E. BALIBAR, Noi, cittadini d’Europa? – Relazione 1. Dalle frontiere all’Europa. Le frontiere delle nuove entità politico-economiche non sono più necessariamente collocate sui confini dei territori. Se non ci sarà un popolo europeo non ci sarà nemmeno una sfera pubblica. Le nozioni d’interno e d’esterno, fondamento del concetto di frontiera, si trovano oggi di fronte a grosse trasformazioni. In altri termini, possiamo dire che la rappresentazione delle frontiere, del territorio e della sovranità, e la possibilità stessa di rappresentazione delle frontiere e del territorio è diventata oggetto di una forzatura storica irreversibile. Ora, tali rappresentazioni sono costitutive di una certa concezione dello spazio politico inteso come spazio di sovranità i cui atti fondamentali sono l’imposizione della legge e la distribuzione della terra. Questa rappresentazione, anche se è essenziale al funzionamento dello Stato, può anche essere inadeguata, oggi, per comprendere la complessità della realtà. ETNICITA’ FITTIZIA: La tendenza dei popoli a nazionalizzare la società, la cultura, la lingua, la genealogia. Questo processo è strettamente connesso al contrasto e all’implicazione reciproca tra le due nozioni di popoli: ciò che la lingua greca e in seguito tutta la filosofia politica designano come l’ethnos e il demos ovvero il “popolo” come comunità immaginaria d’appartenenza e d’affiliazione e il “popolo” come soggetto collettivo della rappresentazione, della decisione e dei diritti. La costituzione democratica del popolo nella forma “nazione” ha avuto, come inevitabile conseguenza, la cotruzione di un sistema di esclusione: la differenza tra le “maggioranze” e le “minoranze” e più profondamente la differenza tra le popolazioni considerate come autoctone e le popolazioni considerate come straniere le quali vengono stigmatizzate per la razza e per la loro cultura. Necessità e impossibilità di inventare collettivamente una nuova figura di popolo e cioè un rapporto tra l’appartenenza ad una comunità storica (ethnos) e la creazione continua della cittadinanza (demos) attuata dal basso, attraverso un’azione collettiva in grado di conquistare il diritto alla vita, al lavoro, etc.. 2. Homo nationalis. Annotazioni antropologiche sulla forma nazione. Questione: ognuno di noi è un “essere sociale”, “soggetto economico” o “essere nazionale”. La caduta del muro, con tutte le sue conseguenze, ha aperto la strada ad un mondo de-ideologizzato che ha imposto interessi sovranazionali e un senso d’appartenenza cosmopolita. NAZIONE: le nazioni si istituiscono e si unificano sulla base di sentimenti, memorie collettive, ideologie e strutture politiche, tutti elementi che hanno una “storicità” propria. Le nazioni si costituiscono in momenti dati realizzando una delle possibilità esistenti di riunire delle popolazioni nel quadro delle proprie istituzioni. Se le nazioni sono un insieme di relazioni codificate tra Stato e società, comunità politica e individui, gruppi sociali e sfera pubblica, esse possono acquisire, nel corso della storia, un’”identità” collettiva singolare, ma a condizione di riprodursi solo in quanto tale. FORMA NAZIONE: è un concetto diverso da quello di nazione. Non è un’individualità, ma un tipo di “formazione sociale”, cioè la combinazione di strutture economiche ed ideologiche. La forma nazione è, un modello che articola le funzioni amministrative e le funzioni simboliche dello Stato conferendo ad esso una centralità, o se ci si vuole esprimere con le parole di Luhmann, la funzione di “ridurre la complessità” espressa dai gruppi e dalle forze che si agitano nella società. Wallerstein: un’economia mondo sviluppatasi all’interno di un mercato universale non può (contrariamente al mito liberale) formare un insieme omogeneo, senza frontiere, occorre che esso sia diviso in una pluralità di unità politiche che consentano la concentrazione del potere economico e la difesa di posizioni di “rendita” o di “monopolio” con mezzi extra-economici. Gli Stati non possono diventare StatiNazione se non si appropriano di un sacro, anche sul piano della legittimazione quotidiana e sociale come nel controllo dei nati e dei morti, dei matrimoni, dell’eredità, etc..Privano le minoranze, le corporazioni, le famiglie di un potere autonomo sottraendo ad essi il controllo della “comunicazione”, costringendoli ad una definizione della cultura e della lingua nazionali, regolarizzando le gerarchie e le relazioni tra differenze, decidendo che legittimazione dare ai diplomi scolastici e universitari e controllando tutto il sistema scolastico e la formazione. La forma nazione non può essere comparata ad una comunità, ma il concetto di una struttura in grado di produrre degli “effetti di