scarica il pdf - Otoneurologia 2000

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Serie editoriale:
CLINICAL
CASE
MANAGEMENT
La vertigine come esperienza mnesica.
Prolegomeni ai meccanismi di memoria nelle
sindromi vertiginose (a review article)
M. De Ciccio, E. De Martini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3
Aggiornamento
periodico:
OTONEUROLOGIA 2000
Marzo 2003 / n. 13
Coordinamento
Scientifico:
Dr. Giorgio Guidetti
Dipartimento di Patologia
Neuropsicosensoriale
dell’Università di Modena e
Reggio Emilia
Sezione di Clinica
Otorinolaringoiatrica
Modulo di Vestibologia e
Rieducazione vestibolare
Policlinico di Modena
e-mail:
[email protected]
Localizzazione labirintico-canalare di
patologia vestibolare attraverso lo studio
dei meccanismi fisiologici cupolo-endolinfatici e
l’applicazione del test di Halmagyi e del
test rotatorio impulsivo
P. De Carli, M. Patrizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Lo studio stabilometrico tetratassico nelle turbe
dell’equilibrio da insufficienza vertebrobasilare
D.A. Giuliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Coordinamento
editoriale:
Mediserve
© 2003 MEDISERVE
Milano - Firenze - Napoli
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OTONEUROLOGIA
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LA VERTIGINE COME
ESPERIENZA MNESICA.
PROLEGOMENI AI MECCANISMI
DI MEMORIA NELLE SINDROMI
VERTIGINOSE (A REVIEW ARTICLE)
MATTIA DE CICCIO, EUGENIO DE MARTINI
Divisione Otorinolaringoiatria
Ospedale Civile “S. Andrea” La Spezia
Abstract
I meccanismi di memoria sono oggetto di
studi da alcuni decenni. Le recenti applicazioni tecnologiche hanno consentito,
anche mediante l’uso della Risonanza
Magnetica Funzionale (fRMI), di iniziare
una vera e propria mappatura dei siti di
memoria dell’encefalo. Sempre maggior
accuratezza riscontriamo nello studio dei
vari tipi di memoria. Le vestibolopatie acute
e croniche, periferiche e/o centrali, anche
come esperienza psichica, lasciano delle
tracce di memoria.
In questo articolo si analizza la qualità di
queste tracce e i possibili meccanismi rievocativi.
Introduzione
I campi di ricerca otoneurologica hanno,
del tutto recentemente, focalizzato i loro
studi sulle osservazioni anatomiche e funzionali tra le interazioni corticovestibolari
e vestiboloippocampali e le loro possibili
implicazioni nella pratica clinica.
Tali strutture hanno risvegliato l’interesse
dei ricercatori perché, sebbene la corteccia cerebrale sia responsabile dell’organizzazione delle più fini e dettagliate componenti dei comportamenti motori e cogni-
tivi, l’insieme dei nuclei sottocorticali sembra essere coinvolto nell’attività di generazione e di supporto delle suddette funzioni.
Le strutture sottocorticali sono inoltre
coinvolte nella regolazione dei sistemi emozionali e della memoria.
Il comportamento è determinato dall’attività cerebrale e le disfunzioni cerebrali si
esprimono anche attraverso alterazioni
caratteristiche del comportamento stesso.
Le funzioni cerebrali, d’altra parte, dipendono dall’interazione fra processi genetici
ed evolutivi, da un lato, e apprendimento
dall’altro.
Si devono pertanto studiare i meccanismi
attraverso i quali l’apprendimento modifica la struttura e la funzione delle cellule
nervose e le loro connessioni.
In definitiva tali sistemi ci garantiscono la
possibilità di imparare dall’esperienza.
Cenni di neuroanatomia e
fisiologia del sistema limbico
Uno degli aspetti più difficili del sistema
limbico è comprenderne la localizzazione
anatomica, la forma e l’interconnessione
delle sue parti.
Il sistema limbico corre intorno al confine
del ventricolo laterale, assumendo una
3
forma a corna d’ariete; inizialmente congiunto (ipotalamo e ghiandola pituitaria),
si porta allargandosi in avanti e in laterale
in due curvature (fornice), per poi girarsi
all’indietro nella zona sottostante al corpo
calloso; infine, posteriormente, curva verso
il basso e in avanti fino a raggiungere l’ippocampo e l’amigdala.
Al di sopra del corpo calloso il giro cingolato segue le medesime curve del fornice,
come quest’ultimo curva in basso per
incontrare l’ippocampo, il cingolato quindi
emerge con il giro paraippocampale caudalmente e medialmente al lobo temporale.
Se teniamo presente che la corteccia si
presenta il forma di due larghi fagioli che
prendono origine frontalmente per poi curvarsi posterolateralmente e all’indietro, si
può vedere che il sistema limbico segue il
confine interno fino al punto dove si congiunge al mesencefalo.
Il suo nome deriva appunto dalla particolare localizzazione attorno a questo confine.
I componenti che costituiscono il sistema
limbico sono tuttora oggetto di dibattito, ma
si è soliti includervi l’ippocampo, l’amigdala,
il giro cingolato e l’ipotalamo (Fig. 1).
Le vie limbiche coinvolgono altri elementi
quali i nuclei talamici e i corpi mammillari,
ma il loro ruolo, nell’ambito di questo articolo, è più difficile da definire.
Le caratteristiche di ciascuna regione possono essere riassunte come segue:
IPPOCAMPO
Regola l’attività sensoria e corticale. È la
“porta” della memoria
AMIGDALA
Centro di allarme per stimoli di una certa
importanza
GIRO CINGOLATO
Connette con la sua attività il sistema limbico alla corteccia
Corteccia limbica
Corpo calloso
Giro del cingolo
Fornice
Corpo
mammillare
Amigdala
Ippocampo
Ippocampo
dell’emisfero destro
(nascosto)
Fig. 1 – Principali componenti del sistema limbico.
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Cervelletto
IPOTALAMO
Regola il corpo in relazione all’ambiente
attraverso risposte del sistema nervoso
autonomo, endocrine, emozionali e somatiche
Sin dagli anni ’60 i ricercatori hanno evidenziato come l’ippocampo giochi un ruolo
nella processazione della percezione e nello
sviluppo della memoria spaziale.
Alcuni nuclei talamici sono infatti capaci
di trasmettere informazioni vestibolari
all’ippocampo, probabilmente attraverso
la corteccia parietale.
Negli ultimi 2-3 anni vi sono numerose
dimostrazioni elettrofisiologiche dirette di
come la stimolazione vestibolare influenzi
le cellule dei nuclei talamici anteriori e le
“place cells” nell’ippocampo; questo fa crescere la possibilità che l’ippocampo possa
essere importante anche per il compenso
della funzione vestibolare in seguito a
lesioni periferiche e centrali.
Dalla iniziale scoperta di O’Keefe e Dostrovsky che i neuroni dell’ippocampo hanno
una frequenza di scarica differente in ciascuna regione o “place field”, e cioè che
l’ippocampo si comporta come una mappa
cognitiva, hanno prodotto un filone di
ricerca sulle “place cells” ippocampali e il
loro ruolo per capire come il cervello processa l’informazione spaziale.
