Viaggio in Israele e Palestina

Striscia di Gaza - Cisgiordania
Qita Ghazzah - Ad Daffah al Gharbiyah
Superficie: 6.165 Km² (Cisgiordania 5.800 Km², Striscia di Gaza 365 Km²)
Abitanti: 3.269.000 (stime 2001, Cisgiordania 2.091.000, Striscia di Gaza 1.178.000)
Densità: 530 ab/Km² (Cisgiordania 361 ab/km², Striscia di Gaza 3.227 ab/Km²)
Forma di governo: Governo provvisorio affidato alla Palestinian Authority
Capitale: Altre città: Gaza 295.000 ab.
Gruppi etnici: Palestinesi
Paesi confinanti: Israele a NORD, OVEST e SUD (Cisgiordania) e ad EST (Striscia di Gaza),
Giordania ad EST (Cisgiordania), Egitto a SUD-OVEST (Striscia di Gaza)
Monti principali: Tall Asur 1022 m
Fiumi principali: Giordano 253 Km (tratto palestinese, totale 360 Km)
Laghi principali: Mar Morto 1020 Km² (totale, comprese parti giordana e israeliana)
Isole principali: Clima: Mediterraneo - arido
Lingua: Arabo, Ebraico, Inglese
Religione: Musulmana 97%, Cristiana 3%
Moneta: Nuovo Sheqel d'Israele, Dinaro giordano
Turismo in PALESTINA
Per recarti in PALESTINA e' neccessario il passaporto in corso di validità. il visto non è
necessario fino a 90 giorni di permanenza.
Nome in lingua locale:
As-Solta Al-Wataniya Al-Filastiniya
Governo:
Democrazia parlamentare
Superficie (Km²):
6220
Popolazione:
3702212
Densità della pop. (abitanti per Km²):
595
Capitale:
Gerusalemme Est
Lingue utilizzate:
Arabo, Ebraico, Inglese
Religioni:
Musulmana 97%, Cristiana 3%
Gruppi etnici:
Palestinesi
Moneta:
Nuovo Shekel
Fuso orario:
+2
Prefisso telefonico:
+972
Corrente elettrica:
nd
Ambasciate e consolati in loco:
Sede di Gerusalemme ovest (zona ebraica)
29 November str. n. 16 (Katamon)
Gerusalemme Ovest
Tel. 00972 2 5618966 (ufficio consolare e visti)
Tel. 00972 2 5618977 (centralino)
Fax 00972 2 5618944 / 5619190
Numero di emergenza 00972 (0) 505 327166
Trade Tower Building
25, Hamered Street - 21° piano
68125 Tel Aviv
Israele
Tel.: +972 3 5104004
Ambasciate e consolati in Italia:
Delegazione Generale Palestinese
P.zza S. Giovanni in Laterano, 72
00184 Roma
Tel. 06 7005041
5100080
5104224
Fax: +972 3 5100235
Autorità Nazionale Palestinese
Autorità Nazionale
Palestinese
L'Autorità Nazionale Palestinese (arabo:
‫ةينيطسلف ةينطو ةطلس‬, Sulta Wataniyya
Filastīniyya), in sigla ANP, è un'istituzione
stabilita per disciplinare il controllo di
determinate aree nella Striscia di Gaza ed in
Cisgiordania.
Caratteristiche
L'Autorità nazionale palestinese è stata
costituita nel 1994, in applicazione degli
accordi di Oslo tra l'Organizzazione per la
Liberazione della Palestina (OLP) e il
governo di Israele. Secondo gli accordi,
Cisgiordania e Striscia di Gaza sarebbero
state divise in tre zone:
Zona A - pieno controllo dell'Autorità
palestinese.
Zona B - controllo civile palestinese e
controllo israeliano per la sicurezza.
Zona C - pieno controllo israeliano, eccetto
che sui civili palestinesi. Questa zona
comprendeva gli insediamenti israeliani e le
zone di sicurezza senza una significativa
popolazione palestinese.
Gerusalemme Est è stata esclusa dagli accordi.
Densità:
Nome ufficiale:
Lingue ufficiali:
Continente:
Generalità
Geografia
Politica
Arabo
Asia
Disputata:
UTC
+2
Gerusalemme Est
(reclamata) - Ramallah
(de facto)
Sterlina
egiziana
(409,680
ab. / 2008)
Siclo
israeliano
Dinaro giordano
Varie
5.550
milioni di $ (º)
Repubblica
presidenziale 1.500$
Cisgiordania
Striscia
Gaza 660
MahmuddiAbbas
$ (º)
Salam Fayyad
Ismail Hanyeh (Striscia
di Gaza)
Fuso orario:
Capitale:
Economia
Valuta:
PIL (PPA) (2005):
Forma di governo:
PIL
procapite (PPA) ():
Presidente:
Energia:
Primo Ministro:
TLD:
Proclamazione:
Prefisso tel.:
Ingresso nell'ONU:
Sigla autom.:
Inno nazionale:
Totale:
% delle acque:
Stato precedente:
Totale (2007):
Densità:
ab./km²
(al-Sulta al-Wataniyya
al-Filastīniyya)
Superficie
13 settembre 1993,
.ps
Accordi di Oslo
+970
osservatore dal 1993
PS
Biladī (Patria mia)
km² (º)
Evoluzione storica
%
Israele
Popolazione
4.148.000 ab. (º)
ab./km²
Storia
L'ANP è una filiale dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Questa in origine era l'unica
entità politica a rappresentare il popolo palestinese, nei primi decenni di lotta contro Israele, a livello
internazionale tra gli anni '60 e '90. Inoltre, è l'OLP, e non l'Autorità nazionale palestinese, che gode di
riconoscimento internazionale come l'organizzazione che rappresenta il popolo palestinese. Sotto il nome
"Palestina", l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina ha uno status di osservatore presso le
Nazioni Unite (ONU) dal 1974. Dopo la dichiarazione d'indipendenza palestinese del 1988, l'OLP in
rappresentanza presso le Nazioni Unite è stato rinominato in Palestina. Con l'apertura di un processo
negoziale, l'OLP riconosceva lo Stato di Israele come possibile interlocutore dei negoziati di pace (anche se
la carta fondamentale dell'OLP, in realtà, mantenne a lungo la clausola per la distruzione dello Stato
Sionista). In cambio delle concessioni palestinesi - rinuncia al terrorismo, accettazione dell'esistenza di uno
stato ebraico e politica del negoziato - da parte di Israele vi fu il riconoscimento con cui si concedeva alle
forze palestinesi di esercitare alcuni poteri sui Territori Occupati, cioè di amministrare autonomamente la
maggior parte delle città della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Israele tuttora non riconosce a questo
organismo lo stesso rango di un governo di uno Stato vero e proprio, non potendo l'ANP prendere decisioni
in materia di politica estera e non potendo organizzare un suo esercito. L'Autorità possiede forze di polizia
con armamento rigorosamente limitato e non ha un pieno controllo sul territorio né sulle vie di
comunicazione né su quelle di trasporto. Il governo palestinese amministra gli affari interni delle città,
mentre agli israeliani è rimasto il controllo generale del territorio. L'Autorità Nazionale ha organi legislativi
con poteri sovrani, in particolare il Consiglio Legislativo Palestinese (o Parlamento palestinese) con sede a
Rāmallah, i cui membri sono eletti dai cittadini. È dotato anche di cariche elettive con potere esecutivo che
lo rendono uno stato de facto (in particolare le cariche di Presidente e di Primo Ministro), alle dipendenze
degli uffici dell'ANP vi sono inoltre diverse agenzie di sicurezza, di fatto organismi di polizia ai cui vertici
vi sono personalità politiche. Alcune di queste forze armate sono nate informalmente in modo para-statuale e
non erano originariamente previste. Il quadro di deterioramento dei rapporti fra israeliani e palestinesi ha
contribuito a modificare i caratteri originari dell'ANP: l'Autorità è divenuto in seguito un ente più "armato"
del previsto e politicamente più complesso, si sono interrotti i rapporti di collaborazione con Israele e sono
saltati gli accordi fra le parti. La diaspora palestinese, che risiede al di fuori della Cisgiordania e della
Striscia di Gaza, che costituisce la maggioranza del popolo palestinese, non può votare alle elezioni dei
membri dell'Autorità nazionale palestinese.
Politica
Cariche
Presidente
Mahmud Abbas
Fatah
15 gennaio 2005
Primo Ministro
Salam Fayyad
La Terza Via
15 giugno 2007
Ministro degli Esteri
Riyad al-Maliki
FPLP
15 giugno 2008
Ministro dell'Interno
Abd Allah Taysir Dawud
Indipendente
15 giugno 2007
Primi Ministri passati:
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Mahmud Abbas: 19 marzo 2003 - 7 ottobre 2003
Ahmad Qurei: 7 ottobre 2003 - 15 dicembre 2005
Nabil Shaath: 15 dicembre 2005 - 24 dicembre 2005
Ahmad Qurei: 24 dicembre 2005 - 19 febbraio 2006
Ismail Haniya: 19 febbraio 2006 - 14 giugno 2007
Presidenti passati:
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Yasser Arafat: 5 luglio 1994 - 11 novembre 2004
Rawhi Fattuh (attuale): 11 novembre 2004 - 15 gennaio 2005
Ministri degli esteri passati:
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Yasir Ahmadi: 3 aprile 2003Mahmud al-Zahar: 20 marzo 2006 - 14 giugno 2007
Ministri dell'interno passati:
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Hakam Balawi: Novembre 2003 - Febbraio 2005
Nasser Yusef: Febbraio 2005 - Marzo 2006
Sa'id Seyam: Marzo 2006 - Marzo 2007
Talab al-Qawasmi: Marzo 2007 - Giugno 2007
Attuale governo
Nel 2004, alla sua morte, ad Arafāt è succeduto come Presidente dell'ANP, Abū Māzen (Muhammad
Abbās) che batté col 62,3% dei voti il medico Muṣṭafà Barghūthī che si era presentato come candidato
indipendente ed ebbe il 19,8% dei voti. L'Autorità Nazionale Palestinese dispone di un posto di osservatore
all'ONU, ma non di un seggio permanente, del quale invece fruisce nell'ambito della Lega degli Stati Arabi.
Divisioni amministrative
Dopo la firma degli accordi di Oslo la Cisgiordania e la Striscia di Gaza sono state divise in aree (A, B, e C)
e governorati.
Zone sotto il controllo ANP (aree A e B in verde)
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Area A è l'area sotto il controllo civile e di sicurezza dell'ANP.
Area B è l'area sotto il controllo civile dell'ANP e di Israele per quanto riguarda la sicurezza.
Area C è l'area sotto il controllo integrale di Israele.
Dalla battaglia di Gaza (2007) la Striscia di Gaza è sotto il controllo di Hamas[1]
L'ANP ha diviso i territori palestinesi in 16 governorati
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Governatorato di Jenin
Governatorato di Tubas
Governatorato di Nablus
Governatorato di Tulkarm
Governatorato di Salfit
Governatorato di Qalqilya
Governatorato di Ramallah e al-Bireh
Governatorato di Gerico
Governatorato di Gerusalemme
Governatorato di Bethlehem
Governatorato di Hebron
Governatorato di Gaza nord
Governatorato di Gaza
Governatorato di Deir el-Balah
Governatorato di Khan Yunis
Governatorato di Rafah
Critiche dei media occidentali
Il Governo palestinese di Arafāt fu oggetto critica nel mondo politico occidentale, per non aver saputo
contrastare efficacemente alcune organizzazioni che i governi europei considerano filo-terroristiche (come il
movimento islamico Ḥamās), e per il fatto di comandare milizie extra-statali come le Brigate dei Martiri di
al-Aqsa. Elementi di critica sono altresì anche il livello di nepotismo e la diffusa corruzione interna, la scarsa
trasparenza nella gestione di fondi internazionali ricevuti. Dopo lo scoppio della Seconda Intifāḍa, nel 2000,
l'esercito israeliano compì manovre di rioccupazione in tutte le città palestinesi e su gran parte del territorio.
