammaturgico in senso stretto. E ci pare giusto cominciare, a questo proposito, proprio dal famoso manifesto degli “Angry Young Men”, quel Ricorda con rabbia di John Osborne, che sconvolse la tranquilla e conformista routine del teatro anglosassone degli anni Cinquanta, e che il Teatro Bellini ripropone, con Stefania Rocca e Daniele Russo tra gli interpreti, per la regia di Luciano Melchionna. L’insofferenza al sistema e alle soffocanti convenzioni sociali e politiche, trasuda da quasi ogni battuta di questo testo. Il disagio, l’alienazione, l’antagonismo di classe, sono tangibili e palpitanti. I personaggi trascinano, dibattendosi, le loro vite in un mondo che fanno fatica a riconoscere. E’ solo un caso che quest’opera, in verità poco rappresentata negli ultimi anni, riemerga proprio in un momento storico (e sociale, ed economico) come quello che stiamo vivendo? E che dire di quella rabbia ancor più violenta, radicale, estrema, appena alleviata (o forse resa solo più sottilmente acuta ed insidiosa) da una forte vena sarcastica, che era quella espressa da Joe Orton, anche lui inglese come Osborne, di cui è stato contemporaneo, scrittore maledetto per antonomasia, anarchico, omosessuale, radicalmente irriducibile ai canoni del sistema. Peppe Miale lo rievocherà, attraverso brani dai suoi esplosivi scritti al Théâtre De Poche con Il malloppo. Lo stesso Orton, tra l'altro, è un autore che Pippo Delbono deve sentire particolarmente vicino, a giudicare dalle molte affinità e dai tanti tratti che li accomunano. Anche Delbono, infatti, racconta la sua storia all’insegna della diversità, di quella condanna alla marginalità tenacemente combattuta con gli strumenti dell’arte che, sul palcoscenico del Piccolo Bellini, si raccoglieranno intorno al suo acuminato e toccante Racconti di giugno. Un percorso autobiografico per il regista e interprete di Urlo, che attraversa le tappe della sua sofferenza, di un’esperienza esaltante e dolorosa al tempo stesso, e racconta della forza che ha trovato dentro di sé per superare ogni ostacolo e seguire la sua strada, caparbiamente, nonostante tutto. Ma ancora altri interpreti e autori dai connotati artistici tutt’altro che natalizi e consolatori si aggirano nel corso del mese per i teatri di Napoli. Dal Beckett di Giorni felici, che si potrà vedere nella Sala Assoli del Tetro Nuovo per l’interpretazione della intrigante coppia Nicoletta Braschi e Roberto De Francesco, con la regia di Andrea Renzi, a un altro grande “eversivo”, Eugene Ionesco, il cui Delirio a due (nel titolo già l’anima dell’opera) sarà, invece, a Galleria Toledo. Il Nuovo Teatro Sanità, dal canto suo, conferma, ancora una volta, le scelte coraggiose cui ci sta già abituando e presenta Hotel Splendid, un adattamento di Mario Gelardi da Splendid’s di Jean Genet, un altro grande “maledetto” del Novecento. E non induca in inganno un titolo in apparenza più leggero, Miseria e Nobiltà che Laura Angiulli riprende, dopo il debutto di inizio stagione, sempre a Galleria Toledo, continuando il suo percorso di rilettura del repertorio scarpettiano iniziato alcuni anni fa con O miedeco d'e pazze. Uno Scarpetta rivisto a modo suo, ovviamente, quello cioè di una regista che viene da una lunga esperienza di ricerca e sperimentazione. Così che, anche i personaggi resi “TEATRO DI CONTRABBANDO” IN NOME DELLA LIBERTA’ CULTURALE Nasce a Fuorigrotta l’Associazione Te.Co. aperta al traffico di parole e idee Continuano a sorgere nuove consistenze teatrali, coraggiose sfide supportate da propositi innovativi, in un tempo di sana ribellione, dove si combatte efficacemente attraverso l’arma del sapere. Un chiaro segnale di lotta contro una crisi che non deve prendere il sopravvento sulla linfa culturale e artistica di un popolo in eterno fermento. Miracolo in questo senso è l’Associazione Culturale Te.Co, una piccola realtà teatrale che negli ultimi mesi si sta facendo spazio all'interno del panorama culturale campano. Obiettivo di Te.Co, acronimo di Teatro di Contrabbando, è dare voce - e uno spazio - a chi cerca di "contrabbandare" la propria arte e le proprie idee. Il progetto nasce dall’idea di teatro di cinque giovani attori, Chiara Vitiello, Simona Pipolo, Francesca Romana Bergamo, Luca Sangiovanni ed Alessandro Palladino, con alle spalle anni di esperienza, che spinti dalla necessità di lavorare in maniera indipendente a progetti di qualità, hanno deciso di creare un polo teatrale nel quartiere di Fuorigrotta (Via Diocleziano 316). Il programma promosso da questa Associazione si propone come alternativa alle affermate realtà teatrali del nostro territorio. Al Te.Co- Teatro di Contrabbando si prevede una interessante rassegna teatrale che terminerà a maggio 2014. In cartellone numerosi attori e registi noti del panorama culturale campano come Patrizia Spinosi, Pietro Tammaro e Giovanni Meola. (t.m.) www.teatrodicontrabbando.com [email protected] immortali dal film di Mario Mattoli del 1954, che ha impresso nella memoria collettiva soprattutto l’icona di uno straordinario Totò, assumono risvolti non proprio rassicuranti e ci parlano del nostro presente che, in senso non solo economico, è fatto di dilagante miseria e di ben scarse nobiltà. Un allestimento che, continuando a seguire il filo del nostro discorso ideale, si ricollega a quello di Totò e Vicé, presentato come la storia (guarda caso) di due clochard, scritta da Franco Scaldati e messa in scena da Vetrano e Randisi al Teatro Nuovo. Così, proprio