GIOVANNI ARTERO Tra Classe e Patria socialismo e proletariato nell’otto-noventocento europeo Marco Sacchi Il socialismo austriaco nell’impero multinazionale asburgico 1 2 Premessa Agosto 1914: l’Internazionale socialista e la guerra, 5 Parte 1. Dal patriottismo al nazionalismo Invenzione della tradizione e Nazionalizzazione delle masse, 11; Approfondimento “Nation building” in Italia, 14; Sport e “Nazionalizzazione delle masse”, 16; Approfondimento Il movimento sportivo proletario, 17 Parte 2. Marxismo e questione nazionale Il “Manifesto”, 25; “Nazione” e “nazionalità”, 30; Nazioni storiche e “nazioni contadine” (Engels), 34; La “Questione nazionale”(Kautsky e Renner), 37; La “Questione nazionale” (Otto Bauer), 40; Nota: Stalin sulla questione nazionale, 46 Parte 3. Internazionalismo socialista La Prima Internazionale, 47; Approfondimento Socialisti italiani nella spedizione in Grecia (1887), 49; Socialpatrioti e antimilitaristi, 52; Approfondimento Cesare Battisti socialista e irredentista, 57 Parte 4. Dal nazionalismo all’imperialismo Nascita e sviluppo del nazionalismo, 60 ; Approfondimento Xenofobia “proletaria”: Aigues Mortes (1893), 65; L’analisi dell’imperialismo di Otto Bauer, 66 12 Dopo la guerra, 70; Approfondimento Perché i nazisti vinsero il referendum nella Saar?, 72 Appendice Marco Sacchi Il socialismo austriaco nell’impero multinazionale asburgico, 77 PREMESSA Nazione/Internazionale, Patria/Classe sono coppie concettuali del nazionalismo e del socialismo, le due maggiori ideologie tra seconda metà dell’Ottocento e prima del Novecento: per ammissione di uno storico marxista il nazionalismo è "il fenomeno più incisivo del nostro [XX]secolo"1 ed è stato un problema ineludibile per il movimento operaio nella versione sia socialdemocratica che comunista. C’è chi ha addirittura attribuito al movimento socialista e al nazionalismo un'analoga valenza emancipatrice o "antisistema"2. 1 E. Hobsbawm, Riflessioni sul nazionalismo, in: “Rivoluzionari”, 1975 (ed. inglese 1972), pp. 351-379 2 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, 1996 (1 ed. 1951), p. 377;I. Wallerstein, Il capitalismo storico. Economia, politica e cultura di un sistema-mondo, 1985, pp. 54-57,70-73: socialismo e nazionalismo sarebbero 3 La difficoltà a usare categorie così complesse per i significati che si sono stratificati nel tempo e l’ampiezza della tematica, ci hanno indotto a mettere a fuoco solo alcuni “nodi”, tralasciando le importanti riflessioni sul tema di Luxemburg e Lenin e privilegiando l’asse “mitteleuropeo” Engels-Renner-Bauer3. Segue un approfondimento sul movimento operaio austriaco, al centro di uno stato multietnico che nell’epoca dei nazionalismi era quasi un reperto archeologico degli antichi imperi dinastici ma anche il possibile nucleo di una federazione europea auspicata dai socialisti austriaci se gli avvenimenti si fossero svolti in maniera diversa. con il tempo, diventati sempre più simili, in quanto si sarebbero rivolti agli stessi strati sociali, interpretandone le spinte egualitarie e mobilitandone, al tempo stesso, la coscienza nazionale 3 H.B. Davis, Nationalism and Socialism. Marxist and Labor Theories of Nationalism to 1917, 1967; W. Connor, The National Question. in MarxistLeninist Theory and Strategy, 1984 4 Agosto 1914: l’Internazionale socialista di fronte alla guerra 4 Prendiamo le mosse dalla fine: l’agosto 1914, quando scoppia la guerra e sulla contrapposizione tra patria e classe si spacca il movimento operaio: i dirigenti socialisti che due anni prima a Basilea si erano impegnati a impedirla, sono chiamati ad assumere una posizione e la maggior parte sceglie di dare la priorità agli interessi nazionali. Quasi tutti i partiti della Seconda Internazionale (ad eccezione di quello russo, di quello serbo e in parte di quello italiano), si allinearono alla politica dej loro governi. In Germania con soddisfazione il Kaiser può proclamare, dopo il voto socialista per i crediti di guerra: "Io non conosco ormai più partiti, ma solamente tedeschi!" mentre in Francia entrano nel governo di unità nazionale (“union sacrèe”) 5. L’internazionalismo proletario si spezza e la rinuncia a boicottare la guerra dimostra quanto profondamente fosse penetrato nelle masse anche socialiste - principalmente nei paesi (Francia e Germania) dove più avanzata era il processo di integrazione - il principio secondo cui la vera comunità di appartenenza era quella nazionale. Nel momento del conflitto l’identità nazionale rimane l'unica appartenenza forte e sicura, capace di oscurare le altre identità in un entusiasmo patriottico che abbraccia tutte le classi. Di fatto, il grande tema ideale dell'internazionalismo non si traduce in prassi politica concretamente operante e rimane allo stadio di petizione di principi. Per giustificare la "tregua interna" e la rinuncia alle deliberazioni pacifiste i dirigenti socialdemocratici tedeschi fingono di credere che la Germania conduce una "guerra difensiva". Gli oppositori della linea patriottica sono inizialmente una esigua minoranza che cresce negli anni della guerra sino ad arrivare alla scissione dal SPD ma, accusati 4 Con la ricorrenza dello scoppio della grande guerra sono usciti vari studi storici; tra quelli italiani citiamo: M. Degl'Innocenti La patria divisa : socialismo, nazione e guerra mondiale, 2015; M. Isnenghi Convertirsi alla guerra: liquidazioni, mobilitazioni e abiure nell'Italia tra il 1914 e il 1918, 2015. M. Scavino (a c.) Guerra e nazioni: idee e movimenti nazionalistici nella Prima guerra mondiale, 2015 5 G. Haupt, Socialism and the Great War. The Collapse of the Second International, 1972. Id. , L'eredità di Marx ad Engels e la questione nazionale, in «Studi storici», 1974 n. 2, pp. 270-324 5 di "disfattismo", sono duramente repressi6 e stessa sorte tocca agli oppositori in Francia e negli altri paesi impegnati nello sforzo bellico. L’accusa dei bolscevichi che i dirigenti dei partiti socialisti e del SPD in particolare, appoggiando i governi nazionali avrebbero tradito le masse operaie pronte a marciare contro la guerra se quel voltafaccia non vi fosse stato, non teneva conto dell’iniziale spontaneo patriottismo. L’accusa doveva convincere gli operai ad abbandonare le organizzazioni dei “socialpatrioti” e ad aderire ai partiti comunisti che si venivano costituendo ma, nonostante l’esasperazione di più di quattro anni di massacri, i risultati furono deludenti e in nessun paese il partito comunista affiliato alla III Internazionale diviene maggioritario nello schieramento di classe. Partendo da questo snodo si risale alla nascita della politica di “nazionalizzazione delle masse” messa in atto dagli Stati nazionali a partire dalla seconda metà dell’Ottocento con il conseguente sbocco nel nazionalismo e imperialismo d’inizio Novecento. In parallelo avviene la difficile costruzione di un “internazionalismo proletario” nelle organizzazioni operaie politiche e sindacali, reso difficoltoso dalla diffusione di sentimenti xenofobi nelle masse che provoca la concorrenza tra operai di diverse nazionalità e l’arruolamento di lavoratori nei paesi arretrati per spezzare gli scioperi (crumiraggio). 7 Nella Seconda Internazionale esisteva una certa omogeneità di posizioni sul problema della guerra come risulta dai documenti stilati quando la spartizione dell’Africa (Sudan, Marocco) e la guerra nei balcani minacciarono la pace in Europa. I congressi dell'Internazionale avevano diffuso risoluzioni che impegnavano j partiti membri a non votare crediti militari e a «fare di tutto per impedire lo scoppio della guerra applicando i mezzi ritenuti più efficaci». Esulava però dai compiti istituzionali dell'Internazionale imporre ricette vincolanti, quali gli scioperi di massa rivoluzionari che Domela Nieuwenhuis aveva invocato a nome della sinistra già ai congressi di Bruxelles (1891) e Zurigo (1893). Per l'SPD era stato chiaro sin dal congresso internazionale di Stoccarda (1907) che «le azioni della classe operaia cöntro il militarismo, per loro natura diverse da paese a paese per spazio e tempo, non possono venir racchiuse dall'Internazionale in 6 Lenin Come la polizia e i reazionari proteggono l’unità della social democrazia tedesca (“Sotsial-Demokrat”, 3.3.1915) in “Opere” vol. 21 p. 113-5 7 G.Haupt, M.Lowy, C.Will, Les marxistes et la question national, Paris 1974 6 forme rigide». La sinistra (Martov, Lenin, Luxemburg) introdusse nella risoluzione di quel congresso l'emendamento che si dovesse «sfruttare la crisi economica e politica prövocata dalla guerra per scuotere il popolo. e cosi accelerare la rimozione del dominio di classe capitalistico». Ma indicare come rimedio alla guerra la rivoluzione sociale significava escludere dal fronte antimilitarista chi aveva idee non rivoluzionarie sul modo di 'rimuovere' il sistema capitalistico. Inoltre, con quali azioni concrete si sarebbe poi potuto, a guerra scoppiata, «scuotere il popolo»? Con lo sciopero generale, con una resistenza passiva e attiva che dal rifiuto della chiamata alle armi giungesse a sabotare trasporti e comunicazioni? Questa eventualità era stata prevista dalle autorità militari germaniche che nella roccaforte operaia della Ruhr, nel distretto militare di Munster, fissarono nel 1910 una serie di misure repressive e preventive. Trapelate al congresso di Magdeburgo di quell'anno, indussero Kautsky a chiamare lo 'sciopero militare' un'«eroica pazzia» e il realistico Bebel a spiegarne l'impraticabilità al congresso di Jena (1911): la chiamata alle ärmi vuol dire che «milioni di lavoratori lasciano famiglie le quali non hanno più da mangiare e di che vivere ... Cosa credete che succederebbe allora? Le grida delle masse non sarebbero per uno sciopero generale, ma per lavoro e pane, cosi starebbero allora le cose». Ciò che Bebel non immagina è che tre anni dopo, nell'estate del 1914, non solo le masse non pensano a uno sciopero militare, ma affollano gli uffici di reclutamento. Analogamente in Francia la “Suretè general” aveva compilato un elenco (carnet B) comprendente 3.000 anarchici, socialisti, sindacalisti rivoluzionari che alla vigilia della mobilitazione dovevano essere incarcerati. Ma lo Stato Maggiore rinuncia ad esigere la stretta applicazione del Carnet perché il segretario della CGT Leon Jouhaux garantisce che la mobilitazione non sarebbe stata intralciata. 8 Gli atteggiamenti sempre più aggressivi dell'imperialismo in fase espansiva indussero ad anticipare il congresso straordinario che si tenne nel 1912 nella cattedrale di Basilea con 'la guerra alla guerra' come unico punto all'ordine del giorno. Bebel sale sul pulpito per affermare che «se oggi tornasse il Salvatore, non starebbe con i cristiani, ma con i socialisti» Jaures sostiene che le campane di Basilea avrebbero infranto i fulmini della guerra e che l'«Internazionale rappresentava tutte le forze morali dell'universo». 8 A. Rosmer Il movimento operaio alle porte della prima guerra mondiale 7 La risoluzione sulla guerra, pur lasciando irrisolta la questione sui mezzi da usare per fare la "guerra alla guerra", contribuì a chiarire la natura imperialistica di qualsiasi conflitto che da lì in avanti si fosse potuto manifestare. Soprattutto metteva in evidenza ciò che questo conflitto avrebbe sicuramente potuto provocare: "l'indignazione e la collera del proletariato di tutti i paesi" e una conseguente "esplosione rivoluzionaria". Si legge nella risoluzione: “Gli operai considerano un crimine spararsi gli uni contro gli altri per il profitto dei capitalisti o per l'orgoglio delle dinastie o per le clausole dei trattati segreti. Se i governi, sopprimendo ogni possibilità di un'evoluzione regolare, spingono il proletariato dì tutta l'Europa a soluzioni disperate, sono loro che porteranno tutta la responsabilità di una crisi da essi stessi provocata.” Il congresso si chiuse con l'impegno dell'Internazionale a moltiplicare gli sforzi per prevenire la guerra con "una propaganda sempre più intensa, con una protesta sempre più ferma". Effettivamente, nei mesi che seguirono tutti i partiti socialisti sostenuti dai sindacati si mostrarono pronti a seguire alla lettera le decisioni di Basilea e a metterle in pratica. Nel dicembre 1912 imponenti manifestazioni operaie contro la guerra ebbero luogo in tutta Europa a fronte alla crisi dei Balcani. Ma gli imponenti cortei, le bandiere rosse, i canti, gli applausi velavano la realtà che l'Internazionale era la giustapposizione di socialismi diversi, ciascuno inserito per forza di cose in un quadro statuale. Più si avvicinava lo spettro della guerra tanto meno l'Internazionale sembrava disposta a continuare nell'offensiva entusiastica che da Basilea in poi aveva caratterizzato la propria azione politica. Si cominciò a titubare; a considerare la guerra come un pericolo scongiurato in tutto o in parte o come prospettiva remota. Si cominciarono a modificare anche i programmi che, da una decisa azione contro la guerra, si tramutarono lentamente in una sorta di programmi minimi, più "realistici", che prevedevano l'opposizione alla corsa agli armamenti e all'aumento dei movimenti militaristi e sciovinisti in Francia e in Germania, "contribuendo con ciò al riavvicinamento dei due paesi" (preludio al programma dell'unione delle tre grandi potenze occidentali: Francia, Inghilterra e Germania): è la nuova formula dell'Internazionale nella primavera del 1913 che resta il suo obiettivo sino al luglio del 1914, una svolta che annuncia un nuovo orientamento nella politica socialista internazionale. Di fronte al precipitare degli avvenimenti, l'Internazionale finge un ultimo colpo di coda, ma il Bureau Socialiste International si riunisce senza riuscire a prendere una decisione. Una crisi gravissima, come 8 contraccolpo di ciò che all'esterno stava succedendo, colpisce l'Internazionale che deve dichiarare bancarotta. L'ultima circolare annuncia: "In seguito agli ultimi avvenimenti il Congresso di Parigi è aggiornato a data da stabilirsi". Il lungo processo dì deterioramento giunto alla fine trascina assieme all'organizzazione mondiale del proletariato anche la classe operaia internazionale. La sottovalutazione del sentimento di solidarietà nazionale e in generale dell'idea di nazione si rivela all'improvviso il grande buco nero nella teoria dell'Internazionale. La scintilla della guerra, si pensava, sarebbe semmai scoccata dalle rivalità coloniali o dalle crisi economiche capitalistiche. Ad accenderla fu invece un problema nazionale balcanico, cioé uno dei più complicati, in incubazione da decenni. Ma nessun congresso internazionale aveva mai messo all'ordine del giorno la questione nazionale, trattandosi di qualcosa che secondo l'internazionalismo ortodosso non doveva, in fondo, neppure esistere. Il «Vorwärts» per quasi tutto il luglio 1914 non seppe se incolpare il nazionalismo grande-serbo o l'austroungarico 'partito della guerra'. Il buco della teoria si riempi, per contrappasso, dei fattori emozionali più caotici. In Germania trionfava quello del 'pericolo cosacco', condiviso dai socialdemocratici che nello zarismo avevano visto da sempre la minaccia più grave per il socialismo. La necessità, per i partiti operai dell'Europa occidentale, di una guerra per la vita e per la morte contro lo zarismo, portatore di servaggio, distruzione e imbarbarimento, era stata affermata spesso da Engels 9, convinto che «se la Russia vince siamo schiacciati» e che dunque, «se la Russia då inizio alla guerra, ci batteremo contro i russi e i loro alleati, chiunque essi siano» (lettera a Bebel, ottobre 1891). E Bebel nel 1904 dichiara che di fronte a un pericolo di invasione da est che minacciasse l'esistenza della Germania e dunque l'esistenza del socialismo, i socialdemocratici sarebbero stati i primi a difendere la terra tedesca. Dal congresso internazionale di Basilea del 1912 l'annientamento dello zarismo viene poi indicato all'intera Internazionale come «uno dej compiti preminenti». Nel '14 il cancelliere Bethmann costruì sui consolidati sentimenti antizaristi dej socialdemocratici la sua accorta regia. La mobilitazione tedesca e la dichiarazione di guerra alla Russia vennero presentate come la legittima difesa della pacifica Germania contro un aggressore di cui già per conto loro socialisti inorridivano. Nella dichiarazione di voto socialdemocratica per i crediti, concordata con il cancelliere, il nocciolo fu che «per il nostro popolo, e il suo 9 1890 MEW, XXII: 13; 1891 MEW, XXII: 25-31 9 futuro di libertä, molto o tutto é in gioco con una vittoria del dispotismo russo che si già macchiato del sangue dei migliori del popolo suo». Il 4 agosto 1914 l'SPD votò i crediti di guerra. Il segretario dei socialisti austriaci Friedrich Adler, tracciando nel gennaio 1915 un consuntivo di quello che l'agosto del '14 aveva significato per la socialdemocrazia tedesca, le imputò soprattutto una totale impreparazione teorica sulla guerra. Adler vide bene che il difetto di fondo stava nel non aver chiarito il concetto di rivoluzione. La socialdemocrazia aveva immaginato un più o meno stretto legame tra guerra mondiale e rivoluzione sociale, ma “non esaminö mai come si sarebbe dovuta comportare se la guerra mondiale l'avesse sorpresa prima che i tempi fossero per lei maturi ... Quando il terreno consueto vacillò sotto i piedi ci si trovò impreparati Si accolsero parole d'ordine borghesi senza, per lo più, nemmeno il tentativo di accordarle con i principi socialisti … La socialdemocrazia tedesca ha tanto parlato di imperialismo, ma nel discutere il proprio comportamento in caso di guerra non ha mai preso veramente in considerazione la guerra dell'imperialismo come oggi la sperimentiamo. Aveva messo in conto, per così dire, soltanto guerre più ingenue”. 10 Parte I. Dal patriottismo al nazionalismo 1. Nazionalizzazione delle masse e Invenzione della tradizione. Nel mondo antico il concetto di nazione non è ben definito10, solo alla fine del medioevo forti monarchie si impongono in Francia, Spagna e Inghilterra, dando vita a stati nazionali, 11 ma la nazione inizia a produrre identità forti solo in seguito ai rivolgimenti prodotti dalla Rivoluzione francese e dalle ridistribuzioni territoriali in conseguenza delle guerre napoleoniche.12 Sono però intellettuali e leader politici ad attivare a inizio Ottocento i meccanismi di formazione dell’identità nazionale intesa come collettività che condivide stessi tratti etnici, storia e cultura e che per questa comunanza (vera o presunta) di elementi esercita la sovranità su un territorio. Nel corso dell’Ottocento gli Stati-nazione europei attuano una imponente operazione pedagogica di “nazionalizzazione delle masse”13 tramite la costruzione di una rete viaria e ferroviaria articolata, in funzione dei movimenti e scambi tra le varie parti del Paese; un sistema scolastico elementare obbligatorio imperniato sulla 10 La nazione antica “fu caratterizzata soprattutto dalla lingua … sul piano della prassi politica il concetto di nazione non riuscì a svolgersi fino all’idea di stato-nazione: questa rimase inafferrabile alle due opposte esperienze politiche fondamentali – lo stato supernazionale di tipo achemenide e lo stato-città di tipo greco. Solo se connessa con l’idea delle masse barbariche non romanizzate la realtà di “nazioni “ emergenti dallo stato supernazionale potè assurgere ad una considerazione oscura ma piena di significati pel futuro “ S. Mazzarino Antico, tardoantico ed èra costantiniana 1974, p.81;Anche C. Bearzot, F. Landucci,G. Zecchini Gli stati territoriali nel mondo antico, 2003; S. Gasparri Prima delle nazioni: popoli, etnie e regni fra antichità e Medioevo, 1998 11 A. Smith La nazione. Storia di un'idea ,2007; F. Tuccari. La nazione, 2000; J. Butler, G. Spivak, Che fine ha fatto lo stato-nazione?, 2009 12 Jacques Godechot. La grande nazione: l'espansione rivoluzionaria della Francia nel mondo: 1789-1799, 1962. 13 G.L. Mosse, The nationalization of the masses; political symbolism and mass movements in Germany from the Napoleonic wars through the Third Reich, 1975; E. Gentile, Il culto del littorio: la sacralizzazione della politica nell'Italia fascista, 1993; . B. Anderson, Imagined communities. Reflections on the origins and spread of nationalism, 1983 (trad. it. 1996); E. Gellner, Nations and nationalism, 1983 (trad. it. 1985); E.J. Hobsbawm, Nations and nationalism since 1780, 1990 (trad. it. 1991, pp. 19-53. 11 trasmissione di valori come etica del risparmio e del lavoro oltre che sull’insegnamento di lingua, storia e geografia della patria; un esercito basato sulla coscrizione militare obbligatoria, con la mescolanza sul territorio dei coscritti che sono addestrati all’ideologia della patria imparando la disciplina militare e la gerarchia sociale; un sistema politico-rappresentativo che attraverso il suffragio universale maschile invita a partecipare attivamente alla vita della comunità nazionale 14. La mobilitazione delle masse trasforma il sistema politico (con i diritti di voto e di associazione), la mobilitazione da nazionale diventa politica e dalla nazionalizzazione delle masse deriva la loro politicizzazione. Era necessario insegnare a popolazioni in gran parte contadine, dove molti non vedevano al di là del campanile del paese, i concetti della "nuova politica" coinvolgendo masse anche analfabete per cui nello "spiegare" la nazione non si fa appello alla ragione degli illuministi ma all'emozione, alle tradizioni ancestrali, ai legami di sangue, Il richiamo al passato serve per acquisire una forma di legittimità e introduce al concetto di "tradizioni inventate"15 “un insieme di pratiche che si propongono di inculcare valori e norme di comportamento in cui è implicita la continuità col passato. Di fatto tentano in genere di affermare la propria continuità con un passato storico opportunamente selezionato ... Comunque sia, laddove si dà un riferimento ad un determinato passato storico, è caratteristico delle tradizioni "inventare" il fatto che l'aspetto della continuità sia in larga misura fittizio. In poche parole, si tratta di risposte a situazioni nuove, che assumono la forma di riferimenti a situazioni antiche, o che si costruiscono un passato proprio attraverso la ripetitività quasi obbligatoria.".. Le popolazioni vengono introdotte alla “religione della patria” attraverso politiche simboliche: festività nazionali e cerimonie pubbliche16 che avevano modalità e andamenti liturgici. Inoltre si fa gran ricorso a simboli, immagini, allegorie, figure memorabili che 14 La Francia degli anni ‘70 dell’Ottocento può essere presa a paradigma di quanto si veniva attuando negli altri stati europei: E. Weber Peasants into Frenchmen, 1976 (trad. it. 1989); A. Corbin Il mondo ritrovato di Louis-François Pinagot : sulle tracce di uno sconosciuto (1798-1876) trad. .it. 2001 15 E. Hobsbawm , T. Ranger The invention of tradition 1983 (trad. it. 1987) 12 incarnano la passata grandezza e il fecondo avvenire della comunità. A queste 'nuove' pratiche corrisponde anche un "nuovo stile politico" che, volendo fare appello alle emozioni, ha bisogno di manufatti in grado di suscitarle; ha bisogno, cioè, di un'"estetica della politica" 17, ovvero di una strategia comunicativa che sappia parlare ai sensi e ai sentimenti come le statue e i monumenti celebrativi ed evocativi come la Tour Eiffel, il Reichstag berlinese, le statue a Garibaldi, il Vittoriano. 18 Le poesie e le narrazioni, le bandiere e gli inni, le pitture e le stampe, i melodrammi e le opere teatrali di ispirazione nazionalpatriottica, sono i principali strumenti per la costruzione di un'identità nazionale A fine Ottocento il nazionalismo popolare riempie con la religione della patria il vuoto lasciato dalle tradizioni confessionali. Nella nazione si intrecciano discorso razionale e coinvolgimento emotivo sia nella narrazione della storia e delle origini che nell'esaltazione del particolare ruolo da ricoprire nel mondo e nella rivendicazione dell’espansione territoriale, del dominio su altri popoli. Dal 1870 le idee di nazione e di patria sono parte integrante dell'identità di uno stato che fa della prospettiva della guerra la ragion d’essere e la fonte principale della sua legittimità. Con il Novecento é una realtå organica, unica e originale, che lega i propri cittadini in un rapporto totalizzante ed esclusivo, basato sul sangue e sulla cultura, con una missione particolare e un destino che si deve conquistare con coraggio e sacrificio. La militarizzazione degli stati-nazione è il risultato di una radicalizzazione culturale che trae la confluenza di settori spesso agli antipodi della società (la burocrazia militare e l'avanguardia artistica, il sindacalismo dell'azione diretta e i grandi cartelli industriali) e il consenso delle classi medie che costituiscono l'ossatura fondamentale della nuova politica di massa. Il nuovo stile politico sono modalità organizzative e comunicative cui nessuna formazione politica può sottrarsi: così il processo di 16 Il pellegrinaggio alla tomba di Vittorio Emanuele II nel 1884, l’incorona-zione di Nicola II nel 1894; i funerali di Edoardo VII nel 1910, ecc. 17 M. Vaudagna L' estetica della politica : Europa e America negli anni Trenta, 1989 . 