Il governo israeliano e l'ANP si lanciavano accuse di crimini reciproci, di non agire contro organizzazioni
politiche e terroristiche da un lato, di violenze e atti illegali - come avveniva per la costruzione di
insediamenti e arresti - dall'altro. La destra politica e religiosa israeliana accusò Yasser Arafāt di essere un
mandante morale di atti terroristici, anche per il fatto che alcuni attentati suicidi erano stati compiuti da
membri di organizzazioni giovanili legate ad al-Fatḥ (principale ala militare dell'ex-OLP). Occorre dire, che
non è stato dimostrato quanto fosse concreto il grado di coinvolgimento del Presidente Arafāt, o quanto
altre personalità dell'ANP fosse consapevoli e attivamente responsabili in fatti criminali. Ulteriori lamentele
israeliane riguardavano la politica culturale, tendente favorire un clima di odio anti-israeliano, come per il
caso di libri di testo scolastici o di programmi televisivi che incitavano al martirio e materiali simili.
Peraltro, accuse di attività ostili identicamente motivate, per fatti illegali o violenti, dirette contro il Governo
Israeliano, erano analoghe dall'altra parte. La dirigenza palestinese formalmente ha sempre sostenuto la
contrarietà alle attività terroristiche compiute da movimenti religiosi, quali Hamas. Molte azioni compiute da
questi gruppi - specialmente gli attentati contro civili che ebbero inizio negli anni '90 - in effetti erano
chiaramente orientate a colpire politicamente il governo dell'ANP, quindi erano contro lo stesso Arafāt.
Tuttavia, negli anni della Seconda Intifada l'ANP ammetteva una posizione di parziale impotenza, non
avendo più la forza politica per evitare una radicalizzazione del fenomeno, reso incontrollabile a causa della
politica di occupazione e aggressione perseguita dai governi israeliani. Inoltre, gran parte degli strumenti di
controllo dell'ANP (prigioni, caserme di polizia) furono distrutte dagli attacchi israeliani, tra il 2001 e il
2002, annullando i poteri reali del governo palestinese. Nel 2006, l'Autorità Nazionale ha infine
definitivamente perso il controllo politico della Striscia di Gaza, che ora viene governata da un esecutivo di
Hamas. La situazione mostra oggi di fatto il collasso del potere territoriale dell'Autorità Palestinese.
Conflitti arabo-israeliani
Conflitto arabo-israeliano
Israele e i membri della Lega araba
██ Lega araba
██ Israele
██ Paesi stati in guerra
contro Israele
██ Striscia di Gaza e
Cisgiordania
Data:
Luogo:
Esito:
Inzio XX secolo - oggi
Medio Oriente
Schieramenti
Israele
Vari stati e movimenti
arabi
Il conflitto arabo-israeliano (arabo: ‫عارصلا‬
‫ يليئارسإلا يبرعلا‬, al-Sirā al- arabi alisrā īlī , in ebraico: ‫)]?[ יברע ילארשיה ךוסכסה‬,
abbraccia circa un secolo di tensioni politiche e di
ostilità, sebbene lo stato di Israele sia stato istituito
solo 60 anni fa. Esso riguarda la creazione del
movimento sionista e la successiva creazione del
moderno Stato di Israele nel territorio considerato
dal movimento panarabo come appartenente ai
palestinesi, siano essi musulmani, cristiani, drusi o
altri, e che il popolo ebraico considera la sua patria
storica. Il conflitto, iniziato come un scontro politico
su ambizioni territoriali a seguito della decimazione
dell'impero ottomano, si è tramutato nel corso degli
anni da conflitto arabo-israeliano ad uno più regionale
conflitto israelo-palestinese, anche se il mondo arabo
e Israele restano generalmente in contrasto gli uni con
gli altri sullo status di questo territorio.
Contestualizzazione geo-politica
Al fine di comprendere a pieno tutte quelle dinamiche che, nel corso del Novecento, hanno dato vita alla
cosiddetta "questione palestinese", è innanzi tutto necessario contestualizzare geograficamente e
storicamente la regione teatro di tali eventi e, più in generale, quella vicino-orientale. Con Vicino Oriente
(meno precisamente Medio Oriente) si indica convenzionalmente quella zona compresa tra il Mar
Mediterraneo, l'Oceano Indiano e il Golfo Persico, all’interno della quale vivono numerose etnie, la maggior
parte delle quali è accomunata dalla professione della religione islamica. Tale zona fu per molti secoli parte
integrante dell'Impero Ottomano, che si caratterizzò per una politica tendenzialmente sovranazionale, in
grado di garantire una discreta autonomia ai diversi gruppi etnici che lo componevano. La zona assunse
straordinario valore strategico (sia economico sia militare) a partire dal 1869, anno in cui fu aperto il canale
di Suez: straordinaria opera ingegneristica che avvicinava l'Oriente all'Occidente. Oltre a questo, nella prima
metà del XX secolo, furono scoperti immensi giacimenti petroliferi in tutta l'area e ciò rese ancora più
interessante il territorio vicino-orientale per le potenze europee che, bisognose di quell'elemento per la loro
crescente industria, approfittarono dei numerosi segni di fragilità dell'Impero Ottomano, nonché dell'esito del
primo conflitto mondiale per colonizzare l’intera area, imponendo un'occupazione militare di fatto, atta a
garantire lo sfruttamento della zona da parte delle società europee. I conflitti non si sono fermati. Tali popoli,
già uniti dalla comune religione islamica, svilupparono dunque una forte identità nazionale (spesso
nazionalistica) in risposta all'occupazione dello straniero (visto anche, con una certa superficialità, come
cristiano), risvegliando così antichi rancori che taluni vollero collegare con una buona dose di fantasia con
l'antico periodo crociato. Di quest'area dell'Oriente islamico, la Palestina fa parte a pieno titolo. Identificabile
come l'area compresa tra il Mar Mediterraneo e il Mar Morto, l'Egitto e la Siria, essa ospita tra l'altro
un'importantissima città come Gerusalemme, sacra per tre importanti religioni monoteistiche, di cui ospita
molti luoghi ed edifici sacri. Come buona parte del Vicino Oriente, anche la Palestina ha dovuto subire
l'occupazione britannica - formalmente un Mandato della Società delle Nazioni ma, in realtà, frutto degli
accordi franco-britannici Sykes-Picot rivelati dal nuovo governo sovietico l'indomani della Rivoluzione - a
causa della sua rilevanza economica e strategica derivante dalla vicinanza con l'Egitto e il canale di Suez
nonché con l'area siro-libanese assegnata invece in Mandato alla Francia. Le popolazioni che vivono in tale
zona sono da secoli a forte maggioranza araba ma al termine del XIX secolo e, sempre più consistentemente
nei primi anni del XX secolo, fu consentito (dapprima dall'Impero Ottomano e poi dalla Gran Bretagna)
l'insediamento di colonie ebraiche, molte delle quali guadagnate alla causa sionista. A partire dagli anni
trenta del XX secolo, e ancor più dopo il termine del II conflitto mondiale e la tragedia dell'Olocausto, la
Palestina vide fortemente alterata la sua composizione demografica, con la minoranza ebraica avviata a
diventare maggioranza grazie all'acquisto di terreni reso possibile dai fondi concessi ai profughi ebrei
sfuggiti alla persecuzione nazista. Nel 1948, a seguito di un'apposita risoluzione delle Nazioni Unite, su tali
terre fu dichiarato lo Stato di Israele, con una prima emigrazione araba palestinese verso le nazioni limitrofe,
fortemente incrementata in seguito alla sconfitta patita nel primo conflitto arabo-israeliano, scatenato
l'indomani della dichiarazione d'indipendenza israeliana dagli Stati arabi dell'Egitto, della Siria, del Libano,
della Transgiordania e dell'Iraq.
Gli albori del problema israelo-palestinese
Sul finire del XIX secolo il territorio palestinese faceva parte dei vilayet (governatorati) siriani dell'Impero
Ottomano ed era a sua volta suddivisa in due Sangiaccati (province ottomane). Già nel 1887, Gerusalemme
aveva ottenuto una forma di autonomia dall'Impero Ottomano, a dimostrazione della sua politica sovraetnica
e sovraculturale. All'epoca gli Ebrei costituivano un'esigua minoranza (24.000 persone), integrata con le
altre comunità etnico-religiose e, più in generale, con la situazione culturale del luogo. Intorno alla metà del
secolo si era però messo in moto il progetto ebraico mirante a porre fine alla propria millenaria diaspora,
frutto di innumerevoli persecuzioni, e a riunificare la nazione permettendo il suo ritorno alla "terra
promessa", citata dalla Bibbia, dalla quale era stata espulsa dall'Imperatore romano Tito. Tale progetto venne
per la prima volta definito "Sionismo" nel 1890, dal nome del colle Sion dove sorgeva la rocca di David,
metafora del nuovo Stato ebraico. Principale esponente e promotore di tale iniziativa fu Theodor Herzl che,
allo scopo di creare un "rifugio" per tutti gli ebrei del mondo, avviò un'intensa attività diplomatica al fine di
trovare appoggi finanziari e politici a quell'arduo progetto. Inizialmente come possibile sede di tale Stato fu
presa in considerazione anche la vasta e spopolata pampa argentina e, più tardi l'Ogaden in Kenya, che però
non rispondevano al forte desiderio religioso dell'Ebraismo di tornare nei suoi luoghi santi, lasciati ormai da
diversi secoli (va ricordato che perfino i nazisti, seppur per motivi razziali, pensarono inizialmente a
un'operazione di trasferimento in una terra lontana: il Madagascar, così come i Sovietici avevano creato la
remota Oblast' autonoma ebraica del Birobidžan per insediarvi i loro concittadini israeliti). Nell'ambito di
questa volontà, parte del movimento sionista (soprattutto il sionismo cristiano), per giustificare l'esistenza di
un futuro stato ebraico in loco, sovente si rifaceva allo slogan "A Land Without People for a People Without
Land" ("Una terra senza popolo, per un popolo senza terra"), frase coniata nella metà XIX secolo da Lord
Anthony Ashley Cooper, settimo Conte di Shaftesbury (politico inglese dell'era vittoriana), che venne però
spesso interpretata non nell'accezione originale (secondo cui la Palestina, sotto il dominio ottomano, non
aveva nessuna popolazione che mostrasse aspirazioni nazionali specifiche), ma come la (errata) negazione
della presenza di una significativa popolazione preesistente all'arrivo dei primi coloni ebrei.[1] [2] [3] Grazie
all'appoggio della Gran Bretagna (che vedeva di buon occhio la possibilità di insediamenti nella zona di
popolazioni provenienti dall'Europa) e alla grande disponibilità economica di cui godevano alcuni settori
delle comunità ebraiche della diaspora (il popolo ebraico era stato costretto per secoli a specializzarsi nelle
cosiddette professioni "liberali" e, quindi, a dedicarsi anche al commercio e alle attività economicofinanziarie, con l'occupazione non di rado di importanti cariche in istituti bancari e società d'intermediazione
finanziaria), Herzl organizzò il primo convegno sionista mondiale a Basilea nel 1897 e in esso furono poste
le basi per la graduale penetrazione ebraica in Palestina, grazie all'acquisto da parte dell'Agenzia Ebraica di
terreni da assegnare a coloni ebrei originari dell'Europa e della Russia, per poter poi conseguire la necessaria
maggioranza demografica e il sostanziale controllo dell'economia che potessero giustificare la
rivendicazione del diritto a dar vita a un'entità statale ebraica. A partire dall'inizio del '900 la popolazione
arabo-palestinese, sentendosi minacciata dalla crescente immigrazione ebraica, dette vita intanto a
movimenti nazionalistici che miravano a stroncare sul nascere quella che era considerata una vera e propria
minaccia d'origine straniera. La situazione si protrasse così, tra momenti di tensione e di distensione tra le
due fazioni, fino al primo conflitto mondiale e alla conseguente caduta dell'Impero Ottomano.
