KASHMIR: dal Paradiso all’Inferno Zahoor Ahmad Zargar – Renata Rusca Zargar Copyright © 2013 Società Editrice Dante Alighieri S.R.L. www.societaeditricedantealighieri.it I diritti di elaborazione in qualsiasi forma o opera, di memorizzazione anche digitale su supporti di qualsiasi tipo (inclusi magnetici e ottici), di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), i diritti di noleggio, di prestito e di traduzione sono riservati per tutti i paesi. L’acquisto della presente copia dell’opera non implica il trasferimento dei suddetti diritti né li esaurisce. Le fotocopie per uso personale (cioè privato e individuale, con esclusione quindi di strumenti di uso collettivo) possono essere effettuate, nei limiti del 15% di ciascun volume, dietro pagamento alla S.I.A.E del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. 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Ma, in alcuni punti, si vedono, laggiù in basso, delle carcasse di autobus o camion precipitati, per qualche incidente, dalla strada che si snoda, pericolosissima, a serpentina. L’autobus, che impiega dodici ore per compiere un tragitto di circa duecento chilometri, si ferma, all’ora dei pasti, presso alcune baracche che offrono tè (con il sale e il latte da accompagnare con salatini o con il latte all’uso indiano), samosa (una frittella ripiena di patate e altre verdure piccanti), riso tipico del Kashmir con carne (capra, pecora, pollo) e verdure. I villaggi sono gruppi di capanne di terra o di lamiera... Qualche scimmietta curiosa si affaccia ai bordi della strada. Poco prima della città, c’è la piccola moschea di Bijibiharah e molti viaggiatori lanciano qualche rupia dal finestrino per ringraziare Dio di essere arrivati sani e salvi. Ma ecco Srinagar, in una fertile valle a più di 1500 metri di altezza tra le catene dell’Himalaya: la bellezza delle montagne e dei boschi dà l’emozione di un ritorno all’Eden. Al centro, il lago Dal, dove le cime si specchiano immense e dove dondolano le houseboat, case barca, arredate con sontuosi tappeti, che ospitano, per tutta l’estate, migliaia di turisti. Un tempo le houseboat offrivano rifugio ai colonizzatori inglesi quando, durante la stagione più calda, sfuggivano alla calura dell’India per rinfrescarsi tra i monti. Sul lago ferve la vita: le shikara, barche tradizionali che ricordano un po’ quelle del Lago Maggiore, vengono guidate dai barcaioli che rimangono in piedi o accucciati a poppa e servono per movimentare decine e decine di venditori ambulanti che si spostano per offrire pellicce, tappeti, oggetti vari di artigianato ma anche verdure (il mercato si svolge sull’acqua). Non è raro vedere alcune shikara, arredate con preziosi cuscini e tende ricamati dai vivaci colori, trasportare gitanti mollemente adagiati per un giro di alcune ore sul lago, tra ninfee e vegetazione acquatica. Intorno al lago, sono stati edificati hotel per ogni borsa, dai più splendidamente lussuosi alle modeste stanzette il cui affitto ha un prezzo estremamente contenuto (2-3000 lire per notte). Le strade sono gremite di biciclette, taxi, bus, camion, carri trainati da cavalli, taxini (i nostri furgoncini a tre ruote coperti e attrezzati per il trasporto di due o tre persone a prezzo più conveniente rispetto al taxi tradizionale). Tutti suonano il clacson, riempiendo l’aria di allegro rumore e confusione. Dappertutto si aprono negozi di tutte le specie, da quelli enormi con più vetrine, dove si può stare molte ore a sorseggiare tè (particolare è il cawa, miscela preparata senza latte ma con cannella e cardamomo) o altre bevande mentre i commessi mostrano tutta la mercanzia, ai modesti carrettini sulla strada. Ovunque si contratta, in un estenuante gioco tra compratore e venditore, e ovunque ci sono kashmiri che offrono ai turisti di tutto: una tazza di tè, una camera, un tappeto, una gita turistica… I voli per le altre città dell’India sono tutti al completo. La sera il traffico è un po’ attenuato, ma si può passeggiare senza essere disturbati (se non dai soliti venditori) e magari prendere un bel gelato o andare al cinema. Nell’aria c’è un’atmosfera di pace, il buio scende dolcissimo sulle cime maestose, intorno volano aquile che si mescolano a ogni tipo di uccello e gli alberi, altissimi e foltissimi, contornano i paesaggi della valle, detta la Svizzera dell’Oriente. Subito fuori città, piantagioni di zafferano si alternano a frutteti, e poi cavalli, con i loro forti cavalieri, hut, piccole casette tra i boschi per villeggiare…” Questi sono gli appunti tratti dal diario che tenevo quando andavo a Srinagar in estate, verso la fine degli anni ‘80. In seguito, tutto è cambiato: i turisti sono scomparsi, le houseboat languono quasi sempre in solitudine, la città, pur continuando a essere animata, è diventata sede di scontri che durano proprio dalla fine degli anni ‘80. La storia di questa tragedia me l’ha raccontata Zahoor Ahmad Zargar, mio marito, un kashmiro che ora vive in Italia pur continuando a frequentare il suo paese per motivi di famiglia e di lavoro. Io sono nato e vissuto in Srinagar, la capitale estiva del Kashmir, e ricordo che nell’89 è iniziata una guerra armata, sono nati cioè dei gruppi di militanti che hanno ucciso, in diversi attentati, alcuni soldati indiani. La gente è rimasta scioccata da questi fatti perché, fino ad allora, non aveva mai avuto combattimenti nel territorio, specialmente cittadino, dato che, anche durante le guerre, i soldati combattevano alle frontiere. Comunque, la maggior parte di loro, inizialmente, ha fiancheggiato questi gruppi che chiedevano l’indipendenza ed è scesa nelle strade a manifestare. Si sono formati ben 112 gruppi diversi che si andavano ad addestrare nei campi del Pakistan, dove erano equipaggiati, armati e finanziati e da dove tornavano per combattere; impossibili da controllare perché la frontiera è molto lunga e tutta su alte cime di montagna. Alcuni di questi gruppi, però, hanno iniziato a taglieggiare la gente con rapine, prepotenze, violenze, 1 molestie. Entravano nelle case a loro piacimento, hanno ucciso medici, giornalisti, insegnanti, commercianti, esponenti del Parlamento locale; hanno praticato esecuzioni sommarie per le strade in base ad accuse mai dimostrate… Il paese è precipitato nel terrore mentre la guerriglia si espandeva in tutto il territorio, fino ai più sperduti villaggi e la gente ha perso la fiducia nelle vere intenzioni di quei combattenti. Molti dei cosiddetti Mujahideen erano, infatti, persone che non possedevano nulla, mentre ora hanno interi palazzi! In questi anni, infine, la maggior parte dei militanti sono stati uccisi, altri sono stati imprigionati, altri ancora sono tornati alla vita normale, per cui tanti gruppi non esistono più. Le città, però, sono divenute “blindate”: ad ogni angolo di strada c’è un bunker dentro al quale si riparano soldati indiani con le armi puntate sulla gente e sulle case, per le vie ci sono tanti e tanti soldati (uno ogni dieci abitanti, si dice) sempre con il fucile puntato, molti lussuosi alberghi sono stati trasformati in quartier generale degli occupanti e sono stati abbrutiti da sacchi di sabbia alle finestre e sui balconi. I Kashmiri sono stati torturati, in alcuni casi, dai Mujahideen e dai soldati indiani. Quando, ad esempio, si spargeva la voce che dei combattenti si trovavano in un dato luogo oppure si verificava un attentato, l’esercito indiano per rappresaglia circondava il quartiere (crack down). Gli uomini allora dovevano uscire uno per uno e radunarsi in una piazza con le mani alzate dove rimanevano l’intero giorno, senza bere né mangiare, fintanto che i soldati non avevano ultimato di perquisire tutte le case. Intanto le donne restavano sole, soggette ad insulti e molestie. Alle volte veniva ordinato il coprifuoco, magari per 10-15 giorni. Nessuno quindi poteva uscire di casa, non si andava a lavorare, si rimaneva senza luce, senza cibo, senza poter chiamare un medico se necessario, le donne dovevano partorire in casa senza aiuto, con tutte