18 B. Tobia Una patria per gli italiani : spazi, itinerari, monumenti nell' Italia unita, 1870-1900, 1899 L' Altare della patria , 1998 e 2011 13 nazionalizzazione delle masse tocca anche formazioni politiche che al nazionalismo erano estranee, come i movimenti socialisti che adottarono simboli originariamente forgiati dalla politica nazionalista, dotandosi pertanto di propri inni, bandiere, simboli, liturgie, eroi, ma l’apparato simbolico socialista si differenzia in profondità dalla matrice nazionalista, organizzandosi intorno a una negazione radicale del tratto identitario fondamentale del nazional-patriottismo. I partiti socialisti nascono infatti come movimenti internazionalisti, legati da una fratellanza proletaria che non aveva confini né etnici né nazionali. C’è tuttavia una contraddizione profonda nell’esperienza socialista europea di questi anni, che ha rilievo per sondare il senso e la profondità del processo di nazionalizzazione delle masse. Per quanto i vari partiti socialisti insistano sul loro carattere internazionalista, pure tutta la loro azione politica si svolge all’interno delle cornici istituzionali degli Stati-nazione. Si tratta di una scelta imposta dalle circostanze ma che alla fine ha ripercussioni paradossali e anche tragiche: tanto insistentemente il principio di appartenenza alle rispettive nazioni viene negato nelle rappresentazioni pubbliche dei partiti socialisti, quanto profondamente esso si radica nelle coscienze di una parte non trascurabile di militanti e di leader, essi pure, come tutti, esposti al bombardamento della retorica nazional-patriottica, mediata giorno dopo giorno da scuola, esercito, pubblicistica, sociabilità ufficiale,. Approfondimento: Cenni sulla “Nation building” in Italia19 Nel decennio 1860-70 l’assetto europeo definito nel 1815 dal Congresso di Vienna e dal patto della “Santa alleanza” subisce una profonda modificazione con la formazione (“Nation-building” 20) di due nuovi stati nazionali: Regno d’Italia (1861) e Impero germanico (1871) che giungono però all’unificazione nazionale e all'integrazione nel mondo moderno in modi diversi: in Germania tramite la conquista 19 P. James Nation formation : towards a theory of abstract community,1996;Barrington Moore, Le origini sociali della dittatura e della democrazia, 1966; C. Tilly, La formazione degli stati nazionali nell'Europa occidentale, 1984; Id. L'oro e la spada, Capitale, guerra e potere nella formazione degli stati europei 990-1990 1991 20 Concetto introdotto da R. Bendix Nation-building and citizenship : studies of our changing social order, 1964 14 monarchico-prussiana con l’esclusione delle forze democratiche 21, in Italia con la collaborazione tra Moderati e Partito d’Azione. La monarchia sabauda per mantenere l’egemonia sul processo unitario e battere l’opzione garibaldina nella costruzione di un’identità italiana cambia il proprio paradigma da dinastico a nazionale nel passaggio dall’Armata sarda all’esercito italiano. 22 Dopo gli anni della Destra, impegnata nel pareggio di bilancio e nella della lotta al brigantaggio, la Sinistra Storica viene integrata nel quadro di un “paese legale” che vive in stato d’assedio permanente tra “neri” clericali e “rossi” anarchici e socialisti. La staticità del sistema politico è perpetuata dall’uso di basare il potere su alleanze mutevoli all’interno di un’amorfa maggioranza parlamentare. Il conflitto tra Corona e Vaticano impedisce la formazione in Italia di un blocco conservatore di maggioranza, presente invece in Germania dove si mantiene la forma costituzionale pura mentre la destra italiana di fine secolo invoca il “Torniamo allo Statuto”. 23 Gramsci fa risalire al Risorgimento la «debolezza e inconsistenza organica della classe dirigente»24 inadeguata a prömuovere una profonda riforma intellettuale e morale. Accusa il Partito d'Azione, incapace di agire come alternativa al blocco moderato: appoggiandosi ai contadini e sostenendone le rivendicazioni di base (la riforma agraria), spostando gli intellettuali degli strati medio-inferiori sulle proprie posizioni attraverso un concreto programma di governo del processo di unificazione, esso avrebbe potuto creare una nuova formazione nazionale popolare e democratica. Recupera 1’esempio dei Giacobini, che in Francia avevano imposto alla borghesia di assolvere il suo compito storico, spingendola avanti «a calci nel sedere» e rimproverava gli esponenti democratici di aver aperto la strada a un blocco agrario e latifondista. Gli uomini che avevano fatto il Risorgimento, in definitiva, pur bramando la nascita di un moderno Stato italiano, originarono un ibrido e non riuscirono a creare le condizioni affinché si sviluppasse una classe dirigente matura e lungimirante: «La meschina vita politica dal '70 al '900, il ribellismo 21 G. Roth I socialdemocratici nella Germania imperiale, 1971 22 J. Lorenzini, I re soldati e la Nazione. L’esercito come strumento di legittimazione della monarchia sabauda 1848-1900, “Diacronie” n. 16. 23 Sidney Sonnino in” Nuova antologia”, 1.1.1897; anche Ruggero Bonghi, L’Ufficio del principe in uno Stato libero, Ibid., 1893 24 Antonio Gramsci Quaderno 19, pp. 1977-1978 15 elementare ed endemico delle classi popolari, l'esistenza gretta e stentata di un ceto dirigente scettico e poltrone sono la conseguenza di quella deficienza ...»25 2. Sport e “nazionalizzazione delle masse”26 Con le scoperte medico-fisiologiche del Sette-Ottocento il corpo assume un ruolo nei nuovi processi economici, politici e culturali. Generato dalla filosofia del self-help 27 e dall’”homo faber” della rivoluzione industriale, l’”homo ludens”28 sottopone il corpo ad attività di svago e divertimento che, oltre all’impegno motorio, richiedono la condivisione di regole (le misure dei campi di gioco, la misurazione delle “performances"), e di valori quali lo spirito di concorrenzialità e l’aspirazione al successo che, all’interno di un disegno educativo, tende a familiarizzare le classi medie alla cultura industriale e ad adattare le élites “anglicizzanti” al sistema della democrazia liberale. Si introducono i giochi inglesi come strumenti per formare gli individui infondendo l’attitudine alla intraprendenza che doveva costituire la caratteristica dell'uomo del ventesimo secolo: il foot-ball, che in Inghilterra già dagli anni ottanta diveniva anche patrimonio del tempo libero operaio, si espande attraverso gli stessi canali della tecnologia, dal commercio e dalla cultura della rivoluzione industriale, cui appartengono anche le figure sociali che ne sono promotrici: ingegneri, quadri dell'industria, studenti di politecnici 29 25 Id., Quaderno 19, pp. 2053-54 26 S. Pivato Ginnastica e Risorgimento alle origini del rapporto sport/nazionalismo “Ricerche storiche”, 1989, n. 2; Id. La bicicletta e il Sol dell'avvenire sport e tempo libero nel socialismo della Belle epoque 1992; S. Giuntini Sport, scuola e caserma: dal Risorgimento al primo conflitto mondiale 1988 27 Su Smiles e il Self-help in economia A. Macchioro Studi di storia del pensiero economico e altri saggi, 1970, p.192-4 e 391; G. Baglioni L' ideolo-gia della borghesia industriale nell'Italia liberale, 1974 e 1977 28 J.Huizinga Homo ludens: saggio sulla funzione sociale del gioco, 1939, trad..it 1946, 2002 29 S. Pivato I terzini della borghesia: il gioco del pallone nell'Italia dell' Ottocento, 1991 16 In altri paesi la bicicletta diventa simbolo della cultura borghese e popolare: alla pionieristica e aristocratica fase, oggetto di una limitata produzione artigianale e appannaggio di eccentrici aristocratici, il «cavallo d'acciaio», conquista una popolarità crescente dall'ultimo decennio dell'Ottocento. Oltre ad adeguare la capacità fisica ai processi produttivi la pratica sportiva forma anche una rete di strutture associative che diventano il luogo in cui si compie la formazione degli individui e si avvera un processo di istituzionalizzazione e massificazione. E’ soprattutto la forma associativa assunta dalla pratica sportiva nel suo moto di diffusione, a renderla democratica e ad allöntanarla dal connotati aristocratici ed elitari tipici della metà del secolo. I circoli, i club, le associazioni e le istituzioni moderne in grado di stimolare il senso collettivo della vita, costituivano un ulteriore sintomo della democratizzazione dello sport, stabilendo al suo interno una gerarchia di valori non più basata sul censo o sul ceto ma sulla partecipazione e sul grado di competizione. A fine Ottocento lo sport 30 viene ad assumere anche un ruolo nella formazione fisica diretta alla creazione di eserciti di massa necessari a risolvere le lotte delle potenze imperialiste derivanti dal maturare delle contraddizioni del sistema capitalista e dalla concorrenza economica tra le nazioni. Attività quali la ginnastica e la scherma diventano modelli per l’impiego dei tempo libero da estendere con moderazione alle classi sociali emergenti. L'educazione fisica e lo sport sono terreno di conquista e confronto per movimenti politici e ideali. Nazionalisti, cattolici, liberali, protestanti, minoranze etniche e religiose vi intravvedono un modello di sociabilità31 in grado di aggregare le masse giovanili attorno ad una attività fascinosa perché espressione di gusti, tendenze e valori del nuovo secolo. Tuttavia, nelle varie forme ideologiche che assumeva, la cultura sportiva si presentava con caratteri e finalità che contrastavano con quelle del nascente movimento operaio. La «cultura del corpo», che aveva costituito il retroterra su cui si erano sviluppate le pratiche sportive nella seconda metå dell'Ottocento, appare estranea alle 30 G. Bonetta Corpo e nazione : l'educazione ginnastica, igienica e sessuale nell'Italia liberale, 1990. Id., Il secolo dei ludi. Sport e cultura nella società contemporanea, 2000 31 Maurice Agulhon Il salotto, il circolo e il caffè: i luoghi della sociabilità nella Francia borghese, 1810-1848, 1993. (Ed. or. 1977) 17 ideölogie del movimento operaio. Questi ed altri motivi spiegano il relativo ritardo con cui i partiti socialisti europei iniziano a scoprir il potenziale aggregante dello sport. Approfondimento: Dallo «sport vizio borghese» al movimento sportivo proletario Fra i primi a porre il problema della «rigenerazione fisica» del proletariato era stato Kautsky che al congresso di Parigi del 1900 dell'Internazionale afferma: «In uno stato democratico moderno, la conquista, del potere da parte del proletariato non può essere il risultato di un colpo di stato, ma di un lungo e faticoso lavoro d'organizzazione proletaria sul terreno economico e politico, per la rigenerazione fisica e morale della classe operaia e per la conquista graduale dei municipi e delle assemblee legislative». Era allora uno dej punti programmatici più dibattuti nélle assise internazionali dej socialisti che ritenevano che i problemi igienici e sanitari non si risolvessero solo attraverso la creazione di ambienti domestici e di lavoro più sani ma soprattutto con la sconfitta dell'alcoolismo indicato come uno dej principali «nemici del socialismo»32. Le statistiche mediche, gli opuscoli, le risoluzioni congressuali e la letteratura agli inizi del secolo testimoniano l’attenzione con cui il movimento operaio considerava il problema. Se le osterie erano state spesso alle origini i luoghi di una cultura alternativa delle associazioni proletarie,33 fra fine Ottocento e inizio Novecento matura la convinzione che la formazione di un proletariato cosciente dej propri compiti e dej propri doveri deve affrancarsi da quei luoghi. L’attività fisica è vista come un antidoto all’«abbrutimento» dell'alcoolismo e un mezzo per formare un proletariato «sano e robusto» ma i dirigenti 32 Emile Vandervelde fonda nel 1910 la Lega internazionale antialcolica 33 “Movimento operaio e socialista” 1985, n.1 (monografico) “Proletari in osteria” comprende R. Monteleone “Socialisti o ciucialiter? Il PSI e il destino delle osterie tra socialità e alcoolismo”; “T. Merlin "Gli anarchici, la Piazza e la campagna: socialismo e lotte bracciantili nella bassa padovana. 1866-1895", Vicenza, 1980 (cap.1., parte 3. "La cultura della piazza"); G. Sbordone "Nella repubblica di S. Margherita: storie di un campo veneziano nel primo '900", Portogruaro, 2003; A. Casellato "Una piccola Russia. Un quartiere popolare di Treviso tra fine '800 e secondo dopoguerra", Vicenza, 1998; A. Baravelli "Le case del popolo a Fusignano e nella bassa Romagna", Ravenna, 1999 (cap. "Circoli borghesi, osterie e cameracce proletarie") 18 socialisti sono anche preoccupati che l'attività fisica esercitata nelle società ginniche di ispirazione borghese e militarista possa minare il sentimento antimilitarista e pacifista che, soprattutto nei movimenti giovanili, anima gli associati. Di qui i loro inviti a fondare sezioni sportive autonome e le sollecitazioni ai militanti e simpatizzanti socialisti ad uscire dalle associazioni a carattere borghese, cui risponde la nascita della più vasta associazione sportiva socialista europea: la Arbeiterturnerbund (ATB), sorta da una scissione della Deutsche Turnerschaft erede delle teorie di Federico Ludovico Jahn. In Moravia gran parte dej giovani ginnasti socialisti faceva parte dell’organizzazione panslavista Sokol ma nel 1894 e ‘96 sono fondate le prime associazioni ginniche operaie e nel 1897 in seguito alle lotte elettorali che oppongono i partiti borghesi a quello socialista questi ultimi sono espulsi dal Sokol sancendo la nascita del movimento ginnastico socialista cecoslovacco. Alcune associazioni sportive socialiste sorgono autonomamente come il club ciclistico londinese Clarion nel 1894 che supporta le campagne elettorali dei candidati laburisti. Nell'ultimo decennio del secolo si costituiscono gruppi di ciclisti socialisti in Austria e Svizzera mentre al 1904 risale la creazione a Bruxelles della Federazione nazionale socialista di educazione fisica e morale che raggruppava i club di tendenza socialista sorti in Belgio. La nascita di aggregazioni sportive socialiste testimonia per certe frange operaie di alcuni paesi la maggior disponibilità di tempo libero garantita dalle lotte sindacali: la fine della depressione che attraversa l'Europa fino agli anni ottanta e l'aumento del potere d'acquisto dei salari consentono gradualmente l'accesso anche agli operai a forme di ”loisir” un tempo riservate a privilegiate fasce sociali. Ma nella nascita dello sport operaio hanno un peso importante questioni di carattere politico e ideologico: lo sport «invenzione» della società borghese fu assunto come pratica organizzativa da quei partiti socialisti per i quali le conquiste della società borghese andavano assunte a vantaggio della classe operaia nell'ambito di una prassi riformista; dove invece frange anarcosindacaliste pöstulavano il rifiuto della societa borghese, anche lo sport era boicottato. La diffusione della pratica sportiva ricalca la stessa geografia politica che caratterizza il socialismo nell'Europa del primo Novecento: in Germania, Austria, Svizzera, Belgio prevale il modello gradualista e lo sport entra a far parte del bagaglio della cultura popolare socialista. Dove invece esistono resistenze alla tattica parlamentarista e forme di 19 lotta diretta rivolta alla distruzione della società borghese lo sport in quanto paradigma dello stile di vita delle classi agiate è osteggiato, come in Francia dove solo nel 1908 (quindici anni dopo le prime esperienze associative tedesche) i socialisti francesi riconoscono allo sport una funzione educativa, anche se club sportivi socialisti erano sorti autonomamente già all'inizio del secolo e il movimento delle Università popolani si era già fatto promotore di attivita sportive e escursionistiche. In Italia la diffidenza si manifesta con l'origine stessa del fenomeno sportivo nell'Italia umbertina: negli anni ottanta, quando il foot-ball e il termine sport sono sconosciuti, i socialisti polemizzano contro la «mania dello sport» e, individuandone le radici sociali nella classe degli «oziosi», l’accostano al vizio borghese della lussuria che considerano «il peccato delle persone che non hanno niente da fare e sono le più occupate del mondo. Queste persone devono pensare a migliorare la razza del cani e quella del cavalli, a guidare le doppie pariglie, a rompersi le gambe sui velocipedi ... E a mezzanotte devono brandire le carte e pelarsi a vicenda. E dire che il mondo li chiama oziosi».34 Nell'ultimo decennio del secolo la classe dirigente liberale italiana rinnova l'insegnamento dell'educazione fisica con l'inserimento dei «giochi inglesi» per rendere più dilettevole la ginnastica, introdotta nelle scuole nel 1878 e vara nel 1893 una riforma dell’educazione fisica prendendo a modello il sistema dej colleges inglesi dell'etå vittoriana basato sui giochi all'aria aperta. Contro la riforma si scagliano i socialisti: «A questo esercito di lavoratori, di malnutriti e di affamati la brava Commissione ... prescrive, perché rinvigorisca, il suo recipe a base di birilli e di lawn-tennis. Sarebbe una feroce ironia, se non fosse incoscienza di panglossismo borghese. Oh! lo sappiamo bene che la scuola (questa scuola dove s'insegnano troppe cose superflue, e poche si imparano utili alla vita) colla sedentarietà, l'aria confinata, il sopralavoro intellettuale non é un elemento di sanità. Ostacola lo sviluppo fisico: la scrofola, la tubercolosi ecc., vi possono trovare l'origine e un buon coefficiente. Ma tutti questi danni, che gli igienisti in Italia e fuori van segnalando, basterà a correggerli l'esercizio ginnastico (e bisognerebbe, per fare sul serio, riformare ab imis l'ordinamento della scuola) nei figli bene nutriti e vestiti ed accasati, i quali appunto proseguono il corso degli studi fin oltre i venti anni. Ma al figlio del proletariato (che ai nove anni lascia la 34 “Almanacco illustrato del Secolo”, 1888 20 scuola, se pure l'ha frequentata) non bastano i birilli e il lawn-tennis; gli manca il resto, che é l'essenziale».35 I socialisti così si isolano dalla cultura laica democratica che nell' educazione fisica vede uno strumento di educazione ai valori del progresso e della democrazia. L'ideologia positivista aveva anzi elevato l'educazione fisica ad elemento costitutivo di una pedagogia popolare tesa a esaltare il primato del corpo, in polemica con la cultura clericale incline a favorire le esigenze dello spirito. E Garibaldi era stato propagandista dei tiri a segno ritenuti un momento di educazione aj valori patriottici e unitari. Su queste posizioni non era solo il gruppo dirigente socialista ma anche chi sedeva nei consigli comunali e provinciali che avevano l’onere del finanziamento dell’educazione fisica: nel 1900 nel consiglio provinciale di Genova Pietro Chiesa 36 si era opposto alla concessione di un finanziamento per la costruzione di una palestra della Societå ginnastica Andrea Doria. La sua posizione rifletteva le critiche avanzate da «Critica sociale» e si basava sulla considerazione della ginnastica come «lusso inutile»: «Fino a tanto .. che alla grande maggioranza dej regnicoli che sono i proletari manca il più stretto necessario alla vita, e sono costretti a logorarsi il fisico o nell'ozio forzato od in uri lavoro che prostra ed uccide, non é cosa né equa né corretta il chiamarli a perfezionarsi con degli esercizi acrobatici ... Bisogna pensare al necessario perché per i mal nutriti la ginnastica non solo sarebbe cosa superflua, ma peggio, sarebbe deleteria». 37 Queste argomentazioni erano giustificate dallo stato di indigenza e miseria delle classi popolari: «Per sviluppare nella gran maggioranza degli italiani la forza fisica bisogna prima di tutto che il loro organismo possegga una forza; bisogna cominciare dal nutrimento, e dall'applicazione di orari meno opprimenti». Chiesa non era pregiudizialmente contrario all’educazione fisica, ma la subördinava alla risoluzione prioritaria dej problemi sociali legati all'analfabetismo, alla povertà, alla riduzione dell'orario di lavoro: le condizioni sociali in Italia erano in quegli anni più arretrate rispetto a quelle di paesi industrialmente più avanzati, dove i movimenti operai avevano elevato l'educazione fisica e la. pratica sportiva a strumento di gestione del tempo libero. A inizio secolo i censimenti denunciano 35 «Critica sociale» n.2 1894 36 1858-1915, primo deputato socialista in Liguria, di tendenza riformista 37 P. Chiesa, Ginnastica e miseria in Italia,1900 21 percentuali di analfabetismo del 50%, anche più alte nel Mezzogiorno e nel 1901 oltre mezzo milione di fanciulli non frequenta la scuola che in paesi come l'Inghilterra, la Germania o la Francia è il veicolo attraverso cui i giovani si accostavano alla pratica sportiva come in Boemia dove nel 1907 oltre il 50% degli iscritti alle associazioni ginniche operaie era composto da scolari e da studenti Ulteriore arretratezza italiana erano gli orari di lavoro: solo le aristocrazie operaie godevano di orari di lavoro giornalieri attorno alle dieci ore mentre la manodopera non qualificata arrivava a prolungare la giornata lavorativa fino ai massimi di quindici, sedici öre. A fronte di questi dati i socialisti potevano reclamare come un «lusso superfluo» l'educazione fisica e sportiva e, considerati gli elevati orari di lavoro e lo scarso, tempo libero dell'operaio, ritenerla un privilegio riservato a ristrette fasce sociali In alcune regioni come l’Emilia, il Polesine, il mantovano, la base prevalentemente contadina del socialismo italiano 38 condizionava miti e simboli e configurava un universo di valori e credenze ancorati alla società rurale e ostile a una pratica come quella sportiva che aveva le radici nella cultura industriale e urbana. La polemica socialista antisportiva assume toni più aspri dai primi anni del secolo: il foot-ball, che disputa il primo campionato nel 1899, inizia a mietere proseliti ma è soprattutto il ciclismo che attiva il pubblico degli appassionati. Per lo stile di vita borghese lo sport diviene una pratica di affermazione di censo, uno status symbol raccomandato anche dai manuali di etichetta: giocare a tennis, a cricket, far dell'equitazione, testimonia l'appartenenza a quel ceto sociale i cui riferimenti provenivano dal modello di costume dell'Inghilterra vittoriana. Anche l'opinione nazionalista si opponeva al dilagare del fenomeno ma per motivi diversi: era preoccupata che in quanto di origine straniera lo sport avrebbe potuto veicolare attitudini non in sintonia con l'educazione patria e per questo contrapponeva gli antichi giochi tradizionali italiani. I socialisti condannano la crescente «mania» dello sport perché di origine borghese e quindi veicolo di un messaggio non in sintonia con le finalitå educative del socialismo: «Stupido ed aristocratico, due 38 l’«essenza agricola»: R. Michels Il proletariato e la borghesia nel movimento socialista italiano : saggio di scienza sociografico-politica , Torino, 1908 22 cose che sono spesso sinonimi»39 e «Violenta reazione muscolare alla inattivitå produttiva delle classi redditizie»40 Anche i deputati socialisti quando in Parlamento si discute di problemi attinenti l'educazione fisica, esprimono dissenso e contrarietà. Ettore Ciccotti nel 1903, in occasione della discussione del bilancio di previsione invoca l'abolizione dei finanziamenti governativi alle scuole di. scherma perché le riteneva fomentatrici del sentimento di violenza e di un'altra «deprecata» moda contro cui quale i socialisti erano più volte intervenuti: il duello. «Credo che tutto ciö che si riferisce al duello e lo incoraggia e lo prepara sia contro la civiltà... L'Italia ha il vanto di fornire insegnanti di scherma a tutti i paesi. Disgraziatamente. chi ha conoscenza della nostra emigrazione sa pure che noi forniamo all'estero il personale per i lavori pii'i faticosi e meno considerati.. ... Il movimento socialista italiano dopo l’iniziale rifiuto dovuto alla concezione dello sport come attività fuorviante dalla lotta di classe, si avvia a concepire lo sport come fattore di produzione di una nuova socialità contrapposta a quella degli apparati istituzionali dello Stato. Anzi, lo sport è utilizzato come palestra di addestramento democratico e come strumento di propaganda politica. Fino al primo conflitto mondiale lo sport rimane in Italia sostanzialmente patrimonio delle classi agiate. Per quanto il ciclismo, l'automobilismo ed in parte il football e l'alpinismo conoscessero già un discreto seguito di massa, e per quanto già dal finire del XIX secolo esistessero forme associative legate al movimento socialista, è solo nel primo dopoguerra che il fenomeno sportivo si impone anche nelle classi subalterne 41 Nell'estate 1920 viene fondata a Milano l'Associazione proletaria per l'educazione fisica. Presidente e animatore è il medico Attilio Maffi: “Il proletariato ha almeno tre buone ragioni per formare 39 F. Turati Discorsi parlamentari, vol.2, Roma, 1950, p. 856 40 G. Petrini, Lo sport e la questione sociale, “Avanguardia socialista”, 1904 41 S. Giuntini Sport e movimento operaio a Torino dal biennio rosso all'avvento del fascismo In “Studi piemontesi”, 1995, n. 1; A. Gramsci, in “Avanti!” ed. di Torino, 16.8.1918 ora in “Sotto la Mole” pag. 433: “Lo sport è attività diffusa nelle siocietà in cui l’individualismo economico del regime capitalistico ha trasformato il costume, ha suscitato accanto alla libertà spirituale la tolleranza dell’opposizione” 23 un'organizzazione propria ed autonoma. La prima, di natura politica, è la conseguenza del carattere conservatore, militarista assunto dallo sport borghese, ormai irrimediabilmente compromesso dal commercialismo e da un esasperato spirito di competizione; la seconda, di ordine igienico-sanitario, parte dal presupposto che una pratica sportiva razionale e disciplinata costituisca un elemento indispensabile per i lavoratori, i cui organismi sono minati da fatiche quotidiane e ripetitive. La terza ragione, di carattere sociale, considera l'attività fisica uno strumento di elevazione spirituale in grado di sottrarre gli operai dalle bettole e da altre pratiche moralmente poco dignitose”. Filippo Turati così criticava le disattenzioni del socialismo italiano nei confronti del tempo libero: «Per la nostra concezione, assai più importante - vorremmo dire, assai più immediatamente rivoluzionario - é l'impiego delle seconde otto ore, di quelle che stanno fra il lavoro salariato e il sonno organicamente riparatore. E solo in coteste ore intermedie che comincia e si estende la vera vita del lavoratore, come uomo, come cittadino, come membro della propria classe - ossia, come socialista e preparatore della società socialista. 