Carlo Ghidelli IL MIO ANGELO CUSTODE Indice Quella donna in preda alle doglie……………………………………………………. 8 settembre 1943: forata una gomma al confine italo-francese………. Arrestato dalle SS alla stazione di Cuneo…………………………………………. Ostaggio delle SS a Cuneo……………………………………………………………….. Intervento del Vescovo di Cuneo…………………………………………………….. Arrivo a San Fiorano con un soldato delle SS…………………………………… Un salto nel buio prima del Brennero……………………………………………… Nascosto in uno sgabuzzino della Stazione a Trento……………………..... A un metro dalla sentinella SS…………………………………………………………. Scampato arresto alla Stazione di Verona……………………………………….. A Casalpusterlengo passando da Milano…………………………………………. Invece della tessera per il pane……………………………………………………….. In Germania come infermiere…………………………………………………………. Ricordi tragici dalla Germania…………………………………………………………. Due illustri commilitoni…………………………………………………………………… Mitragliamento sul treno a Viadana………………………………………………… Un provvidenziale cambio di turno…………………………………………………. Mitragliamento presso il cimitero di San Rocco (Cuneo)…………………. Mitragliamento a Robilante (Cuneo)……………………………………………….. Arrestato dai fascisti e dalle SS tedesche………………………………………… Arrestato dai partigiani a Savigliano………………………………………………… Un partigiano ubriaco…………………………………………………………………….. Dal mio parroco per contattare le famiglie dei miei due commilitoni morti a Cuneo…………………………………………………………………………………. Un giorno al mare…………………………………………………………………………... 11 16 18 20 21 22 23 25 26 27 28 30 33 35 39 41 42 43 44 45 47 48 49 51 1 RICORDI DI GUERRA 1941 – 1945 CAP. MAGGIORE CARLO GHIDELLI Nato a San Fiorano (Lodi) Il 28.01.1922 2 Spillone e fascia consegnati alla visita per la leva militare 3 4 Berretto consegnato alla visita per la leva militare 1941 – Milano Partenza per la leva militare a Treviso 5 6 1942 – Treviso Giuramento Febbraio 1942 – Mostrine e stellette militari dell’Associazione Nazionale Autieri d’Italia 7 8 Corso per la patente di guida di camion militari a Montello 1942 – Treviso Leva militare 9 Prima parte del territorio francese occupato dalla 4a armata italiana 10 Quella donna in preda alle doglie Il febbraio del 1941 era particolarmente freddo. A metà mese ricevetti una cartolina militare nella quale mi si intimava di presentarmi entro tre giorni al 14° centro autieri di Treviso. Appena giunto mi sono trovato in un vecchio mulino, una costruzione alta, a tre piani, con letti doppi a castello di legno a tre piani. A me venne assegnato il posto più alto. Per salirci bisognava arrampicarsi sul telaio come gatti, essendo privo di scale. Il materasso era di paglia. Il letto abbinato al mio era occupato da un commilitone di San Fiorano, il caro Stefano Cremini. Considerato il freddo esterno e quello interno, io e Stefano decidemmo di avvicinarci e così sfruttare meglio le due coperte. Questo accorgimento durò fino a che il clima non si addolcì. Il compaesano poi venne trasferito in un’altra compagnia. Nel frattempo nei letti si annidarono dei parassiti sicché quasi tutti ci ammalammo e fummo messi in quarantena in una caserma di Cornegliano. Finita l’emergenza-epidemia, abbiamo fatto il giuramento a cui seguì la scuola guida a Montello, durata circa un mese. Venne successivamente l’ordine di partire per la Francia. Da Dosson, provincia di Treviso, dove c’era il deposito di tutti i camion, in colonna arrivammo a Cuneo, la città degli Alpini. Qui abbiamo caricato le truppe con i viveri e siamo partiti per il Colle di Tenda e giù per Nizza, quindi a Saint Raphael per finire a Draguignan. Nella piazza maggiore di questa cittadina siamo rimasti per qualche giorno dormendo in cabina. Il freddo era intenso, la paura di qualche attentato o incursione era sempre presente pertanto in quei giorni non ho mai praticamente chiuso occhio. Ho potuto concedere un po’ di riposo alle palpebre solo quando ci fecero spostare in un campo sportivo: lì ci sentivamo più sicuri anche perché il campo era cintato da alte mura. Fra la gente di questa cittadella trovammo qualcuno che parlava italiano, retaggio della presenza dei Savoia. Un giorno venne l’ordine di requisire dei camion in quanto i nostri non bastavano più per servire i reparti lontani. In quel periodo io ero caporal maggiore e toccò proprio a me, accompagnato da una ventina di soldati, di recuperare i mezzi necessari presso la sede automobilistica Citroen di Marsiglia. Là trovammo un tenente il quale, terminata l’assegnazione dei camion e definita la rispettiva destinazione, mi propose di fare una capatina ad Avignon a visitare la cattedrale: 11 “Dove, cinquecento anni fa era la sede del Papa”. Andammo ma ci dovemmo accontentare di vedere la chiesa dall’esterno essendo chiusa. Alla ripartenza, la sera era già inoltrata. Dopo solo pochi chilometri ci inoltrammo in una boscaglia, il tratto era particolarmente nervoso, fra curve e contro curve. Improvvisamente mi trovai in mezzo alla carreggiata una donna: teneva le mani alzate e piangeva disperatamente. Il Tenente temendo un agguato mi disse di scansarla e di accelerare. Cosa che feci. Dopo averla superata, guardai dallo specchietto retrovisore e mi accorsi che quella giovane donna non cessava di esagitarsi e soprattutto di piangere. Avvisai di questo il superiore e nel frattempo misi il piede al freno e feci una decisa retromarcia. Giunti vicino comprendemmo che la donna era preda delle doglie. La caricammo, la mettemmo sui sedili posteriori della jeep e la portammo al più vicino ospedale. La paura mia e soprattutto quella del tenente, si tramutò in felicità. Questo capitò in tempo di guerra, dove uno doveva per forza sospettare dell’altro. 