Striscia di Gaza - Cisgiordania Qita Ghazzah - Ad Daffah al Gharbiyah Superficie: 6.165 Km² (Cisgiordania 5.800 Km², Striscia di Gaza 365 Km²) Abitanti: 3.269.000 (stime 2001, Cisgiordania 2.091.000, Striscia di Gaza 1.178.000) Densità: 530 ab/Km² (Cisgiordania 361 ab/km², Striscia di Gaza 3.227 ab/Km²) Forma di governo: Governo provvisorio affidato alla Palestinian Authority Capitale: Altre città: Gaza 295.000 ab. Gruppi etnici: Palestinesi Paesi confinanti: Israele a NORD, OVEST e SUD (Cisgiordania) e ad EST (Striscia di Gaza), Giordania ad EST (Cisgiordania), Egitto a SUD-OVEST (Striscia di Gaza) Monti principali: Tall Asur 1022 m Fiumi principali: Giordano 253 Km (tratto palestinese, totale 360 Km) Laghi principali: Mar Morto 1020 Km² (totale, comprese parti giordana e israeliana) Isole principali: Clima: Mediterraneo - arido Lingua: Arabo, Ebraico, Inglese Religione: Musulmana 97%, Cristiana 3% Moneta: Nuovo Sheqel d'Israele, Dinaro giordano Turismo in PALESTINA Per recarti in PALESTINA e' neccessario il passaporto in corso di validità. il visto non è necessario fino a 90 giorni di permanenza. Nome in lingua locale: As-Solta Al-Wataniya Al-Filastiniya Governo: Democrazia parlamentare Superficie (Km²): 6220 Popolazione: 3702212 Densità della pop. (abitanti per Km²): 595 Capitale: Gerusalemme Est Lingue utilizzate: Arabo, Ebraico, Inglese Religioni: Musulmana 97%, Cristiana 3% Gruppi etnici: Palestinesi Moneta: Nuovo Shekel Fuso orario: +2 Prefisso telefonico: +972 Corrente elettrica: nd Ambasciate e consolati in loco: Sede di Gerusalemme ovest (zona ebraica) 29 November str. n. 16 (Katamon) Gerusalemme Ovest Tel. 00972 2 5618966 (ufficio consolare e visti) Tel. 00972 2 5618977 (centralino) Fax 00972 2 5618944 / 5619190 Numero di emergenza 00972 (0) 505 327166 Trade Tower Building 25, Hamered Street - 21° piano 68125 Tel Aviv Israele Tel.: +972 3 5104004 Ambasciate e consolati in Italia: Delegazione Generale Palestinese P.zza S. Giovanni in Laterano, 72 00184 Roma Tel. 06 7005041 5100080 5104224 Fax: +972 3 5100235 Autorità Nazionale Palestinese Autorità Nazionale Palestinese L'Autorità Nazionale Palestinese (arabo: ةينيطسلف ةينطو ةطلس, Sulta Wataniyya Filastīniyya), in sigla ANP, è un'istituzione stabilita per disciplinare il controllo di determinate aree nella Striscia di Gaza ed in Cisgiordania. Caratteristiche L'Autorità nazionale palestinese è stata costituita nel 1994, in applicazione degli accordi di Oslo tra l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e il governo di Israele. Secondo gli accordi, Cisgiordania e Striscia di Gaza sarebbero state divise in tre zone: Zona A - pieno controllo dell'Autorità palestinese. Zona B - controllo civile palestinese e controllo israeliano per la sicurezza. Zona C - pieno controllo israeliano, eccetto che sui civili palestinesi. Questa zona comprendeva gli insediamenti israeliani e le zone di sicurezza senza una significativa popolazione palestinese. Gerusalemme Est è stata esclusa dagli accordi. Densità: Nome ufficiale: Lingue ufficiali: Continente: Generalità Geografia Politica Arabo Asia Disputata: UTC +2 Gerusalemme Est (reclamata) - Ramallah (de facto) Sterlina egiziana (409,680 ab. / 2008) Siclo israeliano Dinaro giordano Varie 5.550 milioni di $ (º) Repubblica presidenziale 1.500$ Cisgiordania Striscia Gaza 660 MahmuddiAbbas $ (º) Salam Fayyad Ismail Hanyeh (Striscia di Gaza) Fuso orario: Capitale: Economia Valuta: PIL (PPA) (2005): Forma di governo: PIL procapite (PPA) (): Presidente: Energia: Primo Ministro: TLD: Proclamazione: Prefisso tel.: Ingresso nell'ONU: Sigla autom.: Inno nazionale: Totale: % delle acque: Stato precedente: Totale (2007): Densità: ab./km² (al-Sulta al-Wataniyya al-Filastīniyya) Superficie 13 settembre 1993, .ps Accordi di Oslo +970 osservatore dal 1993 PS Biladī (Patria mia) km² (º) Evoluzione storica % Israele Popolazione 4.148.000 ab. (º) ab./km² Storia L'ANP è una filiale dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Questa in origine era l'unica entità politica a rappresentare il popolo palestinese, nei primi decenni di lotta contro Israele, a livello internazionale tra gli anni '60 e '90. Inoltre, è l'OLP, e non l'Autorità nazionale palestinese, che gode di riconoscimento internazionale come l'organizzazione che rappresenta il popolo palestinese. Sotto il nome "Palestina", l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina ha uno status di osservatore presso le Nazioni Unite (ONU) dal 1974. Dopo la dichiarazione d'indipendenza palestinese del 1988, l'OLP in rappresentanza presso le Nazioni Unite è stato rinominato in Palestina. Con l'apertura di un processo negoziale, l'OLP riconosceva lo Stato di Israele come possibile interlocutore dei negoziati di pace (anche se la carta fondamentale dell'OLP, in realtà, mantenne a lungo la clausola per la distruzione dello Stato Sionista). In cambio delle concessioni palestinesi - rinuncia al terrorismo, accettazione dell'esistenza di uno stato ebraico e politica del negoziato - da parte di Israele vi fu il riconoscimento con cui si concedeva alle forze palestinesi di esercitare alcuni poteri sui Territori Occupati, cioè di amministrare autonomamente la maggior parte delle città della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Israele tuttora non riconosce a questo organismo lo stesso rango di un governo di uno Stato vero e proprio, non potendo l'ANP prendere decisioni in materia di politica estera e non potendo organizzare un suo esercito. L'Autorità possiede forze di polizia con armamento rigorosamente limitato e non ha un pieno controllo sul territorio né sulle vie di comunicazione né su quelle di trasporto. Il governo palestinese amministra gli affari interni delle città, mentre agli israeliani è rimasto il controllo generale del territorio. L'Autorità Nazionale ha organi legislativi con poteri sovrani, in particolare il Consiglio Legislativo Palestinese (o Parlamento palestinese) con sede a Rāmallah, i cui membri sono eletti dai cittadini. È dotato anche di cariche elettive con potere esecutivo che lo rendono uno stato de facto (in particolare le cariche di Presidente e di Primo Ministro), alle dipendenze degli uffici dell'ANP vi sono inoltre diverse agenzie di sicurezza, di fatto organismi di polizia ai cui vertici vi sono personalità politiche. Alcune di queste forze armate sono nate informalmente in modo para-statuale e non erano originariamente previste. Il quadro di deterioramento dei rapporti fra israeliani e palestinesi ha contribuito a modificare i caratteri originari dell'ANP: l'Autorità è divenuto in seguito un ente più "armato" del previsto e politicamente più complesso, si sono interrotti i rapporti di collaborazione con Israele e sono saltati gli accordi fra le parti. La diaspora palestinese, che risiede al di fuori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, che costituisce la maggioranza del popolo palestinese, non può votare alle elezioni dei membri dell'Autorità nazionale palestinese. Politica Cariche Presidente Mahmud Abbas Fatah 15 gennaio 2005 Primo Ministro Salam Fayyad La Terza Via 15 giugno 2007 Ministro degli Esteri Riyad al-Maliki FPLP 15 giugno 2008 Ministro dell'Interno Abd Allah Taysir Dawud Indipendente 15 giugno 2007 Primi Ministri passati: • • • • • Mahmud Abbas: 19 marzo 2003 - 7 ottobre 2003 Ahmad Qurei: 7 ottobre 2003 - 15 dicembre 2005 Nabil Shaath: 15 dicembre 2005 - 24 dicembre 2005 Ahmad Qurei: 24 dicembre 2005 - 19 febbraio 2006 Ismail Haniya: 19 febbraio 2006 - 14 giugno 2007 Presidenti passati: • • Yasser Arafat: 5 luglio 1994 - 11 novembre 2004 Rawhi Fattuh (attuale): 11 novembre 2004 - 15 gennaio 2005 Ministri degli esteri passati: • • Yasir Ahmadi: 3 aprile 2003Mahmud al-Zahar: 20 marzo 2006 - 14 giugno 2007 Ministri dell'interno passati: • • • • Hakam Balawi: Novembre 2003 - Febbraio 2005 Nasser Yusef: Febbraio 2005 - Marzo 2006 Sa'id Seyam: Marzo 2006 - Marzo 2007 Talab al-Qawasmi: Marzo 2007 - Giugno 2007 Attuale governo Nel 2004, alla sua morte, ad Arafāt è succeduto come Presidente dell'ANP, Abū Māzen (Muhammad Abbās) che batté col 62,3% dei voti il medico Muṣṭafà Barghūthī che si era presentato come candidato indipendente ed ebbe il 19,8% dei voti. L'Autorità Nazionale Palestinese dispone di un posto di osservatore all'ONU, ma non di un seggio permanente, del quale invece fruisce nell'ambito della Lega degli Stati Arabi. Divisioni amministrative Dopo la firma degli accordi di Oslo la Cisgiordania e la Striscia di Gaza sono state divise in aree (A, B, e C) e governorati. Zone sotto il controllo ANP (aree A e B in verde) • • • Area A è l'area sotto il controllo civile e di sicurezza dell'ANP. Area B è l'area sotto il controllo civile dell'ANP e di Israele per quanto riguarda la sicurezza. Area C è l'area sotto il controllo integrale di Israele. Dalla battaglia di Gaza (2007) la Striscia di Gaza è sotto il controllo di Hamas[1] L'ANP ha diviso i territori palestinesi in 16 governorati • • • • • • • • • • • • • • • • Governatorato di Jenin Governatorato di Tubas Governatorato di Nablus Governatorato di Tulkarm Governatorato di Salfit Governatorato di Qalqilya Governatorato di Ramallah e al-Bireh Governatorato di Gerico Governatorato di Gerusalemme Governatorato di Bethlehem Governatorato di Hebron Governatorato di Gaza nord Governatorato di Gaza Governatorato di Deir el-Balah Governatorato di Khan Yunis Governatorato di Rafah Critiche dei media occidentali Il Governo palestinese di Arafāt fu oggetto critica nel mondo politico occidentale, per non aver saputo contrastare efficacemente alcune organizzazioni che i governi europei considerano filo-terroristiche (come il movimento islamico Ḥamās), e per il fatto di comandare milizie extra-statali come le Brigate dei Martiri di al-Aqsa. Elementi di critica sono altresì anche il livello di nepotismo e la diffusa corruzione interna, la scarsa trasparenza nella gestione di fondi internazionali ricevuti. Dopo lo scoppio della Seconda Intifāḍa, nel 2000, l'esercito israeliano compì manovre di rioccupazione in tutte le città palestinesi e su gran parte del territorio. Il governo israeliano e l'ANP si lanciavano accuse di crimini reciproci, di non agire contro organizzazioni politiche e terroristiche da un lato, di violenze e atti illegali - come avveniva per la costruzione di insediamenti e arresti - dall'altro. La destra politica e religiosa israeliana accusò Yasser Arafāt di essere un mandante morale di atti terroristici, anche per il fatto che alcuni attentati suicidi erano stati compiuti da membri di organizzazioni giovanili legate ad al-Fatḥ (principale ala militare dell'ex-OLP). Occorre dire, che non è stato dimostrato quanto fosse concreto il grado di coinvolgimento del Presidente Arafāt, o quanto altre personalità dell'ANP fosse consapevoli e attivamente responsabili in fatti criminali. Ulteriori lamentele israeliane riguardavano la politica culturale, tendente favorire un clima di odio anti-israeliano, come per il caso di