La svolta del 1947 e la nascita dello Stato israeliano
Nel 1947 la Gran Bretagna, provata dalla guerra mondiale e da una serie di attentati, tra cui l'attentato
sionista dell'Hotel "King David" di Gerusalemme (organizzato dai futuri primi ministri israeliani Menachem
Begin e David Ben Gurion anche se quest'ultimo cambio' idea prima che l'attentato fosse compiuto temendo
troppe vittime tra i civili) e dell'Ambasciata britannica a Roma, decise di rimettere il Mandato palestinese
nelle mani delle Nazioni Unite, cui venne affidato il compito di risolvere l’intricata situazione. L’ONU
dovette quindi affrontare la situazione che dopo trent’anni di controllo britannico era diventata pressoché
ingestibile, visto che oramai la popolazione ebraica costituiva un terzo dei residenti in Palestina, anche se
possedeva solo una minima parte del territorio (circa il 7% del territorio, contro il 50% della popolazione
araba e il restante in mano al governo britannico della Palestina [1]). Il 15 maggio 1947 fu fondato quindi
l'UNSCOP (United Nations Special Committee on Palestine), comprendente 11 nazioni (Canada,
Cecoslovacchia, Guatemala, Olanda, Peru, Svezia, Uruguay, India, Iran, Repubblica Socialista Federale di
Jugoslavia, Australia) da cui erano escluse le nazioni "maggiori", per permettere una maggiore neutralità.
Sette di queste nazioni (Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Olanda, Perù, Svezia, Uruguay) votarono a
favore di una soluzione con due Stati divisi e Gerusalemme sotto controllo internazionale, tre per un unico
stato federale (India, Iran, Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia), e una si astenne (Australia). Il
problema chiave che l’ONU si pose in quel periodo fu se i rifugiati europei scampati alle persecuzioni
naziste dovessero in qualche modo dover essere ricollegati alla situazione in Palestina. Nella sua relazione
[2] l'UNSCOP si pose il problema di come accontentare entrambe le fazioni, giungendo alla conclusione che
era "manifestamente impossibile", ma che era anche "indifendibile" accettare di appoggiare solo una delle
due posizioni:
L'UNSCOP raccomandò anche che la Gran Bretagna
(IT)
cessasse il prima possibile il suo controllo sulla zona,
« Ma la commissione ha anche realizzato che il
sia per cercare di ridurre gli scontri tra la
punto cruciale della questione palestinese deve
popolazione di entrambe le etnie e le forze
essere individuato nel fatto che due considerevoli
britanniche, sia per cercare di porre fine alle
gruppi, una popolazione araba con oltre
numerose azioni terroristiche portate avanti dai
1.200.000 abitanti e una popolazione ebraica con
gruppi ebraici. La definitiva risposta delle Nazioni
oltre 600.000 abitanti con un'intensa aspirazione
Unite alla questione palestinese fu data il 25
nazionale, sono sparsi in un territorio che è arido,
novembre 1947 con l’approvazione della risoluzione
limitato, e povero di tutte le risorse essenziali. È
181, che raccomandava la spartizione del territorio
stato pertanto relativamente facile concludere che
conteso tra uno Stato palestinese, uno ebraico e una
finché entrambi i gruppi manteranno costanti le
terza zona, che comprendeva Gerusalemme,
loro richieste è manifestamente impossibile in
amministrata direttamente dall’ONU.Nel decidere su
queste circostanze soddisfare interamente le
come spartire il territorio l'UNSCOP considerò, per
richieste di entrambi i gruppi, mentre è
evitare possibili rappresaglie da parte della
indifendibile una scelta che accettasse la totalità
popolazione araba, la necessità di radunare tutte le
delle richieste di un un gruppo a spese
zone dove i coloni ebraici erano presenti in numero
dell'altro. »
significativo (seppur spesso in minoranza [3] ) nel
futuro territorio ebraico, a cui venivano aggiunte
diverse zone disabitate (per la maggior parte desertiche) in previsione di una massiccia immigrazione
dall'Europa, una volta abolite le limitazioni imposte dal governo britannico nel 1939, per un totale del 56%
del territorio.
La situazione sarebbe dunque stata ([4]):
Territorio
Popolazione
araba
%
Arabi
Popolazione
ebraica
%
Ebrei
Popolazione
Totale
Stato Arabo
725.000
99%
10.000
1%
735.000
Stato Ebraico
407.000
45%
498.000
55%
905.000
Zona
Internazionale
105.000
51%
100.000
49%
205.000
Totale
1.237.000
67%
608.000
33%
1.845.000
(oltre a questo era presente una popolazione Beduina di 90.000 persone nel territorio ebraico).
Le reazioni alla risoluzione dell'ONU furono diversificate: la maggior parte dei gruppi ebraici ( l'
Agenzia Ebraica per esempio ) l'accettò, pur lamentando la non continuità territoriale tra le varie aree
assegnate allo stato ebraico. Gruppi più estremisti, come l'Irgun e la Banda Stern, la rifiutarono,
essendo contrari alla presenza di uno Stato arabo in quella che era considerata "la Grande Israele" e
al controllo internazionale di Gerusalemme. Tra i gruppi arabi la proposta fu rifiutata, ma con
diverse motivazioni, alcuni negavano totalmente la possibilità della creazione di uno stato ebraico,
altri criticavano la spartizione del territorio che ritenevano avrebbe chiuso i territori assegnati alla
popolazione araba (oltre al fatto che lo Stato arabo non avrebbe avuto sbocchi sul Mar Rosso e sul
Mar di Galilea, quest'ultimo la principale risorsa idrica della zona), altri ancora erano contrari per
via del fatto che a quella che per ora era una minoranza ebraica (un terzo della popolazione totale)
fosse assegnata la maggioranza del territorio (anche se la commissione dell'ONU aveva preso quella
decisione anche in virtù della prevedibile immigrazione di massa dall'Europa dei reduci delle
persecuzioni della Germania nazista). La Gran Bretagna si astenne nella votazione e rifiutò
apertamente di seguire le raccomandazioni del piano, che riteneva si sarebbe rivelato inaccettabile
per entrambe le parti e annunciò che avrebbe terminato il proprio mandato il 15 maggio 1948. Il 29
novembre 1947 venne votata la risoluzione, a favore votarono 33 nazioni (Australia, Belgio,
Bolivia, Brasile, Bielorussia, Canada, Costa Rica, Cecoslovacchia, Danimarca, Repubblica
Domenicana, Ecuador, Francia, Guatemala, Haiti, Islanda, Liberia, Lussemburgo, Olanda, Nuova
Zelanda, Nicaragua, Norvegia, Panama, Paraguay, Perù, Filippine, Polonia, Svezia, Sud Africa,
Ucraina, USA, URSS, Uruguay, Venezuela), contro 13 (Afghanistan, Cuba, Egitto, Grecia, India,
Iran, Iraq, Libano, Pakistan, Arabia Saudita, Siria, Turchia, Yemen), vi furono 10 astenuti
(Argentina, Cile, Cina, Colombia, El Salvador, Etiopia, Honduras, Messico, Regno Unito,
Jugoslavia) e un assente alla votazione (Thailandia).
Voti favorevoli (verde), contrari (marrone), astenuti (giallo) e assenti (rosso) alla risoluzione 181
Le nazioni arabe fecero ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia, sostenendo la non competenza
dell'assemblea delle Nazioni Unite nel decidere la ripartizione di un territorio andando contro la volontà della
maggioranza dei suoi residenti, ma il ricorso fu respinto. La decisione delle Nazioni Unite fu seguita da
un’ondata di violenze senza precedenti da parte dei gruppi militari e paramilitari sionisti (Haganah, Palmach,
Irgun e Banda Stern), che precipitò nel caos la Palestina nel 1948, in questo aiutati dalla propaganda
bellicosa di segno contrario di leader politico-religiosi quali il Mufti di Gerusalemme Hajji Amin al-Husayni.
Nel medesimo anno Londra ritirò - forse prematuramente - le proprie truppe, lasciando così il Paese in balia
del caos e dei gruppi paramilitari. Le organizzazioni combattenti israeliane (che miravano a conquistare il
maggior territorio possibile per il proprio Stato, inducendo alla fuga ed espellendo i residenti arabi) e le forze
arabe (che miravano a conquistare la totalità del territorio assegnato all'etnia ebraica, di fatto espellendola e
bloccando ogni futura immigrazione) si scontrarono così col massimo della violenza e dell'odio reciproco, il
tutto ai danni dell'indifesa popolazione rurale e urbana palestinese di entrambe le etnie. ([5]). Il 14 maggio
1948, contestualmente al ritiro degli ultimi soldati britannici, David Ben Gurion, capo del governo ombra
sionista, proclamò l’indipendenza dello "Stato ebraico in terra di Israele", affermando nella dichiarazione di
indipendenza di lanciare un appello ... agli abitanti arabi dello Stato di Israele volto a preservare la pace ed
a partecipare alla costruzione dello Stato sulla base di piena e indistinta cittadinanza e legale
rappresentanza in tutte le istanze, temporanee e permanenti. ... Lo Stato di Israele è pronto a fare la propria
parte in uno sforzo comune per il progresso dell'intero Medio Oriente.
Le guerre arabo-israeliane
La guerra del 1948
La nascita ufficiale dei due Stati in Palestina era stata fissata dall’ONU nel 1948, ma essa non ebbe mai
luogo. Infatti, non appena i britannici ebbero lasciato la zona, la Lega Araba, che non aveva accettato la
risoluzione dell'ONU, scatenò una guerra "di liberazione" contro Israele. Gli Israeliani, che durante gli
ultimi trent'anni si erano organizzati militarmente in gruppi come Haganah e Palmach e in formazioni
d'impronta terroristica come l'Irgun e la Banda Stern [che confluiranno in questo momento nell’IDF (Israel
Defense Forces, detto Tzahal)], dimostrarono subito un'imprevista capacità bellica, che, unita alla forte
immigrazione (che vedeva tra i nuovi arrivati molti veterani della seconda guerra mondiale) e l'acquisto (in
parte violando anche un embargo durante una tregua) di armi dalla Cecoslovacchia, permise loro non solo di
resistere agli eserciti arabi ma anche di contrattaccare e di occupare militarmente gran parte della Palestina, a
eccezione della striscia di Gaza e della Cisgiordania, rispettivamente occupate dall'esercito dell'Egitto e dalla
Legione Araba dell'emirato di Transgiordania (poi Regno di Giordania), che considerarono comunque quei
territori palestinesi come "un sacro deposito" da restituire al futuro Stato indipendente di Palestina non
appena questi avesse avuto il modo di costituirsi, come ebbe a dichiarare l'Emiro Abd Allāh di
Transgiordania. Vi furono due periodi di tregua gestiti dall'ONU, con la presentazione di nuovi piani per la
ripartizione del territorio vennero rifiutati da entrambe le parti in causa. Durante la seconda tregua venne
assassinato il mediatore dell'ONU, conte Folke Bernadotte da parte di alcuni uomini del Lehi. In breve, dopo
la catastrofe militare degli eserciti invasori, ci si ritrovò un unico Stato, quello israeliano, impegnato a
difendere quanto già conseguito sul campo di battaglia e ad ottenere l'intero controllo del territorio
palestinese tramite il proprio esercito. L'azione combinata della propaganda araba, basata sullo slogan
tornerete nelle terre liberate, della guerra in sé, e della pressione psicologica (e in alcuni casi di veri e propri
massacri come quello di Deir Yassin) di frange politiche israeliane, misero in fuga buona parte della
popolazione araba e la estromisero definitivamente dalle proprie terre, costringendola di fatto a rifugiarsi in
squallidi campi profughi malamente attrezzati nei paesi arabi limitrofi - che da allora si sono sempre
disinteressati della normalizzazione della vita dei palestinesi lì rifugiati - il più delle volte in grado di
sopravvivere solo grazie alle razioni alimentari elargite dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per i
Rifugiati (UNRRWA). La popolazione palestinese iniziò a subire una dura occupazione che spinse molte
famiglie a emigrare nei paesi vicini e meno vicini (essenzialmente nell'area del Golfo Persico), in quei campi
profughi che accolsero in quel periodo oltre la metà della popolazione palestinese. Circa 800.000 ebrei,
residenti da generazioni in nazioni arabe, furono costretti ad emigrare a causa del clima di tensione che si era
venuto a creare dopo questa guerra, di questi circa 600.000 emigrarono nel neonato stato di Israele. L'11
dicembre 1948 l'ONU emise la risoluzione 194, che rimase per larga parte non attuata e che tra le altre cose
prevedeva la demilitarizzazione di Gerusalemme, il cui controllo doveva passare all'ONU, e la restituzione (o
il rimborso) dei beni e delle proprietà dei rifugiati (arabi in territorio israeliano e i pochi ebrei in territorio
arabo) che volessero tornare a casa dopo la guerra (la risoluzione si apriva citando l'omicidio di Folke
Bernadotte). A partire dalla seconda metà degli anni cinquanta, si aprì una nuova fase del conflitto, che vide
nel presidente egiziano Gamāl ‘Abd al-Nāser il leader carismatico di ciò che fu chiamato "Panarabismo".