12 La jeep su cui fu caricata la donna 13 14 Gruppo di militari italiani della 4a armata, nel campo sportivo di Draguignan (sud della Francia) Il rancio a Draguignan 15 8 Settembre 1943: forata una gomma al confine italo-francese L’ 8 settembre 1943, di notte, partimmo da Draguignan (Francia) con 100 camion di tipo 3 R.O. e 5 macchine di ufficiali. Al mattino arrivammo sulle Alpi al Passo della Maddalena, in località Barcelonnette a 2.200 m di altezza. Io ero attendente di un capitano e guidavo proprio la prima macchina della colonna. Dovevamo passare vicino ad una caserma che era stata degli italiani e, da poco, era occupata dai tedeschi. La sfortuna volle che si forasse una gomma della macchina che io guidavo, proprio davanti a quella caserma. Tutta la colonna di convogli si dovette fermare, io saltai giù in fretta dalla macchina per cambiare la gomma, mentre il capitano prese le bombe a mano per rispondere ad un eventuale attacco dei tedeschi. Io cambiai la gomma il più velocemente possibile e ripartimmo subito tirando un gran sospiro, dopo tanta paura, per lo scampato pericolo. 16 17 Casinò di Nizza prima del bombardamento tedesco Arrestato dalle SS alla Stazione di Cuneo Il 10 settembre 1943, alle 2 del pomeriggio, mi trovavo con molti altri militari nella stazione ferroviaria di Cuneo, ad aspettare il treno per tornare a casa. All’improvviso arrivarono le SS tedesche: il loro capo andò nell’ufficio ferroviario e al microfono cominciò ad urlare con rabbia ordini a tutti i militari e borghesi che si trovavano in stazione. Entro 10 minuti dovevamo trovarci tutti sul piazzale della stazione e chi avesse osato scappare, sarebbe stato passato alle armi. Immediatamente ci fu un fuggi-fuggi generale ma le SS avevano circondato la stazione e nessuno riuscì a scappare. Ci misero tutti in fila per 5 e ci controllarono da destra e da sinistra con mitra puntati. Avevo una gran paura, ma in un certo senso si poteva trovare anche motivo di sorridere perché mi trovavo di fianco soldati che si erano travestiti da suore, da preti, da guardie, per evitare di essere arrestati. Infine ci chiusero in una caserma degli alpini. Eravamo circa 1.500 persone. 18 19 Ostaggio delle SS a Cuneo 10 settembre 1943: in 1.500 ostaggi eravamo rinchiusi nella caserma degli alpini di Cuneo. Per la notte ci eravamo sdraiati per terra nel cortile, per tentare di dormire, ma, all’improvviso, arrivò una camionetta con ufficiali tedeschi delle SS, tutti armati. Ci fecero alzare tutti in piedi poi con il dito puntato, dicendo insistentemente “Komm’ hier, los!” che significa “Vieni qui, sbrigati!”, hanno prelevato dodici uomini, me compreso, e ci hanno chiusi in una camionetta per portarci nella caserma dell’artiglieria, che era rimasta vuota. Chiusero il portone e misero un soldato di guardia con una mitragliatrice ad ogni angolo della caserma. Noi tentammo di scappare ma il muro di cinta era alto 5 metri e dovemmo rinunciare. 20 Intervento del Vescovo di Cuneo Il 12 settembre 1943 arrivò ancora la stessa camionetta delle SS, ci prelevò e ci portò nel cortile del Vescovado di Cuneo. Ci consegnarono personalmente al Vescovo, salimmo una grande scalinata e ci misero nella Chiesetta privata del Vescovo. All’ingresso misero una guardia delle SS con mitragliatrice. Il Vescovo stesso ci disse che eravamo ostaggi pronti ad essere fucilati in piazza a Cuneo, qualora ci fossero stati episodi di aggressione o ribellione da parte dei cittadini di Cuneo verso i tedeschi. Il Vescovo si accordò con i tedeschi promettendo loro che la città non si sarebbe ribellata se loro ci avessero lasciato sotto la sua protezione. I tedeschi avevano paura di sommosse perché erano rimasti in pochi e nel vicino paese di Boves, che loro avevano incendiato, avevano già subito un linciaggio. 21 Arrivo a San Fiorano con un soldato delle SS 17 settembre 1943: poiché i tedeschi erano ormai rimasti in pochi, avevano bisogno di uomini per trasportare alcune bombe. Il comando tedesco ordinò di prelevarci dal Vescovado per andare ad aiutarli per questo trasporto. Dovevamo andare a Mantova con colonne di camion, per caricare le bombe. Durante il viaggio sistemarono noi ostaggi al centro della colonna per controllarci meglio, nel caso avessimo tentato di scappare. Durante il viaggio di ritorno, dato che si passava da Piacenza ed era prevista una tappa di riposo, pregai il comandante delle SS di poter andare a casa mia a San Fiorano a trovare i miei familiari. Lui dapprima me lo vietò poi vista la mia insistenza si convinse a lasciarmi andare a casa accompagnato da un suo soldato delle SS. Arrivammo a San Fiorano verso sera e guidai tanto forte che feci la curva vicina al cimitero su due ruote e per poco non andai a sbattere contro la casa che c’era su quella curva. Io ero molto emozionato mentre il soldato tedesco aveva paura che gli facessimo del male. Durante la cena arrivò al punto di scambiare il suo piatto con il mio per paura di essere avvelenato. Eravamo d’accordo con il comandante che saremmo stati di ritorno al mattino e il soldato tedesco per paura di essere ucciso durante la notte, non voleva andare a dormire. Poi si convinse e si mise a letto completamente vestito, con scarponi e mitra. Credo di essere l’unico in Italia ad aver dormito una notte vicino ad un soldato delle SS tedesche. 