KASHMIR: dal Paradiso all’Inferno
Zahoor Ahmad Zargar – Renata Rusca Zargar
Copyright © 2013 Società Editrice
Dante Alighieri S.R.L. www.societaeditricedantealighieri.it
I diritti di elaborazione in qualsiasi forma o opera, di memorizzazione anche digitale
su supporti di qualsiasi tipo (inclusi magnetici e ottici), di riproduzione e di
adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie
fotostatiche), i diritti di noleggio, di prestito e di traduzione sono riservati per tutti i
paesi.
L’acquisto della presente copia dell’opera non implica il trasferimento dei suddetti
diritti né li esaurisce.
Le fotocopie per uso personale (cioè privato e individuale, con esclusione quindi di
strumenti di uso collettivo) possono essere effettuate, nei limiti del 15% di ciascun
volume, dietro pagamento alla S.I.A.E del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e
5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.
Tali fotocopie possono essere effettuate negli esercizi commerciali convenzionati
S.I.A.E. o con altre modalità indicate da S.I.A.E.
Per le riproduzioni ad uso non personale (ad esempio: professionale, economico,
commerciale, strumenti di studio collettivi, come dispense e simili) l’editore potrà
concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre un numero di pagine non
superiore al 15% delle pagine del presente volume. Le richieste per tale tipo di
riproduzione vanno inoltrate a:
Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell’ingegno
(AIDRO) - Corso di Porta Romana, n. 108 - 20122 Milano
e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org
Prima edizione ebook, formato PDF:
Settembre 2013 ISBN: 978-88-534-4094-5
Per segnalazioni o suggerimenti relativi a questo volume scrivere al seguente
indirizzo:
[email protected]
Società Editrice Dante Alighieri s.r.l. - via Monte Santo 10/A - 00195 Roma
KASHMIR: dal Paradiso all’Inferno
INTRODUZIONE
“Da Jammu, capitale invernale del Kashmir, un grande paesone ricco di hotel e di templi, l’autobus parte
per Srinagar (capitale estiva). Il paesaggio che viene attraversato ha dell’incredibile: dai finestrini del
veicolo si può scorgere il fiume, intorno al quale si adagiano ordinate risaie, che scorre in fondo a una gola
tra le verdi montagne. Ma, in alcuni punti, si vedono, laggiù in basso, delle carcasse di autobus o camion
precipitati, per qualche incidente, dalla strada che si snoda, pericolosissima, a serpentina. L’autobus, che
impiega dodici ore per compiere un tragitto di circa duecento chilometri, si ferma, all’ora dei pasti, presso
alcune baracche che offrono tè (con il sale e il latte da accompagnare con salatini o con il latte all’uso
indiano), samosa (una frittella ripiena di patate e altre verdure piccanti), riso tipico del Kashmir con carne
(capra, pecora, pollo) e verdure. I villaggi sono gruppi di capanne di terra o di lamiera... Qualche
scimmietta curiosa si affaccia ai bordi della strada. Poco prima della città, c’è la piccola moschea di
Bijibiharah e molti viaggiatori lanciano qualche rupia dal finestrino per ringraziare Dio di essere arrivati
sani e salvi. Ma ecco Srinagar, in una fertile valle a più di 1500 metri di altezza tra le catene dell’Himalaya:
la bellezza delle montagne e dei boschi dà l’emozione di un ritorno all’Eden. Al centro, il lago Dal, dove le
cime si specchiano immense e dove dondolano le houseboat, case barca, arredate con sontuosi tappeti, che
ospitano, per tutta l’estate, migliaia di turisti. Un tempo le houseboat offrivano rifugio ai colonizzatori
inglesi quando, durante la stagione più calda, sfuggivano alla calura dell’India per rinfrescarsi tra i monti.
Sul lago ferve la vita: le shikara, barche tradizionali che ricordano un po’ quelle del Lago Maggiore,
vengono guidate dai barcaioli che rimangono in piedi o accucciati a poppa e servono per movimentare
decine e decine di venditori ambulanti che si spostano per offrire pellicce, tappeti, oggetti vari di artigianato
ma anche verdure (il mercato si svolge sull’acqua). Non è raro vedere alcune shikara, arredate con preziosi
cuscini e tende ricamati dai vivaci colori, trasportare gitanti mollemente adagiati per un giro di alcune ore
sul lago, tra ninfee e vegetazione acquatica. Intorno al lago, sono stati edificati hotel per ogni borsa, dai più
splendidamente lussuosi alle modeste stanzette il cui affitto ha un prezzo estremamente contenuto (2-3000
lire per notte). Le strade sono gremite di biciclette, taxi, bus, camion, carri trainati da cavalli, taxini (i
nostri furgoncini a tre ruote coperti e attrezzati per il trasporto di due o tre persone a prezzo più conveniente
rispetto al taxi tradizionale). Tutti suonano il clacson, riempiendo l’aria di allegro rumore e confusione.