libri di testo scolastici o di programmi televisivi che incitavano al martirio e materiali simili. Peraltro, accuse di attività ostili identicamente motivate, per fatti illegali o violenti, dirette contro il Governo Israeliano, erano analoghe dall'altra parte. La dirigenza palestinese formalmente ha sempre sostenuto la contrarietà alle attività terroristiche compiute da movimenti religiosi, quali Hamas. Molte azioni compiute da questi gruppi - specialmente gli attentati contro civili che ebbero inizio negli anni '90 - in effetti erano chiaramente orientate a colpire politicamente il governo dell'ANP, quindi erano contro lo stesso Arafāt. Tuttavia, negli anni della Seconda Intifada l'ANP ammetteva una posizione di parziale impotenza, non avendo più la forza politica per evitare una radicalizzazione del fenomeno, reso incontrollabile a causa della politica di occupazione e aggressione perseguita dai governi israeliani. Inoltre, gran parte degli strumenti di controllo dell'ANP (prigioni, caserme di polizia) furono distrutte dagli attacchi israeliani, tra il 2001 e il 2002, annullando i poteri reali del governo palestinese. Nel 2006, l'Autorità Nazionale ha infine definitivamente perso il controllo politico della Striscia di Gaza, che ora viene governata da un esecutivo di Hamas. La situazione mostra oggi di fatto il collasso del potere territoriale dell'Autorità Palestinese. Conflitti arabo-israeliani Conflitto arabo-israeliano Israele e i membri della Lega araba ██ Lega araba ██ Israele ██ Paesi stati in guerra contro Israele ██ Striscia di Gaza e Cisgiordania Data: Luogo: Esito: Inzio XX secolo - oggi Medio Oriente Schieramenti Israele Vari stati e movimenti arabi Il conflitto arabo-israeliano (arabo: عارصلا يليئارسإلا يبرعلا, al-Sirā al- arabi alisrā īlī , in ebraico: )]?[ יברע ילארשיה ךוסכסה, abbraccia circa un secolo di tensioni politiche e di ostilità, sebbene lo stato di Israele sia stato istituito solo 60 anni fa. Esso riguarda la creazione del movimento sionista e la successiva creazione del moderno Stato di Israele nel territorio considerato dal movimento panarabo come appartenente ai palestinesi, siano essi musulmani, cristiani, drusi o altri, e che il popolo ebraico considera la sua patria storica. Il conflitto, iniziato come un scontro politico su ambizioni territoriali a seguito della decimazione dell'impero ottomano, si è tramutato nel corso degli anni da conflitto arabo-israeliano ad uno più regionale conflitto israelo-palestinese, anche se il mondo arabo e Israele restano generalmente in contrasto gli uni con gli altri sullo status di questo territorio. Contestualizzazione geo-politica Al fine di comprendere a pieno tutte quelle dinamiche che, nel corso del Novecento, hanno dato vita alla cosiddetta "questione palestinese", è innanzi tutto necessario contestualizzare geograficamente e storicamente la regione teatro di tali eventi e, più in generale, quella vicino-orientale. Con Vicino Oriente (meno precisamente Medio Oriente) si indica convenzionalmente quella zona compresa tra il Mar Mediterraneo, l'Oceano Indiano e il Golfo Persico, all’interno della quale vivono numerose etnie, la maggior parte delle quali è accomunata dalla professione della religione islamica. Tale zona fu per molti secoli parte integrante dell'Impero Ottomano, che si caratterizzò per una politica tendenzialmente sovranazionale, in grado di garantire una discreta autonomia ai diversi gruppi etnici che lo componevano. La zona assunse straordinario valore strategico (sia economico sia militare) a partire dal 1869, anno in cui fu aperto il canale di Suez: straordinaria opera ingegneristica che avvicinava l'Oriente all'Occidente. Oltre a questo, nella prima metà del XX secolo, furono scoperti immensi giacimenti petroliferi in tutta l'area e ciò rese ancora più interessante il territorio vicino-orientale per le potenze europee che, bisognose di quell'elemento per la loro crescente industria, approfittarono dei numerosi segni di fragilità dell'Impero Ottomano, nonché dell'esito del primo conflitto mondiale per colonizzare l’intera area, imponendo un'occupazione militare di fatto, atta a garantire lo sfruttamento della zona da parte delle società europee. I conflitti non si sono fermati. Tali popoli, già uniti dalla comune religione islamica, svilupparono dunque una forte identità nazionale (spesso nazionalistica) in risposta all'occupazione dello straniero (visto anche, con una certa superficialità, come cristiano), risvegliando così antichi rancori che taluni vollero collegare con una buona dose di fantasia con l'antico periodo crociato. Di quest'area dell'Oriente islamico, la Palestina fa parte a pieno titolo. Identificabile come l'area compresa tra il Mar Mediterraneo e il Mar Morto, l'Egitto e la Siria, essa ospita tra l'altro un'importantissima città come Gerusalemme, sacra per tre importanti religioni monoteistiche, di cui ospita molti luoghi ed edifici sacri. Come buona parte del Vicino Oriente, anche la Palestina ha dovuto subire l'occupazione britannica - formalmente un Mandato della Società delle Nazioni ma, in realtà, frutto degli accordi franco-britannici Sykes-Picot rivelati dal nuovo governo sovietico l'indomani della Rivoluzione - a causa della sua rilevanza economica e strategica derivante dalla vicinanza con l'Egitto e il canale di Suez nonché con l'area siro-libanese assegnata invece in Mandato alla Francia. Le popolazioni che vivono in tale zona sono da secoli a forte maggioranza araba ma al termine del XIX secolo e, sempre più consistentemente nei primi anni del XX secolo, fu consentito (dapprima dall'Impero Ottomano e poi dalla Gran Bretagna) l'insediamento di colonie ebraiche, molte delle quali guadagnate alla causa sionista. A partire dagli anni trenta del XX secolo, e ancor più dopo il termine del II conflitto mondiale e la tragedia dell'Olocausto, la Palestina vide fortemente alterata la sua composizione demografica, con la minoranza ebraica avviata a diventare maggioranza grazie all'acquisto di terreni reso possibile dai fondi concessi ai profughi ebrei sfuggiti alla persecuzione nazista. Nel 1948, a seguito di un'apposita risoluzione delle Nazioni Unite, su tali terre fu dichiarato lo Stato di Israele, con una prima emigrazione araba palestinese verso le nazioni limitrofe, fortemente incrementata in seguito alla sconfitta patita nel primo conflitto arabo-israeliano, scatenato l'indomani della dichiarazione d'indipendenza israeliana dagli Stati arabi dell'Egitto, della Siria, del Libano, della Transgiordania e dell'Iraq. Gli albori del problema israelo-palestinese Sul finire del XIX secolo il territorio palestinese faceva parte dei vilayet (governatorati) siriani dell'Impero Ottomano ed era a sua volta suddivisa in due Sangiaccati (province ottomane). Già nel 1887, Gerusalemme aveva ottenuto una forma di autonomia dall'Impero Ottomano, a dimostrazione della sua politica sovraetnica e sovraculturale. All'epoca gli Ebrei costituivano un'esigua minoranza (24.000 persone), integrata con le altre comunità etnico-religiose e, più in generale, con la situazione culturale del luogo. Intorno alla metà del secolo si era però messo in moto il progetto ebraico mirante a porre fine alla propria millenaria diaspora, frutto di innumerevoli persecuzioni, e a riunificare la nazione permettendo il suo ritorno alla "terra promessa", citata dalla Bibbia, dalla quale era stata espulsa dall'Imperatore romano Tito. Tale progetto venne per la prima volta definito "Sionismo" nel 1890, dal nome del colle Sion dove sorgeva la rocca di David, metafora del nuovo Stato ebraico. Principale esponente e promotore di tale iniziativa fu Theodor Herzl che, allo scopo di creare un "rifugio" per tutti gli ebrei del mondo, avviò un'intensa attività diplomatica al fine di trovare appoggi finanziari e politici a quell'arduo progetto. Inizialmente come possibile sede di tale Stato fu presa in considerazione anche la vasta e spopolata pampa argentina e, più tardi l'Ogaden in Kenya, che però non rispondevano al forte desiderio religioso dell'Ebraismo di tornare nei suoi luoghi santi, lasciati ormai da diversi secoli (va ricordato che perfino i nazisti, seppur per motivi razziali, pensarono inizialmente a un'operazione di trasferimento in una terra lontana: il Madagascar, così come i Sovietici avevano creato la remota Oblast' autonoma ebraica del Birobidžan per insediarvi i loro concittadini israeliti). Nell'ambito di questa volontà, parte del movimento sionista (soprattutto il sionismo cristiano), per giustificare l'esistenza di un futuro stato ebraico in loco, sovente si rifaceva allo slogan "A Land Without People for a People Without Land" ("Una terra senza popolo, per un popolo senza terra"), frase coniata nella metà XIX secolo da Lord Anthony Ashley Cooper, settimo Conte di Shaftesbury (politico inglese dell'era vittoriana), che venne però spesso interpretata non nell'accezione originale (secondo cui la Palestina, sotto il dominio ottomano, non aveva nessuna popolazione che mostrasse aspirazioni nazionali specifiche), ma come la (errata) negazione della presenza di una significativa popolazione preesistente all'arrivo dei primi coloni ebrei.[1] [2] [3] Grazie all'appoggio della Gran Bretagna (che vedeva di buon occhio la possibilità di insediamenti nella zona di popolazioni provenienti dall'Europa) e alla grande disponibilità economica di cui godevano alcuni settori delle comunità ebraiche della diaspora (il popolo ebraico era stato costretto per secoli a specializzarsi nelle cosiddette professioni "liberali" e, quindi, a dedicarsi anche al commercio e alle attività economicofinanziarie, con l'occupazione non di rado di importanti cariche in istituti bancari e società d'intermediazione finanziaria), Herzl organizzò il primo convegno sionista mondiale a Basilea nel 1897 e in esso furono poste le basi per la graduale penetrazione ebraica in Palestina, grazie all'acquisto da parte dell'Agenzia Ebraica di terreni da assegnare a coloni ebrei originari dell'Europa e della Russia, per poter poi conseguire la necessaria maggioranza demografica e il sostanziale controllo dell'economia che potessero giustificare la rivendicazione del diritto a dar vita a un'entità statale ebraica. A partire dall'inizio del '900 la popolazione arabo-palestinese, sentendosi minacciata dalla crescente immigrazione ebraica, dette vita intanto a movimenti nazionalistici che miravano a stroncare sul nascere quella che era considerata una vera e propria minaccia d'origine straniera. La situazione si protrasse così, tra momenti di tensione e di distensione tra le due fazioni, fino al primo conflitto mondiale e alla conseguente caduta dell'Impero Ottomano. La svolta del 1947 e la nascita dello Stato israeliano Nel 1947 la Gran Bretagna, provata dalla guerra mondiale e da una serie di attentati, tra cui l'attentato sionista dell'Hotel "King David" di Gerusalemme (organizzato dai futuri primi ministri israeliani Menachem Begin e David Ben Gurion anche se