42 Più dei socialisti se ne occuparono alcuni industriali allo scopo di procurare ai loro operai quegli svaghi che più li vincolassero alla fabbrica rendendoli meglio utilizzabili per la produzione. Per questa ragione un classismo semplicista sdegnò di interessarsene, sospettoso di far opera di collaborazione corruttrice. Ora, la preoccupazione dej socialisti doveva essere non opposta ma radicalmente diversa, e proporsi di creare non tanto il miglior produttore quanto il cittadino più attivo e più consapevole». L'autocritica di Turati sintetizza i motivi di quella diffidenza che il socialismo italiano destinö alla pratica sportiva negli anni d'inizio secolo. Solo nel primo dopoguerra il Partito socialista avrebbe in parte rimosso quei pregiudizi riconoscendole potenzialità aggregative ed educative dello sport proletario e Attilio Maffi 43avrebbe giudicato «certamente un errore del nostro partito il disinteressarsj del movimento sportivo, anzi il considerarlo come un pericoloso diversivo per le nostre masse». Nel clima del primo dopoguerra Giacinto M. Serrati per qualche tempo dirige «Sport e proletariato», il movimentö 42 in «Critica sociale», 1925 43 L. Rossi, Attilio Maffi e la ginnastica proletaria, in “Coroginnica saggi sulla ginnastica, lo sport e la cultura del corpo, 1861-1991” Roma 1992 24 promotore di associazioni sportive, non pochi giovani socialisti aderirono all'Associazione proletaria per l'educazione fisica (APEF) fondata a Milano nell'estate del 1920. L'avvento del fascismo impedisce la concreta realizzazione di quelle autocritiche rinviando al secondo dopoguerra la nascita del movimento sportivo operaio, tanto più che quelle esperienze del primo dopoguerra erano avvenute in un clima in cui permangono residui di ostilità alla «sportmania». Parte 2. Marxismo e questione nazionale 3 Il “Manifesto Il giovane Marx, per confutare le concezioni sostanzialistiche e le «superstizioni» speculative, descrive nella “Sacra famiglia” il rapporto trä società civile e Stato come un procedere di questo da quella, e poi nell’ “Ideologia tedesca” presenta la nazione come una conformazione storica che dipende dal grado di sviluppo delle forze produttive e della divisione del lavoro", e viene dunque ad assumere in buona parte i connotati della società civile. In Marx l'interesse per il tema «nazione» era comunque episodico; e pressoché inesistente il problema di come la nazione» effettivamente nascesse “Si è rimproverato ai comunisti ch’essi vorrebbero abolire la patria, la nazionalità. Gli operai non hanno patria. Non si può togliere loro quello che non hanno. Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è conquistare il dominio politico, elevarsi a classe nazionale, costituire se stesso in nazione, è anch’esso, ancora nazionale, seppure non certo nel senso della borghesia. Le separazioni e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno scomparendo sempre più già con lo sviluppo della borghesia, con la libertà di commercio, col mercato mondiale, con l’uniformità della produzione industriale e delle corrispondenti condizioni d’esistenza. Il dominio del proletariato li farà scomparire ancor di più. Una delle prime condizioni della sua emancipazione è l’azione unita, per lo meno dei paesi civili. Lo sfruttamento di una nazione da parte di un’altra viene abolito nella 25 stessa misura in cui viene abolito lo sfruttamento di un individuo da parte di un altro. Con l’antagonismo delle classi all’interno delle nazioni scompare la posizione di reciproca ostilità fra le nazioni.” “La lotta del proletariato contro la borghesia è in un primo tempo lotta nazionale, anche se non sostanzialmente, certo formalmente. E` naturale che il proletariato di ciascun paese debba anzitutto sbrigarsela con la propria borghesia» 44 La problematica nazionale é trattata con notevole ambiguità: la celebre affermazione "i proletari non hanno patria!" è specificata in termini "dialettici" in diversi passaggi e sostanzialmente ridimensionata nella sua originaria apoditticità. Da una parte il proletariato, in seguito alla sua subordinazione al capitale non possiederebbe più alcun carattere nazionale: in quanto classe massimamente espropriata (dei mezzi di produzione, del legame con la donna e con i figli) risulterebbe quindi espropriato anche della propria nazionalità (affermazione intempestiva alla vigilia dej grandi rivolgimenti nazionali quarantotteschi). Tale affermazione viene d'altra parte, "dialetticamente" relativizzata con la constatazione che la lotta di classe tra proletariato e borghesia si svolgeva, almeno in una prima fase, all'interno delle singole nazioni. La lotta tra proletariato e borghesia sarebbe quindi nazionale nella "forma", se non nel "contenuto". La problematica nazionale acquisisce poi nel “Manifesto” un'ulteriore sfaccettatura, quando Marx ed Engels affermano che il proletariato deve, in un primo tempo, "ascendere a classe nazionale", costituire se stesso in nazione, e quindi essere ancora nazionale, anche se non nel senso in cui lo é la borghesia. In un futuro indeterminato sarebbero venuti a cadere i contrasti tra le nazioni, a mano a mano che fosse venuto a cessare lo sfruttamento di una nazione da parte di un'altra. Nel “Manifesto” è contenuta in germe la contraddizione teorica e pratica del movimento socialista sulla questione nazionale: se si cita solo la frase «gli operai non hanno patria», allora la classe operaia é la classe universale e la solidarietà dei proletari travalica e abbatte le frontiere, l'Internazionale sarà il genere umano; ma se il proletariato deve «costituire se stesso in nazione» come il Terzo Stato di Sieys, avanza nella storia come la classe nazionale “par excellence” volta a eliminare ogni oppressione 'straniera'. 45 44 Marx-Engels, Manifesto del partito comunista [1848], Torino 1964, p. 154 26 La 'contraddizione' non é in Marx e Engels, per i quali la 'questione nazionale' non è un problema specifico: non sono indifferenti al fenomeno ma non hanno dottrine preconcette sull'argomento. Siccome la loro storia é la storia delle lotte di classi e non di nazioni, il loro atteggiamento nei confronti di conflitti e rivendicazioni nazionali è empirico: osservano e si pronunciano senza applicare alle situazioni specifiche la griglia precostituita di una teoria della 'Nazione'. Il loro concetto di nazione è influenzato dall' epoca della formazione di Stati nazionali (Germania, Italia, Polonia, Ungheria) in cui vivono, che rimanda a una formazione storica legata all'ascesa del modo di produzione capitalista e alla sovrastruttura politica dello Statonazione. Ma questo concetto non è stato sviluppato in modo sistematico, per la loro convinzione di vivere in un'epoca dominata dal cosmopolitismo borghese e dall'avvento, in un futuro prossimo, di un socialismo che avrebbe trasceso i conflitti nazionali. Nel “Manifesto” l'internazionalizzazione del modo di produzione capitalista e la formazione di un mercato a scala mondiale sono concepiti come un processo che "ha reso cosmopolita la produzione e il consumo dell'insieme dei paesi", stabilendo un' "interdipendenza universale tra tutte le nazioni" e creando una "letteratura mondiale". Nel quadro di questa trasformazione ininterrotta della vita sociale, il capitalismo sottometterebbe "la campagna alla città, le nazioni barbare e semibarbare a quelle civilizzate, le popolazioni contadine a quelle borghesi, l'Oriente all'Occidente". Questa descrizione piena di ammirazione per il ruolo rivoluzionario del modo di produzione capitalista, considerato come un sistema economico tendente quotidianamente ad approfondire l'unificazione materiale e "spirituale" del mondo e a eliminare le basi stesse dei conflitti nazionali, li conduce a trascurare l'importanza della questione nazionale. Questa sottostima, che contiene qualche elemento di riduzionismo economico e d'eurocentrismo, contraddistingue i loro scritti del periodo 1848-1849. 45 ‘L’asserzione che il proletario non ha patria è corretta dove, quando e nella misura in cui esso può partecipare pienamente come cittadino al governo e alla legislazione del suo paese, ed è in grado di modificare le sue istituzioni secondo i propri desideri.’ E. Bernstein in ‘La Socialdemocrazia Tedesca ed il Groviglio turco’ “Neue Zeit”, 1896-7 n. 4 27 Essi hanno scritto che la supremazia del proletariato causerà la sparizione delle "separazioni nazionali [Absonderungen] e della conflittualità tra i popoli": questa concezione è fondata sulla speranza umanista che in un mondo socialista, un mondo senza frontiere, non solo gli antagonismi e i conflitti tra le nazioni, ma anche le differenze economiche, sociali e politiche (ma non culturali) sarebbero sparite. e insiste sull'importanza dell'identità nazionale e della sua interiorizzazione. Il “Manifesto” offre un ritratto dell’origine della lotta di classe proletaria: “Da principio singoli operai, poi gli operai di una fabbrica, poi gli operai di una branca di lavoro in un dato luogo lottano contro il singolo borghese che li sfrutta direttamente … E basta questo collegamento per centralizzare in una lotta nazionale, in una lotta di classe, le molte lotte locali che hanno dappertutto uguale carattere.” Qui la lotta ‘nazionale’ del proletariato è associata alla lotta di classe poiché solo la centralizzazione delle lotte dei lavoratori alla scala dello stato potrebbe opporre i lavoratori in quanto classe alla classe borghese e dare a queste lotte il carattere di lotte politiche. 46 Quando Marx ed Engels parlano della lotta del proletariato contro la borghesia come di una ‘in un primo tempo lotta nazionale’, intendono una lotta intrapresa “in primis” all’interno di un singolo stato ovvero che ‘il proletariato di ciascun paese debba anzitutto sbrigarsela con la propria borghesia’. L’ascesa del proletariato fino a ‘diventare la classe principale della nazione’ significa che il proletariato deve insorgere nei confini statali esistenti per diventare la classe principale all’interno degli stati esistenti, per cui dovrà essere all’inizio ‘ancora nazionale sebbene non nel senso borghese della parola’. Il compito della classe operaia vittoriosa sarà di iniziare l’eliminazione delle ostilità e degli antagonismi nazionali fra i popoli: sotto la sua egemonia creerà condizioni in cui ‘con l’antagonismo delle classi all’interno delle nazioni scompare la posizione di reciproca ostilità fra le nazioni.’'47 46 ‘Precisamente perché la borghesia non è più una casta, ma una classe, è costretta ad organizzarsi nazionalmente, non più localmente, e a dare ai suoi interessi comuni una forma generale’ “Ideologia Tedesca” MEGA, 5, p.52. 47 Engels scrive nel 1846: ‘Solo i proletari possono abolire la nazionalità; solo il risveglio del proletariato può permettere alle varie nazioni di fraternizzare’ (MEGA, vol. 6, p.460). Anche 28 Ma nel 187548 Marx scrive: “La classe operaia si batte per la propria emancipazione innanzitutto nell’ambito dell’odierno Stato nazionale, consapevole che il risultato necessario dei suoi sforzi, che sono comuni ai lavoratori di tutti i paesi civilizzati, sarà la fratellanza internazionale dei popoli … È di per sé evidente che, per essere pienamente capace di lottare, la classe operaia deve organizzarsi come una classe in casa propria e che il proprio paese è l’arena immediata della sua lotta. In questo senso la sua lotta di classe è ancora nazionale, non nella sostanza, ma, come dice il Manifesto Comunista, ‘nella forma’. Ma ‘l’ambito dell’odierno Stato nazionale’, per esempio, dell’Impero Tedesco, è esso stesso a sua volta economicamente ‘nell’ambito’ del mercato mondiale e politicamente ‘nell’ambito’ del sistema degli stati. Ogni uomo d’affari sa che il commercio tedesco è allo stesso tempo commercio estero, e che la grandezza di Herr Bismarck consiste, se ne può essere certi, precisamente nel suo intraprendere un certo tipo di politica internazionale. Ed a che cosa si riduce l’internazionalismo del Partito tedesco dei Lavoratori? Alla consapevolezza che il risultato dei suoi sforzi sarà ‘la fratellanza internazionale dei popoli’ – una frase presa in prestito dalla borghese Lega della Pace che si vuol fare passare come equivalente della fratellanza internazionale delle classi operaie nella lotta unitaria contro le classi dominanti ed i loro governi. Non una parola, perciò, sulle funzioni internazionali della classe operaia tedesca!”. Alcuni passaggi del “Manifesto” possono essere letti come apologie del lavoro storico del capitalismo come distruttore dell'ordine feudale e, in generale di tutte le forme sociali arcaiche. Marx ed Engels attribuivano un carattere "rivoluzionario" al capitalismo in sviluppo all'esterno delle frontiere dell'Europa, in un periodo in cui essi consideravano che le condizioni per una rivoluzione socialista fossero mature a livello di continente europeo. In India la Gran Bretagna, distruggendo la vecchia società, avrebbe assicurato i presupposti di uno sviluppo sociale moderno grazie all'industrializzazione del paese. Nel 1853 Marx definiva l'Inghilterra, forza motrice di questo cambiamento sociale, come "lo strumento inconsapevole della nell’”Ideologia Tedesca” ci si riferisce al proletariato come a una classe che è ‘già l’espressione della dissoluzione di tutte le classi, nazionalità ecc. all’interno della società attuale… nella quale la nazionalità è già abolita ‘ (Ibid., v. 5, p.60, 50, 454) 48 “Critica del Programma di Gotha”, punto 5 29 Storia". Nello stesso senso Engels approvava l'annessione della California agli Stati Uniti poiché "le industrie Yankees sarebbero più adeguate delle Messicane indolenti" per assicurare lo sviluppo economico della regione. Nel 1848, Engels qualifica la conquista francese dell'Algeria come "un avvenimento felice per il progresso della civilizzazione". Marx ed Engels, affascinati dall'estensione del capitalismo a scala mondiale, ne denunciano le modalità barbare e violente di realizzazione e la mistificazione con cui le conquiste coloniali sono presentate come "missioni civilizzatrici" finendo per considerano il capitalismo un sistema che "trasforma ogni progresso economico in una calamità sociale". Riguardo alla colonizzazione britannica dell'India, Marx compara il "progresso umano" a un "terrificante idolo pagano che non desidera bere il nettare altro che nei crani degli assassinati". Nel 1857 in un articolo sull'Algeria scritto per l' “Americana Encyclopedia” Engels denuncia "gli orrori e la brutalità" della "guerra barbara" condotta dai francesi contro "le tribù arabe e kabile per le quali l'indipendenza è un bene prezioso e l'odio per la dominazione straniera è l'imperativo primario della loro vita". Nel 1861 Marx parla dell'intervento europeo in Messico come di una delle "più mostruose imprese degli annali della storia internazionale" Il punto di partenza che li conduce a riconoscere l'Irlanda come una nazione storica sta nella comprensione della volontà del popolo irlandese di diventare una nazione indipendente. In Irlanda il nazionalismo si afferma in relazione al processo di denazionalizzazione condotto dall'imperialismo britannico che determina non solo la spoliazione economica dell'isola ma si spinge fino a una reale assimilazione linguistica degli Irlandesi che abbandonano la lingua gaelica per parlare inglese. Engels scrive: "Dopo la più feroce repressione, dopo ogni tentativo di sterminio, gli Irlandesi riprendevano vita e si risollevavano, come se traessero la loro forza direttamente dalla presenza delle forze militari che erano state loro imposte per opprimerli": il concetto di nazione non è definito secondo criteri oggettivi (economia, lingua, territorio ecc.) ma si fonda su un elemento soggettivo la volontà degli Irlandesi di liberarsi essi stessi dalla dominazione britannica. Nel 1867, quando Marx ed Engels rivolgono di nuovo l'attenzione alla questione irlandese, individuano un elemento teorico fondamentale: la divisione tra nazioni dominanti e nazioni oppresse. Considerano la dominazione coloniale dell'Irlanda non solo come l'origine dell'oppressione del 30 popolo irlandese, ma anche la chiave per comprendere l'impotenza della classe operaia inglese, il proletariato più numeroso e meglio organizzato del mondo nella seconda metà del XIX secolo. Lo sciovinismo e i sentimenti di superiorità nazionale dei lavoratori inglesi verso gli irlandesi facevano il gioco della borghesia britannica, che sfruttava questo antagonismo per mantenere la dominazione in Irlanda e opprimere il proletariato inglese. Marx scrive nel 1870: "In tutti i centri industriali e commerciali d'Inghilterra si ritrova oggi una classe operaia divisa in due campi ostili, i proletari inglesi e i proletari irlandesi. Il lavoratore inglese ordinario odia il lavoratore irlandese in quanto concorrente causa di abbassamento del suo livello di vita. Di fronte al lavoratore irlandese, si sente egli stesso membro della nazione dominante e si trasforma così in strumento degli aristocratici e dei capitalisti contro l'Irlanda, rinforzando di fatto la loro dominazione su lui stesso. Questo antagonismo è il segreto dell'impotenza della classe operaia inglese, nonostante la sua organizzazione. È il segreto grazie al quale la classe capitalista fonda il suo potere e di cui è del tutto cosciente". 4 ‘Nazione’ e ‘nazionalità’ Nel “Manifesto” i due termini non sono sempre usati nello stesso senso: in inglese e francese ‘nazione’ significa un popolo che possiede uno stato sovrano e perciò la propria storia politica; ‘nazionalità’ invece può essere intesa come cittadinanza o designare una comunità di stirpe e di lingua (il ‘popolo’, il tedesco ‘Volk’) mentre in Germania ed in Europa Orientale entrambi i termini si riferiscono alla comunità di stirpe e di lingua.49 49 ‘Il concetto di nazione è parimenti difficile da delimitare. La difficoltà non è diminuita dal fatto che due diverse formazioni sociali sono denotate dalla stessa parola, e la stessa formazione da due parole diverse. In Europa Occidentale, con la sua vecchia cultura capitalistica, i popoli di ogni stato si sentono strettamente legati ad esso. Là, la popolazione di un stato è designata come nazione. In questo senso, per esempio, noi parliamo di una nazione belga. Più ci allontaniamo verso l’est dell’Europa, più numerose sono le porzioni della popolazione di un stato che non desiderano appartenere ad esso, che costituiscono comunità nazionali proprie dentro ad esso. Anch’esse sono chiamate ‘nazioni o ‘nazionalità. Sarebbe 31 Marx ed Engels specie nei loro primi scritti seguono l’uso inglese e francese per designare con la parola ‘nazione’ il popolo di un stato sovrano che possiede perciò la propria storia politica (in via eccezionale applicano questo termine anche a popoli ‘storici’, come i Polacchi che erano stati privati di un loro stato 50) e per ‘nazionalità’ un popolo che appartiene ad uno stato sovranazionale o una comunità etnica, usandolo in relazione ai cosiddetti ‘popoli senza storia’(su cui torneremo nel prossimo capitolo) come gli slavi austriaci (cechi, croati ecc.) ed i rumeni, o alle ‘rovine di popoli’ come celti, bretoni e baschi. Diamo alcuni esempi tratti da Engels “I gaeli delle Highlands ed i gallesi sono indubbiamente delle nazionalità diverse da quella inglese, ma a nessuno è venuto in mente di definire ‘nazioni’ questi resti di popoli da tempo scomparsi, o addirittura gli abitanti celti della Bretagna in Francia ….”51“Possiamo distinguere due gruppi di slavi austriaci. Un gruppo consiste di residui di nazionalità la cui storia appartiene al passato e il cui presente sviluppo storico è legato a quello di nazioni di diversa razza e lingua …. Di conseguenza, queste nazionalità, sebbene vivano esclusivamente sul suolo austriaco, in nessun modo costituiscono diverse nazioni.”52 “Né Boemia né Croazia possedettero mai il potere di esistere come nazioni a sé stanti. Le loro nazionalità, gradualmente minate da fattori storici che provocarono il loro assorbimento da parte di razze più vigorose, possono sperare di riconquistare una sorta di indipendenza solamente se si collegano con altre nazioni slave.“53 consigliabile usare solamente il secondo termine per esse”. K. Kautsky, Die materialisti-sche Geschichtsauffassung, vol. 2, p.441.) 50 K. Marx, 22 febbraio 1848: ‘I tre poteri [Prussia, Austria e Russia] marciarono insieme alla storia. Nel 1846, quando incorporarono Cracovia all’Austria, confiscarono le ultime rovine della nazionalità [sta per Stato] polacca. ‘ (MEGA, vol. 6, p. 408 = Gesammelte Schriften, vol. 1, p.247). 51 F. Engels al giornale “The Commonwealth”, 1866, in “Grünbergs Archiv”, vol. 6, p.215 52 F. Engels, La Germania e il Panslavismo 1855 in “Gesammelte Schriften”, vol. 1, p.229. 53 F. Engels Rivoluzione e controrivoluzione in Germania (1852). 32 Le loro reazioni talvolta sono umorali, legate a pregiudizi. Estranei al romanticismo storicizzante, diffidenti nei confronti dej contadini, allergici a miti e leggende, le loro opzioni teoriche li portano a considerare con favore i grandi complessi economico-politici, i grandi Stati moderni propizi allo sviluppo del capitalismo e alla crescita della classe operaia. Gran Bretagna, Germania, Francia sono i loro terreni d'indagine prediletti. Cosi i piccoli popoli oppressi riscuotono solo commiserazione: ad esempio gli irlandesi che, colonizzati dall' Inghilterra, «sono stati ridotti... allo stato di un popolo completamente incanaglito, e ora compiono notoriamente la funzione di provvedere 1'Inghilterra, l'America, l'Australia ecc. di puttane, di salariati, di maquereaux, di mascalzoni, di imbroglioni, di mendicanti e di altre canaglie»54. L'Irlanda in quanto nazione è destinata a prossima scomparsa: tanto meglio: «L'irlandese sa di non poter gareggiare con l'inglese che dispone di mezzi sotto ogni riguardo superiori, l'emigrazione continuerà finché il predominante anzi quasi esclusivo carattere celtico della popolazione se ne sarà andato in fumo». Lo stesso per la Polonia che é una «nation foutue» che «si può adoperare come strumento solo fino a quando la Russia stessa non sia trascinata in una rivoluzione agraria. Da quel momento in poi la Polonia non ha più alcuna raison d'étre. 1 polacchi non hanno mai fatto altro nella storia se non combinare delle eroiche cretinerie per il gusto di litigare. Non si può indicare un solo momento in cui la Polonia abbi rappresentato con successo il progresso... o che abbia fatto qualcosa d'importanza storica»55 I danesi dello Schleswig-Holstein sono tribù semicivilizzate, si sottomettano ai tedeschi, che rappresentano il «progresso contro la stagnazione»56; Gli slavi meridionali in seno all'Impero austro-ungarico rappresentano il permanere «dell'Oriente barbarico rispetto all'Occidente civile, della campagna rispetto alla città, della primitiva agricoltura schiavistica slava rispetto al commercio, alla manifattura, all'intelligenza» Engels riferito ai russi replica all' “Appello agli slavi” di Bakunin (1848) profetizzando che «la prossima guerra mondiale farà sparire dalla faccia della terra non soltanto classi e dinastie reazionarie, ma 54 Lettera a Marx, 23 maggio 1856, in Marx-Engels, Carteggio, vol. 2. (1852-1856), Roma, 1950, p. 430 55 Lettera a Marx, 23 maggio 1851, in M.