L’interesse attuale è quello di comprendere come meglio relazionare le funzioni
dell’ippocampo quale la working memory
e le mappe cognitive e come questo sia
influenzato dall’esperienza dell’ambiente
circostante e ancora il suo ruolo nell’apprendimento e nella consolidazione della
memoria.
Si è visto come i neurotrasmettitori
abbiano un considerevole potenziale di controllo sullo sviluppo dei circuiti neuronali;
sia con modalità eccitatorie che inibitorie,
essi possono interagire sulla morfologia
della rete neuronale.
In particolare studi sui processi di apprendimento e sulla memoria indicano come i
neurotrasmettitori controllino questi cambiamenti (Fig. 2). Proprio l’ippocampo è
una delle regioni del cervello nella quale si
sta iniziando a definire il ruolo dei neurotrasmettitori come “scultori” della citoarchitettura neurale.
Il glutammato, ad esempio, favorisce la
circuitazione durante lo sviluppo dell’encefalo, mantiene e modifica la circuitazione
nell’adulto ed è causa di processi neurodegenerativi nell’Alzheimer e nello stroke.
Fig. 2 – L’immagazzinamento della memoria
è legato alla stimolazione chimica modulata
dal sistema limbico, che determina un
aumento dell’ampiezza dei potenziali postsinaptici eccitatori nei neuroni dell’ippocampo.
Cos’è la memoria?
Definire la memoria è sicuramente difficile. Ciò che noi chiamiamo memoria è
solo una delle modalità in cui il SNC include
le passate esperienze nelle attività correnti; e, sebbene vi siano vari tipi di memoria che coinvolgono specifiche strutture,
potremmo in estrema sintesi definire che
“memoria” è anche ciò che si rapporta
all’ambiente circostante con un riflesso
più semplice possibile.
La neurofisiologia e la neuropsicologia iniziano a darci spiegazione di come le varie
componenti del sistema nervoso possano
produrre cambiamenti a breve e lungo termine in associazione con sensazioni, stato
di coscienza ed emozione.
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Cervello anteriore basale
Nucleo mediodorsale
Corteccia prefrontale
Spazio
WORKING
MEMORY
Parole
Amigdala
Corteccia olfattoria
(non visibile, sulla superficie
mediana del lobo temporale)
Ippocampo
Corteccia
inferotemporale
Cervelletto
Fig. 3 – Strutture cerebrali che hanno un ruolo funzionale nella memoria.
Non vi è un “magazzino” unico della memoria, bensì ogni parte del cervello forma
associazioni basate sulle informazioni che
normalmente processa (Fig. 3).
Gli esperimenti classici di Lashey hanno
dimostrato come la rimozione di alcune
parti di encefalo di un ratto posto in una
gabbia a labirinto influenzavano in maniera
marginale la sua capacità di orientarsi.
Con sorpresa quindi si dimostrò che nessuna delle parti di corteccia rimossa conteneva la chiave della memoria.
D’altra parte sebbene il cervello “pensi”
nella sua interezza, ci sono delle regioni
che influenzano ciascun tipo di memoria.
La corteccia in generale è organizzata in
piccole unità di pochi neuroni che coordinano la loro attività in relazione con gli
inputs e inviano informazioni altrove: se
questi pattern sono usati al momento o
immagazzinati in maniera durevole que6
sto dipende da azioni sottocorticali nelle
strutture del sistema limbico.
La possibilità di memoria è realizzata dalla
creazione di particolari linkage tra neuroni, il modello più semplice di questi
legami è la cosiddetta regola di Hebb che
possiamo riassumere nel fatto che “se il
firing tra due neuroni avviene nello stesso
tempo i linkage divengono più forti; se il
firing avviene in momenti differenti la connessione diviene più debole”.
Anche l’immagazzinamento delle tracce di
memoria relative ad un circuito riflesso
molto semplice non avviene in un solo sito
ma è distribuito a livello di parecchi siti del
circuito. È anche verosimile che le tracce
di memoria siano custodite in cellule nervose che svolgono altre funzioni oltre a
quelle di immagazzinare le informazioni.
È difficile studiare l’azione di larghi gruppi
di unità corticali e le migliaia di connes-
sioni tra di loro; tuttavia, la ricerca ha stabilito che il potenziamento a lungo termine
avvenga attraverso l’attività dell’ippocampo.
L’amigdala può controllare se le associazioni fatte dall’ippocampo possano essere
trasformate in memoria a lungo termine.
Ogni evento di allarme attiva l’amigdala e
le sue proiezioni verso l’ippocampo, rendendo possibile l’espressione di proteine
che favoriscono il potenziamento a lungo
termine tra le cellule.
In stretta dipendenza con lo stato mentale e con le condizioni emotive, ogni pattern di attività può divenire una percezione
durevole nel tempo.
L’ippocampo quindi è un trait d’union tra
differenti aree corticali, legando per esempio uno stato emotivo con stimoli sonori
o corticali.
Se questa capacità di elaborazione, chiamata abitualmente working memory,
diventa una memoria a lungo termine
dipende dalle regioni limbiche e corticali,
sotto l’influenza di stati quali l’interesse
intellettuale, l’emotività o un meccanismo
di ricompensa.
In pratica la working memory è una memoria a breve termine che può essere paragonata alla memoria RAM del computer,
è quel tipo di memoria che, ad esempio,
ci fa ripetere l’ultima parte di una conversazione, se l’interlocutore ci accusa di
non averlo ascoltato.
Così come la memoria RAM del computer,
la working memory è cruciale per eseguire
alcune operazioni quali sommare numeri,
comporre frasi, seguire direzioni ecc.
E così come avviene nel calcolatore, questo spazio viene riciclato e rioccupato non
appena ci si appresta a cambiare operazione.
Quando una memoria è immagazzinata,
l’ippocampo e la corteccia temporale sono
stimolati chimicamente dall’amigdala e da
altre strutture limbiche.
L’ippocampo possiede tre vie eccitatorie
principali che vanno dalla corteccia entorinale al campo CA1.
La via perforante che decorre dalla cor-
Fig. 4 – La risonanza magnetica funzionale
consente il mappaggio dei siti del cervello coinvolti nei differenti tipi di memoria e apprendimento.
teccia entorinale alle cellule granulari dell’ilo del giro dentato. Gli assoni dei granuli
che formano la cosiddetta via delle fibre
muscoidi che raggiunge le cellule piramidali del campo CA3 che inviano collaterali
eccitatorie o collaterali di Shaeffer alle cellule piramidali del campo CA1.
L’applicazione di una breve scarica di stimoli ad alta frequenza ad una qualunque di
queste vie determina un aumento dell’ampiezza dei potenziali postsinaptici eccitatori
nei neuroni dell’ippocampo; tale aumento
può durare alcune ore o giorni o settimane.
Questa facilitazione è stata chiamata
Potenziamento a Lungo Termine (LTP).
L’azione del potenziale a lungo termine si
sviluppa in molte aree cerebrali quali la
corteccia e l’ippocampo, che sappiamo
essere una regione importante per i meccanismi di ritenzione delle tracce di memoria; ciò pone l’interrogativo se l’LTP non
sia interessato nei meccanismi di memoria stessa.