22 Un salto nel buio prima del Brennero 25 ottobre 1943: in Russia i tedeschi stavano arretrando e avevano bisogno di nuovi sodati. Dal comando tedesco a Cuneo arrivò l’ordine di andare in Russia e perciò ci prelevarono dal Vescovado con la scusa di aver bisogno di lavoratori. Invece ci misero al braccio una fascia con scritte in tedesco che significavano “volontario”, per non avere problemi con i loro soldati. Partimmo dalla stazione di San Damiano d’Asti con camion e carri armati, di notte, diretti in Russia. Io però pensavo che se fossi andato in Russia non sarei più tornato a casa, così, mentre il treno proseguiva la sua corsa, io continuavo a pensare di saltare giù dal treno. C’era però sempre qualche ostacolo: pali della luce, piante spinose, binari e soprattutto un tedesco armato di mitra seduto su una panca al centro del nostro vagone, un carro bestiame. Noi eravamo tutti sdraiati per terra, ma io non mi davo pace e continuavo ad andare a guardare fuori dal portellone che era socchiuso. Il tedesco mi richiamava sempre con il suo “komm’, komm’”, allora io tornavo a sdraiarmi controllandolo continuamente nella speranza che il dondolio del treno lo facesse addormentare. In vicinanza del Brennero sentii che aveva il respiro pesante come se dormisse, così mi convinsi che era il momento giusto, mi avvicinai piano piano al portellone e mi buttai giù rotolando sulla scarpata. 23 Gradi tedeschi ricevuti in cambio di quelli italiani, per andare a combattere in Russia 24 Nascosto in uno sgabuzzino nella stazione a Trento 28 ottobre 1943: camminando lungo i binari e il fiume Adige, arrivai alla stazione di Trento. Cercai subito un nascondiglio dove potermi togliere la divisa militare per restare con gli abiti civili che portavo sempre addosso sotto alla divisa e che mi erano stati portati di nascosto da mio padre in una piazza di Cuneo. A Trento, nascosto sotto ai vagoni-merci, scrutavo la stazione, ma proprio lungo il marciapiede vidi una sentinella tedesca armata che andava avanti e indietro. Avevo molta paura perché se mi avesse scoperto mi avrebbe consegnato subito ai suoi superiori e, risultando disertore, mi avrebbero subito fucilato. Era notte e dovevo prendere una decisione prima che facesse giorno. Aspettai il momento in cui la sentinella era girata dalla parte opposta a dov’ero io per saltar fuori da sotto i vagoni e infilarmi nel sottopassaggio. Mi diressi verso i gabinetti e lì trovai un vecchietto addetto alle pulizie che mi ispirò fiducia. Gli chiesi se ci fosse un posto per nascondermi e lui mi consigliò lo sgabuzzino dove c’era la caldaia della stazione e mi chiuse a chiave là dentro. 25 A un metro dalla sentinella SS 29 ottobre 1943: la mattina seguente ero ancora nel locale della caldaia chiuso a chiave, con la paura che quel vecchietto potesse tradirmi. La sentinella tedesca, stanca di passeggiare sul binario, era scesa e chiacchierava con il vecchietto; erano fermi a un metro da me. Io con la testa appoggiata alla porta ascoltavo e sentii che il vecchietto sapeva parlare tedesco. Incominciai a tremare di paura pensando che avrebbe detto tutto di me e mi avrebbe fatto arrestare. Dopo cinque minuti sentii il passo inconfondibile della sentinella tedesca che si allontanava, finchè non lo sentii più. Poco dopo il vecchietto venne ad aprire la porta del mio nascondiglio e mi disse che era sceso il tedesco e che avevano parlato un po’. Capii che non mi aveva tradito ed ebbi ancora più fiducia in lui; gli diedi 2.000 lire pregandolo di comprarmi un biglietto del treno per Milano e di vedere se, per caso, in sala d’aspetto, ci fosse qualche donna diretta a Milano alla quale avrei potuto affiancarmi per far credere di essere suo figlio. Il vecchietto mi comprò il biglietto, disse che c’era una donna che faceva al caso mio e che mi avrebbe chiamato poco prima dell’arrivo del treno. E così accadde. Mentre il treno si fermava in stazione io saltai fuori dal sottopassaggio e la donna era già pronta; ci infilammo nel primo sportello del treno e, sotto lo sguardo di quel vecchietto, partii, salutando anche la mia divisa militare che era rimasta a terra in quello sgabuzzino. 