-E., Opere complete. XXXVIII: Lettere 1844-1851, Roma 1972, p. 290 56F. Engels, in H. Carrere D'Encausse, Communisme et nationalisme, in «Revue franaise de science politique», giugno 1965, p. 469. 33 interi popoli reazionari. Anche questo fa parte del progresso»: questa russofobia perché che la Russia zarista rappresenta lo stato europeo più controrivoluzionario di tutti, il regime più arretrato sotto tutti i punti di vista: precapitalistico, autocratico, 'asiatico'. Marx aveva una sua teoria sulla natura della Moscovia: per due secoli (dal 1237 al 1462) sulla Russia aveva pesato il giogo tartaro e «la Moscovia é stata creata e cresciuta alla scuola di abiezione rappresentata dalla tremenda servitù mongola. Ha accumulato le proprie forze e é divenuta una virtuosa dell'arte di servire. Anche emancipata, la Moscovia ha continuato a giocare il ruolo tradizionale dello schiavo al potere. Finalmente, Pietro il Grande coniugö all'abilitå politica dello schiavo mongolo le fiere aspirazioni del signore che da Gengiz khän aveva avuto in retaggio il compito di conquistare il mondo» Nella prospettiva di questa politica estera antirussa, dopo l'insurrezione polacca del 1863 in Marx e Engels si produce una metamorfosi teorica sulla questione nazionale: la Polonia entra come entità storica, perché «restaurare la Polonia significa rovinare la Russia attuale, annichilirne le pretese al dominio universale e distruggerne l'egemonia sulla Germania. La distruzione della Polonia e la sua definitiva integrazione da parte della Russia segnerebbero la fine della Germania e il crollo dell'unica diga contrapposta alla marea slava. Per la Germania, tutti i problemi di politica estera si condensano in un solo problema: restaurazione della Polonia»57 Tanto più che la restaurazione dello Stato polacco verrebbe a danno della Prussia che per Marx non è la Germania, una nazione civile e civilizzatrice, una riserva di energie democratiche, mentre lo Stato prussiano, militarista e autocratico ai bordi d'Europa, «nato dalla dissoluzione della Polonia» esiste solo «in grazia della Russia», ne è quasi un avamposto. Gli Hohenzollern non sarebbero mai diventati re di Prussia se non avessero accresciuto l'originario Brandeburgo con i territori strappati alla Polonia, complice la Russia. Il renano Marx vorrebbe ricacciare ai confini questa Prussia 'orientale' e non tedesca, mandarla a intrecciarsi con la Russia. Per questo la classe operaia ha un interesse strategico all'indipendenza nazionale della Polonia. «Ogni volta che la classe operaia è intervenuta autonoma nell'agitazione politica, fin dall'inizio si poteva condensare in poche parole la sua politica estera: restaurazione della Polonia. E’ stato così per il movimento cartista, finché è durato; é stato cosi per gli operai francesi, sia prima del 1848 sia durante il memorabile 57 Marx-Engels Manoscritti sulla questione polacca, 1863-1864, 1981 34 1848, quando il 15 maggio marciarono sull'Assemblea Nazionale al grido di "Viva la Polonia! ". è stato cosi per la Germania, quando nel 1848 e nel 1849 gli organismi della classe operaia chiesero che si muovesse guerra alla Russia per restaurare la Polonia... Di recente, 1'Associazione Internazionale dei Lavoratori ha fornito espressione più completa a questo sentimento e a questo istinto diffusi in tuta la classe operaia che essa rappresenta perché ha inscritto nelle sue bandiere “Resistenza al prepotere russo. Restaurazione della Polonia” 5 Engels: Nazioni “storiche” e “nazioni contadine”58 Marx ed Engels, prendendo spunto da Hegel per il quale i popoli che nel passato non erano stati in grado di esprimere una propria statualità sarebbero destinati a scomparire59, nel 1848 parteggiano insieme con i democratici per le "nazioni storiche" (ungherese, polacca, italiana, tedesca), in quanto la borghesia vi si troverebbe ad un superiore livello di sviluppo e quindi avrebbe maggiori potenzialità rivoluzionarie mentre gli slavi della monarchia asburgica sarebbero dei "popoli senza storia", strumenti della reazione di Vienna. Il termine "popoli senza storia"[geschichtlosen Völker]nel vocabolario di Engels designa le nazioni cui fanno difetto le "condizioni storiche, geografiche, politiche e industriali dell'indipendenza e dell'energia vitale" : "I popoli [Völker] che non hanno mai avuto il controllo della propria storia, che nel momento stesso in cui essa arriva al primo rozzo scalino della civilizzazione si ritrovano già sotto la dominazione straniera, o arrivano a questo primo grado di civilizzazione sotto l'effetto del giogo straniero, non hanno energia [Lebensfähigkeit] e non arriveranno mai a una qualsiasi forma di indipendenza". Engels si riferisce a quelle nazioni (popoli) che hanno subito la dominazione di uno stato straniero durante tutta la loro storia e che erano condannate ad essere egemonizzate dalle nazioni 58 Jean Plumyene Le nazioni romantiche: storia del nazionalismo nel 19. Secolo, 1982; A. Agnelli. Questione nazionale e socialismo : contributo allo studio del pensiero di K. Renner e O. Bauer , 1969; N. Bernard Le nationalisme et la guerre en France (1871-1914), in “Le nationalisme. facteur bellique” p. 245; M. Cattaruzza, La nazione in rosso: socialismo, comunismo e questione nazionale, 1889-1953, 1998 59 H. Mommsen, Sozialismus und Nation, 1979, p. 66. Si intendono come "nazioni senza storia" quelle prive di "un futuro storico", ossia destinate ad essere assimilate dalle "nazioni culturali". 35 socialmente e economicamente più avanzate, sottolineando: "Non esistono in Europa paesi che non possiedano, in un angolo o in un altro, uno o più frammenti di popoli [Völkerruinen], tracce di antiche popolazioni cancellate dalle carte e tenute in schiavitù dalla nazione che diventa più tardi il principale veicolo di sviluppo storico [Trägerin der geschichtlichen Entwicklung]. Tali reliquie di una nazione, calpestate senza pietà dal corso della storia, come Hegel qualificava questi residui di popoli [Völkerabfallel], diventano sempre i portabandiera fanatici della controrivoluzione e sopravvivono così fino alla loro estinzione completa o alla perdita del loro carattere nazionale [gänzlichen Vertilgung oder Entnationalisierung], così che la loro intera esistenza costituisce di per se stessa una sorta di oltraggio ad una grande rivoluzione storica". La categoria includeva i Gaelici di Scozia, i Bretoni, i Baschi, gli Ebrei di lingua yiddish delle comunità dell'Europa orientale e in particolare gli Slavi del Sud. Vittime di un abbaglio, condiviso peraltro anche dai fautori della "nazione” tra cui lo stesso Giuseppe Mazzini, ritengono destinati ad essere assimilati proprio quei popoli che stavano per sviluppare movimenti nazionali destinati a sfociare in stati-nazione indipendenti: i cechi, i croati, gli ucraini, i rumeni della Transilvania. Engels anche dopo il 1848 mantiene la sua visione della rivoluzione in Europa centrale e orientale come fondamentalmente tedesca, con gli stessi alleati (i Polacchi) e gli stessi nemici (la Russia zarista e il movimento panslavista) e ancora nel 1882 in una lettera a Bernstein definisce gli slavi dei Balcani pittoreschi ladri di cavalli che andavano tenuti a freno con le buone o con le cattive. Il problema bulgaro sarebbe sorto come conseguenza dell'eccessiva tolleranza dej Turchi nej confronti di questa popolazione 60. Il compromesso austro-ungherese del 1867 che riconosce la posizione particolare dell'Ungheria soffoca indirettamente le esigenze delle altre nazionalità, frenando la possibilità di trasformare l'impero in senso federale. Dalla fine del XIX secolo le idee marxiste si diffondono tra le minoranze etniche extraterritoriali e le sedicenti "nazioni non storiche" dell'Europa centrale e orientale. Il movimento operaio e l'intellighenzia socialista di queste nazioni trovano nel marxismo il miglior strumento intellettuale per spiegare la loro oppressione, per comprendere il processo storico di formazione della loro identità 60 In Libération nationale et stratégie révolutionnaire: le problme des Slaves du Sud, in G. Haupt, M. Löwy, C. Weil, Les marxistes … , cit., pp. 101-105. 36 culturale e, infine, per elaborare un progetto di liberazione sia sociale sia nazionale. Il concetto di autonomia culturale nazionale fu dapprima creato dalle correnti marxiste all'interno delle nazionalità oppresse come gli Slavi (Federazione slava della socialdemocrazia austriaca), gli Ebrei (il Bund) e gli Armeni ("Specifisti"). I socialisti ucraini (Rosdolsky), boemi (Smeral), bulgari (Blagoev), romeni (Dobrogeanu-Gherea), georgiani (Jordania), così come gli austro-slavi (Kristan) e i socialisti russi ebrei (Medem, Borokhov) utilizzano il marxismo per analizzare le loro differenti realtà nazionali. Quando all’interno dell'impero austriaco la questione nazionale si ripropone in termini mutati poiché il principio di nazionalità si sviluppa dove non aveva trovato espressione nel 1848, il marxismo prende in considerazione ciò che cinquant'anni prima ancora non era presente rivedendo il giudizio sui “popoli senza storia”. Non è più possibile la divisione dell'Europa in reazionaria e rivoluzionaria: in quella teoria sono presenti elementi di evoluzionismo positivista, di determinismo economico e di eurocentrismo Roman Rosdolsky61 spiega il ruolo reazionario giocato dai movimenti nazionali slavi durante le insurrezioni del 1848 alla luce delle contraddizioni intrinseche alla rivoluzione in Europa orientale: le poche nazioni che lottavano per la loro liberazione, come la Polonia e l'Ungheria, opprimevano altre nazionalità e minoranze etniche al loro interno. La borghesia e l'aristocrazia terriera formavano le forze sociali dominanti del movimento polacco e magiaro che si opponevano alle altre "nazioni contadine". I Ruteni (Ucraina) di Galizia, ad esempio, non sostenevano le rivendicazioni indipendentiste dei Polacchi, poiché già difendevano gli embrioni della propria identità nazionale, un'identità nazionale che esprimeva essa stessa il conflitto di classe che le opponeva ai proprietari terrieri polacchi. I Serbi, i Croati, i Rumeni, gli Slovacchi e tutte le altre "nazionalità contadine" dell'Europa sudorientale conservavano la stessa attitudine 61 R. Rosdolsky Friedrich Engels e il problema dei "popoli senza storia": la questione nazionale nella rivoluzione del 18481849 secondo la visione della "Neue Rheinische Zeitung" in Archiv für Sozialgeschichte vol. 4, pp. 87-282, trad. it. 2005; Id., Il proletariato e la patria in “Science and Society” 1965, n.29. Anche E. Nimni Marxism and nationalism : theoretical origins of a political crisis 1991; M. Löwy Patries ou planete: nationalismes et internationalismes de Marx a nos jours, 1997 37 rispetto a Tedeschi e Magiari. In realtà, questi sedicenti "popoli senza storia" avrebbero partecipato alla rivoluzione se avessero potuto ottenere una riforma agraria dalla borghesia e dall'aristocrazia terriera, ma la direzione sciovinista e conservatrice dei movimenti nazionali tedeschi, polacchi e magiari non accettò questa riforma e spinse così le masse rivoluzionarie nelle braccia della controrivoluzione zarista. 62 6. La “Questione nazionale”: Kautsky, Renner A partire dalla fine del XIX secolo, con la nascita del movimento socialista nei balcani, Karl Kautsky denuncia l'errore di Engels e riconosce gli sviluppi socio-culturali delle differenti nazionalità slave (cioè il loro adattamento alla modernità). La prognosi smentita dalla storia è pienamente giustificata da un punto di vista scientifico nel periodo in cui è formulata «La causa [del mancato verificarsi] non [risiede] in un'insoddisfacente conoscenza dej fatti. La causa risiede nell'unico grande errore che Marx ed Engels commisero dopo la scoperta della base materialistica dello sviluppo storico», cioé nella supposizione che la sconfitta della rivoluzione nel 1848 fosse solo temporanea e che, nel giro di pochi anni, ci sarebbe stata una nuova rivoluzione infine vittoriosa. Se questa aspettativa si fosse realizzata, si sarebbe inevitabilmente compiuto il destino di queste popolazioni, in particolar modo dei cechi incuneati nell'area tedesca, grazie al ritardo culturale e alla non sviluppata struttura di classe degli slavi austriaci. «Senza alcuna germanizzazione violenta, la sola forza degli sviluppati rapporti commerciali e la forza della moderna cultura arrecata dai tedeschi avrebbero germanizzato i retrivi piccoli borghesi, contadini e proletari cechi, ai quali la loro stentata nazionalitå non aveva nulla da offrire»63. La storia ha seguito un altro corso: al posto dell’attesa rivoluzione radicale c’é stato uno sviluppo relativamente lento del capitalismo che ha posto la massa plebea della popolazione slava in crescente antitesi con la borghesia tedesca, ormai reazionaria, e con la nobiltå polacca e quella ungherese con essa alleate. Ma nel frattempo anche la struttura di classe dei cechi e degli altri popoli slavi era fondamentalmente 62 Rosdolsky spiega che durante la rivoluzione di Cromwell (1599-1658) gli Irlandesi le cui rivendicazioni dei diritti nazionali erano sostenute come legittime da Marx ed Engels svolsero lo stesso ruolo reazionario avuto poi dagli slavi austriaci nel 1848. Nondimeno, costruirono più tardi un movimento nazionalista anti-imperialista. 63 Rivoluzione e controrivoluzione in Germania , trad. it., 1899 38 cambiata: non erano più popoli «senza storia», avevano una propria borghesia, un proprio proletariato e perciò potevano percorrere il cammino della rinascita nazionale Cosi la prognosi engelsiana, a suo tempo legittima, in pochi decenni si dimostra infondata. Kautsky l’anno seguente afferma: «Quanto più le relazioni internazionali crescono, tanto più si fa sentire anche la necessità di un mezzo di comunicazione internazionale, di una lingua universale ... Questa necessità aumenterà ogni volta di più e, mentre si svilupperanno lingue mondiali, le lingue nazionali scenderanno a una posizione simile a quella occupata oggi dai dialetti rispetto alla lingua letteraria. Le lingue nazionali si ridurranno ogni volta di piå all'uso casalingo, con un ruolo simile a quello di mi vecchio mobile di famiglia, che si conserva ge1osamenterna non ha nessuna funzione pratica. Ogni volta di più si diffonderå la conoscenza delle lingue parlate nej grandi centri della comunicazione mondiale: Londra, New York, Parigi, Berlino e una di queste tenderå ad avvantaggiarsi di più. Näturalmente, oggi non è facile dire quale, ma in ogni caso a darle la vittoria saranno ragioni economiche e non di tipo grammaticale o musicale». «come la forma classica dej modi di produzione moderni é la grande industria capitalistica, accanto alla quale pérò esistono ancora numerosi resti di forme di produzione precedenti, così non si danno ancora neanche oggi Stati nazionali puri, non si dà nessuno Stato, il quäle ricömprenda l'intera nazione e non ricomprenda inoltre accanto, intere o in parte, altre nazioni»64 Gli Stati che non si fondano sul principio di nazionalità anche se non sono “moderni”65 non sono “lo scandalo di fronte a cui non può restare in silenzio la coscienza euröpea”66 Le piccole nazionalità sono «una forza motrice che agisce in modo indipendente, senza nessi con lo sviluppo economico, in alcuni casi anzi di ostacolo a esso». Una società civile di piccola nazionalità etnico-linguistica, eteroglotta rispetto a una vicina nazione più grande, trova vantaggi economici nel 64 K Kautsky, Die moderne Nationalität, in “Neue Zeit”, 1887, p.442 ora in “Marxismo, internazionalismo e questione nazionale”, Torino, 1982 65 K. Kautsky Nationalitat und Internazionalitat, Neuen Zeit 18 gennaio 1907 «Sono tutti Stati la cui intima conformazione per qualche ragione rimase arretrata e abnorme 66 Per Mazzini non si poteva passare all'umanità, patria delle patrie, se ogni individuo non aveva avuto quel punto d'appoggio necessario che é la patria. Questo il motivo quarantottesco della Santa Alleanza dei popoli contro quella degli Stati dinastici che recano scandalo alla coscienza europea 39 confluire in quest'ultima e nel parlarne la lingua, ma il presunto vantaggio non è scontato: «il pensiero nazionale costituisce un potente elemento di progresso anche dove c'é un popolo arretrato che aspira alla propria indipendenza mediante la liberazione dalla sovranità di un altro popolo più sviluppato»67. Nello Stato asburgico plurinazionale e multilingue con una dozzina di nazionalità la söcialdemocrazia affronta il problema riservando al fenomeno «nazione» un interesse positivo, a differenza di Engels a cui negli ultimi anni l’acuirsi dei conflitti nazionali in Austria pareva essenzialmente una faccenda delle «classi dominanti dei vari territori della Corona», una «cieca disputa di nazionalità»68, semplicemente un contrasto «dei vari nobili e borghesi tra loro»,69 qualcosa su cui i socialisti non dovevano perdere il loro tempo. La socialdemocrazia austriaca aveva in realtà una ragione politica immediata per occuparsi della questione: se per effetto dei contrasti nazionali l'Austria si fosse dissolta, anche il movimento operalo si sarebbe scisso indebolendosi: trovare forme di coesistenza per le nazionalità dell'impero diventa, nell'ottica dei socialisti, anche un modo per preservare la forza Karl Renner in un opuscolo scritto per il congresso di Brno del partito socialdemocratico austriaco afferma che è la «lingua d'uso» il miglior connotato di nazionalità70: nazione non significa Stato territoriale - binomio accettato da Marx ed Engels - ma comprende tutti quelli che, non necessariamente legati a uno specifico territöriö, parlano una stessa lingua. La via d'uscita dal groviglio dej conflitti nazionali austriaci è il «principio di personalità» linguistico-culturale che costituisce la nazione, sicché ogni cittadino ovunque risieda deve avere il diritto di scegliere la nazionalitå di appartenenza. Questo congresso adotta una risoluzione che, anzichè sostenere lo smembramento dell'Impero, propugna la trasformazione in uno «Stato 67 K. Kautsky, Militarismus und sozialismus in England, in “Die Neue Zeit”, 1899-1900, p.587. Si riferisce ai Boeri 68 Lettera del 16.6.1891 a Victor Adler, segretario del partito austriaco, in Marx-Engels, “Opere”, Roma, 1972,vol. 2, p.122 69 Lettera dell’11.10.1893 a Victor Adler, in Marx-Engels, “Opere”, Roma, 1972,vol. 1, p.151 70 Renner, Staat und Nation,Vienna, 1899 che riprende la tesi di Ludwig Gumplowicz. Riedito in Ephraim Nimni (ed.), National Cultural Autonomy and Its Contemporary Critics, London, 2005 40 democratico, federazione di nazionalità» in cui a ogni entità nazionale si sarebbe riconosciuta autonomia culturale, linguistica, territoriale, senza nessuna secessione dallo Stato austriaco Nella Seconda Internazionale la solidarietà internazionalista del movimento operaio, pur nella diversità di posizioni sul problema nazionale, rappresenta uno dei capisaldi di autoidentificazione per i partiti socialisti dei diversi paesi. Le teorizzazioni più interessanti sul tema sono sviluppate nella socialdemocrazia austriaca, confrontata con urgenza con il problema di contemperare l'organizzazione politica del proletariato con il riconoscimento delle rivendicazioni nazionali dei diversi popoli della monarchia asburgica. Partendo dalla constatazione che le masse popolari in Austria non sono indifferenti al tema dell'appartenenza nazionale e che l'estensione dell'organizzazione socialdemocratica al di lä del gruppo tedesco richiede una messa a punto teorica e organizzativa, Karl Renner e Otto Bauer sviluppano delle riflessioni sulla questione nazionale che rimangono tra i contributi più validi sul tema, anche al di lä della situazione specifica della monarchia plurinazionale. Attraverso l'elaborazione di un programma di "autonomia culturale" per le nazionalitä dell'Impero, che avrebbero dovuto essere organizzate in corpi autoamministrati, tentano di dare una soluzione al dilemma di riconoscere le istanze nazionali, che hanno una valenza emancipatrice in quanto espressione delle aspirazioni delle masse a partecipare compiutamente della cultura della nazione, senza che tali istanze assumano la forma di organizzazione politica su base nazionale 71 7. La “Questione nazionale”: Otto Bauer Bauer interrompe la tendenza a sottovalutare la nazione nelle teorie socialiste e tenta di integrare nella teoria marxista nazionalismo e 71 R. Springer (K. Renner), Das Selbstbestimmungsrecht der Nationen in besonderer Anwendung auf Osterreich, 1902; K. Renner, Der Kampf der österreichischen Nationen um den Staat, 1902 e 1918; H. Mommsen, Die Sozialdemokratje und die Nutionalitätenfrage im habsburgischen Vielvölkerstaat, 1963; Sulla ricezione delle tesi austromarxjste da parte delle sezioni sudslava e italiana del partito socialdemocratico nella monarchia asburgica, M. Cattaruzza, Socialismo adriatico. La socialdemocrazia di lingua italiana nei territori costieri della Monarchia asburgica: 1888-1915, 1998 e 2001, p. 79-90, 116126, 158-17 41 nazione in quanto forze in grado di produrre effetti considerevoli sulla loro epoca. Prende le mosse dalle proprie esperienze dei conflitti nazionali della monarchia asburgica provando a trarre da queste esperienze particolari dei giudizi teorici generali utili alla politica del movimento operaio socialista. Approfondisce storicamente il primo bilancio di Renner e lo inserisce in una teoria della società che integra il concetto di classe con quello di nazione: "Con le classi sfruttate anche le nazioni sottomesse fanno il loro ingresso sul palcoscenico della storia"72. Constatazione a cui il marxismo era ancora teoricamente impreparato, che viene convertita da Otto Bauer in teoria di sviluppo. Anche se non influenza la prassi politica della socialdemocrazia austriaca, riesce a suggerire un nuovo modo di guardare alla nazione, che influenza le successive teorie sul nazionalismo.73 Per quanto la nazione sia ristretta alla sola classe della nobiltà, questa è capace di realizzare una comunità più ampia di quella oltre cui non sanno andare i contadini, legati solo ai vicini di villaggio, incapaci di superare l'economia curtense o di marca. La mancata unificazione della nazione, che comporta il sopravvivere di una pluralità di culture, tra cui quella della «nazione contadina», aumenta i dislivelli, giacché, mentre i nobili possono giungere alla più alta cultura spirituale, da essa sono esclusi i contadini, incatenati alla dura. fatica dei campi. Bauer non affronta il problema dei contenuti delle diverse culture: si limita a costatare come una certa cultura formi un carattere nazionale escludendo coloro che non partecipano all'uso dei beni culturali e restano legati a culture precedenti, come la vita della nazione sia scossa da tendenze verso l’unità e da controtendenze in senso contrario. Per Bauer il momento dell'unitå é sempre rappresentato dalle classi dominanti: la frantumazione medioevale è contrastata dal ceto cavalleresco ed il processo di divisione, iniziato agli albori dell'era 72 O. Bauer, Elemente unserer auswärtigen Politik, in «Der Kampf», vol. 2, ora in Werkausgabe, vol. 1, 1975 O. Id., Die Nationalitätenfrage und die Sozialdemokratie, in “MarxStudien”, 1907 e 1924, ora in Werkausgabe, cit. 73 E.J. Nimrd, The Nationalities Theory of Otto Bauer an its Relevance of Contemporary National Formations, in E. Frösch, H. Zoitl, “Otto Bauer (1881 - 1938). Theorie und Praxis”, 1985, pp. 113-126. 