Studi e ricerche

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S tu d i e ricerch e
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
Motivi fatti conseguenze
Gerhard Schreiber
Il presente saggio costituisce un contributo ana­
litico alla storia delle relazioni italo-germaniche
durante la seconda guerra mondiale. Lo studio
segue il metodo storico-critico e si fonda su fon­
ti italiane e tedesche edite ed inedite, nonché sul­
la letteratura essenziale sull’argomento. Attra­
verso un approccio che prende in considerazione
elementi politici, militari, sociali, psicologici e
propagandistici, vengono indagati i motivi della
partecipazione dell’Italia alla guerra contro l’U­
nione Sovietica, motivi che, in generale, sono
poco discussi nei lavori storici, che si occupano
per lo più della clamorosa disfatta e della tragica
ritirata delle truppe italiane nell’inverno 19421943. L’articolo sostiene che la decisione di Ro­
ma di agganciarsi ai successi tedeschi in Urss fu
presa, soprattutto, come conseguenza dell’irra­
zionale rivalità politica che Mussolini coltivava
nei confronti di Hitler, in chiara contraddizione
con gli interessi nazionali italiani. Sono inoltre
riflesse le vicende operative, il clima della guerra
di coalizione e le ripercussioni della catastrofe
militare sia sullo spirito d’animo dei due popoli,
sia sull’ambigua alleanza tra Hitler e Mussolini.
In più ci si chiede se ed in che modo cambiò l’at­
teggiamento dei tedeschi verso gli italiani come
conseguenza degli sviluppi della campagna in
Russia. In questo contesto viene messo in dub­
bio il giudizio sdegnoso di alcuni generali della
Wehrmacth sull’alleato italiano, confrontando­
lo con la testimonianza degli ufficiali di collega­
mento tedeschi presso le divisioni italiane, nel
contesto del significato storico per la sorte del­
l’Asse della partecipazione italiana ai combatti­
menti sul fronte orientale.
‘Italia contemporanea”, giugno 1993, n. 191
The present essay is an analytical contribution
to the knowledge o f the Italo-German relations
during the Second World War. Based on docu­
mentary sources o f both countries, several o f
them unpublished, as well as on the essential re­
levant literature, it investigates the motives o f
the Italian involvement in the war against the
Soviet Union, through a careful examination o f
the underlying political, military, social and
psychological implications — a set o f questions
generally all but ignored in the works o f the
scholars who have been dealing with the disa­
strous defeat and tragic retreat o f the Italian
army in the winter 1942-1943. The A . maintains
that R om e’s decision to hop on the German
bandwagon descended mainly from the irratio­
nal rivalry Mussolini nourished toward Hitler,
in open contrast with the Italian national intere­
st. The investigation covers the operational
events, the psychological climate o f the coali­
tion war and the repercussions o f the military
catastrophe both on the morale o f the two peo­
ples and on the ambiguous Hitler-Mussolini al­
liance. The A . puts also forth the question whe­
ther and to what extent the German attitude to­
ward the Italians was badly affected by the ex­
perience o f the Russian campaign. In this con­
text, testimonies o f German liaison officers at­
tached to the Italian headquarters allow a criti­
cal reconsideration o f the fa r too severe judge­
ments expressed by some Wehrmacht generals
on the Italian ally, and help gain a deeper insi­
ght into the historical meaning o f the Italian
participation in the Eastern fro n t battles o f the
Axis.
246
Gerhard Schreiber
La guerra all'Urss nel disegno di Mussolini
Udine, marzo 1943. Nella vecchia venerabile
città del Friuli gli uomini appaiono impres­
sionati, perché si è sparsa la voce della
drammatica fine dell’8a armata. La colpa
della catastrofe viene personalizzata: “Ab­
basso Mussolini assassino degli alpini”1. So­
no reduci di ritorno dalla Russia che lo dico­
no, uomini sopravvissuti a quello che nel
frattempo è chiamato il “massacro degli al­
pini” : pars pro foto, poiché con le truppe al­
pine, l’élite del regio esercito, morirono in­
numerevoli altri soldati italiani in quell’in­
verno 1942-1943. Perché queste morti a mi­
gliaia, crudeli e senza senso, di congiunti,
amici o connazionali? Perché dovettero per­
dere la vita su un fronte che agli italiani non
interessava per nulla? Questo devono essersi
chiesti, disperati e impotenti, migliaia di ita­
liani.
Le risposte — che non possono essere né
di giustificazione né di legittimazione — lo
storico le trova da una parte nella natura
della guerra contro l’Unione Sovietica, che
era caratterizzata sia da fattori imperialistici
che ideologici, dall’altra nel particolare at­
teggiamento che Mussolini aveva nei con­
fronti di Hitler. Ed è ovvio che in questa oc­
casione — cioè nella ricerca dei motivi della
partecipazione italiana alla cosiddetta cam­
pagna orientale della Wehrmacht — si deb­
ba accuratamente discernere tra l’incidenza
delle dichiarazioni interne, quella delle co­
municazioni ufficiali e degli annunci propa­
gandistici.
Nella propaganda antibolscevica del regi­
me fascista c’era stata — escluso il periodo
del conflitto russo-finlandese — una sorta
di pausa dopo la sorprendente stipulazione
del patto di non aggressione tedesco-sovie­
tico del 23 agosto 1939; e con l’entrata in
guerra dell’Italia il 10 giugno 1940 anche
Mosca si collocava per Roma nel novero
degli stati amici dell’Asse. Non c’era alcun
motivo per atteggiamenti ostili nei confron­
ti di Stalin. Nei giornali la Russia non com­
pariva, ma tutto ciò cambiò repentinamen­
te con il 22 giugno 1941. Tornarono a do­
minare i vecchi slogan. La dirigenza italia­
na evocò — con non poche aspettative per
le reazioni del Vaticano — l’ateismo dei co­
munisti; parlò, proprio come Hitler, di
“idra giudaico-bolscevica” ed istruì la
stampa perché orientasse la popolazione
verso una solidarietà paneuropea contro il
bolscevismo. Si doveva far sorgere uno spi­
rito di crociata e qualcuno marciò realmen­
te verso est in tale prospettiva, pensando di
dover insegnare la “vera vita” a popoli ai
quali riteneva sconosciuti “civilizzazione”,
“religione” , e perfino “lavoro”2. Tuttavia,
allora come sempre, i media italiani com­
battevano contro la plutocrazia e il comu­
niSmo: ancora nel 1941 i resoconti politico­
ideologici sull’Urss erano analoghi a quelli
sulla Gran Bretagna3.
Prese di posizione ufficiali sottolineava­
no parimenti il momento ideologico. Così
Mussolini il 23 giugno scriveva a Hitler che
la “soluzione del problema russo” avrebbe
ricondotto le potenze dell’Asse a quell’“in-
II presente saggio è stato pubblicato in: Stalingrad. Ereignis - Wirkung - Symbol, a cura di Jiirgen Forster per il Militàrgeschichtlichen Forschungsamtes di Freiburg i.Br., München und Zürich, Piper, 1992, pp. 250-292.
1 Giuseppe Bottai, Diario 1935-1944, a cura di Giordano Bruno Guerri, Milano, Rizzoli, 1982, p. 369, 26 marzo
1943.
2 Cfr. Nuto Revelli, L ’ultimo fronte. Lettere di soldati caduti o dispersi nella seconda guerra mondiale, Torino, Ei­
naudi, 1989, p. 29.
3 Sulla tematica propagandistica cfr. Enzo Collotti, L ’alleanza italo-tedesca 1941-1943, in Gli italiani sul fronte
russo, a cura dell’Istituto storico della resistenza in Cuneo e provincia, Bari, De Donato, 1982, pp. 3-61, in partico­
lare pp. 22 sgg.; e nello stesso volume Mario Isnenghi, La campagna di Russia nella stampa e nella pubblicistica fa ­
scista.
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
segnamento” che esse avevano “solo tempo­
raneamente abbandonato per esigenze tatti­
che”4.
Certo, in una cerchia più ristretta egli dis­
se poco dopo che sarebbe stato ingannevole
parlare di “lotta antibolscevica”, perché si
trattava semplicemente di una controversia
per motivi di politica di potenza o imperiali­
sta per l’egemonia del continente5. Nondi­
meno sarebbe sbagliato classificare l’opinio­
ne manifestata dal duce in giugno come un
adattamento puramente opportunistico alla
condotta di Hitler.
In realtà Mussolini si considerava pro­
prio tra gli antesignani della lotta al bolsce­
vismo6. Che questo non trasparisse dalla
sua politica dei mesi precedenti — i rappor­
ti con Mosca nel 1941 si erano evoluti co­
munque nella direzione di una più stretta
collaborazione, soprattutto economica7 —
appare privo di rilievo. Occorre però sottolineare allo stesso tempo come, in modo as­
soluto, non fu unicamente la sua posizione
di fondo antibolscevica a risolverlo a di­
chiarare la guerra a Stalin nel primo matti­
no del 22 giugno.
Per individuare i veri moventi del suo at­
teggiamento, si deve risalire fino al capodanno 1941. Allora si era arrivati a signifi­
cativi spostamenti negli equilibri dell’Asse e
come conseguenza di ciò la rivalità politica
di lunga data tra Mussolini ed Hitler aveva
assunto una nuova dimensione. L’Italia, dal
247
punto di vista del Reich, si era squalificata
come grande potenza nella guerra contro la
Grecia; e nel duce, al quale non era sfuggito
il cambiamento del rapporto — egli soffrì
anche fisicamente la palese dipendenza dal­
la Germania — l’irritazione e la diffidenza
si trasformarono in odio. Un odio contro i
tedeschi che non casualmente raggiunse una
misura mai conosciuta fino allora, nel mo­
mento in cui soldati italiani e tedeschi mar­
ciavano insieme in Africa settentrionale e
nei Balcani. Il dilemma di Mussolini stava
nel fatto che egli rimaneva convinto come
prima nella vittoria finale di Hitler. D’altra
parte non escludeva nemmeno una pace di
compromesso. Credeva quindi di dover per­
severare nell’alleanza con il Terzo Reich,
sebbene fosse consapevole che l’Italia, nella
coalizione, perdeva continuamente in peso e
autonomia8. In fin dei conti si deve perciò
constatare come Mussolini dalla primavera
del 1941 agisse all’insegna del salvare il sal­
vabile: Hitler rappresentava il suo nemico
indiretto. Ciò significa che l’idea dell’al­
leanza dell’Asse già nell’autunno-inverno
1940-1941 era portata ad absurdum. Una
tesi del genere è contraddetta solo apparen­
temente dall’entrata in guerra senza indugi
dell’Italia contro la Russia. Vale quindi la
pena di considerare più da vicino il corso
degli eventi.
Com’è noto il Führer informò il 22 giugno
a notte fonda il duce, che si trovava a Ric-
4 Akten zur deutschen Auswartigen Politik 1918-1945. Aus dem Archiv des Deutschen Auswartigen Amtes (di se­
guito ADAP), Serie D, 1937-1941, 13 voli., Baden-Baden, Gottingen, 1950-1970, vol. XIII/1: DieKriegstahre, vol.
6, t. I, 23 giugno-14 settembre 1941, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1970, doc. 7, pp. 7 sgg., la citazione a
p. 7.
5 Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943, a cura di Renzo De Felice, Milano, Rizzoli, 1980, p. 530, 1° luglio 1941.
6 R. De Felice, Mussolini l ’alleato 1940-1945, vol. I, L ’Italia in guerra 1940-1943,1 .1, Dalla guerra breve alla guer­
ra lunga, Torino, Einaudi, 1990, p. 394.
7 / Documenti diplomatici italiani (di seguito DDI), nona serie, 1939-1943, vol. VII (24 aprile-11 dicembre 1941),
Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 1987, docc. 9, 170 e 282; Mario Toscano, Pagine di storia diploma­
tica contemporanea, II, Origini e vicende della seconda guerra mondiale, Milano, Marzorati, 1963, pp. 211-247;
Leonidas E. Lill (a cura di), Die Weizsàcker Papiere 1933-1950, Frankfurt a.M ., Berlin, Wien, Ullstein, 1974,
p. 237, 7 febbraio 1941.
8 Cfr. R. De Felice, Mussolini l’alleato, vol. 1 ,1 .1, cit., pp. 388 sgg.
248
Gerhard Schreiber
cione in ferie, — e l’affronto è stato descritto
spesso, talvolta anche con una certa maligni­
tà — dell’attacco all’Unione Sovietica attra­
verso il ministro degli Esteri Ciano. Tuttavia
questo era soprattutto un problema di stile.
Sono importanti due circostanze, che si evin­
cono chiaramente dalla lettera di Hitler:
Mussolini sapeva che l’aggressione avrebbe
avuto luogo, solo che non ne conosceva an­
cora la data; la Germania non era evidente­
mente incline a far partecipare unità italiane
all’operazione “Barbarossa” .
Sulle cognizioni relativamente certe che il
duce possedeva sulle intenzioni tedesche è in­
dicativa l’osservazione di Hitler9, secondo
cui l’addetto militare italiano a Berlino, ge­
nerale Efisio Marras, gli avrebbe comunicato
che l’Italia “voleva mettere a disposizione
perlomeno un corpo” per l’attacco. Egli, nel
caso Mussolini realmente ne avesse avuto
l’intenzione, avrebbe accettato riconoscente
l’offerta. Ma la cosa non era urgente, gli ita­
liani avrebbero potuto anche presentarsi più
tardi. Indubbiamente i colloqui sull’impegno
militare italiano in Russia del 21 giugno non
si presentano più così vaghi.
Al più tardi dal novembre 1940 il governo
di Roma aveva ricevuto un sempre maggior
numero di rapporti che annunciavano un
conflitto tra Berlino e Mosca. Nel maggio
1941 all’interno della dirigenza italiana si era
quindi sicuri che Hitler avrebbe attaccato. Il
14 maggio il capo del servizio segreto conclu­
se che ci sarebbe stata una offensiva della
Wehrmacht il 15 giugno. Le indicazioni deci­
sive gli italiani le ricevettero da Bucarest.
Quando Marras, infine, il 30 maggio precisò
meglio le sue osservazioni del 7 e del 21 mag­
gio sull’inasprirsi della situazione in oriente,
si riferì anche ad obiettivi e stime dei tempi,
per cui il duce ordinò lo stesso giorno di costi­
tuire un corpo di spedizione. Il che doveva
consentire una partecipazione italiana alla
guerra contro l’Urss: per Mussolini l’aspetto
particolarmente vincolante dell’imminente
scontro era costituito dal suo carattere ideo­
logico. Due settimane più tardi, il 14 giugno, i
militari a Roma presumevano che le truppe
tedesche avrebbero marciato tra il 20 ed il 25
giugno. Il giorno seguente divennero più evi­
denti i sintomi di una crescente tensione tra
Berlino e Mosca e Marras ricevette istruzioni
di offrire a Hitler l’impiego in Russia del cor­
po di spedizione in costituzione. Il 20 giugno
l’addetto militare riferì a tal proposito che il
Comando supremo della Wehrmacht (Okw)
pensava di inserire le divisioni italiane tra
quelle romene ed ungheresi, in maniera da im­
pedire contatti diretti dei due alleati tra loro
non amici. Hitler aveva accettato tutto questo
tra il 15 ed il 21 giugno, quando la sua lettera
venne consegnata. Lo stesso giorno, alle 21, il
generale Marras comunicò al ministero della
Guerra a Roma che da parte tedesca c’era pro­
prio l’intenzione di attaccare il 22 giugno. La
preparazione e l’equipaggiamento delle tre di­
visioni italiane per il fronte orientale erano
considerati all’altezza di quanto concorda­
to10. Dunque, quando Hitler nella sua missi­
va considerò aperto il problema dell’impiego
delle truppe italiane in Russia, parlò signifi­
cativamente di una “intenzione” di Mussoli­
ni. La scelta del termine non deve esser stata
casuale. Infatti si legge nella sua lettera11:
9 ADAP, Serie D, cit., vol. XII,2, Die Kriegsjahre, vol. 5, t. 2, 6 aprile - 22 giugno 1941, Gottingen, Vandenhoeck
& Ruprecht, 1969, doc. 660, pp. 889-892, citazione a p. 891.
10 Fabio Mantovani, Costantino De Franceschi, Giorgio De Vecchi (a cura di), Le operazioni delle unità italiane al
fronte russo (1941-1943), Roma, Ufficio storico Stato Maggiore esercito, 1977, pp. 33-37; cfr. inoltre la nota del
curatore in ADAP, Serie D, vol. XII,2, cit., vol. 5, t. 2, 6 aprile - 22 giugno 1941, cit., p. 769; Ugo Cavaliere, Co­
mando supremo. Diario 1940-1943 del capo di SMG, Bologna, Cappelli, 1948, p. 105, 30 maggio 1941; G. Ciano,
Diario 1937-1943, cit., p. 512, 14 maggio 1941 e p. 526, 21 giugno 1941.
11 ADAP, Serie D, vol. XII,2, vol. 5, t. 2, cit., doc. 660, pp. 889-892; cfr. anche Das deutsche Reich und der Zweite Weltkrieg, vol. 4, Horst Boog, Jürgen Forster, Joachim Hoffmann, Ernst Klink, Rolf-Dieter Müller, Gerd R.