Dappertutto si aprono negozi di tutte le specie, da quelli enormi con più vetrine, dove si può stare molte ore
a sorseggiare tè (particolare è il cawa, miscela preparata senza latte ma con cannella e cardamomo) o altre
bevande mentre i commessi mostrano tutta la mercanzia, ai modesti carrettini sulla strada. Ovunque si
contratta, in un estenuante gioco tra compratore e venditore, e ovunque ci sono kashmiri che offrono ai
turisti di tutto: una tazza di tè, una camera, un tappeto, una gita turistica… I voli per le altre città dell’India
sono tutti al completo. La sera il traffico è un po’ attenuato, ma si può passeggiare senza essere disturbati
(se non dai soliti venditori) e magari prendere un bel gelato o andare al cinema. Nell’aria c’è un’atmosfera
di pace, il buio scende dolcissimo sulle cime maestose, intorno volano aquile che si mescolano a ogni tipo di
uccello e gli alberi, altissimi e foltissimi, contornano i paesaggi della valle, detta la Svizzera dell’Oriente.
Subito fuori città, piantagioni di zafferano si alternano a frutteti, e poi cavalli, con i loro forti cavalieri, hut,
piccole casette tra i boschi per villeggiare…”
Questi sono gli appunti tratti dal diario che tenevo quando andavo a Srinagar in estate, verso la fine degli
anni ‘80. In seguito, tutto è cambiato: i turisti sono scomparsi, le houseboat languono quasi sempre in
solitudine, la città, pur continuando a essere animata, è diventata sede di scontri che durano proprio dalla fine
degli anni ‘80. La storia di questa tragedia me l’ha raccontata Zahoor Ahmad Zargar, mio marito, un
kashmiro che ora vive in Italia pur continuando a frequentare il suo paese per motivi di famiglia e di lavoro. Io sono nato e vissuto in Srinagar, la capitale estiva del Kashmir, e ricordo che nell’89 è iniziata una guerra
armata, sono nati cioè dei gruppi di militanti che hanno ucciso, in diversi attentati, alcuni soldati indiani. La
gente è rimasta scioccata da questi fatti perché, fino ad allora, non aveva mai avuto combattimenti nel
territorio, specialmente cittadino, dato che, anche durante le guerre, i soldati combattevano alle frontiere.
Comunque, la maggior parte di loro, inizialmente, ha fiancheggiato questi gruppi che chiedevano
l’indipendenza ed è scesa nelle strade a manifestare. Si sono formati ben 112 gruppi diversi che si andavano
ad addestrare nei campi del Pakistan, dove erano equipaggiati, armati e finanziati e da dove tornavano per
combattere; impossibili da controllare perché la frontiera è molto lunga e tutta su alte cime di montagna.
Alcuni di questi gruppi, però, hanno iniziato a taglieggiare la gente con rapine, prepotenze, violenze,
1
molestie. Entravano nelle case a loro piacimento, hanno ucciso medici, giornalisti, insegnanti,
commercianti, esponenti del Parlamento locale; hanno praticato esecuzioni sommarie per le strade in base
ad accuse mai dimostrate… Il paese è precipitato nel terrore mentre la guerriglia si espandeva in tutto il
territorio, fino ai più sperduti villaggi e la gente ha perso la fiducia nelle vere intenzioni di quei combattenti.