La guerra con l'Egitto del 1956
Il 25 luglio 1956, Gamāl Abd al-Nāṣer nazionalizzò la Compagnia del Canale di Suez (di proprietà anglofrancese) scatenando così l’intervento di Francia e Gran Bretagna - che vedevano messi in pericolo i loro
interessi economici e strategici - e dello stesso Israele che si disse minacciato dalla nuova alleanza militare
inter-araba, prefigurata dal Presidente egiziano, con la Siria e la Giordania. Israele reagì al proposito del
presidente egiziano Gamāl Abd al-Nāṣer d'impedire a Israele la navigazione attraverso il Canale. Francia e
Gran Bretagna furono in fretta costrette a rinunciare al conflitto per la minaccia di un intervento sovietico e
statunitense ma, anche in tale occasione, la migliore organizzazione militare israeliana ebbe la meglio sui
suoi avversari: gli Arabi furono costretti alla ritirata dalla brillante condotta delle operazioni da parte del
generale israeliano Moshe Dayan che riuscì a conquistare il Sinai (solo successivamente restituito all’Egitto
per l’intermediazione dell’ONU) da Rafah a al-Arīsh. A partire dal 1962 una lunga serie di scaramucce di
confine tra Egitto e Israele preparò il terreno per una nuova guerra. Il 21 maggio 1967 su richiesta egiziana la
forza di interposizione ONU venne ritirata da Gaza e da Sharm al-Shaykh. Il 23 maggio 1967 l'Egitto chiuse
la navigazione israeliana attraverso gli Stretti di Tiran, questa azione fu considerata come casus belli da Tel
Aviv
La Guerra dei sei giorni del 1967
Il 5 giugno 1967 infatti un attacco preventivo delle forze aeree israeliane avviò la III Guerra arabo-israeliana,
o "Guerra dei sei giorni", con la distruzione al suolo della quasi totalità dell'aviazione di Egitto, Siria e
Giordania, con le forze corazzate e di terra di quei paesi che, senza copertura aerea, furono letteralmente
decimate. Con questa fulminea vittoria Israele occupava l'intera penisola del Sinai e la striscia di Gaza che
fino ad allora era rimasta sotto amministrazione militare egiziana, oltre ad inglobare l’intera Cisgiordania
(Gerusalemme compresa) e le alture del Golan a nord-est, sottratte invece alla Siria. Sono questi (tranne il
Sinai poi restituito all'Egitto in seguito agli accordi di Camp David del 1978) i cosiddetti "Territori Occupati"
(al-aràd al-muhtàlla) nei confronti dei quali una parte degli Israeliani cominciò a nutrire propositi di
definitiva annessione, favorendo l'istituzione di colonie agricole in grado di presidiare il territorio palestinese
occupato della Cisgiordania, nelle quali operano spesso coloni armati, molti dei quali vicini alle posizioni
della destra nazionalista israeliana, fra cui il movimento del Gush Emunim (La gente comune), tanto da
indurre vari Arabi di tali zone a trovare rifugio all'estero. Le Nazioni Unite intervennero nella questione con
la risoluzione 242, prospettando il ritiro di Israele dai "Territori Occupati" da Israele in cambio del
riconoscimento dello Stato ebraico da parte degli Stati arabi confinanti; in sostanza, la risoluzione delineava
quella politica di "pace in cambio di territori" che da allora ha ispirato tutti i tentativi di soluzione della
questione palestinese. La cosa non si prospettava semplice perché, se all'interno di Israele una corposa
pressione politica era espressa dai gruppi di estremisti nazionalisti che rifiutavano qualsiasi possibile dialogo
con la parte araba (e in alcune frange giungevano addirittura a proporre la creazione di una biblica "Grande
Israele" che si estendesse dal Nilo fino all'Eufrate), nel 1964 nasceva in ambito arabo palestinese una nuova
organizzazione, dapprima direttamente sotto il controllo della Lega Araba, che si proponeva di rappresentare
gli interessi diretti del popolo palestinese. Tale organizzazione, che si svincolerà poi dalla Lega Araba per
divenire l’unica rappresentante internazionale del popolo palestinese, era l’OLP (Organizzazione per la
Liberazione della Palestina, al-Munàzzama li-tahrìr al-filastini), che - dopo un breve periodo di presidenza
di Ahmad al-Shuqayri - sarà poi guidata fino alla sua morte dal suo leader Yasser Arafat. A testimonianza
degli squilibri che la situazione palestinese comportava per tutta l'area vicino-orientale, vanno ricordate le
guerre di Libano prima (1969) e quella cosiddetta "d'Attrito" con l'Egitto, nonché quella con la Giordania
(1970). Tutte furono provocate dall'impossibilità araba di accettare una situazione di totale sottomissione allo
strapotere militare d'Israele e dalle attività di guerriglia dell’OLP che sperava potesse essere un giorno
formato uno Stato indipendente palestinese. In quel periodo l'organizzazione di guerriglia più attiva fu forse
il Fronte Nazionale per la Liberazione Palestinese (FLP), che in quei paesi aveva insediato le proprie basi
operative.
La guerra del Kippur (Yom Kippur )
Nel 1973 si ebbe una nuova crisi vicino-orientale che porterà in breve tempo alla IV guerra arabo-israeliana,
detta anche "del Kippur" (da una festività religiosa ebraica) . In questa occasione furono gli eserciti
dell'Egitto e della Siria ad attaccare a sorpresa Israele, che perse il controllo del Canale di Suez (inutilmente
presidiato con la cosiddetta "linea Bar-Lev") pur dimostrandosi in grado di reagire con efficacia,
organizzando un'abile controffensiva con sue unità corazzate, guidate dal generale Ariel Sharon, che
riuscirono ad attraversare il canale di Suez ed a porre sotto assedio, sia pur teoricamente, l'intero III Corpo
d'armata egiziano, rimasto al riparo delle sue postazioni missilistiche anti-aeree che, nelle prime fasi della
guerra, avevano decimato l'aviazione di Israele. L’intervento dei "caschi blu" dell’ONU giunse a evitare
ulteriori radicalizzazioni del conflitto e l'alterazione dei già delicati equilibri regionali. Gli accordi fra Egitto
e Israele (seguiti più tardi dal riconoscimento dello Stato d'Israele da parte del Cairo, imitato più tardi dalla
Giordania) avviarono una nuova fase politica, tendenzialmente meno incline al confronto armato come
strumento di risoluzione delle controversie. Si chiuse così la fase del coinvolgimento diretto degli Stati arabi
in guerre dichiarate contro Israele, mentre nella lotta per la liberazione della Palestina assunse un peso
sempre più rilevante l’OLP.
L'ultimo ventennio e i tentativi di normalizzazione
La fine delle guerre arabo-israeliane avviò un timido e incerto progresso di normalizzazione dei rapporti tra
lo Stato ebraico e alcuni dei paesi limitrofi, spesso vanificato da irrigidimenti e da nuove crisi. Nel novembre
del 1977 il presidente egiziano Anwar al-Sādāt si reca in visita a Gerusalemme, avviando di fatto il processo
di pace tra Egitto ed Israele. Nel 1978 l’invasione del sud del Libano da parte dell’esercito israeliano indusse
l’ONU a creare una zona cuscinetto, tra i due paesi, sorvegliata dai "caschi blu". Nel 1979, dopo lunghe
trattative facilitate dagli Accordi di Camp David (settembre 1978), Israele ed Egitto firmano un trattato di
pace (il primo tra Israele ed uno stato Arabo) che implica la restituzione all'Egitto della penisola del Sinai ed
il riconoscimento dello stato di Israele. Nel 1980, Israele dichiarò Gerusalemme unificata come unica
capitale dello Stato ebraico per poi annettersi l’anno successivo le alture del Golan siriano già occupate. Il 6
ottobre 1981 il presidente egiziano Anwar al-Sādāt (premio Nobel per la Pace con Menachem Begin) viene
assassinato, durante una parata militare, da estremisti arabi membri dell'Organizzazione Jihad. Nel 1982,
Israele avviò l’operazione "Pace in Galilea", che prevedeva la creazione di una zona priva di insediamenti
palestinesi attorno ai confini settentrionali israeliani, con l'obiettivo della distruzione definitiva dell’OLP.
Nell'ambito di tale operazione Israele invase il Libano spingendosi fino a Beirut, costringendo l'OLP a
trasferire la propria sede in Tunisia. Nel quadro di questa azione militare si ebbero i massacri dei campi
profughi beirutini di Sabra e Shatila, perpetrati dal maronita Elie Hobeika e dalle forze filo-israeliane del
cosiddetto Esercito del Sud-Libano (cristiano). L'inerzia delle forze israeliane che erano responsabili della
sicurezza di quelle aree e che erano a conoscenza di quanto stava avvenendo nei campi profughi (in cui si
contarono da 800 a 2.000 civili trucidati) provocò una severa inchiesta da parte della Corte Suprema in
Israele. Essa si concluse con le dimissioni forzate di Ariel Sharon dalla carica di Ministro della Guerra e col
dimissionamento del Capo di Stato Maggiore israeliano e del responsabile militare israeliano delle
operazioni in Libano. Nel frattempo l'ONU, che accusava Israele di violare i diritti umani nei confronti dei
Palestinesi, formò una commissione di indagine perché vigilasse sul problema dei mezzi coercitivi messi in
atto nei confronti degli Arabi affinché abbandonassero le loro terre, come pure sulle disposizioni israeliane
in materia di gestione delle risorse idriche dell'intera area a settentrione dello Stato ebraico e sulla
distruzione di abitazioni arabe da parte dell'esercito israeliano. Per lungo tempo l’OLP rifiutò di assumere
come base per il dialogo la risoluzione 242 dell’ONU (che prevedeva il ritorno ai confini di prima della
"guerra dei sei giorni", legittimando così le conquiste territoriali israeliane del 1948-1949), finché nel 1988
la sua linea si ammorbidì consentendo l'avvio di un cauto e non sempre coerente avvicinamento fra le
opposte posizioni. Nel frattempo, nel 1987, era iniziato un moto popolare di sollevazione chiamato Intifada
(in arabo "brivido, scossa"), che tentava di combattere l’occupazione israeliana dei Territori Occupati per
mezzo di scioperi e disobbedienza civile, oltre a ricorrere a strumenti di lotta volutamente primitivi quali il
lancio di pietre contro l’esercito invasore, suscitando così grande impressione nel mondo occidentale.