26 Scampato arresto alla Stazione di Verona 29 ottobre 1943: partito da Trento, in treno, per Milano, accadde che a Verona il treno si fermò e bisognava attendere 2 ore prima di ripartire. Sui binari c’erano migliaia di tedeschi che andavano al fronte verso Rimini e Ancona. La ronda passava e controllava i passeggeri, così la signora ed io decidemmo di incamminarci verso la sala d’aspetto della stazione. Pioveva e la signora con l’ombrello aperto mi copriva. Anche nella sala, seduti su una panchina, ci nascondevamo sotto l’ombrello, dato che anche lì pioveva perché la stazione era stata bombardata. Io avevo la barba lunga di alcuni giorni e avevo paura che la ronda si insospettisse per il mio aspetto. Dopo 2 interminabili ore annunciarono la partenza del treno per Milano. Ci precipitammo sul binario giusto e mentre aspettavamo che arrivasse il treno ci si avvicinò un uomo, in borghese, che iniziò a farci alcune domande e infine ci chiese se, per favore, potevamo curargli la valigia perché doveva andare un attimo in stazione. La signora ed io sentimmo che c’era qualcosa di sospetto e tenevamo d’occhio quell’uomo. Ad un tratto lo abbiamo visto uscire dalla stazione con due carabinieri, abbiamo abbandonato la valigia e siamo scappati nel sottopassaggio. Stando chinati sui gradini li controllavamo ma per fortuna arrivò il nostro treno. Ci siamo precipitati al primo sportello e siamo saliti; loro però ci avevano visti e corsero lì per catturarmi. Io cominciai ad urlare in mezzo alla gente che affollava il treno: “Aiuto! Mi vogliono prendere, non fateli salire!” Per fortuna, in quel momento, il treno si mise in moto e io fui salvato ancora una volta dal mio Angelo custode. 27 A Casalpusterlengo passando da Milano Il pomeriggio era tetro e piovoso. Il treno finalmente entrò lentamente, quasi timoroso, in “Centrale”. Io guardingo, osservavo dal finestrino. Accanto a me avevo quella santa donna milanese che si era offerta dalla partenza di Trento – rischiando non poco – di starmi accanto fingendosi mia madre. Appena entrato in stazione (i cui tetti erano squarciati dal bombardamento) osservai una moltitudine di soldati tedeschi proprio sul marciapiede sul quale saremmo dovuti scendere. Temendo di finire nella “bocca del leone” decisi di scendere dal lato opposto, sul binario, dopo essermi accertato che sullo stesso non transitasse alcun treno e dopo essermi accordato con la signora che ci saremmo ritrovati vicino alla nave (l’ Andrea Doria era il riferimento di tutti i viaggiatori), che si trovava al centro dell’ androne superiore della Stazione. Alla signora diedi il corrispettivo per l’ acquisto di un biglietto di sola andata per Codogno. Arrivato quatto quatto al posto fissato scoprii che la nave era stata rimossa. Allora decisi di stare nelle vicinanze, ma celato fra le impalcature di legno erette per la ricostruzione della Stazione danneggiata: dovevo ripararmi dalle pattuglie tedesche in perlustrazione e dalla pioggia battente. Poco dopo arrivò la mia caritatevole compagna con il biglietto. Mi tenne compagnia diverse ore (il primo treno utile per Codogno partiva all’ una del mattino), trovando riparo dalla pioggia con il suo ombrello. Ci tengo a ribadire che il rischio corso dalla signora non era secondario; infatti, nel caso fosse stata fermata e sottoposta a interrogatorio, avrebbe dovuto dire che io ero suo figlio, una verità tutta da provare. Questo rischio lo ha affrontato, oltre che per indole buona, anche per ricordo di un nipote dichiarato disperso. Con la signora ci salutammo poco prima della partenza del mio treno. Vi salii stando nell’ ultimo vagone, rannicchiato in un angolo sia per il freddo sia per la tensione. A Casalpusterlengo decisi di scendere avendo “fiutato” da alcuni viaggiatori che a Codogno l’ atmosfera non era tranquilla. La Stazione era oscurata. Non vi entrai ma attraversai i binari e mi inoltrai nei campi in direzione della Cascina San Zeno, dove risiedeva una mia zia (sorella di mia mamma). In uno degli orti recuperai una pertica che mi servì per battere contro le ante della finestra superiore della sua casa e svegliarla. La zia scese, mi aprì e mi accolse naturalmente a braccia aperte, come aveva accolto altre sue due nipoti, attrici 28 dell’ avanspettacolo, sfollate e ancora ospiti in casa sua in quei giorni. Dopo una settimana, durante la quale vissi praticamente sempre in solaio, ricevemmo la visita di Ghizzinardi Emilia, un’altra nipote della zia che mi ospitava e che abitava alla “Curt Lunga”, a San Fiorano, la quale mi chiese la ragione di questa clandestinità. Avuta l’assicurazione che i tedeschi se ne erano andati, accettai il consiglio di tornare a casa dai miei. Passati pochi giorni, mamma mi invitò a presentarmi in Comune per ritirare la tessera, “Altrimenti cosa mangi?”. Oltre la tessera però ricevetti, giorni dopo, una cartolina dal Distretto di Lodi che mi intimava di presentarmi a Milano. Cosa che feci, insieme a Mario Zambarbieri e Rosolino Scalmani. Tutti e tre fummo inviati al centro sbandati di Vercelli e poi in Germania. Il più fortunato fui io, che riuscii ad iscrivermi ad un corso di infermieri passato il quale mi misero alla guida di un’ambulanza. Il mio Angelo custode non si accontentava di aiutarmi, ma voleva estendere, a mezzo mio, l’assistenza anche agli altri, vestendomi da infermiere. C’è un altro fatto da ricordare in questa vicenda: sul treno che mi portava da Milano a Codogno, in un’altra carrozza, viaggiavano anche mio padre e mio fratello Giovanni. Provenivano da Cuneo dove pensavano di vedermi per consegnarmi vestiti da borghese. Mio fratello era afflitto da altissima febbre causata dalla stanchezza (in quel giorno avevano complessivamente macinato a piedi quasi venticinque chilometri). Fu un viaggio fatto a vuoto e, si può dire a buona ragione, che ci ha visti doppiamente beffati. Che fossimo tutti e tre sulle stesso treno infatti, lo scoprimmo quando tornai a casa, finita la mia clandestinità dalla zia di Casalpusterlengo. 