Titolo dell'opera originale
Der Stellvertreter
©
Traduzione dal tedesco
Rowohlt Verlag GmbH, Reinbek bei Hamburg, 1963
di I ppolito Pizzetti
Rolf Hochhuth
Il Vicario
dramma in 5 atti
con prefazione di Carlo Bo
nota di Erwin Piscator
e le
delucidazioni storiche de'" Auto re
Prima edizione italiana
settembre 1964
Copyright by
©
Giangiacomo Feltrinelli Editore
Milano
Feltrinelli
Delucidazioni storiche
Gravare un dramma con una appendice storica non è cosa usuale,
e anche noi vi avremmo volentieri rinunciato. Come opera teatrale
questo testo non ha bisogno di commenti. Tuttavia, poiché gli avvenimenti non sono stati rappresentati secondo una successione storica,
come in un reportage, ma sono stati condensati in un dramma, sia i
personaggi contemporanei citati, sia i loro congiunti, tuttora viventi,
hanno diritto di essere informati sulle fonti (spesso difficilmente reperibili) che hanno indotto l'autore a vedere un uomo, o una scena, in
una o nell'altra luce. In questa sede, ben inteso, il materiale raccolto
e disponibile viene pubblicato solo in parte; se poi dovesse suscitare
un' eco più vasta verrà valorizzato interamente in un lavoro storico a
sé stante.
Che siano stati studiati memoriali, biografie, diari, lettere, discorsi
e protocolli dell'epoca, quelli che fino ad oggi si sono resi accessibili e toccano l'argomento, è evidente, e noi non staremo a elencarli uno per uno. Le annotazioni che seguono, su eventi e testimonianze controverse, stanno a dimostrare che l'autore del dramma ha
dato libero sfogo alla fantasia solo quando vi è stato costretto per
trasformare l'arido materiale storico in un'opera di teatro. La realtà,
per quanto dirozzata, è stata rispettata costantemente.
A chi segua a ritroso le carreggiate degli eventi storici coperte di
cadaveri e di macerie; a chi soppesi le contrastanti, presuntuose o alterate dichiarazioni dei vincitori e delle vittime, qualsiasi tentativo,
per quanto modesto, di arrivare alla verità e al simbolo attraverso le
rovine e i casi fortuiti delle cosiddette realtà storiche, insegnerà che
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il drammaturgo «non può fare uso di nessun elemento della realtà
quale lo trova, e che la sua opera, per realizzarsi nella sua unità,
deve essere idealizzata in ogni sua parte».
Chi ignora questo postulato di Schiller, chi non dichiara «apertamente e onestamente guerra al naturalismo nell'arte», dovrà capitolare di fronte a qualsiasi cinegiornale, non foss'altro perché quest'ultimo è in grado di rappresentarci «la cruda materia del mondo» molto
più drasticamente e comprensivamente del teatro, che è vero solo allorché (e non lo ha scoperto Brecht, il teorico dell'estraniazione) «distrugge onestamente da se stesso l'illusione che ha creato~> (Wallenstein ).
Su questa raccolta di materiale resta ancora da dire che, nella presentazione dei suoi gruppi tematici - spesso intersecanti si - è stata mantenuta, per quanto possibile, la successione seguita dal dramma nel suo
svolgersi. Una più rigorosa articolazione non era attuabile, poiché spesso
nelle diverse scene sono rappresentati i medesimi fatti, a volte in versioni contraddittorie o persino opposte, come esige la vivacità del dialogo. Questo non è né vuole essere un protocollo storico scientifico. E
dal momento che né il Vaticano né il Cremlino concedono libero accesso ai loro archivi, la scienza storica per il momento non è in grado di
descrivere senza lacune questi avvenimenti. Il legare intuitivamente
i fatti attingibili in un insieme di verità e d'arte rimane l'alto scopo,
raramente raggiunto, della poesia che, proprio di fronte a un materiale
grezzo cosi opprimente, e a tutte le fatiche della compilazione, non
deve lasciarsi privare della libertà che le è propria e che sola dà forma
alla materia.
KOLBE E GERSTEIN
Mentre dopo il 1945 in Germania molto è stato pubblicato sul prelato Lichtenberg l e sulla sua pubblica presa di posizione a favore dei
1. L'autore ha appreso in seguito che Lichtenberg non è stato l'unico a rivolgere
una simile preghiera ai nazisti. L'attuale prevosto protestante di Berlino, il dottor
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perseguitati, si ignora quasi tutto sul martlrlO del padre polacco
Maximilian Kolbe. Nato nel 1894 nelle vicinanze di Lodz, questo francescano, che prima della guerra era stato missionario in Giappone,
mori nell' agosto del 1941 nel «Bunker della fame» di Auschwitz, nelle
seruenti
circostanze: uno dei prigionieri era fuggito dal Lager, malo
grado una simile trasgressione venisse punita con la condanna a mort:
per fame di dieci altri prigionieri. Dieci uomini del Block del fuggitivo vennero scelti a caso, e fra loro il prigioniero F. Gajowniczek
che aveva moglie e figli. Questi cominciò a piangere, e Kolbe si fece
avanti chiedendo di poter morire in sua vece. Giustificò la propria
decisione dicendo di non essere più in grado di lavorare. Era evidentemente una scusa, eppure anche le SS devono esser rimaste impressionate: al prigioniero n. 16670 fu concesso di entrare nel «Bunk~r
della fame» al posto del n. 5659 (che sopravvisse alla guerra). I pngionieri, ad alcuni dei quali furono rotte le ossa, ve.nner~ rinchiusi nud~
nella cella di cemento, completamente vuota e pnva di finestre (Oggi
dichiarata monumento) e venne loro negata anche l'acqua. Si legge
nelle testimonianze: «Gandhi, durante lo sciopero della fame, beveva
dell'acqua. Come si muoia di sete si può apprendere dai sopravvissuti
di carovane sperdute nel deserto ... La sofferenza della fame degrada
a bestie i torturati, giacché la sopportazione umana ha i suoi limiti. ..
al di là di questi limiti vi è solo la disperazione o la santità. »1
Padre Maximilian non smise mai di sostenere i compagni di supplizio. Il prigioniero Borgowiec, incaricato di pulire le celle, affermò
che le SS non riuscivano a sostenere lo sguardo di Kolbe. Una volta,
mentre portavano fuori dei morti, gli gridarono: «Guarda per terra,
non noi.» Moriva troppo lentamente, o forse fu il suo comportamento a estorcere quest'ultima grazia: gli praticarono una iniezione.
Una testimonianza dice che era rimasto l'unico in vita; un'altra che
due compagni gli erano sopravvissuti.
Heinrich Griiber, chiese due volte ai nazisti di entrare nel ghetto c~n gli eb~ei depor~
tati. Il suo tentativo di entrare nel campo di Guers, con la conruvenza di membrI
della Abwehr, fallì e terminò con l'arresto di Griiber.
1. M. Winowska, Pater Maximilian Kolbe, Friburgo 1952.
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Il 24 maggio 1948 si iniziò a Roma il processo preliminare alla beati:.6.cazione di padre Maximilian.
Dalle lettere su Kurt Gersteirt, in possesso della vedova:
Il Consigliere ecclesiastico O. Wehr, plenipotenziario della Chiesa
evangelica della provincia del Reno per la Saar, il 24 gennaio 1949 da
Saarbriicken:
«Kurt Gerstein era noto al sottoscritto da decenni, sin dal tempo
della sua attività giovanile, svolta nei Circoli biblici delle scuole superiori, per la influenza decisiva che aveva, come guida evangelica per i
giovani, sui ragazzi negli anni decisivi del loro sviluppo. Nel periodo
di lotta della Chiesa contro le pretese totalitarie dello stato nazionalsocialista, egli mantenne sempre un atteggiamento fermo e inequivocabile. Sono personalmente al corrente che egli non solo scrisse una serie
di articoli a favore della gioventù maschile in lotta per la propria integrità spirituale nell'epoca nazionalsocialista, ma che, nella sua veste
di assessore dell'ufficio minerario di Saarbriicken, profittò di ogni occasione per divulgare in tutta la Germania le circolari segrete della
Chiesa confessionale, finché una parte di questo materiale, destinato
alla diffusione, imprudentemente conservato nel suo ufficio, non gli
riuscl fatale. Tutti gli sforzi che si fecero allora (1936), anche da parte
del ministro Schacht, per impedire l'arresto di un assessore alle miniere tanto dotato, fallirono. Dopo la liberazione dal campo di concentramento, un giorno mi confidò il suo piano di entrare nelle SS,
che mi scosse profondamente. A questo proposito posso dire quanto
segue, per averne discusso personalmente con lui.
«Movente di questa decisione fu la morte di una parente, la figlia
del defunto pastore Ebeling della comunità ecclesiastica evangelica di
Alt-Saarbriicken, nel manicomio di Hadamar. Dopo che l'urna della signorina Bertha Ebeling, gasata a Hadamar, fu da me inumata, Gerstein
mi rivelò la sua decisione di voler indagare e mettere in chiaro se le
voci che correvano su quella e altre atrocità fossero vere. Le mie assai
serie obiezioni contro questo piano di penetrare nel campo delle potenze
demoniache, furono da lui respinte con affettuosa, commossa decisione.
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Dato il febbrile attivismo che caratterizzava l'uomo Kurt Gerstein, non
potevano sussistere dubbi sul fatto che, grazie alle sue doti e capacità
singolarissime, sarebbe riuscito ad arrivare dove voleva, cioè al comando delle SS. Il suo successo lo confermò. Da allora non ebbe più riposo
nell'elaborare idee e piani per aiutare e per ostacolare, fin che si giunse
a quelli, i più temerari, dell'autunno 1944. Durante i suoi viaggi di
servizio, mi visitò diverse volte e mi informò su tutto: sulle sue esperienze durante le ispezioni ai campi di gasamento orientali, sul freddo
e satanico cinismo nichilista dei piccoli e dei grandi assassini e dei loro
scherani, come pure sulle impressioni, da cui non riuscl più a liberarsi,
che gli fecero le vittime disperate.
« Una figura come quella di Kurt Gerstein deve necessariamente apparire in una luce ambigua, o meglio, se misurata col metro di giudizio
borghese, apparirà in un'unica luce ... apparirà cioè poco credibile. La
sua, direi sinistra, abilità di mimetizzare la propria intima profonda
natura cristiana sotto un ostentato habitus esteriore, con l'unico scopo
di soccorrere, annulla ogni metro normale di giudizio. Della sua padronanza nel mimetizzare le sue vere intenzioni possiedo non poche prove.
Un giudizio che dia a quest'uomo quanto gli spetta, considerando la
sua vera natura e la sua segreta volontà, non sarà possibile ove si parta
da presupposti morali politici e psicologici.
«Personalmente, nei colloqui che volle avere con me come sua guida
spirituale, mai nutrii dubbi sulla integrità della sua più intima essenza.»
Il Pastore Martin Niemoller, presidente della Chiesa evangelica tedesca, il 26 aprile 1948 scrive al procuratore di stato di Francoforte:
«Ho conosciuto per molti anni Gerstein prima del mio arresto nel
luglio del 1937, per la sua attività nei circoli biblici e nella Chiesa
confessionale. Era uno strano tipo di santo, ma indubbiamente sincero e
coerente. La sua parola era assolutamente degna di fiducia, ed era un
uomo capace di battersi per le proprie convinzioni, sempre fino alle ultime ed estreme conseguenze. lo lo reputo inequivocabilmente degno
di fede e credo pertanto sia da escludere in modo assoluto che egli sia
mai stato neppure tentato di aderire al nazionalsocialismo e tanto meno
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di approvare i suoi delitti. Sono convinto che egli sia stato vlttlma
della sua coerenza e della sua presa di posizione ostile allo hitlerismo,
portata alle estreme conseguenze, per cui era disposto a sacrificare,
e ha sacrificato, l'onore, la famiglia e la vita. Non metto in dubbio una
sola parola della versione da lui stesso offerta e sono convinto che
ogni dubbio in proposito sia verso di lui ingiusto.»
Il prelato Buchholz, che per anni assistette i cattolici condannati a
morte a Plotzensee prima dell'esecuzione, il lO luglio 1946:
«Ho avuto occasione di conoscerlo tramite un ex prigioniero politico
di Tegel, un industriale di cui purtroppo ora ho scordato il nome ... e
alla cui liberazione ha partecipato personalmente il signor Gerstein, se
non erro, sopprimendo gli atti. Sempre tramite questo signore di Tegel
fui invitato, nel settembre 1944, a una serata in casa del signor Gerstein,
dove incontrai un gruppo di altri signori, tutti perseguitati o prigionieri
politici passati per le prigioni della Gestapo. Dal mio conoscente ebbi
l'assicurazione che erano tutte persone più che fidate e che tutti, particolarmente il signor Gerstein, desideravano sapere da me particolari
precisi su ciò che ai più era noto soltanto per sentito dire: cioè sulle
esecuzioni in massa a Plotzensee. Li informai esaurientemente senza
alcuna reticenza e con assoluta franchezza e in quell'occasione si parlò
anche della terribile notte del settembre 1943, in cui 186 prigi;nieri
politici furono giustiziati con l'impiccagione ... Quando egli (Gerstein) ...
comunicò i nomi e il luogo dei campi di sterminio, informandoci sul
"rendimento quotidiano" dei singoli forni crematori e delle camere a
gas... a tutti noi, cui in parte queste cose non erano ignote, il suo
racconto particolareggiato apparve talmente mostruoso che quasi non
volevamo crederci ... Quanto sincero fosse stato il signor Gerstein l'ho
potuto stabilire in seguito, in occasione delle molte visite che mi fece
durante le quali, potendo parlare senza ritegno di queste cose con u~
religioso, appariva liberato e sollevato. Può costituire una prova dei
suoi veri sentimenti anche il fatto che il signor Gerstein non solo mi
promise aiuto per i miei prigionieri politici, ma mi portò casse di
viveri, sigarette ecc ... che io passavo loro segretamente.»
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Il Vescovo Dibelius di Berlino, nel 1942, inoltrò al Vescovo di
Uppsala le notizie avute da Gerstein, immediatamente dopo il suo ritorno dai campi di sterminio.
La possibilità citata da Gerstein nel dramma di assicurare il successo
di un colpo di stato propalando la notizia che le SS avevano ucciso
Hitler, si basa sul piano del conte Stauffenberg, autore dell'attentato
del 20 luglio. Il Feldmaresciallo von Witzleben tuttavia vietò a Stauffenberg di mettere sia pur temporaneamente in circolazione una simile
versione.
Il coraggio e l'abilità di Gerstein, che hanno reso possibile il suo
lungo e quasi suicida doppio gioco tra le SS, testimoniano a favore del
fatto che, nel suo tentativo di informare il Nunzio su quanto accadeva
a Treblinka, egli sia riuscito ad arrivare persino ad Orsenigo. Conoscendo la sua forza di volontà e la sua astuta determinatezza si stenta
a credere che egli si sia fatto buttar fuori dalla Nunziatura da un prete
subalterno; eppure nemmeno la moglie di Gerstein è in grado di dire
se egli abbia parlato personalmente con Orsenigo. Comunque sia, in
questo dramma noi tendiamo a minimizzare, magari esageratamente,
sia i molti fatti già oggi quasi incredibili della guerra di Hitler, sia
il numero delle sue vittime, poiché non esiste alcuna probabilità che
nel futuro, quando tutti i testimoni oculari saranno morti, venga ancora dato credito alla verità storica nella sua spaventosa atrocità. Questo ci ha convinto a rendere meno sgradevole la vergognosa defenestrazione dalla Nunziatura. Noi aspiriamo a mitigare e ridimensionare gli
avvenimenti secondo le possibilità dell'umana immaginazione. Pertanto
viene qui espressa l'ipotesi che il padrone di casa abbia, una volta
almeno, prestato orecchio a un uomo in evidenti difficoltà. I soldati,
in un'epoca in cui il dovere militare è sovrano, si trovano molto spesso
preda di conflitti analoghi a quello in cui viene a trovarsi Gerstein; anche
Pio XII ha aperto loro la porta concedendo, a migliaia di combattenti
tedeschi e alleati, se non altro udienze di massa. Per questo non osiamo
supporre che nel 1942 proprio l'ambasciatore del Vicario di Cristo nella
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capitale tedesca non abbia voluto ricevere un profugo, come aveva gla
fatto nel 1939, e che lo abbia fatto respingere quando già si trovava
sulla soglia di casa. Comunque, per il dramma ' il problema è senza
importanza. Orsenigo rappresenta il legato della Curia nella capitale
di Hitler; come Nunzio incombevano su di lui le massime responsabilità e quindi rappresenta in questa tragedia, come il Vescovo conte
Preysing, oggi Cardinale, tutti quei dignitari clericali che per esempio
sostengono l'idea che «la vita e l'opera» del commentatore l delle leggi
razziali di Hitler, «erano informate ai princìpi delle fede cattolica ».
D'altra parte la presenza di Riccardo depone a favore di tutti quei
preti, per lo più anonimi, che hanno posto il comandamento dell'amore
per il prossimo al di sopra di ogni calcolo utilitario, anche a costo
del sacrificio della vita.
Occorre inoltre dire che la sostanza del dramma rimarrebbe invariata
se la comparsa di Gerstein avvenisse, ad esempio, nell'ufficio del legale
del Vescovo Preysing, cui egli avrebbe dovuto passare le informazioni
su Treblinka «con l'esplicita preghiera di inoltrarle al Soglio Pontificio ».
Da un punto di vista storico, Gerstein non poteva segnalare al Vaticano che alcuni particolari sui metodi di assassinio e sul numero delle
vittime. Che esistessero delle fabbriche del crimine il Vaticano già lo
sapeva; la Santa Sede disponeva di numerosi informatori; ufficialmente
il primo e più zelante informatore, che fece pervenire le notizie attraverso i canali più disparati, fu il Governo polacco in esilio.
partiglano; si tratta di un capitolo oscuro ancora in attesa dei suoi
cronisti. L' 11 aprile 1952 il ministro della Giustizia francese dichiarava che dopo la Liberazione erano stati giustiziati 10.519 francesi di
cui solo 846 in base a regolare verdetto (Reitlinger).l
Dal momento che nessuno dei suoi compagni di prigionia lo ricorda, si può anche supporre che sia stato impiccato da fanatici SS, che
avevano constatato quanto seriamente assumesse la propria «responsabilità» nei confronti degli alleati, responsabilità di cui parla in una
lettera al padre. Questa lettera, divulgata per la prima volta da Gert
H. Theunissen in un reportage radiofonico su Gerstein, fu scritta il 5
marzo 1944 da Helsinki: «Ad un certo momento dovrai assumerti la
responsabilità del tuo tempo e di ciò che in esso avviene. Non ci capiremmo nemmeno più e non avremmo più niente di essenziale da dirci
se ora non potessi o non sentissi il dovere di scriverti: non sottovalutare
questa responsabilità e l'obbligo di rendere conto delle nostre azioni,
potrebbe venire il momento prima del previsto. lo questo obbligo lo
conosco e ammetto che mi divora ... »
Nell'ottobre dello stesso anno scriveva, sempre al padre: «Mi è riuscito di meditare a fondo tutte le cose che sono tra bianco e nero ,
tra bene e male, a fondo e - non fraintendermi! - di soffrirle a fondo.»
Non potrò mai credere che Gerstein si sia suicidato. Chi si è interessato a questo personaggio, e conosce le singolari dichiarazioni che
Parigi ha fatto alla vedova, si convincerà necessariamente che Gerstein
fu uno dei molti tedeschi e francesi che furono uccisi in Francia nel
1944 dopo la Liberazione senza processo. Non molti tra coloro che, dopo
l'arrivo degli americani incrudelirono contro gente disarmata e contro prigionieri tedeschi, portano a buon diritto il titolo onorifico di
Il dotto h. C. Rudolf Pechel mi raccontava che il Nunzio era considerato nei circoli tedeschi di opposizione un fascista convinto e un
seguace di Mussolini. Tuttavia pare avesse ascoltato con benevolenza
Pechel che, come privato, gli trasmetteva confidenzialmente la preghiera
di alcune alte autorità militari, di usare della propria influenza perché
non venisse nominato cappellano cattolico della Wehrmacht un religioso simpatizzante col governo di Hitler.
1. Wilhelm Stuckatt e Hans Globke, Kommentare zur deutschen Rassengesetzgebung, Monaco 1936.
1. Gerald Reitlinger, The Final Solution, Londra 1953' trad. it., riveduta e
integrata, La soluzione finale, Milano, Il Saggiatore, 1962.'
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SUL CONCORDATO
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Il Nunzio, informato dei delitti commessi dalla Gestapo in Polonia,
arrivò una volta perfino a reagire vigorosamente di propria iniziativa,
Nel novembre del 1939 appartenenti all'esercito con un gruppo di
«professori protestanti si recarono, con le lacrime agli occhi, alla Nunzia tura per riferire sulle atrocità ». Di conseguenza il Nunzio inviò una
lettera di protesta assai coraggiosa al Ministero degli Esteri, esigendo
con molta risolutezza una inchiesta. Purtroppo tolse egli stesso al
suo intervento ogni carattere ufficiale sottolineando chiaramente che
non agiva quale Nunzio e nemmeno quale decano del corpo diplomatico, ma come privato. Già allora Weizsacker lo consigliò, come
quattro anni più tardi a Roma, di «non interessarsi a fatti del genere,
se non voleva finire col danneggiare la causa che si voleva difendere ».
Il governo tedesco negò al Nunzio di Berlino diritto di competenza
sui territori annessi alla Germania durante la guerra, poiché voleva
cosÌ estorcere al Vaticano il pubblico riconoscimento dei nuovi confini. Roma non lo fece mai. Perciò Weizsacker «gentilmente restituì»
al Nunzio nel marzo 1943 la lettera, poi divenuta famosa, del Cardinale Segretario di Stato Maglione a Ribbentrop: una ponderosa protesta che, elencando particolareggiatamente tutti i delitti contro la Chiesa polacca, ne sollecitava la cessazione. A quell'epoca più di mille sacerdoti si trovavano a Dachau, e il Vaticano sapeva che molti tra questi
erano già stati trucidati. Fino a che punto giungessero le inutili angherie dei nazisti contro la popolazione polacca lo si vede da questa ordinanza: a uomini al di sotto dei ventotto e donne al di sotto dei venticinque anni non era permesso sposarsi. Se si esamina il motivo per cui
il Nunzio Orsenigo fu «persona non grata» al Vaticano dopo il 1945,
si vedrà che ciò non testimonia contro di lui. Orsenigo non era riuscito
a convincere Pio XII ad annullare il Concordato con Hitler, probabilmente perché a suo tempo era stato il Segretario di Stato Cardinale
Pacelli e non Pio XI (come d'altra parte Mussolini) a insistere perché
il Concordato con la Germania nazista venisse stipulato al più presto.
