bormioli rocco
ALMA
lezioni di management
04
il marketing operativo - 1
il menu
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04 - il marketing operativo 1
la creazione del menu
premessa
I punti vendita grocery (cioè supermercati, ipermercati eccetera, punti vendita che che conducono ai cosiddetti consumi “home”, i cui prodotti vengono consumati a casa) utilizzano la leva del visual merchandising.
Vale a dire che l’assortimento viene presentato al consumatore attraverso l’esposizione dei prodotti sugli scaffali, che
favorisce il contatto diretto tra l’acquirente e il prodotto stesso.
Nei formati di somministrazione (ristoranti, pizzerie, bar e così via, tutti consumi “away from home”), invece, la presentazione dell’offerta avviene prevalentemente attraverso l’impiego di un catalogo dei prodotti disponibili (menu
per il food, carta vini e/o cocktail per il beverage), che tuttavia consente colo un contatto indiretto tra i frequentatori
del locale e il cibo e le bevande.
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l’importanza del menu
Il menu è il documento più importante di cui il ristoratore dispone per comunicare-vendere la propria proposta assortimentale. Va quindi considerato un veicolo commerciale e promozionale d’importanza cruciale, visto che spesso
la gran parte del risultati di un locale può essere dovuta al modo in cui viene redatto, presentato, gestito e rinnovato.
Esso, per l’appunto, non rappresenta semplicemente un’elencazione di piatti proposti, come invece potrebbe ritenere il cliente, bensì esprime e sintetizza tutti gli aspetti gestionali del ristorante (livello, stile culinario, specializzazione, tipicità, innovazione, posizionamento di prezzo dell’attività intrapresa).
Nella sua predisposizione si devono rendere compatibili:
• le finalità economiche del management con le preteste artistico-gastronomiche degli addetti alle preparazioni;
• le modalità di servizio con quelle di produzione e con i relativi spazi e le relative strumentazioni a disposizione;
• le aspettative della clientela con le offerte dell’azienda.
Ogni aspetto (esigenze economico-finanziarie, estetico-gustative-nutrizionali) deve quindi essere attentamente
considerato e bilanciato, al fine di garantire un’offerta produttiva il più possibile redditizia per l’azienda, giusta per la
clientela di riferimento e concorrenziale verso i competitor di piazza.
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Di conseguenza, un buon menu deve:
essere facile da consultare;
stimolare la curiosità del cliente;
essere comprensibile;
saper persuadere;
contribuire a indirizzare con sicurezza la scelta del cliente.
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le funzioni del menu
Il menu non deve essere visto come come uno strumento rigido: è una linea di indirizzo che deve corrispondere alla
richiesta della clientela, e quindi deve essere modificabile e flessibile.
Il menu ha varie funzioni:
• è uno strumento di comunicazione: deve guidare il cliente nella scelta senza imbarazzarlo o confonderlo; non deve
quindi essere incomprensibile e l’offerta deve essere qualitativamente varia; non è importante una lunga lista di
piatti ma una buona varietà di preparazioni;
• è un “contratto” tra cliente e azienda: in quanto tale, deve corrispondere a verità, pena il reato di frode in commercio sancito dall’articolo 515 del Codice Penale. Quindi, per esempio, bisogna segnalare le preparazioni con prodotti
surgelati e servire piatti corrispondenti a quanto si è scritto (in particolare quando vengono segnalate denominazioni d’origine controllata). Inoltre, nel menu, il prezzo di ogni piatto deve essere ben evidenziato e rispettato;
• è uno strumento di vendita: bisogna essere sicuri che i piatti scelti e riportati sul menu siano economicamente
vantaggiosi per la gestione e assicurino buoni margini di guadagno;
• è uno strumento pubblicitario: deve riuscire ad attrarre il cliente, trasmettendogli l’immagine, lo stile culinario e
gli elementi distintivi del locale;
• è un progetto di lavoro: l’azienda lo utilizza per organizzare gli acquisti e programmare il lavoro della cucina e degli
altri reparti.