29 Invece della tessera per il pane… Nel novembre 1943 sono riuscito a tornare a casa. In quel periodo si era in regime di tessera. Per ottenere tale documento indispensabile per il quotidiano sostentamento mi recai, sollecitato dalla mamma, in Comune amministrato degli aderenti al fascismo dal Sindaco, al Segretario Comunale fino agli impiegati. Purtroppo invece di darmi la tessera mi fecero un altro regalo: avvisarono il Distretto di Lodi dove mi dovetti presentare di lì a poco. Con sorpresa vidi che il Comandante del Distretto era un nostro concittadino. Purtroppo questo non valse ad evitarmi la cartolina che mi ingiungeva di partire subito per Vercelli dove c’era in atto il raduno della Littorio. Il comando era in mano ai tedeschi i quali, non fidandosi più degli italiani, ci mandarono in Germania per farci sottostare ai loro sistemi d’istruzione. Mi ritrovai così nella gabbia per la seconda volta: siamo passati vicino a Vienna. Giunti in prossimità di Stoccarda rimasi impressionato per la situazione disastrosa in cui era stata ridotta dai bombardamenti: non una casa in piedi, solo distruzione. Tutto era fermo, funzionava solo la ferrovia riparata dai danni in tempo di record per far passare le truppe. Arrivati a Mussinghen al confine con la Danimarca, ci fecero scendere in una stazione secondaria. Per raggiungere il campo di addestramento ci fecero camminare una ventina di chilometri in una selva sterminata. Arrivammo quando le forze non ci sostenevano più, nemmeno a stare in piedi. Ci obbligarono ad entrare in un tunnel con tutti i nostri miseri bagagli: all’interno il lezzo era insopportabile. Il giorno dopo ci interrogarono chiedendo ad uno ad uno cosa eravamo capaci di fare. Io risposi che ero un meccanico, che ero capace di guidare la macchina e che potevo anche ripararla in caso di guasto. Senza pronunciarsi mi mandarono in una baracca di legno nel bel mezzo di un bosco. Subimmo un altro interrogatorio per lo smistamento. Io ebbi una certa fortuna, infatti mi dirottarono al corso di infermiere tenuto da dottori italiani. Anche in questa circostanza, il mio caro Angelo custode ci mise un pezzettino della sua ala… Molti dei miei commilitoni infatti vennero inviati nei reparti dove si facevano massacranti esercitazioni militari. 30 1944 - Cuneo 31 Documenti di appartenenza alla Croce Rossa Internazionale 32 In Germania come infermiere Il ritorno a casa. Relegato nella bottega della famiglia (Curt Lunga, casa attuale di Salvatore Sberna). L’indigenza imperversa. Ghidelli decide di presentarsi in municipio per farsi dare la “tessera”; questa presenza non è passata inosservata e di lì a qualche giorno arriva la cartolina che “l’invita” al distretto di Lodi e quindi su una tradotta stipatissima lentamente e inesorabilmente, verso il nord della Germania ai confini con la Danimarca; si era nel gennaio/febbraio del ’44. Nel traballante regno delle SS lo attendevano esercitazioni a ripetizione, mirate a ricostruire l’esercito “invincibile”; questa occasione viene a cessare dopo il duplice attentato a Hitler e al Duce che si traduce per gli italiani in una ferrea punizione: rinchiusi in fredde umide baracche giorni e notti. Interminabile tempo che finisce solo quando il Carlo afferra la possibilità offerta, di entrare- previo corso teorico/pratico – nel corpo infermieri indetto dalla Croce Rossa Internazionale. Assieme al sanfioranese aderiscono due compagni, poi, nella vita, divenuti popolari in Italia: il pittore Sommaruga (all’epoca allievo di Walter Molino, disegnatore della prima pagina della Domenica del Corriere) e il paroliere/musicista Giorgio Calabrese. Dopo il corso felicemente concluso (tesserino sanitario internazionale contrassegnato con il n° 666), il ritorno in convoglio ferroviario verso l’Italia. Con il corpo infermieri, 7 autoambulanze. A Viadana (Mn), il treno viene preso di mira dal famigerato “Pippo” che scarica contro il convoglio, contro autoambulanze e contro i poveri ospiti, una buona dose di confetti. L’arrivo a Codogno verso le 2 di notte. Al “disco” del casello della “Divizia” il treno si ferma. Carlo nota che il casellante era il sanfioranese Polledri, lo prega di avvisare i parenti di venire a trovarlo in stazione. I genitori arrivano subito. La mamma avverte nel buio della notte una ferita sul volto del figlio infermiere-militare; ricordo indelebile del citato simpatico, solo di nome, Pippo; quello subito da Carlo è niente se si considera che non tutti i suoi amici sono riusciti a nascondersi sotto le rispettive ambulanze: alcuni, infatti, giacevano nell’abitacolo mortalmente colpiti: il segno era il sangue che aveva macchiato la porta delle macchine. Ghidelli addita alla mamma un brano dell’agghiacciante realtà. Dopo poche ore, partenza per Corteolona, sempre a mezzo rotaie, dove