Il Cancelliere del Reich Briining, che doveva essere più al corrente di
tutti, disse al conte Harry Kessler nel 1935 a Parigi:
«Dietro l'accordo con Hitler non c'era il Papa, ma la burocrazia
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vaticana e il suo augure PaceHi. Essa vedeva uno Stato autoritario e
una Chiesa autoritaria, guidata dalla burocrazia vaticana, nell'atto di
concludere di comune accordo una alleanza eterna. Pertanto a Pacelli
e ai suoi dispiacevano i partiti parlamentari cattolici dei singoli paesi,
come il Centro in Germania, che furono abbandonati senza troppo
rincrescimento. Il Papa non condivideva queste idee. »1
Il professor Friedrich Heer riferisce che il padre gesuita Delp, nove
anni più tardi, poco prima di essere impiccato a Plotzensee, mentre il
capo supremo della sua Chiesa non muoveva un dito per strappare
a Hitler, suo partner concordatario, questa o quella tonaca tedesca alla
esecuzione capitale, scriveva: «Una ... onesta storia della Chiesa dovrà
scrivere amari capitoli sui contributi delle Chiese al sorgere dell'uomomassa, del collettivismo, del potere dittatoriale. »2
Past festum naturalmente Pacelli trovò un motivo più nobile alla
stipulazione del Concordato da suggerire alla storiogra:fÌa: «Credi che
io non sappia che si è detto e scritto» spiegò il Papa al giornalista Morandi nel 1946 «che non avrei mai dovuto concludere il Concordato
con il Terzo Reich? Se Hitler ha tanto perseguitato la Chiesa cattolica
malgrado il Concordato, pensa che cosa avrebbe osato fare senza di
esso. Credi forse che i suoi scherani non sarebbero penetrati fin qui,
in Vaticano?»
Ora, nel 1934, quando ad esempio le SA hitleriane misero a disposizione la propria banda musicale e si offrirono per il servizio d'ordine
all'esposizione della Sacra Veste a Treviri, era poco prevedibile che
Hitler intendesse perseguitare la Chiesa ... o occupare Roma nove anni
dopo. (Né Pacelli ha in realtà mai temuto una occupazione del Vaticano.) Pio XI, che già nell'anno in cui fu concluso il Concordato era
stato informato sul terrore che infuriava contro gli ebrei in Germania
in una lettera consegnatagli personalmente, e rimasta senza risposta,
della convertita dottoressa Edith Stein, aveva dichiarato che il Concor-
1. Rarry Kessler, Tagebucher 1918-1937, Francoforte 1961.
2. Frieclrich Reer, Die Deutschen, der NationalfOzialismus und die Gegenwart,
Bielefeld 1960.
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dato doveva costituire una piattaforma per protestare. Eppure di proteste ce ne sono state poche, se si eccettuano le rimostranze, per lo più
assai deboli, che il Nunzio presentò al signor von Weizsacker in merito
Il faccende squisitamente religiose.
D'altra parte anche Pio XI salutò già durante la prima udienza il
signor von Papen, inviato da Hitler a Roma per i preliminari del Concordato, con queste parole: «Mi rallegro molto di vedere nel capo
del governo tedesco Hitler una personalità che auspica una lotta senza
compromessi contro il comunismo e il nichilismo.» «In realtà l'atmosfera fu cosi cordiale e l'accordo cosi armonioso, che si giunse a gettare le basi essenziali del progetto con rapidità insolita per i metodi
di lavoro del Vaticano. »1 Mussolini, che a quell'epoca non aveva ancora
una opinione troppo buona di Hitler e che soprattutto si beffava delle
sue teorie sulla razza, consigliò von Papen di concludere al più presto
possibile. «La conclusione del Concordato con la Santa Sede darà al suo
Governo anche nella politica estera un credito che fino ad oggi non
ha avuto. »2
Dopo la guerra, quando la situazione si fece tanto scabrosa, come
scriveva Friedrich Heer nel 1960, «che solo una gigantesca manovra
di occultamento avrebbe potuto salvare e riscattare la faccia del cristianesimo ufficiale in Germania», e quando si andava rivelando «all'ombra delle rovine quella imponente costruzione che è la menzogna
capitale della cristianità germanica ... »3, dopo il 1945 il Nunzio della
Santa Sede a Berlino, come era prevedibile, veniva gettato come capro
espiatorio alle ortiche. Contrariamente all'uso, Pio XII negò ad Orsenigo anche il normale necrologio sull'« Osserva tore Romano», quando
il Vescovo morì, lontano da Roma, appena cinquantenne. Ernst von
Weizsacker aveva tentato di spezzare una lancia a favore del Nunzio,
ma senza successo.
Per ciò che riguarda il comportamento dei vescovi nel 1933 si veda,
tra l'altro, «Hochland», febbraio 1961. In merito alle celebrazioni per
1. Franz von Papen, Memoires, New York 1953.
2. Ibid., p. 280.
3. Reer, op. cito
l'inaugurazione del Reichstag nella Chiesa della Guarnigion~, do~o le
elezioni del 5 marzo 1933, scrive von Papen: «Quando oggI leggIamo,
nelle Conversazioni di Hitler, che egli aveva conquistato il potere mal.
grado la condanna delle due confessioni, e che per q~esto,. e non per
ragioni di principio, non era potuto entrare nella chi~sa di Potsdam,
beh questa ... è una non-verità storica. A quel tempo egli era .cert~mente
conscio dell'opposizione delle Chiese, ma di condanne e dI odio non
si parlava affatto. Sperava ancora di trovare una via di mezzo.»
Il 14 luglio, alla seduta del Reichskabinett, Hitler disse: «Questo
Concordato del Reich, il cui contenuto non mi interessa minimamente,
ci ha avvolti in un'atmosfera di fiducia molto utile alla nostra lotta
senza compromessi contro l'ebraismo ... »
Se Pacelli fosse stato il gran diplomatico che oggi si pretende sia stato
(ma il giudizio di Briining su Pacelli è molto più felice e calzante), dopo
avere avuto modo di osservare per dieci anni la situazione tedesca
dall'interno, non si sarebbe fatto prendere tanto facilmente nella pania
da Hitler. Nel giugno 1945 il Papa dichiarava che il Concordato aveva
evitato il peggio. Il frenetico giubilo dei vescovi cattolici nel 1933-1934,
che nel frattempo avevano potuto constatare più che da vicino con
quale e quanta diligenza omicida Hitler trattasse i suoi avversari interni, dimostra che tale significato venne attribuito al Concordato solo
nel 1945, e non all'atto della sua conclusione. Infine che cosa ha ostacolato se non se ne è mai minacciata la revoca per proteggere la
Chies~ in Polonia, o i cattolici tedeschi dalla Gestapo? Monsignor Al-.
berto Giovannetti1 racconta come lo stesso Giappone, nel 1942, SI
fosse febbrilmente adoperato per ottenere un Concordato, per le medesime ragioni propagandistiche che avevano spinto gli Alleati, e Roosevelt in particolar modo, a cercare di impedirne la stipulazione.
Hitler ha persino esplicitamente dichiarato che, dopo la vittoria, del
Concordato si sarebbe fatto a meno. Chi potrebbe dunque affermare
che i nazisti non si sarebbero arrestati, se durante la guerra Papa
Pio XII li avesse minacciati di scomunica?
1. Alberto Giovannetti, Il Vaticano e la guerra, 1939-40, Città del Vaticano 1960.
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IL VATICANO E LA «SOLUZIONE FINALE»
Qualunque ragione possa avere avuto il Papa per non accennare mai,
expressis verbis, nei suoi molti discorsi, nemmeno alla deportazione
degli ebrei... non si capisce perché il Pontefice non abbia avuto il
coraggio di protestare contro Hitler, neppure in seguito, quando la
Germania, già inequivocabilmente battuta, doveva ancora raggiungere
ad Auschwitz la più alta quota giornaliera di liquidazioni. Roma, e
quindi il Vaticano, si trovavano già sotto la protezione delle truppe
di occupazione americane quando, nel giugno 1944, i prigionieri Rudolf
Vrba e Alfred Wetzler, fuggiti in aprile da Auschwitz-Birkenau, riuscirono a consegnare al Nunzio papale in Slovacchia, durante un incontro durato cinque ore, un rapporto particolareggiatissimo, con carte topografiche del campo di sterminio, delle camere a gas e delle ferrovie
d'accesso. L'atroce contenuto di questo rapporto, pubblicato a Ginevra
già nell'agosto, e che venne in seguito letto segretamente anche in
Germania, per esempio dalla giornalista Ursula von Kardorff, fu quanto
prima integrato e confermato da tutt'altra fonte, ossia dai giornalisti
alleati che, il 24 luglio 1944, sconvolsero il mondo con nuove rivelazioni sui campi. I rotocalchi inglesi, il «London Illustrated News» e
lo «Sphere» pubblicarono persino numeri speciali su Majdanek e Lublino. Le fotografie di scheletri, di camere a gas, del crematorio
del Lager con i suoi cinque forni, delle cartoteche, di indumenti di
bambini e donne gasati, causarono a Hitler (e questo lo disse il suo
intimo amico Hewel a Fritz Hesse) un «accesso di rabbia contro la
genia miserabile e vigliacca degli SD/ che non avevano distrutto in
tempo le tracce dei due Lager ».2 Nemmeno queste fotografie riuscirono a «spingere» il Vaticano a una protesta, malgrado dovesse necessariamente prevedere che, dei 380.000 ebrei ungheresi, deportati
dal 15 maggio al 30 giugno a Auschwitz, molti non potevano ancora
essere stati gasati. E infatti, ci informa Reitlinger, «il rendimento mas1. Sicherheitsdienste (servizi di sicurezza).
2. Fritz Resse, Das Spie! um Deutschland, Monaco 1953.
422
simo dei quattro crematori» di Auschwitz e delle molto più «razionali»
fosse crematorie all'aperto che servivano per bruciare gli ungheresi gasati o fucilati, non si poté avere prima del luglio 1944.
Ma già il 15 maggio, giorno in cui ebbero inizio le deportazioni, il Nunzio papale, Monsignor Angelo Rotta, «aveva fatto notare ... » al presidente del Consiglio ungherese «che tutto il mondo
avrebbe compreso esattamente il significato di esse (deportazioni)>>.
Solo il 25 giugno Rotta inoltrò a Horthy un messaggio del Papa,
che doveva fare certo più impressione al Reggente del Reich delle
obiezioni dei Vescovi ungheresi che «lamentavano non tanto le deportazioni in sé, quanto le atrocità che le accompagnavano. Cosi, la lettera pastorale dell'arcivescovo principe Serédi prendeva le cose da
lontano, guardandosi bene dal chiamare le deportazioni col loro vero
nome. In un primo tempo si differi la pubblicazione della lettera pastorale, poi, 1'8 luglio, avuta la garanzia che non vi sarebbero state altre
deportazioni da Budapest, la si revocò. Ciò, come la documentazione
raccolta da Eugenio Lévai, convalida il fatto che i vescovi erano tutt'al
più pronti a far valere il loro influsso, nel caso si trattasse di ebrei
magiari, tra cui molti erano battezzati. Non bisogna tuttavia dimenticare che l'incondizionata partecipazione della Gendarmeria (ungherese)
alle operazioni di trasferimento in altra sede degli ebrei non sarebbe
stata possibile, se la Chiesa avesse ripudiato chiaramente ed esplicitamente l'antisemitismo» (Reitlinger ).1
Comunque, in seguito alla assai tardiva ambasciata di Pio XII, che
non era neppure indirizzata personalmente a Hitler, si giunse a promettere al Nunzio di non deportare più gli ebrei battezzati. E questa è
una ulteriore conferma di quanto grande fosse l'autorità del Papa.
Il suo messaggio infatti, prosegue Reitlinger, «costitui il punto di
partenza per un appello alla coscienza del Reggente da parte di tutto
il mondo».2 Le deportazioni dall'Ungheria ebbero fine prima che mol1. Reitlinger, op. cito
2. Ibid.
423
to più della metà degli ebrei fosse stata deportata. Non solo il Segretario di Stato americano Cordell Hull minacciò Horthy di rappresaglie, ma il re di Svezia e la Croce Rossa Internazionale offrirono
il loro contributo per provvedere all'emigrazione degli ebrei ungheresi.
Il 7 luglio Mr. Eden protestò alla Camera bassa inglese contro l'assassinio pianificato degli ebrei ungheresi. Anche in Himmler conclude Reitlinger nello stesso capitolo, «le proteste del mondo st~aniero ...
avevano fatto maturare la convinzione che, alla dodicesima ora, ano
che i sentimenti umanitari avrebbero potuto essere messi a servizio
della macchina da guerra tedesca. La realizzazione di questo fantastico
piano doveva toccare, da parte tedesca, al Kommando Eichmann che
sin dal suo arrivo in Ungheria, si mise a mercanteggiare con la vit~
degli ebrei».1
Nelle note di Edith Bruck si legge con quale brutalità la Gendar~eria ungherese provvedesse quasi da sola alle deportazioni (dato che
il ~o~n:an~o tedesco disponeva solo di pochi uomini) e con quale
bestIalita ~g~sse contro i propri compatrioti. Il padre della Bruck, quando la famIglia fu brutalmente arrestata, mostrò come altri ebrei le medaglie al valore avute nella prima guerra mondiale, nella ingiustificata
speranza di poter così salvare se stesso e i suoi prima di essere consegnato ai tedeschi, con i quali aveva un tempo combattuto spalla a
spalla.
In m~rito infine al risultato pOSItIVO che ebbe la protesta degli
slovacchI contro le deportazioni, Reitlinger si chiede: «Possiamo davv~r~ cred:re che, se avesse voluto, Hitler non sarebbe stato in grado
d.I ImporSI ~ un governo-fantoccio creato da lui?» Al governo, vorrei
nspondere lO, certamente, ma non al Nunzio pontificio che nel 1942
salvò gli ultimi ebrei slovacchi, dopo che circa 52.000 di essi erano
già stati deportati, dei quali solo 284 sopravvissero fino alla fine della
guerra.
Il Vaticano, i vescovi in Germania e le Nunziature erano appunto
le sole autorità ancora rispettate da Hitler dopo l'indesiderata entrata
in guerra degli USA. Nel 1940, in seguito a un colloquio con Mussolini, vietò esplicitamente a Rosenberg di provocare in qualsiasi modo
il Vaticano, e nell'agosto 1941 fece cessare l'operazione eutanasia in seguito alle proteste ecclesiastiche. «È probabile» scrive Reitlinger «che
la dittatura hitleriana non sia mai stata sfidata tanto apertamente come
in questa occasione ... in cui egli agì con disgustosa vigliaccheria ».1
Il suo rispetto può essere compreso ancora meglio, se si leggono
queste frasi pubblicate sull'« Angriff» (l'Attacco), il «quotidiano del
fronte del lavoro tedesco », usate più tardi come introduzione a un
opuscolo, edito nel 1938 dalla casa editrice del partito, con un ritratto
di Pacelli, Segretario di Stato, in copertina: «Perché il Vaticano è
importante per noi? Ancora una volta il Vaticano! Ma perché? Perché
tanto rumore per questo minuscolo angolino di terra nella capitale
dell'Impero Romano? Queste, le domande di alcuni lettori della stampa
nazionalsocialista. Roosevelt, Ibn Saud, Chamberlain, Dimitrov, Herriot e, prima di tutti, il Duce, questi sono gli uomini del presente,
gli artefici della politica mondiale, che influiscono su quella del Reich.
Ma questi prelati romani, questi nunzi felpati e cardinali incensatissimi... quale commedia!
«Tale opinione si basa su un errore. Chamberlain e Herriot, Roosevelt e Dimitrov sono persone molto influenti. Oggi hanno qualche
cosa da dire. E domani ... nessuno si curerà più di loro. Ma gli uomini che circondano il Papa, questi silenziosi prelati della Curia romana, che portano croci tempestate di pietre preziose sul petto, non
mutano mai. Per decenni e decenni restano i medesimi, a volte sono
sostituiti da altri della medesima scuola, e tutti perseguono la medesima politica, un secolo dopo l'altro. Essi governano circa 400 milioni
di "credenti" in tutto il globo, dispongono di un patrimonio di proporzioni inimmaginabili distribuito su tutta la terra, hanno al loro
servizio una stampa, di cui nessuna altra grande potenza dispone ...
Possiamo dire che il riconoscimento da parte di questo eterno av-
1. Ibid.
1. Ibid.
424
425
versario è, per la edificazione della nazione tedesca, più importante
del riconoscimento da parte di qualsiasi altra grande potenza. Noi
nazionalsocialisti sappiamo meglio di chiunque altro che è la fede
che sposta le montagne e non la storia, non il danaro, e non soltanto
le leggi economiche e le armi. Per questo siamo in grado di valutare l'importanza di una potenza di fede diversa. Lo abbiamo nuovamente constatato durante la battaglia elettorale per la riannessione
dell'Austria al Reich. Radio Mosca e la Radio Vaticana hanno allora
sabotato di comune accordo le elezioni e hanno ingiuriato nel modo
più indegno il prudente comportamento dei principi della Chiesa
tedesca. Invano! Eppure non si danno ancora per vinti, e continuano
a sabotare dall'interno e dall'esterno la politica tedesca. Perciò stiamo
sempre più all'erta!»
Monsignor Giovannetti, membro della Segreteria di Stato vaticana
nella sua opera Il Vaticano e la guerra, del 1960, confermò, basandosi su molti esempi, «l'importanza attribuita da ogni parte alla
Santa Sede. In quei giorni in Svizzera si poteva parlare, e non a torto,
di una vera battaglia per la conquista del Vaticano da parte dei due
blocchi che conducevano la guerra: era una lotta per il Papa ... un
conflitto diplomatico per ottenere il favore del Vaticano ».
Scrive Robert E. Sherwood: «Tenuto conto della massiccia opposizione cattolica agli aiuti all'Unione Sovietica, Roosevelt decise di mandare a Roma, come inviato speciale presso Pio XII, Myron C. Taylor.
Molti protestanti, e tra questi importanti dignitari delle varie Chiese,
erano vivamente preoccupati per queste avvisaglie di una intesa segreta
tra la Casa Bianca e il Vaticano ... Alcuni, impazienti, credevano che il
Presidente sopravvalutasse l'importanza dell'opinione cattolica, eppure
era proprio nel suo stile procedere con estrema prudenza quando si trattava di sentimenti religiosi; in queste cose ne sapeva assai più dei suoi
consiglieri. »1 Hopkins aveva scritto al Ministero delle Informazioni bri-
1. Robert E. Sherwood, Roosevelt and Hopkins, New York 1948.
426
tannico sin dall'agosto 1941: «La nostra opl1l1one pubblica presenta
qualche difficoltà per ciò che riguarda la Russia. Gli americani non sono
molto favorevoli a concedere gli aiuti. Contraria è l'intera popolazione
cattolica, i nazisti, gli italiani e molta gente sinceramente convinta che
Stalin costituisca una grande minaccia per tutto il mondo ... Le imprese
dell'esercito russo hanno molto impressionato i nostri militari. A un
anglosassone riesce molto difficile pensare che altri, oltre a lui, sap.
plano
combattere.» 1
. .
.
Hitler aveva capito istintivamente megho dI Roosevelt che il Papa
era ben lontano dal possedere una levatura proporzionata al credito
che godeva nel mondo. Pertanto inviò il suo Segretario di Stato quale
ambasciatore alla Santa Sede. E quando ai primi di novembre del
1943 caddero delle bombe di origine ignota nei giardini del Vaticano, persino l'arrogante Ribbentrop pensò fosse il cas~ di inca~
ricare telefonicamente Moellhausen, il console a Roma, di cercar di
convincere il Papa perché condannasse i bombardamenti. Conosceva
Papa Pio e, sapendo che non aveva mai condannato le deportazioni
degli ebrei, aggiunse che il solito discorso sussurrato del Papa non
sarebbe servito a niente, che bisognava che parlasse chiaro. Goebbels,
l'ex studente dei Gesuiti, che considerava la potenza del Vaticano
nella guerra con realismo almeno pari a quello di Hitler, si lame?tò che il 9 novembre 1943 1'« Osservatore Romano» aveva preso «m
quell'occasione una posizione purtroppo assai mis~rat~,».2 Scr~ve~a:
«Sembra che il Papa non abbia ancora abbandonato Il disegno di agIre
come mediatore fra il Reich e le potenze occidentali nemiche.» «La
caduta di alcune bombe nemiche nella Città del Vaticano» aveva
scritto precedentemente «è tuttora un avvenimento che impressiona
l'opinione pubblica mondiale. Ancora una volta gli inglesi si sono visti
costretti, sotto la pressione dei commenti neutrali, ad allontanare da
sé la colpa e ad attribuirla a noi».
1. Ibid., p. 372.
. . '
48'
2. Joseph Goebbels, Tagebucher 1942-43, a cura di LoUlS Lochner, Zungo 19 ,
ediz. ital.: Diario intimo, Mondadori, Milano 1948, p. 670.
427
Alcune bombe che non colpirono nessuno: «un avvenimento che
impressiona l'opinione pubblica mondiale!» Werner Stephan, che dal
1933 al 1945 fece parte del servizio stampa del Ministero della Propaganda, riferisce che quando Galen scagliò le sue invettive contro i
delitti dei nazisti, Goebbels preannunciò che avrebbe tenuto un comizio a Miinster, ma poi non si attentò a recarsi nella città
vescovile. «Avrebbe dovuto recarvisi come esecutore di un ordine
d'arresto spiccato da Hitler contro il Vescovo insubordinato. Impresa
che non avrebbe mancato di sortire il suo effetto in una assemblea
di membri del partito e di seguaci pronti all'ammirazione. Tuttavia
Goebbels non perdeva mai di vista la contropartita: Galen sarebbe
diventato un martire capace di trascinare milioni di persone a prender
recisamente partito contro il regime totalitario. Il ministro della Propaganda conosceva fin troppo bene il peso di quell'avversario! »! Ma
allora, torniamo a chiederci, perché il Papa non ha sfruttato questo
suo potere per spianare la strada all'umanità? Forse mai prima nella
storia l'umanità ha pagato a sì caro prezzo, con tante vite, la passività
di un solo uomo politico.
«La questione dell'assenza di qualsiasi minaccia di scomunica contro
gli strumenti della politica di sterminio di Hitler è ancora più grave
e francamente sono incline a pensare che il fatto che le vittime fossero
ebree costituì una delle ragioni per cui questa minaccia non fu mai
fatta. Ma ancora una volta la neutralità e l'immunità diplomatica erano
diventate una ossessione e non penso che ciò sarebbe necessariamente
accaduto se ci fosse stato un Papa migliore», scriveva Gerald Reitlinger
all'autore.