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la pianificazione del menu
Per pianificare un menu prima di tutto è necessario capire:
chi si è:
il menu va adattato alla realtà e alle esigenze della specifica tipologia di impresa ristorativa in cui si opera (capacità
produttiva del ristorante, numero di coperti disponibili, attrezzature in dotazione, rete di fornitori di materie prime,
produzioni tipiche locali eccetera);
a chi ci si rivolge:
occorre chiedersi a che tipo di clientela ci si rivolge, cosa si desidera proporre e a quale prezzo. In pratica bisogna riuscire a individuare il profilo del possibile consumatore, le sue aspettative e anticiparle, per soddisfarne le necessità;
chi sono i competitor:
inizialmente, per conoscere il tipo di cucina maggiormente apprezzato nella zona e per non ripetere sul proprio menu
le proposte delle altre aziende ristorative, può essere utile analizzare i locali prossimi alla propria azienda.
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Nel predisporre il menu, è necessario prendere in considerazione:
la clientela
desideri e bisogni
stile di vita
occasione di consumo
concetto di valore
fattori socio-economici
sensibilità al prezzo
aspetto demografici
fattori religiosi
fattori etnici
la qualità del prodotto
sapore
temperatura
consistenza
aroma
valori nutrizionali
impatto visivo
i costi
della materia prima
del lavoro
della struttura
la variazione della domanda
la disponibilità delle materie prime
la stagionalità
la capacità produttiva, gli spazi, le attrezzature
gli aspetti igienico-sanitari
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le tipologie di menu
Abbiamo finora parlato di menu in modo generico.
In verità ogni azienda di ristorazione predispone diversi tipi di menu: per colazione e per pranzo, per momenti particolari, in occasione di festività, per cerimonie, banchetti, feste e così via.
Volendo suddividere i diversi tipi di menu, possiamo classificarli in tre grandi categorie:
• menu a prezzo fisso: sono quelle liste preparate dal ristorante che offrono un pasto completo a prezzo fisso, senza
possibilità di scelta per il cliente. Le possibilità sono molteplici: dal menu turistico (a prezzo particolarmente favorevole) a quelli degli alberghi di media categoria che effettuano pensione completa, ai menu degustazione dei ristoranti gastronomici. Anche in occasione delle ricorrenze (cenone di San Silvestro, pranzo di Natale o Pasqua) molti
locali offrono menu a prezzo fisso, preparati per l’occasione;
• menu a prezzo variabile: è la cosiddetta “lista alla carta” o alla “gran carta”, che viene distribuita ai clienti perché
possano scegliere tra le portate disponibili. Si può affermare che, viste le proposte, il “menu” viene composto dal
cliente stesso;
• menu concordati: sono quelli che vengono decisi in accordo da azienda e cliente in occasioni particolari. Il ristoratore propone una serie di menu per un pasto completo, tra i quali il cliente sceglie, richiedendo eventuali modifiche,
trattando poi il prezzo.
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i criteri gestionali
I criteri gestionali fanno riferimento agli aspetti economici e di gestione. Il menu deve essere ovviamente fonte di
reddito per l’azienda: una volta proposto, occorrerà analizzare le varie portate in termini di gradimento (numero di
piatti venduti) e di contributo ai ricavi/margini totali.
Valutando questi e altri dati, si può stabilire una gamma di piatti proponibili alla potenziale clientela.
Il target
Se si tratta di un menu per banchetti, è importante conoscere il tipo di utente: assai diversa sarà la preparazione di un
pasto per cerimonia, per uomini d’affari o per ritrovo di circoli sportivi. Interesserà sapere se sono presenti molte donne
o bambini, oppure se sono solo uomini. Il menu dovrà essere calibrato su misura del target di riferimento.
L’organizzazione
Altro aspetto importante da considerare è l’organizzazione, ovvero prima di comporre il menu o una carta è necessario controllare la possibilità di eseguirlo in relazione:
• al personale (potrebbe essere insufficiente o impreparato a eseguire certi piatti);
• alle attrezzature (può capitare che alcune preparazioni non possano essere eseguite contemporaneamente per il
sovraccarico di certi macchinari o per la mancanza di particolari attrezzature);
• alle materie prime (in certi momenti possono non essere reperibili, oppure solamente a caro prezzo, oppure non
essere state acquistate per tempo).
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L’aspetto economico
è imperativo tenere presente tre fattori:
• calcolo del costo delle materie prime occorrenti alla composizione della singolo piatto (food cost);
• calcolo del costo effettivo del piatto (food cost + labour cost + spese generali);
• formazione del prezzo di vendita del singolo piatto (costo effettivo del piatto + IVA + margine obiettivo).
la misurazione dell’efficacia del menu
La gestione di un menu richiede conoscenza, competenza e tempo da parte di tutta la struttura organizzativa, sia nelle
fasi di predisposizione che di implementazione.