Ueberschàr, D erAngriff auf die Sowjetunion, Stuttgart, Dva, 1983, pp. 897 sgg.
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
L’aiuto decisivo, Duce, lo potrete però sempre
fornire col rafforzare le Vostre forze nell’Africa
settentrionale, possibilmente anche volgendo lo
sguardo da Tripoli verso l’occidente, col costitui­
re un contingente per ora sia pure piccolo, che in
caso di violazione dei trattati da parte francese
possa marciare in Francia. Ed infine con l’inten­
sificare la guerra aerea, e dove sia possibile, quel­
la dei sottomarini nel Mediterraneo.
Si trattava dunque di una esortazione al
duce, disinvoltamente espressa e a malapena
camuffata, a svolgere la propria parte al sud e
a lasciar fare la guerra orientale ai tedeschi.
Mussolini fece buon viso al cattivo gioco di
Hitler12; si sentiva tuttavia profondamente
ferito dall’essere stato posto di fronte al fatto
compiuto sul “problema russo”; riteneva pri­
vo di stile, anzi insolente, l’avviso all’ultimo
momento dell’attacco. Inoltre era del tutto
evidente che Hitler voleva impedire l’impiego
del corpo di spedizione italiano.
Ciano cercò quindi di dissuadere il capo del
Governo da ogni proposito. Persistendo tut­
tavia nelle sue intenzioni, Mussolini reagì ca­
parbiamente con un: ora più che mai13. Il 23
giugno il duce formulò la sua risposta a Hi­
tler. La lettera sottolineava una volta di più la
motivazione ideologica. L’Italia non poteva
“rimanere assente” in una guerra14 che assu­
meva “questo carattere” . Seguiva una frase
chiaramente sarcastica rispetto agli sforzi te­
deschi di vincolare gli italiani all’area mediterranea: “Vi ringrazio quindi, Führer, di
aver accolto la partecipazione di forze terre­
stri e aeree italiane” . Egli era “sicuro che la
campagna contro la Russia bolscevica si con­
249
cluderà con una trionfale vittoria e che tale
vittoria sarà il preludio di quella totale sul
mondo anglosassone”. Emerge tra l’altro che
Mussolini strumentalizzava la campagna
orientale in rapporto al conflitto con la Gran
Bretagna, con un atteggiamento assai simile a
quello di Hitler.
Per quest’ultimo la valutazione delle conse­
guenze sulla guerra contro gli inglesi aveva gio­
cato un ruolo importante anche se secondario
nella decisione dell’aggressione all’Unione So­
vietica. Questo significa che Mussolini partiva
dal concetto che la “soluzione del problema
russo” avrebbe tolto al governo di Londra
“l’ultima speranza nel continente europeo”.
Tale modo di vedere si evidenzia anche in
una lettera del 2 luglio15. Il capo del governo
italiano definì allora lo “schieramento delle
nazioni europee contro Mosca” come “lo
schieramento diretto anche contro la Gran
Bretagna” . Altrettanto degne di attenzione
sono le seguenti affermazioni, che caratteriz­
zano le prospettive strategiche del duce: “Li­
quidata la Russia, la sorte della Gran Breta­
gna non tarderà molto ad essere decisa, spe­
cie se ci riuscirà di portare nel nostro campo
la Turchia ed attaccare l’Egitto da due lati” .
Con questo egli menzionava d’altra parte un
tema che i militari tedeschi avevano incomin­
ciato ad esaminare già dal tardo autunno
194016.
Da tali considerazioni si può concludere
che a Mussolini interessava, con la parteci­
pazione militare alla campagna orientale,
impegnare Hitler a continuare — il che per
Roma era centrale —- la guerra contro la
12 ADAP, Serie D, vol. XII,2, vol. 5, t. 2, cit., doc. 666, pp. 898 sgg.
13 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 527, 22 giugno 1941, e p. 529, 30 giugno 1941.
14 ADAP, Serie D, vol. X III/1, vol. 6, t. 1, cit., doc. 7, pp. 7 sgg.; Edoardo e Duilio Susmel (a cura di), Opera
omnia di Benito Mussolini, vol. XXX, Dall’intervento dell’Italia nella seconda guerra mondiale al discorso al Di­
rettorio nazionale del P n f del 3 gennaio 1942, Firenze, La Fenice, 1960, pp. 197 sgg.
15 ADAP, Serie D, vol. X III/1, vol. 6, t. 1, cit., doc. 62, pp. 61 sgg.; E e D. Susmel (a cura di), Opera Omnia di B.
Mussolini, vol. XXX, cit., pp. 202-206.
16 Das Deutsche Reich und der Zweite Weltkrieg, vol. 3, Gerhard Schreiber, Bernd Stegemann, Detlef Vogel, Der
Mittelmeerraum und Siidosteuropa. Von der “non belligeranza” Italiens bis zum Kriegseintritt der Vereinigten
Staaten, Stuttgart, Dva, 1984, pp. 572-587.
250
Gerhard Schreiber
Gran Bretagna nell’area mediterranea dopo
l’attesa vittoria su Stalin. Con l’occasione va
qui ricordato che il duce nell’estate del 1941
non possedeva ancora alcuna delle garanzie
territoriali che gli dovevano consentire di
realizzare nelle trattative di pace gli obiettivi
politici dell’Italia. Oltre a questo c’era anche
un altro fattore che inquietava fortemente
Mussolini. Egli sapeva che la distruzione
dell’impero britannico non rientrava negli
obiettivi di guerra prioritari di Hitler. Vista
la situazione in questa prospettiva, Roma
doveva preventivare diversi sviluppi. L’even­
to peggiore che potesse intervenire al di fuori
del controllo del governo italiano sarebbe sta­
to un accordo tedesco-britannico stipulato
immediatamente dopo la conclusione vitto­
riosa della campagna orientale, perché ogni
ipotizzabile compromesso si sarebbe realizza­
to a danno delle sue ambizioni. E certo pare
che il duce lo avesse seriamente temuto. In
ogni caso egli partiva dal fatto che Berlino,
dopo la vittoria, avrebbe fatto proposte van­
taggiose a Londra. Solo successivamente, se
il governo britannico avesse assunto un atteg­
giamento negativo, sarebbe iniziata la distru­
zione della Gran Bretagna. Ma non era poi
proprio detto che il Führer volesse ricercare
la soluzione a sud. Egli poteva eventualmente
limitarsi, per assicurare alla Germania la po­
sizione di potenza egemone in Europa, senza
riguardi alle richieste nazionali dell’Italia, ad
una condotta della guerra a lungo termine per
mare e per aria contro l’impero mondiale bri­
tannico e la sua madrepatria17.
Ai margini di questo contesto va osserva­
to che il capo del Comando supremo della
Wehrmacht, feldmaresciallo Keitel, comuni­
cò alla fine di luglio 1941 al suo omologo ita­
liano, Cavallero, che le operazioni sarebbero
state condotte in maniera dilatoria in Africa
settentrionale fintanto che durava la guerra
ad oriente. Prima di Barbarossa non si potè
elaborare un piano di guerra per procedere di
comune accordo contro i britannici nel Me­
diterraneo. Che ciò nonostante si arrivasse
nel teatro di guerra dell’Africa settentrionale
dalla primavera fino all’estate del 1942 ad
una offensiva delle potenze dell’Asse in
grande stile, realizzata in parte contro il vole­
re della dirigenza della Wehrmacht, riguarda
essenzialmente i locali comandanti in capo18.
Mussolini era convinto che tra la guerra in
Russia e la continuazione della guerra contro
la Gran Bretagna c’era una correlazione non
puramente militare, al punto che questa con­
gettura si ripercuoteva certamente sulla sua
decisione di impiegare le proprie truppe in
Urss. Ma oltre a questo c’erano anche altri
fattori in gioco, riferibili a moventi antitede­
schi o alla mascherata contrapposizione del
duce al Führer.
Sul piano ufficiale questo era a malapena
avvertibile. In tutti i casi la controversia di­
plomatica sul problema del Sudtirolo19 o
sulla continuazione dei lavori di fortificazio­
ne alla frontiera settentrionale italiana20 for­
niva indicazioni sulle tensioni esistenti nei
rapporti reciproci. Chi tuttavia legga i diari
del ministro degli Esteri Ciano, oppure del
ministro dell’Educazione Giuseppe Bottai o
del ministro dei Lavori Pubblici Giuseppe
Gorla21 sotto tale punto di vista, trova nel
periodo tra il giugno 1941 e il febbraio 1943
17 Cfr. R. De Felice, Mussolini l'alleato, vol. 1 ,1.1, cit., pp. 395 sgg.
18 Cfr. Lucio Ceva, La condotta italiana della guerra. Cavallero e il Comando supremo 1941-1942, Milano, Feltri­
nelli, 1975 (Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia), pp. 57-62.
19 Cfr. in particolare: G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., pp. 526 sgg., 18 giugno; p. 528, 29 giugno; p. 531, 6 luglio e
p. 533,13 luglio 1941; G. Bottai, Diario 1935-1944, cit., p. 274,1° luglio; p. 281,20 agosto e p. 291,29 novembre 1941.
20 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., pp. 523 sgg., 10 giugno 1941; DDI, nona serie, vol. VII, cit., p. 628, doc. 618,
3 ottobre 1941, e pp. 632 sgg., doc. 623, 6 ottobre 1941.
21 Giuseppe Gorla, L'Italia nella seconda guerra mondiale. Diario di un milanese, ministro del Re nel governo di
Mussolini, Milano, Baldini & Castoldi, 1959.
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
numerosi — solo nel caso di Ciano sono oltre
trenta in appena diciannove mesi — sfoghi
antitedeschi, non raramente pieni di odio, di
Mussolini. Ciò significa all’incirca due vio­
lente dimostrazioni di ostilità ogni mese nei
confronti del partner dell’alleanza.
Mussolini riconobbe il 6 giugno, ancora
prima dell’inizio dell’attacco contro l’Unio­
ne Sovietica, in un colloquio con Ciano, che
“non [gli sarebbe] dispiaciuto] affatto che la
Germania nello scontro con la Russia [avesse
perso] molte penne”22. Un desiderio poco
amichevole, che egli ripetè subito e con vigo­
re quando la resistenza russa mostrò di raf­
forzarsi. Il duce non si aspettava una sconfit­
ta di Hitler, che neppure lui voleva, ma colti­
vava comunque nell’intimo la speranza che
la guerra in Russia avrebbe visibilmente in­
debolito la forza militare del Terzo Reich23.
Nel Consiglio dei ministri del 7 giugno di­
chiarò che i tedeschi si ritenevano un “popo­
lo dominante”, mentre per contro considera­
vano gli italiani, che secondo loro erano utili
come lavoratori, ma non come soldati, un
“popolo schiavo” . In questa occasione la sua
voce deve aver tradito senza misura “la gelo­
sia e la rivalità contro i tedeschi e il loro ca­
po”24. Poco dopo, nell’anniversario dell’en­
trata in guerra italiana, Ciano udì “la più du­
ra requisitoria” di Mussolini contro la Ger­
mania. Il duce dipinse gli alleati come “cana­
glie in mala fede” , nel ricordare l’atteggia­
mento tedesco in Grecia gli veniva la “nau­
sea”, in ogni caso sosteneva che così non si
poteva continuare a lungo. Specialmente di
Hitler, del suo modo di fare e delle sue chiac­
chiere ne aveva “le tasche piene” . In segreto
il capo del governo si aspettava già allora un
251
contrasto italo-tedesco nel dopoguerra. Tut­
tavia nella situazione concreta egli non vede­
va altra via di uscita. “Bisogna urlare coi lu­
pi” . Pertanto si sarebbe costretto, nel suo
discorso pubblico nell’anniversario dell’en­
trata in guerra, ad adulare la parte tedesca,
sebbene dicesse che il suo “cuore [era] pieno
di amaro”25. La “remissività” mostrata nel
colloquio con Hitler non può perciò indurre
a conclusioni affrettate. Perché nel suo inti­
mo Mussolini alimentava, come disse, da
anni, una “rancorosa rivalità”26. Da dichia­
razioni che fece a fine giugno e inizio luglio
1941, diviene chiaro il suo calcolo nella deci­
sione di prendere parte alla guerra contro
l’Unione Sovietica. Egli prese in considera­
zione due eventualità, che rappresentavano
contemporaneamente due speranze: vale a
dire che la guerra potesse finire con un com­
promesso, che salvasse l’equilibrio di poten­
za in Europa, o che si trascinasse abbastan­
za a lungo da consentire di “riguadagnare
con le armi il prestigio perduto” nel primo
anno di guerra. Qui si aveva certamente a
che fare con una “eterna illusione” di Mus­
solini27, che notoriamente addebitava la sua
perdita di prestigio ai generali28. Ma non si
arrovellava solo per rimediare un errore mi­
litare, egli pensava anche al futuro. Così il 5
luglio nel Consiglio dei ministri un duce ma­
nifestamente molto cogitabondo ammise che
lo “assillava” il problema, se dopo la vittoria
tedesca in Russia non si sarebbe manifesta­
ta una sproporzione troppo grande tra il con­
tributo italiano e quello germanico alla guer­
ra dell’Asse. A causa di questa preoccupa­
zione, continuò, egli aveva deciso di impie­
gare unità nazionali sul fronte russo. E con-
22 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit.,p. 522, 6 giugno 1941.
23 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 530, 1° luglio 1941.
24 G. Bottai, Diario 1935-1944, p. 271, 7 giugno 1941; sull’atteggiamento di Mussolini nei confronti di Hitler cfr.
R. De Felice, Mussolini l ’alleato, vol. I, cit., t. Il, Crisi e agonia del regime, Torino, Einaudi, 1990, pp. 1273 sgg.
25 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit, pp. 523 sgg., 10 giugno 1941.
26 G. Bottai, Diario 1935-1944, cit., p. 282, 2 settembre 1941.
27 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit.,p. 529, 20 giugno 1941.
28 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit.,p. 528, 29 giugno 1941.
252
Gerhard Schreiber
temporaneamente Mussolini ordinò di inten­
sificare la condotta della guerra nel Mediter­
raneo. Per lui la guerra costituiva anche una
gara in termini di politica di potenza tra
Germania ed Italia, in cui sarebbero giunti a
vincere sugli inglesi gli italiani, e non i tede­
schi, il cui impegno nordafricano egli avreb­
be ancora, a quell’epoca, volentieri limitato
a due divisioni. Non si trattava in questo ca­
so, né esclusivamente né in primo luogo, di
una questione di onore: si trattava piuttosto
di limitare i danni. Il duce riteneva cioè che
prestazioni militari troppo sproporzionate
dei partner dell’alleanza avrebbero avuto ef­
fetti politici svantaggiosi per l’Italia29.
I suoi timori al riguardo risultano essere
stati molto concreti. Per esempio il 6 luglio
esortò Ciano non solo ad annotare sul suo
diario che egli, Mussolini, prevedeva “come
inevitabile una crisi tra Italia e Germania”,
bensì che Berlino fin da allora insinuava
l’intenzione di voler portare la frontiera del
Reich fino a Verona. Pertanto nella prima­
vera del 1941 il duce si chiedeva se, dal pùn­
to di vista italiano, “non [fosse] più auspi­
cabile una vittoria inglese” che non “una
vittoria tedesca” . Giunse a dire perfino che
gli attacchi della Royal Air Force sul terri­
torio del Reich gli procuravano un “grande
piacere” . Poiché gli italiani dovevano com­
battere insieme coi tedeschi, non si doveva
creare nessun “mito” dell’“invincibilità” te­
desca. Ad un certo momento Mussolini si
rallegrò di ogni rovescio che Hitler subiva
sul fronte orientale30. Ma si trattava di una
gioia calcolata, riferita ai propri scopi. La
fede nel successo tedesco, che il duce voleva
far coincidere con la vittoria dell’Asse, non
veniva messa in questione.
Dichiarazioni di questo tipo non erano as­
solutamente il risultato di stati d’animo effi­
meri. Esprimevano al contrario preoccupa­
zioni costanti o anche paure. Appare signifi­
cativa la maniera in cui Mussolini rifletté il
20 luglio sulla sovranità dell’Italia: si do­
mandava se anche il suo paese non facesse
parte ormai degli stati vassalli della Germa­
nia. E sospettava che lo sarebbe stato, al più
tardi, “il giorno della vittoria totale della
Germania” : un’affermazione che ha il tono
della rassegnazione. Ma egli non aveva an­
cora capitolato, contava ancora di potersi
difendere nei confronti delle pretese egemo­
niche del Reich. E il capo del governo riflet­
teva nuovamente su misure militari preventi­
ve nell’Italia settentrionale, tali da permette­
re di fronteggiare l’attesa invasione della
Germania. Ma in ultima analisi la sua spe­
ranza che l’Italia potesse conservare la pro­
pria indipendenza poggiava sul fatto,
espresso come puro desiderio, che una guer­
ra lunga e con molte perdite per Hitler
avrebbe portato ad una pace di compromes­
so in grado di salvarlo31. Abbiamo così men­
zionato gli elementi essenziali della politica
di alleanza e di potenza sulla base dei quali il
duce decise di prendere parte alla guerra del
Terzo Reich contro l’Unione Sovietica. In
termini più crudi, si potrebbe affermare che
Mussolini prendeva parte all’operazione
“Barbarossa” non da ultimo anche per di­
fendersi dal proprio alleato.