quest'ultimo cambio' idea prima che l'attentato fosse compiuto temendo troppe vittime tra i civili) e dell'Ambasciata britannica a Roma, decise di rimettere il Mandato palestinese nelle mani delle Nazioni Unite, cui venne affidato il compito di risolvere l’intricata situazione. L’ONU dovette quindi affrontare la situazione che dopo trent’anni di controllo britannico era diventata pressoché ingestibile, visto che oramai la popolazione ebraica costituiva un terzo dei residenti in Palestina, anche se possedeva solo una minima parte del territorio (circa il 7% del territorio, contro il 50% della popolazione araba e il restante in mano al governo britannico della Palestina [1]). Il 15 maggio 1947 fu fondato quindi l'UNSCOP (United Nations Special Committee on Palestine), comprendente 11 nazioni (Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Olanda, Peru, Svezia, Uruguay, India, Iran, Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, Australia) da cui erano escluse le nazioni "maggiori", per permettere una maggiore neutralità. Sette di queste nazioni (Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Olanda, Perù, Svezia, Uruguay) votarono a favore di una soluzione con due Stati divisi e Gerusalemme sotto controllo internazionale, tre per un unico stato federale (India, Iran, Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia), e una si astenne (Australia). Il problema chiave che l’ONU si pose in quel periodo fu se i rifugiati europei scampati alle persecuzioni naziste dovessero in qualche modo dover essere ricollegati alla situazione in Palestina. Nella sua relazione [2] l'UNSCOP si pose il problema di come accontentare entrambe le fazioni, giungendo alla conclusione che era "manifestamente impossibile", ma che era anche "indifendibile" accettare di appoggiare solo una delle due posizioni: L'UNSCOP raccomandò anche che la Gran Bretagna (IT) cessasse il prima possibile il suo controllo sulla zona, « Ma la commissione ha anche realizzato che il sia per cercare di ridurre gli scontri tra la punto cruciale della questione palestinese deve popolazione di entrambe le etnie e le forze essere individuato nel fatto che due considerevoli britanniche, sia per cercare di porre fine alle gruppi, una popolazione araba con oltre numerose azioni terroristiche portate avanti dai 1.200.000 abitanti e una popolazione ebraica con gruppi ebraici. La definitiva risposta delle Nazioni oltre 600.000 abitanti con un'intensa aspirazione Unite alla questione palestinese fu data il 25 nazionale, sono sparsi in un territorio che è arido, novembre 1947 con l’approvazione della risoluzione limitato, e povero di tutte le risorse essenziali. È 181, che raccomandava la spartizione del territorio stato pertanto relativamente facile concludere che conteso tra uno Stato palestinese, uno ebraico e una finché entrambi i gruppi manteranno costanti le terza zona, che comprendeva Gerusalemme, loro richieste è manifestamente impossibile in amministrata direttamente dall’ONU.Nel decidere su queste circostanze soddisfare interamente le come spartire il territorio l'UNSCOP considerò, per richieste di entrambi i gruppi, mentre è evitare possibili rappresaglie da parte della indifendibile una scelta che accettasse la totalità popolazione araba, la necessità di radunare tutte le delle richieste di un un gruppo a spese zone dove i coloni ebraici erano presenti in numero dell'altro. » significativo (seppur spesso in minoranza [3] ) nel futuro territorio ebraico, a cui venivano aggiunte diverse zone disabitate (per la maggior parte desertiche) in previsione di una massiccia immigrazione dall'Europa, una volta abolite le limitazioni imposte dal governo britannico nel 1939, per un totale del 56% del territorio. La situazione sarebbe dunque stata ([4]): Territorio Popolazione araba % Arabi Popolazione ebraica % Ebrei Popolazione Totale Stato Arabo 725.000 99% 10.000 1% 735.000 Stato Ebraico 407.000 45% 498.000 55% 905.000 Zona Internazionale 105.000 51% 100.000 49% 205.000 Totale 1.237.000 67% 608.000 33% 1.845.000 (oltre a questo era presente una popolazione Beduina di 90.000 persone nel territorio ebraico). Le reazioni alla risoluzione dell'ONU furono diversificate: la maggior parte dei gruppi ebraici ( l' Agenzia Ebraica per esempio ) l'accettò, pur lamentando la non continuità territoriale tra le varie aree assegnate allo stato ebraico. Gruppi più estremisti, come l'Irgun e la Banda Stern, la rifiutarono, essendo contrari alla presenza di uno Stato arabo in quella che era considerata "la Grande Israele" e al controllo internazionale di Gerusalemme. Tra i gruppi arabi la proposta fu rifiutata, ma con diverse motivazioni, alcuni negavano totalmente la possibilità della creazione di uno stato ebraico, altri criticavano la spartizione del territorio che ritenevano avrebbe chiuso i territori assegnati alla popolazione araba (oltre al fatto che lo Stato arabo non avrebbe avuto sbocchi sul Mar Rosso e sul Mar di Galilea, quest'ultimo la principale risorsa idrica della zona), altri ancora erano contrari per via del fatto che a quella che per ora era una minoranza ebraica (un terzo della popolazione totale) fosse assegnata la maggioranza del territorio (anche se la commissione dell'ONU aveva preso quella decisione anche in virtù della prevedibile immigrazione di massa dall'Europa dei reduci delle persecuzioni della Germania nazista). La Gran Bretagna si astenne nella votazione e rifiutò apertamente di seguire le raccomandazioni del piano, che riteneva si sarebbe rivelato inaccettabile per entrambe le parti e annunciò che avrebbe terminato il proprio mandato il 15 maggio 1948. Il 29 novembre 1947 venne votata la risoluzione, a favore votarono 33 nazioni (Australia, Belgio, Bolivia, Brasile, Bielorussia, Canada, Costa Rica, Cecoslovacchia, Danimarca, Repubblica Domenicana, Ecuador, Francia, Guatemala, Haiti, Islanda, Liberia, Lussemburgo, Olanda, Nuova Zelanda, Nicaragua, Norvegia, Panama, Paraguay, Perù, Filippine, Polonia, Svezia, Sud Africa, Ucraina, USA, URSS, Uruguay, Venezuela), contro 13 (Afghanistan, Cuba, Egitto, Grecia, India, Iran, Iraq, Libano, Pakistan, Arabia Saudita, Siria, Turchia, Yemen), vi furono 10 astenuti (Argentina, Cile, Cina, Colombia, El Salvador, Etiopia, Honduras, Messico, Regno Unito, Jugoslavia) e un assente alla votazione (Thailandia). Voti favorevoli (verde), contrari (marrone), astenuti (giallo) e assenti (rosso) alla risoluzione 181 Le nazioni arabe fecero ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia, sostenendo la non competenza dell'assemblea delle Nazioni Unite nel decidere la ripartizione di un territorio andando contro la volontà della maggioranza dei suoi residenti, ma il ricorso fu respinto. La decisione delle Nazioni Unite fu seguita da un’ondata di violenze senza precedenti da parte dei gruppi militari e paramilitari sionisti (Haganah, Palmach, Irgun e Banda Stern), che precipitò nel caos la Palestina nel 1948, in questo aiutati dalla propaganda bellicosa di segno contrario di leader politico-religiosi quali il Mufti di Gerusalemme Hajji Amin al-Husayni. Nel medesimo anno Londra ritirò - forse prematuramente - le proprie truppe, lasciando così il Paese in balia del caos e dei gruppi paramilitari. Le organizzazioni combattenti israeliane (che miravano a conquistare il maggior territorio possibile per il proprio Stato, inducendo alla fuga ed espellendo i residenti arabi) e le forze arabe (che miravano a conquistare la totalità del territorio assegnato all'etnia ebraica, di fatto espellendola e bloccando ogni futura immigrazione) si scontrarono così col massimo della violenza e dell'odio reciproco, il tutto ai danni dell'indifesa popolazione rurale e urbana palestinese di entrambe le etnie. ([5]). Il 14 maggio 1948, contestualmente al ritiro degli ultimi soldati britannici, David Ben Gurion, capo del governo ombra sionista, proclamò l’indipendenza dello "Stato ebraico in terra di Israele", affermando nella dichiarazione di indipendenza di lanciare un appello ... agli abitanti arabi dello Stato di Israele volto a preservare la pace ed a partecipare alla costruzione dello Stato sulla base di piena e indistinta cittadinanza e legale rappresentanza in tutte le istanze, temporanee e permanenti. ... Lo Stato di Israele è pronto a fare la propria parte in uno sforzo comune per il progresso dell'intero Medio Oriente. Le guerre arabo-israeliane La guerra del 1948 La nascita ufficiale dei due Stati in Palestina era stata fissata dall’ONU nel 1948, ma essa non ebbe mai luogo. Infatti, non appena i britannici ebbero lasciato la zona, la Lega Araba, che non aveva accettato la risoluzione dell'ONU, scatenò una guerra "di liberazione" contro Israele. Gli Israeliani, che durante gli ultimi trent'anni si erano organizzati militarmente in gruppi come Haganah e Palmach e in formazioni d'impronta terroristica come l'Irgun e la Banda Stern [che confluiranno in questo momento nell’IDF (Israel Defense Forces, detto Tzahal)], dimostrarono subito un'imprevista capacità bellica, che, unita alla forte immigrazione (che vedeva tra i nuovi arrivati molti veterani della seconda guerra mondiale) e l'acquisto (in parte violando anche un embargo durante una tregua) di armi dalla Cecoslovacchia, permise loro non solo di resistere agli eserciti arabi ma anche di contrattaccare e di occupare militarmente gran parte della Palestina, a eccezione della striscia di Gaza e della Cisgiordania, rispettivamente occupate dall'esercito dell'Egitto e dalla Legione Araba dell'emirato di Transgiordania (poi Regno di Giordania), che considerarono comunque quei territori palestinesi come "un sacro deposito" da restituire al futuro Stato indipendente di Palestina non appena questi avesse avuto il modo di costituirsi, come ebbe a dichiarare l'Emiro Abd Allāh di Transgiordania. Vi furono due periodi di tregua gestiti dall'ONU, con la presentazione di nuovi piani per la ripartizione del territorio vennero rifiutati da entrambe le parti in causa. Durante la seconda tregua venne assassinato il mediatore dell'ONU, conte Folke Bernadotte da parte di alcuni uomini del Lehi. In breve, dopo la catastrofe militare degli eserciti invasori, ci si ritrovò un unico Stato, quello israeliano, impegnato a difendere quanto già conseguito sul campo di battaglia e ad ottenere l'intero controllo del territorio palestinese tramite il proprio esercito. L'azione combinata della propaganda araba, basata sullo slogan tornerete nelle terre liberate, della guerra in sé, e della pressione psicologica (e in alcuni casi di veri e propri massacri come quello di Deir Yassin) di frange politiche israeliane, misero in fuga buona parte della popolazione araba e la estromisero definitivamente dalle proprie terre, costringendola di fatto a rifugiarsi in squallidi campi profughi malamente attrezzati nei paesi arabi limitrofi - che da allora si sono sempre disinteressati della normalizzazione della vita dei palestinesi lì rifugiati - il più delle volte in grado di