gli infermieri si concedono un po’ di riposo nelle porcilaie dell’Industria Galbani; poi trasferta a Miradolo, 33 indi a Cuneo, in servizio effettivo come membri della Croce Rossa Internazionale. Un lavoro rischioso: alcuni suoi amici nell’esercizio di assistenza ai feriti, hanno perso la vita “saltando” letteralmente in aria con l’autoambulanza a cagion di attentati partigiani. Ma il 25 aprile era in prossimità … La carriera infermieristica per Ghidelli Carlo finì a Savignano: mentre stava portando in Ospedale alcuni soldati feriti, venne bloccato dai partigiani e cortesemente (leggi con minaccia) invitato a lasciare tutto. Carlo comprese che la guerra era davvero finita. A Castagneto Piemonte il sanfioranese barattò i vestiti da sergente con abbigliamento borghese e, adottate le precauzioni, fece ritorno definitivo al paesello. 34 Ricordi tragici dalla Germania Nel 1944, io, Carlo Ghidelli, mi trovavo in Germania in un campo di addestramento della divisione chiamata “Littorio”, composta da giovani non volontari ma che i fascisti avevano rastrellato qua e là per l’Italia, come me, per esempio, che ero scappato dai tedeschi qualche settimana prima saltando giù da un vagone bestiame e poco dopo essere tornato a casa ero stato richiamato sotto le armi. Durante il viaggio verso la Germania alcuni giovani avevano tentato la fuga saltando dal treno, ma mentre correvano per allontanarsi, gli avevano sparato e noi li abbiamo visti cadere, senza sapere se li avessero colpiti o se si fossero gettati a terra per ripararsi. Il treno avanzava inesorabilmente e attraversata quasi tutta la Germania, ci portarono in una località vicina a Dortmund per istruirci sui metodi tedeschi, controllando che nessuno tentasse la fuga, dato che solo il 5% di noi era fascista. Io fui abbastanza fortunato, poiché mi fecero frequentare un corso per infermieri per entrare nella Croce Rossa Internazionale. Alcuni giovani però non sopportavano quella situazione e, un giorno, quattro ragazzi di Milano andarono nel magazzino tedesco, rubarono una bussola, un cannocchiale, alcuni viveri e, durante la notte, fuggirono a piedi. Riuscirono ad attraversare tutta la Germania arrivando vicino a Innsbruck, in Austria, praticamente quasi al confine con l’Italia. Ormai pensavano di avercela fatta e, per la gran fame che avevano, si rivolsero ad alcuni contadini per avere un po’ di cibo, credendo che li avrebbero aiutati. Invece questi avvisarono la polizia che li arrestò e li riportò al campo di addestramento. Quando sento parlare dei tragici fatti delle Fosse Ardeatine, penso a ciò di cui io fui testimone diretto; credo che il modo in cui si svolse l’esecuzione di quei quattro giovani italiani sia stato ancor più crudele. Li fecero sedere su quattro sedie, una vicina all’altra, girati di schiena e legati alla sponda davanti a loro, di fianco c’era un prete che li assistette con alcune preghiere, appena più in là c’erano due ufficiali tedeschi con una pistola in mano. A 10 metri dai condannati sistemarono una fila di italiani cui avevano consegnato i fucili e un metro dietro a questi c’era una fila di tedeschi con le pistole pronte a sparare. Infine c’erano tutti gli altri soldati italiani, tra cui io, che dovevano assistere all’esecuzione perché vedessero la fine che era riservata a chi fuggiva. 35 All’ordine dato dall’ufficiale tedesco, i nostri soldati dovevano sparare altrimenti sarebbero stati colpiti dai soldati tedeschi che erano dietro a loro. Dopo che i quattro condannati furono colpiti a morte dal plotone, uno dei due ufficiali tedeschi si avvicinò e sparò un colpo alla testa ad ognuno di loro. Io chiusi gli occhi per non fissare nella mente quella scena orribile. 36 Militari italiani in Germania per il corso di infermieri 37 38 Foto ricordo della campagna di militari italiani in Germania per il corso di infermieri Due illustri commilitoni Fra i compagni d’armi che frequentavano in Germania il corso per infermieri c’erano due personaggi assai conosciuti; uno era Sommaruga, allievo di Walter Molino, illustratore della copertina de “La Domenica del Corriere”. Da lui ho imparato a dipingere. Era un autentico artista. Pur non disponendo di alcun materiale, non rinunciava a dipingere. Per pennelli ad esempio usava dei fiammiferi appuntiti. Mi fece dono di tre quadretti ad acquarello: uno rappresenta uno scorcio di paese con una chiesa, un altro raffigura una scena di guerra e il terzo un tramonto sul mare con una barca. Li conservo come un bene prezioso. Il secondo personaggio era il paroliere Giorgio Calabrese autore di molte canzoni di successo. Costui, sentendomi parlare sempre di mia mamma, mi scrisse una canzone intitolata appunto “Mamma”. Un testo che merita di essere pubblicato e che, modificato in qualche parola, ma non nella sostanza, divenne uno dei motivi più conosciuti e cantati di tutti i tempi. MAMMA Mamma io scrivo lontano questa canzone per te scrivo e mi trema la mano perché sei tutta per me Nella mia dolce casetta io voglio venire con te. Mamma ti voglio tanto bene, mamma tu sola puoi comprender certe pene solo le tue carezze danno la gioia al mio cuore tu sola sai le parole che il figlio tuo brama ognor, 