29 G. Gorla , L ’Italia nella seconda guerra mondiale, cit., pp. 217 sgg., 5 luglio 1941; e G. Bottai, Diario 1935-1944,
cit., p. 276, 5 luglio 1941.
30 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 531, 6 luglio 1941; e p. 569, 20 dicembre 1941, e p. 580, 13 gennaio 1942,
sulla reazione ai problemi militari tedeschi. Sulle osservazioni centrali riguardanti le temute richieste territoriali nei
confronti dell’Italia cfr. G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 531, 8 luglio; p. 533, 13 luglio; pp. 544 sgg., 13 otto­
bre; pp. 545 sgg., 15 ottobre; p. 554, 8 novembre 1941; p. 646, 30 agosto 1942; G. Bottai, Diario 1935-1944, cit.,
p. 289, 12 e 19 novembre 1941. Riguardo alle aspirazioni di supremazia del Reich tedesco nel Mediterraneo cfr.
Gerhard Schreiber, “Due popoli, una vittoria”? Gli italiani nei Balcani nel giudizio dell’alleato germanico, in Bru­
na Micheletti e Pier Paolo Poggio (a cura di), L ’Italia in guerra 1940-43, “Annali della Fondazione ‘Luigi Micheletti’”, 1990-91, n. 5.
31 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 535, 20 luglio 1941.
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
L’invio delle unità italiane: dal Csir all’Armir
Riguardo alla preparazione delle unità ita­
liane per il fronte orientale, inizialmente si
pensava di impegnare tre sole divisioni. Tut­
tavia, già pochi giorni dopo il 30 maggio,
quando Mussolini aveva comunicato per la
prima volta le sue intenzioni al riguardo, il
Comando supremo si espresse per la forma­
zione di un corpo di spedizione per le truppe
da inviare in Russia, non solo per motivi mi­
litari, ma anche per assumere maggiore im­
portanza nei confronti dei tedeschi e degli
altri alleati. Il “corpo d’armata autotraspor­
tabile” comprendeva il corrispondente co­
mando di corpo d’armata, due divisioni autotrasportabili, vale a dire le divisioni “Pasubio” e “Torino”, ed anche la 3a divisione
celere, cioè la divisione “Principe Amedeo
Duca d’Aosta” , chiamata anche Pada. Per
chiarire le cose occorre tener conto che con
“divisione celere” si intendeva una divisione
mobile, in genere formata da cavalleria, ber­
saglieri ciclisti, artiglieria — trainata da ca­
valli o da trattori — e carri. Una “divisione
autotrasportabile” corrispondeva essenzial­
mente alla normale divisione di fanteria, ma
le salmerie da combattimento e le truppe dei
servizi erano motorizzate. L’artiglieria di­
sponeva di trattori. Essenzialmente queste
divisioni potevano essere spostate con auto­
carri, tuttavia non disponevano in proprio
di alcun reparto di veicoli motorizzati.
Dal 9 luglio il corpo di spedizione si chia­
mò “Corpo di spedizione italiano in Russia”
(Csir). Oltre alle tre citate divisioni vi appar­
tenevano truppe di corpo, una legione di ca­
micie nere (Mvsn), nove autoreparti (per
l’intero corpo), una Intendenza est e dodici
253
plotoni o reparti carabinieri. Per l’appoggio
aereo ricevette tre squadriglie da ricognizio­
ne dell’esercito e quattro di caccia, oltre ad
un certo numero di aerei da trasporto.
Quando il comandante originario, generale
Francesco Zingales, si ammalò gravemente
il 13 luglio, il generale Giovanni Messe ina­
spettatamente assunse il comando dei 62.000
uomini32, che avevano a disposizione 4.600
cavalli o muli, 5.500 veicoli, 220 cannoni di
diversi tipi e diversi calibri, 94 cannoni con­
trocarro, 60 carri leggeri e 83 velivoli33. Alla
fine di giugno Mussolini visitò a Verona i
soldati che attendevano di essere impiegati
in Russia. Probabilmente vide le divisioni
“Pasubio” e “Principe duca d’Aosta” . La
sua impressione deve essere stata brillante.
Ma Ciano temeva tuttavia che le truppe ita­
liane — non a causa del personale, bensì a
causa della situazione materiale — poste a
confronto con la Wehrmacht potessero figu­
rare ancora una volta come “parente pove­
ro”34. Non si preoccupava invano, dato che
il Csir soffriva sia di deficienze nell’equipag­
giamento, sia di debolezze strutturali.
Per esempio, non aveva molto senso im­
piegare una “divisione celere”, che era stata
concepita per la ricognizione operativa di
una fronte di armata, assieme a due divisio­
ni di fanteria, che apparivano incapaci di
trarre profitto ai fini del combattimento dal­
l’attività esplorativa di questa divisione.
Teoricamente sarebbe stato possibile utiliz­
zare la divisione “Pada” come truppa d’as­
salto, tuttavia nella pratica questo si rivelò
impraticabile perché il carro italiano da tre
tonnellate non aveva alcuna possibilità di
forzare la decisione in uno scontro con trup­
pe corazzate russe o di rimediare ad una si­
tuazione precaria. Questo carro leggero era
32 C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., pp. 71-82 e
531-541.
33 C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., pp. 539 sgg.; e
Rinaldo Cruccu, Le operazioni italiane in Russia, 1941-1943, in Gli italiani sul fronte russo, cit., pp. 209-227, in
particolare p. 212.
34 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 528, 26 giugno 1941.
254
Gerhard Schreiber
idoneo tutt’al più solo come arma di appog­
gio della fanteria. Per giunta c’era il fatto
che la mobilità delle singole aliquote divisio­
nali si presentava molto diversa. Inoltre i vei­
coli disponibili non erano sufficienti per tra­
sportare più di una divisione per volta, il che
pregiudicava considerevolmente le possibili­
tà operative del Csir. Ed infine era un dato di
fatto che i cannoni controcarro delle divisio­
ni italiane perforavano solo eccezionalmente
la corazza di un T-34. Un altro punto debole
del corpo era costituito dalle sue artiglierie.
Da un lato mancava in linea generale di arti­
glierie, in secondo luogo quelle disponibili
erano senza eccezioni veterane della guerra
italo-libica (1911-1912) e della prima guerra
mondiale35.
Uno sguardo alla direttiva n. 21 per il caso
“Barbarossa”, del 18 dicembre 1940, nella
quale, tra l’altro, tra i previsti alleati non si
nomina mai l’Italia36, è sufficiente per rico­
noscere che un corpo d’armata come il “Cor­
po di spedizione italiano in Russia” doveva
svolgere un ruolo affatto in sottordine in una
“rapida campagna” , il cui pianificatore ele­
vava a principio “l’avanzare di punte coraz­
zate” per la distruzione delle truppe nemiche
e il “rapido inseguimento” delle unità sovie­
tiche in ritirata. Mancava al corpo proprio
quello di cui avrebbe avuto bisogno per ope­
rare con successo a fianco delle grandi unità
motorizzate tedesche e nell’ampiezza degli
spazi russi: un numero sufficiente di carri ar­
mati come forza d’urto, truppe di fanteria
armate modernamente e molto mobili, ed
anche un adeguato equipaggiamento in can­
noni controcarro, con i quali potersi battersi
con il nemico in maniera veramente efficace.
Lo spostamento del corpo di spedizione
iniziò il 10 luglio, durò fino al 5 agosto e ri­
chiese 216 treni. Il tempo richiesto in realtà
fu insolitamente lungo. Le stazioni di scari­
co in Romania distavano dalla zona di schie­
ramento anche 280 km e quindi le truppe
passarono i Carpazi sull’unica strada dispo­
nibile. Dopo che il Csir fu radunato nella
Romania orientale, venne messo alle dipen­
denze, solo tatticamente, dell’l l 3 armata te­
desca, che in agosto si trovava sul corso in­
feriore del fiume Dnestr37. Dal punto di vi­
sta delle operazioni, le azioni del corpo ita­
liano si suddividono in una fase offensiva ed
una difensiva. La prima ebbe inizio I’ll
agosto, quando la divisione “Pasubio” at­
taccò le divisioni russe che si trovavano tra il
Dnestr ed il Bug. Dopo l’avanzata fino al
Dnepr il Csir assunse la responsabilità —
inizialmente con due divisioni — di un setto­
re di 100 km di ampiezza, dal fiume Vorskla
fino alla città di Dnepropetrovsk. Quando
infine il generale Messe riuscì a portare al
fronte anche la divisione “Torino” , il suo
corpo d’armata prese parte, alla fine di set­
tembre, alla battaglia di annientamento ad
est del Dnepr, dove gli italiani si distinsero
nella presa di Petrikovka. Seguì la parteci­
pazione alla conquista del bacino del Donez
nella seconda metà di ottobre. Dal 1° al 6
novembre le unità italiane occuparono Gorlovka e Rykovo. Certamente dovettero re­
spingere subito contrattacchi sovietici, ma
valutato complessivamente il Csir si trovava
in una buona posizione difensiva, per cui il
suo comandante decise di far riposare qui le
truppe provate dai combattimenti. Soprat­
tutto però egli volle permettere il ricongiun-
35 C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., pp. 74-77; R.
Cruccu, Le operazioni italiane in Russia, cit., p. 212; e L. Ceva, La campagna di Russia nel quadro strategico della
guerra fascista, in Gli italiani sul fronte russo, cit., pp. 163-193, in particolare p. 173.
36 Walther Hubatsch (a cura di), Hitlers Weisungen fiir die Kriegsfiihrung 1939-1945. Dokumente des Oberkommandos der fVehrmacht, Koblenz, Bernard & Graefe, 1983, 2 “ ed., pp. 84-88; cfr. in proposito anche Giovanni
Messe, La guerra al fronte russo. Il Csir, Milano, Rizzoli, 1964 (I ed. 1947), pp. 37-49.
37 C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., pp. 79-82; e
G. Messe, La guerra al fronte russo, cit., pp. 62-68.
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
gimento con le componenti logistiche del
corpo rimaste parecchio indietro.
La seconda fase dell’impiego operativo
del corpo di spedizione si inquadra nella di­
fensiva che si registrò sull’intero fronte
orientale, quando la Wehrmacht di Hitler ed
i suoi alleati dovettero fronteggiare l’inizio
della offensiva invernale di Stalin il 6 dicem­
bre. Fino alla fine di marzo il fronte venne
arretrato sotto l’attacco delle armate sovieti­
che da 150 fino anche a 400 km verso ovest,
prima che — dopo precedenti limitati con­
trattacchi e isolate riconquiste di terreno
perduto — la grande offensiva estiva della
coalizione hitleriana prendesse il via il 28
giugno 1942. Il corpo di Messe si fece notare
più volte nel quadro delle battaglie difensi­
ve, come nella cosiddetta battaglia di Natale
dal 25 al 30 dicembre 1941, quando le divi­
sioni italiane passarono da una tenace difesa
ad una limitata offensiva coronata da suc­
cesso.
Un significativo contributo inoltre venne
prestato dal corpo, da gennaio a maggio
1942, nelle battaglie ad ovest di Izjum38. La
stessa Direzione operativa della Kriegsmarine annotò allora sul suo diario39: “Nel tea­
tro di guerra russo sono impiegate tre divi­
sioni [italiane] che si battono in maniera de­
gna di apprezzamento, altre sei vengono
preparate per questo” . È quanto avvenne,
ed il 9 luglio 1942 il Csir cessò di essere una
unità autonoma, diventando il XXXV cor­
po d’armata della 8a armata che proprio al­
lora si stava spostando in Oriente. Mussoli­
ni sembrò più vicino all’obiettivo da lui per­
255
seguito di portare un contributo possibil­
mente autorevole alla guerra contro l’Unio­
ne Sovietica. I suoi sforzi a tal fine possono
essere fatti risalire al luglio 1941. Già il 13
luglio, quando il corpo di spedizione non
aveva ancora raggiunto la linea di schiera­
mento, il Comando supremo valutò le possi­
bilità di impiego di altre unità40. Non i mili­
tari, ma lo stesso duce aveva formulato l’i­
potesi e l’aveva giustificata con fattori poli­
tici e psicologici, come si ricava dalle dichia­
razioni ai suoi più stretti collaboratori. Per
esempio, egli reagì addirittura istericamente
quando un giornale scrisse che la “guerra di
Russia” aveva luogo sotto “la guida di Hi­
tler”. Una notizia del genere, secondo Mus­
solini, avrebbe indotto il popolo a pensare
che in realtà la direzione della guerra fosse
di Hitler. E palesemente considerava la noti­
zia come un brutto scherzo41. Con riferi­
mento all’aumentato coinvolgimento italia­
no nell’Urss, viene poi citata spesso la moti­
vazione che Mussolini diede in un colloquio
con Cavallero nel luglio 194142: “Non pos­
siamo essere meno presenti della Slovacchia
e bisogna sdebitarci verso l’alleato” . Questa
formulazione è senza dubbio a doppio sen­
so. Tuttavia, dopo quello che finora si è det­
to, non si deve presumere che alla base stes­
se la volontà di fornire una contropartita ai
tedeschi come ringraziamento per la loro
partecipazione alla guerra nel Mediterraneo.
Mussolini piuttosto sembra essersi proposto,
con l’auspicato invio di altre truppe, di di­
mostrare la propria posizione di parità. Pro­
prio in tal senso l’ambasciatore d’Italia a
38 R. Cruccu, Le operazioni italiane in Russia, cit., pp. 212-215; C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a
cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., pp. 83-177.
39 Werner Rahn, Gerhard Schreiber, con la collaborazione di Hanjoseph Maierhofer (a cura di), Kriegstagebuch
der Seekriegsleitung 1939-1945, Parte A , vol. 32, Aprii 1942, Bonn, Herford, 1992, p. 158, 10 aprile 1942.
40 C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., p. 181.
41 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 534, 15 luglio 1941; e G. Bottai, Diario 1935-1944, cit., p. 278, 22 luglio
1941.
42 Promemoria di Mussolini per Cavallero sulla situazione politico-militare 24 luglio 1941, pubblicato in L. Ceva,
La condotta italiana della guerra, cit., pp. 169 sgg. In G. Messe, La guerra al fronte russo, cit., pp. 58-59, il docu­
mento viene datato 21 luglio.
256
Gerhard Schreiber
Berlino, Dino Alfieri, comunicò a Bottai a
fine settembre che durante un incontro con
il duce era apparso chiaro che egli ambiva
solo ad una cosa: “la rivincita militare”.
Con questa ossessione si spiega anche “la
sua smania di inviare in Russia truppe non
richieste dai tedeschi”43. Mussolini in realtà
si aspettava che Hitler desse “all’esercito ita­
liano la possibilità di mostrare la sua for­
za”44. Ma per conseguire questo scopo, così
si pensava a Berlino, gli italiani non doveva­
no marciare in Unione Sovietica, bensì in
Africa settentrionale.
Da parte italiana specialmente il generale
Messe, che il 20 luglio 1941 aveva appreso
dei piani del Comando supremo a Roma, si
espresse — per motivi puramente militari —
contro l’impiego di un secondo corpo sul
fronte orientale45. Cavallero contava il 26
luglio, per contro, di poter avere pronto per
fine agosto il secondo corpo d’armata, seb­
bene sapesse che mancavano tra l’altro an­
cora 4.000 automezzi46.
Quel giorno Hitler ricevette la lettera di
Mussolini del 24 luglio, nella quale questi lo
informava che stava equipaggiando un se­
condo corpo e che era intenzionato, “se do­
vesse essere necessario, [a] prepararne anche
un terzo”47; Keitel ringraziò per l’offerta
Cavallero il 2 agosto: e questo fu tutto48.
Berlino non si mostrava interessata alla pro­
posta. La comunicazione del colonnello Da­
miano Badini al sostituto dell’addetto mili­
tare italiano a Berlino, secondo la quale i te­
deschi a metà agosto prendevano in conside­
razione “l’invio di almeno 26 divisioni al
fronte russo” deve quindi essere considerata
come inconsistente49.
Nell’incontro con Hitler del 25 agosto
Mussolini ripetè il suo desiderio di parteci­
pare con più truppe alla campagna orienta­
le, poiché non mancava di uomini. Poteva
mettere a disposizione “sei, nove ed anche
più divisioni” . Hitler fu però elusivo, promi­
se cioè di riflettere sulla proposta50. Analogo
fu il colloquio tra Cavallero e Keitel. Il feld­
maresciallo generale ringraziò per la dispo­
nibilità italiana, ma per quanto riguardava
gli autocarri il Reich non poteva essere
d’aiuto, perché la stessa Wehrmacht soffri­
va di carenza di veicoli. Per precauzione mi­
se contemporaneamente in guardia dall’equipaggiare il secondo corpo d’armata con
autocarri destinati all’Africa settentrionale.
Inoltre ricordò che in Russia sarebbe stato
presto inverno e che gli italiani ne avrebbero
sofferto più di quanto i tedeschi soffrivano
il caldo in Libia. Cavallero non escluse pe­
raltro che il corpo potesse spostarsi anche
come unità parzialmente motorizzata — an­
che con normali divisioni di fanteria —, ma
su questo la decisione era prematura. In
ogni caso, egli rassicurò l’interlocutore: il
secondo corpo d’armata sarebbe stato pron­
to alla partenza, nel caso dovesse essere im­
piegato, fin dai primi di settembre51.