Sempre in questo periodo, però, gruppi estremistici di matrice islamica tradizionalista che non si
riconoscevano nell’OLP si organizzarono trovando come punto di riferimento il movimento Hamas (nato a
Gaza nel 1987) che, pur limitando la sua azione al quadro strettamente palestinese, con l'impiego di tecniche
di lotta terroristica, decisamente alternativa rispetto a quella più diplomatica dell'OLP, è riuscito a erodere
parte del consenso fin lì goduto dalla "laica" OLP. Nel 1993, ci fu a Washington un importante vertice di
pace tra lo Stato Israeliano e l'OLP, riconosciuta finalmente come unica rappresentante del popolo
palestinese, mediato dallo stesso presidente USA Bill Clinton. In esso si giunse a un accordo in base al quale
Israele si sarebbe ritirata dalla striscia di Gaza entro il 1994, lasciando quei territori sotto la guida
palestinese. I termini dell’accordo si rivelarono in ultima analisi molto ambigui, tanto che gli scontri ben
presto ripresero. Nel 1995, il premier laburista israeliano Itzhak Rabin, premio Nobel con Arafat e Shimon
Peres per aver sottoscritto gli storici Accordi di Oslo con l'OLP, venne ucciso da un tale Eyal, esponente
dell’estrema destra religiosa israeliana. Questo provocò grande impressione nell’opinione pubblica
israeliana, tanto da spingere il nuovo premier del Likud, Benjamin Netanyahu, a stringere un nuovo accordo
con l'OLP, che prevedeva l’apertura di un aeroporto a Gaza e la liberazione di vari prigionieri politici
palestinesi, sempre grazie alla mediazione del presidente USA Bill Clinton. Tuttavia le tensioni tra le parti
non finirono. La prosecuzione della politica di creazione di nuovi insediamenti agricoli israeliani nei
Territori Occupati non si arrestò e a nulla servì che gli Israeliani, spaventati dagli attacchi terroristici arabi,
facessero vincere il partito laburista del MAPAM di Ehud Barak. Questi infatti, in un nuovo vertice per la
pace a Washington, non riuscì a convincere con le sue proposte il suo antagonista Arafat sui termini della
pace e le trattative conobbero così un cocente fallimento. Nell'ultimo periodo, la nuova strategia di Hamas di
ricorrere ad attentati suicidi contro i civili ebrei ha ulteriormente acuito la tensione, facendo irrigidire le
posizioni degli Israeliani e questo sentimento ha trovato una facile sponda nell'amministrazione statunitense,
tradizionalmente predisposta a condividere le tesi israeliane. La morte del leader dell'OLP Arafat (primavera
2004) e l'elezione del suo successore Mahmūd ‘Abbās (Abu Mazen) hanno portato, tra innumerevoli azioni
di guerriglia e di contro-guerriglia, di attentati terroristici palestinesi e di "uccisioni mirate" e dure ritorsioni
israeliane contro civili palestinesi, allo sgombero (unilateralmente disposto nel 2005 dal premier israeliano
Ariel Sharon) della Striscia di Gaza, consegnata in novembre all'Autorità Nazionale Palestinese, sui cui
valichi è stata chiamata a vigilare una forza di polizia della Comunità Europea, comandata da un generale
dei Carabinieri dell'esercito italiano.
Yasser Arafat
« Chi combatte per la libertà non può essere chiamato terrorista »
(Yāsser Arafāt)
Yāsser Arafāt (pronuncia: Yāsir Arafāt; in arabo: ‫ ;تافرع رساي‬Il Cairo, 24 agosto 1929
– Clamart, 11 novembre 2004) è stato un politico palestinese. Il suo nome era Muḥammad Abd
al-Raḥmān
Abd al-Ra ūf al-Qudwa al-Ḥusaynī (in arabo: ‫دمحم‬
‫دبع نمحرلا دبع‬
‫)ينيسحلا ةودقلا فوؤرلا‬, ma è noto anche con lo pseudonimo di Abū Ammār (arabo:
‫)اﺑﻮ ﻋﻤّﺎر‬, ed è stato un combattente, figura di spicco del panorama politico mondiale. Nel 1956, a
una conferenza a Praga, Yāsser Arafāt portò la kefiah, il tradizionale copricapo palestinese (a
scacchi neri o rossi) che divenne di fatto una sorta di suo emblema. Nel 1994 gli venne conferito unitamente ai leader israeliani Shimon Peres e Yitzhak Rabin - il Premio Nobel per la pace per
l'opera di diplomazia compiuta al fine di riappacificare le popolazioni dei Territori Occupati (che
Israele considera come contesi) di Cisgiordania e della Striscia di Gaza e garantire al popolo
palestinese il riconoscimento del diritto ad uno Stato proprio. Dal 1996 sino alla morte, ha ricoperto
la carica di presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese (ANP). In precedenza era stato a capo di
al-Fatḥ (impropriamente nota come al-Fatah), confluita successivamente nell'Organizzazione per la
Liberazione della Palestina (OLP). La discussa figura di Arafāt ha finito con il diventare il
simbolo stesso della causa palestinese. Personaggio complesso e controverso, uomo d'azione ma
anche prudente diplomatico, Yāsser Arafāt è stato negli ultimi anni della sua vita, spesso accusato
- e in special modo dopo il fallimento del Summit di Camp David del 2000 con l'allora Premier
israeliano Ehud Barak, e soprattutto dopo lo scoppio della seconda intifada -, di non volere la pace,
aver sostenuto gli atti di terrorismo contro i civili israeliani e non aver fatto nulla per contrastarli,
non più in grado di porsi come interlocutore serio. Mentre, allo stesso tempo, da parte del mondo
arabo, è stato sempre riconosciuto e considerato come figura unica e carismatica, personaggio
indispensabile all'interno dell'intricato universo di movimenti politici palestinesi, al fine della
conclusione del processo di pace e dell'annosa crisi mediorientale.
Yāsser
Arafāt con Yitzhak Rabin e Bill Clinton il 13 settembre, 1993
Biografia
Nascita e primi anni
Primo di sette fratelli, figlio di un mercante, Arafāt era salito nel 1969 alla guida dell'OLP (fino ad
allora guidata da Ahmad Shuqayrī), diventando capo di al-Fatḥ, l'ala oltranzista e maggiore fazione
interna all'OLP. La data ed il luogo della sua nascita sono sempre rimasti assai controversi. Il suo
certificato di nascita, depositato all'università del Cairo, afferma che Yāsser Arafāt è nato al Cairo
(Egitto) il 24 agosto 1929. Altre fonti sostengono che invece sia nato a Gerusalemme il 4 agosto
1929. È però interessante notare che nella sua biografia "ufficiale", Alan Hart, confermi il fatto che
il capo dell'Autorità Nazionale Palestinese sia nato al Cairo. Il suo nome completo alla nascita,
tuttavia, risulta come Muḥammad Abd al-Raḥmān Abd al-Ra ūf Arafāt al-Qudwa alḤusaynī. Come sostenuto da Said K. Aburish, biografo arabo, nel libro Arafat: Da difensore a
dittatore (Bloomsbury Publishing, 1988, pag. 7):
"Muhammad Abd al-Rahmān è il primo nome; Abd al-Ra ūf il nome di suo padre; Arafāt
quello di suo nonno; al-Qudwa è il nome di famiglia, e al-Ḥusaynī è il nome della tribù a cui gli alQudwa appartengono". Inoltre, "l'affermazione che Arafāt sia collegato al clan al-Ḥusaynī di
Gerusalemme attraverso sua madre (una Abd al-Sa ūd) sarebbe falsa in quanto l'appartenenza
alla tribù al-Ḥusaynī gli verrebbe casomai dal lato paterno".
Secondo Aburish, Arafāt non ha alcuna relazione con i notabili al-Ḥusaynī di Gerusalemme (ivi,
p. 9). Spiega infatti il biografo: "Il giovane Arafāt cerca di avvalorare le sue credenziali
palestinesi per sostenere le sue rivendicazioni sulla leadership ... e non può ammettere alcun fatto
che possa minare la sua pretesa identità palestinese ... Arafāt intende perpetuare la leggenda
della sua nascita a Gerusalemme e del suo collegamento con la famiglia al-Ḥusaynī della città".
La gioventù
Arafāt ha trascorso la maggior parte della sua giovinezza al Cairo, fatta eccezione per quattro anni
(dopo la morte della madre, avvenuta in data imprecisata quando aveva tra cinque e nove anni)
quando ha vissuto presso uno zio a Gerusalemme. Mentre studia all'università del Cairo - dove
consegue la laurea in ingegneria civile - aderisce alla Fratellanza Musulmana e all'Unione degli
Studenti Palestinesi, della quale diviene presidente dal 1952 al 1956. Mentre è al Cairo sviluppa una
stretta relazione con suo zio il Ḥājjī Amīn al-Ḥusaynī , che era stato Muftī di Gerusalemme. Nel
1956 presta servizio nell'esercito egiziano durante la crisi di Suez.
Leader dell'OLP
Al Congresso Nazionale Palestinese tenutosi al Cairo il 3 febbraio 1969, diviene leader dell' OLP
(Organizzazione per la Liberazione della Palestina). In realtà, l'impegno politico di Arafāt ha
radici più antiche e risalgono a quando, spostatosi in Kuwait per lavorare come ingegnere, collabora
a fondare al-Fatḥ, organizzazione che ha come obiettivo la creazione di uno Stato palestinese
indipendente.
Nascita di al-Fatḥ e crisi vicino-orientale
Nel 1963 al-Fatḥ, appoggiata dalla Siria, programma la sua prima azione militare, il sabotaggio di
un impianto idrico israeliano. L'azione avviene nel dicembre del 1964 ma si rivela un fallimento.
Comunque, dopo la Guerra dei sei giorni, nel 1967, quando Israele sposta la sua attenzione dagli
Stati arabi alle varie organizzazioni palestinesi, una di queste è - appunto - al-Fatḥ. Nel 1968
l'organizzazione palestinese è il principale obiettivo dell'attacco israeliano al villaggio giordano di
Karame, azione nella quale muoiono centocinquanta guerriglieri palestinesi e ventinove soldati
israeliani sono uccisi, in buona parte dalle forze regolari giordane. Malgrado le forti perdite, la
battaglia è considerata una vittoria per al-Fatḥ (esultante per il ritiro degli israeliani) e contribuisce
ad aumentare il prestigio di Arafāt e di al-Fatḥ stessa. Nel 1969 Arafāt diviene, quindi,
portavoce dell'OLP rimpiazzando Aḥmad Shukayrī, che era stato proposto dalla Lega Araba.
Arafāt diviene due anni dopo comandante in capo delle Forze rivoluzionarie palestinesi e due anni
dopo ancora responsabile del Dipartimento Politico dell'OLP. Nello stesso periodo le tensioni tra il
governo di Giordania ed i palestinesi iniziano ad aumentare. Elementi della resistenza palestinese in
armi (i cosiddetti fidā yyīn) creano uno "Stato nello Stato" all'interno della Giordania (controllando
anche numerose zone strategiche tra cui la raffineria di al-Zarqā ) finendo per costituire un
pericolo per la sovranità dello Stato hashemita.
A capo dell'ALP
Lo scontro diventa aperto nel giugno del 1970. Vari governi arabi tentano di mediare una soluzione
pacifica ma a settembre, le ripetute operazioni dei fidā yyīn, tra cui il dirottamento e la distruzione
di tre aerei di linea, fanno propendere il governo giordano per una azione di forza mirante a
riprendere il controllo del territorio. Il 16 settembre, Re Ḥusayn di Giordania dichiara la legge
marziale e lo stesso giorno Arafāt diviene comandante supremo dell'ALP (Armata per la
Liberazione della Palestina), forza armata regolare dell'OLP, strutturata su 3 brigate addestrate sul
suo territorio dalla Siria.