39 mamma, nel mio silenzio vengo sempre da te tu sei la vita se ritorno starai sempre con me. Scende la notte silente come un incanto d’amor, su questo cuore io sento le tue materne parol viver felice al tuo fianco è più che un sogno d’amor. Ritornando al Sommaruga, un giorno, in poco tempo tracciò sul terreno l’immagine dell’Italia. Allora, insieme agli ufficiali e ai medici italiani, ci siamo messi in posa per una foto ricordo perché tutti eravamo convinti di ritornare in patria. Eravamo felicissimi. Purtroppo, poco dopo arrivò l’ordine dal comando tedesco di sospendere il rientro perché era accaduto un fatto grave: l’attentato al Duce e ad Hitler. I due vennero feriti in modo non grave dall’esplosione di un ordigno. Noi pensammo al peggio: “In Italia non ritorneremo mai più”. Invece 27 giorni dopo l’attentato ci fecero rientrare. 40 Mitragliamento sul treno a Viadana Nella primavera del 1944 fui richiamato sotto le armi e fui mandato in Germania. Là mi fecero frequentare un corso per infermiere dell’esercito della Repubblica di Salò. La guerra continuava e io, finito il corso, fui mandato nel reparto della Croce Rossa su un treno diretto a Cuneo che trasportava alcune autoambulanze. Stavo dormendo sul lettino di un’ambulanza quando presso Viadana ( Mantova ), un aereo da ricognizione americano ci intercettò. Quando sentii l’aereo virare attorno al treno mi alzai di scatto e aprii le porte posteriori per scendere dall’ambulanza, ma le richiusi subito perché vidi un fuoco spaventoso. I proiettili avevano forato le porte a destra e a sinistra senza colpirmi. L’aereo fece un’altra virata e intanto il treno si era fermato. Non avendo il tempo per scendere, mi nascosi dietro la ruota di un’ambulanza, per ripararmi, ma durante il mitragliamento un proiettile di 20 mm si conficcò nel pavimento del vagone, sfiorandomi lo zigomo sinistro. Alla terza virata dell’aereo saltai giù dal treno e al buio inciampai nei cavi elettrici tranciati dal mitragliamento; miracolosamente non rimasi fulminato. Corsi lontano dal treno e mi nascosi in un fossato. Un sergente di Roma, mio amico, non riusciva a correre perché era ferito; allora lo aiutai ad appoggiarsi ad un gelso. Purtroppo ci fu ancora un mitragliamento e lui, che aveva spostato la testa, fu colpito in pieno da un proiettile. Finita l’incursione dell’aereo, lo caricammo sulla mia ambulanza e lo portammo a Cremona. Proseguendo poi il viaggio, il treno doveva fare sosta a Codogno, così al casello di San Fiorano chiesi a un certo Polledri che conoscevo, se poteva avvisare i miei genitori del fatto che io mi trovavo a Codogno. Lui corse subito ad avvertirli e, poco dopo, i miei arrivarono in stazione. Mi trovarono con la faccia insanguinata e io non me ne ero reso conto; toccandomi il viso al buio sentivo bruciare un po’ ma non credevo di sanguinare. Mia mamma si accorse anche che scendeva del sangue dalla mia ambulanza; era il sangue perso dal mio amico ferito che avevamo lasciato a Cremona. 41 Un provvidenziale cambio di turno Nel giugno 1944 mi trovavo a Cuneo nella Caserma di San Rocco, con alcune autoambulanze di pronto intervento. Dovevamo fare i turni, uno di giorno e uno di notte. Una volta accadde che mi cambiarono il turno: avrei dovuto fare quello di notte e invece mi spostarono a quello di giorno. Chi prese il mio posto quella notte, fu mandato ad Acelio, un paesino in alta montagna a pochi chilometri dal confine francese, per prendere alcuni feriti. Sulla strada del ritorno,i partigiani, pensando che passasse un mezzo militare delle Brigate Nere, misero una mina. Invece passò l’autoambulanza della Croce Rossa e saltò in aria. Morirono tutti, conducenti e feriti. Ancora una volta, una mano misteriosa mi salvò. 42 Mitragliamento presso il cimitero di San Rocco (Cuneo) Nel luglio 1944, una sera mi trovavo in libera uscita, quando all’improvviso arrivò un aereo americano detto “Pippo” e incominciò a mitragliare. Io riuscii a ripararmi dietro al muretto di recinzione del Cimitero di San Rocco, vicino a Cuneo. Durante la virata l’aereo iniziò a mitragliare anche dalla coda e io così mi trovai sotto tiro. Allora istintivamente mi misi le mani sugli occhi e sentii che i proiettili colpivano il muretto alla mia destra e alla mia sinistra, facendo saltare via l’intonaco. Lo spavento fu enorme ma anche lì una mano misteriosa mi salvò. 43 Mitragliamento a Robilante (Cuneo) Agosto 1944: in caserma, dopo pranzo, arrivò l’ordine di andare a prendere dei soldati della Repubblica di Salò feriti a Robilante, un paesino in provincia di Cuneo verso il confine con la Francia. Durante il viaggio di andata fummo mitragliati dai partigiani e io vedevo saltare via pezzi di asfalto a 3 o 4 metri davanti a me. I partigiani credevano che trasportassimo armi. Ci fermammo all’inizio del paese e, trovate alcune persone, facemmo vedere e capire che dentro l’ambulanza non c’erano armi. Durante il viaggio di ritorno, trasportando i feriti, non ci colpirono più. 44 Arrestato dai fascisti e dalle SS tedesche Marzo 1945: nella caserma di San Rocco (Cuneo) con le ambulanze facevamo servizio per il reparto militare dell’ospedale di Cuneo. A guardia della nostra