le conseguenze che si possono immaginare! In questi anni, molti civili si sono trovati senza colpa a transitare nel momento in cui si verificava uno scontro e sono stati colpiti: alcuni addirittura nelle loro case, bambini intenti a prendere il latte sono stati uccisi da pallottole entrate dalla finestra! Noi avevamo nel Kashmir una minoranza indù con la quale abbiamo veramente vissuto condividendo le reciproche feste, cerimonie, lutti. Insieme andavamo a scuola, giocavamo, tanto che la nostra mentalità è identica. I Mujahideen hanno ucciso tanti induisti così molti altri, per paura, sono fuggiti ed ora vivono profughi in varie parti dell’India (e specialmente a Jammu), il che è veramente triste anche perché i Kashmiri indù erano fermamente pacifisti. Anzi, al tempo della divisione tra India e Pakistan, quando tutti lottavano tra di loro, l’India “bruciava” ed il Mahatma Gandhi era disperato, egli riconosceva nel Kashmir l’unica luce nel buio di quel terribile periodo ad illuminare il subcontinente indiano. Infatti, mai nel nostro paese ci sono stati fenomeni di intolleranza. La guerra del Kashmir non deve essere assolutamente catalogata come “guerra di religione” perché è stata imposta da India e Pakistan a causa della loro occupazione e dei loro interessi. I gruppi armati, tra l’altro, hanno distrutto o danneggiato 120 ponti (Srinagar è attraversata dal fiume Jhelum ed il paese dall’Indo), le scuole (alcune erano state appena attrezzate modernamente), l’acquedotto, l’impianto per l’elettricità, impedito che si potenziasse la rete telefonica, ecc. Alcuni volevano impedire alle donne di uscire di casa senza il velo, anzi, hanno gettato dell’acido sul viso a ragazze che andavano al college, hanno proibito a tutti di usare il videoregistratore perché le videocassette potevano essere a “luce rossa”! Grazie a Dio, in Kashmir, queste forme estremistiche non hanno fatto presa sulla gente comune. Le ragazze non portano il velo come succede anche nella maggior parte dei paesi islamici: se accendete la tivù e vi sintonizzate sui canali di paesi a maggioranza musulmana, le donne, magari giornaliste e presentatrici, hanno il capo scoperto. Nel mio paese le donne circolano liberamente, vanno a scuola (anche se non c’è in India, come in altri paesi non ancora del tutto sviluppati, l’istruzione obbligatoria sia per maschi che per femmine), fanno una vita normale a seconda delle loro usanze e condizioni sociali. Ormai, essendo i Kashmiri combattenti (per lo più giovanissimi) uccisi o imprigionati, il Pakistan ha inserito nei gruppi rimasti dei suoi infiltrati (dall’ISI- servizi segreti), degli afghani, dei Kashmiri dell’Azad Kashmir e dei mercenari di altri paesi. Questi entrano dalle frontiere, uccidono qualcuno in qualche villaggio isolato e fuggono. Nelle città, invece, ultimamente, la situazione è molto migliorata: la gente è tornata ad uscire la sera, lavora, si è abituata ad avere, ogni tanto, bombe ed attentati. Chi esce di casa non sa mai se tornerà sano e salvo, ma non si ferma lo stesso. Ognuno lotta per una vita migliore, tutti cercano di rendere più bella la loro abitazione, di avere più comodità. Le statistiche dicono che le malattie ed il consumo di medicine sono notevolmente aumentate, i medici denunciano gravi problemi soprattutto psicologici. La maggior parte dei Kashmiri vuole l’indipendenza. Se considera l’India come paese occupante, non vuole certo uscire da un’occupazione per andare sotto quella di un altro paese quale il Pakistan che è più povero, meno sviluppato ed addirittura senza un governo democratico. Una minoranza (il 20%), invece, crede che il Kashmir si debba riunire con il Pakistan per motivi religiosi. Il vero problema è che i grandi poteri internazionali non hanno interesse per il Kashmir perché non ha petrolio e non è in una posizione strategica 2 (se non per l’India) mentre sia India che Pakistan strumentalizzano il conflitto per interessi interni. Per questo la guerra del Kashmir è stata dimenticata insieme alle