Nel 1938 Goebbels mise in guardia i funzionari del suo Ministero
che non si allontanassero dalla Chiesa, e in un discorso ai capi degli
uffici propaganda dichiarò che egli stesso aveva fatto battezzare tutti
i suoi figli. Durante la guerra lasciava libera la sua segretaria, cui era
solito dettare la domenica mattina, per la durata della messa. Il giorno
della Santa Pasqua 1943 riportò nel suo diario: «L'SD ha tolto alla
1. Werner Stephan, Joseph Goebbels-Diimon einer Diktatur, Stoccarda 1949.
428
Chiesa cattolica la cosiddetta Clemens-Kapelle di Berlino. Papen mi
scrive per pregarmi di renderla alla comunità cattolica. Lo farò subito
e chiederò ragione all'SD di come siano giunti a Berlino a una azione
assolutamente contraria alle mie direttive.,»!
Sia Hitler che gli uomini più influenti del suo governo, cioè Himmler, Goring e Goebbels, erano troppo astuti per provocare il Vaticano durante la guerra con angherie contro la Chiesa in Germania.
Nelle sue Conversazioni Hitler parlava della Chiesa senza reticenze
e senza scrupoli; invece nelle sue lettere (come del resto in quelle di Goebbels) ai vescovi che protestavano, il tono era diverso.
E ciò perché, spiega Friedrich Heer, l'opposizione del clero «si manteneva nei limiti concessi dall'obbedienza verso le legittime autorità
volute da Dio, dall'obbedienza verso il Ftihrer e Cancelliere del Reich,
cui venivano comunque messe a disposizione, per la sua crociata contro il bolscevismo, masse di fedeli guidati nelle battaglie dai cappellani militari delle due confessioni. »2
Il fatto che Hitler avesse fatto trucidare diversi preti sconosciuti
non costituisce evidentemente un serio ostacolo al suo accordo con
il Vaticano. A tal proposito scrive ancora Friedrich Heer: «Religiosi
e laici, preti e uomini politici che osavano opporsi col pensiero e con
l'azione al regime, né in prigione né di fronte al patibolo potevano
contare sull'appoggio delle loro guide religiose. L'opposizione cristiana a Hitler fu quindi, di conseguenza, caratterizzata sin dal principio
da iniziative individuali, sporadiche, non desiderate, e ribelli. »3
Solamente l'insidioso, e poco intelligente, Bormann tendeva a
emanare anche durante la guerra decreti che riuscivano a irritare persino il Vaticano. Ma per quanto Hitler stimasse questo suo «fedelissimo compagno di partito », quando si trattava di qualche sua levata
di testa contro la Chiesa lo richiamava energicamente all'ordine. Il
responsabile degli affari ecclesiastici presso il Ministero degli Esteri
1. Goebbels, op. cit., p. 461. (Il traduttore dell'ediz. Mondadori scambia Papen
per Papst e attribuisce, curiosamente, la lettera di protesta al Romano Pontefice.)
2. Reer, op. cito
3. Ibid.
429
dichiarò che Hitler, durante la guerra, aveva revocato per tre volte
provvedimenti ostili alla Chiesa.
Anche von Papen scrive: «Le famose prediche del Vescovo-conte
Galen passarono di mano in mano, e io seppi da Lammers che
le aveva mostrate a Hitler. Non era dunque difficile richiamare la
sua attenzione su questa situazione critica. Hitler prese in considerazione i miei consigli, gettando, come aveva fatto altre volte, ogni
colpa sulle teste calde del partito. Tramite Bormann aveva emanato una ordinanza perché questi "eccessi" fossero evitati. Ogni perturbamento della pace interna costituiva per lui in quel momento una
intollerabile remora. »1 Non si trattava di una simulazione: l'ordinanza
passò. Lo stesso IDmmler, il quale si vantò un giorno con la signora
Weizsacker: «Non avremo pace, finché il cristianesimo non sarà liquidatQ»,2 era tuttavia abbastanza astuto da dirigere la sua smania di distruzione contro gruppi di uomini il cui sterminio non turbava i
rapporti dello stato hitleriano con la Santa Sede: ebrei, slavi, zingari,
testimoni di Geova, comunisti. Il Nunzio a Berlino intervenne più
di una volta presso Weizsacker, a favore dei preti polacchi perseguitati, e talora con successo. Infatti i religiosi polacchi erano ritenuti
più fidati. Mentre i preti ribelli polacchi venivano chiusi nei campi
di concentramento e a volte atrocemente torturati, come ad esempio
Padre Kolbe, il Gauleiter di Danzica Forster raccomandava al Fiihrer
di fare assistere i polacchi «degni di essere tedeschizzati» da religiosi
loro compatrioti, e non da preti tedeschi. «Poiché la pressione esercitata sui parroci polacchi era tanto forte da ridurli a un tale stato di
arrendevolezza che al termine di ogni settimana chiedevano alle autorità provinciali d'occupazione il benestare al tema della predica domenicale. Meglio ancora a suo avviso sarebbe stato ottenere dal vescovo
polacco un contatto più stretto con il Gauleiter, per diramare tramite
suo i temi e i chiarimenti che i parroci richiedevano. Cos1 sarebbe
1. Von Papen, op. cit., p. 481.
2. Ernst von Weizsiicker, Erinnerungen, curate da Richard von Weizsiicker, Manaco-Lipsia-Friburgo 1950.
430
stato possibile assicurare al paese l'ordine e la tranquillità durante tutto
quel periodo di transizione. »1 Hitler ammon1 tuttavia di non attendersi
risultati troppo brillanti da tale politica, dal momento che anche Carlo
Magno aveva tentato inutilmente di conquistare la Chiesa alla politica
«tedesca» tramite i vescovi.
Il ministro degli Esteri italiano conte Ciano, che diceva che IDmmler era «l'unico uomo capace di intuire gli umori del popolo tedesco», aveva evidentemente anch'egli preso sul serio le osservazioni
di Himmler sul Vaticano e su Pacelli del maggio 1939: «Himmler
ha parlato a lungo delle relazioni con la Chiesa. V'è simpatia per il
nuovo Pontefice e si ritiene possibile un modus vivendi. L'ho incoraggiato su questa strada dicendo che anche ai fini della popolarità
dell' Asse un accordo fra il Reich e il Vaticano sarà utile. »2 E in realtà
Himmler (di cui Reitlinger dice che era incapace sia di mentire che
di dare libero sfogo alla propria fantasia senza rendersi ridicolo), a
quel tempo doveva crederci onestamente, e forse non soltanto per opportunismo. Nel 1943 arrivò a far seppellire secondo il precetto cristiano sua madre e a permettere agli ufficiali delle SS di fare pubblicamente la comunione; è quindi probabile che avesse parlato dello
sterminio del cristianesimo solo per intima debolezza e per compiacere
alcuni circoli del partito (cui Hitler tuttavia non permetteva di influire
sul proprio operare). Quando nell'inverno del 1942 si pensò di gasare
segretamente i polacchi tubercolotici, IDmmler si lasciò convincere a
rinunciare supponendo che la Chiesa avrebbe reagito e che 1'« operazione prevista avrebbe fornito ai nostri nemici un prezioso materiale
propagandistico, non solo presso i medici e gli scienziati italiani, ma
presso tutto il popolo, essendo questo saldamente vincolato al cattolicesimo. »3
1. Henry Picker, Hitlers Tischgesprache im Fiihrerhauptquartier 1941-42. Commentate, ordinate e pubblicate su incarico del Deutsches Institut fiir Geschichte
der nationalsozialistichen Zeit da Gerhard Ritter, Bonn 1951.
2. Galeazzo Ciano, Diario, Rizzoli, Milano 1946, val. l°, p. 104.
3. Alexander Mitscherlich e Fred Mielke, Das Diktat des Menschenverachtung.
431
A ogni modo Himmler si rendeva ben conto di ciò che non era
popolare: lo sterminio degli ebrei e dei malati di mente ... e in un
primo momento si era opposto a entrambe le iniziative (che furono più
tardi da lui realizzate) proprio perché impopolari. Solo in un secondo
tempo si piegò, non senza obiettare, agli ordini di Hitler, e avrebbe senza dubbio trucidato anche i preti, se Hitler glielo avesse ordinato. Comunque ancora dopo l'attentato del 20 luglio, il cui insuccesso, per
quel che riguardava la persona di Hitler, gli dispiacque profondamente, dichiarava che avrebbe potuto in qualche modo ristabilire
l'equilibrio della propria coscienza nei confronti del Fiihrer solo attraverso una raffinata atrocità verso i congiurati... e ancora nel 1944 disse
al suo medico curante, con il quale non simulava: «Non avremmo
dovuto attaccare la Chiesa, perché è più forte di noi. Quando sarò
morto, questi religiosi dovranno pregare anche per la mia anima.»
Chi capi meglio di tutti Himmler fu, a mio parere, lo storico
oxfordiano Trevor-Roper che, nella sua qualità di ufficiale di collegamento alleato, subito dopo la fine della guerra fu in grado di interrogare personalmente gli uomini più in vista del regime, in seguito
giustiziati (o liberati), i loro subalterni, le loro segretarie, e che ebbe
modo di studiare direttamente le loro deposizioni.
«Assodato che, in un mondo civile, si tollerano raramente uomini
del genere, se gettiamo uno sguardo indietro nei periodi di grandi
sconvolgimenti sociali, nelle epoche rivoluzionarie e di trasformazione,
ritroviamo il prototipo di Himmler. È il Grande Inquisitore, il mistico
della politica, l'uomo pronto a sacrificare l'umanità per un ideale
astratto. I Grandi Inquisitori della storia non erano affatto uomini
spietati, o schiavi delle proprie passioni. Sovente nella loro vita privata
erano scrupolosissimi coscienziosi e spartani. Costoro erano spesso
molto buoni con gli animali, come San Roberto Bellarmino, che se si
trovava addosso una pulce, si rifiutava di ucciderla: dal momento che
questo insetto non poteva sperare nella beatitudine celeste - affermaUna documentazione del processo contro 23 medici delle SS e scienziati tedeschi
Heidelberg 1947.
'
432
va - sarebbe stato crudele negargli anche i godimenti della carne, gli
unici cui potesse aspirare. Ma verso gli uomini che avevano scelto
l'errore, potendo seguire la via retta, nessun mezzo era abbastanza
drastico. Cosi i roghi venivano preparati e accesi, i miscredenti e i
loro libri venivano bruciati; mentre questi miti, vecchi vescovi se ne
andavano a casa, a cenare con una aringa e della verdura a buon
mercato, a cibare i loro gatti e i loro canarini, a meditare sui loro
salmi penitenziali. Frattanto i loro cappellani si sedevano al tavolino,
per redigerne la biografia e tramandarne ai posteri la vita timorata
di Dio, le regole degli Ordini e le penitenze, le elemosine date e
la semplicità di questi esemplari pastori di anime, sempre con la
convinzione, come diceva il Cardinale Newman, che sarebbe stato
meglio per l'umanità perire tra i più atroci tormenti, piuttosto che
commettere un solo peccato veniale.
«Questo esempio può parere bizzarro, mentre invece bizzarra è la
natura quando genera l'animo umano; e molti uomini che, in tempi
normali, passerebbero inosservati chiusi in un convento o in un carcere, nei periodi rivoluzionari arrivano a conquistare posizioni chiave.
Himmler stesso (ne convengono tutti) era un individuo privo di
personalità, banale, pedante e meschino. Era avido di denaro e inetto a pensare, ma incapace di resistere alla tentazione di fantasticare, di perdersi nella O Altitudo e di immergersi nelle sottigliezze
teologiche della dottrina nazista. In un certo senso lo stesso Hitler
non era nazista, perché le dottrine di questo grande sistema dell'assurdità teutonica per lui non erano che un' arma politica, "egli criticava e si beffava dell'ideologia delle SS"; per Himmler invece queste
teorie, ogni virgola di esse, era un'emanazione della essenza della verità
ariana, che condannava all'infelicità eterna l'uomo che non la conservava monda e senza macchia. Himmler studiava i particolari di questa
mostruosità con tanta ottusa pedanteria, con tale gotico amore per le
anticaglie che molti, erroneamente, hanno supposto fosse stato un
maestro di scuola.
«A Speer parve per metà un maestro elementare e per metà un
pazzoide! Himmler impiegò durante la guerra migliaia di uomini e
433
milioni di marchi per le sue follie di fanatico religioso, proprio mentre
Goebbels richiedeva la mobilitazione generale. In un settore del suo
servizio informazioni, un gruppo di solerti studiosi si occupava di
fatti importanti e attuali come i Rosa-Croce e la Massoneria, il si.
gnificato simbolico della soppressione dell'arpa a VIster e quello re.
condito delle torri merlate gotiche e dei cilindri di Eton. I laboratori
scientifici delle SS lavoravano febbrilmente, ma senza successo, per
isolare il sangue ariano puro. Uno scienziato fu inviato nel Tibet a
ritrovare le tracce di una pura razza germanica, che si supponeva
avesse custodito gli antichi misteri nordici tra quei vergini monti.
Gli archeologi scavavano dovunque in Europa per scovare resti di una
cultura germanica autentica. Mentre l'esercito tedesco si accingeva ad
evacuare Napoli d'urgenza, Himmler avanzò un'unica pretesa: che non
si tralasciasse di portar via l'enorme pietra tombale dell'ultimo Hohenstaufen. Ricchi commercianti, desiderosi di entrare nel chiuso Freundeskreis, potevano a quei tempi comperarsi l'ammissione con una donazione, poniamo di un milione di marchi all'Ahnenerbe, un istituto
"scientifico" impegnato in costose ricerche sull'origine degli ariani! Ancora nel 1945, quando il Reich stava rovinando su se stesso, Himmler
studiò la possibilità di colonizzare l'Ucraina tramite una nuova setta religiosa, raccomandatagli dal suo massaggiatore e, -durante un colloquio
con il conte Bernadotte, dopo aver premesso di essere l'unico uomo ragionevole rimasto in Germania, interruppe la discussione sulla guerra e
sulla pace, per tenergli una lunga disquisizione sulle rune. Le rune,
la scrittura non ancora decifrata delle popolazioni nordiche medioevali, lo appassionavano particolarmente. Studiandole con gli occhi della
fede, sosteneva, si poteva trovare in esse un'analogia con gli ideogrammi giapponesi, e quindi provare che i giapponesi, in fin dei conti,
erano ariani.
«In un carattere del genere non esiste un briciolo di sofisticaggine.
Himmler era un credente autentico. Il suo fanatismo non era un parto
mostruoso della paura e della debolezza, e la sua debolezza non scaturiva dal dubbio. L'infantile candore della sua fede nell'ordine del
434
mondo non era offuscato da un'ombra di incertezza ... »'
Schellenberg, il più intimo confidente di Himmler, col quale questi
discuteva già dal 1942 piani di alto tradimento, senza mai chiamarli
nemmeno a quattr'occhi con il loro vero nome, scrive in proposito Ce
ciò potrà valere a confermare quanto abbiamo già detto): «Himmler
possedeva la migliore e più completa biblioteca sull'ordine dei gesuiti,
sul quale aveva studiato l'ampia letteratura in anni di studi notturni.
Infatti organizzò le SS secondo i princìpi di questo ordine. Come base
utilizzò le regole e gli esercizi di Ignazio di Loyola: legge suprema
era l'obbedienza assoluta, l'adempimento di qualsiasi ordine senza obbiezione. Himmler in persona, quale Reichsfuhrer delle SS, era il Generale dell'Ordine. Aveva modellato l'ordinamento gerarchico su quello della Chiesa cattolica. Nei pressi di Paderborn in Westfalia, aveva
fatto adattare una rocca medioevale, che costituiva, per cosi dire, il
gran "convento delle SS", in cui il Generale dell'Ordine convocava, una
volta l'anno, il suo concistoro segreto. Tutti coloro che facevano parte
del comando dell'ordine dovevano quivi riunirsi per dedicarsi a esercizi spirituali e a meditare. Nella grande sala delle riunioni ogni membro possedeva una sedia riservata con il proprio nome inciso su di una
piastrina d'argento. Le radici di questa tendenza mistica di Himmler
devono essere rintracciate in primo luogo nel suo atteggiamento verso
la Chiesa cattolica, che potremmo definire di odio-amore, in secondo
luogo nella severa educazione paterna, che esigeva una condotta di
vita rigidamente cattolica, dalla quale cercava rifugio in un romanticismo incontrollato ... »2
Quale fu l'atteggiamento di Hitler verso il Vaticano durante la
guerra? Daremo qualche delucidazione anche su questo punto. «Gli
alti dignitari ecclesiastici della Germania» scrive il professor Eugen
Kogon «non furono mai deportati nei campi di concentramento della
Gestapo. Una volta un canonico del Capitolo di Olmiitz, che si tro1. H. R. Trevor-Roper, The Last Days 01 Hitler, New York 1947, pp. 19-22.
2. Walter Schellenberg, The Schellenberg Memoirs, a cura di Louis Hagen con
una introduzione di Alan Bullock, Londra 1956.
435
vava nel campo di Buchenwald, fu eletto vescovo suffraganeo della sua
sede: le SS lo rilasciarono immediatamente. »1
Le rimostranze del Vescovo di Miinster irritavano moltissimo Hitler.
Lo si sentì dichiarare che alla fine della guerra Galen sarebbe «finito
davanti a un plotone di esecuzione ». Ad altri spiegò ironicamente che,
se il Vescovo non fosse riuscito a farsi trasferire, prima della fine della
guerra, nel Collegio Germanico di Roma, dopo, avrebbe dovuto fare
i conti con lui. Hitler dominava la sua ira e, finché il clero gli lasciava
libertà d'azione politica, celava, tranne che con gli intimi, la sua avversione per la Chiesa. Arrivò ben presto a dire a Papen che il Mito di
Rosenberg non valeva la carta su cui era stampato e si fece sempre
beffa dell'idea di sostituire la Chiesa cattolica con una nuova chiesa
nazista tedesca. Era convinto che nel giro di qualche secolo la Chiesa
si sarebbe automaticamente disgregata. Aveva intenzione di accelerare
questo processo dopo la guerra seguendo l'esempio degli Stati Uniti,
passandole cioè solo un appannaggio esiguo rispetto ai 900 milioni di
marchi che ancora percepiva dallo Stato nel 1942. Allora sarebbe stata
costretta a «mangiare dalla sua mano ». Il piano diabolico di Heydrich
di mandare in seminario dei capi della Hitlerjugend particolarmente
dotati spacciandoli per teologi timorati di Dio, onde potere più tardi
dominare il clero dall'interno, e consegnarlo al partito senza dare nell'occhio, fu bocciato da Hitler. Forse non era sicuro di poter tenere
sotto controllo i giovani agenti.
Sull'atteggiamento di Goebbels e di Goring nei confronti della Chi;
sa ci restano molti documenti. Ecco cosa scrive nel suo diario il ministro della Propaganda nel marzo 1942: «Goring ha or ora inviato
una lettera molto dura ai vescovi Galen di Miinster e Berning di Osnabriick. Ha loro ricordato il giuramento fatto a lui personalmente di servire lo Stato, e li ha severamente rimproverati per essersi comportati da
traditori. Le risposte a questa lettera giungono adesso mentre mi trovo
l. Eugen Kogon, Der SS-Staat. Das System der deutschen Kom:.entrationslager,
Monaco 1946.
436
presente. Il tono è discretamente dimesso. I signori vescovi cercano di
scagionarsi e di dimostrare con sofismi capziosi c~e ~anno mantenuto
il giuramento, ma ovviamente le loro argo~entazlom non sono accettabili. Propongo a Goring un'altra lettera, duetta soprattu:to. a. G~len,
in cui lo si rimproveri apertamente di avere causato gra~ISS1l~l1. dISO~­
clini nel Reich con le sue dichiarazioni sulla liquidazione del fentl gravI.
Sono proprio queste dichiarazioni che vengono ~tilizzat~ ~alla p~opa­
ganda inglese come un'arma contro il reg~e na~lOnalsocl~lista. ~ altra
parte bisogna riconoscere che certi provvedlm~nt1 del partl~o, e m particolare il decreto sul Crocifisso, hanno reso sm troppo facile la propaganda dei vescovi contro lo Stato. Goring se n: r.am~a~icava molto.
Egli è un sincero e lucido nemico delle confesslOru cnstlane, conosce
bene la loro sostanza e non ha nessuna intenzione di prenderle sotto
la sua protezione. D'altra parte condivide pie~amente ,la mi~ ?p1n~one
sull'argomento: nella presente situazione bellIca non .e p.~sslbile :lsolvere un problema tanto difficile e importante. Anche il Fuhrer nel colloqui avuti con lui si è dichiarato del medesimo avviso, come aveva
fatto con me tante volte. Ha anzi aggiunto che, se sua madre fosse
ancora viva, andrebbe senz'altro in chiesa, ed egli non potrebbe né vorrebbe far nulla per impedirlo ... »1
Ciò accadeva nel momento culminante della potenza di Hitler, vale
a dire quando tutta l'Europa, esclusa l'Inghilterra, era in suo p~t~re.
cuni mesi più tardi disse a Himmler che, sollevato dal~:uccISI0?e dI
Heydrich, voleva procedere con più cautela «anche ~er CIO che rIguardava la Chiesa ». «Se le Chiese affollate mi possono amtare a conservare
la calma tra il popolo tedesco, non ho nulla da eccepire,. tenen~o c~nto
della tensione cui la guerra lo sottopone.» L'opporturusmo dI HItler
arrivava al punto di mettere le rappresentazioni di Obe~ammer.g~u ~,l
servizio dell'antisemitismo. Diceva nel 1942: «Uno del compItI pm
importanti sarà quello di preservare le generazi~ni future ~,a un destino politico analogo (a quello tedesco del '18- 33), e perC10 occorre
tenere viva in loro la coscienza del pericolo razziale. Anche per que-
Al:
l. Goebbels, op. cit., pp. 198-199.
437
sta unica ragione soltanto, le rappresentazioni di Oberammergau dovevano essere continuate a tutti i costi. Mai il pericolo ebraico era stato
illustrato con tanta plasticità come nella figura di Ponzio Pilato in queste rappresentazioni; costui, infatti, rappresentato come un romano di
razza e di intelligenza superiore, appariva come una solida roccia in mezzo alla ciurmaglia e al brulichio dell' Asia Minore. Nel riconoscere la
straordinaria importanza di queste rappresentazioni, per la cultura anche delle generazioni future, Hitler era un perfetto cristiano. »1
Per quanto l'autore non le metta affatto in dubbio, le cifre citate
nel rapporto di Gerstein2 sono sempre state sostituite, come abitualmente nel dramma, con altre inferiori e quindi più attendibili e che a quel
tempo erano già pervenute alla stampa alleata. Il 21 gennaio 1943 il
rappresentante del Congresso mondiale ebraico a Berna, Gerhard Riegner, informava che in Polonia si trucidavano giornalmente 6.000 ebrei.
Questa notizia portò a un'altra manifestazione pubblica di protesta al
Madison Square Garden di New York. Riegner aveva reso noto a Washington il piano di sterminio di Hitler già nell'agosto 1942, e nel novembre aveva fatto confermare la notizia al Dipartimento di Stato
da quattro altre relazioni giurate al Segretario di Stato Sumner Welles.