Totò, con la sua versatile e impareggiabile maschera, per assonanze e riferimenti, e passando idealmente per Beckett e Ionesco, arriva fin qui. Condensa la rabbia, la disillusione, l’insofferenza al sistema e l’istinto di ribellione (a proposito dei quali non bisogna neanche dimenticare il Don Giovanni di Filippo Timi al Bellini) in una devastante ironia e in un colossale e profondamente rivoluzionario sberleffo. A lui, al grande Totò, in qualità di nume tutelare occulto, dedichiamo questo mese di teatro napoletano, con tutto ciò che dentro scalpita, freme, vi ribolle e, soprattutto, nel sacro nome dell’arte, si ribella. © RIPRODUZIONE RISERVATA TEATROCULTFOGLIO Campania L’attore al Cilea con una pièce scritta da Titina e dal padre Peppino Nel solco di una grande famiglia d’arte, Luigi De Filippo fa il suocero Laura Canevali tema eternamente attuale”. Con una delle più divertenti commedie del teatro umoristico di Titina e Peppino De Filippo, Un suocero in casa, debutta al Cilea dal 19 al 22 dicembre con una personale interpretazione, Luigi De Filippo nei panni del suocero pestifero. Andata in scena per la prima volta nel 1935 al Teatro Politeama di Napoli, la commedia ottenne un immediato successo. Sul palcoscenico temi come la vita quotidiana e la famiglia sono letti con la forza dell’ironia. Stefanino, un giovane impiegato metodico e pedante, vive con la moglie che ama teneramente. Ma la presenza invadente in casa del suocero Federico, lo porta all’esasperazione. Per Luigi De Filippo riproporre quest’opera è un modo per riavvicinarsi con affetto alla famiglia, a quelli che sono state le sue radici, i suoi maestri. Ci sono vari artisti sulla scena napoletana. Ne vede uno che possa ritenersi all’altezza di Totò, Eduardo, Peppino, Nino Taranto…? “Non voglio fare torto a nessuno, e per questo non faccio nomi in particolare. Napoli ha tanti bravi attori, li ha sempre avuti”. De Filippo, quanto ha influito nella sua vocazione di attore l’essere figlio di una delle più importanti famiglie del teatro? “E’ stato fondamentale. Luigi De Filippo La famiglia mi ha insegnato ad amare il teatro, e a lavorarci. Oggi finalmente riconoscono e apprezzano il mio lavoro”. Dopo tanti anni finalmente i De Filippo si sono riconciliati. Non avete pensato ad una eventuale collaborazione artistica? “Una collaborazione in questo senso sarebbe impensabile. Siamo legati a generi completamente differenti, ognuno è impegnato con il proprio teatro”. Porta in scena un’opera di suo padre e di Titina. Un ritorno al passato. Perché il pubblico dovrebbe venire a vederla? “Perché è una commedia bella, divertente. Venire a teatro per opere come questa è un modo per trascorrere due ore in modo intelligente e non volgare come spesso accade davanti alla televisione”. Come trova la sua città rispetto a quella dei tempi andati? In che cosa è cambiata? L’oro di Napoli esiste ancora o dobbiamo parlare di polvere? “E’ cambiata in tutto. Il ricordo che ne ho io non esiste più, anche se lì affondano le mie radici. In quanto all’oro, certo che esiste. Vi è tanta brava gente, onesta, che lotta, si impegna”. © RIPRODUZIONE RISERVATA Come definirebbe il suo teatro, e come può rispecchiarsi nella realtà odierna? “Il mio è un teatro realistico. E c’è da dire che noi De Filippo, per tradizione, parliamo di famiglia, un Con Cirillo al Mercadante la farsa di Feydeau diventa commedia all’italiana Anni Sessanta: l’ipocrisia borghese svelata da “La purga” Federica De Cesare Arturo Cirillo ha inaugurato il suo tour con la prima di “La purga”. Il regista ripropone l’umoristico testo del francese Feydeau in sette città italiane. Ambientata in una casa degli anni ‘60-’70 la storia utilizza come pretesto la defecazione per far emergere, attraverso dialoghi surreali e ironici, tutta l’ipocrisia della borghesia di allora, come di oggi. Al centro, un nucleo familiare attorno al quale girano equivoci al limite del paradossale, e un uomobambino costipato, Totò, l’unico che, beffando gli altri, non si libererà dello sporco contenuto del suo corpo, salvandone così la sola esteriorità ad immagine del falso perbenismo della società borghese. In scena con lo stesso Cirillo, Sabrina Scuccimarra, Rosario Giglio, Luciano Saltarelli e Giuseppina Cervezzi. Al Mercadante dal 10 al 15 dicembre. Il Teatro Mercadante attende lei e la sua compagnia. Il pubblico napoletano ha sempre dimostrato gradimento per il sottile umorismo tipico delle opere di Feydeau. Cosa si aspetta da questo incontro? Ritengo che Feydeau non sia un autore particolarmente conosciuto, in Italia, dal pubblico medio. Non ricordo molti spettacoli tratti da sue opere. Credo, che il mondo dell’artista sia molto legato al contesto e alla cultura francese e che piuttosto vivano in Italia dei corrispettivi. Lo stesso Scarpetta è stato un drammaturgo molto prolifico, forse ancor più di Feydeau, elaborando innumerevoli testi attraverso la riscrittura e l’adattamento di opere provenienti, in buona parte, dal teatro comico francese. Scarpetta è, in questo senso, un suo corrispettivo e, al tempo stesso, un marchio di qualità tutto italiano. Nella “Purga”, ho infatti, operato una traslazione: l’ho allontanata dal paese di origine ricollocandola in un Italia borghese a cavallo tra gli anni ’60-’70, in un’atmosfera tipicamente da commedia all’italiana. Tuttavia, non ho reso i personaggi specificatamente italiani, quanto piuttosto, universali, universalità che si riflette nei costumi