Molti dei cosiddetti Mujahideen erano, infatti, persone che non possedevano nulla, mentre ora hanno interi
palazzi! In questi anni, infine, la maggior parte dei militanti sono stati uccisi, altri sono stati imprigionati,
altri ancora sono tornati alla vita normale, per cui tanti gruppi non esistono più. Le città, però, sono
divenute “blindate”: ad ogni angolo di strada c’è un bunker dentro al quale si riparano soldati indiani con
le armi puntate sulla gente e sulle case, per le vie ci sono tanti e tanti soldati (uno ogni dieci abitanti, si
dice) sempre con il fucile puntato, molti lussuosi alberghi sono stati trasformati in quartier generale degli
occupanti e sono stati abbrutiti da sacchi di sabbia alle finestre e sui balconi. I Kashmiri sono stati
torturati, in alcuni casi, dai Mujahideen e dai soldati indiani. Quando, ad esempio, si spargeva la voce che
dei combattenti si trovavano in un dato luogo oppure si verificava un attentato, l’esercito indiano per
rappresaglia circondava il quartiere (crack down). Gli uomini allora dovevano uscire uno per uno e
radunarsi in una piazza con le mani alzate dove rimanevano l’intero giorno, senza bere né mangiare,
fintanto che i soldati non avevano ultimato di perquisire tutte le case. Intanto le donne restavano sole,
soggette ad insulti e molestie. Alle volte veniva ordinato il coprifuoco, magari per 10-15 giorni. Nessuno
quindi poteva uscire di casa, non si andava a lavorare, si rimaneva senza luce, senza cibo, senza poter
chiamare un medico se necessario, le donne dovevano partorire in casa senza aiuto, con tutte le
conseguenze che si possono immaginare! In questi anni, molti civili si sono trovati senza colpa a transitare
nel momento in cui si verificava uno scontro e sono stati colpiti: alcuni addirittura nelle loro case, bambini
intenti a prendere il latte sono stati uccisi da pallottole entrate dalla finestra! Noi avevamo nel Kashmir una
minoranza indù con la quale abbiamo veramente vissuto condividendo le reciproche feste, cerimonie, lutti.
Insieme andavamo a scuola, giocavamo, tanto che la nostra mentalità è identica. I Mujahideen hanno ucciso
tanti induisti così molti altri, per paura, sono fuggiti ed ora vivono profughi in varie parti dell’India (e
specialmente a Jammu), il che è veramente triste anche perché i Kashmiri indù erano fermamente pacifisti.
Anzi, al tempo della divisione tra India e Pakistan, quando tutti lottavano tra di loro, l’India “bruciava” ed
il Mahatma Gandhi era disperato, egli riconosceva nel Kashmir l’unica luce nel buio di quel terribile
periodo ad illuminare il subcontinente indiano. Infatti, mai nel nostro paese ci sono stati fenomeni di
intolleranza. La guerra del Kashmir non deve essere assolutamente catalogata come “guerra di religione”
perché è stata imposta da India e Pakistan a causa della loro occupazione e dei loro interessi. I gruppi
armati, tra l’altro, hanno distrutto o danneggiato 120 ponti (Srinagar è attraversata dal fiume Jhelum ed il
paese dall’Indo), le scuole (alcune erano state appena attrezzate modernamente), l’acquedotto, l’impianto
per l’elettricità, impedito che si potenziasse la rete telefonica, ecc. Alcuni volevano impedire alle donne di
uscire di casa senza il velo, anzi, hanno gettato dell’acido sul viso a ragazze che andavano al college, hanno
proibito a tutti di usare il videoregistratore perché le videocassette potevano essere a “luce rossa”! Grazie a
Dio, in Kashmir, queste forme estremistiche non hanno fatto presa sulla gente comune. Le ragazze non
portano il velo come succede anche nella maggior parte dei paesi islamici: se accendete la tivù e vi
sintonizzate sui canali di paesi a maggioranza musulmana, le donne, magari giornaliste e presentatrici,
hanno il capo scoperto. Nel mio paese le donne circolano liberamente, vanno a scuola (anche se non c’è in
India, come in altri paesi non ancora del tutto sviluppati, l’istruzione obbligatoria sia per maschi che per
femmine), fanno una vita normale a seconda delle loro usanze e condizioni sociali. Ormai, essendo i
Kashmiri combattenti (per lo più giovanissimi) uccisi o imprigionati, il Pakistan ha inserito nei gruppi
rimasti dei suoi infiltrati (dall’ISI- servizi segreti), degli afghani, dei Kashmiri dell’Azad Kashmir e dei
mercenari di altri paesi. Questi entrano dalle frontiere, uccidono qualcuno in qualche villaggio isolato e
fuggono. Nelle città, invece, ultimamente, la situazione è molto migliorata: la gente è tornata ad uscire la
sera, lavora, si è abituata ad avere, ogni tanto, bombe ed attentati. Chi esce di casa non sa mai se tornerà
sano e salvo, ma non si ferma lo stesso. Ognuno lotta per una vita migliore, tutti cercano di rendere più
bella la loro abitazione, di avere più comodità. Le statistiche dicono che le malattie ed il consumo di
medicine sono notevolmente aumentate, i medici denunciano gravi problemi soprattutto psicologici. La
maggior parte dei Kashmiri vuole l’indipendenza. Se considera l’India come paese occupante, non vuole
certo uscire da un’occupazione per andare sotto quella di un altro paese quale il Pakistan che è più povero,
meno sviluppato ed addirittura senza un governo democratico. Una minoranza (il 20%), invece, crede che il
Kashmir si debba riunire con il Pakistan per motivi religiosi. Il vero problema è che i grandi poteri
internazionali non hanno interesse per il Kashmir perché non ha petrolio e non è in una posizione strategica
2
(se non per l’India) mentre sia India che Pakistan strumentalizzano il conflitto per interessi interni. Per
questo la guerra del Kashmir è stata dimenticata insieme alle risoluzioni dell’O.N.U. Solo in questo periodo,
per i noti fatti afghani, il Kashmir è balzato all’onore delle cronache.articolo pubblicato sulla rivista “50&più”, febbraio 2002
I brani citati sopra sono appunti degli autori di questo testo, in anni diversi.