42 moderna, è contrastato solamente dai colti. In quanto queste classi esercitano il predominio, esse bastano a far trionfare la tendenza unitaria. In un momento successivo dello sviluppo europeo si afferma una nuova forma d'organizzazione politica, lo Stato unitario, che é l'istituzione adeguata alla necessità del primo capitalismo, della classe dominante con lo sviluppo della produzione di merci. L’età aurorale del capitalismo presenta alcuni aspetti comuni a quella feudale ma mostra pure una necessità d'espansione della cultura che non caratterizza l'epoca precedente. Il capitalismo moderno, ai fini della stessa produzione, é costretto a rompere i confini imposti, ed anche le classi inferiori «prendono parte all'educazione nazionale, ai beni culturali della loro nazione, alla lingua unitaria nazionale». Si tratta di quell'educazione delle classi popolari, che Fichte condanna con motivazioni che Bauer fa sue, di una partecipazione quantitativamente e qualitativamente assai inadeguata, ma si pongono le premesse di quel processo che porta nelle nazioni che hanno una tradizione storica ad una maggiore partecipazione delle masse lavoratrici alla vita della nazione, ed anche a quello che é stato definito il «risveglio delle nazioni senza storia». Il capitalismo, differenziando i livelli di istruzione, costituisce la nazione solo per i colti74 ma mette in moto un processo che poi non è in grado di arrestare, libera energie che possono trovare impiego solo in una società socialista. Bauer si riferisce al necessario sbocco d'una situazione che deriva dal prevalere di classi ristrette, preceduta da quella che, storicamente, viene presentata come organizzazione comunitaria “la nazione dell’epoca della proprietà privata e della produzione individuale, suddivisa in membri della nazione e vassalli della nazione, scissa in numerosi gruppi ristretti locali, è il prodotto della decomposizione della nazione comunistica del passato e il materiale della nazione socialistica del futuro”75 74 «la totalità di coloro i quali godono dell' educazione nazionale, dei beni culturali nazionali, ed il cui carattere viene plasmato dal destino della nazione che determina nel contenuto questi beni culturali, costituirà la nazione» O. Bauer Die Nationalitätenfrage, cit., p. 118 75 Bauer riprende Marx: «una classe gravata da catene radicali, di una classe della societå borghese, che in realtå non è una classe della societå borghese, di un ceto che coincide con il decomporsi di tutti i ceti, di una sfera sociale che possiede carattere universale per aver subito sofferenze universali e non pretende alcun diritto particolare, perché nessuna ingiustizia 43 L'internazionalismo deve farsi forte del principio di nazionalità, deve saperlo recepire, convalidarlo superando la sfera del cosmopolitismo volgare, che rappresenta soltanto la prima reazione immediata della classe lavoratrice esclusa dalla cultura nazionale. Nazione è termine che indica solo coloro che godono dei beni culturali ed i lavoratori, in un primo momento, non possono che sentirsi ad esso estranei «giacché la classe lavoratrice non è ancora classe della nazione, così essa non è più nemmeno nazionale. Esclusa dal godimento del beni culturali, questi beni culturali sono per essa un possesso estraneo. Dove altri vedono la splendente storia della cultura nazionale, essa vede la miseria e la servitù di coloro, sulle cui ampie spalle riposa dalla caduta dell'antico comunismo di schiatta ogni cultura nazionale»76 Il «cosmopolitismo ingenuo» è però soltanto la forma aurorale della presa di posizione della classe lavoratrice di fronte ai problemi nazionali e Bauer ritiene necessario superare questa fase ed é lontano dal giustificarla sul fondamento della teoria della pauperizzazione77. Il rifiuto spontaneo dei lavoratori delle nazioni storiche é il correlato di quel momento iniziale di riscossa, che conduce i lavoratori delle nazioni sulla via del risveglio a farsi guidare da un «nazionalismo ingenuo». Perché l'internazionalismo recuperi il principio di nazionalità occorre superare la fase in cui borghesi e proletari delle nazioni senza storia si incontrano in una posizione comune, quella della potenza nazionale, che per il proletariato delle nazioni storiche altro non é che un pretesto della classe dominante per mantenere il proprio dominio. Occorre, però, che il proletariato delle nazioni storiche abbia percorso tutta la strada del «cosmopolitismo ingenuo»: negata l’esistenza di tratti comuni con la classe dominante, nell’istante in cui i lavoratori avvertono le profonde ineguaglianze a causa delle quali sono separati dalla classe proprietaria e si chiedono se non sono tutti uomini allo stesso titolo, «rinasce l'idea d'umanità» particolare, ma la piena ingiustizia é stata perpetrata contro di essa» K. Marx, Critica della filosofia del diritto di Hegel, in “Scritti politici giovanili”, 1950, p. 410-411 76 O. Bauer Die Nationalitätenfrage …, cit., p. 132. 77 Victor Adler sostiene al congresso di Vienna del 1901 la tesi che è un superamento della critica di Bernstein a Marx, poi teorizzata da R. Mondolfo in Il materialismo storico in F. Engels, 1912, p. 260-66) - che é l'attività del proletariato a mutare la situazione su cui si fondava la previsione marxiana, 44 mentre la nazione, da cui i lavoratori sono esclusi e che costituisce invece la giustificazione d'una data struttura statale, che ne é quindi l’«ideologia» in senso marxiano, non può che venire smascherata quale «pregiudizio borghese». L'appello all'idea di umanità é però un classico richiamo a quella stagione culturale illuministica che nel cosmopolitismo ha uno dei punti più rilevanti che fecondano gli stessi sviluppi dell'idea di nazione78 La posizione del cosmopolitismo ingenuo va superata, cosi come quella del nazionalismo ingenuo, ciò che é possibile quando si giunga ad una soddisfacente idea di nazione: finché il lavoratore dei paesi sviluppati, come il tedesco dell'impero austriaco, é costretto a constatare che solo pochi riescono a controllare e dirigere lo Stato nazionale, «le distinzioni nazionali sfumano davanti ai suoi occhi e, come combatte contro il suo sfruttamento ed assoggettamento, cosi vuol rimuovere lo sfruttamento e l'assoggettamento in generale, sia ora diretto contro una classe, contro una progenie, contro una comunità religiosa o anche contro una nazione» poiché «si sente combattente per la liberazione dell'intera umanità». A questo modo, tuttavia, non ci si solleva sopra la sfera dell'istinto, sia pure dell'«istinto rivoluzionario», a cui si sovrappone la superiore presa di coscienza in cui i valori difesi dal principio di nazionalità rientrano in una «consapevole politica internazionale del proletariato d'ogni nazione» Riconosciuta la nazione quale comunità di carattere derivata da comunità di destino e scoperta l'omogeneità degli interessi dei lavoratori delle diverse nazioni, «l'internazionalismo della classe lavoratrice è qualcosa di essenzialmente diverso dal cosmopolitismo ingenuo della sua giovinezza». All'opposizione nei confronti degli imprenditori privati si aggiunge quella nei confronti dello Stato, per l'influsso che esercita sulla vita economica, per la funzione di sostegno della politica economica del capitalismo. Contro questo dispregio degli interessi più ampi «la politica della classe lavoratrice è necessariamente democratica» e non si esprime soltanto in un generico appello all'umanità ma in uno specifico indirizzo politico: «il proletariato lotta in primo luogo affinché la maggioranza del popolo determini la volontà generale dello Stato». Da queste premesse discendono alcune conseguenze 78 F. Meinecke, Cosmopolitismo e stato nazionale (trad. it.) 1930 e 1975;F. Chabod, L’ Idea di nazione, 1961, p. 110-116. 45 affini a quelle del revisionismo: si può incominciare ad affrontare la questione nazionale entro la cornice statale. Il superamento del cosmopolitismo ingenuo rende possibili sia l'azione politica entro la cornice statale sia il recupero del principio di nazionalità anche nella rivendicazione borghese del libero Stato nazionale, «organizzazione di potenza esteriore d'una unitå interiore», quando questo é il solo modo d'opporsi all'imperialismo giunto alla dimensione sovrannazionale. Nel 1907, ricordate le prese di posizione della classe lavoratrice a favore dei Boeri, degli Indiani, dei Boxer, afferma che «quando la classe dei capitalisti tende al grande Stato plurinazionale dominato da una nazione, la classe lavoratrice accoglie la vecchia idea borghese del libero Stato nazionale»79 L’adesione alla richiesta di costituzione di nuovi Stati nazionali non significa però che in questi veda la più adeguata realizzazione dell'idea di nazione: all'interno della plurinazionale monarchia asburgica le lotte nazionali finiscono per coinvolgere anche il movimento operaio socialista: “Non possiamo attaccarci al carro del nazionalismo borghese permettendo che la sua frusta ci induca all'errore di dividerci dai nostri fratelli; anzi, la forza di nerboruti corpi proletari dovrà spingere il carro della lotta nazionale fuori dalle paludi nelle quali l'ha gettato la guida borghese, incapace e insensata. Tale forza dovrà condurre il carro della lotta nazionale sulla larga strada della democrazia e dell'autogoverno dei popoli” 80 La crisi dell’impero del 1905, il conflitto con la classe dominante magiara, danno attualità al programma delle nazionalità votato al congresso di Brno che era «una parola rivoluzionaria allorché nel 1899 lo contrapponemmo al centralismo della borghesia austrotedesca ed al federalismo dej Kronländer della nobiltà feudale. Era una parola rivoluzionaria allorché dal 1908 al 1914 la scagliammo contro l'imperialismo bellicistico». Ma dopo la guerra considera che la trasformazione dell'Austria in Stato federale o il suo smembramento in più Stati nazionali, con un'autonoma iniziativa socialista debba dilatarsi fino a comprendere l'intera Europa. Come lo Stato moderno é il risultato d'un processo d'unificazione reso necessario dalla trasformazione delle forze produttive e «lo sviluppo della produzione 79 O. Bauer Die Nationalitätenfrage …, cit. , p. 61. Già prima del 1914 in vari articoli su «Der Karnpf» riconosce il diritto di autodeterminazione. 80 O.Bauer, Unser Nationalitätenprogramm und unsere Taktik, «Der Kampf», n. 1, 1907-1908 (ora in Werkausgabe, p. 75-785). 46 di merci capitalistica ha legato grandi proprietà e città isolate nel Medioevo, cosi la divisione internazionale del lavoro creerà nella società socialista una nuova costruzione sociale sopra le comunità. nazionali, uno “Stato di Stati", del quale si fanno membri le singole comunità nazionali». Bauer avverte l'esigenza di non essere assenti a nessun traguardo intermedio, pur se l'obiettivo finale è costituito dalla liberazione delle comunità nazionali destinate ad incontrarsi con le altre su piede di parità e del loro riunirsi in federazione. Nota: Stalin sulla questione nazionale Contro l'idea della nazione non-territoriale nel 1913 polemizza Stalin profugo a Vienna contrapponendo all'idea dell'autonomia culturale da garantire a tutti i membri della nazione a prescindere dalla loro permanenza su un dato territorio, la tesi del legame della nazione col territorio di insediamento, per cui si può parlare di "nazione" solo quando ampi strati di detto gruppo siano "legati alla zolla" individuandone l'elemento costitutivo nella popolazione contadina. Tesi in contrasto con il disprezzo manifestato da Engels per le nazioni contadine ma destinata ad una notevole fortuna, in quanto si prestava a corroborare le rivendicazioni nazionali dell'elemento rurale in tutte quelle situazioni, frequenti nell'Europa centro orientale, in cui i centri urbani presentavano una diversa composizione nazionale rispetto alle campagne circostanti. Per il partito socialdemocratico russo uno dei mezzi per scardinare l'impero zarista era infatti la dottrina e prassi delle autonomie regionali territoriali, e Stalin perciò strumentalmente assegna dignità scientifica a quest'unica scelta, che da contingente opzione politica diviene ricetta da valere in ogni circostanza, tempo e luogo. Bauer in realtà non nega la possibile coincidenza di nazione e territorio, la considera un connotato storicamente relativo, sicché la polemica appare guidata da intenti ideologico-politici contro il «riformista» e l'«interclassista», per giunta anche uno «spiritualista», un «mistico», un «idealista»81 Parte 3 Internazionalismo proletario 8 La Prima Internazionale 81Stalin, Marxismus und Nationale Frage, 1913 e 1946; H. Konrad, AustroMarxism and Stalinism on the National Question, in “Nationalism and Empire. The Habsburg Empire and the Sovjet Union,1992 47 L'appoggio all'insurrezione polacca del 1863 è la ragione immediata della riunione di Londra del 22 e 23 luglio tra delegazioni operaie inglesi e francesi, dirette precorritrici dell'assemblea di St. Martin's Hall dell'anno seguente nella quale sarebbe stata costituita l'Associazione internazionale dei lavoratori (la Prima internazionale). La prima «Associazione internazionale dei lavoratori» viene fondata in concomitanza di un comizio «Per la Polonia», tenuto a Londra nell'ottobre 1864: tra i francesi c’è il cesellatore Henri Tolain che l’anno prima era nella delegazione operaia che aveva chiesto a Napoleone III un intervento, anche militare, per la restaurazione della Polonia: alla sua nascita l'internazionalismo si trovava associato alla più appassionata delle cause patriottiche del XIX secolo. L'«Internazionale» ammette l'esistenza delle nazioni ma vuole superare il principio di nazionalità sostituendolo con un'altra affiliazione: la classe operaia, oltre e malgrado le frontiere, deve raccogliere le proprie forze per instaurare una società senza classi e nazioni. Due anni dopo la fondazione si tiene a Ginevra il primo congresso e questa volta la delegazione francese vuole impedire che la questione polacca venga iscritta all'ordine del giorno: «Sembrava loro che tale questione squisitamente politica non potesse sensatamente figurare in un congresso squisitamente socialista» e afferma che «delegati a un congresso economico, non crediamo di aver nulla da dire sulla ricostituzione della Polonia»82 Dalle origini si pone la domanda se ci si deve occupare delle nazioni essendo la classe operaia estranea allo Stato nazionale, creazione della borghesia. Nella prospettiva del Manifesto «nazione, nazionalità, nazionalismo si presentano come sovrastrutture già obsolete, fondate sulla base dei mercati nazionali, gia travalicata dal mercato mondiale Il proletariato nega radicalmente e praticamente la nazione, in quanto esso é negazione attiva della borghesia e del capitalismo»83 . Marx ragionava cosi attorno al 1848: «Lo sfruttamento di una nazione da parte di un'altra viene abolito nella stessa misura che viene abolito lo sfruttamento di un individuo da parte di un altro Con l'antagonismo delle classi all'interno delle nazioni scompare la 82 E. Fribourg, L'Association internationale des travailleurs, 1871, p. 44. in C. Harmel in «Les études sociales et syndicales», gennaio-febbraio 1976 83 H. Lefebvre Classe et nation depuis le Manifeste, “Cahiers internationaux de sociologie” 1965 n. 38 p 32 48 posizione di reciproca ostilità fra le nazioni» 84 Tuttavia, se il proletariato trascende la nazione e le Nazioni, l'«Associazione internazionale dei lavoratori» è comunque il luogo di divergenze che testimoniano distinzioni squisitamente nazionali Nel giugno 1866 si tiene a Londra un Consiglio Internazionale sulla guerra. austro-prussiana e «la discussione, come era da prevedere, was wound up soprattutto sulla question of nationality... I francesi, molto largamente rappresentati, have vent alla loro cordiale antipatia verso gl'italiani», proudhoniani e anarchicheggianti, «uscirono fuori con questo, che tutte le nazionalità e perfino le stesse nazioni sonö des prejugés surannés»: per Marx mero sciovinismo perche i francesi con «negazione delle nazionalità» intendono solo «il loro assorbimento nella nazione modello francese», quando i francesi avranno compiuto la loro rivoluzione sociale, «il resto del mondo, soggiogato dalla forza del loro esempio, fara come loro»85. Marx, allontanatosi dalle vedute astratte di vent'anni prima, ormai deve tener conto del fattore nazionale, come si manifesta nelle diverse tendenze in seno all'«Internazionale»: gli inglesi “tradunionisti”, i francesi “proudhoniani”, mentre Bakunin è il più acerrimo avversario del socialismo centralizzatore di Marx «continuatore e successore» del cancelliere Bismarck con il suo Stato «aristocratico-monarchico» cui contrappone un anarchismo integrale in cui traspare l'odio del panslavista rivoluzionario verso lo Stato «knuto-germanico» 86 Nelle prime manifestazioni, l'internazionalismo 'marxista' non risulta quindi come antitesi del nazionalismo: il movimento operaio internazionale è la somma dei movimenti operai nazionali con tutta la gamma di tradizioni e forme specifiche di cui Marx e Engels deplorano e stigmatizzano queste specificità e differenze nazionali Comunque il loro progetto di rivoluzione universale passa attraverso l'unita del proletariato e l'abolizione delle nazioni Nella loro visione storica, queste hanno un valore meramente strumentale per il rovesciamento delle società liberali e feudali e l'avvento del 'socialismo', le grandi nazioni, per il quadro statuale che potranno fornire al momento opportuno; le piccole (la Polonia, l'Irlanda) per la loro capacita di distruggere l'arcaico ordine delle cose e del mondo 84 Marx-Engels Manifesto del partito comunista 85 Lettera e Engels 20 giugno 1866, in Marx-Engels, Carteggio, v. IV, p.424 86 B.P.Hepner, Bakounine et le panslavisme révolutionnaire, Paris 1950, p. 271. 49 Approfondimento: la spedizione socialista in Grecia (1897) La tradizione risorgimentale aveva unito nella causa nazionale e nella lotta anticlericale sinistra costituzionale ed "estrema", cioè radicali e repubblicani, ma aveva presa anche in campo socialista l'internazionalismo garibaldino a favore della causa degli oppressi che legittimava la guerra nazionale per inserirla nella causa della rivoluzione socialista costituendo un tramite fra la tradizione patriottica e il sovversivismo sociale. Il socialista italiano di fine secolo guarda più a Garibaldi che a Marx, alle imprese del Risorgimento che alle indicazioni dei Congressi della Seconda Internazionale, e ciò anche a livello dirigenziale del partito, dove solo Turati e la Kuliscioff presero una posizione conforme alle direttive dell'Internazionale di fronte alla guerra greco-turca del 1897. Nonostante il dibattito in seno al socialismo europeo, il superamento della causa nazionale non fu automatico né pacifico. Mentre il movimento socialista europeo elaborava un orientamento pacifista, solo in età giolittiana il PSI prese una posizione concretamente antimilitarista, affidando tra l'altro una rubrica fissa sull’“Avanti!” a Gioacchino Martini, ex-tenente colonnello dell’esercito e già volontario nella terza guerra d’indipendenza, che firmava gli articoli con lo pseudonimo di Sylvia Viviani. 87 La questione della lotta di un popolo oppresso per la propria indipendenza era l'argomento classico su cui cadeva la rigida opposizione socialista tra l'universalismo internazionalista e le problematiche nazionali, lo scoglio contro cui si dimostrava che nella pratica era necessaria una "sintesi", una conciliazione di queste due tradizioni. Un'esigenza talmente forte che si riscontrava anche nella propaganda del partito socialista italiano quando all'alba della mobilitazione per la Grecia affermava: Il partito socialista italiano è unanime nel ritenere che gli interessi suoi, che gli interessi del proletariato europeo collimano colle aspirazioni del popolo greco. ....Permettiamoci l'orgoglio di constatare che la parte più bella e più pura della tradizione rivoluzionaria della borghesia italiana, caratterizzata da quello spirito di fratellanza internazionale che dava i combattenti all'America, alla Francia e alla Polonia, sia 87 R.Giacomini Antimilitarismo e pacifismo nel primo Novecento: Ezio Bartalini e "La Pace":1903-1915, 1991; G.Oliva Esercito, paese e movimento operaio: l'antimilitarismo dal 1861 all'età giolittiana, 1986 50 passata nel partito socialista che la riconsacra nella lotta per l'emancipazione operaia88. In seguito alla rivolta cretese in cui greci ortodossi e turchi si scontrano sanguinosamente, nel 1897 scoppia la guerra tra la Grecia e l'impero ottomano per il controllo delle isole dell'Egeo. I partiti dell'estrema (Repubblica Radicali Socialisti), mentre il governo si allinea alle posizioni di Francia e Inghilterra che intendono preservare l'impero ottomano da scosse che ne avrebbero minato la stabilità col rischio di una conflagrazione, organizzano comitati «Pro Candia» 89 e sviluppano un movimento di solidarietà pro-ellenica per l’invio di aiuti e l’arruolamento di volontari. I primi a recuperare il modello del volontariato internazionale sono i socialisti 90, che anticipano l'azione di Ricciotti Garibaldi: il dirigente del Fasci siciliani Nicola Barbato, che il Comitato «Pro Candia» di Milano aveva inviato il 24 febbraio «come soldato, come medico e come propagandista»,91 da Corfù conferma con una lettera all'«Avanti!» il senso del proprio essere lì: Non basta, no, o amici, la nostra predica nei giorni tranquilli per imprimere qualche nota socialista nei cervelli degli oppressi e dei sitibondi d'ideale; da veri missionari dobbiamo qui in Grecia, come altrove, trovarci in tutti i luoghi di maggior pericolo; il denaro e la vita di qualunque di noi, lasciata sul campo di combattimento credetemi, non saranno spesi male”92. I socialisti costituiscono un comitato 93 concorrente con quello demorepubblicano che arruola il grosso dei legionari sotto il comando di Ricciotti Garibaldi, raccogliendo una piccola legione guidata da Enrico Bertet, mentre la cassa è amministrata da Giulio Casalini. Frattanto, proveniente da Parigi, Amilcare Cipriani, forma una Legione di una settantina di volontari eterogenei, poco inclini ad 88 Il partito socialista italiano nella questione greca, «Avanti!» 12.3. 1897 89con l'appoggio in Parlamento di Imbriani, Bovio, Barzilai, Colajanni, Cavallotti 90 Alessandro Tasca di Cutò, Nicola Barbato, Giuseppe De Felice Giuffrida, Arturo Labriola, Gaetano Zirardini, Giulio Casalini, Giuseppe Ciancabilla, Walter Mocchi 91 «Avanti!», 25.2.1897. 92 La questione di Candia. La Grecia resisterà alle potenze. Una lettera di Nicola Barbato, «Avanti!», 6.3.1897; Per Candia. La partenza della flotta – Il linguaggio dei giornali – Un manifesto di Barbato, «Avanti! », 7.3.1897 93 Comitato socialista per la Grecia, «Avanti!», 6.3.1897. 51 essere irreggimentati e senza esperienza di guerra. Tra gli uomini della Legione di orientamento socialista, oltre ai siciliani e fiorentini, si distinguono i napoletani Arturo Labriola, Ettore Croce e Walter Mocchi. 94 In un libro che rivendica la scelta, denuncia la conduzione delle operazioni e condanna Cipriani come capo militare e leader politico, Arturo Labriola ricorda che i socialisti erano partiti per la Grecia «per concorrere a portare un colpo decisivo alla barbarie turca, supposta il propugnacolo avanzato della politica reazionaria e anticivile della Russia», convinti di giovare anche alla causa del proletariato 95 Il corrispondente dell'«Avanti!» Ciancabilla, che si unisce a Cipriani 96 scrive che "con profondo disgusto udii gridarmi all'orecchio da quella buona gente che credeva di farmi piacere: Viva Cavallotti! Viva Menotti Garibaldi! Ah! Queste vecchie e tarlate cariatidi di una democrazia vigliacca e infrollita hanno saputo con qualche telegramma e con qualche indirizzo giuocar la buona fede di tutto un popolo.” Conferma che anche nella legione del figlio di Garibaldi i socialisti non erano pochi: tra di loro il catanese Giuseppe De Felice Giuffrida, che era stato al fianco di Barbato nei Fasci siciliani. Alcune decine di uomini, tra di loro Arturo Labriola, lasciano la formazione di Cipriani ancor prima del suo scioglimento, per venire integrati nel battaglione Mereu, e lo stesso Cipriani così come Ciancabilla e alcuni altri, si unisce in extremis a Ricciotti nello scontro di Domokós. Paride Marincola Cattaneo, un giovane socialista calabrese studente a Roma, si arruola solo quando ha la certezza di un impegno diretto di Ricciotti, «anelante l'onore d'indossare la camicia rossa e di emulare i gloriosi garibaldini»97 non era l'unico internazionalista a nutrire stima per Ricciotti, come lo scultore ravennate Gaetano Zirardini, futuro deputato socialista. Il volontarismo socialista era organizzato in modo 94 G. Oliva, Illusioni e disinganni del volontariato socialista: la «Legione Cipriani» nella guerra greco-turca del 1897, in «Movimento operaio e socialista», 1982 n. 3. Id., Un dibattito socialista di fine secolo: la nazione armata e la guerra greco-turca del 1897, «Rivista storica italiana», 1982 n. 2 95 G. Cavaciocchi, La Compagnia della Morte. Ricordi di un volontario della Legione Cipriani, Napoli 1898 96 G. Ciancabilla,Lettera dalla Grecia, «Avantí!», 31.3.1897. 