come nelle scene. L’universalità sulla quale voglio puntare i riflettori, attraverso questa rappresentazione, è “l’imbecillità” del mondo borghese, di questo perbenismo di facciata che, un po’ come nel film “La Cena dei cretini”, ancora ci riguarda. La sua teatralizzazione dell’opera “On purge bebé” fonde, in qualche modo, il teatro del paradosso dell’autore francese con il surrealismo di Buňuel? Lo spettacolo è il frutto della contaminazione di molteplici elementi. Sicuramente mi sono ispirato al “Fantasma della libertà” di Buňuel, che pone l’accento sull’ipocrisia del mondo borghese. Celebre ed emblematica la scena dell’invito a cena, alla quale tutti partecipano seduti su dei water e ove nessuno di fatto consuma alcun pasto. Sarà necessario chiedere dello stanzino per poter mangiare, ma ovviamente di nascosto. Attraverso questo paradosso, per cui, defecare diviene un atto socialmente accettato, mentre nutrirsi è piuttosto qualcosa di cui vergognarsi, Buňuel esplicita proprio la “malattia” del mondo borghese che decide cosa è giusto o meno fare. Del film ho voluto cogliere proprio quest’immagine stridente e allo stesso tempo dissacrante. Altra opera alla quale mi sono inspirato è stata “Victor ou les enfants au pouvoir”, Victor o i bambini al potere, di Roger Vitrac. Grande satira alla borghesia. Ritiene che portare in scena il paradosso della condizione umana attraverso l’umorismo, a volte pungente del teatro, possa risvegliare le coscienze? Di sicuro chi si occupa di teatro realizza un’operazione sulla mente, sia sulla propria che su quella del pubblico. Tuttavia ritengo quest’opera provocatoria. A differenza di un Molière, in cui il tragico è molto forte, Feydeau non guarda con profondità le cose, ma le mette in scena con “superficialità”. Si tratta, ovviamente, di una superficialità provocatoria, per l’appunto, che il pubblico può cogliere o meno. Un umorismo caustico capace di suscitare reazioni disparate e sul quale io ho particolarmente agito mettendo in scena elementi come i water o introducendo un personaggio che ha una continua flatulenza. Riscoprire i classici che hanno fatto storia, può essere una soluzione per risolvere l’attuale crisi del teatro per carenza di testi validi? Questo è un discorso complesso che riguarda molti ambiti della cultura. In Italia, purtroppo, c’è pochissima politica teatrale legata alla nuova drammaturgia. Far girare un testo innovativo è un’impresa titanica. Perfino un autore come Bernard avrebbe, oggi, difficoltà ad emergere. Così alla mancanza di investimento corrisponde una carenza di testi nuovi. Sicuramente fare classici è un’ottima scelta, quando si crea equilibrio tra vecchio e nuovo. Sono spesso proprio i direttori dei teatri che evitano di proporre nei cartelloni opere poco conosciute o addirittura totalmente sconosciute al pubblico, nell’illusione che un classico o un attore di punta, possa essere determinante per riempire la sala. © RIPRODUZIONE RISERVATA La Braschi, una subrettina nel deserto di Beckett per riflettere sulla vita “Giorni felici” con la moglie di Benigni e la regia di Renzi alla Sala Assoli del Nuovo Francesco Gaudiosi “È una donna letteralmente ben piantata a terra. Si arrabatta con tutta se stessa, vive la tragedia dello sprofondare nella fine con grazia, senza ribellarsi. E quando affiora il dolore, sa come tenerlo a bada con noncuranza”. Così Nicoletta Braschi definisce in una intervista la sua Winnie, la protagonsista di “Giorni felici”, uno dei capolavori di Samuel Beckett, in scena dal 6 dicembre alla Sala Assoli del Nuovo nella rivisitazione di Andrea Renzi, regista, con Roberto Di Francesco al fianco della moglie di Roberto Benigni, nel ruolo di Willie, suo marito. La coppia che anima “Giorni felici” è emblematica dell’autore irlandese: lei sprofonda lentamente dentro un cumulo di sabbia; lui striscia come una bestia in una cavità di quel cumulo, dove ha scavato la propria tana. “Tutto intorno è il deserto beckettiano”, precisa Renzi, che dirige la Braschi per la seconda volta dopo la felice esperienza, tre anni fa, di un altro classico del Novecento, “Tradimenti” di Harold Pinter. Renzi, evocando il modello del teatro nel teatro, legge Winnie e Willie “non come semplici esseri umani, ma come creature, per l’appunto, teatrali, ombre di palcoscenico che hanno ancora il desiderio di comunicare con noi. Lo stesso Beckett, d’altra parte, dava questa interpretazione, dicendo per esempio all’attrice che per prima dette corpo a Willie, di pensare, nel costruire il personaggio, a una subrettina”. “Che cosa ci dice – si chiede il regista – il deserto disperato di Winnie e Willie? Le buone maniere, le vecchie abitudini, le citazioni dei classici, la borsa di Winnie con lo spazzolino e il rossetto e il cappellino sono un mondo riconoscibile? Le loro parole sono ancora umane?” La verità è che il Premio Nobel irlandese costringe noi contemporanei “a confrontarci con la problematicità della vita in una epoca in cui la società fa di tutto per non guardarla e restare, inguaribilmente, alla superficie delle cose”. ANTICHITA’ CURCI Tradizione di famiglia dal 1930 Antiquariato e Restauro Dall’esperienza dei vecchi artigiani Via Michelangelo Schipa, 21 Napoli Tel. 3358219173 - 3333350336 TEATROCULTFOGLIO Campania Dal mondo di Dostoevskij una riflessione moderna che porta in scena i dubbi Anita Curci “Vivo da quarant'anni col Grande Inquisitore di Dostoevskij. Da quando cominciai ad occuparmene in occasione