sopravvivere solo grazie alle razioni alimentari elargite dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNRRWA). La popolazione palestinese iniziò a subire una dura occupazione che spinse molte famiglie a emigrare nei paesi vicini e meno vicini (essenzialmente nell'area del Golfo Persico), in quei campi profughi che accolsero in quel periodo oltre la metà della popolazione palestinese. Circa 800.000 ebrei, residenti da generazioni in nazioni arabe, furono costretti ad emigrare a causa del clima di tensione che si era venuto a creare dopo questa guerra, di questi circa 600.000 emigrarono nel neonato stato di Israele. L'11 dicembre 1948 l'ONU emise la risoluzione 194, che rimase per larga parte non attuata e che tra le altre cose prevedeva la demilitarizzazione di Gerusalemme, il cui controllo doveva passare all'ONU, e la restituzione (o il rimborso) dei beni e delle proprietà dei rifugiati (arabi in territorio israeliano e i pochi ebrei in territorio arabo) che volessero tornare a casa dopo la guerra (la risoluzione si apriva citando l'omicidio di Folke Bernadotte). A partire dalla seconda metà degli anni cinquanta, si aprì una nuova fase del conflitto, che vide nel presidente egiziano Gamāl ‘Abd al-Nāser il leader carismatico di ciò che fu chiamato "Panarabismo". La guerra con l'Egitto del 1956 Il 25 luglio 1956, Gamāl Abd al-Nāṣer nazionalizzò la Compagnia del Canale di Suez (di proprietà anglofrancese) scatenando così l’intervento di Francia e Gran Bretagna - che vedevano messi in pericolo i loro interessi economici e strategici - e dello stesso Israele che si disse minacciato dalla nuova alleanza militare inter-araba, prefigurata dal Presidente egiziano, con la Siria e la Giordania. Israele reagì al proposito del presidente egiziano Gamāl Abd al-Nāṣer d'impedire a Israele la navigazione attraverso il Canale. Francia e Gran Bretagna furono in fretta costrette a rinunciare al conflitto per la minaccia di un intervento sovietico e statunitense ma, anche in tale occasione, la migliore organizzazione militare israeliana ebbe la meglio sui suoi avversari: gli Arabi furono costretti alla ritirata dalla brillante condotta delle operazioni da parte del generale israeliano Moshe Dayan che riuscì a conquistare il Sinai (solo successivamente restituito all’Egitto per l’intermediazione dell’ONU) da Rafah a al-Arīsh. A partire dal 1962 una lunga serie di scaramucce di confine tra Egitto e Israele preparò il terreno per una nuova guerra. Il 21 maggio 1967 su richiesta egiziana la forza di interposizione ONU venne ritirata da Gaza e da Sharm al-Shaykh. Il 23 maggio 1967 l'Egitto chiuse la navigazione israeliana attraverso gli Stretti di Tiran, questa azione fu considerata come casus belli da Tel Aviv La Guerra dei sei giorni del 1967 Il 5 giugno 1967 infatti un attacco preventivo delle forze aeree israeliane avviò la III Guerra arabo-israeliana, o "Guerra dei sei giorni", con la distruzione al suolo della quasi totalità dell'aviazione di Egitto, Siria e Giordania, con le forze corazzate e di terra di quei paesi che, senza copertura aerea, furono letteralmente decimate. Con questa fulminea vittoria Israele occupava l'intera penisola del Sinai e la striscia di Gaza che fino ad allora era rimasta sotto amministrazione militare egiziana, oltre ad inglobare l’intera Cisgiordania (Gerusalemme compresa) e le alture del Golan a nord-est, sottratte invece alla Siria. Sono questi (tranne il Sinai poi restituito all'Egitto in seguito agli accordi di Camp David del 1978) i cosiddetti "Territori Occupati" (al-aràd al-muhtàlla) nei confronti dei quali una parte degli Israeliani cominciò a nutrire propositi di definitiva annessione, favorendo l'istituzione di colonie agricole in grado di presidiare il territorio palestinese occupato della Cisgiordania, nelle quali operano spesso coloni armati, molti dei quali vicini alle posizioni della destra nazionalista israeliana, fra cui il movimento del Gush Emunim (La gente comune), tanto da indurre vari Arabi di tali zone a trovare rifugio all'estero. Le Nazioni Unite intervennero nella questione con la risoluzione 242, prospettando il ritiro di Israele dai "Territori Occupati" da Israele in cambio del riconoscimento dello Stato ebraico da parte degli Stati arabi confinanti; in sostanza, la risoluzione delineava quella politica di "pace in cambio di territori" che da allora ha ispirato tutti i tentativi di soluzione della questione palestinese. La cosa non si prospettava semplice perché, se all'interno di Israele una corposa pressione politica era espressa dai gruppi di estremisti nazionalisti che rifiutavano qualsiasi possibile dialogo con la parte araba (e in alcune frange giungevano addirittura a proporre la creazione di una biblica "Grande Israele" che si estendesse dal Nilo fino all'Eufrate), nel 1964 nasceva in ambito arabo palestinese una nuova organizzazione, dapprima direttamente sotto il controllo della Lega Araba, che si proponeva di rappresentare gli interessi diretti del popolo palestinese. Tale organizzazione, che si svincolerà poi dalla Lega Araba per divenire l’unica rappresentante internazionale del popolo palestinese, era l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina, al-Munàzzama li-tahrìr al-filastini), che - dopo un breve periodo di presidenza di Ahmad al-Shuqayri - sarà poi guidata fino alla sua morte dal suo leader Yasser Arafat. A testimonianza degli squilibri che la situazione palestinese comportava per tutta l'area vicino-orientale, vanno ricordate le guerre di Libano prima (1969) e quella cosiddetta "d'Attrito" con l'Egitto, nonché quella con la Giordania (1970). Tutte furono provocate dall'impossibilità araba di accettare una situazione di totale sottomissione allo strapotere militare d'Israele e dalle attività di guerriglia dell’OLP che sperava potesse essere un giorno formato uno Stato indipendente palestinese. In quel periodo l'organizzazione di guerriglia più attiva fu forse il Fronte Nazionale per la Liberazione Palestinese (FLP), che in quei paesi aveva insediato le proprie basi operative. La guerra del Kippur (Yom Kippur ) Nel 1973 si ebbe una nuova crisi vicino-orientale che porterà in breve tempo alla IV guerra arabo-israeliana, detta anche "del Kippur" (da una festività religiosa ebraica) . In questa occasione furono gli eserciti dell'Egitto e della Siria ad attaccare a sorpresa Israele, che perse il controllo del Canale di Suez (inutilmente presidiato con la cosiddetta "linea Bar-Lev") pur dimostrandosi in grado di reagire con efficacia, organizzando un'abile controffensiva con sue unità corazzate, guidate dal generale Ariel Sharon, che riuscirono ad attraversare il canale di Suez ed a porre sotto assedio, sia pur teoricamente, l'intero III Corpo d'armata egiziano, rimasto al riparo delle sue postazioni missilistiche anti-aeree che, nelle prime fasi della guerra, avevano decimato l'aviazione di Israele. L’intervento dei "caschi blu" dell’ONU giunse a evitare ulteriori radicalizzazioni del conflitto e l'alterazione dei già delicati equilibri regionali. Gli accordi fra Egitto e Israele (seguiti più tardi dal riconoscimento dello Stato d'Israele da parte del Cairo, imitato più tardi dalla Giordania) avviarono una nuova fase politica, tendenzialmente meno incline al confronto armato come strumento di risoluzione delle controversie. Si chiuse così la fase del coinvolgimento diretto degli Stati arabi in guerre dichiarate contro Israele, mentre nella lotta per la liberazione della Palestina assunse un peso sempre più rilevante l’OLP. L'ultimo ventennio e i tentativi di normalizzazione La fine delle guerre arabo-israeliane avviò un timido e incerto progresso di normalizzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e alcuni dei paesi limitrofi, spesso vanificato da irrigidimenti e da nuove crisi. Nel novembre del 1977 il presidente egiziano Anwar al-Sādāt si reca in visita a Gerusalemme, avviando di fatto il processo di pace tra Egitto ed Israele. Nel 1978 l’invasione del sud del Libano da parte dell’esercito israeliano indusse l’ONU a creare una zona cuscinetto, tra i due paesi, sorvegliata dai "caschi blu". Nel 1979, dopo lunghe trattative facilitate dagli Accordi di Camp David (settembre 1978), Israele ed Egitto firmano un trattato di pace (il primo tra Israele ed uno stato Arabo) che implica la restituzione all'Egitto della penisola del Sinai ed il riconoscimento dello stato di Israele. Nel 1980, Israele dichiarò Gerusalemme unificata come unica capitale dello Stato ebraico per poi annettersi l’anno successivo le alture del Golan siriano già occupate. Il 6 ottobre 1981 il presidente egiziano Anwar al-Sādāt (premio Nobel per la Pace con Menachem Begin) viene assassinato, durante una parata militare, da estremisti arabi membri dell'Organizzazione Jihad. Nel 1982, Israele avviò l’operazione "Pace in Galilea", che prevedeva la creazione di una zona priva di insediamenti palestinesi attorno ai confini settentrionali israeliani, con l'obiettivo della distruzione definitiva dell’OLP. Nell'ambito di tale operazione Israele invase il Libano spingendosi fino a Beirut, costringendo l'OLP a trasferire la propria sede in Tunisia. Nel quadro di questa azione militare si ebbero i massacri dei campi profughi beirutini di Sabra e Shatila, perpetrati dal maronita Elie Hobeika e dalle forze filo-israeliane del cosiddetto Esercito del Sud-Libano (cristiano). L'inerzia delle forze israeliane che erano responsabili della sicurezza di quelle aree e che erano a conoscenza di quanto stava avvenendo nei campi profughi (in cui si contarono da 800 a 2.000 civili trucidati) provocò una severa inchiesta da parte della Corte Suprema in Israele. Essa si concluse con le dimissioni forzate di Ariel Sharon dalla carica di Ministro della Guerra e col dimissionamento del Capo di Stato Maggiore israeliano e del responsabile militare israeliano delle operazioni in Libano. Nel frattempo l'ONU, che accusava Israele di violare i diritti umani nei confronti dei Palestinesi, formò una commissione di indagine perché vigilasse sul problema dei mezzi coercitivi messi in atto nei confronti degli Arabi affinché abbandonassero le loro terre, come pure sulle disposizioni israeliane in materia di gestione delle risorse idriche dell'intera area a settentrione dello Stato ebraico e sulla distruzione di abitazioni arabe da parte dell'esercito israeliano. Per lungo tempo l’OLP rifiutò di assumere come base per il dialogo la risoluzione 242 dell’ONU (che prevedeva il ritorno ai confini di prima della "guerra dei sei giorni", legittimando così le conquiste territoriali israeliane del 1948-1949), finché nel 1988 la sua linea si ammorbidì consentendo l'avvio di un cauto e non sempre coerente avvicinamento fra le opposte posizioni. Nel frattempo, nel 1987, era iniziato un moto popolare di sollevazione chiamato Intifada (in arabo "brivido, scossa"), che tentava di combattere l’occupazione israeliana dei Territori Occupati per mezzo di scioperi e disobbedienza civile, oltre a