97 P. Marincola Cattaneo, In Grecia. Ricordi e considerazioni di un reduce garibaldino, Catanzaro 1897, G. Pécout, Une amitié méditerranéenne le philhellenisme italien et francais au XIX siècle, in “La democrazia radicale nell'Ottocento europeo” «Annali Feltrinelli», 2005, pp. 81-106. 52 diverso da quello dei repubblicani borghesi di Ricciotti Garibaldi per il prevalere di un individualismo disorganizzato, una motivazione solidale ma avversa ad ogni tipo di disciplina e gerarchia, che rende difficile la loro incorporazione nell'esercito regolare. In più, gli ideali di riferimento e le convinzioni personali che spingono alla partecipazione sono lontane dal volontarismo garibaldino. Emerge una nuova generazione che, come afferma Cipriani, "ha sete di epopee e rifiuta questo stanco e snervante fine secolo", ma che nel frattempo perde in un passato sempre più mitizzato le esperienze garibaldine di fronte alla realtà di società impegnate a rafforzare le proprie conquiste istituzionali. Alla fine del secolo, costruite ormai le nazioni, il volontarismo in nome della liberazione degli oppressi non può avere un'interpretazione così univoca ed entusiasta, soprattutto per il mondo di sinistra. Lo stesso Cipriani deve constatare il fallimento dell'esperienza sia dal punto militare che da quello politico, soprattutto a causa dei forti contrasti in seno al mondo socialista ma anche anarchico. Malatesta in una serie di articoli su “L’Agitazione” in contrasto con la lettura spontaneista di Cipriani, che abbracciava la causa greca per un sentimento ancora intriso di insegnamenti garibaldini, esprime una posizione contraria alle guerre di liberazione puramente nazionaliste come giudicava quella della Grecia contro la Turchia. Era l'affermazione di una questione di priorità: l'internazionalismo operaio doveva avere la precedenza come battaglia rivoluzionaria perché portava in sé anche la soluzione delle cause nazionali. Di fronte a questo, la guerra come evento cambiava profondamente di senso passando da esperienza rivoluzionaria di emancipazione degli oppressi a prodotto del capitalismo. 9 Socialpatrioti e antimilitaristi Nell'Europa del XIX secolo le organizzazioni operaie sindacali, politiche, riformiste, rivoluzionarie, non sono 'marxiste', nè per nascita ne per tradizione. Uno del primi partiti socialisti nati in Europa, l’ ”Associazione generale dei lavoratori tedeschi”, era stato fondato nel 1863 da Ferdinand Lassalle, leader carismatico morto in duello per faccende di cuore98 Un anno prima Lassalle tenne in un sobborgo 98 E.Bernstein, Ferdinand Lassalle as a social reformer, 1893, p.188: «A lungo i suoi fedeli ricusarono di accettare che Lassalle fosse morto per un banale intrigo amoroso e credettero a un complotto ordito dagli avversari per sbarazzarsi un pericoloso agitatore e resero omaggio alla vittima di un 53 industriale di Berlino una conferenza dove espose il proprio «programma operaio», rievocò la Rivoluzione Francese quel Terzo Stato «che ritenne di confondersi con la totalità della nazione», mentre era solo la borghesia, che nel proprio seno recava un «Quarto Stato da cui voleva separarsi legalmente che intendeva sottomettere al proprio dominio» Questo Quarto Stato è la classe operala Questo Quarto Stato, nel 1789 ancora celato nel Terzo Stato e apparentemente confuso con esso, vuole innalzare il proprio principio a principio direttivo della società. Quindi, «chi proclama che l'idea della classe operaia è il principio dominante della società... non proferisce un grido destinato a disgiungere e a dividere le classi... é piuttosto un grido di riconciliazione... un grido di unione, nel quale dovrebbero accordarsi tutti coloro che non vogliono privilegi... un grido d'amore che, una volta sgorgato dal cuore del popolo, ne rimane per sempre la vera divisa e, grazie al suo stesso contenuto, pur sempre un grido d'amore anche quando diviene il grido di guerra della Nazione»99 Lassalle non ignora il Manifesto di Marx e giunge fino al limite della parabola teorica ivi delineata: il proletariato elimina il sottile strato parassitario borghese e costituisce se stesso in nazione. Alla fine, socialismo e nazionalismo si confondono. Cosi alla fine del 1863 Lassalle finirà con l'accostarsj a Bismarck che, nella politica sociale del suo Reich, si ricorderà delle loro conversazioni. D'altro canto, divenuto teorico del socialismo di Stato, Lassalle forniva alla socialdemocrazia una solida tradizione. Marx condannò Lassalle e nel 1869 vede la luce un partito marxista, rivale dell'«Associazione generale dei lavoratori tedeschi»: il «Partito operaio socialdemocratico di Germania» di August Bebel e Karl Liebknecht. Ma nel 1875 i due partiti si fondono per dar luogo al grande partito socialdemocratico tedesco: partito marxista ma impregnato delle prospettive lassalliane sulla conquista dello Stato da parte della classe più numerosa. La socialdemocrazia tedesca, in nome di un marxismo sempre più sottoposto a 'revisione', si pone come obiettivo l'appropriazione per vie legali e parlamentari dell'apparato statuale a vantaggio di quel 'quarto' ordine che nella prospettiva lassalliana costituiva la vera nazione. Nei decenni precedenti la Prima Guerra Mondiale il partito socialdemocratico tedesco é il più meschino intrigo politico. Nacque un vero culto lassalliano, una specie di religione” 99 F. Lassalle, Programma operaio [conferenza tenuta il 12 aprile 1862], in F. Lassalle, Discours et pamphlets, Paris 1903, pp. 178-9. 54 numeroso, potente e prestigioso tra tutti i partiti socialisti europei; modello di ogni possibile organizzazione socialista, domina la Seconda Internazionale fin dalla costituzione nel 1889. A fianco del grande partito, di massa e marxista, diretto da Kautsky per le vie dell'ortodossia, il socialismo francese è erede di molteplici tradizioni giacobina, proudhoniana, blanquista, guesdista, ecc. – e solo nel 1905, dietro le pressioni dell'Internazionale riesce a raccogliersi in un Partito socialista unificato, «Sezione Francese dell'Internazionale Operaia», Né i socialisti francesi né i loro compagni tedeschi coltivano quello sciovinismo esaltato come virtù suprema dei nazionalisti dei rispettivi paesi. Dirigenti e militanti riprovano la guerra, condannano l'antisemitismo, aspirano alla fratellanza fra i popoli. Ma il loro ideale di fe1icità, giustizia e pace passa attraverso l'abolizione di un 'capitalismo' che si suppone generatore di guerra, attraverso il rovesciamento di una classe borghese, attraverso l’instaurazione di un. 'socialismo grazie al quale non avranno più ragion d’essere i conflitti interstatali. Cosi, nel quadro dello Stato-Nazione in cui si trova a operare, ogni partito socialista europeo lavora a trasformarlo, riformarlo, farne uno Stato socialista, cioè in fondo uno Stato ancor più nazionale. Quando i socialisti attaccano il nazionalismo non criticano né lo Stato né il sentimento nazionali, ma proprio quel nazionalismo dottrinario nato negli anni 1880 in quegli ambienti di destra e estrema destra che, nell'immaginario socialista, coincidono con la 'borghesia' e il 'capitalismo'. Nel 1890 al Reichstag August Bebel rimproverava all'esercito tedesco le divise sgargianti, troppo vistose in tempo di guerra, e chiedeva per i soldati uniformi di colore neutro, insieme meno visibili e più democratiche. Nel 1907 al congresso di Essen esclama: nel militarismo combattiamo «lo spirito di casta in cui si chiudono gli ufficiali, l'esercito considerato come strumento di dominio per assicurare l'egemonia delle classi possidenti sui non possidenti». Posizione simmetrica a quella sviluppata da Jaurès che nell'Armée nouvelle (1910) al «militarismo di professione e oligarchico» oppone la «Nazione in armi», le «milizie popolari», la «leva di massa». Jaurès terne la guerra, fa di tutto per scongiurarla, ripudia ogni idea revanscista, mantiene i rapporti più cordiali con i socialdemocratici tedeschi, conta sull' 'arbitrato' per dirimere le contese interstatali. Ma senza smettere di professare il più ardente patriottismo, senza rimettere in discussione realtà, legittimità e forza del sentimento nazionale. No, risponde a Marx, « il proletariato non é 55 esterno alla Patria ». Come potrebbe allora «costituire se stesso in Nazione » se questa giå non esistesse e « il proletariato non intrattenesse una relazione vitale con essa? ». No, la Patria « non si fonda su categorie economiche... non é racchiusa nell'angusto quadro di una proprietå di classe. Ha maggiore profondità organica e levatura ideale. Con le radici attinge il fondo stesso della vita umana e, se si può dir cosi, la fisiologia dell'uomo » Se fosse minacciata, « saremmo i primi a accorrere alle frontiere per difendere quella Francia il cui sangue scorre nelle nostre vene e il cui fiero genio é la parte migliore di noi » 31 e « moltitudini in armi », i soldati-cittadini di un « esercito veramente nazionale e popolare » ritroverebbero lo slancio del 1792 e saprebbero respingere il nemico con efficacia assai maggiore delle sofisticate strategie dei militari di professione. Se Jaurès combatte nel 1913 la legge dej tre anni, in realtå attacca il principio dell'esercito permanente per opporgli il suo sistema di milizie, di un addestramento militare di tutti, ispirato al modello svizzero e alla Rivoluzione Francese. Quando espone le proprie opinioni militari, Jaurès fa continuo riferimento alla Rivoluzione Francese: « l'armamento generale del popolo e l'idea delle milizie sono scaturite dalla stessa movenza che ha dato vita al suffragio universale e alla Repubblica! Per la Francia, là é l'origine della Nazione in armi né si può disgiungerla da questa origine... Il dramma del 10 agosto, con i suoi prologhi e i suoi epiloghi, trasforma insieme, con sforzo immenso e congiunto, la istituzione sociale e l'istituzione militare. La Patria in pericolo... dall'immenso pericolo per la nazione nasce il diritto per tutti gli uomini a essere cittadini e a essere soldati ... dopo la Rivoluzione, in Francia, in Spagna, in Germania e in Italia democrazia e nazionalitå si confondono … Da un secolo, la loro storia ha questo solo senso. Nazionalitå e democrazia, sebbene riunite sotto un unico tetto, non si sono sviluppate allo stesso ritmo. Nondimeno sono sempre state inseparabili». Alla vigilia della Grande Guerra, e qualunque siano le tradizioni storiche e le specificitå dottrinali, ognuno dei grandi partiti socialisti dell'Europa occidentale riconosce appieno la legittimitå dello Stato-Nazione. . Alla svolta del secolo si fa strada a sinistra una tendenza antimilitarista e antinazionalista di straordinaria violenza verbale: Gustave Hervé nel 1901, in occasione di una cerimonia militare per l'anniversario della battaglia di Wagram, lancia lo slogan: la bandiera nel letame!: «Wagram giornata di onta e di lutto! Da dieci anni una 56 nazione che aveva proclamato i Diritti dell'Uomo e del Cittadino era innamorata pazza di un bandito in uniforme... La sera, più di 20.000 uomini restavano sul terreno, sventrati, decapitati, ustionati o feriti, 20.000 giovani pieni di vita, che avevano padri, madri, sorelle, amici, falciati in dodici ore per il capriccio di un soldataccio! ... La Terza Repubblica fa esaltare da soldati questa vittoria napoleonica, questa vittoria dell'uomo che ha strangolato la Prima Repubblica! ... ».100 Le parole di Hervé, tenute in seno al partito di cui era membro, traducevano in realtå uno stato d'animo esterno: allora nella C.G.T. si faceva professione del più acceso antipatriottismo. Il movimento sindacale del tempo, geloso della propria autonomia verso la politica e soprattutto verso il partito socialista, coltivava una propria ideologia di ascendenza anarchica: il «sindacalismo rivoluzionario», che aveva come orizzonte mitico lo «sciopero generale» che doveva porre fine in un sol colpo a disparitå sociali, capitalismo e guerra. Non dimentichiamo che allora, in caso di sciopero o manifestazione, l'esercito, e non la polizia, assicurava l'ordine. Quanto al servizio militare obbligatorio, sappiamo che non venne maj adempiuto entusiasticamente dai figli del popolo . La visione del mondo dei militanti del «sindacalismo rivoluzionario» é come la smisurata amplificazione del risentimento popolare contro l'istituzione militare e lo Stato repubblicano. Negatori della societå e della vita politica reali, denunciano lo Stato come una potenza malefica, la patria come una menzogna, la guerra come un mezzo voluto deliberatamente per domare, schiacciare e tormentare la classe operaia. Al congresso della C.G.T. del 1908, Merrheim ricorda «la formula dell'Internazionale: i lavoratori non hanno patria! Che in conseguenza ogni guerra é un attentato contro la classe operaia e un mezzo sanguinoso e terribile di diversione dalle sue rivendicazioni. Il congresso dichiara che, dal punto di vista internazionale, bisogna istruire i lavoratori, affinché nel 100 . L'ostilità alla coscrizione, presente sotto l'Ancien Régime, cresce quando la Rivoluzione ne generalizza il principio. In ambiente contadino prestare il servizio di leva finisce col divenire un «episodio normale e naturale della vita... Un'esperienza tenuta per necessaria affinché un adolescente divenisse finalmente un uomo... una specie di rito di passaggio» che consacrava l'ingresso nell'età adulta (C. Harmel, Syndicalisme et anti-militarisme, in «Les études sociales et syndicales», gennaio-febbraio 1976, p. 10) 57 caso di una guerra tra le potenze, i lavoratori rispondano alla dichiarazione di guerra con una proclamazione dello sciopero generale rivoluzionario». Nell'agosto 1914 non ci sarà nessuno «sciopero generale» internazionale. I partiti socialisti partecipano ai governi di unitå nazionale del rispettivi paesi in guerra. Dall'oggi al domani, l'internazionalismo evaporerà, come se non fosse mal esistito Approfondimento: Cesare Battisti socialista interventista Gli irredentisti trentini e giuliani volevano la guerra per motivi ideali, tra cui alcuni socialisti come Cesare Battisti 101 che pubblica due lettere aperte indirizzate ai socialisti italiani, la prima su “l’Avanti!” diretto da Mussolini, la seconda sulla «Stampa» 102 in cui replica al segretario del Gruppo Parlamentare socialista Oddino Morgari 103 . In risposta alla sua affermazione dell'indifferenza delle masse operaie italiane d'Austria per l'irredentismo sottolinea lo stato d'oppressione in cui l'Austria-Ungheria tiene le sue nazionalità, cosa che ne avrebbe sicuramente determinato lo sfacelo a seguito della guerra, il gravissimo malessere, materiale e morale del Trentino, e il fatto che gli italiani d'Austria già versavano il loro sangue sui campi di battaglia per una causa che detestavano, e scriveva: «Invano io ho cercato sino ad ora sull'Avanti! " e negli altri periodici socialisti le ragioni pratiche, tangibili della neutralità adatta a persuadere anche chi non ha dimestichezza con Engels e con Marx. Vi ho trovate lunghe disquisizioni filosofiche sulla collaborazione e sulla lotta di classe, disquisizioni che mi hanno fatto l'effetto di un predicozzo sulle cause della miseria a chi, avendo fame, chiede pane e lavoro». 101S. Biguzzi Cesare Battisti, 2008 102 “La Stampa” 27.9.1914 ora in C. Battisti: Scritti politici e sociali, 1966, p. 470-476. 103 Secondo cui non aveva senso fare una guerra per Trento e Trieste dal momento che tanti altri italiani (ticinesi, maltesi, savoiardi) vivevano tranquillamente sotto governo straniero e che, tra l'altro, l'acquisizione di quelle terre non avrebbe compensato neppure in termini economici il costo di un conflitto. Certo il problema irredentista esisteva, ma si poteva risolvere attraverso la creazione di libere confederazioni tra popoli. Alla guerra, se proprio la voleva, ci pensasse la borghesia, solo a lei spettava la difesa della patria; che i socialisti di tutta Europa avessero scelto un'altra via poco importava, quelli italiani dovevano mantenersi su di una posizione terza in attesa degli arbitrati internazionali. 58 Per Battisti la questione non è se la guerra sia o meno utile ma se sia o meno giusta: «E giusta? Voi avete ammesso esser giuste le aspirazioni di Trento e Trieste. E non negherete che ciò che è giusto è anche utile. Solo credete si possa arrivare alla redenzione degli irredenti per altra via». Ma questo era risultato impossibile: «Invano uomini d'alto senno, di provata rettitudine, di cuore generoso come Adler, Daszinski, Nemec, hanno sperato che l'internazionale proletaria avrebbe potuto creare un'Austria moderna, equanime verso tutte le nazionalità. Il programma è fallito». Quanto al paragone tra le diverse minoranze, era assurdo come era assurdo porre Inghilterra, Svizzera e Francia sullo stesso piano dell'Austria, Stato «esclusivamente feudale, militarista e clericale [che] vive maltrattando e negando le nazioni». Battisti ricorda quante volte, discutendo tra socialisti di varie nazionalità, ci si fosse trovati d'accordo nel concludere: «L'Austria è una malata incurabile che ci rovina, ci appesta; e noi non siamo capaci né di guarirla né di ammazzarla … Ora si tratta di ammazzarla. Voi vi rifiutate di cooperare a questa funzione. Non vi pare né generoso né utile. È invece semplicemente necessario, perché v'è il pericolo che, senza il concorso dell'Italia, si continuino a imporre, ai vari territori non tedeschi dell'Austria, governi stranieri e si eterni la cancrena dell'irredentismo; è necessario perché l'Austria finché vivrà, se non sarà ridotta a minime proporzioni, non smetterà il suo programma di odio e di aggressione verso l'Italia; perché infine, al di sopra della causa di Trento e Trieste, la distruzione dell'Austria, come Stato plurinazionale, rappresenta la soppressione di un covo d'infezione nel centro d'Europa. Per Battisti questo obiettivo giustifica ampiamente l'intervento dell'Italia, tuttavia sente di dover ribattere ad affermazioni come «gli Italiani dell'Austria stanno economicamente bene» … «il guadagno di quei paesi non compenserebbe il sacrificio», richiamando l'attenzione sulla politica di sfruttamento e incuria nei confronti del Trentino, del Friuli e della Venezia Giulia ma anche sulle enormi potenzialità economiche di terre che non erano affatto «rocce sterili». Certo l'entrata in guerra avrebbe richiesto un pesante tributo di sangue; Battisti non se lo nascondeva, ricordando tra l'altro come per le vittime «nessuno più degli irredenti, che sanno decimata la gioventù loro sui campi della Polonia austriaca e della Serbia, [potesse essere] mosso da sentimenti di pietà». Ma proprio la coscienza del tragico prezzo da pagare motiva ancor più fortemente il monito circa i maggiori 59 sacrifici che si sarebbero dovuti affrontare in un non lontano avvenire se la carta d'Europa non fosse risultata «logicamente assestata». A Morgarí, «corso coi pensiero alla chiusa dell'immane guerra, pregustando la. gioia dei frutti che darà al proletario italiano, il suo contegno passivo» e consolato dall'idea che l'antimilitarismo avrebbe tratto dal conflitto «ragione di successo» aprendo la strada alla «pace perpetua», Battisti risponde: «Sí, ci avvieremo alla vera pace. Sí, questa guerra distruggerà la guerra, ma solo se i problemi nazionali, ancora incombenti sull'Europa, saranno risolti. La storia non si salta». Distruggere ad ogni costo «il nido del feudalismo austriaco» era in quel momento l'unica strada verso un futuro di pace e democrazia. Su questo dato Battisti esortava i compagni italiani a ragionare e ad agire di conseguenza, anche nell'interesse delle classi sociali più deboli: “Se fra i Partiti rivoluzionari d'Italia, sempre così generosamente pronti a buttarsi allo sbaraglio, anche quando si tratta di salvare una sola vittima da un atto di violenza; se fra i proletari d'Italia v'è chi non crede necessario lo sfacelo dell'Austria, è perché l'Austria non conosce, né sa dell'influenza deleteria che ha avuto su tutta l'Europa. Altrimenti, anche ammettendo la tesi (fino a ieri veramente negata dai socialisti del Regno) che la difesa della patria spetta solo e sempre alla borghesia, il proletariato dovrebbe oggi volere la guerra per difendere innanzitutto se stesso. Io credo che delle condizioni reali dei popoli d'Austria vorranno meglio informarsi i compagni d'Italia, prima di dire che stanno con tutti e nessuno e che l'Austria vale la Francia, prima di rispondere il loro no alla guerra e di impegnarsi a impedire la liberazione di Trento e Trieste e la vittoria della democrazia ... Un'azione dei socialisti che finisse in sostegno dell'Austria, sonerebbe come triste disaccordo a quello che verso le patrie irredente e verso tutti i popoli oppressi fu il contegno nobile e generoso di tutti i precursori e gli alfieri del socialismo italiano”. Chiude questa lettera firmandosi «con affetto vostro compagno». 60 Parte 4 Dal nazionalismo all’imperialismo 10. Nascita e sviluppo del nazionalismo Per i patrioti repubblicani del 1848 le nazioni sono parti dell' umanità: lottare per la patria significa lottare contro il dispotismo e la dominazione straniera per la liberta di ciascun popolo, depositario di uguale diritto alla libertà. 104 Ancora nella seconda metà del secolo Ernest Renan105, ricollegandosi alla concezione illuministica che aveva restaurato l'idea repubblicana di patria, la definisce un «plebiscito di tutti i giorni», fondata su un principio spirituale, su una cultura fatta delle memorie condivise dei sacrifici e delle sofferenze patiti da un popolo, opposta alla dottrina della nazione basata sull'etnia, sul linguaggio, sugli interessi, sull'affinità religiosa e sulla geografia. Ma questa concezione va in direzione opposta alle tendenze intellettuali dominanti nell'Europa di fine Ottocento che operano per dissolvere i valori politici della patria nell'unitå spirituale della nazione, parlano di legami di sangue, di tradizioni ancestrali Separato dallä repubblica, l'ideale della nazione non attrae più democratici e radicali, mentre l'ideale della patria, ormai confuso con la nazione, perde il contenuto di libertà che era stato il suo carattere distintivo. Nell'Europa monarchica il patriottismo degenera in «nazionalismo», politica della forza, ragione di stato. Alla fine dell'Ottocento il linguaggio del nazionalismo assorbe, trasformandone i contenuti, la tradizione del patriottismo. Ogni nazionalismo posa sul principio d'un primato nazionale e tende all'esaltazione della nazione eletta. Più particolarmente, i nazionalismi europei della fine dell'Ottocento e del primo decennio del Novecento nascono come reazione alla democrazia imperante. . Il nazionalismo nasce in Europa nell’ultimo quarto dell’Ottocento per evoluzione del principio di nazionalità, esaltato come antecedente allo Stato e trascendente gli individui, in un’ottica conservatrice e autoritaria (tradizionalismo, antiliberalismo, antidemocrazia) e solidaristica delle competizioni sociali (antisocialismo). Punto di sbocco è la realizzazione di una potenza nazionale come frutto di espansionismo, di imperialismo coloniale con la gara di acquisizione 104 M. Viroli Per amore della patria: patriottismo e nazionalismo nella storia, 1995. 105 E. Renan 'Che cos'é una nazione?' 