Un risultato del genere naturalmente non
soddisfece Mussolini, che voleva invece im­
piegare le proprie forze armate sul fronte
orientale in grande stile. Egli intanto ricon-
43 G. Bottai, Diario 1935-1944, cit., p. 286, 25 settembre 1941.
44 G. Bottai, Diario 1935-1944, cit., p. 287, 14 ottobre 1941.
45 G. Messe, La guerra al fronte russo, cit., p. 58.
46 L. Ceva, La condotta italiana della guerra, cit., p. 86.
47 ADAP, Serie D, vol. X III/1, vol. 6 , 1.1, cit., doc. 156, pp. 184 sgg.
48 L. Ceva, La condotta italiana della guerra, cit., p. 59, nota 15, e pp. 170 sgg., pubblicazione della lettera, datata
presumibilmente 31 luglio 1941.
49 U. Cavallero, Comando supremo, cit., p. 128, 15 agosto 1941.
50 DDI, nona serie, vol. VII, cit., doc. 511, pp. 506 sgg.; cfr. sui colloqui del 25 agosto 1941 il commento in L.E.
Lill (a cura di), Die Weizsàcker Papìere, cit., pp. 267 sgg., 6 settembre 1941.
51 DDI, nona serie, vol. VII, cit., doc. 504, pp. 494-497.
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
duceva lo stesso “disagio del popolo italia­
no” al fatto che appunto questo non avveni­
va52. Il duce era ostinatamente intenzionato
a ottenere nella primavera del 1942 quello
che gli era stato negato nel 1941. Altri venti
divisioni dovevano quindi andare in Russia.
In questo modo Roma avrebbe potuto “av­
vicinare il nostro sforzo bellico a quello ger­
manico e impedire al momento della vittoria
[...] che la Germania detti la sua legge a noi
tale e quale ai popoli vinti”53. Tutto questo
mostra come il motivo conduttore per Mus­
solini della partecipazione alla guerra contro
l’Unione Sovietica non fosse cambiato.
Confrontato con le reali prestazioni militari
delPItalia il suo calcolo appare certo illuso­
rio, ma sarebbe una conclusione troppo af­
frettata voler sbrigare la sua aspirazione co­
me puro capriccio o megalomania.
Vittorio Emanuele III, al quale spesso ca­
pitava di parlare degli “odiati tedeschi”, si
oppose certamente all’assurda pretesa, ma
ciononostante Cavallero si mise seriamente
al lavoro54 e risolse il problema dell’insuffi­
ciente motorizzazione in maniera sbalorditi­
va. La fanteria doveva marciare per quaran­
ta chilometri al giorno invece dei soliti di­
ciotto55. Tuttavia non si trattava unicamente
di un problema di veicoli. Tanto che il capo
257
di Stato Maggiore Generale, quando Musso­
lini il 22 ottobre si accontentò di quindici di­
visioni56, dovette confessare che nel migliore
dei casi potevano esserne approntate sei. E
anche questo solo nel caso che i tedeschi
avessero fornito gli autocarri57.
Quando Ciano poco dopo, il 25 ottobre,
conferì con Hitler, trasmise una volta di più
la preghiera di Mussolini, “di permettergli di
concorrere con un maggior contributo agli
sforzi militari, magari in primavera, quando
dovevano cominciare le operazioni contro il
Caucaso” . Hitler fu d’accordo per quanto
riguarda le divisioni di alpini di cui si era già
parlato, e che egli intendeva eventualmente
anche far partecipare, più tardi, alla “lotta
contro l’India”58. Mussolini per la verità
avrebbe potuto essere contento. Tuttavia
quando vide nella lettera di Hitler del 29 ot­
tobre59 solo marginali accenni alle divisioni
del Csir e alle loro prestazioni si mostrò su­
bito insoddisfatto60. Malgrado ciò compilò
per Hitler una risposta lusinghiera, impron­
tata all’abnegazione, nella quale contempo­
raneamente richiamava però l’attenzione sul
fatto che l’Italia aveva il “dovere” e il “di­
ritto” di portare un maggior contributo alle
battaglie del 1942. Egli si permetteva di cre­
dere che il Führer lo avrebbe concesso61,
52 G. Ciano,Diario 1937-1943, cit., p. 537, 22 settembre 1941.
53 G. Ciano,Diario 1937-1943, cit., p. 544, 10 ottobre 1941.
54 G. Ciano,Diario 1937-1943, cit., p. 544, 11 e 15 ottobre 1941.
55 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit'., p. 548, 22 ottobre 1941; sulla soluzione del problema della motorizzazione
mancante da parte di Cavallero cfr. L. Ceva, La condotta italiana della guerra, cit., p. 86, dove questa riflessione
viene riportata già il 26 luglio.
56
G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 548, 22 ottobre 1941.
57 C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Montagnani (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., doc. 49,
p. 588, dove vi sono anche argomentazioni sulle ulteriori premesse per l’impiego.
58 ADAP, Serie D , vol. X III/2, vol. 6, cit., t. II, 15 settembre -11 dicembre 1941, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1970, doc. 424, pp. 563-570, citazione p. 569. Cfr. inoltre DDL nona serie, vol. VII, doc. 682, p. 686: breve
rapporto di Ciano a Mussolini, 25 ottobre 1941, nel quale si afferma che Hitler “in linea di massima si è dimostrato
favorevole” all’impiego delle truppe italiane, e ivi, doc. 686, pp. 690-694, dettagliato resoconto dell’incontro con
Hitler, 26 ottobre 1941.
59 ADAP, Serie D, vol. X III/2, vol. 6, t. II, cit., doc. 433, pp. 580-585.
60 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit. p. 552, 1° novembre 1941.
61 ADAP, Serie D, vol. X III/2, vol. 6, t. II, cit., 6 novembre 1941, pp. 613-618, citazione pp. 614 sgg.; E. e D. Susmel (a cura di), Opera omnia di B. Mussolini, vol. XX X, cit., pp. 212-222.
258
Gerhard Schreiber
il che non dà l’impressione che il duce cre­
desse a quanto gli aveva riferito il suo mini­
stro degli Esteri sull’incontro del 25 ottobre.
Come già accennato, dal suo linguaggio
talvolta ossequioso non si può arrivare ad
affrettate conclusioni sull’atteggiamento nei
confronti di Hitler. Proprio quel 6 novem­
bre, quando firmò la lettera in questione,
affermò per esempio in uno dei suoi consue­
ti sfoghi antitedeschi62:
Contro la Germania per ora non c’è niente da fa­
re. Bisogna attendere. È un paese che nessuno
potrà battere militarmente, ma che crollerà per
difetto di statica interna. Per noi è un problema
di ‘durare’ e attendere che ciò avvenga.
L’aspetto dualistico, da Giano bifronte,
dell’Asse Berlino-Roma, diviene particolar­
mente evidente in queste osservazioni. Già a
fine novembre Ciano si recò di nuovo a Ber­
lino per prendere parte all’ingresso di diversi
Stati nel patto anticomintern. In questa oc­
casione egli doveva insistere ancora, secon­
do le istruzioni del duce, per l’invio di altre
truppe italiane sul fronte orientale63. Il mini­
stro degli Esteri lo fece, e volle sapere quan­
te divisioni e di che tipo la Wehrmacht desi­
derasse, dato che si intendeva preparare le
unità in questione il meglio possibile. Hitler
la prese all’inizio da lontano, a questo pro­
posito pensava che l’Italia “forse” avrebbe
potuto “prestare un importante contributo”
alla “avanzata” che si intendeva effettuare
in Iran e Irak. Per il Caucaso si sarebbero
“prese certo in considerazione truppe alpi­
ne” . Era una promessa vincolante? L’inte­
resse per la “conquista del Caucaso”, in
quel momento, poteva acquistare rilievo so­
lo nella prospettiva della continuazione della
lotta contro i britannici. Tuttavia si sarebbe
trattato di un obiettivo obbligato, dopo una
vittoria sull’Unione Sovietica? Probabil­
mente tale considerazione ridestava nel duce
vecchie inquietudini. Infine il Führer venne
al punto: l’Italia avrebbe appoggiato al me­
glio la condotta comune della guerra “facen­
do tutti gli sforzi per mantenere il Nordafri­
ca”64. In tutto e per tutto questo corrispon­
deva a quello che egli aveva già scritto a
Mussolini il 21 giugno.
E tuttavia si nota chiaramente che il rap­
porto di Ciano sul suo colloquio con Hitler
si discosti sensibilmente dal protocollo tede­
sco. Stando all’appunto del ministro degli
Esteri, egli avrebbe offerto ai tedeschi perfi­
no divisioni corazzate per il fronte orientale,
cosa che Hitler rifiutò come cosa “né neces­
saria né consigliabile” . Fintanto che l’Italia
era in grado di allestire nuove divisioni co­
razzate, avrebbe dovuto impiegarle opportu­
namente in Libia. Inoltre dal testo tedesco
senz’altro non si evince che Hitler si fosse
detto particolarmente disposto ad impiegare
le truppe alpine nel settore sud del fronte
russo. Nell’appunto dell’Auswartigen Amt
(ministero degli Esteri tedesco) il passo in
questione appare in ogni caso relativamente
non vincolante. Ciano ha forse abbellito lo
svolgimento del colloquio65. D’altro canto il
testo tedesco non è un protocollo letterale
della conversazione.
Per quanto riguarda però l’invio di divi­
sioni corazzate sul fronte orientale, sarebbe
interessante sapere dove l’Italia le avrebbe
trovate. Forse Ciano escogitò l’offerta uni­
camente per Mussolini, della cui ossessione
per la Russia egli era perfettamente informa­
to. Egli avrebbe così potuto sottolineare il
suo personale impegno. È anche possibile
62 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 553, 6 novembre 1941.
63 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 560, 22 novembre 1941.
64 ADAP, Serie D, vol. X III/2, vol. 6, t. II, cit., doc. 522, p. 733.
65 DDI, nona serie, vol. VII, cit., doc. 786, pp. 798-802, ministro degli Esteri Ciano a capo del governo Mussolini,
24-27 novembre 1941, citazione a p. 801.
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
che egli non abbia parlato affatto con Hitler
di divisioni corazzate. Comunque, non si
può escludere del tutto che abbia fatto
un’offerta del genere, dato che in definitiva
il ministro degli Esteri potrebbe aver presup­
posto una risposta negativa, visto come sta­
vano le cose in Africa. Solo che contro que­
sta fondata congettura c’è il fatto che il pro­
tocollo tedesco avrebbe quantomeno men­
zionato un’offerta così spettacolare e la pre­
sumibilmente dettagliata replica di Hitler.
Inoltre nelle fonti non si sono potute trovare
indicazioni che a Roma una intenzione del
genere sia stata discussa in un qualsiasi mo­
mento prima della partenza di Ciano per
Berlino.
Comunque siano andate le cose, quando
il 1° dicembre Mussolini parlò della situa­
zione politico militare con l’addetto militare
tedesco, generale Enno von Rintelen, di­
scusse certamente anche dell’impiego di
truppe italiane in Unione Sovietica. Il di­
scorso concerneva un corpo d’armata costi­
tuito da truppe alpine e da montagna, ma il
suo interesse principale era puntato sugli
sviluppi in Africa settentrionale66. L’asser­
zione che egli poco dopo avrebbe tentato di
collegare l’invio di due corpi d’armata in
Russia con la richiesta a Berlino di smuove­
re Vichy affinché fossero resi liberi per l’im­
piego i porti di Tunisi e Biserta per lo sbar­
co dei materiali necessari per la Libia, armi
259
pesanti comprese, non è esatta67. Esiste cer­
to una lettera del duce al Führer, nella quale
sembra venga configurata una sorta di do ut
des, ma si tratta unicamente di una bozza di
Cavallero68, che non venne mai inviata69.
Quando Rintelen il 22 dicembre si incon­
trò ancora con Mussolini, perché doveva
spiegargli i motivi che avevano portato Hi­
tler a prendere il comando dell’esercito, il
duce precisò le sue dichiarazioni del 1° del
mese: “Un corpo di fanteria ed un corpo di
alpini, entrambi su tre divisioni, sarebbero
stati preparati in maniera da poter essere ri­
chiesti per la prossima primavera” . Mussoli­
ni era soddisfatto perché “l’Italia sarebbe
quindi rappresentata da un’intera armata
sul teatro di guerra orientale, cosa che
avrebbe meglio corrisposto alla forza del po­
polo italiano” . Nello stesso tempo sottoli­
neava la sua ferma fiducia che per la prima­
vera del 1942 la pianificata offensiva delle
potenze dell’Asse avrebbe condotto alla
completa sconfitta della Russia70.
D’altro canto gli sviluppi militari nel di­
cembre 1941 — focalizzati nella svolta della
guerra davanti a Mosca — indussero Musso­
lini a riconoscere quanto di imponderabile vi
fosse nella guerra contro la Russia, che egli
paragonava ad un “oceano di terra” . E in
realtà il duce, quando il 27 dicembre alcuni
rapporti dal Giappone prospettarono l’even­
tualità di una pace separata tra l’Unione So-
66 ADAP, Serie D, vol. X III/2, vol. 6, t. II, cit., doc. 532, pp. 760 sgg.: Der deutsche General beim Hauptquartier
der italienischen Wehrmacht, all’Okh/Attaché-Abteilung, 2 dicembre 1941; sul secondo rapporto di Rintelen
cfr. ivi, p. 760, nota 3; e Das Deutsche Reich und der Zweite Weltkrieg, vol. 4, Horst Boog, Jürgen Forster, Joa­
chim Hoffmann, Ernst Klink, Rolf-Dieter Müller, Gerd R. Ueberschàr, Der Angriff auf die Sowjetunion, cit.,
p. 900.
67 Affermazione erroneamente ripresa in C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di), Le operazioni
delle unità italiane, cit. p. 183; e da L. Ceva, La campagna di Russia nel quadro strategico della guerra fascista,
cit., pp. 177 sgg.
68 Cfr. su questo la chiara annotazione di U. Cavallero, Comando supremo, cit., p. 158, 3 dicembre 1941. La boz­
za, datata 3 dicembre 1941, si trova in Archivio dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito, Roma.
69 DDI, nona serie, cit., vol. V ili, 12 dicembre 1941-20 luglio 1942, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato,
1988, p. 72, nota 3.
70 ADAP, Serie E, 1941-1945, vol. I, 12 dicembre 1941-28 febbraio 1942, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht,
1969, doc. 53, p. 93.
260
Gerhard Schreiber
vietica e l’Asse71, deve essere stato affascina­
to dall’idea72. Notoriamente Tokio si sforza­
va dall’autunno del 1941 di favorire un com­
promesso tra Berlino e Mosca. Tuttavia per
Roma il tempo non era ancora arrivato. Do­
vevano intervenire i rovesci della seconda
metà dell’anno 1942, prima che Mussolini
prendesse iniziative al riguardo.
In una breve lettera a Hitler del 29 dicem­
bre 1941 il duce si limitava a trattare il pro­
blema della condotta della guerra in Africa
settentrionale ed i provvedimenti che ne con­
seguivano, ed anche quello della politica di
occupazione nei Balcani. Non fece parola
della situazione molto difficile in Russia,
sebbene avesse in quel teatro tre divisioni73.
Dal canto suo Hitler si occupava molto det­
tagliatamente — in una lettera assai lunga,
che casualmente portava la stessa data —
degli sviluppi sul teatro di guerra orientale.
Egli cercò di motivare prolissamente per
quale ragione la campagna perdurasse anco­
ra, contro le ottimistiche previsioni dell’e­
state, che del resto erano state commentate
malignamente all’interno della dirigenza ita­
liana già all’inizio di agosto74. Seguiva il
consueto apprezzamento della situazione; e
poi veniva l’indiretta ammissione, che la sua
Wehrmacht, per la “continuazione della
guerra di annientamento in primavera”, ne­
cessitava di aiuto — anche italiano75. Ciano
registrò con soddisfazione come il Führer si
ingegnasse — del tutto diversamente da tem­
pi recenti — di usare un tono “cortese” e
perfino “dimesso”76. In particolare Hitler
scrisse riguardo all’impiego di truppe italia­
ne che egli “riteneva la completa distruzio­
ne” del nemico come “una delle premesse
decisive per la vittoria finale di questa guer­
ra” . Era quindi “molto grato” che il duce
“gli avesse offerto altri due corpi italiani da
impiegare in Russia” . Con questo si sarebbe
“formata una armata italiana completa” al­
la quale egli “avrebbe sottoposto eventual­
mente anche le necessarie unità tedesche” .
Anzi, Hitler riteneva la questione urgente, il
che contrastava parimenti con il suo atteg­
giamento marcatamente dilatorio del passa­
to77. Con questa lettera la decisione fu pre­
sa. Nella risposta del 23 gennaio 1942 il duce
confermò la sua offerta e contemporanea­
mente fece riferimento al problema dei tra­
sporti78, che in realtà non era il solo proble­
ma che i militari italiani dovessero risolvere.