ricorrere a strumenti di lotta volutamente primitivi quali il lancio di pietre contro l’esercito invasore, suscitando così grande impressione nel mondo occidentale. Sempre in questo periodo, però, gruppi estremistici di matrice islamica tradizionalista che non si riconoscevano nell’OLP si organizzarono trovando come punto di riferimento il movimento Hamas (nato a Gaza nel 1987) che, pur limitando la sua azione al quadro strettamente palestinese, con l'impiego di tecniche di lotta terroristica, decisamente alternativa rispetto a quella più diplomatica dell'OLP, è riuscito a erodere parte del consenso fin lì goduto dalla "laica" OLP. Nel 1993, ci fu a Washington un importante vertice di pace tra lo Stato Israeliano e l'OLP, riconosciuta finalmente come unica rappresentante del popolo palestinese, mediato dallo stesso presidente USA Bill Clinton. In esso si giunse a un accordo in base al quale Israele si sarebbe ritirata dalla striscia di Gaza entro il 1994, lasciando quei territori sotto la guida palestinese. I termini dell’accordo si rivelarono in ultima analisi molto ambigui, tanto che gli scontri ben presto ripresero. Nel 1995, il premier laburista israeliano Itzhak Rabin, premio Nobel con Arafat e Shimon Peres per aver sottoscritto gli storici Accordi di Oslo con l'OLP, venne ucciso da un tale Eyal, esponente dell’estrema destra religiosa israeliana. Questo provocò grande impressione nell’opinione pubblica israeliana, tanto da spingere il nuovo premier del Likud, Benjamin Netanyahu, a stringere un nuovo accordo con l'OLP, che prevedeva l’apertura di un aeroporto a Gaza e la liberazione di vari prigionieri politici palestinesi, sempre grazie alla mediazione del presidente USA Bill Clinton. Tuttavia le tensioni tra le parti non finirono. La prosecuzione della politica di creazione di nuovi insediamenti agricoli israeliani nei Territori Occupati non si arrestò e a nulla servì che gli Israeliani, spaventati dagli attacchi terroristici arabi, facessero vincere il partito laburista del MAPAM di Ehud Barak. Questi infatti, in un nuovo vertice per la pace a Washington, non riuscì a convincere con le sue proposte il suo antagonista Arafat sui termini della pace e le trattative conobbero così un cocente fallimento. Nell'ultimo periodo, la nuova strategia di Hamas di ricorrere ad attentati suicidi contro i civili ebrei ha ulteriormente acuito la tensione, facendo irrigidire le posizioni degli Israeliani e questo sentimento ha trovato una facile sponda nell'amministrazione statunitense, tradizionalmente predisposta a condividere le tesi israeliane. La morte del leader dell'OLP Arafat (primavera 2004) e l'elezione del suo successore Mahmūd ‘Abbās (Abu Mazen) hanno portato, tra innumerevoli azioni di guerriglia e di contro-guerriglia, di attentati terroristici palestinesi e di "uccisioni mirate" e dure ritorsioni israeliane contro civili palestinesi, allo sgombero (unilateralmente disposto nel 2005 dal premier israeliano Ariel Sharon) della Striscia di Gaza, consegnata in novembre all'Autorità Nazionale Palestinese, sui cui valichi è stata chiamata a vigilare una forza di polizia della Comunità Europea, comandata da un generale dei Carabinieri dell'esercito italiano. Yasser Arafat « Chi combatte per la libertà non può essere chiamato terrorista » (Yāsser Arafāt) Yāsser Arafāt (pronuncia: Yāsir Arafāt; in arabo: ;تافرع رسايIl Cairo, 24 agosto 1929 – Clamart, 11 novembre 2004) è stato un politico palestinese. Il suo nome era Muḥammad Abd al-Raḥmān Abd al-Ra ūf al-Qudwa al-Ḥusaynī (in arabo: دمحم دبع نمحرلا دبع )ينيسحلا ةودقلا فوؤرلا, ma è noto anche con lo pseudonimo di Abū Ammār (arabo: )اﺑﻮ ﻋﻤّﺎر, ed è stato un combattente, figura di spicco del panorama politico mondiale. Nel 1956, a una conferenza a Praga, Yāsser Arafāt portò la kefiah, il tradizionale copricapo palestinese (a scacchi neri o rossi) che divenne di fatto una sorta di suo emblema. Nel 1994 gli venne conferito unitamente ai leader israeliani Shimon Peres e Yitzhak Rabin - il Premio Nobel per la pace per l'opera di diplomazia compiuta al fine di riappacificare le popolazioni dei Territori Occupati (che Israele considera come contesi) di Cisgiordania e della Striscia di Gaza e garantire al popolo palestinese il riconoscimento del diritto ad uno Stato proprio. Dal 1996 sino alla morte, ha ricoperto la carica di presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese (ANP). In precedenza era stato a capo di al-Fatḥ (impropriamente nota come al-Fatah), confluita successivamente nell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). La discussa figura di Arafāt ha finito con il diventare il simbolo stesso della causa palestinese. Personaggio complesso e controverso, uomo d'azione ma anche prudente diplomatico, Yāsser Arafāt è stato negli ultimi anni della sua vita, spesso accusato - e in special modo dopo il fallimento del Summit di Camp David del 2000 con l'allora Premier israeliano Ehud Barak, e soprattutto dopo lo scoppio della seconda intifada -, di non volere la pace, aver sostenuto gli atti di terrorismo contro i civili israeliani e non aver fatto nulla per contrastarli, non più in grado di porsi come interlocutore serio. Mentre, allo stesso tempo, da parte del mondo arabo, è stato sempre riconosciuto e considerato come figura unica e carismatica, personaggio indispensabile all'interno dell'intricato universo di movimenti politici palestinesi, al fine della conclusione del processo di pace e dell'annosa crisi mediorientale. Yāsser Arafāt con Yitzhak Rabin e Bill Clinton il 13 settembre, 1993 Biografia Nascita e primi anni Primo di sette fratelli, figlio di un mercante, Arafāt era salito nel 1969 alla guida dell'OLP (fino ad allora guidata da Ahmad Shuqayrī), diventando capo di al-Fatḥ, l'ala oltranzista e maggiore fazione interna all'OLP. La data ed il luogo della sua nascita sono sempre rimasti assai controversi. Il suo certificato di nascita, depositato all'università del Cairo, afferma che Yāsser Arafāt è nato al Cairo (Egitto) il 24 agosto 1929. Altre fonti sostengono che invece sia nato a Gerusalemme il 4 agosto 1929. È però interessante notare che nella sua biografia "ufficiale", Alan Hart, confermi il fatto che il capo dell'Autorità Nazionale Palestinese sia nato al Cairo. Il suo nome completo alla nascita, tuttavia, risulta come Muḥammad Abd al-Raḥmān Abd al-Ra ūf Arafāt al-Qudwa alḤusaynī. Come sostenuto da Said K. Aburish, biografo arabo, nel libro Arafat: Da difensore a dittatore (Bloomsbury Publishing, 1988, pag. 7): "Muhammad Abd al-Rahmān è il primo nome; Abd al-Ra ūf il nome di suo padre; Arafāt quello di suo nonno; al-Qudwa è il nome di famiglia, e al-Ḥusaynī è il nome della tribù a cui gli alQudwa appartengono". Inoltre, "l'affermazione che Arafāt sia collegato al clan al-Ḥusaynī di Gerusalemme attraverso sua madre (una Abd al-Sa ūd) sarebbe falsa in quanto l'appartenenza alla tribù al-Ḥusaynī gli verrebbe casomai dal lato paterno". Secondo Aburish, Arafāt non ha alcuna relazione con i notabili al-Ḥusaynī di Gerusalemme (ivi, p. 9). Spiega infatti il biografo: "Il giovane Arafāt cerca di avvalorare le sue credenziali palestinesi per sostenere le sue rivendicazioni sulla leadership ... e non può ammettere alcun fatto che possa minare la sua pretesa identità palestinese ... Arafāt intende perpetuare la leggenda della sua nascita a Gerusalemme e del suo collegamento con la famiglia al-Ḥusaynī della città". La gioventù Arafāt ha trascorso la maggior parte della sua giovinezza al Cairo, fatta eccezione per quattro anni (dopo la morte della madre, avvenuta in data imprecisata quando aveva tra cinque e nove anni) quando ha vissuto presso uno zio a Gerusalemme. Mentre studia all'università del Cairo - dove consegue la laurea in ingegneria civile - aderisce alla Fratellanza Musulmana e all'Unione degli Studenti Palestinesi, della quale diviene presidente dal 1952 al 1956. Mentre è al Cairo sviluppa una stretta relazione con suo zio il Ḥājjī Amīn al-Ḥusaynī , che era stato Muftī di Gerusalemme. Nel 1956 presta servizio nell'esercito egiziano durante la crisi di Suez. Leader dell'OLP Al Congresso Nazionale Palestinese tenutosi al Cairo il 3 febbraio 1969, diviene leader dell' OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). In realtà, l'impegno politico di Arafāt ha radici più antiche e risalgono a quando, spostatosi in Kuwait per lavorare come ingegnere, collabora a fondare al-Fatḥ, organizzazione che ha come obiettivo la creazione di uno Stato palestinese indipendente. Nascita di al-Fatḥ e crisi vicino-orientale Nel 1963 al-Fatḥ, appoggiata dalla Siria, programma la sua prima azione militare, il sabotaggio di un impianto idrico israeliano. L'azione avviene nel dicembre del 1964 ma si rivela un fallimento. Comunque, dopo la Guerra dei sei giorni, nel 1967, quando Israele sposta la sua attenzione dagli Stati arabi alle varie organizzazioni palestinesi, una di queste è - appunto - al-Fatḥ. Nel 1968 l'organizzazione palestinese è il principale obiettivo dell'attacco israeliano al villaggio giordano di Karame, azione nella quale muoiono centocinquanta guerriglieri palestinesi e ventinove soldati israeliani sono uccisi, in buona parte dalle forze regolari giordane. Malgrado le forti perdite, la battaglia è considerata una vittoria per al-Fatḥ (esultante per il ritiro degli israeliani) e contribuisce ad aumentare il prestigio di Arafāt e di al-Fatḥ stessa. Nel 1969 Arafāt diviene, quindi, portavoce dell'OLP rimpiazzando Aḥmad Shukayrī, che era stato proposto dalla Lega Araba. Arafāt diviene due anni dopo comandante in capo delle Forze rivoluzionarie palestinesi e due anni dopo ancora responsabile del Dipartimento Politico dell'OLP. Nello stesso periodo le tensioni tra il governo di Giordania ed i palestinesi iniziano ad aumentare. Elementi della resistenza palestinese in armi (i cosiddetti fidā yyīn) creano uno "Stato nello Stato" all'interno della Giordania (controllando anche numerose zone strategiche tra cui la raffineria di al-Zarqā ) finendo per costituire un pericolo per la sovranità dello Stato hashemita. A capo dell'ALP Lo scontro diventa aperto nel giugno del 1970. Vari governi arabi tentano di mediare una soluzione pacifica ma a settembre, le ripetute operazioni dei fidā yyīn, tra cui il dirottamento e la distruzione di tre aerei di linea, fanno propendere il governo giordano per una azione di forza mirante a riprendere il controllo del territorio. Il 16 settembre, Re Ḥusayn di Giordania dichiara la legge marziale e lo stesso giorno Arafāt diviene comandante supremo dell'ALP (Armata per la Liberazione della Palestina), forza armata regolare dell'OLP, strutturata su 3 brigate addestrate sul suo territorio dalla Siria. "Settembre nero" Nella guerra civile che ne segue, L'OLP ha il sostegno di Damasco che invia in territorio giordano una forza di circa 200 carri armati. Gli scontri avvengono principalmente tra forze giordane e l'ALP, sebbene gli USA dislochino la VI Flotta nel Mediterraneo orientale e