Il 21 luglio 1942, in occasione di una dimostrazione al Madison Square
Garden, il presidente Roosevelt aveva scritto al dottor Wise: «Il popolo americano non solo simpatizza con tutte le vittime dei crimini nazisti, ma considererà gli autori di questi crimini pienamente responsabili il giorno della resa dei conti che verrà sicuramente.» Tra l'altro
pare che Hitler avesse ripetuto il 30 settembre 1942 la sua promessa
di sterminare gli ebrei in Europa. Il 17 settembre 1942 gli Alleati dichiararono solennemente che i massacri sarebbero stati espiati.
1. Picker, op. cito
2. Si veda Léon Poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli Ebrei, Einaudi, Torino 1955.
438
La descrizione di Gerstein sui metodi usati per gasare gli ebrei è
stata corredata di alcuni particolari tratti del famoso rapporto dell'ingegner Hermann Friedrich Graebe che, quale am~inistra:ore dell'impresa di costruzioni di Solingen, Josef Jung, assl~tette 11 5 .o~tobre
1942 a Sdolbunov, nell'Dcraina, alla fucilazione 10 massa di. ~tere
famiglie ebree. 1 Fucilazioni di questo genere in fosse o cave dl pletra
verso la periferia della città di Kiev, dove il 28-29 settembre 1941 f~ro:
no eliminati 34.000 individui, non venivano certo tenute segrete ne al
membri della Wehrmacht, né alla popolazione locale, tra cui spesso si reclutavano volontari per le retate e le esecuzioni organizzate dai tedeschi.
Anche nei diari di Ernst Jiinger si trovano accenni a orripilanti voci
che gli pervenivano: il 6 marzo 1942; il 31 dicembre 1942; il 21 aprile
1943. Voci che pervenivano alla maggior parte degli europei... quando
erano sinceramente intenzionati a porger loro ascolto. Anche Thomas
Mann, in uno dei suoi ang~sciati discorsi mensili di otto minuti alla
BBC, tenuto il 27 settembre 1942, ha reso noti alcuni particolari. Quello stesso mese veniva pubblicata in America una raccolta delle prime
venticinque trasmissioni di Thomas Mann, iniziate nell'ottobre del
1940. Anche la conversazione del novembre 1941, contenuta nel volume,
parla delle uccisioni in massa di polacchi e di ebrei. Nel gennai~ 194~,
infine, parla di ebrei olandesi gasati. I particolari, il numero del mortl,
il luogo del delitto, cioè Mauthausen, vennero resi noti più tardi dal
Governo olandese in esilio, e ancora da Thomas Mann nel giugno 1942
per radio, in lingua tedesca e a mezzo del libro succitato. Auschwitz
non era ancora nota come centro di sterminio, benché la «Neue
Volkszeitung» di New York avesse già dato il 14 luglio 1941 e il 14
marzo 1942 ragguagli sull'«inferno dei supplizi» di Oswiecim e un
bollettino della agenzia telegrafica ebraica il 13 dicembre 1943 parlasse a Londra di 580.000 ebrei uccisi ad Auschwitz. Si supponeva che
Uno alla prima metà del 1942 il numero delle vittime arrivasse a
800.000. Tuttavia, trattandosi di ebrei, questi bollettini non ·suscitarono , nei cristiani dei due blocchi impegnati nella lotta, neanche una
1. Si veda: Poliakov, op. cito
439
minima parte dello scandalo e della costernazione che era lecito attendersi , e che furono invece dedicati ad altri avvenimenti bellici quotidiani. Un popolo in guerra ha già abbastanza preoccupazioni per proprio conto ... e ciò spiega molte cose. Ma la «promessa» fatta da Hitler
più volte pubblicamente di «sterminare» gli ebrei avrebbe dovuto esser
considerata come qualcosa di più serio di una vuota minaccia. Senza
il beneficio del dubbio tutte le personalità importanti e influenti sia
all'interno che all'esterno della Germania sapevano che lo sterminio
avveniva ufficialmente e a ritmo continuo, e che i treni portavano i
deportati verso il nulla. Nell'ottobre 1943 si poteva leggere in America
che dalla Francia erano stati deportati verso est 4.000 bambini dai 2
ai 14 anni, in numero di sessanta per vagone, separati dai loro genitori
e senza che venisse loro comunicata la «destinazione ».
Il 22 giugno 1943 Jan Ciechanowski, ambasciatore a Washington
del governo polacco in esilio, aveva ricevuto il tenente Jan Karski, inviato per la seconda volta a Londra e negli Stati Uniti quale messo
segreto dei capi clandestini comunisti in Polonia, affinché trasmettesse alle autorità civili e militari interessate le informazioni e le deposizioni dei testimoni oculari. Karski riusd a farsi ricevere persino
del presidente Roosevelt e così ebbe occasione di tratteggiargli «un
quadro dei campi di concentramento, in cui gli omicidii di massa erano
all'ordine del giorno. Parlò di Oswiecim (Auschwitz), Majdanek, Dachau, Oranienburg, del campo femminile di Ravensbriick, e descrisse
al Presidente la propria raccapricciante avventura quando, travestito
da poliziotto, aveva visitato di persona i due Lager di Treblinka e
Belzec, dove gli ebrei venivano gasati nei vagoni ferroviari. "Sono convinto, signor Presidente," proseguì Karski, "che i rapporti degli ebrei
sulla situazione non esagerano. Le nostre autorità clandestine sono fermamente convinte che i tedeschi intendono sterminare l'intera popolazione ebraica. Rapporti fidati dei nostri informatori ci dicono che
fino al giorno in cui io lasciai la Polonia sono stati trucidati 1.800.000
ebrei ... I capi delle nostre organizzazioni clandestine mi hanno incaricato di comunicare alle autorità militari britanniche e americane che
questo sterminio di massa potrebbe essere frenato o almeno arginato
440
ricorrendo a rappresaglie dirette e cioè, dopo aver gettato milioni di
volantini in cui si annuncia ai tedeschi che verranno bombardati come
punizione per lo sterminio degli ebrei, effettuando bombardamenti indiscriminati sulle loro città." »1
In effetti i bombardieri alleati nell'estate 1943 hanno gettato sulla
Germania dei volantini per informare i tedeschi sulla liquidazione degli
ebrei riferendo anche alcuni particolari, come per esempio che fosse
comuni erano state rinvenute a Kharkov. Spesso vennero utilizzati elementi delle organizzazioni giovanili naziste, ragazzi dai 12 ai 14 anni,
per controllare e bruciare quei volantini. Probabilmente. oltre a.i rapporti già pervenuti molto tempo prima, anche quello di Karski contribui a indurre il Presidente a pregare Pio XII, tramite l'inviato speciale Myron C. Taylor e altre personalità, di rivolgere un appello
ex cathedra ai cattolici contro le atrocità di Hitler. L'allora ambasciatore polacco a Washington (come afferma in una lettera all'autore),
quando gli fu chiesto se aveva comunicato al Vaticano la relazione di
Karski, rispose che non solo aveva fatto pervenire le notizie sullo
sterminio degli ebrei al delegato apostolico a Washington (l'attuale Segretario di Stato Cardinale Cicognani) ma anche al Congresso degli Stati
Uniti, ai cardinali, ai vescovi e alle università... e che prima del suo
richiamo, avvenuto il 5 luglio 1945, aveva continuato a trasmettere
loro le informazioni provenienti dalla Polonia. Anche prima dell'arrivo
di Karski, sin dal maggio 1941, l'ambasciatore Ciechanowski aveva
fatto tutto quanto era in suo potere per rendere noto a Washington
cosa stava accadendo.
Quando il professor Golo Mann afferma, nella sua storia della Germania del XIX e XX secolo,2 che gli alleati durante la guerra ignoravano l'esistenza delle camere a gas in Austria e in Polonia (mentre
suo padre denunciava pubblicamente sin dal 1942 l'impiego del gas
a Mauthausen) appoggia, senza saperlo naturalmente, il tentativo degli
inglesi e degli americani di trovare una scusa alla negligenza con cui
1. Jan Ciechanowski, Defeat in Victory, Garden City, New York, Zurigo 1948.
2. Gola Mann, Deutsche Geschichte des 19. und 20. Jabrhunderts, Francoforte
1960.
441
avevano considerato per anni le informazioni più attendibili sugli stermini in massa. Il loro orrore, la loro ira quando infìne nel 1945 penetrarono nei Lager scaturl non ultimamente da un sentimento di colpa.
Come è possibile conoscere il numero degli ebrei eliminati per mezzo
della «soluzione finale» (che naturalmente non per questo si giustifica)
soltanto perché era stato loro spietatamente e inutilmente negato l'ingresso in altre nazioni? ... un fatto, questo, che costituisce già di per
sé una tragedia. Quando, nel gennaio 1944, il figlio di un ebreo spiegò
alla giornalista berlinese Ursula von Kardorff che esisteva un «tremendo
tribunale penale» istituito dagli Alleati per giudicare i tedeschi dopo
la fine della guerra, questa annotò sul suo diario 1 : «Certo, ci siamo
caricati di una colpa mostruosa, ma responsabili sono anche gli altri,
gli americani e gli inglesi, che hanno reso tanto difficile l'immigrazione
agli ebrei che fuggivano. Essi non hanno nessun diritto di assumersi la
parte dei giudici, come i farisei. Barchen chiese: "Dove erano gli altri
quando gli ebrei dovettero lasciarci la notte del 9 novembre 1938? Chi
ha reso loro tanto difficile l'espatrio da farli rinunciare a ogni tentativo,
lasciando che fossero, dall'inizio della guerra, preda di una esistenza
disumana?" Mi diceva come avesse provato e riprovato invano a far
emigrare un'amica ebrea, i cui fratelli si trovavano già in America.
Raccontava di come avesse peregrinato di consolato in consolato, munita di raccomandazioni di diplomatici e di giornalisti influenti. Aveva
fatto intere ore di coda davanti a quello statunitense. Per tre giorni
consecutivi, per infine sentirsi dire da una segretaria americana, molto
stupita, che non capiva come una tedesca potesse prodigarsi per una
ebrea, quando ciò era proibito!
«Non so se siamo riusciti a convincere il dottor Meier: è disperato,
suo padre, che era ebreo, è morto di fame in un Lager vicino a Darmstadt. Che egli desideri che siamo puniti non deve offenderci. Sui fronti più remoti i migliori cadono per una vittoria, che temo... se Hitler
vince, siamo perduti. E se non vince?»
1. Ursula von Kardorff, Berliner Aulzeichnungen aus den Jahren 1942 bis 1945,
Monaco 1962.
442
Nel 1945 il professor Golo Mann scrisse a proposito degli ultimi
mesi di vita di CarI Goerdeler 1 nell'inverno 1944: «In questi mesi
ci si vergogna del nostro atteggiamento, ci si vergogna della Germania,
degli Alleati...» E ancora, a proposito dell'ultima lettera di Goerdeler
a Klugé: «Se gli americani avessero allora saputo che lettere simili venivano scritte in Germania da uomini eminenti! Se solo si fossero adoperati attivamente per saperlo, e ne avessero tratto serie conclusioni!»
Per quel che riguarda lo sterminio degli ebrei, non avrebbero neppure avuto bisogno di adoperarsi tanto; ne furon informati e riinformati fino alla sazietà. L'ambasciatore Ciechanowski a proposito
dell'est~te 1942 scrive: «La maggior parte degli incredibili particolari sui metodi praticati dalle bande di Hitler per liquidare gli ebrei
era ancora sconosciuta agli americani. Ma, grazie a una ottima rete di
quotidiani contatti con le organizzazioni clandestine, che funzionava
perfettamente, il governo polacco veniva regolarmente informato sugli
avvenimenti. Dalle informazioni che mi pervenivano, che a mano
1. CarI Friedrich Goerdeler (1884·1945), commissario per il controllo dei prezz~
nel Reich dal 1931 al '33; borgomastro di Lipsia, diede le dimissioni in segno di
protesta contro i decreti antisemitici del governo nazionalsocialista; fu il capo più
importante delle forze tedesche clandestine; arrestato dopo la congiura del 20 l~.
glio 1944, condannato a morte e ucciso a Plotzensee dopo prolungate torture, il
2 febbraio 1945.
2. Giinther von Kluge (1882·1944), feldmaresciallo; comandante di gruppo d'armata in Russia e in Francia; ebbe intensi rapporti coi circoli della Resistenza; si
suicidò nell'agosto del 1944 per evitare l'arresto da parte della Gestapo.
Nel luglio del 1943 Goerdeler scrisse a Kluge pregandolo in previsione dell'or·
mai certo sbarco degli Alleati l'anno seguente, e dell'inevitabile avanzata dell'Aro
mata Rossa oltre le frontiere del Reich, di abbandonare la sua abituale prudenza e
unirsi alle forze della Resistenza per assassinare Hitler. Inoltre, imbaldanzito per
una voce comunicatagli da una fonte svedese, che Himmler aveva fatto dei sono
daggi per la pace, scrisse: «Posso anche fare in modo che i signori Goebbels e
Himmler diventino suoi alleati, se lei lo desidera, perché anche costoro hanno ormai compreso da tempo che restando con Hitler sarebbero condannati.» Si veda
Gerhardt Ritter Goerdeler und die deutsche Widerstandsbewegung, Bonn 1954
e J. W. Wheele;.Bennett, The Nemesis 01 Power, Londra 1954 (trad. it. La nemesi
del potere, Feltrinelli, Milano 1957), che contiene una compiuta disamina della
congiura di luglio.
443
a mano passavo al governo americano e alla stampa, e rif~rivo part~­
colaregaiatamente nei numerosi discorsi tenuti in molte città amencane rIsultava chiaramente l'esistenza di un mostruoso piano per lo
ster~inio in massa degli ebrei polacchi e degli altri paesi deportati in
Polonia. Il movimento clandestino di resistenza esigeva che il nostro
governo comunicasse questi dati ai nostri alleati e soprattu~to al .gove:"
no americano. In Inghilterra, se ne occupava il generale Sikorski, e 10
presentavo le informazioni a Washington al Presidente, al Dipartimento di Stato al Capo di Stato maggiore ... »1
Ciechanowshl, che descrive tra l'altro con colori macabri e agghiaccianti la disperata ricerca degli ufficiali polacchi scomparsi - ~ un pri~
mo tempo senza lasciare tracce - e riferisce che 250 .000 ebrei polacchi
erano stati deportati in Siberia, racconta anche di avere tentato invano
già nel 1942 di ottenere da Roosevelt che le grandi po~enze pro~e­
stassero o intraprendessero azioni di rappresaglia contro l massacrl. ..
«Certo a quel tempo non poteva non stupire la diffusa miopia nei confronti degli atti di barbarie che i tedeschi andavano compiendo, e una
certa bonomia nei confronti dei tedeschi in generale. Di ciò ebbi modo
di rendermi conto anche nel corso dei miei rapporti con diversi funzionari americani e con i rappresentanti dell'opinione pubblica statunitense; persino quei funzionari, che avrebbero avuto la possibilità di
informarsi esaurientemente, stentavano a credere che i tedeschi fossero
capaci di simili... orrori. »2
Che un anno dopo la visita di Karski al Presidente, cioè nel 1944,
la popolarità dei tedeschi andasse ancora e decisamente aumentando,
Ciechanowski lo spiega con tre motivi. Primo: «Quanto più aumentava
la certezza nella vittoria finale, tanto più si ridestava nel popolo americano l'innato senso sportivo.» Secondo: «Le elezioni erano imminenti. Gli americani di origine tedesca erano numerosi e rigidamente
organizzati e avevano una certa influenza sulle elezioni.» Terzo: la
popolarità dei tedeschi cresceva «perché cresceva la paura della Rus1. Ciechanowski, op. cito
sia e del comunismo. L'idea che la Germania potesse essere utilizzata,
dopo aver liquidato il nazionalsocialismo, come una comoda barriera
contro l'espansione sovietica andava prendendo sempre più piede. »1
Non sarebbe onesto chiudere gli occhi sul fatto che gli ebrei in corpore
non potevano sperare da parte di nessun popolo (fatta eccezione forse
per i danesi), e né dal Vaticano né dalla Croce Rossa, quell'appoggio
che sarebbe stato offerto a perseguitati non ebrei. Questa è una verità
tremenda. A von Kessel, che al tribunale di Norimberga deponeva a
favore di Weizsacker, fu chiesto:
«Dal momento che lei ha esplicato per un certo tempo la sua attività presso la Croce Rossa e presso il Vaticano, vorremmo pregarla di
esprimere brevemente la sua opinione su due punti. Queste due grandi
organizzazioni umanitarie hanno mai fatto pervenire a Hitler una aperta protesta contro le misure antiebraiche?
R. No, nessuna delle due.
D. Può dirci se un piano del genere fosse mai stato preso concretamente in considerazione dalla Croce Rossa?
R. Sì. Un giorno incontrai a Ginevra un membro del Comitato Internazionale della Croce Rossa, che mi disse: "È accaduta una cosa terribile. Un membro femminile del Comitato esige da noi una protesta
ufficiale contro le persecuzioni agli ebrei in Germania. Ma come possiamo? La Svizzera è circondata da territori soggetti al dominio nazionalsocialista. Se noi protestiamo, Hitler denuncia la Convenzione di
Ginevra e noi siamo costretti a sospendere il nostro lavoro, sia a favore degli Alleati che dei prigionieri di guerra tedeschi, per i territori occupati, come per i bisognosi e gli internati civili. Ci troviamo in
una situazione spaventosa" concluse ... Un paio di giorni più tardi lo
incontrai di nuovo e mi disse: "Grazie a Dio, dopo molte ore di trattative, è stato deciso di non protestare ufficialmente. È una decisione
terribilmente dolorosa per tutti, ma almeno potremo continuare a lavorare." »
La Croce Rossa avrebbe dimostrato uguale fermezza e lucidità se le
1. Ibid.
2. Ibid.
445
444
avessero comunicato, per esempio, che in Germania (come in Giappone) gli equipaggi di aerei alleati, che avevano lanciato il fosforo liquido
sui civili, una volta abbattuti, erano stati uccisi come gli ebrei?
Il 13 dicembre 1942 Goebbels annotava: «Il tema delle persecuzioni
agli ebrei è quello preferito dagli inglesi e americani, e gli viene data
la massima risonanza ... »1 Il 14 dicembre: «Dei rabbini organizzano a
Londra un grande convegno di protesta sul tema "Inghilterra risvegliati!" ... » E il 15: «Gli ebrei indicono a Londra un giorno di lutto
per i presunti orrori nei loro riguardi di cui ci siamo resi colpevoli in
Polonia. Anche in Svezia e in Svizzera il nostro favore è diminuito. »2
Emanuel Ringelblum il 26 giugno 1942 ha registrato nella sua cronaca sul ghetto di Varsavia come un «grande giorno» quello in cui
venne per la prima volta reso noto all'opinione pubblica mondiale lo
sterminio degli ebrei. «Questa mattina Radio Londra ha reso noto il
destino degli ebrei polacchi... Per lunghi mesi abbiamo sofferto perché
il mondo restava sordo e muto di fronte alla nostra tragedia senza
precedenti. Noi davamo la colpa all'opinione pubblica polacca e alle
persone che dovevano tenere i contatti con il governo polacco in
esilio.» Cos1 scrive il cronista, che nel marzo 1944 venne ucciso con
tutta la sua famiglia. «Perché non si è fatto sapere al mondo che gli
ebrei in Polonia vengono sterminati? È stata intenzionalmente taciuta
la nostra tragedia, perché non restasse in ombra la loro ... La trasmissione
di oggi ha messo il suo peso sulla bilancia: è stato comunicato il numero degli ebrei uccisi sino ad oggi: 700.000. »3
Lo storico Léon Poliakov, che vive a Parigi e che ha tradotto in
francese la Cronaca di Ringelblum conferma in una lettera all'autore che: «Le informazioni sullo sterminio degli ebrei in Polonia vennero trasmesse ufficialmente al Vaticano nel giugno 1942.»
Sulla vastissima attività del servizio informazioni vaticano a favore
1. Goebbe1s, op. cit., p. 328.
2. Ibid., p. 333.
3. Dallo «Spiege1», 1960.
446
dei fuggiaschi e dei prigionieri di guerra negli anni 1939-1946 ci informa l'Aperçu sur l'oeuvre du Bureau d'Informations Vatican pubblicato nel 1948 dalla Tipografia Poliglotta Vaticana. Ad ogni modo
si legge in tutti i testi su Pio XII e sul Vaticano che la Santa Sede era
l'istituzione più informata della terra. Cos1 pure si legge in Bernard
1
Wa1l : «Dove nessun agente segreto di una grande potenza ha messo
mai piede si trova sempre un prete. Egli avvicina persone di ogni classe
sociale e, non essendo sposato e quindi libero da ogni impegno familiare, può dedicarsi totalmente ai propri compiti. Al di là della cortina
di ferro vivono molti preti, in prigione e in campo di concentramento,
ma vivono anche molti sacerdoti che sono stati recentemente rimessi
in libertà. Tutte le informazioni giungono a Roma, dove vengono scrupolosamente registrate... L'invasione di Hitler in Russia non è stata
una grande sorpresa per il Vaticano; pare che i gesuiti avessero avuto
da tempo notizia dei preparativi dal loro Padre provinciale in Polonia.»
Possiamo considerare l'Arcivescovo di New York, il Cardinale Spellman, che come cappellano militare americano viaggiava per tutto il
mondo, e che sostò più volte a Roma, il miglior informatore che il
Papa avesse durante la guerra. Nel 1949 Herbert Tichy2 scriveva nella
sua opera sul Vaticano: «Con ogni probabilità il Vaticano conosceva a
quel tempo straordinariamente bene (non solo grazie all'intraprendenza
di Spellman) la maggior parte dei segreti delle potenze in guerra. Nel
febbraio 1943, cioè due anni e mezzo prima di Hiroshima, il Papa,
in una prolusione all' Accademia Pontificia, accennò alla bomba atomica.
"Sappiamo" disse "che un atomo di uranio bombardato con dei neutroni si disgrega, libera altri due o più neutroni, che a loro volta distruggono altri atomi di uranio, creando una onda di energia. Un me.
tro cubo di ossido di uranio può sollevare un miliardo di tonnellate
ad una altezza di 27 chilometri... È importante che la liberazione di una
simile inimmaginabile energia venga controlJ.ata chimicamente onde
evitare la distruzione del nostro pianeta." »3
1. Bernard Wall, Report on the Vatican, Londra 1956.
2. Herbert Tichy, Auf einem Hugel der Ewigen Stadt Vienna 1949.
3. Quanto il Vaticano fosse ben informato lo dimostr~ un articolo di Pinchas
447
Weizsacker nelle sue memorie espone le cose in modo da far pensare
che fu inviato ambasciatore in Vaticano per l'unico motivo che non solo
Ribbentrop, ma anche Hitler stesso intendeva liberarsi di lui. Questa,
dopo la guerra, poteva essere la versione più comoda. Ma non è certo
verosimile. Hitler era preoccupato per le voci secondo cui Mussolini non
avrebbe più resistito a lungo. Tuttavia aveva impedito che fosse istituito
un servizio di sicurezza in Italia per fairness verso il Duce. Non stimava
il suo ambasciatore al Quirinale in grado di dominare la situazione diplomaticamente o di fornire informazioni esatte. E questo sarebbe bastato a rendere l'invio a Roma di Weizsacker una misura rassicurante.