Per motivi di spazio, gli opposti caratteri
insiti nell’alleanza italo-tedesca non possono
essere esposti in modo altrettanto analitico di
come si è fatto sinora. Si dà pertanto per
scontato che in linea di principio tra Italia e
Germania non cambiava niente. Le relazioni
ufficiali diplomatiche fornivano come prima
un quadro di normalità, ma nei colloqui ri­
servati si manifestava la profonda avversione
di Mussolini nei confronti di Hitler ed anche
71 DDI, nona serie, vol. V ili, cit., doc. 69, p. 65: ambasciatore Mario Indelli a Tokio al ministro degli Esteri Cia­
no, 22 dicembre 1941.
72 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 572, 28 dicembre 1942. Il ministro degli Esteri era essenzialmente più scetti­
co del capo del Governo. Ciano pensava che il modo in cui era cominciata la guerra, gli obiettivi ed il corso della
guerra stessa escludessero la possibilità accennata.
73 DDI, nona serie, vol. V ili, cit., doc. 79, pp. 71 sgg.: Mussolini a Hitler, 20 dicembre 1941.
74 G. Bottai, Diario 1935-1944, cit., pp. 279 sgg., 2 agosto 1941.
75 ADAP, Serie E, vol. I, cit., doc. 62, pp. 104-113: Hitler a Mussolini, 20 dicembre 1941; cfr. sulla situazione mi­
litare e della coalizione politica alla fine del 1941-inizio 1942: Jürgen Forster, Stalingrad. Risse im Biindniss 1942/
43, Freiburg i.Br., Rombach, 1975, pp. 13 sgg.; e Das Deutsche Reich und der Zweite Weltkrieg, vol. 6, Horst
Boog, Werner Rahn, Reinhard Stumpf, Bernd Wehrner, Der globale Krieg. Die Ausweitung zum Weltkrieg und
der Wechsel der Initiative 1941-1943, Stuttgart, Dva, 1990, pp. 816-835, sull’Italia pp. 818 sgg.
76 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 577, 1° gennaio 1942.
77 ADAP, Serie E, vol. I, cit., p. 108.
78 ADAP, Serie E, vol. I, cit., doc. 164, pp. 293 sgg.
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
la sua opinione spiccatamente antitedesca.
Curri grano salis Hitler era considerato nelle
lettere, con garbo, il Führer, ma per il duce
rimase sempre un “asino” e uno spregevole
“bastardo”79.
Per quello che concerne tuttavia i prepa­
rativi per l’impiego dell’8a armata, l’Arma­
ta italiana in Russia (Armir), al cui coman­
do venne nominato il 2 aprile 1942 il genera­
le designato d’armata Italo Gariboldi, il Co­
mando supremo dovette non solo preparare
per l’idoneità all’impiego il II corpo d’arma­
ta e il corpo alpino in Russia, ma anche co­
stituire una organizzazione logistica idonea
allo scopo80.
In relazione all’equipaggiamento materia­
le delle sette divisioni da inviare, subito ri­
sultò che non si disponeva a sufficienza né
di cannoni controcarro e contraerei, né di
veicoli. Già il 27 gennaio 1942 il generale
Marras in un colloquio con il tenente gene­
rale Warlimont, sostituto capo di Stato
Maggiore dell’Okw, richiamò l’attenzione
sul fatto che avrebbero dovuto prevedibil­
mente essere forniti in grande misura da
parte tedesca “per le nuove forze da avviare
in Russia [...] armi e automezzi” . Warli­
mont rifiutò senza giri di parole: “Aiuto te­
desco per l’equipaggiamento materiale non
[avrebbe potuto] essere preso in considera­
zione” . La direzione della Wehrmacht con­
tava peraltro “fermamente su entrambi i
corpi offerti, ognuno di tre divisioni”81. Poi­
ché i tedeschi dichiaravano di non poter pre­
261
stare aiuto, Mussolini decise di procurare il
materiale mancante a danno della difesa
territoriale, che venne indebolita, e del
fronte in Africa settentrionale, che ricevette
meno armi e veicoli di quanto abbisognasse.
Non c’è quindi alcun dubbio che l’invio dell’Armir — come già precedentemente l’im­
piego del Csir — portò ad un salasso mate­
riale, che ebbe effetti negativi sulla condot­
ta della guerra italiana nel Mediterraneo82.
Già il 6 febbraio l’Oberkommando della
Wehrmacht trasmise la sua tabella dei tempi
per l’inizio del trasporto delle truppe italia­
ne nella zona di raccolta a ovest del Donee.
Un comando di corpo d’armata con tre di­
visioni doveva essere trasferito dal 1° giu­
gno. Il Comando supremo era certo d’ac­
cordo, ma in realtà le prime unità lasciaro­
no l’Italia il 17 giugno con un ritardo di sei
settimane. Appartenevano al II corpo d’ar­
mata che si raccolse intorno a Charkov fino
al 7 luglio, da dove le truppe dovevano per­
correre ancora rispettivamente 330 km di
marcia a piedi, 500 km se trasportate con
veicoli, fino alla zona di schieramento pres­
so Staiino — circa 50 km ad ovest del
XXXV corpo (il Csir). A metà luglio il mo­
vimento del II corpo era concluso felice­
mente. Le divisioni del corpo alpino erano
per via il 14 luglio. La prima aliquota arri­
vò il 3 agosto, l’ultima il 2 settembre 1942
nella zona di raccolta intorno a Gorlovka,
Rykovo e Izjum. Da qui tuttavia esse non
marciarono — come concordato — in dire-
79 Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 580, 13 gennaio 1941; affermazioni di questo genere trovano continui riscontri
nel diario di Ciano fino all’8 febbraio 1943, quando le annotazioni finiscono; a titolo d’esempio si vedano i testi del
25 gennaio; 20 febbraio; 2 marzo; 24 marzo; 1° aprile; 22 luglio; 24 luglio; 3 dicembre 1942; 22 gennaio e 8 feb­
braio 1943.
80 Per il Csir e l’Armir cfr. in proposito Costantino De Franceschi, Giorgio De Vecchi di Val Cismon, Riccardo
Graziosi e Mauro De Seriis (a cura di), I servizi logistici delle unità italiane al fronte russo (1941-1943), Roma, U f­
ficio storico Stato Maggiore esercito, 1975.
81 Kriegstagebuch der Seekriegsleitung, Teil C, Heft XIII, Italienische Kriegsfiihrung, Juli 1940-April 1945,
pp. 302 sgg., in Bundesarchiv-Militàrarchiv, Freiburg i. Br. (d’ora in poi BAMA), RM 7/233.
82 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 593, 20 febbraio 1942, sulla delusione di Mussolini e sulla decisione di equi­
paggiare le truppe con mezzi propri. Numerose prove delle conseguenze sulla condotta della guerra nel Mediterra­
neo sono offerte da L. Ceva, La condotta italiana della guerra, cit., pp. 84-118.
262
Gerhard Schreiber
zione del Caucaso, bensì si ritrovarono pre­
sto nella pianura sul Don. “Don” : questo
fiume diventerà il trauma, la Stalingrado
dell’armata italiana. Nella stessa Stalingra­
do — si noti — si trovavano da novembre
unicamente due ufficiali e settantadue uomi­
ni dell’8° reparto trasporti, appartenente all’Armir, che alla fine condivisero la sorte
della 6a armata tedesca e vennero ufficial­
mente dati per dispersi83.
Le operazioni condotte dal contingente ita­
liano
Complessivamente l’8a armata consisteva,
una volta che tutte le unità si trovarono nel­
la zona di operazioni, del II corpo d’armata,
con le divisioni di fanteria “Sforzesca” ,
“Cosseria” e “Ravenna”, del XXXV corpo
con le divisioni già note “Torino” , “Pasubio” e “Principe Amedeo d’Aosta”, e così
pure del corpo alpino, con le divisioni “Tridentina”, “Julia” e “Cuneense” . Era diret­
tamente dipendente dal comando d’armata
invece la divisione di fanteria “Vicenza”,
che può meglio essere definita come divisio­
ne di occupazione. La forza in personale
dell’Armir era di 229.005 uomini, suddivisi
in 122 battaglioni e 50 compagnie autono­
me. La grande unità disponeva di 25.000 ca­
valli e muli, 16.700 autocarri, 4.470 moto,
1.130 trattori, 946 pezzi di artiglieria di di­
versi calibri, 297 cannoni controcarro e 52
contraerei, 1.297 mortai, 31 carri da 6,8 ton­
nellate L6 e 12 cannoni d’assalto84. Inoltre
c’erano 23 aerei da ricognizione e 41 caccia.
Va annotato a margine che una descrizione
della “Armata italiana in Russia” ad opera
del generale tedesco presso l’8a armata ita­
liana, in data 13 agosto 1942, in parte cita
dati chiaramente diversi. Per esempio, se­
condo questi ultimi, la forza presente sareb­
be ammontata a 256.705 uomini85.
Da rilevare che riguardo alla forza di
combattimento e alla idoneità all’impiego
dell’Armir, l’8a armata era adatta solo per
la guerra in terreni montagnosi. In pianura
poteva essere utilizzata al massimo come
forza difensiva. Tale giudizio si basa sul gra­
do di mobilità di questa grande unità. Dei
tre corpi d’armata il II corpo (53.895 uomi­
ni) ed il corpo alpino (53.238 uomini) pote­
vano essere spostati solo con marcia appie­
data. Nel XXXV corpo (48.163 uomini) la
divisione “Principe Amedeo d’Aosta” si era
nel frattempo motorizzata, ma delle altre
due divisioni, solo una poteva essere dotata
di automezzi. Ad operazioni offensive a lar­
go raggio l’8a armata non era quindi in gra­
do di partecipare. D’altronde lo scettico giu­
dizio sull’Armir discende dal fatto che al­
l’armata mancavano divisioni che potessero
essere schierate in seconda linea, come riser­
va d’armata, in maniera da sfruttare ad hoc
improvvise possibilità operative, alleggerire
tratti di fronte minacciati e consentire la ro­
tazione di unità logorate. C’è inoltre il fatto
che l’Armir non disponeva di alcuna arma
controcarro che le consentisse di provocare
sfondamenti. In confronto al Csir l’armata
disponeva certo di più artiglieria, ma, come
di consueto, di tipo antiquato. Il numero dei
carri (gli L6 erano appena più forti in com-
83 C. De Franceschi, G. De Vecchi di Val Cismon, R. Graziosi, M. De Seriis (a cura di), I servizi logistici, cit.,
p. 149.
84 Sulle caratteristiche militari dell’Armir, cfr. C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di), Le ope­
razioni delle unità italiane, cit., pp. 181-199, pp. 305-208 e pp. 597-631; L. Ceva, La campagna di Russia, cit., pp.
177 sgg.; e R. Cruccu, Le operazioni italiane in Russia, cit., pp. 215 sgg. Riguardo ai dati numerici si rilevano nel­
l’ambito della letteratura considerevoli contraddizioni.
85 8. Armee, 13. August 1943, in Deutscher General beim italienischen Armeeoberkommando 8, Tagesmeldungen
und dergleichen, Bd. 3: 1.1.-17.1.1943, ivi, Italienische Lagemeldungen: August 1942-Januar 1943, BAMA, RFI 31
IX /22.
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
battimento dei più leggeri L3) risultava parimenti inferiore a quello del vecchio corpo di
spedizione, così come quello degli aerei.
Non era cambiato nulla nell’armamento del
soldato, il quale doveva cavarsela ancora
con il totalmente superato fucile modello
9 1 86
Il primo impiego di aliquote dell’8a arma­
ta avvenne nel corso dell’offensiva tedesca
dal giugno al novembre 1942, che arrivò fi­
no al Caucaso settentrionale, raggiunse le ri­
ve del Volga a Stalingrado e — con riguardo
alla zona che qui interessa — fino al Don tra
Voronesh e Ostrovskaja, costituendovi un
fronte, lungo il quale l’8a armata tenne il
settore Pavlovsk-Vesenskaja. Alla sua sini­
stra c’era la 2a armata ungherese. Alla sua
destra la 3a romena.
Nel prosieguo delle operazioni relative a
queste posizioni del fronte, anche il XXXV
corpo d’armata venne impiegato nell’ambito
della 17a armata tedesca e rinforzato con la
divisione “Sforzesca” e con artiglieria. De­
gna di menzione è la sua partecipazione alla
conquista tra I’ll e il 22 luglio del bacino
carbonifero di Mius-Krasnyj Lue. La terza
divisione celere operò poi dal 30 luglio al 31
agosto insieme con la 6a armata tedesca che
marciava su Stalingrado. In particolare la
divisione dovette assicurare la sua ala sini­
stra, che poteva essere messa in pericolo dal­
la testa di ponte nemica di Serafimovic. La
divisione percorse a tappe forzate 400 km in
quattro giorni ed attaccò subito il nemico. Il
30 luglio ed il 1° agosto si svolse una dura
ma vittoriosa battaglia nella quale si lamen­
tarono circa mille perdite8687.
263
Dal 16 agosto c’erano sul Don, dove la li­
nea del fronte da tenere si stendeva dalla
confluenza del Choper fino a qualche km a
sud di Pavlovsk, complessivamente cinque
divisioni italiane del II e del XXXV corpo,
insieme con le divisioni fanteria 62a e 294a
del XXIX corpo d’armata tedesco. La logo­
rata 3a divisione “Celere” venne inizialmen­
te posta dal comando d’armata in seconda
linea. Il corpo alpino, le cui unità sapevano
dal 19 agosto che non sarebbero più andate
nel Caucaso, bensì sul Don, si trovava anco­
ra in marcia. Il settore del fronte che il grup­
po armate B aveva affidato all’8a armata
misurava in linea d’aria circa 270 km. Ciò
significava che le divisioni italiane, che ave­
vano solo due reggimenti, dovevano difen­
dere un fronte di circa 30 km. Nella loro
dottrina militare erano invece previsti dai 3
ai 5 km. Ci sono in realtà delle disposizioni
di battaglia grazie alle quali il perdente è già
stabilito ancora prima che inizi lo scontro. E
così capitò anche sul Don. L’allungamento
eccessivo del fronte difensivo provocò infat­
ti conseguenze fatali, anche se le forze sovie­
tiche non sempre erano — come previsto —
in grado di mettere in campo una divisione
attaccante da 1,5 a 3 km di fronte. E la posi­
zione sfavorevole di partenza dell’Armir in
una battaglia difensiva non era modificata
dal fatto che le grandi unità dell’Armata
rossa in generale — da un punto di vista teo­
rico e specialmente dal punto di vista del po­
tenziale umano — erano più deboli delle di­
visioni tedesche e italiane88. Va tenuto conto
inoltre che alcune delle truppe dell’8a arma­
ta quando arrivarono sul Don avevano per-
86 Cfr. C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., pp. 187194; e R. Cruccu, Le operazioni italiane in Russia, cit., p. 216. I dati sulla forza dei singoli corpi ripresi da
BAMA, RH 31 IX /22.
87 G. Messe, La guerra al fronte russo, cit., pp. 256-258; C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di),
Le operazioni delle unità italiane, cit., pp. 200-233. (A questo proposito si veda anche il presente testo a p. 268-269).
88 Cfr. in questo contesto la dettagliata esposizione in Alessandro Massignani, Alpini e tedeschi sul Don. Docu­
menti e testimonianze sulla ritirata del corpo d ’armata alpino e del X X IV Panzerkorps germanico in Russia nel
gennaio 1943 - con il diario del Generale tedesco presso l ’8 ‘‘ armata italiana, Novale di Valdagno (Vicenza), Rossato, pp. 56 sgg.
264
Gerhard Schreiber
corso da 500 a 1.000 km di marcia a piedi
oppure 1.200 km in autocarro.
La temuta battaglia iniziò già il 20 agosto
e durò fino al 1° settembre. Vista storica­
mente essa si inquadra nel contesto della
strategia difensiva sovietica per Stalingrado.
Il corso dei combattimenti ebbe vicende al­
terne, gli attacchi si concentrarono fin dall’i­
nizio sul tratto di fronte che era difeso dalla
divisione “Sforzesca”, il cui limite di settore
destro confinava con la 6a armata.
Sebbene gli uomini si fossero battuti valo­
rosamente, la divisione dovette ritirarsi su
Ceboratevskij. Un contrattacco condotto il
23 agosto e al quale partecipò la 3a divisione
celere procurò solo un temporaneo alleggeri­
mento. Il grande attacco nemico iniziato due
giorni dopo costrinse il XXXV corpo ad ar­
retrare le sue posizioni fino dietro Bol’soj,
che così andò perduta. Questo significava
concretamente che le truppe sovietiche, che
nel frattempo si trovavano di nuovo anche a
Serafimovic, erano riuscite a formare una
testa di ponte sulla riva destra del Don della
profondità di 20 km e dell’ampiezza di 60.
Senza dubbio si trattava, in considerazione
degli sviluppi successivi, di un miglioramen­
to molto importante della posizione. D’altro
canto occorre affermare che l’Armata rossa
non raggiunse il suo vero obiettivo, cioè la
separazione dell’8a armata dalla 6a armata
tedesca e l’isolamento delle divisioni attac­
canti Stalingrado dalle basi ad ovest del
Don89.