1882 (Tr. it., 2004) 61 d'un impero coloniale apertasi in Europa dopo il Congresso di Berlino (1878) o come influenza culturale-spirituale Le dottrine e i movimenti politici nazionalisti sono più vivaci dove più profondo è l'indirizzo democratico dello stato come nella Francia della terza repubblica dove il “guasto democratico”toccava vivamente la coscienza religiosa di vasti ceti rurali. Sorge, quindi, primo, in ordine di tempo, un nazionalismo francese. In Francia patria e repubblica dopo la Comune prendono strade diverse e, nonostante l'ereditä della rivoluzione, il linguaggio della nazione assunse toni nazionalistici e monarchici, la destra conquista il controllo del linguaggio della patria e della nazione che diventa sinonimo di 'destra'. Nel 1899 Barrès, Maurras e Daudet fondano su basi filosofiche cattoliche (de Maistre e Bonald) e positiviste (Comte e Taine) l'Action Francaise che ha essere patriota francese vuol dire combattere la “République” perché lo spiritö repubblicano distrugge la forza della nazione e favorisce la diffusione di idee estranee al cattolicesimo francese. La lealtà del patriota non deve andare alla repubblica ma al monarca che é il vero protettore della libertà, dell'onore e della prosperità della nazione. Nazionalismo vuol dire impegno a proteggere l'integrità culturale e religiosa della nazione contro «gli stranieri interni», i sostenitori di idee e valori estranei all'identità spirituale della Francia. Il nazionalismo deve operare come una nuova forza religiosa perché solo la nazione può assicurare all'uomo moderno il senso di radicamento e l'equilibrio spirituale di cui ha bisogno. Oltre che sulla restaurazione monarchica il nazionalismo francese è fondato sulla libertà, sulla pace, sul decentramento perché la rivoluzione e Napoleone furono tirannici e fecero di tutta la vecchia Francia un'immane rovina e costruirono a servizio dello stato un'immensa macchina che lascia solo e indifeso l'individuo; perché la rivoluzione e Napoleone, dopo quasi un secolo e mezzo di totale tranquillità e di egemonia della Francia in Europa sotto il glorioso regno dei Luigi, portarono alla guerra e all'invasione, e non una, ma cinque volte, nel 1793, nel 1814, nel 1815, nel 1870, nel 1914 In Inghilterra la demarcazione fra patriottismo radicale e conservatore si attenua sotto il liberale Palmerston che usa la retorica della missione storica dell'Inghilterra, paladina della libertà e del diritto, in cui popolo e governo sono uniti nella causa comune del sostegnö alle nazioni oppresse. Disraeli vuol fare del Tory il partito nazionale trasformando il patriottismo radicale diffuso nella classe operaia inglese in lealtà alla corona sostenuta dall'orgoglio di essere sudditi di un potente 62 impero: “Gli operai sono inglesi fino al midollo. Essi rifiutano i principi del cosmopolitismo e accolgono i valori nazionali. Vogliono conservare la grandezza del regno e dell'impero, e sono fieri di essere sudditi del nostro sovrano e membri di un simile impero”. Così i conservatori conquistano alla fine dell’Ottocento il monopolio del linguaggio del patriottismo e l'identificazione della nazione con il conservatorismo diventa senso comune; la classe operaia in parte subisce il richiamo del patriottismo conservatore, in parte resiste cercando di mantenere vivo il linguaggio del patriottismo radicale degli anni '30 e '40, o si proclama ostile al patriottismo come tale in nome dell'internazionalismo socialista. In Gran Bretagna Jaseph Chamberlain, che nel 1877 aveva fondato la National Liberal Federation di indirizzo radicale con aderenze nel ceto operaio, prende una deriva imperialista e progetta una “Federazione imperiale” per armonizzare politica ed economia di tutti i componenti dell'Impero britannico ritenendo che la «razza britannica» fosse la migliore del mondo e che la crescita della potenza di Londra fosse nell'interesse dell'umanità, soprattutto dei popoli di colore. Sempre in Gran Bretagna nel 1877, in occasione della guerra russo-turca, una forte corrente d'opinione si schierò per l'intervento a fianco della Turchia dando vita al gingoismo, 106 movimento sciovinistico colonialista di massa, dai connotati spiccatamente populistici. La guerra boera contribuì poi all’improvvisa esplosione di paura e odio nazionalistico e il gingoismo si estese anche al resto degli stati impegnati nelle politiche espansive e si affermò a livello di massa dilagando in Francia, Inghilterra e Germania anche nei partiti socialisti le cui correnti revisioniste consideravano che la classe operaia aveva tutto da guadagnare dalle conquiste coloniali In Germania, dove il patriottismo repubblicano non fu mai una tradizione importante, patriottismo divenne sinonimo di lealtà alla monarchia e impegno a proteggere l'unicitå spirituale della Germania. Per Bismarck il patriottismo tedesco ha bisogno del principe, perché solo il principe puö essere il fondamento di una larga unitå che trascende le lealtå locali. I tedeschi, per ragioni storiche e culturali, sono un popolo disomogeneo. Hanno bisogno di un monarca e di una dinastia che dia ad essi forza e unitå°. Una volta conquistata l'unitå politica si deve e si puö porre mano alla costruzione dell'unitå culturale, lo Staatsnation (stato nazionale) deve trovare il suo 106 John A. Hobson Il gingoismo , 1890 [trad. it. 1980]. 63 completamento nella Kulturnation (la nazione spirituale). I politici, assistiti da artisti, scrittori e intellettuali, devono lavorare per edificare una nazione tedesca spiritualmente radicata e culturalmente integra. I pilastri ideologici del patriottismo tedesco della seconda metå dell'Ottocento sono i concetti di Kultur e di Voik. Il primo esprime la credenza nell'unicitå dello spirito tedesco, il secondo l'identificazione quasi mistica o magica con lo spirito originario del popolo tedesco e definisce il confine etnico e culturale fra tedeschi e non-tedeschi. Il «popolo» celebrato dall'ideologia völkisch é infatti un'unitä incontaminata, un ideale di purezza da contemplare e sognare con nostalgia e risentimento per le forze del mondo moderno che cercano cli corrompere. In Italia107 l’iniziale irredentismo si accompagna a un “imperialismo proletario” giustificato dalla questione meridionale e dall’emigrazione per cui le colonie rappresenterebbero una via di salvezza e rivincita. Il movimento nazionalista italiano si trova davanti alla sconfitta coloniale ad Adua, con l'abbandono della politica crispina e all'emigrazione che disperde per il mondo ad arricchire altri popoli il sangue italiano. Il nazionalismo italiano ha domandato, dalle sue origini l'autorità dello stato, per impedire la disgregazione, e la guerra per riassumere i fini storici del Risorgimento e per iniziare la nuova fase della potenza e del prestigio italiano nel mondo. Corradini in antitesi con la visione democratica positivistica, allora in voga, fonda il giornale Il Regno nel 1903 con questo programma: "Io e gli amici miei abbiamo un solo scopo: di essere una voce tra tutti coloro i quali si dolgono e si sdegnano per la viltà della presente ora nazionale.... E prima di tutto contro quella dell'ignobile socialismo.... E una voce altresì per vituperare quelli che mostrano di fare di tutto per essere vinti. Per vituperare la borghesia italiana che regge e governa". Il giornale si propone: a) di richiamare gl'Italiani al sentimento e alla conoscenza del genio di Roma e dell'Impero; b) di liberare la cultura universitaria dalla vuota imitazione straniera; c) di rinvigorire il senso e l'autorità dello stato opponendosi all'azione disgregatrice dei partiti, come delle classi, e al ribellismo cronico dell'individualismo tutto italiano; d) di risollevare il prestigio della monarchia e di considerare la Chiesa cattolica non con gli occhi della 107 E. Gentile, La Grande Italia. Ascesa e declino del pnito della nazione nel ventesimo secolo, 1997; R. Romeo, voce "Nazione" in ”Enciclopedia Italiana del Novecento”, 1979, vol. 4, pp. 525-538 64 setta avversa, ma come l'istituto secolare e glorioso della vita religiosa nazionale e insieme universale; e) di rafforzare l'organismo militare dello stato; f) d'indirizzare subito tutte le energie alla conquista coloniale in Africa, per farne il campo di un'emigrazione italiana non servile; g) di combattere nel parlamentarismo e nella democrazia massonica la corruzione e l'estremo decadere degl'istituti e delle forze politiche ereditate dal Risorgimento; h) di combattere nel socialismo la perversione di tutto un popolo fatto nemico della patria ed estraneo e avverso allo stato; i) di combattere nella democrazia parlamentare e massonica, come nel socialismo, due internazionalismi: l'uno borghese e l'altro proletario, ma ambedue nemici della nazione; l) di considerare la politica estera (non la politica interna dei gruppi e del parlamento così cara all'esperienza giolittiana) come il compito primo e maggiore dello stato; m) di propugnare la solidarietà di tutte le classi per il raggiungimento d'un maggior benessere collettivo nella gara economica e politica tra le nazioni: un programma di rafforzamento e di esaltazione della nazione italiana, con due fini immediati: l'irredentismo e l'espansione coloniale. In tal modo, l'Associazione nazionalista ha parte notevole nella formazione dello stato d'animo popolare che impose l'occupazione della Libia. Dopo alcuni anni come tendenza e movimento, nel 1910 sbocca nell'Associazione nazionalista italiana che nel 1912 al congresso di Roma proclama l'antitesi fra il principio nazionale e quello democratico, e, mentre sembra che la democrazia trionfi dovunque nei “blocchi popolari” afferma antinazionale l'universalismo democratico, pacifista, internazionalista, egualitario, e, per necessaria conseguenza, dichiara l'incompatibilità tra nazionalismo e massoneria. Tale professione di fede allontana dall'Associazione nazionalista non pochi democratici e massoni, ma fa più omogenea e compatta l'associazione stessa Della massoneria il nazionalismo rigetta non solo le forme sorpassate e il segreto e la gerarchia occulta, ma lo stesso spirito informatore democratico internazionalista e pacifista, cioè ciecamente e bassamente individualistico. Contemporaneamente si afferma sempre più la campagna irredentista, sviluppando l'idea che l'irredentismo non è solo un movimento di sentimentale amore verso fratelli separati, ma un dovere nazionale per compiere l'unità della patria e darle le frontiere nazionali come presupposto e condizione indispensabili al suo futuro sviluppo imperiale: teoria che dopo la vittoria fece del nazionalismo il più tenace assertore del programma massimo alpino e adriatico. Alle 65 elezioni politiche del 1913 il nazionalismo italiano ebbe in Luigi Federzoni e nel veneziano Piero Foscari i primi suoi rappresentanti alla camera. Intanto, nel congresso di Milano (maggio 1914) si conclude per la differenziazione tra nazionalismo e liberalismo, proclamandosi l'incompatibilità dell'appartenenza all'associazione da parte di quelli che erano iscritti a un altro partito politico. Il liberalismo è respinto non solo come dottrina politica ma anche come dottrina economica, cioè come liberismo cui segue l’esodo dei nazionali-liberali che ebbero nell'Azione. Nel 1922 si fonde col Partito nazionale fascista. Approfondimento: Xenofobia “proletaria”: Aigues Mortes Ad Aigues-Mortes in Camargue (Provenza) il 17 agosto 1893 i lavoratori stagionali italiani impiegati nelle saline sono vittime di un linciaggio che provoca 8 morti, 14 dispersi e 99 feriti: fu «l’esempio più truce di xenofobia operaia in qualsiasi storia dell’immigrazione … una eruzione d’odio verso gli italiani che ci rubano il lavoro». Allora la Francia accoglieva il maggiore flusso di migranti europei soprattutto dall’Italia; ogni anno, tra agosto e settembre, per la raccolta del sale ad Aigues-Mortes affluivano migliaia di lavoratori richiamati dalla speranza di trovare un lavoro stagionale. I documenti delle prefetture descrivono un clima d’allarme e i problemi suscitati dall’afflusso in massa di questa manodopera migrante, eccedente la forza-lavoro richiesta ma utile serbatoio di riserva e strumento di pressione per abbassare il costo del lavoro. Potevano affluire fino a 2000 stagionali a fronte dei 1200-1300 utilizzati, aumentando del 50% la popolazione del posto con inevitabili difficoltà d’accoglienza e sicurezza. Uomini soli e giovani, la cui presenza “selvaggia” suscitava problemi sanitari per l’assenza di acque sorgive e il deflusso delle acque fognarie. Diffusa era poi la propagazione della malaria. In quelle settimane tre gruppi sociali venivano messi di fronte ad una condizione di concorrenza tra loro: i locali, gli stagionali francesi originari delle vicine Cevennes, a cui nel tempo si aggiunsero gli italiani, perlopiù Piemontesi, ed infine i “trimards” (lavoratori nomadi francesi), destabilizzati dalla crisi economica e in condizioni di marginalità. Questi ultimi ebbero un ruolo centrale nelle violenze, tra i processati, infatti, 18 su 37 erano senza fissa dimora e tra questi 11 su 17 furono accusati dei reati più gravi. La presenza di stagionali italiani era cresciuta col tempo. Provenienti da un’economia più povera erano disposti a compensi inferiori e ritmi di lavoro più intensi. Nell’agosto 66 del 1893 erano stati assunti 621 italiani contro 700-800 francesi, meno dei 900 degli anni precedenti. La raccolta era organizzata per gruppi geografici separati, ma la necessità d’integrare l’effettivo con stagionali “occasionali” portò alla formazione di alcune squadre miste. Fu proprio in uno di questi gruppi che scoppiò la prima rissa. Motivi di rivalità diedero fuoco ad un malcontento sordo che covava da tempo «contro i forestieri che rubavano il lavoro accettando qualsiasi condizione». Le cause del massacro avevano ragioni ben chiare, condizioni di lavoro massacranti (tra cui pesava la scarsità di acqua potabile corrente in mezzo ad un mare di sale) e la messa in competizione tra forza-lavoro locale e straniera. Solo l’anno successivo al massacro le autorità realizzarono un servizio di derivazione dell’acqua corrente e poco dopo la Compagnie des salins du Midi meccanizzò la raccolta del sale. Nel frattempo la macchina amministrativa inventò la carta d’identità per stranieri, che consentiva di regolare la tutela del lavoro nazionale. Soluzioni tecniche messe in atto dai dominatori per risolvere i problemi che loro stessi avevano creato. Quella carneficina viene oggi ricordata come un esempio tipico di razzismo, nonostante all’epoca l’episodio venne interpretato con categorie ben diverse. Il razzismo sul piano lessicale ancora non esisteva. La parola entrò nel vocabolario francese solo nel 1902, il termine xenofobia nel 1903. Lo scontro vedeva contrapposti i sostenitori del nazionalismo, che chiedevano l’espulsione pura e semplice degli stranieri, e i fautori del liberalismo che invece chiedevano di punire solo coloro che mostravano un’inclinazione verso il male. La difesa della manodopera nazionale agitava anche le correnti socialiste: decisivo fu il ruolo del fattore nazionale nella legittimazione del massacro. Paradossalmente quell’eccidio mise in mostra quanto fosse avanzato il processo di nazionalizzazione delle masse. Solo più tardi con l’affaire Dreyfus e l’uccisione del presidente Sadi Carnot da parte di Sante Caserio, l’anarchico italiano che vendicò l’esecuzione di Ravachol, fattore nazionale e questione operaia si separano nella percezione pubblica. 11. L’analisi dell’imperialismo di Bauer 67 L’analisi dell’imperialismo di Otto Bauer è indipendente da quella di Hobson108 e precede le altre interpretazioni di scuola marxista 109 per cui merita di essere approfondita anche perchè meno nota Nella fase imperialistica della politica d'espansione capitalistica la borghesia non riconosce più come proprio ideale il principio di nazionalità. In questa mutata situazione la classe lavoratrice fa proprio il principio di nazionalità abbandonato dalla borghesia, che ormai si riconosce nello Stato plurinazionale, inteso nel senso che una nazione domini e sfrutti le altre, accogliendolo però in termini alternativi al principio di autonomia nazionale, poiché la creazione dello Stato ad ampio territorio economico é dettata da ragioni oggettive. Gradualmente, anche il principio di nazionalità non può che condurre alla formazione d'uno Stato plurinazionale in cui sia fatta salva l'esigenza della libertà e dell'unitå della nazione. Se «la borghesia ha tradito il suo vecchio ideale di Stato nazionale» ed ora «l'imperialistico Stato plurinazionale é il fine dej suoi sforzi», l'idea della libertå e dell'unitå della nazione, nel rispetto di tutte le nazioni, «rinasce al polo opposto della società», ad opera della classe lavoratrice che iscrive sulle sue bandiere le grandi rivendicazioni di «libertà, unitå ed autodeterminazione dej popoli», tanto che «tradito dalla borghesia, il principio di nazionalità, nell'epoca del capitalismo maturo, nell'epoca dej cartelli, dej trust, delle grandi banche, diventa possesso sicuro della classe lavoratrice» Attraverso la lotta di classe il proletariato, che si trova contrapposta una borghesia che ormai disprezza il principio di nazionalità ed i valori ad esso correlati, diventa il portatore delle ragioni ideali della nazione, anche se in numerose situazioni la lotta nazionale ha luogo ancora, in pieno Novecento, in termini ottocenteschi. Bauer in questo caso mostra piena comprensione per chi é impegnato nella battaglia nazionale, quando l'avversario é costituito dall'imperialismo in via d'espansione. La lotta contro la tendenza del nuovo imperialismo, se é efficace solo quando viene condotta sul fondamento della solidarietà internazionale, si può esprimere anche facendo capo al principio di nazionalità, come era stato inteso nel corso dell'Ottocento, può in una 108 A. Hobson, Imperialism, 1902 109 R. Hilferding, Il capitale finanziario, 1910; R. Luxembourg Accumulazio-ne del capitale, 1913; V. Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitali-smo, 1916; N. Bucharin, L'imperialismo e l'accumulazione del capitale, 1925 68 prima fase assumere forma di difesa d'una nazione singola. Mentre nel 1907 Bauer pensa soprattutto all'imperialismo inglese, pur senza trascurare quello tedesco, quest'ultimo che si fa avvertire nel periodo bellico nej suoi aspetti più paurosi, coinvolgendo in pieno la monarchia danubiana. Si precisa il giudizio, giå piuttosto interessante, su Masaryk: rispetto al bagaglio di pregiudizi della tradizione ceca, sia nel riscatto dallo «storicismo romantico del diritto di Stato» sia nella dichiarata avversione alla «credenza ingenua nella comunitå spirituale panslavistica», viene riconosciuta l'originalità del pensiero di Masaryk, che alla restaurazione dell'antica corona contrappone la repubblica democratica, alla fede nello zarismo russo la speranza nella democrazia dell'Occidente Individuato il carattere peculiare del nuovo nazionalismo imperialistico, Bauer coglie anche quel che nel nuovo clima sopravvive del principio di nazionalità e deve venir riconosciuto per tale, quand'anche venga adoperato quale strumento di propaganda. Bauer distingue «il principio di nazionalità [che pone] le nazioni libere l'una accanto all'altra [e] l'imperialismo nazionale [che] le pone prive di libertà sotto un knut comune» e la conflagrazione mondiale sembra avere il solo compito di decidere «se questo knut debba essere inglese, tedesco o russo», per Bauer tra la propaganda dell'Intesa e le aspirazioni dej popoli slavi si stabilisce un contatto effettivo: «contro le potenze centrali combatteva la propaganda dell'Intesa, che in nome della democrazia, in nome del diritto di autodeterminazione dej popoli, in nome del principio rivoluzionario di nazionalità contestava alla monarchia absburgica il diritto all'esistenza. Contro la monarchia absburgica combatteva la ribellione dej suoi popoli slavi che ravvisavano una schiavitù insopportabile, un tormento dell'anima insopportabile nel dover combattere per una causa loro estranea, loro ostile»110 La monarchia asburgica, strettamente connessa all'impero germanico anche se non ne pratica la stessa politica imperialista, non riesce a cancellare il proprio carattere di Stato di classe, in cui la corte, la burocrazia, l'esercito e la borghesia assoggettano la classe lavoratrice e le diverse nazionalità. Giacché queste ultime si richiamano al principio di naziona1ità incontestabilmente rivoluzionario, allorché si appoggia alla democrazia ed al diritto di autodeterminazione dej 110 O. Bauer Die österreichische Revolution, 1923 e 1965, p. 53-54. 69 popoli - compito di chi crede nella solidarietà internazionale trovare un collegamento stabile coi movimenti di riscatto nazionale. Per quanto non venga maj abbandonato il criterio delle autonomie nazionali in senso personale nell'ambito degli Stati plurinazionali, nel clima del 1918 viene riconosciuto il diritto all'autodeterminazione di coloro che si riconoscono nel principio cli nazionalitå e ritengono ancora necessaria ed attuale la costituzione dello Stato nazionale La cornice soprannazionale in cui le diverse nazioni si incontrano e cooperano non va confuso con lo Stato plurinazionale voluto dagli imperialisti in cui una nazione assoggetta le altre, anche se comune è l'esigenza che muove entrambe, quella di operare su un ampio territorio economico, di realizzare le trasformazioni rese necessarie dalle mutate forme di produzione, di adeguarsi alle necessità produttive. Destinata ad essere superata nella più ampia analisi di Hilferding, l'analisi dell'imperialismo che Bauer abbozza, prende le mosse da uno studio del primo sui dazi protettivi, al fine di mostrare le differenze tra il vecchio liberoscambismo contrario ai limiti doganali perché cosmopolitico e desideroso d'unire il mondo intero in un solo territorio economico, ed il moderno imperialismo, desideroso di cingere il proprio territorio economico con barriere doganali al fine di assicurare sbocchi e mercati ai propri capitalisti e di escluderne quelli degli altri paesi. Le cönseguenze di questo mutato atteggiamento non si riflettono solo nell'abbandono del principio di nazionalità, che é stato la base del liberalismo cosmopolitico e delle lotte per l'indipendenza in Grecia, in Sud America, in Italia ed in Ungheria e nella sostituzione dell'ideale dello Stato nazionale con quello dello Stato plurinazionale in cui signoreggia e fa da sfruttatore il popolo del territorio dominante, mentre gli altri sono assoggettati: esse finiscono per essere rilevanti anche ai fini della lotta di classe, per le contrapposizioni che ne derivano tra le diverse nazioni ed al loro interno. La tesi degli economisti borghesi, che la politica di espansione capitalistica é utile agli interessi sia della classe lavoratrice che della classe capitalistica è considerata incompleta da Bauer: non bisogna pensare solo all'aumento dej prezzi, dei profitti e dei salari ma anchealle modificazioni nella sfera produttiva, che derivano dalla politica economica imperialistica, quali la distribuzione del capitale produttivo sui singoli rami della produzione e la ripartizione del valore prodotto tra le diverse classi della società. Non è escluso che un beneficio immediato possa derivare ai lavoratori dalla politica economica 70 imperialistica, ma le trasformazioni che questa produce non possono che peggiorare le loro condizioni. L'opera di Bauer è volta a cogliere la genesi del nuovo imperialismo nella corruzione del principio di nazionalità e nel suo discostarsi dalla propria origine liberale cosmopolitica. Proprio un certo tipo di politica economica espansionistica impone di spostare la propria attenzione su Inghilterra e Germania. Anzi, le vittime principali délla politica protezionistica sono proprio i libero-scambisti inglesi, che devono cedere non solo alle pressioni del protezionismo tedesco ed americano, ma anche alle teorizzazioni interne che, sollevandosi sopra l’«imperialismo mistico» dipinto da Kipling celebrano le opere ed i discorsi di Cecil Rhodes, per culminare nel razzismo di Josef Chamberlain. 12 Dopo la guerra La Grande Guerra rappresenta uno spartiacque con la rottura del movimento socialista che, fino ad allora unitario dopo l’espulsione degli anarchici e la delimitazione a destra con il radicalismo borghese, segue le linee di demarcazione patriottiche con la presenza di minoranze antibelliciste in ogni partito. Alla fine del conflitto le divisioni nazionali tra i partiti della seconda internazionale si ricompongono ma la nascita della terza Intenzionale segna una rottura interna alla classe operaia. Il modo in cui socialisti e comunisti si pongono rispetto alla nazione evidenzia, accanto alle comuni radici ideologiche, anche le forti discontinuità e la comparsa di un fattore nuovo: una “nazione socialista” in cui una parte del movimento operaio si riconosce eleggendola come “casa madre” e che - almeno fino al patto Hitler-Stalin del 1939 - viene considerata “diversa” dagli stati capitalisti anche dall’opinione pubblica socialdemocratica. Fino al 1933 le posizioni sulla guerra e i concetti di pacifismo, bellicismo e disfattismo rivoluzionario sono influenzate dai dibattiti e dalle esperienze della Grande Guerra e della Rivoluzione d’Ottobre. Ma dopo l’avvento al potere del nazismo in Germania, una grande potenza economica e quindi virtualmente militare, la situazione è chiaramente diversa, spostando lo spartiacque destra/sinistra e pacifismo/bellicismo all’interno degli stessi partiti che riesaminano le precedenti posizioni. I pacifisti non si pongono neppure la questione di partecipare ad una nuova ecatombe analoga a quella della prima guerra mondiale; il dovere dei militati è quello di opporvisi con ogni mezzo e a qualunque costo; la guerra, male supremo, deve essere 71 combattuta anche attraverso accordi con forze politiche borghesi e addirittura, secondo pacifisti integrali come Paul Faure della SFIO, al prezzo di concessioni ai governi fascisti. Agli occhi dei “bellicisti” non si potevano ripetere le vecchie analisi dal momento che entravano in ballo due elementi nuovi: l’esistenza dell’URSS e l’avanzata del fascismo. Di fronte ai rapidi progressi del fascismo le organizzazioni operaie non dovevano avere paura di partecipare a guerre antifasciste in alleanza con le forze politiche borghesi. La sottomissione dei partiti comunisti agli interessi sovietici porta nel corso della Seconda guerra mondiale alla negazione dell'”interesse nazionale” ma dopo la guerra i regimi comunisti al potere fanno del nazionalismo uno degli assi portanti delle proprie politiche «identitarie»: Ceaucescu pensa alla Romania contemporanea come ad una «nazione» erede di un lungo percorso storico che dal periodo dacio-romano porta alla costruzione di uno stato su basi «etniche» e promuove una intensissima campagna ideologica nazionalista, riprendendo persino temi propri del tradizionalismo rumeno di estrema destra111 Infine si dispiega un “imperialismo” sovietico dall’Afganistan al Corno d’Africa e sorgono conflitti e guerre in “campo socialista”: URSS-Cina, Vietnam-Cambogia. 