dello sceneggiato realizzato da Bolchi. Qualcosa di inimmaginabile oggi. Interpretavo il fratello Ivan e per anni mi sono sentito dire da generazioni di spettatori che venivano ad incontrarmi nei camerini dei teatri: "Ma quell'Ivan Karamazov! Cose così perché non ne fanno più?". Umberto Orsini si misura con un testo tratto da I fratelli Karamazov che è soprattutto un manifesto sulla autoprodotta mancanza di libertà degli uomini. Al teatro Troisi dal 13 al 17 dicembre per la regia di Pietro Babina. Orsini, Il Grande Inquisitore continua in qualche modo a “ossessionarla” fin dai tempi dello sceneggiato tv di Sandro Bolchi. Era il 1969, visto da 15 milioni di telespettatori in ognuna delle sette puntate… Non ossessionato, ma certamente interessato agli argomenti di Dostoevskij. Ai concetti contenuti nei Fratelli Karamazov o nei Demoni, dove c’è intelligenza… c’è praticamente tutto. Il brano più importante era Il grande inquisitore, con un tema molto attuale, dibattuto da intellettuali di oggi e di allora, sul potere e sulla libertà. Diceva Ivan Karamazov, ipotizzando che Cristo ridiscenda sulla Terra: “Deve tornarsene indietro poiché la libertà non è possibile, essendone noi privati nelle manifestazioni della vita”. L’uomo, infatti, può far sentire la propria opinione ma non può veramente agire in libertà: deve comunque assoggettarsi a qualcuno che diriga la sua libertà. Il nostro spettacolo si concentra su queste riflessioni. Io racconto quello che direbbe il Grande Inquisitore. Egli fa una serie di considerazioni sul perché Cristo non sarebbe dovuto venire. E lo dice in una forma televisiva, come in una Ted Conference, dove si può in 18 minuti dire quello che deve essere detto. La seconda parte è una meravigliosa invenzione del regista. Assieme a me e a l’altro autore Leonardo Capuano, Pietro Babina ha elaborato una drammaturgia che tocca le questioni della fede e della libertà, ma anche della sessualità, visti attraverso l’ossessione del demonio e attraverso quadri scenici molto belli, con l’apertura al tema della violenza sui bambini; e delle colpe dei padri che ricadono sui figli. Lo spettacolo non è facile, ma penetrabile, anche nella prima parte, dove noi non parliamo poiché è la nostra stessa faccia, i nostri stessi movimenti a richiamare ciò che diremo dopo, quando parleremo. Il pubblico all’inizio appare sconcertato. Poi comprende e rimane appagato. Dunque, sintetizzando, nel capitolo sul “Grande inquisitore” dei “Fratelli Karamazov” l’ateo Ivan Karamazov rivela al fratello Alioscia di aver immaginato un “poema” in cui racconta che Gesù nel XVI secolo torna sulla terra e incontra il Grande Inquisitore che, però, gli chiede: “Perché sei tornato? Perché sei venuto a disturbare il nostro lavoro?”. Secondo lui, infatti, gli uomini non hanno bisogno di libertà. Allora, la domanda è: lei crede che l’uomo sia in grado di gestire la propria libertà? Credo che alcuni uomini possano gestirla liberamente. Ma sono degli eletti. Non è facile per tutti. Generalmente l’uomo deve essere guidato. Lo vediamo nella realtà di oggi. Tutti legati da una situazione collettiva che dirige e costringe a riunirsi in un confortevole formicaio. Siamo condizionati dalla vita, dagli acquisti, dalla pubblicità. In cosa possiamo operare delle scelte? Compriamo un capo e non un altro ma… il libero arbitrio è cosa diversa. La sua è una rilettura moderna di un argomento antico, che coinvolge la coscienza della realtà del male, il bisogno della fede in Dio, ma anche quello del dubbio: per esempio, com’è possibile che un Dio giusto abbia creato il dolore… Infatti, lo dice apertamente il nostro adattamento. C’è una fede che traballa, ed è un segno evidente. Si illumina e si spegne. Si illumina e si rispegne. È una presenza ambigua e discontinua”. Come si dipana lo spettacolo? Lei assume un doppio ruolo, quello del narratore e quello dell’Inquisitore, mentre a Leonardo Capuano è affidato quello di Mefisto. Come entrano in relazione i tre personaggi? Entrano in relazione magicamente. In verità non vi sono ruoli assegnati. All’improvviso sono Ivan Karamazov invecchiato. Io faccio tutti i personaggi dei Karamazov. Lo spettacolo è molto complesso ed è sbagliato semplificarlo in spiegazioni. Bisogna vederlo più che illustrarlo. È particolare, intenso, con tanti quadri virtuali, disseminati e sfiorati in modo diverso. Una messa in scena molto contemporanea, dove si sentono rumori, suoni. Dove esistono luoghi e non luoghi. Di certo, non è la classica rappresentazione col salotto borghese; siamo lontani dal teatro del Novecento. Lo definirei, anzi, postmoderno. Ma non terrorizza il pubblico come quelli dell’avanguardia, dove non si capisce niente. Lei lo ha definito uno “spettacolo europeo”. Ho parlato di tono ‘europeo’ perché è simile a quel teatro non borghese ma più dinamico che si vede in una certa Europa, in Germania per esempio. E poi perché il tema è universale, non ha rapporto con la realtà, la famiglia o la spesa corrente italiana. Non è legato a nulla che sia soltanto di una nazione. Intanto, prepara “Il giuoco delle parti” di Pirandello, dove è il conflitto tra ragione e sentimento il tema dominante. Come mai questa scelta? Eh sì, perché sono costretto a fare delle scelte anche più popolari. La gente oggi compra i titoli e Pirandello è uno interessante. È una commedia che avevo già fatto con Lavia. Oggi la porto in scena con Roberto Valeri. Il pubblico, però, vuole anche essere sorpreso e io spero