È però anche da rilevare che la presunzio­
ne recò un grave danno alla collaborazione
italo-tedesca. Né Messe, né Gariboldi pote­
rono comprendere le ragioni di un ordine
emesso dal gruppo armate B il 25 agosto,
ordine che non solo proibiva ogni ritirata,
ma feriva l’onore della “Sforzesca” da tem­
po decimata. Quando poi, il giorno successi­
vo, un altro ordine metteva questa divisione
con la “Celere” e le altre truppe al margine
del settore d’armata agli ordini del tenente
generale Günther Blumentritt — per il XVII
corpo — sebbene vi fossero due comandanti
di divisione, l’irritazione da parte italiana
raggiunse un punto critico. Il comando del
gruppo d’armate B si trovò quindi nella con­
dizione, dopo solo 24 ore, di dover annulla­
re l’ordine di subordinazione, già disposto,
ordine che peraltro non aveva provocato al­
tro che confusione. Nondimeno negli italia­
ni rimase l’amarezza. Quando per esempio il
generale tedesco presso l’8a armata italiana,
Kurt von Tippelskirch, visitò il 30 agosto il
generale comandante del XXXV corpo d’ar­
mata, questi aveva tolto ostentatamente la
sua croce di cavaliere. Inoltre Messe richiese
la “citazione” del suo corpo nel “rapporto
del gruppo d’eserciti e [la] cancellazione del­
l’osservazione, negli ordini del gruppo d’e­
serciti, che la ritirata della divisione Sforze­
sca andava fermata con tutti i mezzi”90.
Messe, che nel corso del suo impiego in Rus­
sia aveva sviluppato una profonda avversio­
ne per l’alleato come reazione al trattamento
subito dai tedeschi91, ma che aveva avuto
difficoltà anche con il generale Gariboldi92,
cedette il comando del corpo il 1° novembre
al generale Francesco Zingales93.
89 C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., pp. 234-293;
R. Cruccu, Le operazioni italiane in Russia, cit., pp. 218 sgg.; e G. Messe, La guerra al fronte russo, cit., pp. 265302.
90 Kriegstagebuch des Deutschen Generals beim italienischen Armeeoberkommando 8, vom 11.7.42-31.1.43
(di seguito KTB), pp. 18-22, citazione p. 22, in BA-MA, RH 31 IX /1; testimonianza diretta in G. Messe, La
guerra al fronte russo, cit., pp. 283-287; cfr. inoltre Das Deutsche Reich und der Zweite Weltkrieg, vol. 6, cit.,
p. 975.
91 Cfr. ad esempio Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 627, 4 giugno 1942.
92 G. Bottai, Diario 1935-1944, cit., p. 329, 13 ottobre 1942.
93 G. Messe, La guerra al fronte russo, cit., pp. 303-315.
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
In settembre e ottobre vi furono ripetuti
limitati attacchi sovietici, ma nel complesso
la situazione sul Don rimase invariata rispet­
to a quella esistente dopo le battaglie d’ago­
sto. Entro settembre anche l’intero corpo al­
pino era giunto nella zona di impiego dell’8a
armata. Si arrivò quindi a ripetuti cambia­
menti nella disposizione delle divisioni della
grande unità, ma il 10 dicembre, quasi alla
vigilia della seconda battaglia difensiva sul
Don, questa era schierata come segue: circa
18 km a nord di Pavlovsk c’era il contatto
dell’armata con la 2a armata ungherese. Ac­
canto a questa, con appoggio di aliquote di
artiglieria, era disposto il corpo alpino con
le divisioni “Tridentina”, “Julia” e “Cu­
neense” . Dietro questo corpo c’era come ri­
serva di armata la divisione di fanteria “Vi­
cenza” , che però non disponeva di artiglie­
ria. Il confine con il II corpo d’armata della
divisione “Cosseria”, rinforzata dal 318°
reggimento granatieri tedesco, e della divi­
sione “Ravenna”, correva sulle alture di Novaja Kalitva. Nella zona dei collegamenti
verso le retrovie del II corpo venne dislocata
tra il 9 e il 20 dicembre la 27a divisione co­
razzata come riserva d’impiego, la quale pe­
rò disponeva di soli 47 veicoli corazzati di
diverso tipo: in realtà possedeva unicamente
la forza combattente di un battaglione. Tra
il II e il vicino XXXV corpo d’armata il con­
fine correva nei pressi di Kusmenkin, sulla
riva destra del Don. Del vecchio Csir a quel
tempo facevano parte la divisione rinforzata
“Pasubio” e la 298a divisione di fanteria te­
desca. Il suo limite di settore col XXIX cor­
po tedesco, che a sua volta aveva un fronte
di oltre 50 km fino alla 3a armata romena a
Vesenskaja, correva sulle alture di Paseka.
265
Da questo si vede che il gruppo di armate B
aveva inserito la 3a armata romena — da­
vanti alla testa di ponte sovietica di Serafimovic, Ceboratevskij e Bol’soj — tra la 6a
armata tedesca e l’8a italiana. Al XXXV
corpo appartenevano allora le divisioni “To­
rino”, “Principe Amedeo duca d’Aosta” e
“Sforzesca” . In totale l’Armir poteva impie­
gare nel suo complesso dal 10 dicembre 1942
— senza tener conto della 27a divisione co­
razzata tedesca — 86 battaglioni fucilieri,
156 batterie con 624 cannoni e 50 veicoli co­
razzati. Questi ultimi, va detto, si trovavano
esclusivamente nel XXIX corpo94.
Con l’offensiva invernale sovietica iniziò
la seconda fase dell’impiego in Russia dell’Armir. Il comando sovietico si concentrò
sull’accerchiamento della 6a armata, la qual
cosa consentì al gruppo armate B, al quale
l’8a armata italiana era sempre sottoposta,
di stabilizzare la situazione nel breve volgere
di pochi giorni95. Malgrado questo, tuttavia,
i successi operativi dell’Armata rossa indus­
sero a riflessioni che qualche tempo prima
erano già state fatte a Roma. Cavallero, dal
1° luglio 1942 maresciallo d’Italia, ed il ge­
nerale Ambrosio, capo di Stato Maggiore
dell’esercito, pensavano ancora il 17 dicem­
bre di riportare in Italia almeno il corpo al­
pino, dato che mancavano dieci divisioni per
la difesa del territorio. Probabilmente su ciò
influì anche il fatto che l’esercito italiano
aveva accettato, pur protestando, l’impiego
del corpo alpino in pianura96. Cavallero
ignorò tuttavia il desiderio di Ambrosio di
ritirare tutte le divisioni dalla Russia97.
Dall’11 dicembre le unità sovietiche lancia­
no molteplici attacchi alle posizioni delle di­
visioni “Cosseria”, “Ravenna” e “Pasu-
94 C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., pp. 294-327; e
R. Cruccu, Le operazioni italiane in Russia, cit., pp. 219 sgg.
95 Sull’argomento e sulle reazioni tedesche alla mutata situazione, cfr. J. Forster, Stalingrad. Risse im Biindniss,
cit., pp. 40-43; e Das Deutsche Reich und der Zweite Weltkrieg, vol. 6, cit., pp. 997-1023.
96 U. Cavallero, Comando supremo, cit., p. 294, 25 luglio 1942; p. 303, 4 agosto 1942.
97 U . Cavallero, Comando supremo, cit., pp. 390 sgg., 17 novembre 1942.
266
Gerhard Schreiber
bio”, per logorarle. L’azione non arrivò di
sorpresa, perché da parte tedesca erano atte­
si “forti attacchi nemici” nel settore della 2a
armata ungherese e della 8a italiana al più
tardi alla fine di novembre98. Per precauzio­
ne il gruppo di armate B fece preparare, già
il 12 novembre, misure che dovevano con­
sentire, in caso di sfondamento nel settore
della divisione “Pasubio”, di passare al con­
trattacco99. Il 15 del mese il comando dell’8a
armata sapeva da un ordine di operazione
intercettato che le truppe dell’Armata rossa
volevano attaccare dalla testa di ponte di
Verch Mamon, come pure attraverso Deresovka, quindi nel settore delle divisioni
“Cosseria” e “Ravenna”, tra le quali era
schierato il 318° reggimento granatieri tede­
sco100. In realtà, si trovava qui uno dei due
centri tattici dell’operazione “Piccolo Sa­
turno” .
L’offensiva così chiamata mirava tra l’al­
tro all’accerchiamento e alla distruzione del­
la parte dell’8a armata italiana disposta a
sud del corpo alpino. Dopo cinque giorni di
combattimenti di logoramento, che provo­
carono tra la fanteria italiana, priva di suffi­
cienti munizioni, spesso vestita inadeguata­
mente e perlopiù inesperta nel combattimen­
to anticarro, chiari segni di usura, il 16 di­
cembre scattò l’attacco principale. Solo a
fronte delle divisioni di fanteria già provate,
“Cosseria” e “Ravenna”, il nemico dispone­
va di 10 divisioni di fanteria, 4 brigate mo­
torizzate di fanteria, 13 brigate corazzate e 2
reggimenti corazzati. Il primo giorno gli at­
taccanti, molto superiori numericamente,
riuscirono ad ottenere solo delle infiltrazio­
ni. Ma il 17 dicembre sfondarono le linee
delle divisioni “Pasubio”, “Ravenna” e
“Cosseria”, che si difendevano disperatamente. I carri sovietici passarono per le
brecce aperte dalla fanteria, minacciando
l’8a armata di accerchiamento. Dapprima il
comando tentò di sottrarsi all’azione nemica
su successive nuove linee di arresto, perché
voleva ancora impedire il crollo del fronte.
Tuttavia troppe truppe fluivano nel frattem­
po verso le retrovie. Per contrastare il caos
totale, il gruppo di eserciti B esercitò pres­
sioni. Il generale von Tippelskirch dovette
fare delle rimostranze al generale Gariboldi:
al gruppo di armate si era “avuta l’impres­
sione da diverse osservazioni aeree e terrestri
che l’8a armata italiana, soprattutto aliquo­
te delle retrovie in località minacciate, che
dovevano difendersi, si trovasse in piena
rotta” .
Veniva quindi incaricato “ancora una vol­
ta di richiamare, con la massima urgenza
l’attenzione” del comandante dell’armata
sul fatto “ che una fuga generale dell’armata
italiana” doveva essere impedita “con i mez­
zi più drastici” . Tippelskirch disse anche:
“Da parte tedesca in questi casi i disertori
verrebbero arrestati e fucilati” . A questo
egli aggiunse la minaccia di “riferire al Füh­
rer che l’armata italiana non combatteva
più” . Gariboldi sembra non essere stato par­
ticolarmente impressionato da quest’ultima
osservazione101.
Il 19 dicembre il comando del gruppo
eserciti B acconsentì finalmente ad un movi­
mento in ritirata, inizialmente molto limita­
to. Ma lo sviluppo delle operazioni costrinse
giorno per giorno ad ampliare la direttiva. Il
fronte si muoveva inarrestabilmente verso
8 Helmut Greiner, Percy Ernst Schramm (a cura di), Kriegstagebuch des Oberkommando der Wehrmacht (Wehrmachtfilhrungsstab) 1940-1945, vol. II, a cura di Andreas Hillgruber, 1° gennaio 1942-31 dicembre 1942, Frankfurt
a.M ., Bernard & Graefe Verlag, 1963, p. 1054, 30 novembre 1942.
99 KTB, p. 60, in BAMA, RH 31-IX /l.
100 KTB, p. 69, in BAMA, RH 31-IX /l.
101 Anlagen zum Kriegstagebuch Deutscher General beim italienischen Armeeoberkommando 8, Befehle, Bespràchungsunterlagen, Meldungen 13.7.1942-31.1.43, p. 38, BAMA, RH 31-IX/2.
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
ovest. Con questo sviluppo dal 23 dicembre,
mentre il corpo alpino rimaneva sul Don
sulle sue posizioni, si formavano due gruppi
di marcia.
Un caso particolare era costituito dalla di­
visione “Cosseria”, che marciò solitaria e
quindi, come verrà dimostrato, dovette sof­
frire in particolar modo l’arbitrio e la man­
canza di cameratismo dei propri “fratelli
d’arme” tedeschi. Avennero episodi incredi­
bili.
La divisione di fanteria doveva essere alle
dipendenze del corpo alpino fino alla fine di
dicembre ed era stata impiegata successiva­
mente fino al 5 gennaio sul fianco sinistro
del XXIV Panzerkorps. Dopo una marcia a
piedi di circa 1.300 km, talora con 40 gradi
sotto zero, questa unità raggiunse il 7 marzo
1943 Gomel.
Per quanto invece riguarda i due blocchi
di marcia, quello nord era costituito dalle
divisioni “Torino”, parti della 298a divisio­
ne fanteria tedesca, aliquote della “Raven­
na” e “Pasubio”, come anche da diverse al­
tre unità che appartenevano al II, al XXXV
corpo, all’8a armata o all’intendenza. Del
resto aliquote consistenti della “Ravenna”
arrivarono a Voroscilovgrad già il 21 dicem­
bre, dove vennero subito impiegate nella di­
fesa.
Le restanti unità riuscirono, laddove furo­
no in grado di aprirsi un varco, ad arrivare a
metà gennaio nella città del bacino del Donez. Nel gruppo sud marciavano le divisioni
“Sforzesca”, aliquote delle divisioni “Ra­
venna” , “Pasubio” e “Pada”, nonché altre
unità più piccole, che erano direttamente di­
pendenti dai comandi di corpo d’armata o
267
dell’intendenza. Il comando era nelle mani
del comandante del XXIX corpo d’armata
tedesco, generale Hans von Obstfelder. La
ritirata dei suoi uomini si accompagnò a du­
ri combattimenti contro truppe e partigiani
sovietici. Il 3 gennaio l’unità, completamen­
te esausta, raggiunse il Donee nella regione
di Belaja Kalitva102. In relazione a questa si­
tuazione il gruppo armate B aveva intenzio­
ne di far riposare e ricostituire la divisione
“Cosseria” a Roven’ki, la divisione “Raven­
na” a Vorosilovgrad e le altre truppe a Gorlovka103.
Mentre il fronte al sud, alla fine di dicem­
bre 1942, si era spostato verso ovest di circa
100 km, il corpo alpino era rimasto nelle sue
consuete posizioni sul Don tra Novaja Kalit­
va e Karabut, tra la 2a armata ungherese a
nord e il XXIV corpo corazzato tedesco a
sud, che formava l’ala destra dell’8a armata
ed al quale apparteneva anche la divisione al­
pina “Julia” . Tuttavia la divisione, che era
già stata impiegata nella difesa contro l’ope­
razione “Piccolo Saturno”, risultava logo­
rata.
Il 13 gennaio il comando sovietico scatenò
la grande offensiva Ostrogozsk-Rossos’ che
durerà fino alla fine del mese104. L’operazio­
ne mirava alla distruzione delle unità tede­
sche, italiane e ungheresi dislocate in quell’a­
rea, spostando il fronte sulla linea RepjevkaAleksejevka-Urazovo, e ad assumere il con­
trollo della linea ferroviaria Svoboda-Kantemirovka.
L’offensiva venne iniziata dalla 40a arma­
ta sovietica, che in quel 13 gennaio attaccò
la 2a armata ungherese dalla testa di ponte
di Uryv. Nello stesso giorno riuscì la pene-
102 Sullo sviluppo operativo cfr. C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di), Le operazioni delle
unità italiane, cit., pp. 316-421; e R. Cruccu, Le operazioni italiane in Russia, cit., pp. 219-222.
103 KTB, p. 101; cfr. inoltre ivi, 3 gennaio 1943, p. 104 e 5 gennaio 1943, p. 106. In questi punti risulta chiaramente
che il comando italiano nutriva intenzioni del tutto diverse per quanto riguarda l’ulteriore utilizzo delle truppe.
104 Fondamentale per questa fase della partecipazione italiana alla guerra in Russia è A. Massignani, Alpini e tede­
schi, cit., pp. 53-146; cfr. inoltre C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di), Le operazioni delle
unità italiane, cit., pp. 421-450; e R. Cruccu, Le operazioni italiane in Russia, cit., pp. 222 sgg.
268
Gerhard Schreiber
trazione del fronte, che il 14 gennaio venne
allargata fino allo sfondamento verso sud.
Parallelamente agli avvenimenti a nord, il
14 gennaio, nel settore meridionale dell’8a
armata italiana, dove operava il XXIV cor­
po corazzato, la 3a armata corazzata sovieti­
ca passò all’offensiva. Anche qui riuscì in
breve tempo lo sfondamento, la cui portata
inizialmente non fu riconosciuta né dal co­
mando dell’8a armata, né dal corpo stesso.
Quando tuttavia il 15 gennaio i carri sovieti­
ci penetrarono — temporaneamente — in
Rossos’ e presero Alexejevka, il comando
dell’armata chiese al gruppo armate B di po­
ter. ritirare le unità dell’8a armata all’uniso­
no con quelle della 2a armata ungherese, il
che venne rifiutato. Decisivo potrebbe qui
essere stato il fatto che in quel momento —
per quanto riguarda il movimento di sgan­
ciamento — si voleva prima avvicinare al
corpo alpino il XXIV corpo corazzato schie­
rato ancora a sud-est di Rossos’. Gli alpini
quindi ricevettero solo il 17 gennaio a metà
giornata — circa nove ore dopo l’inizio della
ritirata da parte degli ungheresi — l’ordine
di sfondare verso ovest. Infatti non si tratta­
va più assolutamente di una normale ritira­
ta: il corpo era in una sacca. Le divisioni di
alpini si fecero strada assieme al XXIV cor­
po corazzato tedesco, che si era loro unito.