"Settembre nero"
Nella guerra civile che ne segue, L'OLP ha il sostegno di Damasco che invia in territorio giordano
una forza di circa 200 carri armati. Gli scontri avvengono principalmente tra forze giordane e l'ALP,
sebbene gli USA dislochino la VI Flotta nel Mediterraneo orientale e Israele metta a disposizione
della Giordania alcuni reparti militari. Il 24 settembre l'esercito giordano riesce a prevalere e l'ALP
è costretta a chiedere una serie di cessate il fuoco. Durante le azioni militari l'esercito giordano
attacca anche i campi-profughi dove i civili palestinesi si sono rifugiati dopo la Guerra dei sei
giorni: le vittime sono migliaia. Questo massacro viene ricordato dai palestinesi come "il Settembre
Nero". In seguito alla sconfitta, l'OLP si sposta dalla Giordania al Libano. Grazie alla debolezza del
governo centrale libanese, l'OLP poté operare in uno stato virtualmente indipendente (chiamato
infatti da Israele Terra di al-Fatḥ). L'OLP inizia ad usare il territorio libanese per lanciare attacchi
di artiglieria contro Israele e come base per le infiltrazioni di guerriglieri. A queste azioni
corrispondono attacchi di ritorsione israeliana in Libano. Nel settembre 1972 il gruppo "Settembre
Nero" (che, senza alcuna credibile prova certa, fu accusata di aver goduto della copertura di alFatḥ) rapisce ed uccide undici atleti israeliani durante i Giochi olimpici di Monaco di Baviera. Alla
condanna internazionale si unisce quella di Arafāt che si dissocia pubblicamente da tali atti. Due
anni dopo, nel 1974, Arafāt ordina all'OLP di sospendere qualsiasi azione militare al di fuori di
Israele, della Cisgiordania - in inglese "Sponda Occidentale" o "West Bank" - (la riva ovest del
Giordano, o Cisgiordania) e della striscia di Gaza. Nello stesso anno il leader palestinese diviene il
primo rappresentante di un'organizzazione non governativa a parlare ad una sessione generale delle
Nazioni Unite. Intanto continuavano a ripetersi, da alcune parti, le accuse verso Arafāt di una
dissociazione solo di facciata dal terrorismo. Sta di fatto che il movimento al-Fatḥ continuò a
lanciare attacchi contro obiettivi israeliani. Gli anni Settanta furono caratterizzati in Vicino Oriente
dalla comparsa di numerosi gruppi palestinesi estremisti pronti a compiere attacchi sia in Israele che
altrove. Israele dichiarò che dietro tutti questi gruppi vi era Arafāt il quale però smentì sempre tali
ipotesi. Sta di fatto che nel 1974 i capi di Stato arabi riconoscono l'OLP come unica rappresentante
legittima di tutti i palestinesi. Due anni dopo la stessa OLP viene ammessa come membro a pieno
titolo nella Lega Araba.
Sabra e Shatila
In Libano, intanto, la situazione degenera in una vera e propria guerra civile tra la componente
cristiano maronita e quella musulmana appoggiata dall'OLP. I cristiani maroniti accusano Arafāt e
l'OLP di essere responsabili della morte di decine di migliaia di membri del loro popolo. Israele si
allea con i cristiano-maroniti, mettendo in atto due azioni di invasione del Libano: la prima (nel
1978), chiamata Operazione Litani porterà una stretta striscia di terra (detta fascia di sicurezza) ad
essere conquistata ed annessa con l'aiuto delle IDF e del cosiddetto Esercito del Sud-Libano (longa
manus di Israele); la seconda (nel 1982), detta Pace in Galilea (Prima guerra israelo-libanese, vedrà
Israele occupare la maggior parte del sud del Libano per ritirarsi poi, tre anni dopo, nella fascia di
sicurezza.Una conferenza stampa di Yāsser Arafāt a Copenhagen È durante questa seconda
invasione che alcune migliaia di civili palestinesi vengono massacrati nei campi profughi di Sabra e
Shatila dai falangisti cristiano-maroniti che avevano ottenuto il permesso israeliano di attaccare i
campi. Tali azioni determinano una reazione internazionale con l'invio di una forza armata
internazionale di interposizione (forza alla quale partecipano anche unità italiane). L'allora ministro
della difesa israeliano Ariel Sharon venne ritenuto l'indiretto responsabile dei massacri dal
Tribunale Supremo israeliano e costretto a lasciare la sua carica per assumerne comunque una
minore.
Proclamazione della nascita dello Stato di Palestina in esilio
Nel settembre 1982, durante l'invasione israeliana, gli USA ottengono una tregua in virtù della
quale Arafāt e l'OLP possono lasciare il Libano per trasferirsi in Tunisia. La nazione nordafricana
rimarrà il centro delle operazioni palestinesi sino al 1993. Negli anni '80 Arafāt riceve assistenza
da Ṣaddām Ḥusayn, allora presidente-dittatore dell'Iraq: assistenza che gli permette di riorganizzare
il gruppo dirigente dell'OLP fortemente ridottosi dopo la guerra civile libanese. La nuova struttura
dirigenziale viene utilizzata durante la Prima Intifada, iniziata nel dicembre 1987. Nel luglio del
1983 il magistrato veneziano Gabriele Ferrari, nell'ambito del processo alla "Colonna veneta" delle
Br emise un ordine di cattura per Arafāt per avere fornito un ingente quantitativo di armi,
munizioni ed esplosivo consegnato in Libano ed introdotto nel settembre del 1979 a Venezia.
L'inchiesta non approderà ad alcun fatto dimostrabile ai fini processuali. Il 5 novembre 1988 l'OLP
proclama la creazione dello Stato della Palestina - sia pure con un governo palestinese in esilio - nei
termini della Risoluzione n. 181 dell'ONU. Il 13 dicembre 1988, Arafāt dichiara di accettare la
Risoluzione n. 242 promettendo il futuro riconoscimento dello Stato di Israele e la rinuncia al
terrorismo. Il 2 aprile 1989 Arafāt è eletto dal Comitato Esecutivo del Consiglio Nazionale
Palestinese (sorta di parlamento da cui dipende anche l'OLP) presidente dello stato Palestinese. Il 13
dicembre dello stesso anno il governo USA propone la formazione di due separate entità statali:
Israele, entro i confini fissati precedentemente al 1967 (Guerra dei sei giorni), e Palestina, composta
da Cisgiordania e Striscia di Gaza.
La guerra del Golfo del 1991
Questo evento mette in moto un processo politico di grande importanza. Nel 1991 nella Conferenza
di Madrid, Israele apre per la prima volta negoziati diretti con l'OLP. Nello stesso anno, con
l'esplosione della Guerra del Golfo, le relazioni con Ṣaddām Ḥusayn diventano il maggior problema
di Arafāt. L'OLP e la Giordania di re Ḥusayn rimarranno tuttavia i soli stati arabi a schierarsi dalla
parte dell'Iraq subendo quindi il boicottaggio degli USA che cercano di bloccare le trattative tra
palestinesi e israeliani.
L'Autorità palestinese
Nel 1993 vengono raggiunti gli Accordi di Oslo che prevedono l'autogoverno per i palestinesi della
Cisgiordania e della striscia di Gaza entro cinque anni. L'anno seguente Arafāt, insieme a Shimon
Peres ed a Yitzhak Rabin, viene insignito del premio Nobel per la pace. Nel 1994 si trasferiscono
nell'Autorità Nazionale Palestinese (ANP) le prerogative dell'entità provvisoria prevista dagli
Accordi di Oslo. Il 20 gennaio 1996 Arafāt viene eletto presidente dell'Autorità provvisoria con
una maggioranza dell'87% rispetto all'altro candidato, Samiba Khalil. Osservatori internazionali
indipendenti confermano il corretto svolgimento delle elezioni ma da alcune parti viene fatto notare
che, stante la rinuncia al voto da parte di alcune forze di opposizione alla linea di Arafāt, il
suffragio non può considerarsi avvenuto nella completa democraticità. Nuove elezioni, annunciate
per il 2002, sono state posposte a causa della situazione interna tale da non permettere, a causa delle
restrizioni imposte con la forza da Israele, il libero movimento nei Territori e quindi lo svolgimento
di una campagna elettorale. A partire dal 1996, ad ogni buon conto, Arafāt, quale leader
dell'Autorità palestinese, viene chiamato con la parola araba ra īs (Presidente, ma anche
semplicemente "Capo", dalla radice araba <r- -s> che significa "testa", "vetta", "cima"). Per
Israele, che non vuole riconoscere l'esistenza dello Stato palestinese, significa semplicemente
"portavoce", mentre nei documenti palestinesi in lingua inglese viene correttamente tradotta come
"presidente". Gli USA seguono la prassi israeliana mentre le Nazioni Unite quella palestinese. Nello
stesso anno 1996, a seguito del ripetersi di attacchi suicidi portati a termine da elementi estremisti
palestinesi (attacchi che causano numerose vittime in Israele), le relazioni tra Autorità Nazionale
Palestinese e Israele peggiorano nettamente e il nuovo Primo Ministro Benjamin Netanyahu blocca
la transizione alla formazione dello Stato Palestinese prevista dagli Accordi di Oslo. Nel 1998 il
presidente statunitense Bill Clinton cerca di ricucire i rapporti tra i due leader vicino-orientali. Il
risultato dei suoi sforzi è il memorandum del 23 ottobre 1998 che specifica i passi per il
completamento del processo di pace. Arafāt continua i negoziati con il successore di Netanyahu,
Ehud Barak. Questi, sia perché proveniente dal Partito laburista (mentre il suo predecessore
proviene dalle file del partito di destra Likud) sia in seguito alle pressioni del presidente Clinton,
offre ad Arafāt uno Stato palestinese nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza con capitale
Gerusalemme est, il ritorno di un limitato numero di profughi ed un indennizzo per gli altri. Con
una mossa estremamente criticata, Arafāt rifiuta l'offerta di Barak senza peraltro presentare delle
controproposte. Nel dicembre 2000, ad una visita di Ariel Sharon alla spianata della Moschea alAqsa - considerata provocatoria dagli osservatori internazionali - lo scontro tra israeliani e
palestinesi si riaccende con rinnovata violenza in quella che prende il nome di Seconda intifada
palestinese.
Vita privata
Matrimonio
Nel 1990 si sono svolte le nozze tra Arafāt e Suhā Ṭawīl nata nel 1963, una palestinese di
religione cristiana-ortodossa, che allora lavorava per la sede tunisina dell'OLP. Dalla loro unione è
nata il 24 luglio 1995 la figlia Zahwa. Il ruolo ricoperto dalla donna nelle vicende palestinesi e il
suo soggiorno a Parigi negli ultimi anni hanno sollevato diverse polemiche. Polemiche che si sono
puntualmente ripresentate in occasione della morte di Arafāt.
Patrimonio personale
Nell'agosto del 2002 il servizio segreto militare israeliano stimava il patrimonio personale di
Arafāt nell'ordine di 1,3 miliardi di dollari [1], sebbene non fornisse alcuna prova di tale accusa.
Il magazine "Forbes" [2] classificò nondimeno, sulla scorta di quelle "rivelazioni", Arafāt come
sesto nella lista "Re, regine o despoti" [3], stimando il suo patrimonio in almeno 300 milioni di
dollari, senza indicare su quali fonti basasse questo calcolo. Nel 2003 il Fondo Monetario
Internazionale condusse un'inchiesta presso l'autorità palestinese. Da questa inchiesta emerse che
Arafāt aveva spostato 900 milioni di dollari di fondi pubblici su conti correnti bancari controllati
direttamente da lui e dal Direttore Finanziario dell'Autorità Nazionale Palestinese. Il Fondo
Monetario non fu in grado di dimostrare che i fondi fossero stati utilizzati in modo improprio [4].
Nel 2003 il ministro palestinese delle finanze, Salām Fayyād, incaricò una società internazionale di
revisione di analizzare la situazione dei fondi facenti capo all'Autorità Palestinese. Il team giunse
alla conclusione che Arafāt disponeva di un patrimonio occultato di almeno 1 miliardo di dollari.