Con l’uso della fMRI (risonanza magnetica
funzionale) è stato possibile mappare l’encefalo in relazione a siti di differenti tipi di
memoria e apprendimento (Fig. 4).
Psicologi e neuroscienziati sono sostanzialmente in accordo sull’esistenza di sei
differenti tipi di memoria che possono
essere riassunti come segue:
7
Tipo di memoria
Funzione
Memoria esplicita
Memoria cosciente di fatti
ed eventi
Lobo temporale mediale
e diencefalo
Working memory
Mantiene l’attività a breve termine
in altre rappresentazioni
Corteccia prefrontale
Priming
Mette a punto le rappresentazioni
percettive e concettuali
Corteccia occipitale temporale
e frontale
Apprendimento motorio
Acquisisce nuove abilità
Striato
Condizionamento classico
Apprendimento tra stimolo e
risposta motoria
Cervelletto
Condizionamento emotivo
Apprendimento tra stimolo e
risposta emotiva
Amigdala
L’ippocampo ha quindi una notevole importanza nello stoccaggio delle tracce di
memoria esplicita e abbiamo prove che i
neuroni dell’ippocampo vanno incontro a
modificazioni plastiche che sono esattamente quelle necessarie per lo stabilirsi
della memoria.
L’attività del sistema limbico permette al
cervello di regolare l’omeostasi corporea
per mezzo di feedback ormonali e non.
Il sistema limbico inoltre permette l’apprendimento cognitivo e la reazione corporea per legare il tutto nell’esperienza
quotidiana, e trasformarla in forme di
memoria.
Esiste una memoria vestibolare?
Le informazioni vestibolari nella scimmia
e nel gatto afferiscono e sono rappresentate in almeno tre regioni distinte della
corteccia cerebrale:
1. Corteccia parietale e somatosensoriale.
2. Corteccia vestibolare parietoinsulare.
3. Interazioni vestibolari diffuse sono anche
state riscontrate nella regione motoria
e premotoria e nei campi ottici frontali.
Molte di queste regioni proiettano direttamente ai nuclei vestibolari e a loro volta
ricevono stimoli convergenti labirintici, visivi
e somatosensoriali come risposta a movimenti del capo.
8
Sede
Molte di queste regioni ricevono proiezioni
vestibolari attraverso il talamo.
Lesioni della regione vestibolare parietale
sbilanciano il riflesso vestibolo oculomotore (VOR) e la soppressione visiva del VOR
così come le funzioni cognitive correlati
alla funzione vestibolare come la percezione spaziale e la memoria.
Recenti studi ambientali e neurofisiologici
hanno suggerito come l’ippocampo impieghi le informazioni vestibolari insieme alle
informazioni provenienti da altri sistemi
sensoriali per realizzare i processi computazionali spaziali.
Nel passato era stato notato che la stimolazione dell’ipotalamo laterale in ratti
immobilizzati facilita l’attività dei neuroni
vestibolari, mentre la stimolazione del
nucleo ipotalamico ventro-mediale e dorsale sopprimono l’attività.
Il sistema limbico ed in particolare l’ippocampo ed il nucleo dell’amigdala partecipano nella genesi del disequilibrio del corpo.
Una sovrastimolazione dell’ippocampo di
coniglio induce una sovreccitazione delle
componenti adrenergiche coinvolte in questo tratto dell’encefalo.
Partendo da questi presupposti Hinohi ha
effettuato un test dell’equilibrio in un certo
numero di pazienti traumatizzati che soffrivano di vertigine psicosomatica di cui si
prospettano due fattori eziologici, un
linkage funzionale tra la corteccia temporale e il sistema limbico in particolare
riguardo a:
1. memoria (meccanismo di memoria)
2. riflesso condizionato relativo alle vertigini
l ruolo del cervelletto non è invece un fattore essenziale nel produrre vertigini di
origine psicosomatica ma aumenta le vertigini di questo tipo attraverso una attivazione delle componenti adrenergiche.
Il ruolo di neuromediatori nelle vie vestibolari è anch’esso ben noto, ad esempio
la stimolazione vestibolare in vivo con
acqua calda incrementa il rilascio di glutammato nel Nucleo Vestibolare Mediale
(NVM); il contrario accade con la stimolazione fredda.
La stimolazione calorica sia calda sia
fredda promuove il rilascio di istamina e
acetilcolina ippocampale; questo suggerisce che sia il sistema istaminergico che
colinergico sono attivati dall’imbalance
intervestibolare.
Sistema limbico e vertigine
Vi è una stretta correlazione tra i disturbi
dell’equilibrio e le “vertigini” psicogene; più
del 60% dei soggetti con disturbi di panico
e agorafobia sono destabilizzati nelle situazioni di disorientamento percettivo.
Se quindi nell’ipotalamo vi sono immagazzinate tracce di memoria si potrebbe pensare che anche l’esperienza vertigine sia
tra queste.
In effetti la vertigine con il suo imponente
corteo sintomatologico che coinvolge l’emotività fino alla paura, la presenza di fenomeni che sollecitano il sistema neurovegetativo fa sì che sicuramente venga a formarsi una traccia mnesica.
Questo ci fa capire meglio le componenti
ansiose e fobiche spesso lamentate da un
paziente vertiginoso.
Ancora più suggestivo potrebbe essere
un meccanismo che fa riemergere il sintomo vertigine anche in assenza di uno
stimolo esterno alla percezione corporea o ad un danno labirintico periferico.
Quali tipi di vertigine potrebbero riconoscere questo meccanismo?
• Le recidive di malattia di Menière
• Le recidive di VPP
• Le VPP atipiche
• Le vertigini a caratteristiche periferiche
ricorrenti o subentranti
• Tutte le forme di scompenso vestibolare
• Gli equivalenti emicranici e le vertigini
cefalea-correlate
• Le vertigini psicogene (e in particolare
gli attacchi di panico e vertigini agorafobiche)
• Altro?
Questa non vuol essere una conclusione,
bensì l’affascinante percorso di alcune considerazioni sillogiche che a nostro avviso
meritano una qualsivoglia considerazione.
Ovviamente non esistono dati certi che possano suffragare quanto da noi affermato,
ma queste considerazioni aprono sicuramente nuovi e interessanti campi d’indagine, allargando l’interesse dei clinici anche
per ciò che riguarda le possibilità terapeutiche riabilitative e farmacologiche.
Bibliografia
Kandel ER, Schwartz JH, Jessell TM. Fondamenti
di neuroscienze e del comportamento. Ed.
Ambrosiana, Milano 1999.
Fukushima K. Corticovestibular interactions: anatomy, electrophysiology, and functional considerations. Exp Brain Res 1997; 117: 1-16.
Smith PF.Vestibular-hippocampal interactions. Hippocampus 1997; 7: 465-71.