Il 1989 è l’inizio delle agitazioni in Kashmir.
Ora molto è cambiato. Ma circa 80000 persone sono morte, 10000 sono scomparse e sono state scoperte e
denunciate fosse comuni con centinaia di cadaveri: una lunga e sconvolgente storia che dimostra quanto il
mondo abbia dimenticato questo paese, inserito comunque nella più grande democrazia della terra.
3
CAPITOLO III
LA RELIGIONE
Nello stato del Kashmir le prime forme di Induismo furono sostituite dal Buddismo. Quando
Xuanzang1 visitò il Kashmir nel 631 d.C., fu stupito nel vedere il numero di monasteri e università
buddiste.
Alla fine del VII secolo, l’induismo soppiantò il buddismo come religione principale, mentre nel
XIV secolo prese piede l’Islam. Il sesto guru della religione Sikh visitò il Kashmir e vi fondò molti
gurudwaras (in punjabi, significa Porta del Guru, cioè luogo di culto o tempio sikh): vi è infatti una
folta popolazione sikh in J & K. L’architettura induista raggiunse il suo apice con la realizzazione
del tempio del Sole. Molti sacrari di santi si trovano sparsi in tutta la valle a dimostrazione che
religione e leggenda non sono mai troppo lontane l’una dall’altra nel Reshi-ver o terra dei saggi,
come spesso viene chiamato il Kashmir. Il tempio Kheer Bhawani è situato in riva a uno stagno il
cui colore può cambiare: si dice che le sue acque diventino nere prima di un disastro e rosse prima
di una guerra.
È difficile non identificare la Valle del Kashmir con la fede islamica perché gli induisti sono in
minoranza. Tra l’altro, un grande numero di indù che qui viveva pacificamente, ha lasciato la valle
del Kashmir o per paura, o per istigazione politica del Governatore Jagmohan (si veda il capitolo
“Storia”) nel gennaio 1990, rifugiandosi a Jammu e nella regione di Delhi.
Dagli altoparlanti delle moschee si sparge, al tempo delle cinque preghiere, il mattino di buon’ora, il
mezzogiorno, nel pomeriggio, quando il sole è tramontato, prima di andare a dormire, il richiamo
cantato dell’imam che invita i fedeli alla moschea. Il venerdì, giorno della preghiera collettiva,
attraverso l’altoparlante viene divulgata anche la predica, così chi non è potuto andare alla moschea,
può sentirla lo stesso. Normalmente, la donna non è obbligata: può avere, magari, le mestruazioni,
allattare, essere incinta o, semplicemente, dover curare la casa e la famiglia. Le moschee sono
moltissime: grandi, piccole, ogni quartiere ne ha una. Così, ad esempio, quando si entra nel cortile
di una tra le tante, ci si tolgono subito le scarpe. Gli uomini accedono alla parte a loro destinata e le
donne salgono al piano superiore. I fedeli si ordinano in file, spalla contro spalla, con il viso rivolto
a La Mecca. Nella moschea non c’è distinzione tra ricco e povero, né di razza o di qualunque altro
tipo. Ogni uomo o donna è uguale davanti a Dio e si colloca, man mano che giunge alla moschea,
vicino al compagno-a (sempre nella zona maschi o femmine) che gli capita. Non esistono posti
riservati. Le donne devono avere il velo che ricopra loro rigorosamente i capelli, gli uomini hanno
anche un copricapo tradizionale che la maggior parte di loro usa, benché non sia obbligatorio.