risoluzioni dell’O.N.U. Solo in questo periodo, per i noti fatti afghani, il Kashmir è balzato all’onore delle cronache.articolo pubblicato sulla rivista “50&più”, febbraio 2002 I brani citati sopra sono appunti degli autori di questo testo, in anni diversi. Il 1989 è l’inizio delle agitazioni in Kashmir. Ora molto è cambiato. Ma circa 80000 persone sono morte, 10000 sono scomparse e sono state scoperte e denunciate fosse comuni con centinaia di cadaveri: una lunga e sconvolgente storia che dimostra quanto il mondo abbia dimenticato questo paese, inserito comunque nella più grande democrazia della terra. 3 CAPITOLO III LA RELIGIONE Nello stato del Kashmir le prime forme di Induismo furono sostituite dal Buddismo. Quando Xuanzang1 visitò il Kashmir nel 631 d.C., fu stupito nel vedere il numero di monasteri e università buddiste. Alla fine del VII secolo, l’induismo soppiantò il buddismo come religione principale, mentre nel XIV secolo prese piede l’Islam. Il sesto guru della religione Sikh visitò il Kashmir e vi fondò molti gurudwaras (in punjabi, significa Porta del Guru, cioè luogo di culto o tempio sikh): vi è infatti una folta popolazione sikh in J & K. L’architettura induista raggiunse il suo apice con la realizzazione del tempio del Sole. Molti sacrari di santi si trovano sparsi in tutta la valle a dimostrazione che religione e leggenda non sono mai troppo lontane l’una dall’altra nel Reshi-ver o terra dei saggi, come spesso viene chiamato il Kashmir. Il tempio Kheer Bhawani è situato in riva a uno stagno il cui colore può cambiare: si dice che le sue acque diventino nere prima di un disastro e rosse prima di una guerra. È difficile non identificare la Valle del Kashmir con la fede islamica perché gli induisti sono in minoranza. Tra l’altro, un grande numero di indù che qui viveva pacificamente, ha lasciato la valle del Kashmir o per paura, o per istigazione politica del Governatore Jagmohan (si veda il capitolo “Storia”) nel gennaio 1990, rifugiandosi a Jammu e nella regione di Delhi. Dagli altoparlanti delle moschee si sparge, al tempo delle cinque preghiere, il mattino di buon’ora, il mezzogiorno, nel pomeriggio, quando il sole è tramontato, prima di andare a dormire, il richiamo cantato dell’imam che invita i fedeli alla moschea. Il venerdì, giorno della preghiera collettiva, attraverso l’altoparlante viene divulgata anche la predica, così chi non è potuto andare alla moschea, può sentirla lo stesso. Normalmente, la donna non è obbligata: può avere, magari, le mestruazioni, allattare, essere incinta o, semplicemente, dover curare la casa e la famiglia. Le moschee sono moltissime: grandi, piccole, ogni quartiere ne ha una. Così, ad esempio, quando si entra nel cortile di una tra le tante, ci si tolgono subito le scarpe. Gli uomini accedono alla parte a loro destinata e le donne salgono al piano superiore. I fedeli si ordinano in file, spalla contro spalla, con il viso rivolto a La Mecca. Nella moschea non c’è distinzione tra ricco e povero, né di razza o di qualunque altro tipo. Ogni uomo o donna è uguale davanti a Dio e si colloca, man mano che giunge alla moschea, vicino al compagno-a (sempre nella zona maschi o femmine) che gli capita. Non esistono posti riservati. Le donne devono avere il velo che ricopra loro rigorosamente i capelli, gli uomini hanno anche un copricapo tradizionale che la maggior parte di loro usa, benché non sia obbligatorio. Una delle grandi moschee di Srinagar, Hazratbal, che si affaccia sul lago, è molto famosa perché là viene custodita una preziosa reliquia, un capello del Profeta. Il venerdì, giorno di preghiera, vengono allestite grandi tende sui prati circostanti per coprire dal sole. Un’enorme moltitudine di donne vi si sistema in attesa della preghiera. Passano tra le file anche venditrici di verdure o di qualche cibo pronto. Finita la preghiera, molte donne vanno via, ma tante restano, consumano cibi portati da casa o comprati nelle baracchette che li vendono subito fuori dallo spazio riservato