9
LOCALIZZAZIONE LABIRINTICO-CANALARE
DI PATOLOGIA VESTIBOLARE ATTRAVERSO
LO STUDIO DEI MECCANISMI FISIOLOGICI
CUPOLO-ENDOLINFATICI E
L’APPLICAZIONE DEL TEST DI HALMAGYI
E DEL TEST ROTATORIO IMPULSIVO
PAOLO DE CARLI*, MARIO PATRIZI**
* Azienda USL Frosinone - P.O. Anagni - U.O.C. di Otorinolaringoiatria - Direttore: Dr. G. Cavaniglia
** Università degli Studi di Roma “La Sapienza” - Dipartimento di Neurologia e Otorinolaringoiatria
Direttore: Prof. R. Filipo
E-mail: [email protected]
La diagnosi vestibolare per sede di lesione
è stata negli anni motivo di studio, senza
trovare, tuttavia, un diretto riscontro tra
i dati ottenuti e la sede presunta. Risulta,
infatti, difficile scorporare e analizzare l’attività vestibolare in ogni suo settore, dai
recettori, ai nuclei, fino alle connessioni
più centrali, in quanto la risposta è la
somma di ogni singolo distretto stimolato.
I recettori cupolo-ampollari e il sistema
cupolo-endolinfa sono, insieme alle macule
utricolo-sacculari, le porzioni più periferiche di questo complesso sistema e giocano un ruolo essenziale nella detezione
del danno labirintico. Piccole alterazioni di
questi distretti non diagnosticate o non
considerate possono nascondere la vera
causa di importanti disturbi dell’equilibrio.
Il test di Halmagyi o Head Impulse test
(HIT) e il test Rotatorio Impulsivo (RIT) possono essere applicati proprio per lo studio del sistema cupolo-endolinfatico.
La conoscenza dei meccanismi fisiologici
che regolano questo sistema è una tappa
fondamentale per l’applicazione e l’interpretazione di questi test.
I primi studi sull’attività canalare risalgono
a Flourens, nel 1842, il quale evidenziò,
10
dall’apertura di un canale semicircolare di
un piccione, un movimento della testa sullo
stesso piano del canale (da cui la legge).
Ewald, poi, nel 1892, sempre su piccioni,
continuò gli studi iniziati da Flourens e
descrisse la fisiologia canalare inquadrandola nelle 3 note leggi. Steinhausen,
nel 1927, studiò il movimento fisiologico
della cupola in relazione alla corrente endolinfatica e propose il movimento di un pendolo come modello di riferimento per lo
studio di questo complesso (1).
In accordo con la 3a legge di Newton (ad
ogni azione corrisponde una reazione
uguale e contraria, f1 = - f2), applicando
un’accelerazione angolare al capo di un
soggetto [at]: (F = Iat), il complesso cupolaendolinfa si flette in direzione opposta,
“trattenuto” da 3 forze:
– Elastica [Ec] della cupola;
– Viscosa [Vve] in relazione alla velocità
dell’endolinfa;
– Inerziale [Iae] legata all’accelerazione
endolinfatica.
Per una forza acceleratoria impressa alla
testa di un soggetto, la deflessione cupolare è quindi dovuta a:
Ec + Vve + Iae = Iat
In condizioni fisiologiche Ec e Iae sono quasi
irrilevanti, per cui l’equazione diventa:
Vve ª Iat
La forza applicata al sistema dall’accelerazione del capo è quindi opposta alla
viscosità che trattiene la cupola!
Integrando questa equazione (Fig. 1) si
ottiene che lo spostamento della cupola
[c] è dato da:
c ª I / Vve • vt
E anche:
c ª I / Ec • at
La massima deviazione angolare della
cupola aumenta proporzionalmente a:
– Elevata velocità della testa [v t] a frequenze naturali di movimento;
– Elevata accelerazione della testa [at]
per accelerazioni angolari costanti.
La deviazione angolare della cupola è
anche inversamente proporzionale alla
componente Viscosa [Vve] del movimento
endolinfatico e a quella Elastica [Ec] della
cupola stessa.
La deflessione della cupola è in relazione
al tipo di stimolo esercitato dalla corrente
endolinfatica. Lo stimolo può essere acceleratorio con incremento-plateau-decremento, acceleratorio impulsivo e sinusoidale. I primi due, a velocità costante,
ROTAZIONE DELLA TESTA [ Fang= Iat ]
– ELASTICA [ EC ] DELLA CUPOLA
– VISCOSA [ Vve]
IN RELAZIONE ALLA VELOCITÀ DELL’ENDOLINFA
– INERZIALE [ Iae]
LEGATA ALL’ACCELERAZIONE ENDOLINFATICA
LA VISCOSITÀ ENDOLINFATICA
SI OPPONE ALLA FORZA
DI ROTAZIONE DEL CAPO E
TENDE A LIMITARE
LA DEFLESSIONE DELLA CUPOLA
Vve ≈ Iat
Fig. 1 – Anatomofisiologia del sistema cupolo-endolinfatico (mod. da: Encyclopédie Médico-Chirurgicale).
11
lasciano tornare, dopo un tempo determinato, la cupola nella posizione iniziale.
Il terzo tipo, invece, variando continuamente in accelerazione e velocità, non permette alla cupola di tornare in posizione
di riposo.
La massima deflessione cupolare, dopo
lo stimolo ad accelerazioni angolari
costanti, segue un tempo esponenziale
per il suo ritorno alla posizione di “riposo”.
Il 63% della deviazione cupolare totale,
viene raggiunto dopo un ritardo temporale
definito (~7 sec) indicato come costante
di tempo (CT). La grandezza della CT
dipende dai coefficienti viscosi [Vve] ed elastici [Ec] per cui:
CT= Vve/Ec
Il tempo necessario, quindi, alla massima
deflessione della cupola è proporzionale
alla viscosità dell’endolinfa e inversamente
proporzionale all’elasticità della cupola
stessa.
La risposta della cupola allo stimolo acceleratorio, che dovrebbe esaurirsi per il suo
63% in ~7 secondi, viene però integrata
da un feedback positivo, a livello dei neuroni vestibolari secondari, e prolungata
fino a ~20 secondi (per i canali semicircolari laterali). Questo fenomeno, regolato
dal velocity storage mechanism, localizzato a livello del nodulo e dell’uvola, consente, quando ormai la cupola è tornata
nella sua condizione di riposo, di continuare l’attivazione del Riflesso Vestibolooculomotorio (VOR) e dei relativi muscoli
oculomotori e di avere una risposta più
adeguata ai naturali e fisiologici movimenti
del capo e del corpo.
L’HIT è un esame clinico in grado di svelare l’origine periferica, il lato ed eventualmente il canale dell’affezione patologica. Il test è stato originariamente introdotto studiando la risposta del VOR dei
canali semicircolari (CS) laterali sottoposti a stimoli impulsivi (2). Rapide, passive,
random, improvvise rotazioni del capo di
circa 20°-30°, con accelerazione di
3000°/sec2 e velocità di 300°/sec, oriz12
zontali, intorno all’asse longitudinale del
collo, provocano importanti variazioni endolinfatiche e quindi anche delle cupole dei
CS laterali. Il soggetto, sottoposto all’esame, deve provare a mantenere la fissazione su una mira posta al centro dello
sguardo.
