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L’Europa degli Stati-nazione
1789, nasce la nazione!
Nel XVIII secolo, specialmente dal 1740 al 1790 circa, l’Europa costituiva un’unica
grande realtà culturale. L’Illuminismo franco-inglese aveva esportato le sue
idee e i suoi esponenti in tutti gli Stati europei. A Londra come a Berlino, a Parigi
come a San Pietroburgo, a Vienna come a Varsavia, a Madrid, a Napoli e Milano,
intellettuali e artisti si riconoscevano appartenenti a una stessa società, a una
élite che andava oltre ogni frontiera.
Il cosmopolitismo costituiva una cifra caratteristica dell’Illuminismo settecentesco
che in nome della ragione e della lex naturae vagheggiava l’instaurazione di un ordine
universale, fondato sui lumi della ragione, capace di garantire la libertà e il progresso
di ognuno nella fratellanza di tutti. (Treccani, Enciclopedie on line).
“Così stavano le cose, e la Francia si confondeva in qualche modo con l’Europa,
quando improvvisamente una parola si mise a volare di bocca in bocca, quando
improvvisamente un concetto si mise a conquistare tutti gli spiriti: la parola nazione, il
concetto di nazione, la realtà viva della nazione. […]
Lo si vide allorché, nel 1789, tutto ciò che era regale diventò nazionale. L’esercito fu
nazionale; l’Assemblea, nazionale; le finanze, nazionali; la guerra, nazionale; la
gendarmeria, nazionale; persino i parroci dovevano essere parroci nazionali. […]
Si era manifestata una forza nuova, che dominava la politica, che veniva dal popolo e
non dal sovrano; la stessa forza che animava Rouget de l’Isle quando componeva a
Strasburgo l’inno dell’armata del Reno, che commuoveva nel profondo i cuori delle
folle […] l’Europa che sognano questi uomini è un’Europa delle nazioni opposta
all’Europa dei re…”
(Lucien Febvre, L’Europa. Storia di una civiltà. Corso tenuto al Collège de France
nell’anno accademico 1944-45, Roma, Donzelli, 1999, pp. 224-227)
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Con la Rivoluzione Francese nasce lo spirito nazionale che, nel contesto
culturale illuminista che da decenni pervadeva l’Europa, si accompagnò al liberalismo
dei diritti individuali: la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, votata
nel 1789 dall’Assemblea Nazionale francese, abolisce ogni privilegio dichiarando che
“gli uomini nascono liberi ed uguali nei diritti” e che “il principio di ogni sovranità
risiede essenzialmente nella Nazione”.
Nazionalismo popolare
Le idee liberali e nazionaliste si estesero rapidamente, non solo nei ceti colti,
in tutta Europa, favorite anche dalle guerre napoleoniche. La reazione delle
monarchie fu violenta. La definitiva sconfitta di Napoleone a Waterloo non riuscì,
tuttavia, a fermare i movimenti popolari, decisi, da una parte, a dotare di uno Stato le
nazioni che non l’avevano e, da un’altra, a rendere ‘nazionali’ gli Stati monarchici.
La tendenza all’autodeterminazione dei popoli era ormai indirizzata alla
formazione di Stati-nazione, cioè di Stati “in cui la stragrande maggioranza dei
cittadini è consapevole di possedere un’identità comune e di condividere la stessa
cultura” (Norman Davies, Storia d’Europa, Milano, Bruno Mondadori, 2001, p. 909).
Ci fu un nazionalismo popolare: all’interno di Stati multinazionali, come
l’Impero absburgico, e all’interno di comunità etniche divise tra più Stati, come
nel caso degli italiani che, vivendo su un territorio suddiviso in una mezza dozzina di
Stati che andava dalla Svizzera alla Sicilia, ambivano a uno Stato-nazione italiano che
li unisse.