Poiché le vie di deflusso si incrociavano, per
alcune divisioni si verificò sin dall’inizio del
movimento verso ovest la temuta confusio­
ne105.
Del resto, le principali basi di rifornimen­
to disposte sulla via di arroccamento dell’ar­
mata si trovavano già in mano sovietica, il
che rendeva enormemente più difficile la si­
tuazione delle truppe che si dovevano ritira­
re. Presto si videro costrette anche ad ab­
bandonare tutti i veicoli non idonei alla
marcia fuori strada. Costrette ad utilizzare
soltanto poche strade, in un territorio che
era già controllato per la maggior parte dalle
truppe sovietiche, e ad aprirsi la via verso
ovest combattendo, le truppe dovettero di
conseguenza marciare a piedi, trasportando
soltanto gli elementi più importanti, soprat­
tutto i cannoni controcarro.
La ritirata o uscita dalla sacca durò fino
alla fine di gennaio. Gli alpini e le truppe
tedesche vennero coinvolti durante la ritira­
ta in non meno di ventuno grossi combatti­
menti. Al termine della marcia, le divisioni
“Julia”, “Cuneense” e “Vicenza” avevano
cessato operativamente di esistere. Unica a
rimanere in qualche modo intatta, la “Tridentina”, che combattè brillantemente, ma
la cui uscita dalla sacca francamente si do­
vette anche al sacrificio delle divisioni “Ju­
lia” e “Cuneense” . Del resto, nel valutare il
movimento di ritirata occorre pensare che il
comando del corpo alpino, come pure quel­
lo del XXIV corpo corazzato, persero la
totalità degli apparecchi di comunicazione e
di comando nel combattimento di Opyt il
20 gennaio, salvo uno della 385a divisione
di fanteria tedesca. Con ciò le divisioni era­
no praticamente abbandonate a se stesse,
mentre venne conservato il collegamento
del corpo con l’armata106. Dei circa 70.000
uomini del corpo alpino e della divisione
“Vicenza”, solamente circa 27.500 riusciro­
no a tirarsi fuori dalla sacca, il che corri­
sponde all’incirca al 40 per cento107. L’or­
rore e il travaglio umano che si nascondo­
no dietro tali cifre risultano dai resoconti
dei sopravvissuti con grande intensità108. I
105 Cfr. su questo A. Massignani, Alpini e tedeschi, cit., pp. 65-81, la cui esposizione si basa sull’utilizzo della lette­
ratura esistente e su un’ottima documentazione archivistica.
106 A. Massignani, Alpini e tedeschi, cit., C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di), Le operazioni
delle unità italiane, cit., pp. 433-450; e KTB, 21 gennaio, p. 114; 22 gennaio, p. 117; e 23 gennaio 1943, p. 120.
107 A. Massignani, Alpini e tedeschi, cit., pp. 98 sgg.
108 Nuto Revelli, La strada del davai, Torino, Einaudi, 1980, che riporta numerosi esempi; Mario Rigoni Stern,
Il sergente nella neve, Torino, Einaudi, 1989, pp. 73-174; cfr. in tale contesto anche Giorgio Rochat, Memoria-
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
discorsi parlano di morti, feriti, congelati,
fame e freddo, ma anche di volontà di so­
pravvivere e dei motivi per cui si riusciva
sempre a farlo.
D’altra parte i dati statistici sono sempre
in grado — nonostante la loro freddezza di­
staccata — di dare indicazioni sulla dimen­
sione della sofferenza. Così da essi si può
cogliere che nella battaglia sul Don genera­
zioni — in maggioranza — di montanari
persero la vita o la salute, e come conse­
guenza di questo interi villaggi avrebbero
dovuto vivere con un bassissimo numero di
uomini giovani, perché il corpo degli alpini
era reclutato in territori limitati. Alcuni di
questi dati devono perciò essere qui riferiti:
il Csir contò in morti e dispersi dal 5 agosto
1941 fino al 30 luglio 1942 complessivamen­
te 1.792 uomini; nella divisione “Pada” si
lamentò la perdita — durante la battaglia di
Serafimovic dal 30 luglio al 13 agosto 1942
— di almeno 251 uomini, ma ci sono — co­
me esposto — anche dati, che si pongono
considerevolmente al di sopra di questi; nel­
la prima battaglia difensiva del Don dal 20
agosto al 1° settembre l’8a armata perse
2.704 uomini; tuttavia nella seconda batta­
glia sullo stesso fiume, che durò — compre­
sa la rottura della sacca — dall’11 dicembre
1942 fino al febbraio 1943, furono 84.830 i
soldati perduti. Agli 89.838 morti e dispersi,
degli ultimi solamente 10.030 ritornarono
dalla prigionia russa, si aggiungono ancora
43.282 uomini, che avevano subito ferite o
congelamenti. Tra loro si trovavano 29.690
vittime della seconda battaglia difensiva del
Don109.
269
Conseguenze politiche e psicologiche della
partecipazione italiana
Dopo la catastrofe delle sue truppe, l’8a ar­
mata si congedò il 31 gennaio dal “comando
del fronte", ed il suo posto venne preso dal
reparto d’armata Lanz110. Poiché il coman­
do operativo della Wehrmacht voleva tratte­
nere delle divisioni italiane sul fronte orien­
tale, doveva essere quantomeno ricostituito
e riposato il II corpo d’armata con le divi­
sioni “Ravenna” e “Cosseria” . Da parte te­
desca si pensava di ricostituire, dal corpo al­
pino totalmente distrutto, una divisione in
piena efficienza nella zona di ricostituzione
di Belgorod, ma la cosa venne decisamente
rifiutata dal generale Gariboldi. Gli alpini
iniziarono il 6 marzo 1943 il trasferimento
verso l’Italia. Poterono tornare a casa inol­
tre anche i soldati appartenenti al XXXV
corpo, che non erano fisicamente idonei ad
essere inquadrati nel II corpo d’armata. Il
25 marzo questo corpo assunse l’eredità,
dalla 8a armata che rimpatriava, delle forze
italiane in Russia. Ci si attendeva di rimane­
re in Russia. Ma il 12 aprile il Comando su­
premo comunicò sorprendentemente che era
d’accordo con il Comando supremo della
Wehrmacht di rimpatriare anche il II corpo
d’armata. E così avvenne. Il 22 maggio non
si trovava ufficialmente più nessun soldato
italiano sul fronte orientale111.
In questa decisione del comando italiano
giocarono parecchi fattori. Si verificavano
contraccolpi psicologici, facilmente rilevabi­
li, sul morale di quei soldati che dopo i terri­
bili avvenimenti delle ultime settimane, che
listica e storiografia sulla campagna italiana in Russia 1941-1943, in Gli italiani sul fronte russo, cit., pp.
465-482.
109 C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., p. 487.
110 KTB, p. 140.
111 C. De Franceschi, G. De Vecchi, F. Mantovani (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., pp. 466-474;
Ministero della Difesa, Commissione ministeriale d’indagine sul presunto eccidio di Leopoli avvenuto nell’anno
1943, Relazione conclusiva, Roma, Ussme, 1988, pp. 91 sgg.; sulle intenzioni tedesche citate cfr. KTB, 5 gennaio
1943, pp. 106 sgg., dove già viene annunciato il rifiuto italiano ad un ulteriore impiego degli alpini in Russia.
270
Gerhard Schreiber
essi perlopiù avevano superato nella spe­
ranza che dopotutto il terrore avrebbe avu­
to una fine, vedevano ora i loro commilito­
ni tornare a casa, mentre al contrario per
loro il ritorno minacciava di diventare im­
prevedibile. Oltre a questo c’erano conside­
razioni politico-militari. Qui va anche ri­
cordato che il generale Ambrosio, dal 1°
febbraio 1943 nuovo capo di Stato Maggio­
re Generale, già nel novembre 1942 inten­
deva riportare a casa tutte le divisioni dalla
Russia. Non ultimo è infine da indicare lo
sviluppo politico dell’alleanza tra Roma e
Berlino nella seconda metà del 1942, quan­
do vengono in discussione le conseguenze
della partecipazione italiana alla guerra
contro l’Unione Sovietica.
Per l’ultimo aspetto si può immediata­
mente rivolgere l’attenzione al novembre
1942, quando la situazione rapidamente
peggiorata in Africa settentrionale e le diffi­
coltà in cui si trovava la Wehrmacht in Rus­
sia sembravano travalicare le possibilità del­
le forze militari dell’Asse. Sull’obiettivo in­
debolimento della condotta italiana della
guerra nel Mediterraneo, che il coinvolgi­
mento in Russia provocò fin dall’inizio, è
stata già richiamata l’attenzione. Tuttavia il
duce credeva — nel quadro del suo calcolo
strategico — nel 1941 ed ancora nell’estate
del 1942, di poter continuare a reggere. Nel
frattempo però Mussolini e Hitler erano con
le spalle al muro. E in una situazione del ge­
nere, secondo il punto di vista dei comandi
di Roma, il teatro di guerra mediterraneo —
dell’Italia in realtà — aveva la priorità. In
altri termini la macchina della guerra in
Russia doveva essere fermata.
Il primo passo in questo senso venne intra­
preso da Mussolini il 6 novembre, giorno in
cui commentò un rapporto abbastanza criti­
co dell’industriale Alberto Pirelli sulla situa­
zione europea e la politica tedesca. La sua
presa di posizione mostrava per la prima vol­
ta il desiderio del duce di arrivare ad un ac­
cordo in Oriente. Tale desiderio non nacque
— com’è noto — improvvisamente, ma di­
venne dominante nei mesi seguenti, ed è ben
documentato. Era indispensabile per Musso­
lini, “intraprendere ogni sforzo per arrivare
ad una pace separata con la Russia” . A diffe­
renza di Pirelli egli pensava che Stalin fosse
pronto a questa soluzione112. La sera dello
stesso giorno disse poi al generale von Rintelen: “Vorrei esprimervi personalmente la mia
impressione che noi dobbiamo fare una pace
separata con la Russia il più presto possibi­
le” . E questo venne naturalmente riferito
dall’addetto militare a Berlino113, dove alcu­
ne persone, ma non quelle decisive, la pensa­
vano assolutamente nello stesso modo114.
Un mese più tardi, il 5 dicembre, il gene­
rale d’armata e senatore, stimato da Musso­
lini115, Francesco S. Grazioli sottopose al
duce a Roma un promemoria nel quale al­
trettanto fermamente richiamava l’attenzio­
ne sulla necessità di una pace separata con
Stalin116. Il 15 febbraio 1943 Grazioli pre­
sentò a Mussolini un secondo e molto ampio
studio che aveva concluso cinque giorni pri­
ma. Il generale partiva dal palese peggiora­
mento della situazione nel periodo novem-
112 R. De Felice, Mussolini l ’alleato, vol. I, t. II, cit., pp. 1264 sgg.
113 ADAP, Serie E, cit., vol. IV, 1° ottobre-31 dicembre 1942, Gottingen, 1975, doc. 146, p. 257: Ambasciatore e
addetto militare a Roma al ministro degli Esteri, 7 novembre 1942; cfr. anche L.E. Lill (a cura di), Die WeizsackerPapiere, cit., p. 305, 8 novembre 1942; Frederick W. Deakin, Storia della repubblica di Salò, Torino, Einaudi,
1963, p. 89 (ed. orig. London, Werdenfeld & Nicolson, 1962) e Josef Schróder, Bestrebungen zur Eliminierung der
Ostfront, 1941-1943, Gôttingen-Zürich, Musterschmidt, 1985, p. 18.
114 L.E. Lill (a cura di), Die Weizsàcker-Papiere, cit., pp. 308 sgg., 16 e 22 novembre 1942.
115 Così R. De Felice, Mussolini l ’alleato, vol. I, t. II, p. 1265.
116 DDI, nona serie, cit., vol. IX (21 luglio 1942-6febbraio 1943), Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato,
1989, doc. 379, pp. 372-375.
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
bre 1942-gennaio 1943 e si mostrava forte­
mente impressionato dalla potenza dell’of­
fensiva invernale sovietica. Come conse­
guenza raccomandava di scegliere in Russia
la più adatta linea di difesa, che doveva es­
sere costituita il più rapidamente possibile
con tutte le forze disponibili come un vallo
di difesa contro “la crescente marea bolsce­
vica”117. Con ciò delineava un’alternativa
nel caso in cui non fosse raggiunta l’auspica­
ta pace separata. Il capo del governo italia­
no ne aveva fatto menzione già in preceden­
za a Gòring quando questi si era trattenuto
a Roma all’inizio del dicembre 1942. Egli
preferiva piuttosto una pace secondo l’esem­
pio di Brest-Litowsk, tuttavia, se questo fos­
se stato impossibile, avrebbe dovuto essere
eretta una forte linea difensiva presidiata da
forze il meno numerose possibile, contro la
quale si sarebbero infranti i tentativi di at­
tacco russi. Per lui la guerra contro l’Unione
Sovietica aveva perso nel frattempo ogni
senso, poiché si dovevano impiegare quante
più truppe possibile contro le potenze occi­
dentali118. Ma quando Ciano parlò con Hi­
tler il 20 dicembre, avverti, senza possibilità
di fraintendimento, che per il Führer il
“problema orientale” rappresentava “un
problema esclusivamente militare”119. E tale
rimase. Nella sua lettera del 16 febbraio
1943 Hitler comunicò semplicemente al duce
che in Oriente “avrebbe combattuto finché il
colosso [sovietico] fosse crollato e questo
con o senza alleati”120. La lettera venne con­
271
segnata da von Ribbentrop a Mussolini a
Roma verso la fine di febbraio. Qui Ribben­
trop confessò con franchezza che in Russia
si era sofferto “senza dubbio una batosta” ,
ma, aggiunse, “il Führer non crede che sia
possibile una soluzione politica in Russia” :
la lotta sarebbe quindi proseguita più vigo­
rosamente121. Date queste inconciliabili posi­
zioni, era fallito il tentativo di Mussolini, sia
a mezzo di trattative diplomatiche, sia me­
diante un “limes orientale”122, di salvaguar­
dare il suo obiettivo originario, cioè la vitto­
ria nella guerra contro le potenze occidenta­
li. Non è qui necessario seguire in dettaglio
l’ulteriore scambio di riflessioni, che in me­
rito ad una pace separata con Mosca si svol­
se tra i due partner dell’Asse — in forma
scritta o verbale — a diversi livelli, compre­
so il contatto diretto tra Hitler e Mussoli­
ni123. Alla fine, l’intransigenza assoluta di
Hitler per quanto riguardava la guerra in
Russia, che toccava direttamente le esigenze
nazionali dell’Italia, portò Mussolini al pun­
to di mostrarsi pronto a venir meno alla fe­
deltà fino a quel momento formalmente
mantenuta, fedeltà che ha a che fare con un
probabile complesso originato dalla gran­
de guerra e che coesisteva accanto al suo
atteggiamento antitedesco e di rivalità nei
confronti del Führer. Si trattava proba­
bilmente della più grave conseguenza della
totale intransigenza di Hitler sulla Russia.
Poiché con il suo atteggiamento Hitler —
per riassumere in termini più netti lo stato
117 “La situazione della guerra ai primi di febbraio 1943, 10 febbraio 1943”, in ACS, Archivi fascisti, Segreteria
particolare del duce, b. 5, fase. 91/R , sf. 2, citazione p. 9. Il promemoria viene dettagliatamente valutato in R. De
Felice, Mussolini l ’alleato, vol. I, t. II, pp. 1292 sgg.
118 DDI, nona serie, vol. IX, cit., doc. 381, pp. 377 sgg.: colloquio Mussolini-Gòring, 6 dicembre 1942 (il colloquio
si era svolto il giorno precedente). Il doc. 410, 16 dicembre 1942 (ivi, pp 404-405) contiene istruzioni di Mussolini
per Ciano, riguardanti i colloqui con Hitler: o pace con Stalin tipo Brest-Litowsk, oppure linea difensiva ad Orien­
te, che avrebbe dovuto consentire di spostare la maggior quantità possibile di truppe verso ovest.
119 ADAP, Serie E, vol. IV, cit., doc. 315, pp. 582-586, citazione p. 582.
120 ADAP, Serie E, cit., vol. V, 1 ° gennaio-30 aprile 1943, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1978, doc. 135,
pp. 227-236, citazione p. 235.
121 ADAP, Serie E, vol. V, cit., doc. 158, pp. 286-306, colloquio del 25 febbraio 1943, citazione pp. 287 e 289.
122 L.E. Lill (a cura di), Die Weizsacker-Papiere, cit., p. 328, 13 marzo 1943; e p. 335, 3 aprile 1943.
123 Fondamentale in proposito R. De Felice, Mussolini l ’alleato, vol. I, t. II, cit., pp. 1264-1300.
272
Gerhard Schreiber
dei fatti — spingeva Mussolini fuori della
guerra. Indubbiamente, quando il capo del
governo italiano volle infine osare il passo
decisivo, era troppo tardi124.