alla 1 Chen Yi, detto Sanzang (giapponese Sanzō) dal nome dei sutra che portò con sé dal suo viaggio, (Luoyang, 602 – Yu Hua Gong, 664) è stato un monaco buddhista, esploratore e traduttore cinese, che intraprese un pericoloso viaggio lungo la via della seta, ed è per questo spesso paragonato a Marco Polo. Durante questo lungo e difficile percorso, Xuanzang raggiunse Purushapura (odierna Peshawar), dove vide molti stupa, deducendo dal numero di fedeli che il buddhismo nella regione stava cominciando il suo declino. Quindi, continuò verso Nord-Est fino ad attraversare l'Indo a Hund, dirigendosi a Takshashila (oggi Taxila, in Pakistan), che si trovava all'interno di un regno buddhista vassallo del Kashmir; la città ospitava un'importante università e, all'epoca, raccoglieva 5.000 monaci in circa 100 monasteri. Qui egli incontrò importanti esponenti del buddhismo Mahāyāna e si fermò a studiare con loro per un paio d'anni; nell'università trovò anche importante materiale sul Quarto Concilio Buddhista tenutosi in Kashmir intorno al I secolo sotto l'egida del re Kanishka di Kushan. 1 moschea, chiacchierano, mentre i loro figli piccoli giocano. Insomma, il venerdì può essere anche l’occasione per incontrarsi e fare un pic-nic sull’erba. LA MORTE I cimiteri nel Kashmir possono essere situati ovunque: non ci sono restrizioni che impongano le città dei morti che siamo abituati a vedere in Italia. Per la religione islamica, il defunto deve essere seppellito nudo in una stoffa bianca e adagiato nella terra con la testa rivolta a La Mecca. Questo è tutto quanto viene richiesto al fedele. Se qualcuno ha spazio nel suo giardino, ad esempio, ed ha piacere di farlo, può tenere i suoi cari vicino a sé. Altrimenti ci sono i molti cimiteri, grandi e piccoli, sparsi un po’ dovunque tra l’abitato. Un angolino tra diverse case, o uno spazio più esteso in periferia, tutti hanno in comune le semplici lapidi apposte con il nome del defunto e la mancanza di qualunque altro ornamento. Tra queste lapidi crescono le erbacce spontanee, gli animali circolano liberamente: cani, cavalli, galline… quello che vive nei dintorni. Quando un parente vuole portare un omaggio, compra del mais, riso o grano da dare agli uccelli che vivono sugli alberi perché essi abbiano da mangiare. Dopo la morte, il ricco e il povero ritornano completamente uguali e il loro riposo non è turbato dall’esibizione della materialità terrena. Gli induisti, invece, vengono bruciati sulla pira e le loro ceneri vengono raccolte in un vaso che può essere conservato oppure essere disperse nel fiume. Se possibile, bagnano il defunto con l’acqua sacra del Gange (che magari qualcuno gli ha portato custodita in una bottiglietta), quindi il corpo viene lavato, messo in un telo bianco sulla pira e il primo figlio maschio accenderà il fuoco. I figli maschi si tagliano tutti i capelli in segno di lutto. 2 INDUISMO L’Induismo è la religione più professata in Asia e la terza nel mondo ed è anche la più antica religione esistente al mondo. Alcuni aspetti dell'induismo (come il culto delle forme naturali, ad esempio i fiumi come dèi) possono essere fatti risalire a 3.500 a.C. ma dal 400 a.C. l’Induismo aveva sviluppato la maggior parte delle sue caratteristiche peculiari. La base della filosofia indù si trova nei quattro Veda: una raccolta di inni, tramandata oralmente fino al 1200 a.C., quando è cominciato il processo della loro scrittura che ha impiegato centinaia di anni per essere completato. Il Rg Veda è il più antico e più sacro (circa 800 a.C.). Le Upanishad (circa 600 a C.) contengono il primo riferimento alla reincarnazione dell'anima in corpi diversi (trasmigrazione). Il Mahabharata è un poema epico di cui è parte la Bhagavad-Gita ("Il Canto di Dio"), in cui Vishnu racconta la sua filosofia attraverso Krishna che è disceso in forma umana sulla terra per aiutare e dove vengono stabilite le regole per la vita quotidiana, che sono ancora le principali fonti di riferimento per gli indù. Una caratteristica