Al termine della rotazione bisogna considerare due fasi: involontaria immediata e
volontaria secondaria. La prima è rappresentata dal movimento oculare opposto
alla rotazione del capo, per attivazione del
VOR, di Gain (guadagno) pari a ~0.9, con
gli occhi lateroruotati che tendono a rimanere sulla mira. La seconda, successiva,
è caratterizzata dal mantenimento volontario e prolungato degli occhi nella posizione lateroruotata in direzione della mira.
Si possono verificare 3 risposte diverse
nel caso vi sia un soggetto sano o un
malato in coma o un malato affetto da deficit labirintico monolaterale (Fig. 2).
Nel soggetto normale sono presenti
entrambe le fasi.
Nel comatoso, è presente l’attività riflessa
del VOR, mentre è assente quella volontaria. Gli occhi, inizialmente, deviano in
direzione opposta alla rotazione del capo,
come trattenuti da una forza inerziale, (doll’s eye reflex: riflesso degli occhi di bambola), ma dopo pochi istanti, tornano, involontariamente, nella posizione centrale di
sguardo (3).
Nel caso di un paziente affetto da deficit
vestibolare periferico-canalare, è assente
la componente involontaria e presente
quella volontaria. L’attivazione del VOR è
insufficiente: gli occhi tendono inizialmente
a rimanere in posizione centrale di sguardo
e seguono la rotazione della testa. La
seconda fase, volontaria, permette agli
occhi di riportarsi rapidamente in posizione lateroruotata verso la mira mediante
alcuni movimenti oculari saccadici.
I saccadici sono, nell’HIT, l’espressione del
deficit del VOR omolaterale alla rotazione.
Le correnti inibitorie controlaterali vengono “saturate” dalle frequenze di stimolo
dell’HIT. In accordo con la 2 a legge di
Normale
Nel soggetto normale:
dopo rotazione, gli occhi lateroruotati
rimangono sulla mira.
Comatoso
Nel paziente in coma:
istanti dopo rotazione, gli occhi
lateroruotati tornano in posizione centrale
di sguardo.
Deficit labirintico
Nel paziente con deficit labirintico:
dopo rotazione, gli occhi fanno movimenti
saccadici e lateroruotano verso la mira.
Fig. 2 – Risposte diverse di laterorotazione degli occhi verso la mira dopo rotazione del capo,
rispettivamente in un soggetto sano, comatoso o affetto da deficit labirintico monolaterale
(mod. da: Harvey, 1996).
Ewald, si arriva alla saturazione degli stimoli inibitori già per accelerazioni superiori a 100°/sec 2 e per velocità pari a
256°/sec (4). L’HIT lavora a velocità e
accelerazioni più elevate rispetto al campo
dinamico della risposta di tipo inibitorio ed
è in grado di rilevare prevalentemente la
risposta eccitatoria omolaterale alla rotazione del capo.
Una risposta di tipo eccitatorio, anche
minima, si va a sommare alla piccola iniziale risposta inibitoria controlaterale, rendendo così il test meno sensibile.
La sensibilità del test è del 34% per deficit labirintico monolaterale lieve e moderato e dell’87% per deficit severo (5).
Il test effettuato con rotazioni del capo sul
piano orizzontale acquisisce informazioni
su un danno labirintico periferico monolaterale generico localizzato a livello di tutto
il labirinto oppure a livello del solo canale
semicircolare laterale, corrispondente al
piano di stimolo.
Halmagyi e coll. (6) hanno proposto e introdotto l’utilizzo del test anche per lo studio
differenziato degli altri canali, stimolando
ciascuna coppia di canali lungo il loro asse
di rotazione. I canali verticali vengono stimolati su 2 piani diagonali, compresi tra
il piano frontale (roll) e quello sagittale
(pitch); questi piani prendono il nome dalle
iniziali anglossassoni dei rispettivi canali
stimolati LARP (left anterior-right posterior) e RALP (right anterior-left posterior).
13
LARP
RALP
Fig. 3 – HIT per i canali verticali con stimolazione lungo i piani diagonali LARP e RALP
(mod. da: Halmagyi, 1998).
Nel soggetto normale, il VOR è di ~ 0.9
per i canali laterali e di ~0.7-0.8 per quelli
verticali, se stimolati in LARP e RALP, inferiore in pitch e roll (Fig. 3).
L’utilizzo dei piani diagonali, piuttosto che
lo stimolo in pitch e roll, permette di avere
sempre la risposta eccitatoria di un solo
canale per lato. Un deficit monocanalare
anteriore sinistro, infatti, può essere svelato in LARP, ma né in Roll CCW (verso
sinistra), poiché si somma la risposta ecci14
tatoria del canale posteriore omolaterale,
né in Pitch verso il basso, poiché si somma
la risposta eccitatoria del canale anteriore
controlaterale.
L’altro esame attraverso il quale è possibile ottenere informazioni sulle condizioni
fisiopatologiche del complesso cupola-endolinfa è il test Rotatorio Impulsivo (RIT). Il
test consiste in una stimolazione rotoacceleratoria su sedia simile a quella di
Barany-Buys-Fischer-Arslan: una prima stimolazione rotatoria, prolungata nel tempo,
a velocità costante, in senso orario,
seguita da una reazione d’arresto e una
seconda, in senso antiorario; se ne differenzia per i parametri di stimolo utilizzati
da Modugno (7).
La fase iniziale acceleratoria è di 4°/sec2
per 40 secondi alla quale segue una velocità costante di 160°/sec mantenuta per
3 minuti, con successiva reazione d’arresto in ~ 300-400msec e fase decelerativa pari a ~ 400°-530°/sec2.
I parametri del ny post-impulsivo da considerare e valutare nell’RIT sono la CT e il
VOR-Gain. Quest’ultimo è dato dal prodotto
della velocità angolare della fase lenta massima (VAFLm) e la velocità della sedia nella
sua fase costante per-rotatoria.
Un ulteriore parametro, considerato da
Huygen (8) e ripreso da Modugno (7), è
la Gesamtamplitude, che è il prodotto tra
la VAFLm e la CT e che corrisponde all’integrale finito dell’inviluppo temporale della
VAFL. Il valore di questo prodotto risulta
di difficile quantificazione anche se può
essere soggettivamente interpretato come
l’area compresa tra la curva di risposta
della VAFL e gli assi cartesiani.
Il valore della CT non sarebbe strettamente
correlata ad alterazioni patologiche del
VOR. La CT, secondo quanto riportato da
Modugno (7), è risultata alterata solo nel
50% delle asimmetrie dinamiche del VOR.
Questi dati fanno riflettere come sia importante studiare il comportamento del complesso cupola-endolinfa isolandolo, se possibile, dalle risposte più evidenti e visivamente più “ingombranti”. Alterazioni selet-
tive delle componenti viscosa dell’endolinfa
e/o elastica della cupola possono manifestarsi con disturbi dell’equilibrio di difficile identificazione. Possono presentarsi,
al contrario, patologie labirintiche più centrali indipendentemente dalla normale attività cupolo-endolinfatica.