Israele metta a disposizione della Giordania alcuni reparti militari. Il 24 settembre l'esercito giordano riesce a prevalere e l'ALP è costretta a chiedere una serie di cessate il fuoco. Durante le azioni militari l'esercito giordano attacca anche i campi-profughi dove i civili palestinesi si sono rifugiati dopo la Guerra dei sei giorni: le vittime sono migliaia. Questo massacro viene ricordato dai palestinesi come "il Settembre Nero". In seguito alla sconfitta, l'OLP si sposta dalla Giordania al Libano. Grazie alla debolezza del governo centrale libanese, l'OLP poté operare in uno stato virtualmente indipendente (chiamato infatti da Israele Terra di al-Fatḥ). L'OLP inizia ad usare il territorio libanese per lanciare attacchi di artiglieria contro Israele e come base per le infiltrazioni di guerriglieri. A queste azioni corrispondono attacchi di ritorsione israeliana in Libano. Nel settembre 1972 il gruppo "Settembre Nero" (che, senza alcuna credibile prova certa, fu accusata di aver goduto della copertura di alFatḥ) rapisce ed uccide undici atleti israeliani durante i Giochi olimpici di Monaco di Baviera. Alla condanna internazionale si unisce quella di Arafāt che si dissocia pubblicamente da tali atti. Due anni dopo, nel 1974, Arafāt ordina all'OLP di sospendere qualsiasi azione militare al di fuori di Israele, della Cisgiordania - in inglese "Sponda Occidentale" o "West Bank" - (la riva ovest del Giordano, o Cisgiordania) e della striscia di Gaza. Nello stesso anno il leader palestinese diviene il primo rappresentante di un'organizzazione non governativa a parlare ad una sessione generale delle Nazioni Unite. Intanto continuavano a ripetersi, da alcune parti, le accuse verso Arafāt di una dissociazione solo di facciata dal terrorismo. Sta di fatto che il movimento al-Fatḥ continuò a lanciare attacchi contro obiettivi israeliani. Gli anni Settanta furono caratterizzati in Vicino Oriente dalla comparsa di numerosi gruppi palestinesi estremisti pronti a compiere attacchi sia in Israele che altrove. Israele dichiarò che dietro tutti questi gruppi vi era Arafāt il quale però smentì sempre tali ipotesi. Sta di fatto che nel 1974 i capi di Stato arabi riconoscono l'OLP come unica rappresentante legittima di tutti i palestinesi. Due anni dopo la stessa OLP viene ammessa come membro a pieno titolo nella Lega Araba. Sabra e Shatila In Libano, intanto, la situazione degenera in una vera e propria guerra civile tra la componente cristiano maronita e quella musulmana appoggiata dall'OLP. I cristiani maroniti accusano Arafāt e l'OLP di essere responsabili della morte di decine di migliaia di membri del loro popolo. Israele si allea con i cristiano-maroniti, mettendo in atto due azioni di invasione del Libano: la prima (nel 1978), chiamata Operazione Litani porterà una stretta striscia di terra (detta fascia di sicurezza) ad essere conquistata ed annessa con l'aiuto delle IDF e del cosiddetto Esercito del Sud-Libano (longa manus di Israele); la seconda (nel 1982), detta Pace in Galilea (Prima guerra israelo-libanese, vedrà Israele occupare la maggior parte del sud del Libano per ritirarsi poi, tre anni dopo, nella fascia di sicurezza.Una conferenza stampa di Yāsser Arafāt a Copenhagen È durante questa seconda invasione che alcune migliaia di civili palestinesi vengono massacrati nei campi profughi di Sabra e Shatila dai falangisti cristiano-maroniti che avevano ottenuto il permesso israeliano di attaccare i campi. Tali azioni determinano una reazione internazionale con l'invio di una forza armata internazionale di interposizione (forza alla quale partecipano anche unità italiane). L'allora ministro della difesa israeliano Ariel Sharon venne ritenuto l'indiretto responsabile dei massacri dal Tribunale Supremo israeliano e costretto a lasciare la sua carica per assumerne comunque una minore. Proclamazione della nascita dello Stato di Palestina in esilio Nel settembre 1982, durante l'invasione israeliana, gli USA ottengono una tregua in virtù della quale Arafāt e l'OLP possono lasciare il Libano per trasferirsi in Tunisia. La nazione nordafricana rimarrà il centro delle operazioni palestinesi sino al 1993. Negli anni '80 Arafāt riceve assistenza da Ṣaddām Ḥusayn, allora presidente-dittatore dell'Iraq: assistenza che gli permette di riorganizzare il gruppo dirigente dell'OLP fortemente ridottosi dopo la guerra civile libanese. La nuova struttura dirigenziale viene utilizzata durante la Prima Intifada, iniziata nel dicembre 1987. Nel luglio del 1983 il magistrato veneziano Gabriele Ferrari, nell'ambito del processo alla "Colonna veneta" delle Br emise un ordine di cattura per Arafāt per avere fornito un ingente quantitativo di armi, munizioni ed esplosivo consegnato in Libano ed introdotto nel settembre del 1979 a Venezia. L'inchiesta non approderà ad alcun fatto dimostrabile ai fini processuali. Il 5 novembre 1988 l'OLP proclama la creazione dello Stato della Palestina - sia pure con un governo palestinese in esilio - nei termini della Risoluzione n. 181 dell'ONU. Il 13 dicembre 1988, Arafāt dichiara di accettare la Risoluzione n. 242 promettendo il futuro riconoscimento dello Stato di Israele e la rinuncia al terrorismo. Il 2 aprile 1989 Arafāt è eletto dal Comitato Esecutivo del Consiglio Nazionale Palestinese (sorta di parlamento da cui dipende anche l'OLP) presidente dello stato Palestinese. Il 13 dicembre dello stesso anno il governo USA propone la formazione di due separate entità statali: Israele, entro i confini fissati precedentemente al 1967 (Guerra dei sei giorni), e Palestina, composta da Cisgiordania e Striscia di Gaza. La guerra del Golfo del 1991 Questo evento mette in moto un processo politico di grande importanza. Nel 1991 nella Conferenza di Madrid, Israele apre per la prima volta negoziati diretti con l'OLP. Nello stesso anno, con l'esplosione della Guerra del Golfo, le relazioni con Ṣaddām Ḥusayn diventano il maggior problema di Arafāt. L'OLP e la Giordania di re Ḥusayn rimarranno tuttavia i soli stati arabi a schierarsi dalla parte dell'Iraq subendo quindi il boicottaggio degli USA che cercano di bloccare le trattative tra palestinesi e israeliani. L'Autorità palestinese Nel 1993 vengono raggiunti gli Accordi di Oslo che prevedono l'autogoverno per i palestinesi della Cisgiordania e della striscia di Gaza entro cinque anni. L'anno seguente Arafāt, insieme a Shimon Peres ed a Yitzhak Rabin, viene insignito del premio Nobel per la pace. Nel 1994 si trasferiscono nell'Autorità Nazionale Palestinese (ANP) le prerogative dell'entità provvisoria prevista dagli Accordi di Oslo. Il 20 gennaio 1996 Arafāt viene eletto presidente dell'Autorità provvisoria con una maggioranza dell'87% rispetto all'altro candidato, Samiba Khalil. Osservatori internazionali indipendenti confermano il corretto svolgimento delle elezioni ma da alcune parti viene fatto notare che, stante la rinuncia al voto da parte di alcune forze di opposizione alla linea di Arafāt, il suffragio non può considerarsi avvenuto nella completa democraticità. Nuove elezioni, annunciate per il 2002, sono state posposte a causa della situazione interna tale da non permettere, a causa delle restrizioni imposte con la forza da Israele, il libero movimento nei Territori e quindi lo svolgimento di una campagna elettorale. A partire dal 1996, ad ogni buon conto, Arafāt, quale leader dell'Autorità palestinese, viene chiamato con la parola araba ra īs (Presidente, ma anche semplicemente "Capo", dalla radice araba <r- -s> che significa "testa", "vetta", "cima"). Per Israele, che non vuole riconoscere l'esistenza dello Stato palestinese, significa semplicemente "portavoce", mentre nei documenti palestinesi in lingua inglese viene correttamente tradotta come "presidente". Gli USA seguono la prassi israeliana mentre le Nazioni Unite quella palestinese. Nello stesso anno 1996, a seguito del ripetersi di attacchi suicidi portati a termine da elementi estremisti palestinesi (attacchi che causano numerose vittime in Israele), le relazioni tra Autorità Nazionale Palestinese e Israele peggiorano nettamente e il nuovo Primo Ministro Benjamin Netanyahu blocca la transizione alla formazione dello Stato Palestinese prevista dagli Accordi di Oslo. Nel 1998 il presidente statunitense Bill Clinton cerca di ricucire i rapporti tra i due leader vicino-orientali. Il risultato dei suoi sforzi è il memorandum del 23 ottobre 1998 che specifica i passi per il completamento del processo di pace. Arafāt continua i negoziati con il successore di Netanyahu, Ehud Barak. Questi, sia perché proveniente dal Partito laburista (mentre il suo predecessore proviene dalle file del partito di destra Likud) sia in seguito alle pressioni del presidente Clinton, offre ad Arafāt uno Stato palestinese nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza con capitale Gerusalemme est, il ritorno di un limitato numero di profughi ed un indennizzo per gli altri. Con una mossa estremamente criticata, Arafāt rifiuta l'offerta di Barak senza peraltro presentare delle controproposte. Nel dicembre 2000, ad una visita di Ariel Sharon alla spianata della Moschea alAqsa - considerata provocatoria dagli osservatori internazionali - lo scontro tra israeliani e palestinesi si riaccende con rinnovata violenza in quella che prende il nome di Seconda intifada palestinese. Vita privata Matrimonio Nel 1990 si sono svolte le nozze tra Arafāt e Suhā Ṭawīl nata nel 1963, una palestinese di religione cristiana-ortodossa, che allora lavorava per la sede tunisina dell'OLP. Dalla loro unione è nata il 24 luglio 1995 la figlia Zahwa. Il ruolo ricoperto dalla donna nelle vicende palestinesi e il suo soggiorno a Parigi negli ultimi anni hanno sollevato diverse polemiche. Polemiche che si sono puntualmente ripresentate in occasione della morte di Arafāt. Patrimonio personale Nell'agosto del 2002 il servizio segreto militare israeliano stimava il patrimonio personale di Arafāt nell'ordine di 1,3 miliardi di dollari [1], sebbene non fornisse alcuna prova di tale accusa. Il magazine "Forbes" [2] classificò nondimeno, sulla scorta di quelle "rivelazioni", Arafāt come sesto nella lista "Re, regine o despoti" [3], stimando il suo patrimonio in almeno 300 milioni di dollari, senza indicare su quali fonti basasse questo calcolo. Nel 2003 il Fondo Monetario Internazionale condusse un'inchiesta presso l'autorità palestinese. Da questa inchiesta emerse che Arafāt aveva spostato 900 milioni di dollari di fondi pubblici su conti correnti bancari controllati direttamente da lui e dal Direttore Finanziario dell'Autorità Nazionale Palestinese. Il Fondo Monetario non fu in grado di dimostrare che i fondi fossero stati utilizzati in modo improprio [4]. Nel 2003 il ministro palestinese delle finanze, Salām Fayyād, incaricò una società internazionale di revisione di analizzare la situazione dei fondi facenti capo all'Autorità Palestinese. Il team giunse alla conclusione che Arafāt disponeva di un patrimonio occultato di almeno 1 