Una delle grandi moschee di Srinagar, Hazratbal, che si affaccia sul lago, è molto famosa perché là
viene custodita una preziosa reliquia, un capello del Profeta. Il venerdì, giorno di preghiera,
vengono allestite grandi tende sui prati circostanti per coprire dal sole. Un’enorme moltitudine di
donne vi si sistema in attesa della preghiera. Passano tra le file anche venditrici di verdure o di
qualche cibo pronto. Finita la preghiera, molte donne vanno via, ma tante restano, consumano cibi
portati da casa o comprati nelle baracchette che li vendono subito fuori dallo spazio riservato alla
1
Chen Yi, detto Sanzang (giapponese Sanzō) dal nome dei sutra che portò con sé dal suo viaggio, (Luoyang, 602 – Yu
Hua Gong, 664) è stato un monaco buddhista, esploratore e traduttore cinese, che intraprese un pericoloso viaggio lungo
la via della seta, ed è per questo spesso paragonato a Marco Polo. Durante questo lungo e difficile percorso, Xuanzang
raggiunse Purushapura (odierna Peshawar), dove vide molti stupa, deducendo dal numero di fedeli che il buddhismo
nella regione stava cominciando il suo declino. Quindi, continuò verso Nord-Est fino ad attraversare l'Indo a Hund,
dirigendosi a Takshashila (oggi Taxila, in Pakistan), che si trovava all'interno di un regno buddhista vassallo del
Kashmir; la città ospitava un'importante università e, all'epoca, raccoglieva 5.000 monaci in circa 100 monasteri. Qui
egli incontrò importanti esponenti del buddhismo Mahāyāna e si fermò a studiare con loro per un paio d'anni;
nell'università trovò anche importante materiale sul Quarto Concilio Buddhista tenutosi in Kashmir intorno al I secolo
sotto l'egida del re Kanishka di Kushan.
1
moschea, chiacchierano, mentre i loro figli piccoli giocano. Insomma, il venerdì può essere anche
l’occasione per incontrarsi e fare un pic-nic sull’erba.
LA MORTE
I cimiteri nel Kashmir possono essere situati ovunque: non ci sono restrizioni che impongano le
città dei morti che siamo abituati a vedere in Italia. Per la religione islamica, il defunto deve essere
seppellito nudo in una stoffa bianca e adagiato nella terra con la testa rivolta a La Mecca. Questo è
tutto quanto viene richiesto al fedele. Se qualcuno ha spazio nel suo giardino, ad esempio, ed ha
piacere di farlo, può tenere i suoi cari vicino a sé. Altrimenti ci sono i molti cimiteri, grandi e
piccoli, sparsi un po’ dovunque tra l’abitato. Un angolino tra diverse case, o uno spazio più esteso in
periferia, tutti hanno in comune le semplici lapidi apposte con il nome del defunto e la mancanza di
qualunque altro ornamento. Tra queste lapidi crescono le erbacce spontanee, gli animali circolano
liberamente: cani, cavalli, galline… quello che vive nei dintorni. Quando un parente vuole portare
un omaggio, compra del mais, riso o grano da dare agli uccelli che vivono sugli alberi perché essi
abbiano da mangiare.
Dopo la morte, il ricco e il povero
ritornano completamente uguali e il loro
riposo non è turbato dall’esibizione della
materialità terrena.
Gli induisti, invece, vengono bruciati sulla
pira e le loro ceneri vengono raccolte in un
vaso che può essere conservato oppure
essere disperse nel fiume. Se possibile,
bagnano il defunto con l’acqua sacra del
Gange (che magari qualcuno gli ha portato
custodita in una bottiglietta), quindi il
corpo viene lavato, messo in un telo
bianco sulla pira e il primo figlio maschio
accenderà il fuoco.
I figli maschi si tagliano tutti i capelli in
segno di lutto.
2
INDUISMO
L’Induismo è la religione più professata in Asia e la terza nel mondo ed è anche la più antica
religione esistente al mondo.
Alcuni aspetti dell'induismo (come il culto delle forme naturali, ad esempio i fiumi come dèi)
possono essere fatti risalire a 3.500 a.C. ma dal 400 a.C. l’Induismo aveva sviluppato la maggior
parte delle sue caratteristiche peculiari.
La base della filosofia indù si trova nei quattro Veda: una raccolta di inni, tramandata oralmente
fino al 1200 a.C., quando è cominciato il processo della loro scrittura che ha impiegato centinaia di
anni per essere completato.
Il Rg Veda è il più antico e più sacro (circa 800 a.C.).