di riuscirci con una rilettura differente e, credo, più credibile. ‘Il giuoco delle parti’ è un dramma della gelosia che finisce con la morte dell’amante. Però è una morte filosofica, sopraffina, che avviene, cioè, attraverso un ragionamento filosofico. Io proverò a rendere il tutto un po’ più drammatico e problematico. Pirandello, per esempio, mette in scena un modello teatrale che è quello dell’alta borghesia, mentre io l’ho rielaborato più verso il basso, con toni ora realistici, ora anche onirici. © RIPRODUZIONE RISERVATA Laura Angiulli tra Eduardo Scarpetta e Shakespeare A Galleria Toledo Miseria e nobiltà come metafora dei nostri tempi Antonio Tedesco Dopo il debutto di inizio stagione torna in scena, dal 14 al 28 dicembre, sempre a Galleria Toledo, lo spettacolo Miseria e Nobiltà, la famosa commedia di Eduardo Scarpetta, per la quale Laura Angiulli cura la regia e l'adattamento drammaturgico. Gli interpreti sono Alessandra D'Elia, Nunzia Schiano, Tonino Taiuti, Agostino Chiummariello, Laura Borrelli, Michele Danubio, Roberto Giordano, Stefano Jotti e Antonio Marfella, a formare un cast che si muove nel giusto equilibrio tra le istanze del teatro di ricerca e quelle del teatro di tradizione. “Miseria e nobiltà è una metafora dei nostri tempi” ci dice la Angiulli. che è fondatrice e direttore artistico del teatro Galleria Toledo. “Mettere in scena questo spettacolo, infatti, non è stata una scelta casuale. Si inserisce innanzitutto in un percorso che sto compiendo da alcuni anni sulla drammaturgia napoletana, occupandomi di autori che non sono certo inferiori a quelli più famosi, e non mi riferisco solo all’ambito del teatro napoletano, ma anche a quello nazionale ed europeo. Autori come Antonio Petito e Raffaele Viviani, che sono esponenti di un universo teatrale ricchissimo, che va non solo riscoperto, ma anche rivalutato e valorizzato per quello che realmente merita”. In che modo lei si avvicina teatralmente a questi autori? Credo che tentare di modernizzarli, come si fa spesso, non sia il sistema migliore. Sono autori che vanno storicizzati. Con essi bisogna costruirsi una specie di codice di approccio. I testi che ci sono giunti, ad esempio, specie per quanto riguarda Petito, non sono neanche di facile decifrazione. Capita, per dirne una, che le parole siano tutte attaccate l’una all’altra, senza spazi e segni di interpunzione. Insomma, canovacci scritti, o trascritti, da gente che con tutta probabilità aveva poca dimestichezza con la scrittura. Questo, però, rende il lavoro ancora più affascinante. Fa emergere una sorta di teatralità pura, non contaminata da alcun intento letterario. Trasformandosi in miseria morale e culturale. La vera nobiltà che abbiamo perduto è quella del sentire. La nobiltà della cultura. Basta guardarsi attorno, gli esempi di come Scarpetta avesse colto già allora i nodi cruciali della questione si sprecano. Questo significa che lasciano anche molta libertà di interpretazione? Oltre che sugli autori napoletani in questi anni ha lavorato molto anche su Shakespeare. E’ andata recentemente in scena una sua molto apprezzata versione de La bisbetica domata. Mi pare che al di là delle apparenze, questa specie di “doppio binario” da lei seguito sia un forte segnale di coerenza rispetto a un progetto complessivo di ricerca sulla classicità. Non direi, anzi, al contrario. Sono testi con delle strutture interne molto forti. Si presentano complessi nella forma. Diciamo che a livello strutturale non hanno niente da invidiare a un Goldoni o a un Molière. Anche rispetto alla comune provenienza dalla Commedia dell’Arte sanno, specie Petito, trovare soluzioni diverse, non convenzionali, soprattutto negli sviluppi della costruzione drammaturgica, appunto. Un lavoro stimolante, anche per chi, come lei, predilige un approccio non tradizionale al teatro? Certo, il mio modo di mettere in scena questi autori è molto lontano da quello convenzionalmente utilizzato. Anzi, credo che proprio nel rigore, quasi filologico, della messa in scena, nella meticolosa cura del linguaggio utilizzato, e nel modo degli attori di recitarlo, senza, come dicevo, modernizzazioni o approssimazioni, ci sia il lavoro di ricerca più determinante. Si è creduto sempre, erroneamente, che si trattasse di autori “facili” da portare sulla scena. E questo ha fatto sì che diventassero repertorio quasi esclusivo di un teatro amatoriale che, se da una parte ne ha diffuso la conoscenza, dall’altro ha enormemente ridotto il potenziale culturale di questi testi. In questo senso possiamo considerarli, quindi, dei veri classici che, come diceva Calvino, hanno sempre qualcosa di nuovo da dire, al di là dei tempi o dei luoghi in cui vengono riproposti? Sicuramente. Tornando a Miseria e Nobiltà, per esempio, Scarpetta ha scritto un testo che parla Laura Angiulli a noi forse ancor più che ai suoi contemporanei. Se lo analizziamo vediamo che l'elemento che ricorre maggiormente è quello della finzione. Tutti fingono, o peggio, si illudono, di essere quello che non sono. L’unico elemento, inconfutabile, di verità è la fame. La miseria, appunto, quella vera, che emerge e diventa la molla, il motore di tutta la vicenda. Il resto è tutta illusoria falsità. Fatta di esponenti di una nobiltà ormai al tramonto, debosciata e decadente, di nuovi borghesi arricchiti che tentano di prenderne il posto, ma i loro soldi non bastano a camuffarne la volgarità, la pochezza di fondo. Scarpetta traccia le coordinate