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15
LO STUDIO STABILOMETRICO
TETRATASSICO NELLE TURBE
DELL’EQUILIBRIO DA INSUFFICIENZA
VERTEBROBASILARE
DAVIDE ANTONIO GIULIANO
Clinica Otorinolaringoiatrica Base
Università degli Studi di Palermo
E-mail: [email protected]
L’insufficienza vertebrobasilare (IVB) viene
comunemente definita come una condizione patologica contrassegnata dall’insufficienza funzionale dei territori anatomici la cui perfusione dipende dal circolo
vertebrobasilare (tronco dell’encefalo, cervelletto, lobi occipitali della corteccia cerebrale, orecchio interno) (Fig. 1).
La sua patogenesi è ascrivibile prevalentemente a fattori steno-obliteranti intrinseci (aterosclerosi, vasculiti obliteranti)
(Fig. 2).
La IVB, oltre a rappresentare una delle
cause più frequenti di attacchi ischemici
transitori o protratti, determina la comparsa, in circa il 70-90% dei casi, di turbe
dell’equilibrio i cui connotati clinici si caratterizzano per il loro spiccato polimorfismo.
Fig. 1 – Rami principali del circolo vertebrobasilare con relativi territori di irrorazione
(tronco dell’encefalo).
Fig. 2 – Immagine in sezione di un vaso sanguifero stenotico a causa della presenza di
una voluminosa placca ateromatosa in sede
intimale. In tal caso, la IVB è indotta da una
condizione di “danno trombo-embolico”.
Introduzione
16
Le ragioni dell’elevata prevalenza di turbe
otoneurologiche nei soggetti affetti da tale
patologia risiedono sostanzialmente nella
stretta dipendenza delle varie componenti
del sistema dell’equilibrio dall’emodinamica
del circolo vertebrobasilare, nella natura
di tipo terminale del microcircolo labirintico, nell’estrema sensibilità delle cellule
sensoriali del labirinto e dei nuclei vestibolari anche a lievi condizioni di ipossia.
Il polimorfismo della sintomatologia, invece,
dipende dal fatto che i vasi del circolo vertebrobasilare si occupano della vascolarizzazione sia delle strutture vestibolari
periferiche che di quelle centrali.
Pertanto, in base alla sede e all’entità della
lesione vascolare, lo stato di disequilibrio
del paziente può consistere in una condizione di modica instabilità posturale riferita come “senso di ubriachezza o di
sprofondamento nel vuoto” (dizziness), in
sensazioni soggettive di deviazione della
marcia o in vertigini propriamente dette,
le quali possono palesarsi come posizionali, periferiche, centrali o miste.
A volte, mediamente nel 30% dei casi, i
disturbi otoneurologici possono addirittura
manifestarsi in assenza di segni di compromissione del circolo posteriore, probabilmente per via di deficit irrorativi selettivi dei vasi destinati al labirinto membranoso.
L’assenza di ulteriori segni neurologici,
comunque, non è indice di minore gravità
della patologia in atto o di prognosi favorevole, in quanto è stato riscontrato che
spesso le vertigini isolate precedono l’insorgenza di accidenti vascolari ben più
gravi, quali ictus completi o progressivi.
Appare quindi evidente la necessità di
instaurare un adeguato trattamento terapeutico il più precocemente possibile, al
fine, da un lato, di conseguire la remissione parziale o totale dei disturbi lamentati dal paziente, dall’altro, di prevenire il
sopraggiungere di eventi patologici neurovascolari altamente debilitanti.
I tradizionali protocolli terapeutici prevedono l’impiego di molecole ad azione antiag-
gregante o anticoagulante, in caso di prevalente danno tromboembolico, e di emoreologici, in presenza di alterato compenso
emodinamico anche se, sovente, vista la
non rara associazione di molteplici fattori
patogenetici, si rende necessaria la somministrazione di più farmaci, in modo tale
da ottenere effetti benefici contemporaneamente sull’apparato cardiovascolare,
sull’assetto lipidico nonché sull’omeostasi
metabolica del paziente.
Di seguito viene riportata la nostra esperienza su un gruppo di 25 pazienti, con
turbe dell’equilibrio imputabili ad I.V.B, trattati con una molecola che, a nostro avviso,
risponde alle esigenze appena esposte: il
sulodexide.
Materiali e metodi
Sono stati reclutati 25 pazienti (età media
± DS: 57,2 ± 13,8 anni; range 50-72
anni; 10 uomini, 15 donne) affetti da turbe
dell’equilibrio differenti per entità e modalità di presentazione clinica, nei quali l’esame ecodoppler aveva rivelato la presenza di alterazioni del circolo vertebrobasilare.
In particolar modo, il 40% (10/25) di essi
presentava lesioni stenosanti delle vertebrali di probabile natura ateromatosa; il
36% (9/25) turbe emodinamiche di media
entità; mentre il restante 24% (6/25)
ostentava solamente modeste alterazioni
flussimetriche da riferire a processi stenoobliteranti in fase incipiente.
Data l’assenza di reperti anamnestici e clinico-strumentali suggestivi di altre patologie, i pazienti in esame risultavano affetti
da turbe otoneurologiche di chiara matrice
vascolare.
Nel 56% (14/25) di essi la sintomatologia vestibolare consisteva in una condizione di instabilità posturale, descritta prevalentemente come sensazione di “galleggiamento”, tale da indurre oscillazioni
pluridirezionali durante il mantenimento
della posizione ortostatica o da determi17
nare l’arresto improvviso della marcia
verso una qualunque direzione a causa del
progressivo decremento del senso di orientamento spaziale. Il 36% (9/25) dei soggetti lamentava, invece, delle palesi vertigini oggettive di breve durata, di elevata
intensità, talora associate a rilevanti manifestazioni neurovegetative, che si verificavano soprattutto in seguito a bruschi
movimenti di rotazione o di flesso-estensione del collo.
Il rimanente 8% (2/25) del gruppo in
esame notava, nel contesto di uno stato
pressoché persistente di modica precarietà posturale, episodi di esacerbazione
della condizione di disequilibrio, a volte culminanti in autentiche vertigini oggettive.
Ulteriori segni neurologici di interessamento del circolo vertebrobasilare (cefalea occipito-nucale, disturbi visivi, stati di
obnubilamento del sensorio, crisi di ipersonnia, drop-attacks) erano ravvisabili soltanto in una ristretta percentuale di casi
(32%; 8/25), mentre gli indici di compromissione cocleare (ipoacusia neurosensoriale accompagnata o meno da acufeni) apparivano di più frequente riscontro
(64%; 16/25).
Ultimate le comuni indagini preliminari, i
pazienti sono stati sottoposti all’esame
stabilometrico tetratassico, al fine di valutare l’efficienza del sistema dell’equilibrio.
Il sistema stabilometrico tetratassico
(Sistema Tetrax), come è noto, consta di
quattro piattaforme assemblate in coppie,
destra e sinistra, in grado di registrare e
comparare simultaneamente le modificazioni posturali dei due avampiedi (punte)
e dei due retropiedi (talloni), con la possibilità, quindi, di formulare correlazioni diagonali (Fig. 3).
