Whoopi Goldberg: "Spero che il Papa venga a Milano per vedere Sister Act"
Giovedì 16 Giugno 2011
L'attrice diventa co-produttrice della versione italiana del musical che debutterà in Italia
ad ottobre. Ci parla della sua carriera e dell'impegno politico
Fonte: la Repubblica
di Giuseppe Videtti
Una scrivania e tre scaffali zeppi di scarpe. Zatteroni, tacchi vertiginosi e un vasto assortimento
di sneaker di ogni genere. "Sono malata per le scarpe", esclama Whoopi Goldberg mentre si
rilassa nel suo ufficio alla Abc dopo la trasmissione The view. "Sa cos'è? Nel mondo dello
spettacolo tutti vestono firmatissimi. Io normalmente indosso jeans, ma i miei piedi devono stare
dentro scarpe fantastiche". È entusiasta all'idea della versione italiana del musical Sister Act
(dopo i trionfi al Palladium di Londra è ora approdato a New York) che debutterà il 27 ottobre al
Teatro Nazionale di Milano. "Ci sarò anch'io alla prima", assicura l'attrice, indimenticabile
Deloris nel fim del '92 (e nel sequel) che ha ispirato la commedia musicale in scena al
Broadway Theatre. Whoopi, 55 anni, non ha più l'età per calarsi nel ruolo della giovane soul
singer costretta a rifugiarsi in un convento di suore dopo aver assistito a un omicidio, ma ha
deciso di produrre lo spettacolo insieme alla Stage Entertainment, multinazionale europea del
musical (Stage Italia ha già avuto risultati importanti con
Mamma mia
,
La bella e la bestia
e
Flashdance
: 800mila biglietti venduti in due stagioni). "Il 23 giugno il Presidente Obama verrà a vedere
Sister Act a Broadway, sarà la prima serata di raccolta di fondi per la rielezione", annuncia
raggiante.
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Per una come lei che ha privilegiato l'attivismo e non si è risparmiata nelle lotte per i
diritti civili nel mondo la vittoria di Obama deve essere stata esaltante.
"Soprattutto per la soddisfazione di essersi tolti Bush dalle scatole. Ma purtroppo neanche lui fa
miracoli. Non sono ancora finiti i tempi di Dorothy Dandridge (attrice e ballerina che negli anni
Cinquanta fu emarginata da Hollywood perché nera, ndr), e forse non finiranno mai. Spero che
a Milano venga il Papa".
Il Papa?
"Perché no? Non è mica uno spettacolo irrispettoso nei confronti della chiesa. Sister Act mi fa
anzi ripensare alla scuola cattolica dove mi mandava mia madre, con tutte quelle suore che
davvero credevano nella loro missione, un segno di speranza in un'epoca cinica come la
nostra".
Il musical è immerso in atmosfere vistosamente anni Settanta. Com'era lei, nativa di
Manhattan, all'epoca? Una frequentatrice dello Studio 54?
"Macché, ero da poco diventata mamma, mia figlia è nata nel 1974. Ma la grande cosa degli
anni Settanta è che chiunque poteva andare in un club, ballare e sentirsi bello, che fosse il
localino di quartiere dove scendevi senza un filo di trucco o lo Studio 54 dove andavi conciata
come la Patti LaBelle di Lady Marmalade. Di fronte al ballo erano tutti uguali, ricchi e poveri,
bianchi e neri".
Una nomination e un Oscar (per Il colore viola e Ghost), teatro, canzone, radio e tanta
televisione. Quando ha deciso che sarebbe diventata un'entertainer?
"Mia madre raccontava che appena nata già alzavo la testolina come fanno gli attori quando
arriva l'applauso. Da quel gesto capì - e decise - che sarei diventata un'attrice. Quand'ero
adolescente mi metteva in guardia: non potrai avere tutto quello che vuoi, non posso assicurarti
che sarai famosa ma sono certa che appartieni a quel mondo. Mi diceva: un'attrice può fare
tutto, e io impazzivo all'idea di poter impersonare un'astronauta, il presidente degli Stati Uniti o
una prostituta".
Chi sono stati i suoi primi idoli?
"Un paio di campioni di basket, Richard Pryor, tutti i gruppi rock e gli artisti che riuscivano a
creare una magia, come Fred Astaire e Judith Jamison".
Primo film a trent'anni, Il colore viola. È stata dura la gavetta?
"Il successo è arrivato piano piano, ma non posso dire di aver aspettato a lungo. Mi ero da poco
trasferita a Berkeley, in California. Ero in macchina con mia figlia e alla radio c'era Alice Walker
che leggeva un capitolo del Colore viola. Eravamo uscite per comprare un paio di scarpe, ma a
quel punto comprammo anche il libro. Mi piacque talmente che scrissi all'autrice. In quei giorno
ebbi anche un invito per portare il mio The spook show a New York. In casa trovai una lettera
viola. Col cuore in gola lessi il mittente: "A. Walker". Mi ringraziava, diceva di avermi visto e
apprezzato a teatro. Un raggio di sole in una giornata buia: al mio primo spettacolo Off
Broadway c'erano otto persone - una di loro era Bette Midler, gli altri tutti amici e parenti. Il
martedì mattina uscì una recensione sul New York Times: se il giornalista fosse stato il mio
fidanzato non avrebbe scritto di me così bene. La sera stessa lo show era sold out. Arrivò
anche Mike Nichols, che decise di portare The spook show a Broadway. Poi ricevetti una
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chiamata da Steven Spielberg. Pensai: vorrà vedere come sono per mettermi in qualcuno dei
suoi Indiana Jones. Rimasi di stucco quando a casa sua trovai anche Michael Jackson e
Quincy Jones. Mi disse: "Girerò Il colore viola e vorrei che lei fosse Celie. Lo guardavo
incredula e continuavo a ripetere: "No, no, no... non ho mai fatto un film, non so come si fa". E
lui: "Non si preoccupi, ne so abbastanza per due". Ecco come in un mese cambia una vita".
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