Le Upanishad (circa 600 a C.) contengono il primo riferimento alla reincarnazione dell'anima in
corpi diversi (trasmigrazione).
Il Mahabharata è un poema epico di cui è parte la Bhagavad-Gita ("Il Canto di Dio"), in cui Vishnu
racconta la sua filosofia attraverso Krishna che è disceso in forma umana sulla terra per aiutare e
dove vengono stabilite le regole per la vita quotidiana, che sono ancora le principali fonti di
riferimento per gli indù.
Una caratteristica importante dell’induismo è la credenza nella reincarnazione: la trasmigrazione
dell'anima (samsara). La fede nella rinascita dell'anima può aver incentivato la non / violenza
(ahimsa) e l’accettazione di quello che succede che spesso noi occidentali identifichiamo con una
certa passività.
Gli obiettivi della vita umana (purusharthas) sono:
Moksha: obiettivo finale, è la liberazione dell'anima dal ciclo delle rinascite che è, comunque, un
peso. L'anima individuale (atman) si unisce con Brahman, l'anima universale. Si può arrivare a
questo attraverso l'acquisizione della conoscenza spirituale con lo yoga e la meditazione, con la
devozione a Dio o lavorando disinteressatamente per il bene della società.
Dharma: doveri che dipendono dall'età e dalla posizione. Il rispetto per gli anziani, ad esempio, e il
matrimonio come dovere religioso. L’ordine-armonia deve essere a livello spirituale con l'universo,
poi nella società dove ruota attorno al sistema delle caste, infine nella persona mediante
l'obbedienza a un codice morale.
Artha: ricerca del guadagno materiale con mezzi leciti.
Karma: comportandosi in modo puro, privilegiando la conoscenza e la devozione, è possibile
reincarnarsi a un livello superiore e accorciare il percorso delle incarnazioni. L'opposto ottiene il
risultato contrario. Quindi, tutti i nostri atti vengono pagati (il male) o riscossi (il bene) nelle
incarnazioni successive, in una forma di profonda giustizia e uguaglianza per tutti.
Gli Induisti devono praticare offerte (puja) alle rappresentazioni degli dèi, cremare i morti e
rispettare le caste.
Il sistema delle caste è una divisione della società complessa in cui ogni gruppo ha delle regole di
comportamento. La casta è una questione di nascita e non si può cambiare se non con la rinascita e
secondo le regole del karma. I gruppi sono: • bramini - i sacerdoti e intellettuali; • Kshatriya - gli
amministratori e militari; • Vaishyas - negozianti, commercianti, agricoltori; • Sudras - braccianti e
addetti ai servizi. Un ultimo gruppo detto degli • 'Intoccabili' (o Dalit, oppressi) è al di sotto gli altri
quattro e serviva a svolgere tutti i lavori più sporchi. Oggi le caste sono state eliminate dalla
legislazione indiana ma restano tuttavia un aspetto importante della cultura sociale.
Molti affermano che la conversione all’Islam di tanti induisti sia stata facilitata anche dal fatto che
l’islamismo non ha differenze di casta e quindi essi si liberavano del peso di appartenere ad una
casta inferiore.
I principi basilari indù sono: Brahman, lo spirito creativo elementare, non ha forma, è eterno;
Vishnu, il conservatore, ha già avuto nove incarnazioni tra cui Rama e Krishna (e anche il Buddha);
Shiva, il distruttore ma, dato che nell'induismo non ci può essere rinascita senza morte, anche il
creatore, rappresentato pure dal lingam (fallo).
3
Gli Dèi (ci sono 330 milioni di divinità e demoni) appaiono in diverse forme maschili, femminili, o
animali, come Ganesha il Dio elefante (portatore di prosperità). Altri Dèi popolari sono Indra (dio
della pioggia), Chandra (Dio della luna), Yama (Dio della morte), Surya (Dio del sole), Lakshmi
(Dea della ricchezza), Hanuman (il devoto di Rama), Sarasvati (Dea della conoscenza ).
Per molti indù la loro religione è monoteista: essi, infatti, credono in una verità ultima che
comprende tutte le realtà (Brahman).
Oltre ai templi, gli Indù hanno santuari semplici nelle strade e nei villaggi che possono essere
rappresentati da un quadro o una statua di uno o più dei.