importante dell’induismo è la credenza nella reincarnazione: la trasmigrazione dell'anima (samsara). La fede nella rinascita dell'anima può aver incentivato la non / violenza (ahimsa) e l’accettazione di quello che succede che spesso noi occidentali identifichiamo con una certa passività. Gli obiettivi della vita umana (purusharthas) sono: Moksha: obiettivo finale, è la liberazione dell'anima dal ciclo delle rinascite che è, comunque, un peso. L'anima individuale (atman) si unisce con Brahman, l'anima universale. Si può arrivare a questo attraverso l'acquisizione della conoscenza spirituale con lo yoga e la meditazione, con la devozione a Dio o lavorando disinteressatamente per il bene della società. Dharma: doveri che dipendono dall'età e dalla posizione. Il rispetto per gli anziani, ad esempio, e il matrimonio come dovere religioso. L’ordine-armonia deve essere a livello spirituale con l'universo, poi nella società dove ruota attorno al sistema delle caste, infine nella persona mediante l'obbedienza a un codice morale. Artha: ricerca del guadagno materiale con mezzi leciti. Karma: comportandosi in modo puro, privilegiando la conoscenza e la devozione, è possibile reincarnarsi a un livello superiore e accorciare il percorso delle incarnazioni. L'opposto ottiene il risultato contrario. Quindi, tutti i nostri atti vengono pagati (il male) o riscossi (il bene) nelle incarnazioni successive, in una forma di profonda giustizia e uguaglianza per tutti. Gli Induisti devono praticare offerte (puja) alle rappresentazioni degli dèi, cremare i morti e rispettare le caste. Il sistema delle caste è una divisione della società complessa in cui ogni gruppo ha delle regole di comportamento. La casta è una questione di nascita e non si può cambiare se non con la rinascita e secondo le regole del karma. I gruppi sono: • bramini - i sacerdoti e intellettuali; • Kshatriya - gli amministratori e militari; • Vaishyas - negozianti, commercianti, agricoltori; • Sudras - braccianti e addetti ai servizi. Un ultimo gruppo detto degli • 'Intoccabili' (o Dalit, oppressi) è al di sotto gli altri quattro e serviva a svolgere tutti i lavori più sporchi. Oggi le caste sono state eliminate dalla legislazione indiana ma restano tuttavia un aspetto importante della cultura sociale. Molti affermano che la conversione all’Islam di tanti induisti sia stata facilitata anche dal fatto che l’islamismo non ha differenze di casta e quindi essi si liberavano del peso di appartenere ad una casta inferiore. I principi basilari indù sono: Brahman, lo spirito creativo elementare, non ha forma, è eterno; Vishnu, il conservatore, ha già avuto nove incarnazioni tra cui Rama e Krishna (e anche il Buddha); Shiva, il distruttore ma, dato che nell'induismo non ci può essere rinascita senza morte, anche il creatore, rappresentato pure dal lingam (fallo). 3 Gli Dèi (ci sono 330 milioni di divinità e demoni) appaiono in diverse forme maschili, femminili, o animali, come Ganesha il Dio elefante (portatore di prosperità). Altri Dèi popolari sono Indra (dio della pioggia), Chandra (Dio della luna), Yama (Dio della morte), Surya (Dio del sole), Lakshmi (Dea della ricchezza), Hanuman (il devoto di Rama), Sarasvati (Dea della conoscenza ). Per molti indù la loro religione è monoteista: essi, infatti, credono in una verità ultima che comprende tutte le realtà (Brahman). Oltre ai templi, gli Indù hanno santuari semplici nelle strade e nei villaggi che possono essere rappresentati da un quadro o una statua di uno o più dei. La maggior parte delle case indù ha un proprio angolo dove fanno offerte di cibo, fiori, incensi, al loro Dio la mattina e la sera: si spande così un forte odore all’intorno. Se la preghiera è stata eseguita in un tempio, il Sacerdote segnerà la fronte del fedele con la pasta rossa (tika) come segno di benedizione. Al termine della cerimonia, il cibo che è stato offerto al Dio è dato ai bisognosi: questo si chiama Prasad (cibo Santo). Non vi è alcun obbligo per un indù di andare in