comunità” determinati. Ovunque esistano nazioni esiste il NAZIONALISMO: cioè il meccanismo che costruisce una “identità nazionale” che riesca a prevalere sulle altre e che riesca a fare in modo che il proprio senso di appartenenza nazionale possa prevalere su quello degli altri. Il nazionalismo è un’ideologia organica legata con le istituzioni nazionali che si fonda sul principio di esclusione, su “frontiere” visibili e invisibili, ma sempre materializzate nelle leggi e nelle pratiche: può essere un modo per respingere gli stranieri all’estero, a volte, al contrario, può essere un modo per ammetterli e “integrarli” o “assimilarli”. PROBLEMA: difficoltà di fare politica perché ci sono degli interessi economici, degli equilibri diplomatici e militari, dei conflitti sociali, piuttosto che delle ideologie. Queste non risiedono nel carattere buono o cattivo, avanzato o ritardato del nazionalismo, ma nell’economia che tiene insieme le identità e la violenza strutturale. Aleida Assmann: distingue tra identità primarie e identità secondarie, le quali non riguardano mai un singolo, ma riguardano sempre, in realtà, la transindividualità. Sicuramente occorre che ogni individuo si costruisca un’identità, ma esso (o essa) non può farlo senza accettare o rifiutare i ruoli a lui imposti nel quadro delle relazioni interpersonali, praticando le identificazioni positive e negative che ne conseguono. Identità primarie: identità di classe, regionali, linguistiche, religiose, familiari e sessuali. Identità secondarie: nazionali, civiche. Le identità hanno una capacità di resistenza all’integrazione. Le identità primarie costituiscono il nocciolo della resistenza ai processi di integrazione. Il cuore di questa capacità cosciente o incosciente è dato dai corpi o dall’immagine dei corpi che può diventare un processo di identificazione e un meccanismo di rifiuto dell’altro. A questa separazione è collegato il problema della VIOLENZA: una violenza che rinvia al problema “multiculturale” che si presenta quando le identità linguistiche, religiose, geografiche, storiche non vengono riconosciute, con lo stesso titolo delle altre, come “mediazioni legittime” dell’identità nazionale secondaria. Possiamo parlare di esclusione perché la logica egemonica ricorre a tutte le identità primarie solo se può assimilarle alla comunità nazionale, oppure costruisce delle “etnicità fittizie”. Un processo che però, se vogliamo essere precisi, più che coinvolgere il concetto di esclusione riguarda le nozioni di assimilazione e di differenziazione che, appunto, non escludono, ma creano un sistema gerarchico tra universale e particolare che conserva le tracce della nazione colonizzatrice. 3. Europa difficile: i cantieri della democrazia. La cittadinanza europea costituisce non un dato acquisito o un puro ideale, ma un processo dai contorni indefinibili, disseminato di ostacoli: una “lunga marcia”. PROBLEMA DI UNA COSTITUZIONE DI CITTADINANZA: all’ordine del giorno nella politica europea. La cittadinanza non può essere pensata, per ora, come una costituzione formale unitaria o federale o come catalogo di regole e principi democratici che gli Stati devono “riconoscere” intellettualmente e che, d’altronde, figurano già nei testi dei trattati fondatori dell’Unione europea. Questa definizione in effetti presuppone come già risolto ciò che invece è ancora in questione: il problema della natura e dell’esistenza del potere costituente a livello europeo. Per questa ragione, l’adozione della “Carta europea dei diritti fondamentali” non rappresenta affatto l’abbozzo di una costituzione o di un processo di “costituzionalizzazione”. OSTACOLI STRUTTURALI: il progetto di una “cittadinanza europea” iscritto nei testi fondatori dell’Unione è oggi bloccato da enormi ostacoli strutturali: 1. Crisi del modello sociale europeo, 2. La divisione politica e sociale del continente, 3. Istituzione di uno statuto di apartheid per l’immigrazione extracomunitaria. L’ipotesi di Balibar è questa: è necessario assumere questi “ostacoli” o “impossibilità” come materia per la costituzione europea in quanto costituzione politica, ovvero come l’oggetto dei movimenti di trasformazione che formeranno il contenuto della nuova cittadinanza storica. Essa, dunque, non consiste nel godimento passivo di diritti formali antichi o nuovi, conferiti agli individuali per la loro appartenenza a “comunità storiche” formalmente integrate nel nuovo insieme europeo, ma consiste piuttosto nel fatto che i cittadini europei, eliminando gli ostacoli esistenti, producono da se stessi le condizioni di una nuova appartenenza. La cittadinanza europea è “impossibile” se non come progressione di diritti o poteri democratici fondamentali nel quadro europeo.