La maggior parte delle case indù ha un proprio angolo dove fanno offerte di cibo, fiori, incensi, al
loro Dio la mattina e la sera: si spande così un forte odore all’intorno. Se la preghiera è stata
eseguita in un tempio, il Sacerdote segnerà la fronte del fedele con la pasta rossa (tika) come segno
di benedizione. Al termine della cerimonia, il cibo che è stato offerto al Dio è dato ai bisognosi:
questo si chiama Prasad (cibo Santo).
Non vi è alcun obbligo per un indù di andare in pellegrinaggio, ma molti lo fanno. Ci sono molti
luoghi sacri per gli induisti, anche in Kashmir.
Molti indù cercano di fare il bagno nel Gange, fiume sacro, per lavare via i peccati. Ci sono alcuni
luoghi particolari come Varanasi (sul Gange) che sono considerati come buoni posti per morire ed
essere cremati, per procedere nel cammino delle incarnazioni.
BUDDISMO
Il buddhismo (la parola è stata introdotta in Europa nel XIX secolo per indicare gli insegnamenti di
Siddhārtha Gautama in quanto Buddha) ebbe origine in India, nei pressi di Sarnath, a pochi
chilometri dall’odierna Varanasi (una volta Benares). Infatti, là, nel parco delle gazzelle, nel 528
a.C., venne tenuto il primo discorso del Buddha ai suoi primi cinque discepoli, all'età di 35 anni,
dopo che nei pressi del villaggio di Bodhgaya, nell'odierno stato del Bihar, aveva raggiunto il
risveglio spirituale. Quel discorso, anche detto il "Discorso di Benares", è fondamentale per il
Buddhismo, che da questo prende le mosse, tanto da farlo considerare l'evento che dà inizio al
Dharma, cioè alla dottrina buddhista. La ricorrenza è festeggiata nei paesi di tradizione theravāda
con la festa di Magā Puja, il "giorno del Dhamma" (o Dharma). Da altri è invece considerato il
punto d'inizio della prima comunità buddhista, formata proprio da quei cinque asceti che lo avevano
abbandonato anni prima, sfiduciati, dopo essere stati a lungo suoi discepoli. Nel discorso si
identifica il buddhismo come "La Via di Mezzo" in cui si riconosce che la retta condotta risiede
nella linea mediana di condotta di vita, evitando gli eccessi e gli assolutismi, ma anche il lassismo e
l'individualismo. È accertato che il Buddha sia stato un personaggio storico: la sua dottrina si
diffuse in molta parte dell'India, quindi la conversione dell'imperatore Asoka (250-249 ? a.C.) diede
nuovo impulso al buddhismo, dichiarato religione di Stato e favorito anche dalle missioni che si
svilupparono sia all'interno che all'esterno dell'Impero.
Nel buddismo si costituirono molte sette con caratteri che le differenziarono sempre più finché,
verso l'inizio dell'era cristiana, nacque un buddhismo che, con il nome di "grande veicolo"
(mahayana), si contrappose al buddhismo tradizionale chiamato "piccolo veicolo" o theravada o
hinayana.
Sotto Kaniska (II sec.) pare sia stato tenuto un nuovo concilio nel Kashmir.
Il buddhismo progredì raggiungendo il massimo della fioritura sotto la dinastia dei Gupta (secc. IVVI) ma, in seguito, decadde sia a causa delle persecuzioni che delle invasioni degli Unni, nel V sec.
Al declino del buddhismo contribuì il prevalere del tantrismo, dottrina che ne accentuava l'aspetto
rituale, formalistico e magico, del brahmanesimo e soprattutto dell'islamismo.
Nonostante ciò, il buddhismo si propagò per tutta l'Asia ed è tuttora una delle tre religioni più
importanti del mondo, con oltre 300 milioni di fedeli.
Il buddhismo theravada afferma l'eternità e l'indistruttibilità della materia elementare, la quale,
seguendo una legge meccanica fatale che esclude l'intervento della volontà e delle potenze divine,
unisce e combina i suoi elementi in modo da produrre tutto quello che esiste nell'universo. Secondo
4
un ciclo eterno e immutabile, i mondi si formano, si sviluppano, declinano e poi periscono per
ricostituirsi di nuovo; a ciascuna di queste fasi viene dato il nome di kalpa. Analoghe leggi regolano
l'anima degli esseri viventi, sottoposta a un processo di evoluzione che la porta, in successive
incarnazioni, dall'animale all'uomo e dall'uomo alla divinità attraverso un alternarsi di ascese e di
cadute, provocate dal prevalere delle virtù e dei vizi. Solo quando riesce a distruggere in sé vizi e
virtù, l'anima raggiunge lo stato che viene chiamato nirvana. Questo eterno rinascere costituisce il
tanto temuto male della trasmigrazione.