pellegrinaggio, ma molti lo fanno. Ci sono molti luoghi sacri per gli induisti, anche in Kashmir. Molti indù cercano di fare il bagno nel Gange, fiume sacro, per lavare via i peccati. Ci sono alcuni luoghi particolari come Varanasi (sul Gange) che sono considerati come buoni posti per morire ed essere cremati, per procedere nel cammino delle incarnazioni. BUDDISMO Il buddhismo (la parola è stata introdotta in Europa nel XIX secolo per indicare gli insegnamenti di Siddhārtha Gautama in quanto Buddha) ebbe origine in India, nei pressi di Sarnath, a pochi chilometri dall’odierna Varanasi (una volta Benares). Infatti, là, nel parco delle gazzelle, nel 528 a.C., venne tenuto il primo discorso del Buddha ai suoi primi cinque discepoli, all'età di 35 anni, dopo che nei pressi del villaggio di Bodhgaya, nell'odierno stato del Bihar, aveva raggiunto il risveglio spirituale. Quel discorso, anche detto il "Discorso di Benares", è fondamentale per il Buddhismo, che da questo prende le mosse, tanto da farlo considerare l'evento che dà inizio al Dharma, cioè alla dottrina buddhista. La ricorrenza è festeggiata nei paesi di tradizione theravāda con la festa di Magā Puja, il "giorno del Dhamma" (o Dharma). Da altri è invece considerato il punto d'inizio della prima comunità buddhista, formata proprio da quei cinque asceti che lo avevano abbandonato anni prima, sfiduciati, dopo essere stati a lungo suoi discepoli. Nel discorso si identifica il buddhismo come "La Via di Mezzo" in cui si riconosce che la retta condotta risiede nella linea mediana di condotta di vita, evitando gli eccessi e gli assolutismi, ma anche il lassismo e l'individualismo. È accertato che il Buddha sia stato un personaggio storico: la sua dottrina si diffuse in molta parte dell'India, quindi la conversione dell'imperatore Asoka (250-249 ? a.C.) diede nuovo impulso al buddhismo, dichiarato religione di Stato e favorito anche dalle missioni che si svilupparono sia all'interno che all'esterno dell'Impero. Nel buddismo si costituirono molte sette con caratteri che le differenziarono sempre più finché, verso l'inizio dell'era cristiana, nacque un buddhismo che, con il nome di "grande veicolo" (mahayana), si contrappose al buddhismo tradizionale chiamato "piccolo veicolo" o theravada o hinayana. Sotto Kaniska (II sec.) pare sia stato tenuto un nuovo concilio nel Kashmir. Il buddhismo progredì raggiungendo il massimo della fioritura sotto la dinastia dei Gupta (secc. IVVI) ma, in seguito, decadde sia a causa delle persecuzioni che delle invasioni degli Unni, nel V sec. Al declino del buddhismo contribuì il prevalere del tantrismo, dottrina che ne accentuava l'aspetto rituale, formalistico e magico, del brahmanesimo e soprattutto dell'islamismo. Nonostante ciò, il buddhismo si propagò per tutta l'Asia ed è tuttora una delle tre religioni più importanti del mondo, con oltre 300 milioni di fedeli. Il buddhismo theravada afferma l'eternità e l'indistruttibilità della materia elementare, la quale, seguendo una legge meccanica fatale che esclude l'intervento della volontà e delle potenze divine, unisce e combina i suoi elementi in modo da produrre tutto quello che esiste nell'universo. Secondo 4 un ciclo eterno e immutabile, i mondi si formano, si sviluppano, declinano e poi periscono per ricostituirsi di nuovo; a ciascuna di queste fasi viene dato il nome di kalpa. Analoghe leggi regolano l'anima degli esseri viventi, sottoposta a un processo di evoluzione che la porta, in successive incarnazioni, dall'animale all'uomo e dall'uomo alla divinità attraverso un alternarsi di ascese e di cadute, provocate dal prevalere delle virtù e dei vizi. Solo quando riesce a distruggere in sé vizi e virtù, l'anima raggiunge lo stato che viene chiamato nirvana. Questo eterno rinascere costituisce il tanto temuto male della trasmigrazione. Nell'esposizione di questo insegnamento il Buddha enuncia le Quattro nobili verità, frutto del risveglio spirituale da lui raggiunto. Esse contemplano l'aspetto pratico della