A ciascuna piattaforma è connesso un trasduttore di pressione, il quale converte la
forza peso esercitata su di esso in tensione elettrica proporzionale. Le tensioni
elettriche in uscita dai quattro trasduttori
vengono inviate ad un apposito computer
preposto alla rielaborazione digitale dei
dati.
18
Fig. 3 – Paziente sottoposta ad esame stabilometrico tetratassico (Tetrax).
Alla fine del suo procedimento di elaborazione,
il computer misura i seguenti parametri:
a. L’indice di stabilità somatica (ST), che
fornisce una misurazione complessiva
dell’entità delle deviazioni compiute dal
paziente sulle quattro pedane. Il range
varia da un valore minimo di 10 ad un
valore massimo di 1500. Più alto è il
punteggio, maggiore è l’entità dello stato
di disequilibrio.
b. L’analisi spettrale di Fourier, la quale
viene formulata sotto forma di punteggi
relativi al raggruppamento delle frequenze di oscillazione in otto gruppi,
quali:
– F1 = da 0 a 0,1 Hz
– F2 = da 0,1 a 0,25 Hz
– F3 = da 0,25 a 0,35 Hz
– F4 = da 0,35 a 0,50 Hz
– F5 = da 0,50 a 0,75 Hz
– F6 = da 0,75 Hz a 1,00 Hz
– F7 = da 1,00 a 3,00 Hz
– F8 = oltre i 3,00 Hz
In genere, la frequenza F1 è espressione
del controllo visivo e labirintico; le fre-
quenze F2-F4 ed F5-F6 riflettono il controllo somatosensoriale e cerebellare;
le frequenze F7-F8 non sono significative ai fini dell’analisi spettrale. Maggiore
è il valore numerico corrispondente a
ciascuna delle suddette frequenze, maggiore risulta essere lo stato di compromissione di determinati sottosistemi.
c. Il quoziente spettrale di Fourier (SPQ),
che misura l’influenza delle frequenze più
basse rispetto alle tre bande di frequenza
più alte successive. Minore è il valore del
quoziente spettrale, maggiore è il coinvolgimento del sistema propriocettivo nella
genesi dei disturbi riferiti dal paziente.
d. Il punteggio di distribuzione del peso
(WD), che mostra la percentuale di
ripartizione del peso corporeo su ciascuna delle quattro piattaforme.
e. L’indice di distribuzione del peso (WDI),
consistente nella deviazione standard
dei quattro punteggi di distribuzione del
peso dal valore invariabile del 25%. Questo parametro esprime l’entità della
discrepanza delle percentuali di peso.
f. I punteggi di sincronizzazione, i quali permettono di valutare la sincronizzazione tra
le oscillazioni compiute dalle quattro basi
d’appoggio lungo i relativi assi trasversali,
sagittali e diagonali. Gli indici di sincronizzazione vengono riportati dal computer
come curve il cui andamento può avvicinarsi, essere incluso o discostarsi dai
range di normalità. Tali curve sono:
– curva AB = sincronizzazione lungo l’asse
sagittale punta sinistra-tallone sinistro
– curva CD = sincronizzazione lungo l’asse
sagittale punta destra- tallone destro
– curva AC = sincronizzazione lungo l’asse
trasversale punta sinistra- punta destra
– curva BD = sincronizzazione lungo l’asse
trasversale tallone sinistro- tallone
destro
– curva AD = sincronizzazione lungo l’asse
diagonale punta sinistra-tallone destro
– curva BC = sincronizzazione lungo l’asse
diagonale tallone sinistro-punta destra
L’esame prevede l’esecuzione di otto test,
atti a vagliare le modificazioni stabilometriche indotte dalla modulazione delle afferenze neurosensoriali che sottendono alla
regolazione dello stato di equilibrio. Ciascun test ha una durata media di 30
secondi. I suddetti test possono essere
così riassunti:
I. Posizione di Romberg ad occhi aperti
(NO = Normal Open)
In questo caso sono attivi tutti e tre i
sistemi preposti al mantenimento dell’equilibrio (visivo, propriocettivo e labirintico).
Viene, così, stimata la strategia posturale
che il paziente adotta nella comune vita di
relazione.
II. Posizione di Romberg ad occhi chiusi
(NC = Normal Closed)
Le afferenze visive sono escluse. Il
nevrasse, per un meccanismo di compenso, incrementa la frequenza di risposta alle afferenze ancora attive, conferendo,così, maggiore rilievo alle informazioni di natura propriocettiva e labirintica.
III.Posizione di Romberg con il capo ruo
tato verso destra (HR = Head Right)
La rotazione del capo da un lato comporta
l’induzione di un ipertono dei muscoli estensori omolaterali alla sede di rotazione e di un
ipotono dei corrispettivi muscoli controlaterali, a cui segue una rilevante accentuazione
delle oscillazioni del baricentro di gravità del
soma sul piano trasversale. Ovviamente, le
oscillazioni sono dirette verso il lato ipotonico
che, in questo caso, è il sinistro.
IV. Posizione di Romberg con il capo ruotato verso sinistra (HL = Head Left)
Tale posizione, con un meccanismo identico a quello descritto a proposito del test
III, produce delle evidenti oscillazioni trasversali del baricentro di gravità del soma
verso destra.
V. Posizione di Romberg con il capo
anteroflesso (HF = Head Forward)
Come è noto, i movimenti di flesso-estensione del capo comportano la stimolazione
19
della macula acustica dell’otricolo che, già
in condizioni di base, riceve sollecitazioni
dalla forza gravitazionale. Si saggia,quindi,
l’efficienza del sistema otricolare.
VI.Posizione di Romberg con il capo
retroflesso (HB = Head Backward)
Con tale test, la stimolazione viene esercitata non solo sul sistema otricolare, ma
anche sui propriocettori muscolo-tendinei
del collo.
VII. Posizione di Romberg ad occhi
aperti e cuscino di gommapiuma
sotto i piedi (PO = Pads Open)
La disposizione di un cuscino di gommapiuma sotto i piedi riduce la consistenza
e la stabilità del piano di appoggio, dando
luogo ad un netto decremento delle afferenze estero- propriocettive. Viene, così,
stimata la capacità del nevrasse di mantenere un corretto assetto posturale compensando il deficit del sistema somatosensoriale.
VIII. Posizione di Romberg ad occhi
chiusi e cuscino di gommapiuma
sotto i piedi (PC = Pads Closed)
Le afferenze visive sono escluse, quelle
estero-propriocettive sensibilmente ridotte.
Pertanto, in queste condizioni, è possibile
appurare l’influenza esercitata dalle sole
afferenze labirintiche sull’equilibrio statico
del paziente.
Completata l’analisi dei reperti stabilometrici, è stato iniziato il trattamento farmacologico, il quale prevedeva l’assunzione
di sulodexide, molecola ad azione prevalentemente emoreologica, secondo il
seguente schema posologico: 250 unità
lipasemiche (U.L.S.) x 2/die per os per
un periodo di due mesi.
Alla fine del trattamento, i soggetti del
gruppo in studio sono stati nuovamente invitati a sottoporsi all’esame stabilometrico
tetratassico per verificare l’eventuale recupero funzionale del sistema dell’equilibrio.