miliardo di dollari. Questo patrimonio era suddiviso in finanziamenti a un'azienda che imbottigliava la Coca Cola a Rāmallāh, una compagnia telefonica tunisina e capitali dislocati negli Stati Uniti d'America e nelle isole Cayman. Il team giunse alla conclusione che i fondi per le sue imprese commerciali erano pervenuti da fondi pubblici che Arafāt aveva stornato e posto sotto il suo controllo personale invece di utilizzarli in modo trasparente per la causa palestinese. Il team sottolineò che nessuna di queste operazioni era stata resa pubblica dall'Autorità Palestinese. Sebbene Arafāt avesse sempre vissuto con parsimonia, Dennis Ross - negoziatore per il Vicino Oriente dei presidenti George Bush e Clinton - affermò che Arafāt "viveva circondato dal denaro" e con quello finanziava un ampio sistema di patronato. Le ricerche svolte dall'Unione Europea sull'utilizzo dei fondi destinati all'Autorità Palestinese non hanno trovato alcun riscontro delle accuse formulate da diverse parti sull'utilizzo degli stessi per finalità terroristiche. Segnalarono però una corruzione diffusa nell'amministrazione dell'ANP e quindi l'Unione Europea richiese una radicale riforma della gestione finanziaria dell'Autorità Palestinese. Questa riforma finanziaria è uno dei punti chiave per poter ottenere nuovi aiuti economici dall'Unione Europea. [6] Un anonimo (e quindi incontrollabile) informatore che lavora per il ministero delle finanze dell'Autorità Palestinese ha affermato che Suhā, la moglie di Arafāt riceveva dal ministero 100 000 dollari al mese per vivere a Parigi. Suhā si difese affermando che queste voci erano diffuse dal Primo Ministro israeliano Ariel Sharon, che tentava di distogliere i media dai problemi di corruzione del suo governo, concentrando attenzione su di lei. L'altissimo tenore di vita mantenuto a Parigi, degno di una sovrana, pareva confermare però le voci. Nell'ottobre del 2003 il governo francese ha aperto un'indagine contro Suhā Arafāt per via di movimenti sospetti di valuta. L'accusa era di traffico illegale di valuta e, secondo gli inquirenti, con regolarità sarebbero stati trasferiti dalla Svizzera 1,27 milioni di dollari verso il conto personale di Suhā in Francia. Le "sette vite" di Arafāt La tomba di Yasser Arafat Nel corso della sua vita Yāsser • • • • • • • Arafāt ha più volte rischiato di morire ma mai per cause naturali: Nel 1970, in Giordania, dopo due attacchi terroristici ed il fallito attentato da parte di un commando palestinese che colpisce la sua scorta, Re Husayn di Giordania, avendone avuto abbastanza e deciso a chiudere definitivamente i conti con gli esuli palestinesi divenuti troppo ingombranti, durante il famoso Settembre nero, fece ricorso alle armi pur di scacciarli; Arafāt era fra loro e si dice che fosse rocambolescamente fuggito da Ammān vestito da donna. Nel 1973 scampò ad una bomba esplosa nel suo ufficio che invece uccise tre dei suoi principali collaboratori. Trasferitosi con la sua gente in Libano (dove i profughi palestinesi misero in crisi il già precario equilibrio etnico-politico del paese), riesce a salvarsi nel 1976 anche dal massacro di Tell al-Za tar dove i falangisti (il braccio militare dei cristiani maroniti) e i seguaci dell'ex-Presidente della Repubblica Camille Chamoun (Camille Sham ūn), nell'indifferenza (ma non si ebbe mai prova di complicità) dei siriani e perfino del gruppo palestinese filosiriano di al-Ṣā iqa, spararono sui profughi, donne e bambini compresi, per lo più (paradossalmente) di religione cristiana. A Beirut nel 1982, durante l'Operazione Pace in Galilea, si racconta che il 30 agosto un cecchino israeliano riuscisse ad inquadrare Arafāt col suo mirino ma che a salvargli la vita fosse l'ordine di sospendere la missione - dato all'ultimo minuto e mai spiegato - di Sharon, allora Ministro della Difesa. Nel 1985 il leader palestinese riuscì miracolosamente a sopravvivere al bombardamento (tutt'ora il più in profondità mai effettuato dall'Aviazione Israeliana) del proprio quartier generale a Tunisi, dove rimasero uccisi molti dei suoi antichi fratelli d'armi. Nel 1992 il suo jet precipitò nel Sahara libico. Nessuno, eccetto lui, riuscì a salvarsi. Sembra inoltre che Abū Ammār sia sfuggito ad altri due attentati e al ribaltamento della propria autovettura sulla strada per Baghdad, uscendone anche in questi casi senza nemmeno un graffio. Morte e sepoltura Gravemente - e misteriosamente - ammalato, Arafāt dovette lasciare - il 29 ottobre 2004 - il suo quartier generale della Muqāṭa a a Rāmallāh in Cisgiordania, per essere ricoverato presso il reparto di ematologia dell'Hôpital d'instruction des armées Percy (HIA Percy) alla periferia di Parigi. Il 4 novembre un repentino peggioramento - del già precario quadro clinico - lo fece precipitare in uno stato di coma profondo che portò, l'11 novembre 2004, alla dichiarazione rilasciata alla stampa mondiale dal comandante dell'ospedale militare francese, della constatazione - da parte dei medici della sopraggiunta morte cerebrale. Shimon Peres Shimon Peres (in ebraico: ;שׁמְעוֹן ֶפּרֶס ִ in arabo: Presidente d'Israele )سريب نوعمشnato con il nome di Shimon Perske, (Vishniev, 2 agosto 1923) è un politico israeliano, Presidente dello Stato d'Israele, eletto il 13 giugno 2007 ed entrato in carica il successivo 16 luglio. È stato capo del Partito laburista israeliano e vicepremier dello stato di Israele ed è stato primo ministro israeliano nei Shimon Peres periodi 1984-1986 e 1995-1996. È stato inoltre ministro degli Esteri israeliano nel Luogo di nascita Vishniev periodo 2001-2002 ed è diventato agli inizi del 2005 vice premier in una coalizione guidata da Data di nascita 2 agosto 1923 Ariel Sharon. Attualmente è Ministro per lo sviluppo del Negev, della Galilea e dell'Economia Luogo di morte Regionale, nonché secondo vice-Primo Ministro. Nel 1994 a Peres è stato assegnato il Premio Data di morte Nobel per la Pace insieme a Yitzhak Rabin e Yasser Arafat per i loro sforzi nel processo di pace nel Vicino Oriente, culminati con gli Mapai (1959-1965) Rafi (1965-1968) Accordi di Oslo. Nel 2005 lascia a sorpresa il Partito politico Partito Laburista (1968-2006) Partito Laburista per aderire al partito centrista Kadima (2006-) Kadima fondato da Sharon. Mandato Elezione 15 luglio 2007 Professione Politico Vicepresidente Predecessore Moshe Katsav Successore in carica Biografia Nascita e primi anni È nato a Vishniev, o Vishnievo (in polacco Wiszniew), quando questa città apparteneva ancora alla Polonia, da Yitzhak e Sara Perske. Il padre emigrò nel 1931 in Palestina e lo seguì nel 1934 la sua famiglia, poco prima dell'occupazione della Polonia da parte dei Nazisti, insediandosi a Tel Aviv. Scolarità Peres ha studiato alla Geula High School ("Gymnasium") di Tel Aviv e poi alla scuola agraria di Ben Shemen. Matrimonio È sposato con Sonya Gelman ed ha una figlia, Tzvia (Tziki) Walden-Peres, un'esperta in lingue, e due figli, Yoni (nato nel 1952) e Chemi, presidente di Pitango Venture Capital, un'importante società israeliana di venture capital. Peres è cugino di primo grado dell'attrice Lauren Bacall (il cui vero nome è Betty Joan Perske). Attività Carriera politica Peres ha trascorso diversi anni nel kibbutz Geva e nel kibbutz Alumot, di cui fu uno dei fondatori, qui venne scelto da Levi Eshkol tra gli organizzatori del movimento giovanile laburista Hanoar Haoved e nel 1943 ne venne eletto Segretario e fu delegato nel 1946 al 22esimo Congresso Mondiale Sionista dove incontrò David Ben-Gurion. Come si può vedere, Peres nella sua giovane età già era venuto a contatto con due importanti esponenti della vita politica israeliana, che saranno poi Premier, e soprattutto con Ben-Gurion trovò concordanza negli obiettivi politici come il programma di formazione di uno stato ebraico, tanto che Peres ne divenne un protetto. Militare Nel 1947 fu arruolato nell'Haganah(nucleo delle future Forze di Difesa Israeliane) scelto da BenGurion insieme ad altri giovani e venne nominato dallo stesso come responsabile per il personale e l'acquisto delle armi. Nel 1948, Shimon Peres divenne capo della marina israeliana durante la guerra di indipendenza del nuovo stato israeliano. Alla fine della guerra diventò direttore della delegazione del Ministero della Difesa negli Stati Uniti. Qui ebbe occasione di studiare alla NewYork School for Social Research e ad Harvard. Nel 1953 fu nominato anche Direttore Generale del Ministro della Difesa. Era incaricato dell'acquisto delle armi per il giovane Stato d'Israele. In questa carica ottenne diversi successi militari come la Campagna del Sinai, architettata insieme a Gran Bretagna e Francia.Peres in quegli anni puntò a stabilire una forte e avanzata industria militare israeliana, soprattutto nell'aeronautica con la Israeli Air Industries (IAI), per questo viene visto come il padre dell'industria hi-tech di questo paese.Gli sforzi di Peres furono ottimi in quanto riuscì ad acquisire dalla Francia il caccia Dassault Mirage III, un aereo militare a reazione, ed un reattore nucleare; era anche in trattative per il più avanzato Mirage 5, ma lo scoppio della guerra ed il successivo embargo bloccarono la vendita, e lo spionaggio israeliano procurò i piani di costruzione, che furono attuati dalla IAI nel caccia Nesher. Infatti Peres puntava ad un programma di sviluppo nucleare (anche militare) e convinse la Francia proprio a costruire segretamente questo reattore nucleare a partire dal 1957. Nel 1959 fu eletto alla Knesset (parlamento israeliano), come membro del Partito Mapai. Da questa data fino al 1965 lavorò al Ministero della Difesa fino a che fu implicato nell'affare Lavon con Moshe Dayan. Peres e Dayan lasciarono il Mapai del loro protettore, David Ben Gurion, per formare un nuovo partito, il Partito Rafi che poi si riconciliò con il Mapai nel 1968, ma quando Ben Gurion ormai non c'era più. Da tale fusione nacque l'attuale Partito Laburista Israeliano. Nel 1969 Peres venne nominato Ministro dell'Assorbimento e nel 1970 Ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni. La leadership di partito Dopo che Golda Meir aveva dato le dimissioni da Primo Ministro nel 1974 a causa delle conseguenze della Guerra del Kippur, Peres ebbe la prima possibilità di candidarsi come Premier, ma si trovò di fronte come rivale Yitzhak Rabin, collega di partito, ma eterno avversario nella leadership del Partito Laburista e, quindi, del Governo. Peres, in questa occasione, perse per 298 voti a 254 ma ottenne la carica di Ministro della Difesa nel governo Rabin, rimpiazzando Moshe Dayan, dopo un breve periodo come Ministro dell'Informazione. Tuttavia i rapporti tra i due uomini politici rimasero tesi per diversi anni e Peres continuò ad essere il maggiore rivale di Rabin. La sua attività diplomatica in questi anni fu molto viva: rinforzò e rivitalizzò le forze di difesa israeliane e partecipò ai negoziati di pace con l'Egitto. Fu tra i fautori del concetto di "Good Fence", promuovendo il miglioramento