Nell'esposizione di questo insegnamento il Buddha enuncia le Quattro nobili verità, frutto del
risveglio spirituale da lui raggiunto. Esse contemplano l'aspetto pratico della condotta di vita e della
pratica spirituale buddhista nel cosiddetto Nobile ottuplice sentiero, che costituisce il secondo
cardine dottrinale del buddhismo.
I punti salienti della visione buddhista della realtà percettiva indirizzata dall'insegnamento del
Buddha sono: la dottrina della sofferenza, cioè che tutti gli aggregati fisici e mentali sono causa di
sofferenza qualora li si voglia trattenere ed essi cessano, oppure si voglia separarsene ed essi
permangono; la dottrina dell'impermanenza, cioè che tutto quanto è composto di aggregati fisici o
mentali è soggetto alla nascita ed è quindi soggetto a decadenza ed estinzione con la decadenza ed
estinzione degli aggregati che lo sostengono; la dottrina dell'assenza di un io eterno e immutabile
(ossia di un'anima), come conseguenza di una riflessione sui due punti precedenti. Inoltre, vi è la
dottrina della coproduzione condizionata, cioè del meccanismo di causa ed effetto che lega l'uomo
alle illusioni e agli attaccamenti che costituiscono la base della sofferenza esistenziale; e la dottrina
della vacuità che insiste sull'inesistenza di una proprietà intrinseca nei composti e nei processi che
formano la realtà e sulla stretta interdipendenza degli stessi.
Un elemento importante del buddhismo è la conferma dell'esistenza delle divinità proclamate dalla
letteratura religiosa vedica: le divinità esistono e vanno onorate ma non possono offrire all'uomo la
salvezza dal Samsāra, né un significato ultimo della propria esistenza.
Il dolore è parte indissolubile dell'esistenza; l'esistenza è prodotta dall'ignoranza, causa delle
passioni, dell'attaccamento ai beni esteriori e dei desideri che, agendo per mezzo dei sensi, danno
vita agli esseri. La via da seguire, quindi, è segnata dai Quattro nobili sentieri: la scienza, che
dimostra la vanità, il vuoto, l'instabilità, l'irrealtà del mondo esterno, degli oggetti composti da
elementi deteriorabili, dell'io, e la follia dell'attaccamento a queste cose; l'osservanza delle "Cinque
interdizioni", di uccidere, di rubare, di commettere adulterio, di mentire, di ubriacarsi; l'astinenza
dai "Dieci peccati" di omicidio, furto, fornicazione, menzogna, maldicenza, ingiuria, pettegolezzo,
invidia, odio, errore dogmatico; la pratica delle "Sei virtù trascendentali", la carità, la moralità
perfetta, la pazienza, l'energia, la bontà, la carità o amore per il prossimo. Ogni essere è
responsabile dei propri atti e ne subisce fatalmente le conseguenze (karma). Il saggio, come
compenso delle proprie virtù, ottiene di rinascere, secondo i propri meriti, come uomo di condizione
superiore, come appartenente alla classe dei geni del mondo della luce o a quella degli dei; se
raggiunge la perfezione, diventa bodhisattva e, infine, buddha. L'indifferente o il peccatore
rinascerà come uomo di condizione inferiore, come genio delle tenebre, demone, animale o in uno
dei diciotto inferni. L'inferno non è eterno; la severità e la durata delle pene sono proporzionali al
male commesso e, una volta terminata l'espiazione, l'anima riprende, nella scala degli esseri, il
posto che le è destinato in considerazione degli atti meritori che può aver compiuto. Gli Dei godono
di una potenza e di una felicità relative; sono semplici funzionari preposti, per un periodo limitato,
alla protezione dell'universo e sono ancora soggetti alla legge della rinascita. Solo i buddha non
devono più rinascere e possono godere della perfetta beatitudine del nirvana.
Il buddhismo del mahayana ha una concezione molto diversa. In luogo dell'etica proposta dal
theravada, addita la via del sentimento e della speculazione.
La comunità che si formò intorno al Buddha Sakyamuni era composta da fedeli laici o zelatori
(upasaka) e da monaci (bhiksu). Il laico deve venerare il Buddha, la legge e la comunità, attenersi
alle cinque regole fondamentali e acquistare meriti facendo doni alle comunità, elemosine ai monaci
e curando la lettura dei testi sacri. Nel mahayana ai laici viene data maggiore importanza in quanto
5