Non meno significative delle conseguenze
politiche della partecipazione italiana alla
guerra contro l’Urss sembrano le conse­
guenze psicologiche. Esse rappresentano
certamente, da un lato, un problema inter­
no, ma dall’altro toccano anche i rapporti
tra i due popoli e fors’anche li riguardano
ancora. Relativamente al primo punto di vi­
sta è stato giustamente detto che la lettera­
tura memorialistica italiana quasi senza ec­
cezione e in ogni caso in modo preferenziale
si occupa della fase finale dell’impiego in
Russia. Il quadro che ne esce è, in sostanza,
quello di un movimento est-ovest, che espri­
me la rimozione. Per contro, alla domanda
del perché e come si sia andati in Russia
non viene risposto, anzi, nella maggior par­
te dei casi, la domanda non è neppure po­
sta125.
Ci sono però delle eccezioni. A queste ap­
partengono due pubblicazioni di lettere o
rapporti coevi di soldati126, dai quali emer­
gono con opprimente insistenza la crudeltà,
l’insensatezza e la degenerazione, che a tratti
diventa normalità, di questa guerra. Tali te­
stimonianze dimostrano come degli uomini
sperimentino e sopravvivano ad una situa­
zione già quasi kafkiana. Molti di loro —
probabilmente la maggior parte — non vole­
vano andare in Russia. Qualcuno meditava
una automutilazione, le stesse madri consi­
gliavano i loro figli in questo senso. Ci si
ubriacava, per dimenticare per un momento
il prossimo futuro. Ma poi i treni militari
viaggiavano. In Polonia qualche italiano vi­
de per la prima volta uomini e donne ebrei i
quali, contraddistinti dalle stelle di Davide,
raccoglievano i rifiuti degli italiani, e per
questo venivano picchiati e incitati al lavo­
ro. C’erano ebrei dai quali si sentiva dire
che i tedeschi “bruciavano tutti gli ebrei” .
Si prosegue, increduli, sebbene non tutto in­
ganni, o non si comprenda. Un paio di mesi
dopo questi soldati combattevano nella sac­
ca del Don, cadendo a mucchi. C’erano val­
li, come uno di loro raccontò, che dopo
l’attacco delle truppe sovietiche riecheggia­
vano di un solo grido: “Aiuto, aiuto, ma­
rna, mama”127. Era la nuda paura che era
stata generata da una pena inimmaginabile.
E la Russia non si lasciò più dimenticare
dopo l’inverno 1942-1943. La paura di do­
ver ritornare era uno dei motivi per cui i
militari italiani che si trovavano nei campi
di prigionia della Wehrmacht dopo l’8 set­
tembre, rifiutarono ogni collaborazione con
la Germania128.
Il secondo aspetto che concerne le rela­
zioni tra tedeschi e italiani necessita di una
dettagliata ricerca, non riguardante solo la
campagna orientale. Entro i limiti di questo
saggio non si può far altro che sottolineare
alcuni casi particolari ed esemplari.
Quando i soldati italiani attraversarono
nel loro viaggio verso l’Unione Sovietica il
territorio del Reich, devono essere stati sa­
lutati calorosamente dalla popolazione129.
Circa sei mesi più tardi il servizio di sicurez­
za (SD) delle SS attestò in uno dei suoi rap­
porti segreti l’8 febbraio 1943:
124 Cfr. Gerhard Schreiber, Die italienischen Militarinternierten im deutschen Machtbereich 1943 bis 1945. Verraten-Verachtet-Vergessen, München, Oldenbourg, 1990, pp. 37-45 (trad, it.: I militari italiani internati nei campi di
concentramento del Terzo Reich 1943-1945. Traditi-Disprezzati-Dìmenticati, traduzione di Friedrun Mazza e Giu­
lio Primicerj, Roma, Ufficio storico Stato Maggiore esercito, 1992).
125 Cfr. M. Isnenghi, Le guerre degli italiani, cit., pp. 152 e sgg. e pp. 248-251.
126 Ci si riferisce qui soprattutto ai libri di N. Revelli, L ’ultimo fronte, cit. e La strada de! davai, cit.
127 N. Re velli, La strada del davai, cit., p. 262.
128 Numerose dimostrazioni in G. Schreiber, I militari italiani internati, cit.
129 N. Revelli, L ’ultimo fronte, cit., p. 29.
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
273
Secondo rapporti da tutti gli uffici del Reich, at­
tualmente l’avversione nei confronti degli italiani
è particolarmente grande. Quasi dappertutto si è
sparsa la voce che le truppe italiane avrebbero fal­
lito davanti a Stalingrado, se ne sarebbero scap­
pate al primo tentativo di sfondamento dei russi e
sarebbero pertanto colpevoli della sconfitta130.
Nonostante tutte le carenze e gli errori, che ven­
nero alla luce nel corso dell’impiego, l’asserzione
che venne fatta da qualche parte, che gli italiani
erano semplicemente scappati, non è solo esage­
rata, ma va definita del tutto falsa130124135.
La “voce” non nacque in verità casual­
mente, al contrario venne sparsa da militari
tedeschi. Circa in questi termini si espresse il
generale von Tippelskirch quando, nel di­
cembre 1942, disse all’ufficiale alle opera­
zioni della 8a armata che era “imperdonabi­
le che cinque divisioni italiane scappino fino
al mar Nero”131. Quando Ciano lo stesso
mese arrivò nel Reich per dei colloqui, affer­
mò che i tedeschi con ogni evidenza voleva­
no addossare agli italiani la colpa della scon­
fitta in Russia132. Una impressione che ma­
nifestamente egli ricavò specialmente dai
colloqui con rappresentanti della Wehrmacht. Secondo Cavallero i militari tedeschi
cercavano di crearsi un alibi, accusando le
truppe dell’8a armata di non aver combattu­
to133.
Per una felice circostanza le asserzioni
della direzione della Wehrmacht o del grup­
po armate B possono essere messe a con­
fronto con i giudizi degli ufficiali e comandi
di collegamento distaccati presso le divisioni
italiane134. Seguendo i rapporti di questi uf­
ficiali si ottiene un quadro equo e differen­
ziato. Sull’Armir nel suo complesso si legge:
Occorre purtroppo affermare che i soldati dell’8a
armata italiana ritornarono per la maggior parte
in Patria delusi, perché dai soldati tedeschi ven­
nero trattati spesso del tutto diversamente che co­
me camerati136.
Inoltre si legge:
Il rimprovero sulla mancanza di camerati­
smo si incontra costante ed esplicito nelle
fonti italiane. Così, per esempio, in un esteso
rapporto del maggio 1943, nel quale allo
stesso tempo vengono rinfacciate al gruppo
armate B gravi omissioni nella condotta
d’impiego dell’8a armata e il ruolo del gene­
rale von Tippelskirch appare in una luce
molto sfavorevole. Egli viene considerato
non un ufficiale di collegamento, bensì un
controllore dell’Armir. Dal gennaio 1943 a
malapena il gruppo armate B avrebbe accol­
to le richieste di supporto materiale italiane.
Una eccezione era costituita dagli ufficiali
medici che si mantennero sempre disponibili
a prestare aiuto e si comportarono in modo
chiaramente cameratesco. A parte ciò la si­
tuazione era caratterizzata da violenti scontri
tra soldati tedeschi e italiani. Perlopiù sot­
tufficiali o ufficiali subalterni della Wehrmacht avevano provocato qualche incidente. Gli
130 Heinz Boberach (a cura di), Meldungen aus dem Reich 1938-1945. Die geheimen Lageberichte des Sicherheitsdienstes der SS, vol. 12, Meldungen aus dem Reich Nr. 332 vom 5. November 1942 - Nr. 362 von 25. Februar
1943, Herrsching, Pawlak, 1984, p. 4762.
131 KTB, 20 dicembre 1942, p. 89; cfr. sul valore dell’8a armata dal punto di vista tedesco: Jürgen Forster, li ruolo
dell’8 a armata italiana dal punto di vista tedesco, in Gli italiani al fronte russo, cit., pp. 229-259.
132 G. Ciano, Diario 1937-1943, cit., p. 678, 18 dicembre 1942, sulle note cfr.: ADAP, Serie E, vol. IV, cit., doc.
315, pp. 582-585; DDI, nona serie, vol. IX, cit., doc. 414, p. 408; doc. 415, pp. 413-417; e doc. 418, pp. 418 sgg.
133 DDI, nona serie, vol. IX, cit., doc. 421, pp. 421 sgg.: Cavallero a Mussolini, in merito ai colloqui militari, 19
dicembre 1942.
134 “Gefeschtsberichte (Tâtigkeitsund Erlebnisberichte) der ehemaligen DVK und DV Stàbe, Dezember 1942 bis Januar 1943”, BA-MA, RH 31-IX/35 (di seguito “Gefechtsberichte”).
135 “Gefechtsberichte”, pp. 127-133: “Zusammenfassung der Gefechtsberichte der DVK bei den Divisional der 8.
ital. Armee und gemeinsame Schlufifolgerungen”, 12 novembre 1943, citazione p. 132.
136 “Gefechtsberichte”, pp. 60-74: “DVK div. ‘Ravenna’, O .U .”, 20 marzo 1943, citazione p. 74.
274
Gerhard Schreiber
stessi veicoli su cui si trovavano gli italiani
sarebbero stati sottratti con la minaccia del­
le armi137.
La delusione per il trattamento dell’allea­
to, che egli investiva della vera responsabili­
tà del disastro dell’8a armata, domina an­
che una lettera del generale di brigata Italo
Giglio, che del resto esprimeva il desiderio
di pareggiare i conti con i tedeschi: e pro­
prio con le armi138. Anche il comandante di
una compagnia di fanteria — che portava
un’intera serie di esempi precisamente docu­
mentati — faceva carico a militari tedeschi
del fatto che essi non avrebbero dimostrato
nella ritirata il minimo spirito di camerati­
smo: “L’atteggiamento di tutti i militari te­
deschi [...] è improntato ad una ostilità gra­
ve, palese e spesso ostentata” . Si era speri­
mentata “arroganza, prepotenza, ironia e
spesso — quando si incontravano con grup­
pi di italiani numericamente inferiori —
maltrattamenti” . Dagli stessi autocarri vuo­
ti i soldati italiani sarebbero stati scacciati
con colpi di calcio di fucile o con le armi
spianate139.
Il cappellano dell’8a armata italiana con­
fermò tali asserzioni. Tuttavia egli sottoli­
neò il diverso temperamento di italiani e te­
deschi. Richiamò inoltre l’attenzione sugli
effetti negativi delle difficoltà di compren­
sione linguistica, ma sottolineò anche che
specialmente nella rottura della sacca, nel
caos della ritirata, spesso gli istinti brutali
prendevano il sopravvento. L’atteggiamento
reciproco tra gli alleati minacciò di diventare
quello tra nemici. Affermava il prelato che il
soldato italiano non avrebbe dimenticato
che i tedeschi facevano “viaggiare per setti­
mane gli scampati all’accerchiamento nemi­
co in carri scoperti o in pianali, a temperatu­
re impossibili: laddove al soldato tedesco era
riservata sempre almeno la carrozza di III
classe”140. E a questo proposito va ricordato
che gli appartenenti alla Wehrmacht nello
sfondamento verso ovest ebbero in tutti i ca­
si a soffrire assai meno dei loro commilitoni
italiani, perché essi erano meglio motorizza­
ti ed equipaggiati.
Infine va richiamata ancora l’attenzione
su una raccolta di 54 esempi di fallita colla­
borazione in combattimento, rapina di armi
o materiale, per malvagità, per omesso o ri­
fiutato appoggio o aiuto, che raccolse un co­
mandante di reggimento della divisione di
fanteria “Cosseria”. Come in tutti gli altri
rapporti i dati sono esattamente documenta­
ti. Del resto, l’ufficiale avvertiva esplicita­
mente del fatto che si trattava soltanto di
una esemplificazione e non di una documen­
tazione completa sul comportamento “osti­
le, inurbano, spesso barbaro e bestiale, sem­
pre sprezzante e prepotente dei camerati del­
l’esercito tedesco” verso i loro compagni
d’arme italiani141.
137 “Promemoria per il Signor Generale Utili Umberto”, 10 maggio 1943, Il Maggiore in s.S.M . Achille Mazzi, in
Archivio dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito (di seguito Aussme), raccoglitore 1551, cartella 5,
sottocartella 3.
138 A Eccellenza il Generale d’Armata gr.uff. Ezio Rosi, Capo di S.M. del R. Esercito, 1° marzo 1943, Generale di
brigata Italo Giglio, Comando Art. II C .A ., P.M . 20, in Aussme, raccoglitore 1551, cartella 5, sottocartella 15/5.
139 90° Regg.to Fanteria, 2 a Compagnia, Al Comando I Btg., Oggetto: “Informazioni” , Il Comandante la Compa­
gnia (nome illeggibile), Aussme, race. 1551, cart. 5, sottocart. 6.
140 “Morale dei soldati e loro rapporti coi tedeschi in terra di Russia”, Il cappellano capo dell’VIII armata (don Ar­
rigo Pintorello), in Aussme, race. 1551, cart. 5, sottocart. 15/4. Il rapporto, come risulta da un foglio allegato, è
stato redatto prima del 18 maggio 1943. Un altro cappellano mise a verbale che durante la ritirata i tedeschi non so­
lo non si comportarono da alleati nei confronti degli italiani, ma dimostrarono invece un atteggiamento “degno del
nemico più odiato” .
141 Comando 90° reggimento fanteria “Vincere assueti”, prot. n. 05/260 R .P., P.M . 42, 28 marzo 1943, Oggetto:
“Informazioni”. Al Comando della divisione di fanteria “Cosseria”, il colonnello comandante del Reggimento (F.
Polito), in Aussme, race. 1551, cart. 6, sottocart. 15/6. In questo fondo documentario (15/6) è contenuto vasto
La partecipazione italiana alla guerra contro l’Urss
Naturalmente nella valutazione e interpre­
tazione di tali dichiarazioni di testimoni si
pone il problema della generalizzazione.
Poiché i soldati tedeschi non rappresentava­
no un grande gruppo omogeneo, essi rima­
nevano — anche nella Wehrmacht — indivi­
dui, erano singolarmente responsabili e ra­
ramente agivano nel campo dei rapporti
umani per ordini ricevuti. Dato che le testi­
monianze citate, tuttavia, sono il risultato di
una indagine ufficiale del Comando supre­
mo sul “contegno dell’alleato tedesco all’ini­
zio e durante il ripiegamento” dell’8a arma­
ta italiana142, e dato che vennero poste do­
mande ben mirate ed i casi qui riportati rap­
presentano soltanto una piccolissima sele­
zione — che è possibile integrare a piacere
— di una vasta documentazione di univoco
tenore, confermata — cum grano salis —
dai rapporti degli ufficiali di collegamento
275
tedeschi, non esiste alcun motivo per dubita­
re dell’autenticità del contenuto di questo
messaggio trasmesso da appartenenti dell’Armir.
Se così è stato, in considerazione dei fat­
tori politici di disturbo all’interno dei rap­
porti italo-tedeschi e del quadro dello sta­
to d’animo in campo civile e militare, non
c’è quindi bisogno di alcun commento, di
nessun riassunto: l’alleanza tra Berlino e
Roma all’inizio del 1943 non aveva solo
una crepa, era sfasciata, attendeva di essere
liquidata. La decisione di Mussolini di
prendere parte alla guerra contro l’Unione
Sovietica contribuì a tale esito, per via di­
retta e indiretta, in misura decisiva.
Gerhard Schreiber
[tra d u zio n e d a l te d e sc o
d i A le ss a n d ro M assign an i]
materiale sulla “Cosseria”, che non abbiamo in questa sede potuto utilizzare appieno. Nel materiale si trova anche
un rapporto nel quale viene affermato che un soldato tedesco, per prendere la moto ad un italiano nei pressi di Vorosilovgrad, gli sparò: 90° Reggimento Fanteria Div. “Cosseria”, 8a e 12a Compagnia, Oggetto: “Rapporti di mili­
tari”, 26 marzo 1943. Fante Fortolan Luigi.
142 Comando divisione fanteria “Cosseria”, n. 1/467 di prot., P.M . 42, 20 maggio 1943, Oggetto: “Informazioni”,
Il Generale Comandante Enrico Gazzale, in Aussme, race. 1551, cart. 6, sottocart. 15/6; e Stato Maggiore R. Eser­
cito, U fficio Storico, prot. n. 2055, P.M . 9, 18 maggio 1943, “Promemoria per l’Ecc. De Stéfanis”, in Aussme,
race. 1551, cart. 5, sottocart. 15/4. L’autore ringrazia sentitamente Alessandro Massignani (di Valdagno-Vicenza)
per avergli cortesemente messo a disposizione documentazione dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’eser­
cito.
Gerhard Schreiber (1940) è collaboratore scientifico dell’Ufficio Storico delle Forze Armate tedesche a
Friburgo ed autore di numerosi saggi sulla storia tedesca, italiana e francese nel ventesimo secolo. Tra
le sue opere: I m ilita ri ita lia n i in te rn a ti n ei c a m p i d i co n c e n tra m e n to d e l T erzo R eich 1943-1945 (1992);
H itle r - In te rp re ta tio n e n 1923 b is 1983 (seconda edizione 1988); R e v is i o n is m s u n d W eltm a ch tstreb en .
M a rin efiih ru n g u n d d eu tsch -ita lien isch e B ezieh u n gen 1919 b is 1944 (1978).
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