dei rapporti con i residenti del sud del Libano. Nel 1977 ottenne per la prima volta la carica di Primo Ministro, ma per breve periodo, ma ciò non avvenne in seguito a votazione ma dopo le dimissioni di Rabin conseguenti allo scandalo che aveva coinvolto la moglie, Leah Rabin, accusata di mantenere un conto bancario all'estero, in violazione alle regole monetarie vigenti in Israele. Ottenuta, quindi, la leadership di partito e di governo, questa non venne mai confermata dalle votazioni in quanto Peres subì una sconfitta elettorale sempre nel 1977. Era una sconfitta pesante perché era la prima volta che il Partito Laburista israeliano perdeva il potere dalla nascita dello stato d'Israele. Nel 1978, venne eletto vice-presidente dell'Internazionale Socialista. Peres subì una seconda sconfitta elettorale nel 1981. Le possibilità di vittoria vennero minate dall'attacco aereo dell'IAF israeliana al reattore nucleare iracheno di Osirak e da toni razzisti di un comico israeliano che sosteneva il Partito Laburista. Carriera di primo ministro Shimon Peres con Donald Rumsfeld All'inizio del 1981, Israele incominciò a soffrire di un'inflazione incontrollata a causa della guerra in Libano voluta da Ariel Sharon. Alle elezioni del 1984 Peres divenne Primo Ministro, ma, nonostante la maggioranza ricevuta dalle urne e a causa della grave situazione economica, si costituì una coalizione di governo formata dal Partito Laburista, dal partito avversario Likud di Yitzhak Shamir e da altri partiti minori. Peres dovette quindi alternarsi alla carica con il suo avversario: restò al potere fino al 1986. Peres fu comunque responsabile del sempre peggiore andamento dell'inflazione che crollò in brevissimo tempo. Dopo essersi alternato con il suo avversario alla carica di Premier, nel 1986, divenne Ministro degli Esteri prima e Ministro delle Finanze poi, nel 1988. Nel 1990 lasciò col suo partito la coalizione di governo dopo aver fallito nel tentativo di formare una nuova coalizione di minore portata con il Partito Laburista, con alcuni piccoli gruppi di sinistra e col partito Haredi. Nel governo di Unità Nazionale (1988-1990) Peres fu Vice Premier e Ministro delle Finanze. Nel periodo 1990-1992, guidò l'opposizione nella Knesset. Nel 1992 Peres venne sconfitto (di nuovo) alle prime elezioni primarie nella storia del Partito Laburista da Yitzhak Rabin, che lui stesso aveva sostituito anni prima. Rabin poi vinse le elezioni come Premier mentre Peres venne nominato Ministro degli Esteri dal 1992. Come era accaduto in passato, anche questa volta Peres sostituì il suo avversario di partito, succedendogli brevemente dopo l'assassinio nel 1995. Nel 1994, in seguito agli Accordi di Oslo, Shimon Peres raggiunse l'apice della sua carriera politica e gli fu assegnato il Premio Nobel per la Pace con Yitzhak Rabin e Yasser Arafat. È rimasto difensore deciso degli Accordi e dell'Autorità Palestinese dopo l'inizio delle due Intifada. Tuttavia sostenne la politica di Ariel Sharon di usare le forze armate israeliane per contrastare la guerriglia palestinese e per sradicarne l'infrastruttura politica e militare. Gli anni bui Peres venne sconfitto da Benjamin Netanyahu nelle prime elezioni dirette per il Primo Ministro nella storia di Israele nel 1996. In questi anni Shimon Peres è stato spesso "ambasciatore" non ufficiale di Israele, soprattutto quando si trovava all'opposizione, grazie al prestigio acquistato nell'opinione pubblica internazionale e negli ambienti diplomatici. Nel 1997 non si presentò alle nuove elezioni per la guida del Partito Laburista e venne perciò sostituito da Ehud Barak. Barak si oppose al tentativo di Peres di ricoprire la posizione di Presidente del Partito e, nel formare il nuovo governo nel 1999, gli fece assegnare un ruolo minore, come Ministro dello Sviluppo Regionale. Peres ha ricevuto un ulteriore duro colpo al suo prestigio quando la Knesset rifiutò la sua proposta di creare un Presidente di Israele in carica per sette anni. Il ritorno Dopo la sconfitta del Partito Laburista di Barak da parte di Ariel Sharon nelle elezioni del 2001, Peres ha costruito ancora una volta il suo ritorno sulle scene politiche sostituendo Barak alla leadership di partito. Ha guidato il Partito Laburista nel governo di Unità Nazionale con il Likud di Sharon, assicurandosi la carica di Ministro degli Esteri. La leadership formale del partito è passata quindi a Benjamin Ben-Eliezer e poi ad Amram Mitzna mentre a Peres non venivano risparmiate forti critiche legate alla sua posizione di Ministro degli Esteri in un governo che formalmente doveva puntare al processo di pace, ma che nella realtà lo ostacolava. Ha lasciato l'incarico quando il suo Partito si è ritirato poco prima delle elezioni del 2003, nelle quali ha subito una pesante sconfitta che ha costretto Mitzna al ritiro e Peres a ricoprire la carica di leader ad interim. Ha guidato il partito in un'ennesima coalizione con Sharon alla fine del 2004 quando si stava programmando il "disimpegno" israeliano dalla Striscia di Gaza. Presidente della Repubblica Il 13 giugno 2007 è stato eletto presidente dello Stato di Israele, con 86 voti a favore e 23 contrari al secondo scrutinio come unico candidato. Al primo scrutinio aveva ottenuto 58 voti contro i 37 raccolti dal candidato del Likud Reuven Rivlin e i 21 raccolti dalla candidata laburista Colette Avital; entrambe le candidature vennero ritirate dai partiti di appartenenza per favorire l'ascesa di Peres. Peres sarà così dal prossimo luglio nono presidente di Israele e con questa votazione ha cessato di essere membro della Knesset, conludendo una carriera parlamentare ininterrotta cominciata nel 1959. Linea politica Shimone Peres e la Rice Shimon Peres è uno dei più longevi politici israeliani. Fu inizialmente considerato un falco ed è cresciuto politicamente sotto le influenza di Ben-Gurion e di Dayan ma la sua posizione è andata cambiando dopo essere diventato leader del suo partito e nel confronto con Rabin. Più recentemente ha assunto il ruolo di colomba e ha fortemente appoggiato il concetto di una pace attraverso la cooperazione economica. Il dialogo con l'OLP e la ricerca di un "compromesso territoriale" sui territori di Gaza sono stati i suoi obiettivi politici, ma proprio questi obiettivi lo hanno allontanato dai coloni israeliani dei territori occupati. L'obiettivo di Peres, infatti, era quello di assicurare lo sviluppo economico al paese e comprendeva che ciò era possibile solo appianando i contrasti e le lotte interne anche a costo di concessioni impopolari. Nella sua lunga carriera diplomatica ha provato soprattutto a risolvere il problema di Gaza e per un certo tempo ha sperato che re Husayn di Giordania potesse essere un partner nei negoziati con gli Arabi e con Yasser Arafat. Peres lo incontrò segretamente a Londra nel 1987 e cercò una base di negoziazione con lui, ma il lavoro venne rigettato dall'allora Primo Ministro di Israele, Yitzhak Shamir. Ben presto scoppiò la prima Intifada e la plausibilità di re Husayn come partner di Israele nella risoluzione del problema di Gaza svanì. In seguito Peres si mosse sempre più verso un dialogo con l'OLP anche se evitò di prendere un impegno diretto in questa direzione fino al 1993. Il successo in questa direzione politica e diplomatica Peres lo ottenne con gli Accordi di Oslo a cui è sempre stato molto vicino più di qualsiasi altro politico di Israele (incluso Rabin) con la possibile eccezione del suo protetto, Yossi Beillin. È rimasto sempre coerente agli accordi e all'Autorità Palestinese anche durante la prima Intifada e la Seconda Intifada. Al contrario, Peres ha sempre appoggiato la politica militare di Ariel Sharon per una difesa israeliana contro i kamikaze palestinesi. In pratica accanto allo sviluppo economico e alla pacificazione della zona, Peres ha sempre puntato anche alla sicurezza interna ad ogni costo. L'immagine di Peres, come si comprende, è una strana commistione di sognatore visionario e di pragmatico opportunista. Un aspetto è quello percepito largamente a livello mondiale, l'altro è quello percepito dagli Israeliani. Nella pratica Peres sembra muoversi soprattutto su livelli diplomatici, comprendendo che l'azione dura e violenta verso i territori occupati non produce grossi risultati e che per difendere il nucleo dello stato d'Israele occorre fare delle concessioni a discapito dei coloni. Su questa base sembra prendere maggior piede la seconda visione e opinione sullo statista. A riprova di ciò è il fatto che Peres, operando come "comunicatore" informale di Israele grazie al suo prestigio e al rispetto che gode presso la pubblica opinione internazionale, ha sempre difeso le azioni di polizia israeliana e il muro di Gaza contro le critiche internazionali e le accuse alla politica israeliana. Nel 2006 Shimon Peres insieme a Sharon fonda il partito centrista Kadima. Premi ed interessi Ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 1994 insieme a Yasser Arafat e Yitzhak Rabin. Shimon Peres è interessato alle nanotecnologie. Nel 1997 ha fondato il "Peres Center for Peace". Yitzhak Rabin Yitzhak Rabin o Yitschak Rabin (Gerusalemme, 1 marzo 1922 – Tel Aviv, 4 novembre 1995) è stato un politico e militare israeliano, assassinato nel 1995, ed è stato il primo capo del governo di Israele ad essere nato sul territorio del proprio Stato, a Gerusalemme. Biografia Di formazione agricolo-militare, tipica della comunità (Yishuv) israeliana negli anni del Mandato britannico, Rabin fu tra i fondatori del Palmach (acronimo di Pelugot Machaz, "squadre d' assalto") che contribuirono in maniera decisiva alla costituzione dell'esercito del futuro Stato di Israele (le IDF). Fu comandante della brigata Harel che tenne Gerusalemme Nuova durante la guerra di indipendenza del 1948. Yitzhak Rabin con Yāser Arafāt e Bill Clinton il 13 settembre 1993 Rimasto nell'esercito dopo la costituzione dello Stato, divenne Capo di Stato Maggiore dell'esercito nel periodo della guerra dei sei giorni, e si deve a lui, assieme a Moshe Dayan, la concezione di attacco che portò alla distruzione a terra dell'intera forza aerea egiziana e siriana. Lasciato l'esercito nel 1968, fu nominato ambasciatore di Israele negli Stati Uniti d'America. Rientrato per fine mandato, partecipò come ministro al governo Meir e nel 1974 formò un proprio governo. Fu sua la decisione di autorizzare la missione di salvataggio di Entebbe. Uscito dal governo a seguito della sconfitta elettorale del 1977, rimase nella Knesset e rientrò nel governo di unità nazionale del 1984 come ministro della Difesa. Nel 1992 tornò a capo del governo, e in quanto tale firmò nel 1993 gli accordi di Oslo, in seguito ai quali fu insignito del Premio Nobel per la pace unitamente al ministro degli esteri israeliano, Shimon Peres, e al presidente della futura Autorità Nazionale Palestinese, Yāser Arafāt. Venne assassinato il 4 novembre 1995 da Ygal Amir, un colono ebreo estremista, durante un comizio politico a Tel Aviv.