Ma c'era un'altra ragione: chi legge Goebbels e vede come lo preoccupasse il problema, che sottopose anche a Hitler, di scoprire se con
questo Papa «ci fosse qualche cosa da fare» per ciò che riguardava
una mediazione di pace, non potrà certo credere che Weizsacker sia
stato trasferito alla Santa Sede solo per giocare a bocce. Egli stesso
probabilmente era già deciso, alla fine del '43, a non mediare un compromesso tra la Germania di Hitler e le potenze occidentali, ma ad intervenire come mediatore di pace solo per una Germania senza Hitler.
Il 29 dicembre 1943 scriveva ad un amico intimo in Germania: «CarI
Friedrich sta bene. Potrebbe essere anche un po' più attivo; glielo ho
detto anch'io. Ma naturalmente Carl costituisce per lui un ostacolo, o
per lo meno ostacola il buon esito delle sue fatiche. Non c'è proprio
nulla da fare?» Con «CarI Friedrich» intendeva il Papa, «CarI» era
Hitler.
Il professor Leiber scriveva: «Sugli eventi in Germania il signor
E. Lapide in «Die Zeit», 3l marzo 1963, che parla di un incont:o t~a ~io XII e
von Ribbentrop: «L'H marzo 1940, von Ribbentrop, nel corse:' di un ~die~a ~­
ciale, vantò per qualche te~po. "l'in~incibil!-tà del Ter~o ~~Ich",. "l'ln:vltab~t~
della vittoria tedesca" e cerco di conVlncere il Papa delllnutilità del SUOI tentat1v~
di negoziare coi nemici del Fiihrer. Il Papa lo ascoltò gentilmente, ma senz~ d~rgli
confidenza. Poi apri un enorme incartamento che si trovava .sul. suo .SC:lttOIO e
cominciò in perfetto tedesco, a leggergli la lista delle persecuzlOru razziali a~ate
dal reg~e nazista. Diede data, luogo e particolari precisi di ogni delitto .. L'udienza
terminò con un breve cenno del capo. L'atteggiamento del Papa era chiaro.»
448
von Weizsacker, soprattutto finché tenne l'incarico di ambasciatore,
fu, per ragioni molto comprensibili, assai riservato ... »1
Ciò corrisponde a quanto mi raccontò uno dei pochi amici superstiti dell'ammiraglio Canaris, il quale durante la guerra aveva parlato
in Vaticano per ben due volte dello sterminio degli ebrei. In ciò Canaris
costituisce un'eccezione: la maggior parte degli esponenti della resistenza interna tedesca (e così Weizsacker) ha coscientemente evitato di
esporre al mondo la gravità dei delitti commessi in nome della Germania, per non rovinare all'estero ogni possibilità di compromesso.
Eppure si sarebbe dovuto capire che il mondo identificava ormai i tedeschi con i nazisti. Ma, come dopo la sparizione di Hitler avrebbe
dovuto sussistere il fronte perché restasse alla Germania la possibilità
di negoziare, così non doveva esser conosciuto un numero di delitti
maggiore di quello che era già noto perché i tedeschi venissero ancora
considerati in qualche modo degni di trattare.
Oggi si rimprovera continuamente agli inglesi e agli americani di
non essere stati troppo ben disposti verso i circoli di opposizione in
Germania, ma si tace la raffinatezza con cui Heydrich e Schellenberg
ingannarono e danneggiarono il Secret Service con l'«incidente di Ven10»2 nel tardo autunno del 1939. Come era possibile risvegliare per la
seconda volta negli inglesi la fiducia nella caduta del regime hitleriano
per opera di alti ufficiali tedeschi?
Il polimorfo e sfaccettato carattere di Weizsacker da un punto di
vista artistico è uno dei più affascinanti della storia di quest'epoca;
sarebbe imperdonabile quindi dare a questo personaggio, in un dram1. Robert Leiber, Pius XII und die Juden in Rom 1943-44. In «8timmen der
Zeit», fascicolo 167, Friburgo 1960-61.
2. L'8 novembre 1939 nel Biirgerbraukeller di Monaco esplose una bomba
pochi minuti dopo che Hitler aveva lasciato il locale. Il giorno seguente Schellenberg, fingendo di essere il portavoce di un gruppo di generali tedeschi che volevano abbattere il regime hitleriano, riusd ad attirare due agenti dello spionaggio
britannico a Venlo in Olanda, dove vennero rapiti e condotti in Germania per
essere accusati di complicità nell'attentato. Si veda: Shirer, The Rise and Fall oi
the Third Reich, 1959; ediz. itaI.: Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino 1962,
pp. 709 e sgg.
449
ma, una parte secondaria: perciò si è preferito lasciarlo completamente
al di fuori.
Egli è tra i primi a sapere, per bocca di Canaris, delle uccisioni in
massa degli ebrei; più tardi diventerà intimo amico del capo dello spionaggio, che va considerato fra i tre o cinque tedeschi indubbiamente
meglio informati dell'era hitleriana. Trott zu SOlzl disse davanti a
Freisler,2 sapendo Weizsacker al sicuro in Vaticano, che il Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri era stato il capo della congiura contro Hitler nella Wilhelmstrasse. Ma malgrado questa e altre prove della
sua attività d'oppositore del regime, Weizsacker agì diverse volte con
grande spietatezza: quando, per esempio, l'inviato svedese supplicò che
gli fosse concesso di condurre in Svezia gli ebrei norvegesi che stavano
per essere deportati ad Auschwitz, Weizsacker riferì la cosa a Ribbentrop affermando di essersi rifiutato anche soltanto di discutere l'argomento. Poliakov e Wulf hanno riprodotto alcuni documenti dell'ottobre 1942, secondo i quali Weizsaclcer obbligò il ministro ungherese
ad acconsentire al «trasferimento» a est degli ebrei che tendevano
a «creare una situazione di panico»; parve inoltre che Luther, il principale responsabile al Ministero degli Esteri delle deportazioni degli
ebrei dai diversi paesi d'Europa aveva, di volta in volta, «sottoposto
L.'1 precedenza perché fossero approvati» a Weizsacker «i passi che dovevano essere intrapresi». Weizsacker stesso scrive che per non lasciare
niente di intentato aveva sollecitato Ribbentrop, quando nell'autunno
1941 era venuto a sapere dei massacri, «a promuovere una protesta
generale contro simili orrori. Non ho mai più saputo che cosa se ne sia
fatto. In linea di massima il problema ebraico veniva per me assorbito
in quello pill grande, generale: come arrivare al più presto ad una pace
senza Hitler? »3 È concepibile un individuo che, venuto a conoscenza
1. Uno dei principali membri del circolo di Kreisau e della congiura del 20 luglio 1944; impiccato il 25 agosto 1944.
2. Roland Freisler, temuto presidente della Corte Popolare, un uomo che Shirer
descrive come «forse il più sinistro e sanguinario nazista del Terzo Reich dopo
Heydrich». Si veda: Shirer, op. cit., p. 1103.
3. Von Weizsacker, op. cito
450
che nell'Europa orientale gli ebrei venivano sterminati 10 massa, presenta una protesta e, visto che rimane senza risposta, tace per due anni
interi pur essendo corresponsabile degli ordini di deportazione a oriente, o che giunge a spingere i diplomatici stranieri a deportare i loro
compatrioti ebrei? «L'essere fraintesi» così Weizsacker riassume altezzosamente la sua attività berlinese «fa parte dei rischi della carriera diplomatica. A chi non sa capirmi da sé, io non ho niente
da dire. »1
«I miei consigli, sin dall'estate del 1938, non riguardavano altro che
la necessità di allontanare Hitler» scrive W eizsacker. Ma provocando
lo stupore di Beck dichiarava, e non ai dodicenni della Hitlerjugend,
bensì ai diplomatici tornati dall'America il 20 maggio 1942, nella
Kaisersaal del Frankfurter Romers: «Se avete superato al di là dell'oceano il rombo dei tamburi e le menzogne della propaganda nemica,
se vi siete resi conto come i nostri nemici conducano una guerra di
parole, potete ora constatare che noi, qui in Germania, conduciamo
una guerra di fatti. Non sperimenterete nessuna American way of life;
qui impera ancora il vecchio buon sistema tedesco di prendersi cura
delle cose. Da noi non esistono deliberazioni parlamentari, da noi impera il Fuhrerprinzip. Qui non esistono "chiacchiere davanti al camino"; ma troverete piuttosto: iniziativa, forza di volontà, ordini, robusta aggressività e colpi contro il nemico ... Per noi vale solo quello che
il Fi.ihrer comanda; la sua volontà è la nostra volontà, la sua fede nella
vittoria è la nostra fede nella vittoria.»
Già nel settembre 1941 Ribbentrop fece sapere a Weizsacker la sua
intenzione di trasferirlo presso la Santa Sede. Quando poi, un anno
dopo il discorso succitato, Weizsacker presentò le sue credenziali a
Roma perché secondo lui il Vaticano offriva «le migliori possibilità per
svolgere un'opera di convincimento e un buon posto di vedetta», dichiarò che la Curia aveva «perso ogni interesse per il nostro governo ».
Tale affermazione può essere legittimamente messa in dubbio, come
pure il contenuto dei discorsi di Pio XII con l'ambasciatore di Hitler,
1. Ibid.
451
finché questi verranno tenuti segreti «secondo il buon costume della
Curia». Goebbels ad ogni modo non considerava l'ambasciata presso la
Santa Sede una sinecura, e Weizsacker stesso, durante la sua visita di
commiato, dichiarò a Hitler che, in un certo senso, poteva dire di
andare in territorio nemico. Dal diario di Goebbels si può desumere
che proprio in questo periodo il Vaticano non gli era affatto indifferente. Disse a Weizsacker che quel posto alla Santa Sede «non lo avrebbe affidato nemmeno a se stesso ». Weizsacker rispose: «Ma io a lei
s1» ... «il che concluse la nostra conversazione in un'atmosfera di pungente allegria. »1 Le parole del Papa durante il primo incontro, dopo la
consegna delle credenziali, parole «pesanti di rimprovero », «contrariamente a quanto si usa non sono mai state pubblicate». Weizsacker
fa sorgere almeno il sospetto che ci fossero sotto molte cose.
Il padre gesuita professor Leiber, intimo del Papa, ha pubblicato
in «Stimmen der Zeit» (marzo 1961) un ~aggio su Pio XII e gli ebrei
a Roma. Spunto per il suo lavoro storico fu la pubblicazione del volume fotografico Der gelbe Stern in cui è riprodotta la lettera di
Weizsacker del 28 ottobre 1945 (si veda la fine del dramma). Aggiungiamo qui alcune integrazioni al saggio del professor Leiber.
Si trattava di una scusa quando Weizsacker scriveva: «Poiché
qui a Roma non potevano più essere intraprese azioni tedesche in
merito al problema ebraico.»
Non è solo padre Leiber a confermare che le persecuzioni agli
ebrei «durarono sino alla ritirata dei tedeschi da Roma il 4 giugno
1944 ». Quella di Pio XII non è quindi stata una deficienza momentanea: ha infatti assistito in silenzio per quasi nove mesi alle razzie
di vittime davanti alla sua porta. Si consideri la situazione strategica
di allora: il 13 ottobre il governo Badoglio aveva dichiarato guerra a
Hitler; il 16 ottobre 1943 gli americani avevano già passato il Volturno. È quindi inammissibile che il Vaticano potesse ancora temere
seriamente Hitler. In Vaticano è stato più volte confermato a chi
1. Ibid.
452
scrive, che nessuno alla Santa Sede pensava allora tanto stupido Hitler
da occuparla e da rapire il Papa in una cattività avignonese, anche se
molte voci di questo genere circolavano allora esaltando gli animi semplici. L'offerta fatta alla Curia di emigrare in Sudamerica per la durata dell'occupazione di Roma non fu discussa seriamente neppure per
un quarto d'ora. Hitler sfogando tra i suoi intimi l'ira e la delusione
per l'arresto di Mussolini, avvenuto quasi immediatamente dopo il
loro incontro, si è per un attimo soffermato sull'idea «di considerare,
tra i responsabili contro cui agire a Roma, anche il Vaticano». Era stato
comunicato al Quartier Generale che il Vaticano svolgeva una frenetica attività diplomatica. Himmler (riferisce Schellenberg), Goebbels
e Ribbentrop (scrive Goebbels) si opposero subito «risolutamente».
«Non credo sia necessario entrare in Vaticano; d'altra parte reputo
che una misura di questo genere sia straordinariamente nociva alla
realizzazione dei nostri progetti nel mondo.» Goebbels completò lo
stesso giorno questa nota del diario: «Ad ogni modo ora sono tutti
d'accordo, anche Hitler, che prendendo le misure opportune si faccia
eccezione per il Vaticano.» Prima che i tedeschi occupassero Roma nel
settembre, il Vaticano chiese ufficialmente, tramite Weizsacker, se gli
sarebbero stati garantiti i suoi diritti. Hitler fece rispondere affermativamente. Dopo l'ingresso dei tedeschi il comandante della città, generale Stahel, si mise in contatto con il Vaticano e dispose delle sentinelle che «avevano l'ordine di impedire ogni offesa alla Città del
Vaticano ». Grazie a questa mossa, beninteso, diventava difficile per
i fuggiaschi rompere il cordone di protezione senza un lasciapassare.
L'ambasciatore tedesco al Quirinale, Rahn, che nelle sue memorie
esagera non poco l'importanza della sua opera per difendere il Vaticano da Hitler, chiudeva così il suo rapporto al Quartier Generale
sulla situazione nella Roma occupata: «" Inoltre ho dimenticato di
informare che, tramite il generale Stahel, ho concluso un piccolo concordato speciale con il Vaticano." Bormann, l'acerrimo nemico della
Chiesa cattolica, balzò in piedi e Hitler mi guardò stupefatto. Come
se si fosse trattato di un bilancio commerciale li informai sui ment1
del Vaticano nel ristabilire la pace e l'ordine in Roma, operazioni
453
per cui le due uniche compagnie di polizia che avevamo a disposizione non sarebbero mai state sufficienti. Era quindi stato necessario
preoccuparsi che la persona del Papa, il clero romano e i beni della
Chiesa fossero protetti ad ogni costo. "È un affare" conclusi "e il
saldo è positivo sia per noi che per il Vaticano." Il tono sembrava
scelto bene. Hitler disse: "Già, di affari i signori romani se ne intendono." »1
La maggior parte degli ebrei italiani si era rifugiata per tempo
nel sud, presso le truppe americane. Delle Pontificie Opere di Assistenza, quella di S. Raffaele organizzò l'espatrio in America di 1.500
ebrei; altri 4.000 vennero nascosti in conventi.
Il professor Leiber scrive che, alla luce di questi aiuti, la lettera
di Weizsacker al Ministero degli Esteri rivelava un aspetto diverso. Che
il signor Weizsacker trovasse «penose» le deportazioni, è penoso
da constatare. La soddisfazione perché il Papa non aveva protestato
risalta in modo cosi chiaro dalla sua lettera, che veramente nessuno
avrebbe potuto sospettare il mittente di appartenere alle forze d'opposizione a Hitler. Chi, a Berlino, avrebbe potuto scoprire gli intrighi
di Weizsacker - che fra l'altro nelle sue memorie non dedica una
riga alla deportazione degli ebrei da Roma - se nella sua lettera
avesse drammatizzato, esagerandolo, lo «sdegno» del Papa, se avesse
fatto credere che Pio XII avrebbe reagito con estrema decisione contro
i carnefici? Eppure egli fece il contrario.
Con il suo ironico accenno alle inutili chiacchiere dell'« Osservatore Romano» Weizsacker tranquillizzò Berlino al punto che a Roma
fu data la caccia agli ebrei per otto mesi, ogni volta che piaceva ai
tedeschi di farlo. La lettera metteva anche fortemente l'accento sull'abilità diplomatica dell'ambasciatore nel trattare con il Santo Padre.
Il fatto che Weizsacker l'abbia inviata a Berlino riesce ancora più
incomprensibile, quando si legge che dieci giorni prima, cioè all'inizio
degli arresti, egli scriveva spontaneamente al Ministero degli Esteri
1. Rudolf Rahn, Ruheloses Leben. Aufzeichnungen und Erinnerungen, Diisseldorf
1949.
454
che la Curia era rimasta molto impressionata, che il Papa veniva forzato a uscire dalla sua riservatezza, e che la propaganda nemica creava
«discordia tra noi e la Curia ». Perché dunque, in seguito, togliere a
Berlino anche quest'ultima paura nei confronti di Pio XII?
È troppo semplice attribuirgli di aver voluto dimostrare a Berlino
quanto fosse importante la sua attività di ambasciatore, dal momento
che questo cambiamento di umore del Vaticano doveva essere necessariamente attribuito alla sua influenza. Ma esiste un'altra spiegazione
se si ammette che Weizsacker veramente non volesse le deportazioni?
Come s'è già detto, Canaris nell'autunno 1941 lo aveva informato
degli stermini in massa degli ebrei per cui, alla sua espressione: «destinato al lavoro in Italia », non deve aver creduto egli stesso. Tra
l'altro si sa che seguiva i notiziari alleati. Notoriamente erano deportati soprattutto donne e bambini, e gli uomini in numero molto minore.
Per lavorare? Sembra piuttosto improbabile che Weizsacker non avesse
saputo che nell'ordine d'arresto degli ebrei, avuto dal capo delle SS
Kappler da Berlino, si parlava expressis verbis di «liquidazione». Il
console Moellhausen, dell'ambasciata al Quirinale, che era stato redarguito per aver usato il termine «liquidare» in un telegramma di ufficio,
raccontò al consigliere di legazione von Kessel, intimo collaboratore di
Weizsacker, di essere intervenuto a favore degli ebrei, e ambedue rimasero sollevati all'idea che questi potessero riscattarsi con denari contanti, e che cosi sarebbero stati almeno «risparmiati fisicamente ».
Von Kessel, che certamente lo aveva raccontato a Weizsacker,
affermò a Norimberga davanti alla Corte di Giustizia: «Se egli (il
Papa) non ha protestato, non lo ha fatto perché giustamente si è
detto: se protesto io, esaspero Hitler. E cosi gli ebrei non solo non
verrebbero aiutati, ma bisogna supporre che verrebbero massacrati
peggio di prima.» Durante gli arresti del 1943 von Kessel era di altro
avviso. Si dice oggi in Vaticano che egli era l'unico fidato e deciso
antinazista all'ambasciata germanica. E come tale anche si comportò
assieme al segretario di legazione Gerhard Gumpert del dipartimento
economico dell'ambasciata tedesca al Quirinale. Gumpert si accordò con
von Kessel perché il Generale dell'Ordine dei Salvatoriani, Pancrazius
455
Pfeiffer, portasse una lettera al comando tedesco della città, in cui si
minacciava «per la prima volta dall'inizio della guerra» una decisa
presa di posizione da parte del Papa. Il Vescovo Hudal, rettore della
chiesa cattolica tedesca a Roma, sottoscrisse subito questa lettera, senza
nemmeno chiedere istruzioni ai suoi superiori e richiese «che questi
arresti vengano sospesi immediatamente sia a Roma che nelle vicinanze; altrimenti temo che il Papa assumerà pubblicamente una posizione ostile, il che potrà servire alla propaganda nemica come arma
contro noi tedeschi». Anche questa lettera soltanto - cui non se ne
può affiancare nemmeno una uscita dalla penna di un vescovo italiano,
dal momento che mai un vescovo italiano ha protestato apertamente
contro le persecuzioni degli ebrei - dovrebbe bastare per difendere
il vescovo Hudal, che vive oggi una vita molto ritirata a Grottaferrata,
dalle calunnie che vogliono colpirlo semplicemente perché in principio
si era lasciato buttare la sabbia negli occhi da Hitler, come d'altronde
quasi tutto il clero. Hudal nascose degli ebrei anche nel convento
dell' Anima.
Gumpert cita questa lettera del vescovo nel suo rapporto al Ministero degli Esteri a Berlino. Anche Weizsacker vi allude nella sua lettera del 17 ottobre 1943. Tuttavia in questa lettera, affermò Gumpert
quando fu chiamato a deporre a suo discarico, non esigeva «esplicitamente l'immediata sospensione delle deportazioni di ebrei».
Per definire il fatto che Weizsiicker, dieci giorni dopo, abbia inviato quella lettera per tranquillizzare il Ministero degli Esteri ... manca
il termine appropriato.
Egli arrivò persino a «consigliare» il Vaticano a vantaggio di Hitler.
In proposito Gumpert dichiarò a Norimberga: «Quando più tardi mi
congedai da Weizsacker, perché ero stato trasferito all'ambasciata in
alta Italia, egli tornò su quel fatto e si espresse testualmente cosÌ:
"Questo è stato un altro bel pasticcio." Dopo i rapporti, a Berlino si
erano sentiti gelare e avevano sospeso immediatamente le deportazioni. E aggiunse: "Posso anche dirle che ho parlato molto confidenzialmente con Montini (allora sottosegretario di Stato) e gli ho fatto
capire che una presa di posizione del Papa sarebbe servita solo a fare sÌ
456
che le deportazioni fossero perseguite con più zelo. Conosco le reazioni
di quella gente. E Montini era d'accordo con me."»
È un vero pantano: Kessel, il suo più stretto collaboratore, si
adopera per forzare il Vaticano a uscire dal suo riserbo. Quando
finalmente un vescovo tedesco entra in campo, Weizsacker fa sua
questa richiesta. Minaccia Berlino con una presa di posizione del Papa,
in cui scorge evidentemente anche lui uno spauracchio. Nello stesso
tempo però dice al più intimo collaboratore del Papa, che una dichiarazione del Santo Padre «sarebbe servita solo a fare sÌ che le deportazioni fossero perseguite con più zelo». E Montini, e quindi il Papa, se
lo lasciano dire sin troppo volentieri pur sapendo, come a Roma sa ogni
bambino, che i primi ebrei sono già stati caricati sui vagoni; che le
razzie in un modo o nell'altro proseguono, e che dunque le parole di
Weizsacker ... sono, a dir poco, inconsistenti.
Quando alla fine della settimana seguente (25-26 ottobre) l'«Osservatore Romano» comunica che 1'« opera assistenziale paterna e universale del Papa ... non conosce confini», i primi 615 romani sono già
arrivati da un giorno ad Auschwitz e, di questi, 468 sono già nel
crematorio.