caserma avevamo i tedeschi. Noi militari italiani con i nostri superiori avevamo deciso di arrestare le sentinelle tedesche e di consegnare il reparto delle autoambulanze ai partigiani. Fummo però scoperti da un tedesco che, mentre noi arrestavamo i suoi commilitoni, stava facendosi la doccia nel cortile della caserma. Accortosi di quel che accadeva, saltò il muro di recinzione della caserma, alto circa 3 metri, e nudo, di corsa, raggiunse il suo comando a Cuneo, che dista circa 2 chilometri. Dopo mezz’ora arrivarono la Polizia tedesca e la Polizia fascista e ci arrestarono tutti. Eravamo circa 20 militari e ci misero tutti in fila. Avevamo paura di essere fucilati per tradimento. Prima del loro arrivo però il nostro comandante medico e il nostro maresciallo, avendo capito che le cose si mettevano male, erano scappati dalla caserma. Allora noi militari rimasti pensammo che l’unico modo per salvarci fosse di dare la colpa di ciò che era accaduto ai nostri comandanti. Riuscimmo a far credere che noi avevamo solamente eseguito gli ordini dei nostri capi che poi erano fuggiti e così riuscimmo ad aver salva la vita. 45 46 San Rocco di Cuneo, caserma degli alpini, sede temporanea della Croce Rossa (1945) Arrestato dai partigiani a Savigliano 22 aprile 1945: all’ospedale di Cuneo circolava la voce che la guerra stava per finire. Molti militari feriti che si trovavano lì, volevano essere trasferiti all’ospedale di Niguarda a Milano. Si formò una colonna con molte ambulanze e quando arrivammo a Savigliano (Cuneo), fummo fermati nel centro del paese dai partigiani che arrestarono tutti noi conducenti. Io ero il capo-colonna e dissi loro che trasportavamo i feriti gravi con i loro genitori. Loro risposero che si impegnavano a portare i feriti all’ospedale di Savigliano ma le ambulanze le requisirono perché dovevano servire per l’insurrezione del 25 aprile. Fecero salire noi conducenti e ci portarono in un cascinale fuori dal paese. 47 Un partigiano ubriaco 23 aprile 1945: abbiamo trascorso la notte nel cascinale dormendo su un pagliaio. Al mattino arrivarono i partigiani e ci misero tutti contro un muro di recinzione. Uno di loro, con un foulard rosso al collo, era ubriaco e voleva fucilarci ad ogni costo. Per fortuna il loro capo era una persona ragionevole e non ci fece fucilare, probabilmente perché eravamo della Croce Rossa. Per accertarsene, comunque, volle vedere i nostri cartellini di riconoscimento. Allora ci diede un foglio di via e, a piedi, raggiungemmo il Lingotto di Torino. Lì restammo fino alla fine della guerra, il 25 aprile. Dopo qualche giorno ci lasciarono andare a casa. 48 Dal mio parroco per contattare le famiglie dei miei due commilitoni morti a Cuneo Finita la guerra, tornato a casa a San Fiorano, mi recai dal mio Parroco Don Luigi Bestazzi, per chiedergli se poteva entrare in contatto, tramite lettera, con i Parroci dei paesi dei miei due compagni militari morti nel giugno dell’anno precedente (1944) nell’esplosione di una mina mentre tornavano in ambulanza a Cuneo, la notte in cui mi cambiarono il turno e io avrei potuto essere al loro posto. Se non ricordo male erano Franzoni Pietro di Serle in provincia di Brescia e Costi Arrigo di Scandiano in provincia di Reggio Emilia. Desideravo far sapere alle loro famiglie che i loro corpi erano stati sepolti nel cimitero di Cuneo, appena oltre l’ingresso, sulla destra, in una fossa con una semplice croce. Il mio Parroco inviò le lettere e ricevette risposta e ringraziamenti dai rispettivi Parroci che avevano avvertito le famiglie dei miei due commilitoni caduti. Don Luigi Bestazzi (18.06.1887 / 29.09.1976) 49 50 Un giorno al mare Dopo qualche anno dalla fine della guerra, mi trovavo in vacanza al mare a Marina di Massa. Un giorno in cui il mare era molto calmo, dato che non so nuotare, mi azzardai ad allontanarmi un po’ dalla spiaggia finché l’acqua mi arrivò al petto e mi guardavo intorno. Ad un certo punto, ad una decina di metri da me venne in acqua un signore piuttosto robusto, che sembrava un tedesco, si mise a nuotare poi si fermò e si mise a galleggiare a pancia in su senza nuotare. Io pensavo che al suo posto sarei andato a finire sott’acqua e lo guardavo incantato. Ad un tratto lui si girò, mi venne vicino con aria seria, mi puntò il dito in faccia e mi disse: “Lei è il Signor Ghidelli Carlo!”. Io, quasi paralizzato, risposi di sì e in un attimo mi passarono per la mente mille cose fra le quali una era: “Non sarà il tedesco che era di guardia sul treno quando stavo per essere portato in Russia e riuscii a scappare? Forse a causa della mia fuga, ricevette qualche punizione!”. Per fortuna non era nulla del genere. Era successo che sulla spiaggia c’era anche una mia cugina di Milano che faceva la ballerina e aveva sposato quel tedesco che era funzionario della Banca d’Italia e Austria. Lei era al corrente di quel fatto che mi accadde in guerra e avendomi visto lì in spiaggia, mi fece avvicinare dal marito per farmi uno scherzo. Infatti lui, vedendomi in difficoltà, si mise a ridere e mi indicò sulla spiaggia sua moglie che rideva anch’essa. Allora capii che si trattava di uno scherzo ma non ci trovai niente da ridere! 51