di un mondo che cambia, e non necessariamente in meglio. Fino ad arrivare ai giorni nostri, in cui possiamo dire che il concetto di miseria si è allargato e si fa ancor più preoccupante. Trovo molto stimolante, addirittura esaltante, il lavoro sui classici e in questo momento sono molto presa dall'opera di Shakespeare. Avverto anche qui questo senso forte di modernità che mi danno Petito, Scarpetta, Viviani. Più in generale posso dire di essere molto attratta da opere con strutture forti. Un teatro nel senso pieno della parola in grado di dare il massimo delle emozioni o il massimo del gioco. Shakespeare ti pone i grandi interrogativi universali, come accade nel Riccardo III o nel Macbeth che ho allestito alcuni anni fa. Ma allo stesso tempo, come Scarpetta e Petito, può muoversi anche su un piano di grande leggerezza e ironia. Proprio La Bisbetica domata è un formidabile esempio di teatro nel teatro. Il prologo prevede l'arrivo di una compagnia di comici che dichiarano che quella sera reciteranno, appunto, La Bisbetica domata. Lo scavo nel cuore dell'animo umano qui si trasforma in una ricerca di “naturalità” che comunque risponde sempre un grande impegno di verità. Quali sono i punti di contatto fra questi due universi teatrali? Il linguaggio, sicuramente. O comunque il discorso sulla lingua. C'è in Shakespeare, come per altri versi, negli autori napoletani, quello che definisco uno splendore della lingua. Una ricchezza, una sontuosità del “dire”. E dove il “detto” e il “pensato” si uniscono in un giro di voce. Una lingua che per arrivare a noi in tutta la sua ricchezza e armoniosità, deve essere, per l'appunto, storicizzata, avere in tutti i sensi, cioè, la piena dignità di lingua teatrale. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’attrice scoperta da Taranto musa di Moscato con Napoli 43 e la novità Patria Puttana Cristina Donadio: “Il cinema mi attira, ma il teatro è la mia vita” ‘Patria Puttana’ e, inoltre, ho in stagione anche una mia performance, ‘Sexton’, di cui sono ideatrice e regista oltre che attrice, ispirata alle favole dei fratelli Grimm trasformate dalla poetessa americana Anne Sexton”. Maurizio Vitiello Occhi magnetici, sguardo forte, pulsante. Cristina Donadio, uno dei volti più intensi del cinema e del teatro italiani d’autore. Attrice essenziale, vigorosa, appassionata, a soli diciotto anni debuttò nel film “Nel regno di Napoli” di Werner Schroeter. Ha raggiunto la notorietà nel 1993 interpretando Carmela nel secondo episodio di “Libera” di Pappi Corsicato. Nella sua carriera non ha mai amato mediazioni e, dopo essere stata diretta da Liliana Cavani, da Pasquale Squitieri e aver recitato al al fianco di Sergio Castellitto, Claudia Cardinale, Fabrizio Bentivoglio, al cinema è diventata attrice preferita di Pappi Corsicato e a teatro “musa” di Enzo Moscato. Nel 2012 torna sul grande schermo con “L’era legale”, diretta da Enrico Caria. E’ reduce tra l’altro del grande successo in prima mondiale dello spettacolo di Sara Sole Notarbartolo, «Sueño #4», interpretato magistralmente dall’attrice, affiancata sul palco da Valentina Curatoli e Raffaele Balzano a Pietrarsa nell’ambito della scorsa edizione del Napoli Teatro Festival. Uno spettacolo che si è aperto con un omaggio al drammaturgo spagnolo Calderón de la Barca, autore nel 1635 del dramma filosofico-teologico «La vita è un sogno», e alla riscrittura che ne fece Pasolini. Come è iniziata la sua avventura di attrice? Ero una ragazzina, con Geppy Gleijeses, eravamo due giovani che, pieni di entusiasmo e voglia di vivere, si buttavano nel mondo del teatro. In quell'occasione venni scoperta da Nino Taranto e cominciò la mia vita di attrice professionista in giro per l'Italia. A scuola di palcoscenico da un grande interprete della tradizione. Cristina Donadio Subito dopo, fui chiamata da Aroldo Tieri per entrare nella sua compagnia con Giuliana Lojodice, Gianni Agus, Carlo Hintermann. Col tempo ho acquisito il vero significato dello stare in scena, la consapevolezza necessaria, e devo dire che tutto ciò è stato frutto dell'incontro fondamentale, nel mio percorso di attrice, con Enzo Moscato e il suo teatro di frontiera. Werner Schroeter e il film ‘Nel regno di Napoli’ che vinse premi nei festival più importanti del mondo. Ricordo attori e registi un po’ alla rinfusa, Squitieri, Bevilacqua, Pasquale Marrazzo, Ben Gazzara, Vittorio Caprioli, Bentivoglio, Klaus Kinski, Treat Williams, Margaret Lee, Leandro Luchetti… e Murgia, Pisciscelli, Gaudino, la Cavani, Sandro Dionisio... E’ stata anche una musa di Pappi Corsicato. Quando ho incontrato il suo cinema eravamo già compagni di lavoro. Lui aveva composto delle musiche per i miei spettacoli teatrali. Dunque, ‘Libera’ prima e, poi, tutti gli altri film girati con lui sono frutto di una profonda conoscenza reciproca. Pappi è una persona speciale e un regista di grande visionarietà. Adoro i suoi film. Il cinema le interessa più del teatro? Il teatro è la mia vita, è qualcosa di necessario, di imprescindibile; è la mia storia, è qualcosa a cui non posso rinunciare. Il cinema mi deve catturare, deve far scattare in me un'urgenza, una spinta alla quale non riesco a sottrarmi. E, lo confesso, questo succede di rado purtroppo. A quanti film ha partecipato e con quali registi? Ho girato tanti film nella mia vita, molti con giovani registi alla prima esperienza. Amo il cinema indipendente e sono sempre pronta a mettere la mia anima e il mio volto in una