Padre Leiber afferma che Pio XII non ha protestato, perché «in
realtà vedeva le cose in una prospettiva più vasta ». Ma quando il
professor Leiber riferisce che in Romania furono sospese le deportazioni dopo l'intervento del Nunzio locale, conferma la tesi del
dramma, e cioè che Hitler faceva sospendere gli eccidi, non appena
rappresentanti della Chiesa tedesca (operazione eutanasia) o il Vaticano, rappresentato da un Nunzio, assumevano una posizione decisa.
In questi casi Hitler è tornato indietro, ogni volta, senza eccezione.
Per questo Leiber non convince assolutamente, quando conclude che
una parola decisa da parte del primo tra tutti i cristiani a favore di
questi interventi isolati avrebbe «condannato con ogni probabilità i
tentativi al fallimento». Al contrario!
Tra l'altro, leggendo la sua opera, per il resto tanto obiettiva, non
bisogna cadere nell'opinione erronea che le SS abbiano terrorizzato il
457
clero romano. Le SS sapevano benissimo che molti conventi erano stati
trasformati in rifugi per gli ebrei perseguitati. Sapevano persino che
da S. Giovanni in Laterano il generale italiano Bencivenga trasmetteva
messaggi radio agli Alleati, e che dalla Casa Tedesca al camposanto
teutonico un agente americano aveva stabilito un collegamento radio.
Malgrado questi abusi negli edifici religiosi, Kappler si guardava bene
dall'irrompere in sedi extraterritoriali. Si verificavano, s'intende, delle
eccezioni: il rettore dell'Istituto Biblico pontificio, professor August
Bea, si lagnò con Weizsacker perché, nell'ottobre 1943, cinque uomini
delle SS avevano cercato nel suo Istituto un suo domestico «che era
stato ebreo ».
La peggiore e più grave invasione di un istituto pontificio va
attribuita alla milizia fascista, una banda guidata da quel brutale predone che fu Koch, giustiziato dopo la guerra. Anche l'invasione attribuita da Padre Leiber alle SS tedesche, di San Paolo fuori le mura,
deve essere stata operata dalla banda Koch.
Ad ogni modo nello stesso mese, allorché la stampa straniera diede
notizia degli atti vergognosi compiuti a Roma e inventò, disperata
probabilmente per la delusione subita in seguito al comportamento
passivo del Papa, che i tedeschi tenevano il Santo Padre quasi prigioniero, la Curia diramò sulla prima pagina dell'« Osservatore Romano»
un comunicato ufficiale. «Questo riconosceva alle nostre truppe» dice
Weizsacker con soddisfazione «di aver rispettato la Curia e il Vaticano. Da questo comunicato risultava che avevamo promesso di agire
ugualmente anche in futuro. »1
Così scriveva 1'«Osservatore Romano» nell'ottobre 1943, il mese
dell'orrore: il signor von Weizsacker non poteva certo piazzare meglio
la sua risposta allo sdegno degli Alleati per la situazione romana come
era stata dipinta dalla stampa mondiale.
Weizsacker conservava il suo posto per evitare il peggio; il Papa
taceva, scrive Leiber, per evitare il peggio ... come è possibile affer-
1. Von Weizsiicker, op. cito
458
marlo, quando un peggio peggiore di ciò che è stato, peggiore della
più vasta battuta di caccia all'uomo della storia d'Occidente, non è
neppure concepibile! Leiber e Giovannetti affermano che un Papa non
può stigmatizzare, facendovi espresso riferimento, le malefatte e delitti di una parte in guerra, perché un simile intervento verrebbe
sfruttato dalla propaganda avversaria. Ma Pio XII ha invece condannato i fatti che lo toccavano sul vivo con riferimenti precisi e ben
diretti. Per esempio, ha scritto personalmente a Roosevelt in seguito
al bombardamento di Roma e ha protestato per la distruzione di San
Lorenzo. Ha protestato anche contro il lancio di bombe, un atto inutile
e vile, di Via Rasella, per cui morirono 33 soldati tedeschi, in maggior parte altoatesini, che certamente non portavano volontariamente
la divisa di Hitler, e lO italiani, fra cui 6 bambini. Ma allora perché,
in seguito, non ha condannato anche la delittuosa rappresaglia per
questo attentato, e cioè la uccisione di 335 ostaggi, o la caccia agli
ebrei? Ma soprattutto come poteva una protesta contro lo sterminio
degli ebrei avere il valore di una scelta parziale negli avvenimenti della
guerra? Che cosa hanno a che fare le misure di Hitler per lo sterminio
di un intero popolo in Europa con la seconda guerra mondiale? Accaddero e furono possibili in quel momento perché la Wehrmacht
tedesca aveva assoggettato a Hitler l'intero continente. H anno forse
deciso le sorti di una battaglia? Auschwitz e le gigantesche fosse
comuni di civili fucilati sono campi di battaglia? Entrambe le parti
si sono rese colpevoli di iniqui delitti bombardando città aperte, hanno lasciato morire di fame i prigionieri e li hanno uccisi senza
esitazione: in questi casi era giusto reagire come Papa Benedetto XV
nella prima guerra mondiale, e cioè, come scrive Leiber, «intervenire
con una protesta contro l'ingiustizia e la violenza dovunque avvenissero», anche a costo di doverlo fare con parole aperte e non sibilline.
Ma sia la «soluzione finale » che 1'« operazione eutanasia» non possono
rientrare tra le colpe di una potenza in guerra. Non si può dare contributo maggiore a una leggenda sorta per difendere Hitler, che includendo il suo piano di gasare un intero popolo nell'ambito delle
azioni di guerra e dei delitti - purtroppo e necessariamente - sempre
459
e dovunque ad essa legati. E anche la scomunica dei comunisti att1v1,
che a dire il vero forse oggi il suo saggio e umanissimo successore
giudica una ipoteca, non dimostra che Pio XII, quando lo voleva,
poteva essere più che esplicito nel campo politico?
E se padre Leiber commenta la sua cronaca scrivendo che «la
Provvidenza ha affidato la guida della Chiesa negli anni di guerra a
Pio XII, e non a Pio XI », proprio perché, contrariamente al suo
vivace predecessore, non era facile convincere Pacelli a prendere pubblicamente una posizione, noi, non esperti delle cose della fede, non
possiamo che considerare stupiti e silenziosi simili criteri che governano
il Creato.
E tuttavia non si può fare a meno di chiedersi se la morte di
Pio XI alla vigilia della guerra non abbia costituito un dramma senza
precedenti per la cristianità e una tragedia per le vittime di Hitler.
Pio XI era un vero uomo. Nelle elezioni per il suo successore pare che
alcuni cardinali fossero da principio contrari: «Pacelli è un uomo di
pace» pare abbiano detto (secondo quanto riferisce Tardini) «e il mondo ha bisogno di un Papa di guerra.»
Si fossero imposti! Non si legge senza commozione il resoconto
di una delle ultime udienze concesse da Pio XI, già debole e assai
vicino alla morte, al primo ministro Chamberlain e a Lord Halifax.
Il «Times» scriveva nel febbraio del 1939: « ... e poi il Papa disse
loro ... quello che pensava dei regimi reazionari e dei doveri della
democrazia, delle persecuzioni razziali e delle urgenti necessità di aiutare i profughi... Indicò un dittico con i ritratti di Thomas More e
del Cardinale John Fisher, due inglesi, diceva, cui pensava spesso:
"Mi siedo qui e penso agli inglesi, e mi compiaccio di credere... che
costoro rappresentassero il meglio della loro razza con il loro coraggio, la loro decisione, la loro prontezza a combattere, a morire
se necessario, per ciò che essi ritenevano giusto. Vorrei credere, anzi
ne sono sicuro, che queste due qualità: il coraggio e la prontezza,
siano ancora vive fra gli inglesi. Me lo concedete?" Tutti tacevano
commossi dalle parole di quel vecchio .. . Passò quindi a considerare i
problemi e le battaglie che li attendevano. Affermò che i problemi
460
incombenti erano molti e forse più gravi di quelli che altre epoche
avevano dovuto affrontare. Il loro compito era duro... "ma sapete
meglio di me quali siano le qualità della razza inglese ... "»
Era un testamento, un inequivocabile avis au lecteur all'indirizzo
di Hitler, che si apprestava appunto a marciare su Praga. Chi avrebbe
mai sentito parole così aperte da Pio XII che, subito dopo l'arrivo di
Hitler sullo Hradsin, diceva al conte Ciano di voler iniziare nei
confronti della Germania una politica più condiscendente di quella del
suo predecessore? Questo è Pacelli, come lo conobbe Briining, il Cancelliere del Reich, quando lo pregò, nella sua qualità di Nunzio, di
non immischiarsi negli affari interni tedeschi, e Pacelli si mise a piangere. Fra tutti i discorsi, che egli ebbe estrema cura di rendere ermetici,
di questo Papa che parlava di continuo, non si troverà una sola frase
la cui pregnanza si avvicini a quella di Achille Ratti già segnato dalla
morte, e al cui trapasso Mussolini esultò: «Finalmente è morto, quest'uomo dal collo rigido!» Mentre si rallegrò come i nazisti per l'elezione di Pacelli.
Per la morte del Papa, nel 1958, la tlV1sta ebraica di Parigi
«L'Arche» pubblicò Les silences de Pie XII, un saggio estremamente
aggressivo, in radicale contrasto con gli altri necrologi. In esso si sosteneva persino che il tradizionale antisemitismo della Chiesa, che affondava le sue radici nel Medioevo, era stato uno dei motivi del silenzio di Pio XII. Rabi, l'autore, avvalorò questa tesi descrivendo il com·
portamento del clero francese e del Vaticano nei confronti delle . leggi
antiebraiche della Francia di Vichy: la Chiesa, è vero, si era pronunciata in nome della charitas contro le persecuzioni fisiche agli ebrei,
ma aveva approvato una discriminazione sociale in nome della giustizia.
Fu citato Tomaso d'Aquino ...
Nel Vicario, invece, si parte dall'ipotesi che Pio XII e il suo clero
non nutrissero sentimenti antisemiti, dato che abbiamo voluto attenerci solo ai fatti dimostrabili. Per questo, dalla relazione del banchiere Angelo Donati, cui molti ebrei devono la loro salvezza, non riportiamo le amare esperienze personali che quel valoroso ebbe con alcuni
461
preti durante il periodo delle persecuzioni: queste vengono perfettamente controbilanciate dai numerosi e generosi interventi di altri religiosi. Va invece riportato ciò che Donati riferl al Centre de Documentation Juive Contemporaine (documento CCXVIII-78) sul comportamento ufficiale dei diplomatici della Santa Sede. Nell'auttmno
del 1942, Donati fece pervenire al Papa, tramite il Generale dell'Ordine
dei Cappuccini, una nota sulla situazione degli ebrei nel sud della
Francia, pregandolo di dare il suo appoggio, che mancò completamente.
Nell' agosto 1943 l'inviato inglese presso la Santa Sede, Sir Osborne, gli disse che nel corso dell'anno 1942 aveva fatto pregare più volte
il Papa di pronunciare una pubblica condanna dei delitti tedeschi. Sir
Osborne riferl a Donati, dopo il messaggio natalizio pontificio del
1942, che condannava in forma generica le atrocità della guerra, che
il segretario di Stato Cardinale Maglione gli aveva detto, durante una
udienza: «Vede che il Santo Padre ha tenuto conto delle raccomandazioni del suo governo.» Sir Osborne rispose che una condanna tanto
generica da poter comprendere anche i bombardamenti delle città
tedesche, non rispondeva alle richieste del governo inglese.
Queste notizie vengono confermate da varie fonti. Si veda soprattutto Foreign Relations 01 the United States, Diplomatic Papers 1942,
volume 3, pubblicate a Washington, nel maggio 1961.
Mentre 1'« Osservatore Romano» condannava l'aggressione di Stalin
in Finlandia con parole (crimine calcolato freddamente, legge della
giungla, l'aggressione più cinica dei tempi moderni) la cui estrema
durezza era in radicale contrasto con l'insignifìcante articolo contro
la deportazione degli ebrei da Roma e anche con le indirette lamentele
del Santo Padre; mentre il Cardinale Maglione diceva, ancora nella
primavera del 1940, a Sumner Welles che la Germania nelle trattative
diplomatiche intercorse sino allora con la Russia aveva avuto la peggio
e sottolineava i timori dell'Italia che Stalin compiesse ulteriori progressi nei Balcani, venne ben presto il momento in cui, davanti alle
schiaccianti vittorie di Hitler, i russi furono momentaneamente visti
anche dal Vaticano come il minore dei mali. Ciò non è stato riferito
462
solo dal medico curante del Papa. Lo disse anche Maglione alla principessa Colonna il giorno di Natale del 1941. Mussolini salutò con
sollievo, anzi con profondo compiacimento, la sconfitta di Hitler davanti a Mosca. Ciano, a dire il vero, poco dopo annotò: «Alfìeri
(ambasciatore a Berlino) scrive che i rovesci sul fronte russo con le
loro conseguenze hanno già superato il limite entro il quale potevano
anche esserci utili.»
Il Vaticano, come sempre, vedeva le cose con cautela assai maggiore
di qualche vescovo o anche del Ministero degli Esteri turco, che aveva
esclamato subito dopo l'aggressione di Hitler alla Russia: «Questa
non è una guerra ... è una crociata!» Il ministro, su preghiera di von
Papen, si affrettò a chiedere al Premier inglese, tramite l'ambasciatore
britannico, di seppellire per il momento i contrasti europei, onde
«trovarsi uniti contro quella potenza il cui programma era l'annientamento dell 'Occidente». Il tentativo falll . Churchill, il giorno successivo, disse al mondo: «Il regime nazista non si distingue affatto dai
lati peggiori del comunismo... Esso supera ogni forma di malvagità
umana nella realizzazione dei suoi programmi mostruosi e per la sua selvaggia aggressività... Noi abbiamo una unica meta, solo un irrevocabile
desiderio: annientare Hitler e ogni traccia del regime nazista ... »1
Il signor von Papen, che si guarda bene dal rispondere al quesito
se i russi avrebbero marciato o no sino all'Elba qualora Hitler non li
avesse attaccati, constata che con questo discorso il Premier aveva «dato
il via a quella politica che... ha condotto l'Europa al suo stato attuale », opinione che gode di una popolarità crescente e che già nel
1959 veniva condivisa da tutti quelli che condannavano Roosevelt e
Churchill per non essere stati abbastanza avveduti e per non avere
difeso l'Occidente cristiano al fìanco dell'ideatore di Auschwitz.
Franz von Papen, senza dubbio, non fu mai amico e raramente un
confidente di Hitler, che prima della guerra fece assassinare i più stretti
collaboratori del vicecancelliere, più tardi ambasciatore. Il fatto però
1. The War Speeches 01 the Ri. H on. W instol1 S. Churchill, voI. I, Londra 1951.
463
che von Papen, da buon cattolico, sia convinto che i SUOl nipoti guidati da Hitler sui campi di battaglia russi siano caduti «nella lotta
contro la Miscredenza e le Potenze delle Tenebre» dimostra ancora
una volta quanto sia stato utile al Fiihrer, e particolarmente in questa
occasione, il suo accordo, anche se solo apparente, con il Vaticano; mentre a Roosevelt non si è mai creduto quando «riferiva» al Papa (come
ci informa Giovannetti) «che a suo avviso era possibile una conversione del bolscevismo alla democrazia e un rinnegamento del suo postulato marxistico-leninistico della rivoluzione mondiale ».'
Più spaventoso dei nazisti e dei russi, tuttavia, era lo spettro di un
nuovo accordo tra H itler e Stalin. Non si potrà forse mai sapere che
cosa ci fosse di vero nei tentativi di un accordo tra le due parti. Voci
e semplici intrighi hanno avuto probabilmente la parte principale in tutta la faccenda: Hitler stesso diffidava della maggior parte delle proposte. Von Papen, che ben presto riconobbe come la Germania da sola
non avrebbe potuto vincere la Russia, nella primavera del 1942 inviò
da Ankara un emissario presso i più stretti collaboratori del Papa, i
quali gli spiegarono di non vedere alcuna possibilità di convincere gli
Alleati occidentali a un incontro per la pace. E von Papen commenta:
«In questa fase della guerra, come sappiamo, si doveva seriamente temere un compromesso tra Hitler e Stalin, che già chiedeva l'apertura
di un secondo fronte . Questo era un motivo sufficiente perché si fosse
totalmente contrari a ogni idea di un accordo. »2
Ancora nell'agosto 1943 Hassell annotava: «Se Hitler si accorda con
Stalin le catastrofiche conseguenze sono inimmaginabili. Le cose andrebbero diversamente se esistesse una Germania pulita e con lilla coscienza
civica.» E Fritz Hesse sostiene che Stauffenberg, dopo aver avuto da
Schulenburg la sensazionale · notizia che Hitler era in procinto di accordarsi con Stalin tramite il Tenno, aveva deciso ipso facto di «rovesciare il piano originario, di efIettuare l'attentato e il putsch ... e di non
1. Giovannetti, op. cito
2. Von Papen, op.cit.
464
aspettare che ... il mostro vampiresco avesse riguadagnato attraverso la
connivenza traditrice della sorte la forza di ancora tenersi in piedi e
di abbeverare la terra con il sangue tedesco. »'
A quali passi si sia lasciato spingere il Papa per paura di Stalin, per
ristabilire la pace fra il Reich e l'Occidente, forse non lo si saprà mai
con esattezza perché, dopo il 1945, si è grottescamente considerato impossibile confessare d'aver mai pensato alla possibilità di una pace con
Hitler ... per la salvezza della pace. Come se i circoli d'opposizione in
Germania avessero già goduto durante la guerra di quello stesso credito
all'estero, che venne dato loro dopo il 1945 come necrologio! Sino ad
oggi si è preso atto troppo di malavoglia che anche il servizio segreto
fedele a Hitler, sollecitato dal conte polacco Ledochowsky, Generale dei
Gesuiti, morto nella primavera del 1943, aspirava alla tregua d'armi
con le potenze occidentali. Verso la metà del 1942 anche il circolo di
\XTeizsacker probabilmente aveva creduto almeno per un momento che
fosse superato il periodo in cui l'Inghilterra non era disposta a concludere una eventuale pace, magari anche con Hitler. E non sapremo
neppure mai con sicurezza se il ministro degli Esteri spagnolo conte
Jordana (che nel febbraio del 1943 scrisse all' arrogante ambasciatore
britannico a Madrid: « ... l'Inghilterra deve rendersi conto, osservando
obiettivamente la realtà, che nel caso di una vittoria sovietica sulla
Germania nessuno sarà in grado di contenere la Russia entro i suoi
confini »2) fosse stato autorizzato dal Vaticano, nell'aprile di quello
stesso anno, quando offrì la Spagna come mediatrice tra il Reich e le
potenze occidentali, a riporre tante speranze nel Papa. In questo periodo il Vaticano si scagliò con estrema durezza contro l'alterazione di un
discorso di Spellman spiegando di essere completamente estraneo ai
fini bellici delle potenze occidentali ...
1. Resse, op. cito
2. (Viscount Templewood) Sir Samue1 Roare, Ambassador
Londra 1946.
OlI
Special Mission,
465
KRUPP
L'impiego di stranieri ai lavori forzati da parte (tra le altre) della
più nota impresa industriale tedesca divenne un fatto politico di primo
piano, per il «trattamento» riservato da Krupp a queste forze lavorative.
Malgrado si tratti di un fatto tipico della storia contemporanea, nel
Vicario non vi si potrà accennare che indirettamente.
Non possiamo ignorare che non solo vi sono stati diversi grandi industriali che si sono comportati rettamente come Bosch e Reusch, ma
anche dirigenti d'industria, che pur nella loro posizione di subordinati,
hanno saputo comportarsi umanamente.
Cosi, ad esempio, Karl Beckurts, direttore della fabbrica d'armi
Gustloff a Weimar, di proprietà dello Stato, che utilizzò durante la
guerra numerosi prigionieri di Buchenwald; e che nel 1949 fu chiamato
ad Amburgo come direttore della Norddeutsche Kohle- und Kokswerke
da un ex prigioniero, Erik Blumenfeld, attuale esponente politico del
CDV. Cosi Berthold Beitz, dal 1953 procuratore generale di Krupp, a
quel tempo amministratore dei giacimenti petroliferi a Boryslav nella
Polonia occupata, allora sconosciuto ed estraneo al Partito nazista,
che si adoperò per soccorrere ebrei perseguitati e polacchi; e soprattutto
alcuni industriali che, ostinandosi a tenere degli ebrei tra i propri operai nelle loro imprese, ne impedirono la liquidazione nelle camere a gas.
E un grande industriale, che Hitler in persona andava spesso a visitare, non avrebbe potuto, se voleva, farsi rispettare dai nazisti subalterni? Ci si ritrova davanti al problema già posto per il clero: il prete
sconosciuto soccorrendo comprometteva se stesso. I vescovi e cardinali
tedeschi non venivano arrestati neppure quando disubbidivano alle ordinanze di Hitler.
Come sempre, anche in questo caso tutto dipendeva dalla statura umana del singolo. Anche in questo caso importava soprattutto in quale
misura uno sapeva riconoscere perfino in un detenuto un proprio fratello. Anche alla Krupp si trovavano persone che di tanto in tanto
passavano di nascosto un pezzo di pane a una minorenne ebrea, in stracci e zoccoli, venuta da Auschwitz e costretta a sgobbare nel laminatoio.
466
Era severamente proibito e il trasgressore veniva punito se qualcunò
della fabbrica lo denunziava. Com'era possibile che durante le sue
ispezioni restassero ignote al padrone di casa le condizioni di vita e
di lavoro della sua mano d'opera straniera? Come potevano nascondergli che i sorveglianti della Krupp arrivavano persino a bastonare i
deportati? Certo, aveva molto da fare. Ma lo stesso Hitler in tempo di
guerra dava a tutte le sue sentinelle il diritto di parlargli «delle proprie preoccupazioni personali» durante le sue ispezioni al Quartier
Generale. Sentimentalismi - si dirà oggi. Se però il maggior datore di
lavoro del grande Reich e i componenti della sua famiglia avessero
mostrato durante la guerra un po' più di questo «sentimentalismo»
verso la folla di infelici lavoratori stranieri nelle loro fabbriche, nel
Lager di Voerde, presso Essen, dei 132 bambini nati da lavoratrici orientali presso la Krupp non ne sarebbero morti 98, e le lettere scritte
e ricevute dai lavoratori orientali non sarebbero state sottratte e bruciate due volte alla settimana.
Il 26 giugno 1947 Alfried von Bohlen dichiarò di fronte alla Corte
di Giustizia a Norimberga di conoscere un solo caso in cui si era cercato di maltrattare un operaio; ciò era accaduto quando fu assegnata
per la prima volta mano d'opera orientale alle fabbriche Krupp. In seguito era stato proibito dalla direzione di maltrattare i lavoratori stranieri. Per il resto egli, Alfried von Bohlen, aveva confidato nei suoi colleghi e dipendenti, che non avrebbero permesso il ripetersi di un simile sopruso.!