Nazionalismo di Stato
Davies sottolinea che molti nazionalisti capirono che una nazione completamente
matura e cosciente di possedere una cultura nazionale uniforme fosse in gran parte
una chimera. Una volta che lo Stato italiano fu creato, molti leader italiani capirono
che avrebbero dovuto seguire l’esempio di altri governi e usare il potere dello Stato
per consolidare la cultura e la coscienza dei propri cittadini. (Davies, op.cit., p. 910)
Tutti gli Stati europei agirono, infatti, per alimentare e far crescere il fervore
patriottico nei propri cittadini. La storia (e la preistoria!) furono utilizzate a man
bassa per rivendicare un passato che legittimasse la propria nazione e le proprie
ambizioni. Si fece ricorso ai miti, si inventarono delle tradizioni, costruendo ex
novo riti ed eroi con riferimenti fantastorici a un passato mitico. (cfr. E.J.
Hobsbawm-T. Ranger (a cura), L’invenzione della tradizione, Einaudi, 1987).
La letteratura fu mobilitata per dotare di una lingua nazionale comunità fino ad
allora ristrette in un linguaggio dialettale dalla diffusione limitata.
Il folklore, la musica e l’arte furono incentivati dalle politiche governative per
cementare l’amor patrio nel popolo.
La scuola e l’educazione delle giovani generazioni, naturalmente, vennero curate
con particolare attenzione, incrementando i programmi scolastici con attività collettive
e comportamenti individuali esemplari.
Né si può dimenticare il ruolo fondamentale svolto dalla religione per santificare il
sentimento nazionale e sacralizzare la triade Dio-Patria-Famiglia.
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Colonialismo, razzismo, antisemitismo
L’avanzata degli Stati nazionali andò di pari passo con l’industrializzazione e la
modernizzazione dei costumi e del pensiero europeo.
“I movimenti nazionali, che avevano cominciato partecipando alla crociata liberale
contro le dinastie reazionarie, avvertirono un senso di frustrazione non appena fu
chiaro che le loro richieste non potevano essere completamente accolte.
Così nell’ultimo quarto di secolo, il vecchio nazionalismo liberatorio e unificante
spesso lasciò il passo all’intolleranza del nazionalismo integrale” (Davies, op.
cit., p. 919)
Si cominciò a parlare di espulsione delle minoranze, di rivendicazioni
territoriali, di tradimento della patria da parte di chiunque esprimesse un
certo dissenso, appartenesse a etnìe o confessioni religiose differenti da quelle della
maggioranza.
Con le conquiste coloniali, poi, ogni nazione europea pensò di “portare la civiltà” ai
popoli africani; così, il nazionalismo divenne puro razzismo nelle colonie, mentre in
patria si manifestava l’antisemitismo.
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Il suicidio d’Europa
“Non fu la fine dell’umanità, sebbene ci siano stati momenti nel corso di quei trentun
anni di conflitto mondiale, che vanno dalla dichiarazione di guerra alla Serbia da parte
dell’Austria il 28 luglio 1914 alla resa senza condizioni del Giappone il 14 agosto 1945
– quattro giorni dopo lo scoppio della prima bomba nucleare – in cui la fine di una
gran parte del genere umano non sembrò lontana. Ci furono momenti nei quali dio o
gli dèi, che nella credenza degli uomini pii avevano creato il mondo e tutte le creature,
avrebbero potuto rimpiangere di averlo fatto.”
(E.J. Hobsbawm, Il secolo breve, Milano, Rizzoli, 1995, p. 34)
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L’Unione Europea
Dopo le distruzioni della Prima e della Seconda guerra mondiale, gli europei hanno
avuto la forza e il coraggio di rialzarsi.
Hanno capito che la guerra non risolve i problemi, anzi ne crea altri di immensa
gravità. La nostra Costituzione dichiara che “l’Italia ripudia la guerra come
strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali…” (art. 11).
Con l’istituzione dell’Unione Europea l’umanità ha provato, per la prima volta nella
storia, a smettere di “pensare la patria come un territorio, un territorio munito di
frontiere, che possono diventare delle barriere, delle trincee, delle barricate; frontiere
che si possono caricare di odi”, come diceva Lucien Febvre ai suoi studenti nel 194445 (op.cit., p. 224)
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