Questo patrimonio era suddiviso in finanziamenti a un'azienda che imbottigliava la Coca Cola a
Rāmallāh, una compagnia telefonica tunisina e capitali dislocati negli Stati Uniti d'America e nelle
isole Cayman. Il team giunse alla conclusione che i fondi per le sue imprese commerciali erano
pervenuti da fondi pubblici che Arafāt aveva stornato e posto sotto il suo controllo personale
invece di utilizzarli in modo trasparente per la causa palestinese. Il team sottolineò che nessuna di
queste operazioni era stata resa pubblica dall'Autorità Palestinese. Sebbene Arafāt avesse sempre
vissuto con parsimonia, Dennis Ross - negoziatore per il Vicino Oriente dei presidenti George Bush
e Clinton - affermò che Arafāt "viveva circondato dal denaro" e con quello finanziava un ampio
sistema di patronato. Le ricerche svolte dall'Unione Europea sull'utilizzo dei fondi destinati
all'Autorità Palestinese non hanno trovato alcun riscontro delle accuse formulate da diverse parti
sull'utilizzo degli stessi per finalità terroristiche. Segnalarono però una corruzione diffusa
nell'amministrazione dell'ANP e quindi l'Unione Europea richiese una radicale riforma della
gestione finanziaria dell'Autorità Palestinese. Questa riforma finanziaria è uno dei punti chiave per
poter ottenere nuovi aiuti economici dall'Unione Europea. [6] Un anonimo (e quindi
incontrollabile) informatore che lavora per il ministero delle finanze dell'Autorità Palestinese ha
affermato che Suhā, la moglie di Arafāt riceveva dal ministero 100 000 dollari al mese per vivere
a Parigi. Suhā si difese affermando che queste voci erano diffuse dal Primo Ministro israeliano
Ariel Sharon, che tentava di distogliere i media dai problemi di corruzione del suo governo,
concentrando attenzione su di lei. L'altissimo tenore di vita mantenuto a Parigi, degno di una
sovrana, pareva confermare però le voci. Nell'ottobre del 2003 il governo francese ha aperto
un'indagine contro Suhā Arafāt per via di movimenti sospetti di valuta. L'accusa era di traffico
illegale di valuta e, secondo gli inquirenti, con regolarità sarebbero stati trasferiti dalla Svizzera
1,27 milioni di dollari verso il conto personale di Suhā in Francia.
Le "sette vite" di
Arafāt
La tomba di Yasser Arafat
Nel corso della sua vita Yāsser
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Arafāt ha più volte rischiato di morire ma mai per cause naturali:
Nel 1970, in Giordania, dopo due attacchi terroristici ed il fallito attentato da parte di un
commando palestinese che colpisce la sua scorta, Re Husayn di Giordania, avendone avuto
abbastanza e deciso a chiudere definitivamente i conti con gli esuli palestinesi divenuti
troppo ingombranti, durante il famoso Settembre nero, fece ricorso alle armi pur di
scacciarli; Arafāt era fra loro e si dice che fosse rocambolescamente fuggito da Ammān
vestito da donna.
Nel 1973 scampò ad una bomba esplosa nel suo ufficio che invece uccise tre dei suoi
principali collaboratori.
Trasferitosi con la sua gente in Libano (dove i profughi palestinesi misero in crisi il già
precario equilibrio etnico-politico del paese), riesce a salvarsi nel 1976 anche dal massacro
di Tell al-Za tar dove i falangisti (il braccio militare dei cristiani maroniti) e i seguaci
dell'ex-Presidente della Repubblica Camille Chamoun (Camille Sham ūn), nell'indifferenza
(ma non si ebbe mai prova di complicità) dei siriani e perfino del gruppo palestinese filosiriano di al-Ṣā iqa, spararono sui profughi, donne e bambini compresi, per lo più
(paradossalmente) di religione cristiana.
A Beirut nel 1982, durante l'Operazione Pace in Galilea, si racconta che il 30 agosto un
cecchino israeliano riuscisse ad inquadrare Arafāt col suo mirino ma che a salvargli la vita
fosse l'ordine di sospendere la missione - dato all'ultimo minuto e mai spiegato - di Sharon,
allora Ministro della Difesa.
Nel 1985 il leader palestinese riuscì miracolosamente a sopravvivere al bombardamento
(tutt'ora il più in profondità mai effettuato dall'Aviazione Israeliana) del proprio quartier
generale a Tunisi, dove rimasero uccisi molti dei suoi antichi fratelli d'armi.
Nel 1992 il suo jet precipitò nel Sahara libico. Nessuno, eccetto lui, riuscì a salvarsi.
Sembra inoltre che Abū Ammār sia sfuggito ad altri due attentati e al ribaltamento della
propria autovettura sulla strada per Baghdad, uscendone anche in questi casi senza
nemmeno un graffio.
Morte e sepoltura
Gravemente - e misteriosamente - ammalato, Arafāt dovette lasciare - il 29 ottobre 2004 - il suo
quartier generale della Muqāṭa a a Rāmallāh in Cisgiordania, per essere ricoverato presso il reparto
di ematologia dell'Hôpital d'instruction des armées Percy (HIA Percy) alla periferia di Parigi. Il 4
novembre un repentino peggioramento - del già precario quadro clinico - lo fece precipitare in uno
stato di coma profondo che portò, l'11 novembre 2004, alla dichiarazione rilasciata alla stampa
mondiale dal comandante dell'ospedale militare francese, della constatazione - da parte dei medici della sopraggiunta morte cerebrale.
Shimon Peres
Shimon Peres (in ebraico: ‫;שׁמְעוֹן ֶפּרֶס‬
ִ in arabo:
Presidente d'Israele
‫ )سريب نوعمش‬nato con il nome di Shimon
Perske, (Vishniev, 2 agosto 1923) è un politico
israeliano, Presidente dello Stato d'Israele, eletto
il 13 giugno 2007 ed entrato in carica il
successivo 16 luglio. È stato capo del Partito
laburista israeliano e vicepremier dello stato di
Israele ed è stato primo ministro israeliano nei
Shimon Peres
periodi 1984-1986 e 1995-1996.
È stato inoltre ministro degli Esteri israeliano nel
Luogo di nascita Vishniev
periodo 2001-2002 ed è diventato agli inizi del
2005 vice premier in una coalizione guidata da
Data di nascita 2 agosto 1923
Ariel Sharon. Attualmente è Ministro per lo
sviluppo del Negev, della Galilea e dell'Economia
Luogo di morte
Regionale, nonché secondo vice-Primo Ministro.
Nel 1994 a Peres è stato assegnato il Premio
Data di morte
Nobel per la Pace insieme a Yitzhak Rabin e
Yasser Arafat per i loro sforzi nel processo di
pace nel Vicino Oriente, culminati con gli
Mapai (1959-1965)
Rafi (1965-1968)
Accordi di Oslo. Nel 2005 lascia a sorpresa il
Partito politico
Partito Laburista (1968-2006) Partito Laburista per aderire al partito centrista
Kadima (2006-)
Kadima fondato da Sharon.
Mandato
Elezione
15 luglio 2007
Professione
Politico
Vicepresidente
Predecessore
Moshe Katsav
Successore
in carica
Biografia
Nascita e primi anni
È nato a Vishniev, o Vishnievo (in polacco Wiszniew), quando questa città apparteneva ancora alla
Polonia, da Yitzhak e Sara Perske. Il padre emigrò nel 1931 in Palestina e lo seguì nel 1934 la sua
famiglia, poco prima dell'occupazione della Polonia da parte dei Nazisti, insediandosi a Tel Aviv.
Scolarità
Peres ha studiato alla Geula High School ("Gymnasium") di Tel Aviv e poi alla scuola agraria di
Ben Shemen.
Matrimonio
È sposato con Sonya Gelman ed ha una figlia, Tzvia (Tziki) Walden-Peres, un'esperta in lingue, e
due figli, Yoni (nato nel 1952) e Chemi, presidente di Pitango Venture Capital, un'importante
società israeliana di venture capital. Peres è cugino di primo grado dell'attrice Lauren Bacall (il cui
vero nome è Betty Joan Perske).
Attività
Carriera politica
Peres ha trascorso diversi anni nel kibbutz Geva e nel kibbutz Alumot, di cui fu uno dei fondatori,
qui venne scelto da Levi Eshkol tra gli organizzatori del movimento giovanile laburista Hanoar
Haoved e nel 1943 ne venne eletto Segretario e fu delegato nel 1946 al 22esimo Congresso
Mondiale Sionista dove incontrò David Ben-Gurion. Come si può vedere, Peres nella sua giovane
età già era venuto a contatto con due importanti esponenti della vita politica israeliana, che saranno
poi Premier, e soprattutto con Ben-Gurion trovò concordanza negli obiettivi politici come il
programma di formazione di uno stato ebraico, tanto che Peres ne divenne un protetto.
Militare
Nel 1947 fu arruolato nell'Haganah(nucleo delle future Forze di Difesa Israeliane) scelto da BenGurion insieme ad altri giovani e venne nominato dallo stesso come responsabile per il personale e
l'acquisto delle armi. Nel 1948, Shimon Peres divenne capo della marina israeliana durante la
guerra di indipendenza del nuovo stato israeliano. Alla fine della guerra diventò direttore della
delegazione del Ministero della Difesa negli Stati Uniti. Qui ebbe occasione di studiare alla NewYork School for Social Research e ad Harvard. Nel 1953 fu nominato anche Direttore Generale del
Ministro della Difesa. Era incaricato dell'acquisto delle armi per il giovane Stato d'Israele. In questa
carica ottenne diversi successi militari come la Campagna del Sinai, architettata insieme a Gran
Bretagna e Francia.Peres in quegli anni puntò a stabilire una forte e avanzata industria militare
israeliana, soprattutto nell'aeronautica con la Israeli Air Industries (IAI), per questo viene visto
come il padre dell'industria hi-tech di questo paese.Gli sforzi di Peres furono ottimi in quanto riuscì
ad acquisire dalla Francia il caccia Dassault Mirage III, un aereo militare a reazione, ed un reattore
nucleare; era anche in trattative per il più avanzato Mirage 5, ma lo scoppio della guerra ed il
successivo embargo bloccarono la vendita, e lo spionaggio israeliano procurò i piani di costruzione,
che furono attuati dalla IAI nel caccia Nesher. Infatti Peres puntava ad un programma di sviluppo
nucleare (anche militare) e convinse la Francia proprio a costruire segretamente questo reattore
nucleare a partire dal 1957. Nel 1959 fu eletto alla Knesset (parlamento israeliano), come membro
del Partito Mapai. Da questa data fino al 1965 lavorò al Ministero della Difesa fino a che fu
implicato nell'affare Lavon con Moshe Dayan. Peres e Dayan lasciarono il Mapai del loro
protettore, David Ben Gurion, per formare un nuovo partito, il Partito Rafi che poi si riconciliò con
il Mapai nel 1968, ma quando Ben Gurion ormai non c'era più. Da tale fusione nacque l'attuale
Partito Laburista Israeliano. Nel 1969 Peres venne nominato Ministro dell'Assorbimento e nel 1970
Ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni.