Quando il 16 dicembre 1942 diciotto lavoratori olandesi, occupati
dalla Essen-Bergeborbeck, indirizzarono una lettera personale a von
Bohlen con la preghiera di migliorare l'alimentazione insufficiente,
von Bohlen incaricò Max Ihn di provvedere e di fargli pervenire un
rapporto in proposito.
Alla direzione della Krupp, della quale Alfried von Bohlen faceva
parte già dall'inizio della guerra come membro regolare e alle cui se1. Trials 01 War Criminals Belore the Niirnberg Military Tribunals, voI. IX,
Washington 1950, p. 805.
467
dute partecipava normalmente - dall'aprile al dicembre 1943 come
presidente e dopo il 1943 come unico proprietario della ditta - vennero spesso menzionate le grandi difficoltà che si presentavano per nu- •
trire e alloggiare i lavoratori stranieri; e ci si era sempre preoccupati
di correre ai ripari. Tuttavia anche se si concede ad Alfried von Bohlen
di non aver più sentito dire, dopo il 1942, che i sorveglianti della
Krupp facevano uso nelle fabbriche e nei magazzini dei loro bastoni,
non per questo lo scottante problema delle responsabilità che non
riguarda solo quest'uomo e questa ditta, diminuisce. Norbe~t Miihlen
nel suo libro sui Krupp l ha puntualizzato in modo perfetto il complesso dei problemi: se «miopia morale, vigliaccheria, insensibilità» da
parte di un industriale siano da considerarsi quali diritti e se in genere
«le azioni degli uomini sotto un governo totalitario debbano essere
giudicate secondo i principi di una società che assicura libertà di coscienza e di azione a ogni cittadino ».
Il. cognato e collaboratore di Gustav Krupp, Thilo von Wilmowsky,
preSIdente del Consiglio economico dell'Europa centrale, e il direttore
generale della Krupp, Ewald Laser, hanno risolto questi problemi molto
degnamente per quanto riguardava la loro persona: entrambi furono
smascherati dopo la rivolta del 20 luglio 1944 quali intimi amici di
Carl Goerdeler e Ulrich von Hassell. Wilmowsky finì in campo di
concentramento. Laser fu condannato a morte, ma sfuggì all'esecuzione
per la fine della guerra. Gli Alleati lo condannarono durante il processo
Krupp a sette anni di reclusione, per quanto avesse cessato spontaneamente di fare parte della direzione nel 1943 . Ulrich von Hassell
che la sua posizione di membro della direzione del Consiglio economic~
dell'Europa centrale metteva in condizione di conoscere la situazione
dell'industria, annotò nel 1943: «Laser, il direttore generale della
Kru~p, . uo~o in~elligente e lucido, raccontava di recente che i persona~gl ~ pnmo 'plano, con in testa naturalmente il servile Krupp-Boh1en
e. Il ge!ld~ egOIsta Zangen (capo della Reichsgruppe Industrie) s'erano
nparatI dIetro a Hitler, illudendosi così di poter fare lauti guadagni
2. Norbert Miihlen, Die Krupps, Francoforte 1960.
468
avendo il più pieno controllo dei lavoratori. Tra la "mano d'opera",
persino tra quella comunista, una chiara coscienza delle necessità nazionali era molto più frequente. Conoscere i sentimenti dei lavoratori
è comunque molto difficile, per la situazione di sfiducia e di panico
determinata dallo spionaggio. »1
Ciò che Laser dichiarò su Alfried von Boh1en agli Alleati nel 1945 si
trova, in parte, a Parigi ancora inedito.
Il professor Golo Mann scrive nella sua citata Deutsche Geschichte
des 19. und 20. ]ahrhzmderts a proposito delle ultime elezioni nel marzo 1933: «I nazisti sapevano, avendo abbastanza immaginazione e audacia, come usare il potere dello Stato nella lotta elettorale per entusiasmare i loro seguaci, intimidire i deboli e sopraffare gli avversari.
"Ora è semplice condurre la lotta perché possiamo usare ogni mezzo
a nostro vantaggio" scriveva il capo dell'ufficio propaganda del partito
nel suo diario. "La radio e la stampa sono a nostra disposizione, la
nostra campagna sarà un capolavoro. Questa volta naturalmente non
manca nemmeno il danaro." No, non mancava. Un gruppo di industriali, con Krupp in testa, si lasciò convincere a mettere a disposizione
del regime un fondo di 3 milioni di marchi per le elezioni e in quell'occasione il nuovo ministro degli Interni prussiano Goring spiegò a quei
signori che si trattava dell'ultima campagna elettorale per altri 10,
forse 100 anni, quindi una certa magnanimità era doverosa.»
Egli prometteva dunque agli industriali niente più e niente meno
che la dittatura. Come può Norbert Miihlen trovare che in questo incontro di Berlino si fosse parlato con grande moderazione?
Ad Alfried von Boh1en fu reso il patrimonio. Del periodo di reclusione cui fu condannato ne ha scontato circa la metà. La promessa fatta
agli Alleati di smembrare il suo complesso industriale, vendendo cioè
le miniere e le acciaierie a un prezzo equo, non dovrà più essere mantenuta. Di questo oggi ci si vorrebbe rallegrare. Ma a certi uomini
politici di Bonn non basta. Infatti mentre il Presidente americano ave1. Ulrich von Hassell, Vom anderen Deutschland, Zurigo 1946.
469
va subito rimandato in Germania colui che fu il creatore del ponte
aereo a Berlino, Generale Clay, perché fosse pronto ancora una volta
a difendere Berlino, gli uomini politici di Bonn noleggiavano nel novembre del 1961 un treno speciale per festeggiare la ditta Krupp e AIfried von Bohlen, l'uomo la cui condanna fu esplicitamente convalidata
da quello stesso Generale Clay nel 1949 perché, come scrisse in merito
al processo, «tutto il materiale portato a testimonianza offre un esempio senza precedenti sul come l'avidità e l'avarizia inducano uomini
privi di scrupoli a portare nel mondo infelicità e distruzione. Pertanto
è comprensibile come io, riesaminando i casi che mi erano stati sottoposti, non abbia avuto nessuna esitazione nel convalidare i giudizi ».1
Ora, che Heuss, l'allievo di Naumann, alludendo nel suo discorso ufficiale al passato, pretendesse che Krupp era stato condannato per
avere agito come innumerevoli altri fabbricanti di armi di tutto il
mondo ... è stato come infiggere un'altra spina dolorosa nelle carni di
chi aveva patito tante miserie durante il periodo di lavoro forzato
presso quella industria. E ciò deve averlo dimenticato anche l'ucraino
KhrusCiov nel suo brindisi alla casa Krupp durante la Fiera di Lipsia,
malgrado dovesse essere ben informato sulla sorte toccata ad alcuni
suoi compatrioti «trasferiti» dalla ditta Krupp alla Polizia di Stato di
Essen. (Si veda fra l'altro il documento NIK-12362, Prosecution
Exhibit 998. Serie verde, volume IX, p. 1321.)
«Essere qui o non esserci» scriveva lo «Spiegel» a proposito del
giubileo della ditta «conisponde a una scelta politica.» E fra i componenti del corpo diplomatico di Bonn mancavano gli ambasciatori
d'America, dell'Unione Sovietica, d'Inghilterra e di Francia. Non mancava però il vescovo di Essen. Gradiremmo conoscere se una di queste Eccellenze ecclesiastiche dei dintorni della città si era procurata,
anche una sola volta durante la guerra, un ingresso al «Campo d'addestramento al lavoro », che Krupp aveva edificato dietro desiderio della
Gestapo e sul quale riferì a Norimberga anche un prete cattolico,
uno dei lavoratori forzati rasati a zero, internati in quel campo.
1. Lucius D. Clay, Decision in Germany, New York 1950.
470
Una parte dei documenti e le condanne sono stampati e disponibili
in lingua inglese: Trials ai War Criminals, voI. IX. Istituti di Gottingen, Norimberga, Monaco e Parigi sono in possesso dei documenti, talvolta parziali, anche nella lingua originale. Riportiamo ora due documenti , consultati insieme ad altri meno innocenti, per la seconda scena
del quinto atto:
Stralcio:
Gfb., 15 ottobre 1942
1
Oggetto: Telefonata del colonnello Breyer dell'OKW , Settore Pri-
gionieri di guerra, Berlino.
Il colonnello Breyer, che ha chiesto di parlare al signor von Bi.ilow,
mi ha pregato di riferirgli:
La OKW ha ricevuto negli ultimi tempi lamentele assai rilevanti
da parte dei propri uffici, e recentemente anche tramite lettere anonime di cittadini tedeschi, sul trattamento dei prigionieri di guerra presso
la ditta Krupp (in particolare:' che vengono picchiati, che non viene
loro passato il dovuto sostentamento e, tra l'altro, che i prigionieri non
ricevono patate da sei settimane). Fatti simili non accadono assolutamente più in nessuna parte della Germania. L'OKW ha già più volte
pregato di distribuire, in ogni caso, ai prigionieri l'intera razione. Inoltre, dovendo lavorate molto, essi hanno diritto anche alle relative ore
di libertà, come gli operai tedeschi. Il colonnello Breyer mi ha detto
anche di fare esaminare le condizioni di lavoro presso la Krupp dal
distretto militare e dall'OKW stessa; e di avere pregato il generale
Schulenburg di passare da Krupp in occasione di un suo viaggio, ma
purtroppo ciò non è stato possibile.2
Tuttavia, secondo la deposizione di Max Ihn, accusato insieme ad
Alfried Krupp, persino la Gauleitung nazionalsocialista ha dovuto in-
1. Oberkommando Wehrmacht (Stato Maggiore della Wehrmacht).
2. Trials 01 War Criminals Before the Nurnberg Military Tribunals, op. cit.,
p. 1227 sego
471
tervenire a favore della mano d'opera straniera presso la ditta nel
1942. Dalla sua deposizione:
« ... Il 31 marzo 1943 divenni membro sostituto del direttivo. Entrai allora in contatto con il signor Alfried Krupp. Alle mie dirette
dipendenze avevo circa 1000 impiegati. In tutta la fonderia di acciaio
lavoravano nel 1943 15.000 impiegati e circa 55.000 operai (compresi
gli stranieri), cosicché veniva dato lavoro a circa 70.000 persone in
tutto. Il numero massimo di lavoratori stranieri era di 22.000. Questa
cifra l'ho citata per esperienza personale, e non per avetla ricavata
dalla lettera del signor Kuppke, in cui mi comunicava di avere fatto
il numero di 20.000 rispondendo a una domanda in merito del FSS.l
«Le ore lavorative per gli stranieri erano stabilite dalla fabbrica, e io
ero responsabile per quella mano d'opera. Tra loro vi erano dei giovani, dai 14 anni in su. I lavoratori stranieri arrivarono la prima volta
nel 1942. Nell'estate e nell'autunno del 1944 giunsero i primi prigionieri dei KZ, malgrado la ditta Krupp ne avesse richiesto in numero di
1100-1500 già il 22 settembre 1942.
«lo ero responsabile dell'impiego di costoro, come pure della corrispondenza relativa ai contingenti di prigionieri. Non ricordandomi da
chi ricevetti quest'incombenza, sono costretto ad assumerne personalmente la responsabilità. Anche il vettovagliamento di alcuni campi, ivi
compresi campi speciali e di concentramento, dipendeva da me. Ammetto che nei primi tempi sono pervenute molte lamentele di lavoratori stranieri riguardo al vitto cattivo, mentre in seguito giunsero di
tanto in tanto lagnanze sul vitto.
«Sapevo che nelle fabbriche (ma non nei campi, però) venivano distribuite verghe d'acciaio. Ero al corrente del fatto che i lavoratori
erano picchiati sia nelle fabbriche che nei campi.
«Informai di questi fatti la direzione e ne parlai in particolare con
il signor Janssen, e diedi ordine di cessare i maltrattamenti. Ammetto
che i maltrattamenti erano già cominciati ai tempi del signor Leser.
1. Field Security Service (Servizio inglese di controspionaggio).
472
,;
«I 520 prigionieri dei campi di concentramento furono da me richiesti
per incarico della direzione. La misura venne discussa dalla direzione
in mia presenza, e probabilmente anche dal signor Alfried Krupp von
Bohlen. Per quanto mi risulta, questi prigionieri venivano da Buchenwald. Una volta alla Krupp discussi personalmente con il comandante
di Buchenwald le condizioni per la cessione dei prigionieri. Il signor
Lehmann partì per Buchenwald al fine di stabilire le condizioni del
trasferimento. Non mi risulta che lavorassero alla Krupp 22 prigionieri
di Auschwitz.
«I prigionieri venivano alloggiati in baracche di legno nella Humboldtstrasse. lo ero al corrente di tutto ciò che accadeva al campo.
«Ripeto: nel 1942 qualsiasi problema riguardante la mano d'opera
(tedeschi e prigionieri) era affidato alla mia responsabilità. Già allora
le condizioni nei campi erano tali da spingere una volta persino il
Gauleteir Sch1essman a scriverci che sarebbe intervenuto di persona,
se le cose non fossero cambiate. Certamente il dottor Leser parlò delle
condizioni nei Lager con il signor Gustav Krupp von Bohlen.
«Gli operai inabili al lavoro venivano deportati. Il dottor Janssen
propose che le 520 ebree alle dipendenze della Krupp fossero evacuate
prima dell'arrivo delle truppe d'occupazione e precisamente a Buchenwald. Voglio supporre che il signor Krupp von Bohlen ne fosse al corrente. Quando mi ammalai, il 22 febbraio 1945, passai l'incarico di
rimandare quella gente a Buchenwald al dottor Lehmann. »1
Il 21-22 marzo 1942, in una conferenza con il ministro della Guerra
Speer, persino Hitler vietò di dare ai lavoratori russi un vettovagliamento insufficiente e di tenerIi dietro il filo spinato come prigionieri di
guerra. I russi, ordinò, devono assolutamente ricevere quantità sufficienti di cibo, e Sauckel, il plenipotenziario del Reich per l'impiego della
mano d'opera, doveva interessarsi perché Backe, il ministro della Alimentazione, controllasse che venissero prese le misure necessarle. 2
1. Ibid., pp. 813-14.
2. Ibid., p. 877.
473
Non nell'ottobre, come viene accennato nel quinto atto, ma nel luglio
1943 gli ingegneri furono inviati da Krupp ad Auschwitz.
Alfried Krupp von Bohlen und Halbach scrisse poco dopo, 10 una
lettera del 7 settembre 1943, a proposito di una costruzione di una
fabbrica di esplosivi:
« ... Ho incaricato il signor Reiff di prendersi particolarmente cura
della produzione ad Auschwitz, perché ha le migliori opportunità di
farlo da Breslavia. Il signor Reii! ha già approfittato di una occasione
per visitare Auschwitz e discutere delle faccende più importanti con
le persone del luogo. Per quanto concerne l'attività del nostro ufficio
di Breslavia posso dire che lavora in stretta collaborazione con Auschwitz, e possiamo garantire che sarà così anche per l'avvenire. Con i
migliori ossequi e Heil Hitler ... »1
L'ingegner Weinhold e i 30 capiofficina e capisettore di Essen, che
eressero il fabbricato con i prigionieri di Auschwitz, dovettero imoegnarsi per iscritto a tenere segreto tutto quanto riguardava il LagLer.
Il 10 settembre, ad esempio, Krupp depositò sul conto dell'amministrazione locale delle SS, presso la Banca del Reich a Kattowitz, 23.973
~archi per il lavoro dei prigionieri. Ma già il 10 ottobre Krupp rescisse
tI contratto, cedendo l'immobile alla ditta Union, che aveva dovuto
evacuare la propria fabbrica di esplosivi nei pressi di Kharkov.
Miihlen scrive nella già citata biografia dei Krupp: «"In seguito
agli attacchi aerei e alla situazione bellica", riferiva più tardi Johannes
S.ch~oder, .l'abile direttore finanziario della società, "ci accorgemmo
~1 ~lrettOt1) che la Germania aveva perduto la guerra, e ne parlammo
1Os1~me molto francamente." Allora, per la prima volta nel periodo
nazlsta, Krupp agì contro la legge, e sistematicamente non tenne conto
degli ordini ricevuti, seppure con l'unico scopo di salvaguardare l'interesse della società. Il governo nazista infatti aveva imposto a ogni complesso industriale di riinvestire subito tutto il denaro liquido in nuovi
impianti per la produzione bellica. In vista dell'imminente sconfitta i
direttori della Krupp erano invece interessati a "risparmiare almeno
1. Ibid., p. 739.
474
qualche cosa per il dopoguerra, volevano portare la società ad uno
stato di floridezza finanziaria, che le rendesse possibile proseguire le
attività nel futuro", dichiara Schroder. Anche se la Germania veniva
devastata, la casa Krupp doveva sopravvivere. Invece di investire i
mezzi disponibili nella produzione bellica, e perderli, la società seguì in
segreto una nuova rotta "mantenendo le sostanze più liquide possibile.
Si disfece dei prestiti del Reich, annullò le proprie pretese per i danni
di guerra e riscosse i suoi crediti dallo Stato".»
MISCELLANEA
L'ambientazione della scena del gioco dei birilli è inventata, ma non
lo è il fatto che gli assassini parlavano dei propri delitti nelle taverne
o a tavola, come se si trattasse di economia rurale. Persino Eichmann,
che al tribunale di Gerusalemme recitò la parte del corretto servitore
dello Stato (il che, quale suddito di Hitler, egli fu realmente), asserì che
anche durante la Conferenza di Wannsee, presieduta da Heydrich il 20
gennaio 1942, quando fu varata la «soluzione finale», non solo i «signori» delle SS, ma i delegati presenti dei ministeri di Berlino ... bevvero molto: «Le ordinanze servivano continuamente del cognac, e alla
fine tutti parlavano contemporaneamente... senza reticenze.» Con ogni
probabilità non mancarono neppure le solite barzellette da caffè.
Per i dialoghi ho sfruttato soprattutto i documenti citati al processo
Krupp o che furono stampati nelle raccolte di Poliakov e Wulf. Si veda
anche la documentazione di Mitscherlich sul processo ai medici.
Adolf Galland, uno dei più famosi piloti da caccia della seconda
guerra mondiale, ha scritto nelle sue memorie con quale genere di « nastro» i piloti usassero appuntare le alte decorazioni al colletto.
Mentre l'episcopato romano di Boemia e Moravia chiedeva a Hitler
di poter suonare le campane e far dire un requiem per Heydl'ich,
Vladimir Petrik, cappellano delle assai modeste minoranze ceco-orto-
475
dosse della Chiesa dei Santi Cirillo e Metodio, dopo un colloquio con
il Patriarca di Praga, nascondeva nella cripta della sua chiesa i patrioti
che avevano ucciso il tiranno. Anche Petrik, come il sagrestano e il
vescovo, pagò la sua audacia con la vita. Egli aveva cercato spontaneamente i perseguitati per soccorrerli.
«L'Ordine Supremo del Cristo, fondato da Papa Giovanni XXII nel
1319, consiste in una doppia catena d'oro da cui pende una croce ornata
da una corona. Non abbiamo dato molto peso alla cosa. Il conte
Fontana non avrebbe mai potuto essere insignito di quest'ordine riservato ai capi supremi di Stato, come, per esempio, a un monarca dell'importanza di Vittorio Emanuele III Re d'Italia, che nel 1941 innalzò i Pacelli al rango di principi, più o meno nel periodo in cui la
Real Casa italiana (informa la Borsa romana) trasfer1 in paesi neutrali,
tramite l' "Opera Religiosa" - una banca privata del Vaticano fondata
da Pio XII - una parte rilevante del proprio patrimonio» (~< Der
Spiegel», agosto 1958).
Pio XII ha proclamato la «Consacrazione della Chiesa e di tutto il
genere umano al Cuore Immacolato di Maria» non nel febbraio del
1943, bens1 il 31 ottobre 1942.
alla dichiarazione fatta pochi giorni prima dall'americano Stettinius,
Lend-Lease-Administrator, in cui si diceva che l'America aveva fornito
alla Russia già 2.900.000 tonnellate di materiale bellico. Stalin, nei
primi anni di guerra, aveva evitato perfino di incontrarsi con Roosevelt.
,-J
Novembre 1942: scambio di telegrammi tra il metropolita Sergio e
Stalin in occasione del 25° anniversario della Rivoluzione. Goebbels,
che raccomandava di trattare con diplomazia sia la chiesa cattolica che
la chiesa e la popolazione civile russa, scrisse circa nello stesso periodo
nel suo diario: «È assai controproducente per il partito il fatto che
sia l'Ortsgruppenleiter a comunicare ai parenti la morte sul campo di
un figlio o di un fratello o di un marito. Un tempo questo era compito quasi esclusivo della Chiesa. Ora qui da noi è subentrato il partito,
con il bel risultato che nei piccoli paesi si muore dallo spavento già
quando l'Ortsgruppenleiter entra in casa. lo li avevo messi in guardia,
e avevo previsto queste conseguenze prima che l'innovazione venisse
introdotta. Ma certi settori del partito si sono lasciati indurre, nella
loro ottusa e ostinata ostilità verso la Chiesa, a trovare un rimedio
peggiore del male. »1
f
I
Il Cardinale Tardini riferisce che il Papa dichiarò, nel 1944, dopo
la morte del Cardinale Maglione: «Non voglio collaboratori, ma esecutori. » Come è noto il Papa non ha più innalzato nessuno, fino al
giorno della morte, alla importantissima posizione chiave di Cardinale
segretario di Stato.
Il risultato dell'incontro tra Roosevelt e Churchill a Casablanca nel
1943 fu l'accordo sulla resa incondizionata della Germania.
Léon Bérard, ambasciatore della Francia di Vichy presso la Santa
Sede, nel giugno 1941, quando il governo Pétain diramò le prime
leggi antisemitiche in Francia, pregò il Vaticano di prendere posizione
in proposito. Più tardi poté comunicare a Vichy: «In uno stato cristiano sarebbe insensato lasciare le leve del potere in mano agli ebrei,
limitando cos1 l'autorità dei cattolici. È quindi legittimo negare loro
l'accesso a cariche pubbliche e dare loro un numero limitato di posti
(numerus clausus) nelle università e nelle libere professioni.»