storia che mi catturi, anche se non è un progetto commerciale. Tra i tanti, amo ricordare il primo, In questo momento che sta facendo? Sto per riprendere ‘Napoli 43’, uno spettacolo scritto e diretto da Enzo Moscato sulle Quattro Giornate di Napoli, dove recito insieme a straordinari attori tra cui lo stesso Moscato, Antonio Casagrande, Benedetto Casillo. Lo porteremo al San Ferdinando. Sempre con Moscato preparerò una novità, Il libro Dalla “A” alla “PP” lo spumeggiante “Alfabeto” di un maestro della scena, Paolo Poli Maddalena Caccavale Menza Raramente fioriscono geni della scena come Paolo Poli e, quando succede, non solo è doveroso apprezzare questa fortuna che come spettatori riceviamo, ma anche diffondere il più possibile il germe di genialità, sia pure per contagio. Così risulta necessario il libro curato da Luca Scarlini (Ed. Einaudi 2013) che è stato ideato come una sorta di dizionario – da qui il titolo ALFABETO POLI - dove compaiono le voci più significative del pensiero dell’artista toscano, ricavate dalle interviste da lui rilasciate nel corso degli anni. Dalla “a” di “aggettivi” alla “z” di “Zeffirelli”, nasce il ritratto di un protagonista dello spettacolo italiano, e si aprono squarci insoliti su una storia del teatro che è vista da angolazioni ironiche. Poli ha solcato la scena per oltre cinquant’anni, ma non si è limitato a interpretare personaggi desunti da altri. Al contrario, ha imposto il proprio stile, la personalità, l’eleganza in un Paese dov’è difficile trovare simili virtù, senza cadere nel vittimismo e nel compiacimento di chi si sente tanto “incompreso” (non gli piacciono più di tanto neppure le associazioni gay). Poli è riuscito a dare un forte segnale della propria arte attraversando con passo leggero un periodo lungo della nostra storia. Fui colpita molto da quanto dichiarato nel corso di un’intervista che mi concesse: gli chiedevo un parere sul ruolo che la censura ha rappresentato nel suo mondo e sugli ostacoli che ha incontrato a causa di essa; basti ricordare lo spettacolo censurato su Santa Rita da Cascia, o l’epurazione dalla televisione perché omosessuale. E Poli mi rispose: “Solo le galline e i cani si ostinano a battere sempre sullo stesso punto del cancello, senza capire la realtà. Le scimmie aggirano l’ostacolo trovando un punto meno battuto da dove passare”. Ecco, per lui è stato così, ha fatto sempre quello che ha voluto. “Alfabeto” è veramente un libro interessante dove ci si può immergere nel mondo della scena italiana attraverso lo sguardo impietoso e divertito di un protagonista; un artista che è ancora più grande perché ha anche saputo non prendersi troppo sul serio, “Fidanzato con i libri” (è un uomo coltissimo), Poli parla di Pasolini, del Signora Bonaventura, di Franca Valeri, Federico Fellini e Milena Vukotic con la stessa leggerezza e ironia con cui parla di sé quando confessa di “non essere tanto omosessuale da amare se stesso”. In quarta di copertina si legge - ed è vero - che questo è l’alfabeto di chi non ha mai avuto paura di stare al mondo. Selezionando centinaia d’interviste cartacee, televisive e radiofoniche, Scarlini è riuscito a “costruire un sillabario poetico e brillante” in cui il pensiero di Poli si esplicita sempre, spumeggiante e intelligente, “sul filo dell’ironia e del paradosso”. © RIPRODUZIONE RISERVATA Napoli le sta dentro? Certo che mi sta dentro; è la città in cui sono nata e la cui bellezza mi commuove ancora. La sua luce speciale illumina le mie giornate anche quando sono lontana. Nonostante le sue contraddizioni è la città in cui ho deciso di vivere e di resistere. Napoli per me è uno stato d'animo”. Non la lascerebbe nemmeno per Roma o Milano? Ho vissuto a Roma per 12 anni, pensavo come tanti miei colleghi che fosse la scelta giusta se vuoi fare l'attore; poi, col tempo ho sentito il bisogno di tornare a Napoli e ho capito che trovavo molti più stimoli nello stare nella mia città. Il nostro mestiere ci porta sempre in giro, avere un luogo di ritorno che ti appartenga è fondamentale per ritrovarsi. © RIPRODUZIONE RISERVATA Per richiedere recensioni su libri di teatro scrivi a: antoniotedesco.teatrocult @hotmail.it Teatrocult è anche TEATROCULT FOYER PROGRAMMA VIDEO Seguici su Youtube Al Piccolo Bellini Gabriele Russo in cerca di Some Girl(s) Mario Migliaccio Capita di comportarsi in maniera scorretta con persone che in un certo senso hanno fatto parte della nostra esistenza e con le quali abbiamo condiviso molto. Così, per cercare di "regolare i conti", si fa un salto indietro nel proprio essere. Questo è ciò che accade in "Some Girl(s)", in cui il protagonista (Gabriele Russo), giovane insegnante e aspirante scrittore, decide di tornare indietro nel tempo e di andare alla ricerca delle sue ex che, per svariati motivi, ha fatto soffrire. Vien fuori il ritratto di un uomo con la paura estrema di impegnarsi in un rapporto serio e il senso di colpa continuo per un passato che non gli dà pace. Quattro le donne che si alternano in scena, Martina Galletta, Bianca Nappi, Roberta Spagnuolo, Guia Zapponi. Dalla penna di Neil LaBute nasce una brillante commedia, resa ancor più appassionante dalla regia di Marcello Cotugno. Al Piccolo Bellini fino al 15 dicembre. © RIPRODUZIONE RISERVATA TEATROCULT www.teatrocult.it [email protected] Supplemento di Napoliontheroad Registrazione del Tribunale di Napoli n. 5310 del 26- 06- 2002 Sede in via Nilo, 28 Napoli Direttrice Anita Curci Caporedattore Antonio