111 Lucian Boia, La Roumanie. Un pays à la frontière de l’Europe, Parigi 2003, p. 35 sg. 72 Approfondimento: la vittoria nazista nel referendum della Saar112 Le prime affermazioni del principio di autodeterminazione dei popoli avvengono nel contesto delle rivoluzioni francese e americana (La “Déclaration du droit des gens” dell’Abbé Grégoire (1775), il preambolo della Dichiarazione di indipendenza americana del 1776) e hanno una rara applicazione pratica nel 1860 quando sono indetti i plebisciti per l’annessione al Regno di Sardegna dei ducati di Parma e Modena, della Romagna (Legazioni) del Granducato di Toscana contestualmente a quelli in Savoia e Nizza per l’Impero francese. Il principio è enunciato nel 1917 dal presidente USA Wilson nel programma dei “14 punti” e in occasione della conferenza della pace di Versailles doveva fungere da linea guida per tracciare i nuovi confini, ma in realtà fu applicato in modo discontinuo e arbitrario. In particolare quasi tutta la Posnania e la Prussia occidentale, Memel e l’Alsazia-Lorena furono staccati dalla Germania senza interpellare le popolazioni, i Sudeti passarono alla Cecoslovacchia insieme alla maggioranza ungherese del sud della Slovacchia. Il sud Tirolo passò 112 Bibliografia: R. Mosca Il plebiscito nel bacino della Saar in “Rassegna politica internazionale” dicembre 1934; La Sarre ? [La Tragédie de la Sarre, enquête de Gabriel Perreux], 1934; U. Corrado La Corte suprema per il plebiscito della Saar e la sua figura giuridica internazionale in “Il regime fascista”, 9, gennaio 1935; L. Pietromarchi La Saar in “Civiltà Fascista”, aprile 1935; M. Buggelli Nella Saar contesa, 1935; Oskar Fischer Why the Saar Was Lost in “New International” marzo 1935; F. Wiedemann La Sarre et le plébiscite de 1935, 1935; B. Galli La mia missione per la Saar: relazione alle LL. EE. i Ministri degli Esteri e della Giustizia d'Italia, 1937; S. Wambaugh The Saar plebiscite: with a collection of official documents, 1940; La Sarre, première victime de la conspiration Hitler, Mussolini, Laval 1945; R. Schock Haltet die Saar, Genossen ! : antifaschistische schriftsteller im Abstimmungskampf 1935, 1984; M. Gestier Die christlichen Parteien an der Saar und ihr Verhältnis zum deutschen Nationalstaat in den Abstimmungskämpfen 1935 und 1955, 1991; E. Wagner Marpingen und der Kreis St. Wendel unter dem akenkreuz: ein alternatives Heimatbuch , 2008 73 all'Italia pur essendo a maggioranza germanofona come la parte interna dell'Istria in cui vi era una maggioranza slava Uno dei pochi referendum indetti per far decidere alla popolazione a quale nazione preferiva appartenere si svolse nel territorio della Saar, piccola regione di ottocentomila abitanti ma ricca di miniere di carbone, contesa per secoli tra Francia e Germania. Fino al 1815 aveva fatto parte della Francia ed era stata ceduta alla Prussia dopo la caduta di Napoleone Alla fine della prima guerra mondiale la Francia ne aveva preteso la restituzione, nonostante la popolazione quasi interamente tedesca. Inghilterra e Stati Uniti si erano opposti e dopo trattative si era giunti al compromesso, incluso nel tratti di Versailles secondo cui l'amministrazione del territorio veniva affidata per quindici anni a una commissione nominata dalla Società delle nazioni, al cui termine si sarebbe deciso lo stato giuridico del territorio con un plebiscito. Nel 1933 un considerevole numero di avversari del nazionalsocialismo fuggendo si stabilirono nella Saar agitandosi perché restasse sotto il controllo anglo-francese e l'egida del mandato della Società delle Nazioni. Il referendum si tenne il 13 gennaio 1935: con una partecipazione del 98%, il risultato attestò una schiacciante maggioranza (90,73%) favorevole al ritorno nel Reich, mentre solo l'8,86% dei votanti si dichiarò sfavorevole. Una terza opzione, riguardante l'eventualità di annettersi alla Francia ricevette lo 0,41% delle preferenze. A parte brogli che probabilmente ci furono ma che non potevano modificare in modo così massiccio i risultati, in una popolazione composta in buona parte da operai minatori prevalse il principio etnico/nazionale sull’appartenenza di classe e di schieramento politico, e questo nonostante fosse noto che gli oppositori nel Reich nazista, politici, sindacalisti e semplici militanti, erano imprigionati nei campi di concentramento. Partiamo da un “testimone oculare” 113: “Il controllo delle elezioni era affidato a una commissione composta di tre persone uno svedese, un olandese e uno svizzero, e a un contingente militare internazionale di inglesi, italiani, svedesi e olandesi. Per noi comunisti era quella 113 Alessandro Vaia Da galeotto a generale, 1977, p. 70 74 un'occasione eccezionale per riuscire a entrare rn contatto con dei soldati italiani, fuori dell'Italia, e a me toccò il compito di organizzare la propaganda antifascista tra le truppe che sarebbero state inviate nella Saar. … Presi contatto con il partito comunista della Saar, che mi parve avere un'organizzazione puntuale come un orologio, e fui informato dai compagni sulla situazione politica, a parer loro molto buona. Lo schieramento di forze che sotto il nome di Fronte unitario si opponeva all'annessione alla Germania, era molto vasto e comprendeva, oltre ai comunisti e ai. socialisti, altre forze laiche e cattoliche. Il Fronte unitario si proclamava per lo status quo. Non avevo alcun dubbio che i lavoratori della Saar, in altissima percentuale minatori e operai dell'industria, avrebbero rifiutato l'annessione alla Germania di Hitler. Tremenda era l'esperienza vissuta da quel paese in quasi due anni di terrore nazista. Era convinzione diffusa che i sostenitori dello statu quo non solo avrebbero vinto, ma avrebbero. ottenute una maggioranza strepitosa, in ogni caso non inferiore al 70 per cento. …. Il lunedì notte fu comunicato per radio l'esito delle elezioni Votanti 526.942 su 539.542 elettori. Favorevoli all'annessione alla Germania 476.089 e 46.613 per lo statu quo. Cifre agghiaccianti! Oltre il 90 per cento: dei votanti si era pronunciato a favore dell'annessione alla Germania! Se si pensa alla forza rilevante dei socialisti e ai voti dei comunisti, che nelle precedenti elezioni superavano da soli il 10 per cento, c'era da rimanere veramente sbalorditi. Anche una parte dei voti comunisti avevano favorito l'annessione della Saar alla Germania hitleriana. …. Quale spiegazione doveva essere data a questo voto? Si poteva credere che la popolazione fosse diventata improvvisamente filonazista? Evidentemente no. Da parte nostra si era sottovalutata la forza dell'organizzazione nazista e i suoi mezzi aperti e subdoli di intimidazione degli elettori. I nazisti possedevano una perfetta organizzazione di capi caseggiato (Blockwarte) che controllava tutte le persone, casa per casa Non si limitavano alla propaganda ma intimidivano la gente prospettando la vittoria sicura del Fronte tedesco e le conseguenze che sarebbero derivate a chi avesse votato contro. Avevano portato votanti da ogni parte del mondo, perfino dall'America, e più di 50.000 erano venuti dalla sola Germania con documenti spesso falsificati che prova vano, il loro diritto di essere elettori. Avevano posto ghirlande di, abete a tutte le finestre come loro segno distintivo, e nel giorno delle elezioni aveva no istituito un servizio di accompagnamento di tutte le persone 75 anziane e inferme talmente preciso che neppure i democristiani e i comitati civici riuscirono a eguagliarlo nelle elezioni italiane del 1948. Questo e altro ancora avevano fatto i nazisti, ma tutto ciò non bastava a spiegare la loro schiacciante vittoria. Bisognava riconoscere che nel plebiscito della Saar si era manifestata in modo clamoroso, e inatteso per i partiti di sinistra, la forza del sentimento nazionale che si era imposto al di sopra di ogni altra considerazione. Prima di' tutto la patria tedesca! Quale terribile lezione per chi credeva i che l'aspirazione a un regime di democrazia, di libertà e di rispetto dei diritti umani avrebbe prevalso tra i lavoratori della Saar e in particolare nel proletariato, così numeroso e concentrato in questo territorio! I risultati del plebiscito imposero una riflessione critica a tutti i partiti comunisti, legali e clandestini, in Europa e nel resto del mondo. Io avevo seguito giorno per giorno le vicende della campagna elettorale e dai segni esteriori, comizi, dichiarazioni di esponenti politici, impressioni dei compagni di base, non mi era venuto il minimo dubbio sulla vittoria del Fronte unitario Perfino i giornali fascisti italiani, durante gli ultimi giorni della competizione, prevedevano un equilibrio tra le due forze. Come mai nessuno si era accorto che la situazione era molto diversa, che la popolazione era orientata in modo opposto a quanto si credeva? Evidentemente il legame con la popolazione non aveva funzionato. Dall'esperiènza della Saar era uscita in modo esplosivo la necessità di rivedere a fondo tutto il problema nazionale in termini che dovevano andare oltre le posizioni che il partito bolscevico era stato costretto a prendere nel 1917. Già Lenin nel 1919, riferendosi alla pace di Brest-Litovsk, aveva osservato «da noi una difficoltà della situazione consistette nel fatto che dovemmo dar vita al potere dei soviet contro il patriottismo». Il sentimento nazionale si era manifestato in modo esasperato tra i tedeschi, ma non si trattava di una loro esclusiva particolarità. … Il proletariato non poteva più dire, come ai tempi del Manifesto dei comunisti, che non aveva patria, anche dove non aveva ancora conquistato il potere. Un esperto di propaganda politica così ricorda 114: “Il capo dei socialdemocratici in esilio, Max Braun, venne a Parigi, si parlò di un progetto di campagna plebiscitaria, condotta con mezzi moderni ma 114 S. Ciacotin Tecnica della propaganda politica, 1964, p.445 76 non se ne fece nulla: una specie di abulia, aveva invaso i dirigenti e i loro amici francesi. E’ interessante però dare qui alcuni elementi di quel piano, perché rivela un tattica propagandistica conforme alle idee da noi esposte nei capitoli precedenti l'idea centrale da inculcare nelle masse doveva essere la seguente: " insensato sostenere la politica di Hit1er, il suo regime non potrà durare, la sua forza sta scemando, la situazione economica e politica peggiora, nulla potrà salvarlo i suoi, avversari, invece,.sono sempre più potenti unitevi dunque a loro ". E’ il solo linguaggio che i novi decimi della massa potessero comprendere, ma doveva essere presentato loro in maniera suggestiva Si dovevano anche sfruttare abilmente i sentimenti religiosi, molto diffusi nella Saar. Il piano di campagna della durata di tre mesi, doveva ripartirsi come segue 1) ottobre - la mobilitazione propagandistica: installazione della rete dei centri di agitazione;. preparazione' messa a punto tecnica della campagna; 2) novembre - lo spiegamento delle forze: manovre propagandistiche, lavoro di controllo, accumulazione dei pacchi di propaganda; 3) dicembre - la battaglia: l'azione si intensifica gradatamente, ogni settimana, per raggiungere il punto culminante dal 1° al 13 gennaio giorno del plebiscito. In base a questo piano, l'ultima quindicina doveva essere consacrata a una specie di tiro di sbarramento scatenato all'ultimo momento, per non dare all’avversario il tempo di prendere delle contromisure. Bisognava attendersi - ciò che avvenne, d'altronde - che gli hitleriani, fedeli alla loro tattica abituale, dopo aver inondato il Paese di simboli, usassero dei mezzi di intimidazione: gli ultimi giorni prima del plebiscito minacciarono un putsch nella Saar e di inviare le loro truppe per garantire l'ordine". Effettivamente questa minaccia ebbe un ruolo decisivo e fece guadagnare la partita a Hitler, ciò che era tanto più facile, in quanto il piano enunciato più sopra non fu applicato.” 77 Marco Sacchi: il socialismo austriaco nell’impero multinazionale asburgico La data d’inizio del movimento operaio austriaco si fa risalire al dicembre 1867 quando viene fondata l’ “Erste Allgemeine Wiener Arbeiter-Bildungsverein” al cui modello si ispirarono poi molte unioni costituite con lo scopo di promuovere la formazione culturale e civile degli associati, e che ampliarono in seguito lo spazio dedicato ai dibattiti politici e alla tutela degli interessi concreti dei lavoratori, tanto che è possibile vedere in queste unioni le cellule dei successivi sindacati. L’elemento che caratterizza il primo socialismo austriaco rispetto agli altri paesi è l’ ”associazione di cultura”, che precede le altre forme organizzative e in qualche misura le ingloba. Le associazioni operaie si riuniscono in congressi annuali dove si denunciano le condizioni in cui versa il proletariato con le conseguenti rivendicazioni di miglioramenti. In queste occasioni si leva la voce per l’introduzione legislativa dei diritti politici, primo fra tutti il suffragio universale, rivendicazione che permette alleanze coi settori liberali più avanzati. Specifica al movimento operaio è la rivendicazione del diritto di coalizione: la costituzione di sindacati e il loro riconoscimento sono anche in Austria la prima grande esigenza da parte del movimento dei lavoratori. Per sostenere questa rivendicazione primaria 20.000 lavoratori il 13 dicembre 1869 manifestano a Vienna e una loro delegazione consegna una petizione al Parlamento che già il giorno dopo concede il richiesto diritto. Tuttavia nel 1870 viene intentato un processo per alto tradimento ai sottoscrittori della petizione, che si conclude con la condanna a diversi anni di carcere e con la chiusura di numerose 78 unioni operaie. La battaglia per la piena conquista della libertà sindacale deve essere rinnovata e la sua conclusione rinviata nel tempo, anche se già nel febbraio 1871 i condannati dell’anno prima vengono amnistiati: l’alternarsi di concessioni e repressioni da parte del governo ha lo scopo di dividere il movimento operaio, già al suo interno scisso. Infatti le diverse unioni si raccolgono intorno a due indirizzi: per uno il sistema politico-sociale va accettato e si tratta di appoggiare lo schieramento liberale, di cui anzi è necessario essere parte integrante, mentre per l’altro la classe operaia politicamente cosciente deve costituirsi come forza autonoma. La prima corrente, genericamente liberale, è guidata da Henrich Oberminder, mentre alla testa della seconda, che non ha un’omogeneità politica e ideologica poiché è sensibile tanto alla influenza di Marx quanto a quella di Lassale, si pone Andreas Scheu. All’interno del movimento operaio austriaco non mancano influssi libertari con la presenza di militanti come Johann Most che diverrà anarchico. Come in altri paesi la contrapposizione è così forte da non consentire la convivenza in un organismo unitario e vari tentativi di unificazione falliscono per il riflusso del movimento provocato principalmente dagli attentati. Il risultato più apprezzabile in questo periodo è il Congresso di Neudörfl del 5 aprile 1874, al termine del quale si votano risoluzioni comuni sul tema di diritto di voto, di libertà di stampa, di riunione, di associazione e di coalizione, nonché riguardo al lavoro infantile. Non collegate tra loro, le unioni perdono di peso e sono logorate da contrasti interni finché un tentativo di unire il movimento non viene intrapreso da Victor Adler115 che fonda l’Unione “Wahrheit“ (Verità) ed il giornale Gleichheit. L’unificazione del movimento operaio avviene al Congresso di Hainfeld alla fine del 1888 sulla base di una “prinzipienerklärung” (dichiarazione dei principi) redatta da Adler e ispirata al marxismo. Il neonato partito socialista è in grado ora di darsi un preciso programma e di indicare i compiti prioritari per cui intende battersi: suffragio universale, diretto e eguale, riduzione dell’orario di lavoro e una riforma legislativa che comporti la difesa del lavoro e la riforma 115 Victor Adler (1852-1918) si accosta alla questione sociale sotto la spinta dell’esperienza di medico. Nel 1886 fonda il settimanale Gleichheit, con l’obiettivo di unificare i socialisti austriaci. Della SDAPO, nata dal Congresso di unificazione del 1888 fu il leader per un quarto di secolo. 79 sociale. Nel 1889 inizia le pubblicazioni l’organo del partito l’Arbeiter Zeitung e la grandiosa manifestazione viennese del 1° maggio 1890 dà la misura della forza del nuovo partito socialdemocratico austriaco fondato su un movimento operaio unificato. Ulteriori precisazioni vengono dal Congresso di Vienna (1892) in cui si forma il primo nucleo di opposizione rivoluzionaria ad Adler che rifiuta di assoggettarsi a ciò che definisce “idolatria delle parole” e dichiara che ogni singola riforma sociale introduce un pezzo di rivoluzione. Il principale problema politico della monarchia danubiana, quello della nazionalità ha riflessi organizzativi interni, giacchè il modello di patito approvato al congresso di Hainfeld prevede una pluralità di partiti delimitati nazionalmente, che si federano dando vita a un comitato esecutivo pan austriaco. Dopo il massimo sviluppo delle sezioni nazionali in conseguenza del Congresso di Vienna del 6-12 giugno 1897, al Congresso di Brno del 24-29 settembre 1899, messa in minoranza la tesi che imposta la questione nazionale in termini esclusivamente personali e senza fare riferimento ai confini territoriali, si accetta la delimitazione esistente nell’Impero asburgico ma si denuncia come non sia saldo un federalismo dove le nazionalità minoritarie sono più discriminate all’interno dei diversi paesi che a livello imperiale. I punti fondamentali del programma sono: 1) trasformazione dell‘Austria in una federazione democratica delle nazionalità 2) sostituzione dei vari paesi costituenti l‘Impero asburgico con aree nazionalmente delimitate con autogoverno e camere nazionali elette a suffragio nazionale 3) raggrupamento delle regioni della stessa nazionalità in unioni autonome 4) tutela delle minoranze nazionali con legge del Parlamento nazionale 5) rifiuto di una lingua ufficiale di Stato e accetazione, tutt‘al più, di una lingua di mediazione. Si tratta di una linea di compromesso tra posizioni diverse, mentre i contributi fondamentali di Karl Renner e Otto Bauer rimangono circoscritti alla sfera della riflessione senza che il partito dedichi un congresso specifico al tema. Il dibattito sul revisionismo (Bernsteindebatte) si svolge al Congresso del 1901, che riformula il programma di Hainfeld con qualche 80 aggiornamento soprattutto in direzione del sufraggio universale che diventa l‘obiettivo principale. Dopo la gigantesca manifestazione sulla Ringstrasse del 28 novembre 1905, viene introdotto il suffragio universale maschile e alle elezioni il 14 maggio 1907 il partito socialdemocratico (SDAPO) con più di un milione di voti ottiene 87 seggi su 516, diventando il secondo gruppo parlamentare dopo il Partito Cristiano Sociale, che supera alle elezioni del 1911. Da allora i socialisti austriaci accettano il metodo rappresentativo non solo per l’attuazione di riforme sociali per via legislativa, ma anche per affrontare il problema delle nazionalità diventato il principale fattore di crisi dell’Impero: partiti nazionalmente delimitati sono in grado di impedire la realizzazione dell‘altrui programma, ma non riescono a far passare il proprio, provocando così la paralisi del Parlamento. Solo il partito socialdemocratico – e poi quello cristiano sociale – raccoglie nel suo seno appartenenti a nazionalità diverse e riesce a mediare tra le diverse posizioni proprio perché si è dato un assetto federale, a differenza dell‘organizzazione sindacale, rigidamente centralizzata. Sarà proprio in quella sede che i militanti cechi fanno sentire la propria insofferenza, denunciando il centralismo e chiedendo all‘Internazionale sindacale il riconoscimento della propria individualità. Quando scoppia la guerra la SDAPO, nelle cui fila c’è chi ritiene di dover appoggiare lo sforzo bellico per impedire l‘espansionismo zarista, vota i crediti per la guerra alla Serbia aprendo i primi dissidi al suo interno: decisamente contraria alla guerra è una minoranza guidata da Friedrich Adler 116 figlio di Victor ed esponente assieme a Rudolf Hilferding, a Gustav Eckstein del gruppo raccolto attorno alle riviste Der Kampf e Marx-Studien. Al centro si mantiene Victor Adler che limita le prese di posizioni per evitare scissioni come avvenuto in Germania. Il 21 ottobre 1916 Friedrich Adler uccide il capo del governo dando un segnale alle masse stanche di guerra e la SDAPO chiede la pace. Nel 1917 la rivoluzione d’ottobre incentiva l’opposizione alla guerra mentre ritorna da un campo di prigionia in Russia Otto Bauer che si batte per una ripresa dell’iniziativa politica. All’inizio del 1918 la miseria porta ai grandi scioperi industriali dell’Austria inferiore (che si estendono a Praga e a Trieste) e all’ammutinamento della marina 116 Adler Friedrich (1879-1960) segretario del SDAPO dal 1911 al 1916, quando uccide il Primo Ministro austriaco. Liberato nel 1918, è tra i fondatori dell'Internazionale di Vienna. 81 nel porto militare di Cattaro, Nell’ottobre 1918 l’esercito austroungarico comincia a sfaldarsi per effetto della demoralizzazione, prima ancora che per i colpi delle armate nemiche. Nessun soldato ceco, serbo, croato, o polacco ubbidiva più ai suoi ufficiali, austriaci o ungheresi; ciascuno si dirigeva autonomamente verso il proprio paese, a cui il crollo dell’impero consentiva finalmente il raggiungimento dell’indipendenza. La rapida smobilitazione dell’esercito viene facilitata in Austria dall’ esplosione dello Stato multinazionale mentre riemergono le spinte che si erano manifestate a gennaio con l’elezione di Consigli operai e di soldati. Al momento del crollo dell’impero e del distacco delle nazioni soggette, il 12 novembre 1918 i socialdemocratici proclamano la Repubblica austriaca impegnandosi però ad evitare il “caos russo”, con una pacifica e graduale transizione al socialismo attraverso uno sbocco elettorale e una collaborazione con tutte le forze repubblicane. I Consigli degli operai sono tenuti separati da quelli dei soldati e se ne impedisce la centralizzazione sia per isolare quelli più radicali che per evitare che assumano anche centralmente quelle funzioni statali che localmente si erano attribuite. Le requisizioni di viveri, le spedizioni nelle campagne per imporre la consegna dei generi alimentari, le perquisizioni nelle stazioni ferroviarie per colpire la borsa nera facilitano la crescita di un’ondata antisocialista tra i ceti medi e soprattutto tra i contadini e nelle elezioni del febbraio 1919 la socialdemocrazia non riesce ad avere la maggioranza assoluta, pur affermandosi come primo partito, con 72 seggi contro i 69 dei cristiano-sociali e una trentina delle altre formazioni borghesi. In queste condizioni, la continuazione del governo di coalizione con i cristiano-sociali, avviato nel novembre 1918 sotto la presidenza di Karl Renner, cominciava a diventare molto problematico per molti socialdemocratici: nel luglio 1919, ne esce Otto Bauer, che come ministro degli Esteri motiva le dimissioni con la protesta per i confini più ristretti di quelli naturali imposti all’Austria (la cessione del SudTirolo all’Italia e tre milioni di tedeschi dei Sudeti alla Cecoslovacchia). Ma il disagio è più generale e la socialdemocrazia nel giugno 1920 esce dal governo di coalizione in un contesto politico sempre più difficile. Frattanto il 2 novembre 1918 viene fondato il Partito Comunista austriaco, che ha origine dal gruppo interno al SDAPO dei Linksradikalen (sinistra radicale), formato principalmente da militanti dell’Unione dei giovani lavoratori e rafforzato dall’apporto dei 82 prigionieri di guerra che ritornano dalla Russia, raggiungendo all’inizio del 1919 i 4.000 membri. 83