Una corrispondenza del «New York Times» da Roma, datata 9 febbraio 1959, afferma che quel giorno il Papa Giovanni XXIII rese pubblica la minuta di un «duro discorso che Papa Pio XI aveva deciso di
Il 23 febbraio Stalin dichiarò che le armate sovietiche avevano dovuto addossarsi da sole tutto il peso della guerra: una dura risposta
1. Goebbels, op. cit., p. 330.
476
477
.,
fare il mercoledì prossimo di vent'anni fa ». Pio XI elaborò questi appunti sul letto di morte per un indirizzo che desiderava rivolgere all'episcopato italiano in una udienza plenaria nel decimo anniversario
dei Patti Lateranensi, firmati 1'11 febbraio 1929. «La morte di Pio XI
il 10 febbraio 1939» continua la corrispondenza del «New York
Times» «gli impedì di paragonare Hitler all'imperatore Nerone e di
mettere in guardia l'umanità contro la "follia omicida e suicida" della
corsa agli armamenti di quel momento ... »
Per quanto possiamo intuire da questa minuta scritta a mano,
Pio XI si proponeva di protestare contro la stampa nazista e fascista
per le «perverse» deformazioni della verità storica nella sua campagna contro la Chiesa cattolica e «per le ricorrenti smentite che fossero
in corso persecuzioni in Germania». Queste smentite erano accompagnate da calunniose accuse contro la Chiesa ed i suoi pretesi intrighi
«come le persecuzioni neroniane furono accompagnate da accuse (contro la Cristianità) responsabile dell'incendio e della distruzione di
Roma », proseguivano gli appunti di Pio XI. Papa Pio XI si proponeva
di deplorare che alla stampa cattolica fosse proibito di «contraddire e
correggere» le affermazioni della stampa totalitaria. Egli desiderava
inoltre mettere in guardia arcivescovi e vescovi contro «gli osservatori
e informatori (fascisti) che sarebbe stato più esatto chiamare semplicemente spie, che trascinati dal loro zelo e ligi agli ordini ricevuti
erano sempre pronti a tendere l'orecchio e a denunciare ». Papa Giovanni non fece nessun commento sulle implicazioni politiche che comportava la pubblicazione di quel documento. Esperti di storia moderna
hanno dichiarato che se il discorso di Pio XI fosse stato pronunciato
avrebbe causato profonde reazioni in Italia.
Pare che l'amante ebrea del Comandante di Auschwitz sia sopravvissuta alla guerra. Dopo che fu dimesso Rudolf Hoss, fu interrogata
dal giudice delle SS Wiebeck. Mentre cercavo il protocollo dell'interrogatorio l'Istituto di storia contemporanea di Monaco mi comunicò:
« La deposizione contiene particolari erotici talmente spinti che dobbiamo considerarla riservata.»
478
Solamente un anno dopo la pubblicazione di questo testo fu rinvenuta e pubblicata dallo storico Eberhard JackeP di Kiella seguente lettera del cardinale Tisserant:
Rome, le 11 juin 1940
«Eminentissime et vénéré Seigneur,
l'ai reçu hier la lettre que Votre Eminence m'a adressée le 4. Grand
merci pour la bonté que Votre Eminence veut bien me manifester' si
nous survivons à l'épreuve, volontiers je profiterai, lors de mes pass;ges
à Paris de l'hospitalité que vous m'offrez. Mais qu'arrivera-t-il d'ici là?
J'avais prévu dès le 29 aout ce qui est arrivé hier, et je l'avais dit au
Général Georges, lorsque je l'ai rencontré à la :fin de décembre.
Comment pourrons-nous résister à ce nouveau danger? Que Dieu nous
aide, et vous aide!
«Il ne faut d'ailleurs pas que les Français se fassent d'illusion: ce
que leurs ennemis veulent, c'est leur destruction. Les journaux italiens,
ces jours-ci étaient pleins de textes de S. E. Mussolini disant: nous
sommes prolifiques, et nous voulons des terres! et cela veut dire des
terres sans habitants. L'Allemagne et l'Italie s'appliqueront donc à la
destruction des habitants des régions occupées, comme ils ont fait en
Pologne. Au lieu de mourir sur le champ de bataille, il faudra donc
que les Français meurent à petit feu, les hommes séparés de leurs
femmes, et les enfants épargnés peut-etre, pour servir d'esclaves aux
vainqueurs, car tel est le droit de la guerre pour nos ennemis. Nos
gouvernants ne veulent pas comprendre la nature du vrai conflit et ils
s'obstinent à s'imaginer qu'il s'agit d'une guerre comme dans l'ancien
temps. Mais l'idéologie fasciste et l'hitlérienne ont transformé les consciences des jeunes, et les moins de 35 ans sont prets à tous les délits
pour la :fin que leur chef commande.
1: Eberhard J1ickel, Zur Politik des Heiligen Stuhls im Zweiten Weltkrieg. Ein
erganzendes Dokument. In «Geschichte in Wissenschaft und Unterricht» Anno XV
quaderno 7, Stoccarda gen. '64, p. 33. Il documento originale si trova ~el Bundes~
archiv, Bestand Reichskanzelei, Frankreich, p. 43 II/ 1440 a.
479
«J'ai demandé avec insistance au Saint Père depuis le début de
décembre de faire une encyclique sur le devoir individuel d'obéir au
dictamen de la conscience, car c'est le point vital du christianisme,
tandis que l'islamisme, qui a servi de modèle aux théories d'Hitler,
grace au nls de la musulmane Hess, remplace la conscience individuelle
par le devoir d'Obéir aux ordres du prophète ou de ses successeurs
aveuglément.
«Je crains que l'histoire n'ait à reprocher au Saint-Siège d'avoir fait
une politique de commodité pour soi-meme, et pas grand chose de plus .
C'est triste à l'extrème, surtout quand on a vécu sous Pie XI. Et tout
le monde se ne sur ce que Rome ayant été déclarée ville ouverte
personne de la curie n'aura rien à souffrir; c'est 'une ignominie.
«D'autant que la Secrétairerie d'Etat et le Nonce ont persuadé aux
religieuses en grand nombre et aux religieux de ne pas partir, aM de
fournir à l'Italie des otages. Mais pourtant Rome est un camp retranché,
entouré d'une ceinture de forts, qui ont toujours été occupés par des
troupes et il y a deux grandes fabriques d'armes, une cartoucherie et
un atelier de réparation d'artillerie! Mais ceux-ci, com me les Allemandes
cacheront leurs états-majors sous la croix de Genève, que les Francoanglais devraient déclarer ne plus reconnaitre, puisqu'elle ne protège
pas nos h6pitaux.»
EPILOGO
Apocalisse, III, 16
Nei giorni in cui quest'opera veniva stampata apparve l'edizione
tedesca del libro sul Vaticano di Corrado Pallenberg/ un italo-tedesco,
non cattolico, che fu per dodici anni corrispondente da Roma per il
«Sunday Telegraph» di Londra. Il libro, non privo di critiche al
Vaticano, assunse grazie all'introduzione dell' ambasciatore tedesco presso la Santa Sede un carattere quasi ufficiale. Pertanto bisogna prender1. Corrado Pallenberg, I segreti del Vaticano, Milano 1959.
480
lo sul serio quando annuncia: « ... una profezia per noi facile a farsi ,
cioè che Pio XII verrà santincato. La sua statura come Papa, la sua
vita ascetica, la sua completa dedizione all'alto compito ... le sue visioni
e anche i numerosi miracoli che gli vengono attribuiti, sono tutti fattori che preludono ad una beatincazione ed a una santincazione, che
certamente verrà proclamata in un futuro non lontano.»
L'autore di questo dramma, che può annoverare tra le sue prime e
quindi particolarmente durevoli esperienze spirituali la lettura della
Geschichte als Sinngebung des Sinnlosen 1 di Theodor Lessing, non è
stato colto di sorpresa da questa profezia. Ha anche citato tra quelli premessi a questa commedia un brano tratto dallo scritto polemico di
Kierkegaard contro la santincazione del Vescovo danese Mynster, senza
sperare che ciò possa avere un qualche influsso, beninteso. Non c'è rimedio contro la morte e la leggenda. Chi conosce Napoleone I attraver·
so i suoi discorsi con Caulaincourt e Metternich, e Hitler attraverso le
sue Conversazioni, e quindi legge ciò che non molti anni dopo la catastrofe della Grande Armata, di cui fu responsabile l'Imperatore stesso,
scriveva su di lui, perseguitato dalle maledizioni e dall'odio dei suoi contemporanei, lo spirito pungente di Heine, non può non chiudere gli
occhi rabbrividendo all'idea che anche i ritratti di Hitler verranno
riappesi dagli storici alle pareti e che l'ideatore di Auschwitz aveva
ragione nel dire, come Napoleone: «Finché si parlerà di Dio si parlerà
anche di me.» E dire che Hitler, verso i suoi soldati, non era cinico
come lo «Spirito del mondo a cavallo» che alla vista dei 75.000 morti
di Borodino pare abbia detto: «Una notte a Parigi li rimpiazzerà.»
Probabilmente si dirà per molto tempo che Hitler ha combattuto a
Kiev la più grande battaglia di accerchiamento della storia; passando
sopra al fatto che questa battaglia, malvista dai suoi generali, gli chiuse
forse la via alla conquista di Mosca; e dimenticando completamente i
34.000 uomini fatti fucilare da Hitler dopo l'occupazione di Kiev alla
periferia della città.
L'allora ministro degli Esteri spagnolo che, nonostante il suo entusia1. La storia quale strumento per dare un senso a ciò che non ne ha.
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smo per i dittatori di Berlino e di Roma, si adoperò con tanto zelo per
tenere la Spagna lontana dalla seconda guerra mondiale, tanto che Hitler
finì per odiarlo, scrisse due anni dopo la morte del Fiihrer: «È venuto
il momento di dire la verità: battuti e vinti dalla sciagura, forse personalmente responsabili di grandi catastrofi (Mussolini tuttavia non vi
era portato per natura) erano, ammettiamolo, due grandi uomini. Credevano in alti ideali e volevano realizzarli, amavano il loro popolo e
volevano la sua grandezza. Il mondo di oggi odia, per gelosia, gli uomini forti e, con uguale zelo, cerca i mediocri perché così vuole la
legge della stanchezza. Un giorno senza dubbio cambierà idea e li ammirerà di nuovo.» Quando furono scritte queste parole non erano ancora appassite le prime corone che si erano potute offrire alle vittime
dei due summenzionati «grandi uomini».
Pio XII, un gelido scettico, non «credeva», nemmeno nella storia,
come sappiamo da un suo colloquio con Adolf von Harnack. Senza
dubbio proprio per questo calcolò freddamente di avere buone probabilità di essere santificato se avesse fornito personalmente (come poi ha
fatto) una parte del materiale necessario. Non è stata solo colpa della
sua impopolarità in Vaticano se i sarcastici monsignori romani sono
giunti a dire che aveva santificato Pio X e preparato la canonizzazione
di Pio IX per creare i precedenti alla santificazione propria.
Se qui non si citano che pochi dei motivi e delle ragioni che hanno
fatto sì che il Papa venga rappresentato come appare nel dramma, ciò
accade perché l'autore non ha potuto fare a meno dal rispettare la
leggenda di Pio XII. Il materiale storico non convalida tra l'altro l'ipotesi che il Papa si sia trovato in un conflitto - che quasi arriva a giustificarlo - simile a quello rappresentato in questa scena.
Protestare o tacere : a questo dilemma, nel quarto atto, si risponde
in un modo che quasi lo scagiona: spinti unicamente da esigenze artistiche. Padre Riccardo ha bisogno di un antagonista di una certa statura, e il Papa, sulla scena, deve essere convincente; poco importa se
il suo comportamento storico lo sia o no. Anche qui il Papa parla,
come sempre, due lingue totalmente diverse. In un primo momento
parla da politicante pratico e calcolatore, quale lo conoscono gli intimi,
482
poi, quando redige l'articolo per «L'Osservatore Romano», parla « ufficialmente». (L'articolo non è certo suo, ma leggeva spesso le bozze
e dava sempre al giornale istruzioni precise.)
Chi ascolta il «dettato» non deve muovere a noi il rimprovero di
aver indulto al gusto del cabarettistico o di aver imitato il tono del
Reineke Fuchs: non ho fatto che citare. Non è colpa dell'autore
se sulla tomba della vittima viene gettata una corona di nori di carta ...
con una pretenziosità, una mimica, un pathos la cui falsità è ancora
più paurosa se si pensa che evidentemente nessuno degli astanti, e
meno di tutti il Papa, può aver creduto nella efficacia pratica di quell'appello. È impossibile che Eugenio Pacelli, l'intellettuale, il cui autore preferito era Cicerone, abbia potuto supporre che una tirata del
genere facesse davvero effetto su Hitler. Pio XII era indubbiamente uno
degli uomini più intelligenti della prima metà del secolo. Come afferma
il professor Leiber, fonte degnissima di fede, era estremamente lucido,
scettico, realista, e ancora diffidente, freddo, non sentimentale e nella
conversazione volentieri mordace. Persino a un diplomatico difficilmente impressionabile come il ministro degli Esteri giapponese Matsuoka, che nel 1941 vide i propri alleati, Hitler e Mussolini, al colmo
della loro potenza, egli apparve come l'uomo più significativo d'Europa.
Ancora più inquietante si pose quindi il quesito - ammesso che sia ancora un quesito - se il Papa possa aver parlato bona fide indirizzando
al mondo questo appello: questo, come gli altri numerosi discorsi-cliché
che moralizzano sugli eventi bellici, cauti ed insulsi, fioriti e imprecisi
e approssimativi sempre, dove né un uomo politico, né uno Stato (fatta
eccezione per la Polonia) o semplicemente la realtà delle deportazioni
continuate per anni, vengono chiamati col loro nome. Mussolini disse
del discorso natalizio pontificio del 1942 - e nessuno potrebbe contraddirlo: «Il Vicario di Cristo è il rappresentante in terra del Signore
dell'universo. Non dovrebbe mai parlare e farebbe bene a starsene
tra le nuvole. Questo discorso è un ammasso di luoghi comuni, e potrebbe benissimo averlo fatto il parroco di Predappio. »
I particolari che nella scena del Papa possono parere i meno credibili al pubblico che lo conosce solo dai giornali, non sono inventati;
483
per esempio che (anche non molto prima della morte quando era tutto
preso dalle sue visioni di Cristo) abbia girato degli assegni, ce lo conferma il Cardinale T ardini. O che avesse la passione per i discorsi ornati
nel peggiore stile da almanacco. «Come fiori sotto la spessa coltre di
neve dell'inverno ... » è una citazione testuale; invece di ebrei Pio XII
diceva appunto «polacchi». L'autore non ha osato attribuire a queste
chiacchiere del Papa l'aspirazione a consolare della brutale realtà se
stesso e gli uomini perseguitati dai carnefici di Hitler. Quando, alcuni
anni fa, pervenivano alla stampa particolari sulla stretta collaborazione
tra clero e industria pesante, lo «Spiegel», per esempio, scrisse nell'agosto 1958: «La Compagnia (di Gesù) fu in rapporti d'affari con entrambi i belligeranti, vendendo questo minerale (il mercurio) necessario
all'industria degli esplosivi. Mentre la produzione spagnola era destinata essenzialmente agli Alleati e alla Russia, le miniere italiane rifornivano i fabbricanti d'armi tedeschi »1; a questa affermazione non soltanto molti cattolici hanno atteso invano una smentita ufficiale. L'affermazione che il Vaticano è il più grande azionista della terra non è stata
mai contestata.
I titoli delle ferrovie ungheresi, sul cui acquisto non c'è assolutamente nulla da obbiettare, furono comperati dopo la conclusione dei Patti
Lateranensi (1929). Invece non è difficile dimostrare all'autore che, in
presenza di Sua Santità, non sarebbe mai stata possibile una scenata
del genere. Una simile osservazione non è però diretta contro il dramma, ma contro la sua verità storica. In questo dramma noi mitighiamo
la nostra opinione su Pio XII, che non è certo migliore di quella che
può nascere da una conoscenza dei fatti storici, e quindi supponiamo
1. Le lunghe discussioni finanziarie nelle due prime pagine della scena del Papa
sono state cos1 violentemente attaccate da far nascere il sospetto che queste clamorose proteste avessero lo scopo di divertire l'attenzione da problemi assai più importanti che, soprattutto, hanno spinto l'autore a scrivere questo dra=a. Inoltre il
padre gesuita professor Robert Leiber ha negato che la Compagnia di Gesù abbia
investito ed accresciuto i suoi capitali nel modo qui indicato. Perciò nella presente
edizione e in quella americana ho tagliato sessantotto righe della discussione tra il
Papa e il Conte Fontana, nonostante il giornale «Der Spiegel», cui debbo i dati
riferiti nel dialogo depennato, non sia ancora mai stato smentito da Roma.
484
che la deportazione dei suoi concittadini romani abbia provocato un
tumulto simile a quello rappresentato, sia nella sua coscienza che nei
suoi appartamenti. Chi tende a condannare l'autore non deve dimenticare che la figura di Padre Riccardo non ha alcun modello o precedente
storico' la Curia non cercò mai di dare alle vittime, delle quali moltissime' erano cattoliche, chi le assistesse: nessun religioso le ha mai
accompagnate. Per quanto riguarda poi la scena della lavanda delle
mani: l'atto era già scritto da molto tempo quando in Francia vennero pubblicate le indiscrete memorie dell'archiatra pontificio Galeazzi-Lisi, che descrive l'esagerato, morboso igienismo di Eugenio Pacellio Nella tragedia Pio XII sente la necessità di lavarsi le mani dopo
aver firmato l'articolo sulla deportazione degli ebrei, e l'idea ci venne
in seguito alla lettura del discorso da lui tenuto al Collegio dei Cardinali il 2 giugno 1945, poco dopo la catastrofe del regime nazionalsocialista. Se il suo medico ora racconta che si faceva disinfettare le mani
dopo ogni udienza, difendendosi cosl dalla ripugnanza fisica per il giornaliero contatto con i pellegrini con l'eccessivo igienismo, il fatto (come
quello che anche Hitler sentisse l'irrefrenabile impulso, avesse quasi
la mania, di lavarsi le mani) non costituisce per noi che una nota di
colore. Purtroppo l'igienismo di Hitler non era pari a quello del Papa,
che si sciacquava la bocca con acido cloridrico provocandosi, oltre ai
disturbi di stomaco, quegli attacchi di singhiozzo cosl violenti da
portarlo rapidamente alla morte.
«Lo psicologismo conduce facilmente alla spietatezza» diceva Thomas
Mann. Ma basta anche solo conoscere i tratti personali di Pacelli, il
mistico introvertito, per spiegarsi il suo atteggiamento verso le deportazioni e gli eccidi. Involontariamente istruttivo a questo riguardo si
rivela il libro del Cardinale Tardini1 concepito dall'autore come un
panegirico. Si legga per esempio il passo che parla di «quella certa
paura a ricevere alti dignitari ecclesiastici e sacerdoti ». Eppure deve
essere escluso che egli abbia taciuto per un vile timore di Hitler, come
ha di recente osservato uno storico autorevole.
1. Cardinale Domenico Tardini, Pio XII, Città del Vaticano 1960.
485
Questo Papa, che si fece truccare per comparire in un film angloamericano sul Vaticano (tra parentesi Annette Kolb disse al Cancelliere Briining: «Pacelli è la Duse»), era troppo sensibile agli effetti
per temere l'impiego della forza contro la sua persona o, diciamo,
contro la Chiesa di Pietro. «Ma ci pensa, come si sarebbe accresciuta l'autorità della Chiesa?» ci disse un prelato del suo seguito.
Senza dubbio Pio XII deve aver intuito che una protesta contro Hitler,
come disse rassegnato Reinhold Schneider, avrebbe risollevato la Chiesa a un livello mai raggiunto dopo il Medioevo. L'avrebbe intuito,
se si fosse dato la briga di rifletterci. Se qui, nel dramma, il suo silenzio
appare come una cosciente rinuncia, dolorosamente estorta ... i fatti storici, purtroppo, parlano un diverso e più meschino linguaggio. Questo
Papa non può aver tremato e sofferto nel profondo del proprio cuore
per le persecuzioni degli innocenti che si sono susseguite per tanti anni
in Europa. Già i suoi discorsi - ne ha lasciati 22 volumi - dimostrano
quali bagattelle lo impegnassero in quei tempi. Non era un «colpevole
per ragioni di Stato», era un neutrale, un arrivista zelantissimo che
impiegava spesso le sue ore con passatempi inopportuni mentre il
mondo oppresso (scrive Bernard Wall) si aspettava invano da lui la
parola che illumina e conforta. Wall, un cattolico, intelligente e pieno
di fede era andato in pellegrinaggio da Pio XII e lo aveva trovato affascinante, arguto, buon ragionatore ma non molto profondo. « Irradiava»
disse parlando di lui «nei miei confronti una amichevole sollecitudine
ma in un modo che mi rese quasi triste; ma mi sembrò toccante ~
sconvolgente che questa sua sollecitudine verso di me non mi commuovesse di più. »1 Era appunto, e ciò è ampiamente dimostrato dalla freddezza di Pacelli verso i suoi collaboratori, una qualità squisitamente
decorativa, un fregio ornamentale, come l'articolo sull'« Osservatore
Romano» del 25 ottobre 1943.
E cosi ci ritroviamo di fronte al problema della responsabilità che,
portato alle estreme conseguenze, dovrà forse farci rigettare lo stesso
dramma, in quanto non è più attuale in un'epoca di neutralismo a 011. Wall, op. cito
486
tranza. Se Norbert Miih1en scrive molto convincentemente che il più
grande datore di lavoro d'Europa, che aveva sotto di sé 55.000 lavoratori stranieri coatti, non capiva bene cosa gli si rimproverasse al processo di Norimberga; se fra i milioni di sventurati ridotti in cenere
da Rudolf Hoss ad Auschwitz non pochi, secondo lui, sarebbero stati
adatti quanto i loro assassini all'uffìcio di comandante del Laoer
b
, il cui
spaventoso insegnamento è che ai compiti imposti da Auschwitz avreh·
be potuto facilmente attendere un pacifico, comunissimo padre di famiglia, molto facilmente intercambiabile, allora il problema della colpa
non può più essere discusso in un dramma con la speranza che possa
venire rettamente giudicato. È chiaro che le grandi personalità, quelle
che fanno la storia, sono poche in ogni epoca. Ma allora, fino a che
punto chi resta neutrale può essere considerato colpevole? E ancora:
che cosa ci si può aspettare da un neutrale se il servizio militare obbligatorio o altre leggi analoghe lo precipitano in situazioni di cui può
aver ragione solo un santo, non un uomo normale? Il rifiuto all'obbedienza, per esempio, chi può permettersi di esigerlo da un uomo che,
dopo la comunione, non ha più sentito, nemmeno una volta, il bisogno
di meditare sul Bene e sul Male? Ma se il singolo non può essere
ritenuto responsabile perché non ha più niente da decidere o perché
non capisce che deve decidere, abbiamo creato l'alibi per ogni colpa:
e il dramma muore. Perché: «Non esiste alcun conflitto dove non è
libertà d'arbitrio » (Melchinger). 1
1. Siegfried Melchinger, Theater der G egenwart, Francoforte-Amburgo 1956.
487
Indice
Pagina
7 Carlo Bo: Un dramma cristiano
17
Erwin Piscator: Nota al «Vicario»
25
Il Vicario
29
Atto primo: La missione
135
Atto secondo: Le campane di San Pietro
183
Atto terzo: La visitazione
275
Atto quarto: Il gran rifiuto
317
Atto quinto: Auschwitz o la ricerca di Dio
407
Delucidazioni storiche