Tedesco Vice caporedattore Maddalena Porcelli Hanno collaborato Maddalena Caccavale Menza, Laura Canevali, Federica De Cesare, Francesco Gaudiosi, Teofilo Matteis, Mario Migliaccio, Maurizio Vitiello Stampa Arti Grafiche P. Galluccio Vico S. Geronimo alle Monache, 37 Napoli [email protected] Per la tua pubblicità Chiamaci al 338 3579057 Programmazione teatri napoletani a dicembre ACACIA Dal 12 al 15 dicembre Nancy Brilli in “La locandiera” di Goldoni, regia di Giuseppe Marini Dal 19 al 22 dicembre Anna Galiena, Marina Massironi, Stefania Sandrelli, Sergio Muniz in “Tres” di J.C. Rubio, regia di Chiara Noschese Dal 26 al 29 dicembre Max Giusti in “Di padre in figlio”, di Max Giusti AUGUSTEO Dal 13 dicembre al 6 gennaio Alessandro Siani in “Sono in zona show” BELLINI Dal 10 al 15 dicembre Stefania Rocca e Daniele Russo in “Ricorda con rabbia” di John Osborne, regia Luciano Melchionna Dal 20 al 22 dicembre Balletto di Mosca La Classique in “Lo Schiaccianoci” da Chajkovskij, coreografie di Lev Ivanov - Marius Petipa Maître de Ballet Ekaterina Karpova, Evgenia Novikova, Andrey Shalin Da mercoledì 25 dicembre al 12 gennaio Nino D’Angelo in uno spettacolo da definire PICCOLO BELLINI Dal 19 al 22 dicembre “Racconti di giugno” di e con Pippo Delbono Dal 26 dicembre al 6 gennaio “A Zonzo #02” di e diretto da InBalìa Compagnia Instabile, con Marco Cacciola, Michelangelo Dalisi, Francesco Villano BRACCO Da giovedì 19 dicembre a domenica 12 gennaio Caterina De Santis, Davide Ferri e Rosario verde in “Onda su onda - ovvero giallo in crociera”, commedia comica, regia di Gaetano Liguori CILEA Dal 5 al 15 dicembre Federico Salvatore in “E noi zitti sotto” Dal 19 al 22 dicembre Luigi De Filippo in “Un suocero in casa”, di peppino e Titina De Filippo, regia di L. De Filippo Dal 25 dicembre al 6 gennaio Biagio Izzo in “Esseoesse”, di Bruno Tabacchini e Biagio Izzo, regia di Claudio Insegno DIANA 2 dicembre “The Genesis Box, un’opera rock”, spettacolo di musica e danza Dal 4 al 15 dicembre Giuseppe Fiorello in “Penso che un sogno così…”, su Domenico Modugno, regia di Giampiero Solari 11 dicembre Michele Caputo in “Komicamente”, cabaret 16 dicembre Peppe Servillo e Solis String Quartet in “Spassiunatamente” Dal 18 dicembre al 6 gen Massimo Ranieri in “Viviani Varietà regia di M. Scaparro ELICANTROPO Da giovedì 5 a domenica 8 dicembre “In pantaloni rosa e garofano verde”, conferenza sull’omosessualità con Roberto Azzurro, che firma anche la regia GALLERIA TOLEDO Dal 5 all’ 8 dicembre “Delirio a due”, anticommedia di Eugene Ionesco, regia e interpretazione Elena Bucci, Marco Sgrosso Dal 14 al 28 dicembre “Miseria e nobiltà” di Eduardo Scarpetta, con Laura Borrelli, Agostino Chiummariello, Alessandra D’Elia, Michele Danubio, Roberto Giordano, Stefano Jotti, Antonio Marfella, Nunzia Schiano, Tonino Taiuti. Drammaturgia e regia di Laura Angiulli 25, 26, 29 e 30 dicembre Gino Curcione in “Scostumatissima tombola” MERCADANTE Dal 3 all’8 dicembre “Il cappotto”, liberamente tratto da Gogol, di e con Vittorio Franceschi, regia di Alessandro D’Alatri Dal 10 al 15 dicembre “La purga”, farsa di Feydeau, regia di A. Cirillo 9/12 dicembre nella sala Ridotto Per il progetto “Il mare non bagna Napoli”, tratto dalla Ortese, “Il silenzio della ragione”, regia di Linda Dalisi, con Michelangelo Dalisi NUOVO 4/8 dicembre Mariano Rigillo con “Ferito a morte – preludio”, di Raffaele La Capria, un monologo con regia di Cladio Di Palma 10/15 dicembre Vetrano e Randisi presentano “Totò e Vice’”, storia di due clochard nati dalla penna dello scrittore palermitano Franco Scaldati Dal 19 dicembre al 6 gennaio Renato Carpentieri, Toni Laudadio, Enrico Ianniello e Giovanni Laudeno in “Jucature”, di Paul Mirò, regia di E. Ianniello NUOVO SALA ASSOLI Dal 6 al 15 dicembre Nicoletta Braschi e Roberto De Francesco in “Giorni felici” di Beckett, regia di Andrea Renzi Dal 26 al 29 dicembre “La notte di Scroogie”, da Dickens, traduzione e adattamento Marco Mario de Notaris SAN FERDINANDO Programmazione dal 2 gennaio con “Le voci di dentro” di Eduardo De Filippo, con Toni e Peppe Servillo START (San Biagio theater and perfoming Art) 13/ 14 dicembre “Walking No Tav”, di e con Dario Muratore 19/ 20 dicembre “Il marito smarrito” da Molière, drammaturgia e regia di F. Renda TEATRO TROISI Dal 13 al 17 Umberto Orsini in “La leggenda del grande inquisitore”, da Dostoevskij TEATRO TOTO’ Dal 28 novembre all’8 dicembre Gianfranco Gallo nel musical “Quartieri spagnoli”, ispirato alla “Lisistrata” di Aristofane Da giovedì 12 a domenica 22 dicembre Paolo Caiazzo in “liberi tutti 2.0”, monologo comico Mercoledì 25 e giovedì 26 Giacomo Rizzo in “Un figlio per lo sceicco” THEATRE DE POCHE Da sabato 28 dicembre a domenica 26 gennaio “Il malloppo” dagli scritti di Joe Orton, regia di Peppe Miale TEATRO AREA NORD (TAN) Dal 6 all’8 dicembre Libera Scena Ensemble e Le Nuvole presentano “Garage”, regia di Lello Serao Dal 20 al 22 dic “Pulcinella e l’erede universale”, liberamente tratto da “Il testamento di Pulcinella” di Carlo Sigismondo Capece, regia di Massimo De Matteo TEATRO SANNAZARO Dal 6 dicembre Simone Schettino in “Se permettete, vorrei andare oltre” Dal 20 dicembre Lara Sansone in “Nuovo cafè chantant” NUOVO TEATRO SANITA’ Dal 5 all’8 dicembre “Hotel Splendid”, adattamento di Mario Gelardi da “Splendid’s” di Jean Genet TEATRO IL PRIMO Dal 13 al 22 dicembre “In nome del padre” Dal 26 al 19 gennaio “Bello, onesto, illibato, cerca vedova”