La leadership di partito
Dopo che Golda Meir aveva dato le dimissioni da Primo Ministro nel 1974 a causa delle
conseguenze della Guerra del Kippur, Peres ebbe la prima possibilità di candidarsi come Premier,
ma si trovò di fronte come rivale Yitzhak Rabin, collega di partito, ma eterno avversario nella
leadership del Partito Laburista e, quindi, del Governo. Peres, in questa occasione, perse per 298
voti a 254 ma ottenne la carica di Ministro della Difesa nel governo Rabin, rimpiazzando Moshe
Dayan, dopo un breve periodo come Ministro dell'Informazione. Tuttavia i rapporti tra i due uomini
politici rimasero tesi per diversi anni e Peres continuò ad essere il maggiore rivale di Rabin. La sua
attività diplomatica in questi anni fu molto viva: rinforzò e rivitalizzò le forze di difesa israeliane e
partecipò ai negoziati di pace con l'Egitto. Fu tra i fautori del concetto di "Good Fence",
promuovendo il miglioramento dei rapporti con i residenti del sud del Libano. Nel 1977 ottenne per
la prima volta la carica di Primo Ministro, ma per breve periodo, ma ciò non avvenne in seguito a
votazione ma dopo le dimissioni di Rabin conseguenti allo scandalo che aveva coinvolto la moglie,
Leah Rabin, accusata di mantenere un conto bancario all'estero, in violazione alle regole monetarie
vigenti in Israele. Ottenuta, quindi, la leadership di partito e di governo, questa non venne mai
confermata dalle votazioni in quanto Peres subì una sconfitta elettorale sempre nel 1977. Era una
sconfitta pesante perché era la prima volta che il Partito Laburista israeliano perdeva il potere dalla
nascita dello stato d'Israele. Nel 1978, venne eletto vice-presidente dell'Internazionale Socialista.
Peres subì una seconda sconfitta elettorale nel 1981. Le possibilità di vittoria vennero minate
dall'attacco aereo dell'IAF israeliana al reattore nucleare iracheno di Osirak e da toni razzisti di un
comico israeliano che sosteneva il Partito Laburista.
Carriera di primo ministro
Shimon Peres con Donald Rumsfeld
All'inizio del 1981, Israele incominciò a soffrire di un'inflazione incontrollata a causa della guerra
in Libano voluta da Ariel Sharon. Alle elezioni del 1984 Peres divenne Primo Ministro, ma,
nonostante la maggioranza ricevuta dalle urne e a causa della grave situazione economica, si
costituì una coalizione di governo formata dal Partito Laburista, dal partito avversario Likud di
Yitzhak Shamir e da altri partiti minori. Peres dovette quindi alternarsi alla carica con il suo
avversario: restò al potere fino al 1986. Peres fu comunque responsabile del sempre peggiore
andamento dell'inflazione che crollò in brevissimo tempo. Dopo essersi alternato con il suo
avversario alla carica di Premier, nel 1986, divenne Ministro degli Esteri prima e Ministro delle
Finanze poi, nel 1988. Nel 1990 lasciò col suo partito la coalizione di governo dopo aver fallito nel
tentativo di formare una nuova coalizione di minore portata con il Partito Laburista, con alcuni
piccoli gruppi di sinistra e col partito Haredi. Nel governo di Unità Nazionale (1988-1990) Peres fu
Vice Premier e Ministro delle Finanze. Nel periodo 1990-1992, guidò l'opposizione nella Knesset.
Nel 1992 Peres venne sconfitto (di nuovo) alle prime elezioni primarie nella storia del Partito
Laburista da Yitzhak Rabin, che lui stesso aveva sostituito anni prima. Rabin poi vinse le elezioni
come Premier mentre Peres venne nominato Ministro degli Esteri dal 1992. Come era accaduto in
passato, anche questa volta Peres sostituì il suo avversario di partito, succedendogli brevemente
dopo l'assassinio nel 1995. Nel 1994, in seguito agli Accordi di Oslo, Shimon Peres raggiunse
l'apice della sua carriera politica e gli fu assegnato il Premio Nobel per la Pace con Yitzhak Rabin e
Yasser Arafat. È rimasto difensore deciso degli Accordi e dell'Autorità Palestinese dopo l'inizio
delle due Intifada. Tuttavia sostenne la politica di Ariel Sharon di usare le forze armate israeliane
per contrastare la guerriglia palestinese e per sradicarne l'infrastruttura politica e militare.
Gli anni bui
Peres venne sconfitto da Benjamin Netanyahu nelle prime elezioni dirette per il Primo Ministro
nella storia di Israele nel 1996. In questi anni Shimon Peres è stato spesso "ambasciatore" non
ufficiale di Israele, soprattutto quando si trovava all'opposizione, grazie al prestigio acquistato
nell'opinione pubblica internazionale e negli ambienti diplomatici. Nel 1997 non si presentò alle
nuove elezioni per la guida del Partito Laburista e venne perciò sostituito da Ehud Barak. Barak si
oppose al tentativo di Peres di ricoprire la posizione di Presidente del Partito e, nel formare il nuovo
governo nel 1999, gli fece assegnare un ruolo minore, come Ministro dello Sviluppo Regionale.
Peres ha ricevuto un ulteriore duro colpo al suo prestigio quando la Knesset rifiutò la sua proposta
di creare un Presidente di Israele in carica per sette anni.
Il ritorno
Dopo la sconfitta del Partito Laburista di Barak da parte di Ariel Sharon nelle elezioni del 2001,
Peres ha costruito ancora una volta il suo ritorno sulle scene politiche sostituendo Barak alla
leadership di partito. Ha guidato il Partito Laburista nel governo di Unità Nazionale con il Likud di
Sharon, assicurandosi la carica di Ministro degli Esteri. La leadership formale del partito è passata
quindi a Benjamin Ben-Eliezer e poi ad Amram Mitzna mentre a Peres non venivano risparmiate
forti critiche legate alla sua posizione di Ministro degli Esteri in un governo che formalmente
doveva puntare al processo di pace, ma che nella realtà lo ostacolava. Ha lasciato l'incarico quando
il suo Partito si è ritirato poco prima delle elezioni del 2003, nelle quali ha subito una pesante
sconfitta che ha costretto Mitzna al ritiro e Peres a ricoprire la carica di leader ad interim. Ha
guidato il partito in un'ennesima coalizione con Sharon alla fine del 2004 quando si stava
programmando il "disimpegno" israeliano dalla Striscia di Gaza.
Presidente della Repubblica
Il 13 giugno 2007 è stato eletto presidente dello Stato di Israele, con 86 voti a favore e 23 contrari al
secondo scrutinio come unico candidato. Al primo scrutinio aveva ottenuto 58 voti contro i 37
raccolti dal candidato del Likud Reuven Rivlin e i 21 raccolti dalla candidata laburista Colette
Avital; entrambe le candidature vennero ritirate dai partiti di appartenenza per favorire l'ascesa di
Peres. Peres sarà così dal prossimo luglio nono presidente di Israele e con questa votazione ha
cessato di essere membro della Knesset, conludendo una carriera parlamentare ininterrotta
cominciata nel 1959.
Linea politica
Shimone Peres e la Rice
Shimon Peres è uno dei più longevi politici israeliani. Fu inizialmente considerato un falco ed è
cresciuto politicamente sotto le influenza di Ben-Gurion e di Dayan ma la sua posizione è andata
cambiando dopo essere diventato leader del suo partito e nel confronto con Rabin. Più recentemente
ha assunto il ruolo di colomba e ha fortemente appoggiato il concetto di una pace attraverso la
cooperazione economica. Il dialogo con l'OLP e la ricerca di un "compromesso territoriale" sui
territori di Gaza sono stati i suoi obiettivi politici, ma proprio questi obiettivi lo hanno allontanato
dai coloni israeliani dei territori occupati. L'obiettivo di Peres, infatti, era quello di assicurare lo
sviluppo economico al paese e comprendeva che ciò era possibile solo appianando i contrasti e le
lotte interne anche a costo di concessioni impopolari. Nella sua lunga carriera diplomatica ha
provato soprattutto a risolvere il problema di Gaza e per un certo tempo ha sperato che re Husayn di
Giordania potesse essere un partner nei negoziati con gli Arabi e con Yasser Arafat. Peres lo
incontrò segretamente a Londra nel 1987 e cercò una base di negoziazione con lui, ma il lavoro
venne rigettato dall'allora Primo Ministro di Israele, Yitzhak Shamir. Ben presto scoppiò la prima
Intifada e la plausibilità di re Husayn come partner di Israele nella risoluzione del problema di Gaza
svanì. In seguito Peres si mosse sempre più verso un dialogo con l'OLP anche se evitò di prendere
un impegno diretto in questa direzione fino al 1993. Il successo in questa direzione politica e
diplomatica Peres lo ottenne con gli Accordi di Oslo a cui è sempre stato molto vicino più di
qualsiasi altro politico di Israele (incluso Rabin) con la possibile eccezione del suo protetto, Yossi
Beillin. È rimasto sempre coerente agli accordi e all'Autorità Palestinese anche durante la prima
Intifada e la Seconda Intifada. Al contrario, Peres ha sempre appoggiato la politica militare di Ariel
Sharon per una difesa israeliana contro i kamikaze palestinesi. In pratica accanto allo sviluppo
economico e alla pacificazione della zona, Peres ha sempre puntato anche alla sicurezza interna ad
ogni costo. L'immagine di Peres, come si comprende, è una strana commistione di sognatore
visionario e di pragmatico opportunista. Un aspetto è quello percepito largamente a livello
mondiale, l'altro è quello percepito dagli Israeliani. Nella pratica Peres sembra muoversi soprattutto
su livelli diplomatici, comprendendo che l'azione dura e violenta verso i territori occupati non
produce grossi risultati e che per difendere il nucleo dello stato d'Israele occorre fare delle
concessioni a discapito dei coloni. Su questa base sembra prendere maggior piede la seconda
visione e opinione sullo statista. A riprova di ciò è il fatto che Peres, operando come
"comunicatore" informale di Israele grazie al suo prestigio e al rispetto che gode presso la pubblica
opinione internazionale, ha sempre difeso le azioni di polizia israeliana e il muro di Gaza contro le
critiche internazionali e le accuse alla politica israeliana. Nel 2006 Shimon Peres insieme a Sharon
fonda il partito centrista Kadima.
Premi ed interessi
Ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 1994 insieme a Yasser Arafat e Yitzhak Rabin. Shimon
Peres è interessato alle nanotecnologie. Nel 1997 ha fondato il "Peres Center for Peace".
Yitzhak Rabin
Yitzhak Rabin o Yitschak Rabin (Gerusalemme, 1 marzo 1922 – Tel Aviv, 4 novembre 1995) è
stato un politico e militare israeliano, assassinato nel 1995, ed è stato il primo capo del governo di
Israele ad essere nato sul territorio del proprio Stato, a Gerusalemme.
Biografia
Di formazione agricolo-militare, tipica della comunità (Yishuv) israeliana negli anni del Mandato
britannico, Rabin fu tra i fondatori del Palmach (acronimo di Pelugot Machaz, "squadre d' assalto")
che contribuirono in maniera decisiva alla costituzione dell'esercito del futuro Stato di Israele (le
IDF). Fu comandante della brigata Harel che tenne Gerusalemme Nuova durante la guerra di
indipendenza del 1948.
Yitzhak Rabin con Yāser
Arafāt e Bill Clinton il 13 settembre 1993
Rimasto nell'esercito dopo la costituzione dello Stato, divenne Capo di Stato Maggiore dell'esercito
nel periodo della guerra dei sei giorni, e si deve a lui, assieme a Moshe Dayan, la concezione di
attacco che portò alla distruzione a terra dell'intera forza aerea egiziana e siriana. Lasciato l'esercito
nel 1968, fu nominato ambasciatore di Israele negli Stati Uniti d'America. Rientrato per fine
mandato, partecipò come ministro al governo Meir e nel 1974 formò un proprio governo. Fu sua la
decisione di autorizzare la missione di salvataggio di Entebbe. Uscito dal governo a seguito della
sconfitta elettorale del 1977, rimase nella Knesset e rientrò nel governo di unità nazionale del 1984
come ministro della Difesa. Nel 1992 tornò a capo del governo, e in quanto tale firmò nel 1993 gli
accordi di Oslo, in seguito ai quali fu insignito del Premio Nobel per la pace unitamente al ministro
degli esteri israeliano, Shimon Peres, e al presidente della futura Autorità Nazionale Palestinese,
Yāser Arafāt. Venne assassinato il 4 novembre 1995 da Ygal Amir, un colono ebreo estremista,
durante un comizio politico a Tel Aviv.