condotta di vita e della pratica spirituale buddhista nel cosiddetto Nobile ottuplice sentiero, che costituisce il secondo cardine dottrinale del buddhismo. I punti salienti della visione buddhista della realtà percettiva indirizzata dall'insegnamento del Buddha sono: la dottrina della sofferenza, cioè che tutti gli aggregati fisici e mentali sono causa di sofferenza qualora li si voglia trattenere ed essi cessano, oppure si voglia separarsene ed essi permangono; la dottrina dell'impermanenza, cioè che tutto quanto è composto di aggregati fisici o mentali è soggetto alla nascita ed è quindi soggetto a decadenza ed estinzione con la decadenza ed estinzione degli aggregati che lo sostengono; la dottrina dell'assenza di un io eterno e immutabile (ossia di un'anima), come conseguenza di una riflessione sui due punti precedenti. Inoltre, vi è la dottrina della coproduzione condizionata, cioè del meccanismo di causa ed effetto che lega l'uomo alle illusioni e agli attaccamenti che costituiscono la base della sofferenza esistenziale; e la dottrina della vacuità che insiste sull'inesistenza di una proprietà intrinseca nei composti e nei processi che formano la realtà e sulla stretta interdipendenza degli stessi. Un elemento importante del buddhismo è la conferma dell'esistenza delle divinità proclamate dalla letteratura religiosa vedica: le divinità esistono e vanno onorate ma non possono offrire all'uomo la salvezza dal Samsāra, né un significato ultimo della propria esistenza. Il dolore è parte indissolubile dell'esistenza; l'esistenza è prodotta dall'ignoranza, causa delle passioni, dell'attaccamento ai beni esteriori e dei desideri che, agendo per mezzo dei sensi, danno vita agli esseri. La via da seguire, quindi, è segnata dai Quattro nobili sentieri: la scienza, che dimostra la vanità, il vuoto, l'instabilità, l'irrealtà del mondo esterno, degli oggetti composti da elementi deteriorabili, dell'io, e la follia dell'attaccamento a queste cose; l'osservanza delle "Cinque interdizioni", di uccidere, di rubare, di commettere adulterio, di mentire, di ubriacarsi; l'astinenza dai "Dieci peccati" di omicidio, furto, fornicazione, menzogna, maldicenza, ingiuria, pettegolezzo, invidia, odio, errore dogmatico; la pratica delle "Sei virtù trascendentali", la carità, la moralità perfetta, la pazienza, l'energia, la bontà, la carità o amore per il prossimo. Ogni essere è responsabile dei propri atti e ne subisce fatalmente le conseguenze (karma). Il saggio, come compenso delle proprie virtù, ottiene di rinascere, secondo i propri meriti, come uomo di condizione superiore, come appartenente alla classe dei geni del mondo della luce o a quella degli dei; se raggiunge la perfezione, diventa bodhisattva e, infine, buddha. L'indifferente o il peccatore rinascerà come uomo di condizione inferiore, come genio delle tenebre, demone, animale o in uno dei diciotto inferni. L'inferno non è eterno; la severità e la durata delle pene sono proporzionali al male commesso e, una volta terminata l'espiazione, l'anima riprende, nella scala degli esseri, il posto che le è destinato in considerazione degli atti meritori che può aver compiuto. Gli Dei godono di una potenza e di una felicità relative; sono semplici funzionari preposti, per un periodo limitato, alla protezione dell'universo e sono ancora soggetti alla legge della rinascita. Solo i buddha non devono più rinascere e possono godere della perfetta beatitudine del nirvana. Il buddhismo del mahayana ha una concezione molto diversa. In luogo dell'etica proposta dal theravada, addita la via del sentimento e della speculazione. La comunità che si formò intorno al Buddha Sakyamuni era composta da fedeli laici o zelatori (upasaka) e da monaci (bhiksu). Il laico deve venerare il Buddha, la legge e la comunità, attenersi alle cinque regole fondamentali e acquistare meriti facendo doni alle comunità, elemosine ai monaci e curando la lettura dei testi sacri. Nel mahayana ai laici viene data maggiore importanza in quanto 5