20
Risultati
I risultati dell’esame stabilometrico tetratassico si sono rivelati alquanto esplicativi.
Innanzitutto, come era logico attendersi,
tutti i pazienti presentavano una netta alterazione dell’indice di stabilità somatica (ST),
il quale appariva maggiormente compromesso nelle condizioni di flesso-estensione
del capo (HB ed HF) e di rotazione laterale dello stesso (HR ed HL) nel 56%
(14/25) dei casi, in condizioni di deprivazione visuo-estero-propriocettiva (PO e
PC) nel rimanente 44% (11/25).
In base all’analisi spettrale di Fourier, le frequenze di oscillazione con valori più elevati
erano rappresentate, in ben il 52%
(13/25) dei soggetti, dalle frequenze F2F4 ed F5-F6 , chiaro indice di prevalente deficit funzionale del sistema somatosensoriale e dell’attività integrativa cerebellare.
Invece, nel 48% (12/25) di essi, i valori
più alterati riguardavano la frequenza di
oscillazione F1, ovvero la frequenza che
esprime sostanzialmente l’integrità funzionale del labirinto. Pertanto, nel campione
di pazienti esaminato, si evinceva una
modesta prevalenza del deficit vestibolare
centrale su quello di natura periferica.
In merito all’analisi della distribuzione del
peso corporeo su ciascuna delle quattro
piattaforme o ai punteggi di sincronizzazione, non sono emersi dati particolarmente significativi.
La stabilometria tetratassica, eseguita
dopo i due mesi di terapia, ha permesso
di rilevare un congruo miglioramento dei
parametri di stabilità (Fig. 4).
Infatti, l’indice di stabilità somatica si era
normalizzato complessivamente nel 76%
(19/25) dei pazienti, mentre le frequenze
di oscillazione avevano assunto valori non
patologici, nelle condizioni che precedentemente risultavano potenzialmente destabilizzanti, in circa l’84% (21/25) degli stessi
(Fig. 5). Anche i reperti clinico-anamnestici
suffragavano l’evidenza di un non trascurabile miglioramento dello stato di equilibrio
statico e dinamico dei pazienti trattati.
A
B
Fig. 4 – Reperto dell’esame Tetrax in un paziente del gruppo di studio in fase pre-trattamento
(A) e in fase post-trattamento (B). Si noti la normalizzazione dei valori di ST e delle principali
frequenze di oscillazione nelle condizioni PO, PC, HB, HF dopo la terapia farmacologica.
A
B
24%
16%
76%
84%
ST normale
ST patologico
Frequenze normali
Frequenze patologiche
Fig. 5 – Distribuzione percentuale inerente l’indice di stabilità somatica (A) e l’analisi delle frequenze di oscillazione (B) nei pazienti osservati in fase post-trattamento.
Discussione e conclusioni
Il trattamento farmacologico delle turbe dell’equilibrio correlate ad IVB deve essere finalizzato al conseguimento di due obiettivi fondamentali: la remissione, o perlomeno l’attenuazione, della sintomatologia nonché la
prevenzione di gravi accidenti neurovascolari. A nostro avviso, una molecola in grado
di assicurare il raggiungimento di entrambi
gli obiettivi è rappresentata dal sulodexide.
Il sulodexide è un glicosoaminoglicano (GAG)
costituito per un 80% da una frazione di
eparina a medio-basso peso molecolare e
21
per il restante 20% da dermatan solfato.
La componente eparinica, legandosi alla proteina AT III (antitrombina III), incrementa l’attività inibitoria che tale proteina espleta sul
fattore Xa della cascata coagulativa, bloccando così la conversione della protrombina
in trombina e quindi la trombogenesi.
La componente dermatanica, da parte
sua, inibisce la trombina adesa al trombo
preformato impedendo, pertanto, l’ulteriore apposizione di fibrina sul trombo.
Coagulazione
Inoltre, tale molecola, agendo sugli endoteliociti, incrementa la sintesi di t PA (attivatore tissutale del plasminogeno) ed inibisce quella del PAI (inibitore del t PA),
determinando così un notevole aumento
della conversione del plasminogeno in plasmina e di conseguenza della degradazione della fibrina in fibrinopeptidi (Fig. 6).
La riduzione della produzione di trombina,
sostanza ad azione proaggregante, comporta anche una minore aggregabilità pia-
via intrinseca
Tissue Factor via estrinseca
superficie di
contatto
XIIa
XIa
VIIa
IXa
VIIIa
TFPI
Ca-PF3
Xa
via comune
Va
Prot. C
Ca-PF3
ATIII
Trombina libera
HCII
Trombina legata
alla fibra del trombo
eparina
dermatano
Cellula endoteliale
Fibrina
PAI
t PA
Plasmina
FDP
prodotti
degradazione
fibrina
+
Plasminogeno
Fibrinolisi
Fig. 6 – Quadro sinottico dei principali effetti farmacologici del Sulodexide.
22
strinica mentre la regolazione della concentrazione di fibrinogeno esita in un
miglioramento dell’emodinamica.
Il sulodexide, infine, legandosi all’endotelio dei vasi sanguiferi, attiva in loco gli
enzimi preposti alla degradazione dei lipidi
di deposito (lipoproteinlipasi) ed inibisce
nel contempo il “binding” della trombina e
la captazione delle lipoproteine VLDL da
parte degli endoteliociti.
Quindi, in definitiva, la suddetta molecola
espleta un’azione antitrombotica, profibrinolitica, antiaggregante, emoreologica
ed endotelioprotettiva. I dati desunti dalla
nostra esperienza su 25 soggetti affetti
da turbe dell’equilibrio da IVB ha dimostrato che il sulodexide è dotato di una
spiccata efficacia nel trattamento delle
patologie otoneurologiche ad impronta
vascolare. Infatti la normalizzazione del ST
nel 76% (19/25) dei soggetti del gruppo
in esame dimostra che il sulodexide, migliorando le condizioni emodinamiche del circolo vertebrobasilare, permette il ripristino della corretta vascolarizzazione del
labirinto e dei nuclei vestibolari, a cui segue
il loro progressivo recupero funzionale.
Inoltre, dal momento che il farmaco esercita anche un’azione protettiva sull’endotelio e sul bilancio emostatico, è evidente
che esso risulta particolarmente indicato
anche nella profilassi di quelle vasculopatie cerebrali di cui le vertigini isolate rappresentano spesso i segni prodromici.
Va ancora notato che la somministrazione
di tale molecola può rivelarsi proficua anche
al fine di conseguire un significativo incremento della capacità di compenso da parte
dei distretti vascolari ancora integri, mitigando così gli esiti di eventuali deficit di irrorazione. In definitiva, riteniamo che il sulodexide, per via dei suoi molteplici effetti sull’emodinamica del micro e macro-circolo,
sull’emostasi e sull’endotelio, costituisce
un presidio farmacologico di indubbio ausilio nel trattamento delle turbe dell’equilibrio, nonché nella profilassi delle vasculopatie, secondarie ad IVB.
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OTONEUROLOGIA
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