Se si accetta la premessa che il menu è il primo componente del piano strategico, si comprende come la sua pianificazione e programmazione richieda la stessa cura e attenzione dedicata a una qualsiasi altra importante voce di spesa
in capitali. Non è un caso infatti che le grandi insegne della ristorazione si servano di personale specificatamente preposto: alla revisione del menu, all’analisi della redditività delle ricette, al controllo della produzione, alla verifica delle
caratteristiche nutrizionali delle pietanze.
Emerge, quindi, in tutta la sua criticità, l’esigenza per il management di disporre, anche per la valutazione della propria
proposta gastronomica, di opportuni strumenti di analisi in grado di indirizzare il ristorante verso le scelte più opportune e, conseguentemente, verso un congruo ritorno economico per l’attività intrapresa.
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A tal fine negli ultimi decenni la ricerca accademica ha cercato di formulare dei modelli quantitativi di analisi, basati
principalmente sul contributo informativo fornito dal margine di contribuzione e dalla popolarità delle proposte gastronomiche all’interno delle tipologie di portata (menu engineering).
Nonostante, comunque, i contributi in letteratura siano vari e in continua evoluzione, la pratica aziendale ha particolarmente fatto suoi quattro sistemi d’analisi, tre dei quali matriciali e uno algebrico. Il più noto e utilizzato è il metodo
di Kasavana e Smith che verrà trattato nel prossimo capitolo.
Si tratta, tuttavia, di filosofie d’analisi che devono essere considerate con la dovuta lungimiranza: i numeri sono solo
una parte, per quanto importante, del quadro complessivo di analisi, che deve comprendere anche aspetti impattanti sull’efficienza del menu quali la psicologia e il coinvolgimento emozionale.
Il materiale sui cui è stampato il menu/carta vini, la dimensione e numero delle pagine, il lettering e la descrizione dei
piatti-vini , l’ordine e la collocazione (nel layout grafico delle pagine) non sono certo elementi secondari, ma agiscono
in modo subliminale, condizionando o scoraggiando le scelte del cliente.
è infine necessaria una conoscenza condivisa del menu da parte di tutti gli operatori: il management deve essere in
grado di valutare economicamente le proposte dell’azienda; gli addetti alla cucina devono conoscere i processi di produzione/impiattamento delle varie pietanze; il personale di sala, infine, deve conoscere la composizione del piatto per
poter rispondere alle richieste della clientela in merito, nonché deve comprendere, o perlomeno conoscere, il contributo economico (popolarità e marginalità) di ogni piatto per indirizzare l’acquisto dei consumatori verso le produzioni
economicamente più favorevoli per l’azienda (azioni di up-selling e cross-selling).
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il menu engineering
la definzione
Il menu engineering è un modello quantitativo creato per procedere all’analisi di un menu, adottando un approccio
orientato alla domanda, in termini di:
• capacità di attrazione della clientela e conseguente popolarità dei piatti;
• profittabilità (capacità di generare margine/utile).
Nonostante le proposte e le metodologie siano varie ed in continua evoluzione, il menu engineering fa riferimento a
quattro sistemi d’analisi, tre dei quali matriciali ed uno algebrico. Tali modelli sono solitamente chiamati con i nomi
dei loro ideatori e sono, in ordine di formulazione:
• il metodo di Miller;
• il metodo di Kasavana e Smith;
• il metodo di Pavesic;
• Il metodo di Hayes e Huffman.
Nella trattazione dei paragrafi seguenti, si prenderà in esame il metodo di Kasavana e Smith.
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il metodo di kasavana e smith
Proposto nel 1982 e conosciuto anche con l’espressione “contribution margin method”, il metodo di Kasavana e
Smith propone di utilizzare il margine di contribuzione dei piatti e la loro popolarità come variabili fondamentali
per posizionare le singole proposte in una matrice a quatto quadranti, su cui successivamente applicare le opportune
strategie di marketing operativo.
Prima di tutto è necessario raccogliere i dati delle componenti dell’oggetto di studio (per esempio antipasti, primi piatti
e così via) relativi a tre variabili chiave:
• la popolarità;
• il prezzo di vendita;
• il food cost;
• il margine di contribuzione.
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La popolarità
Intesa come numero di piatti venduti, può essere ottenuta grazie a sistemi di reportistica dei quali sono dotati i POS
(point of sale, registratori di cassa). Tali strumenti consentono di tracciare il numero di piatti venduti e la loro tipologia,
configurandosi come veri e propri gestionali che consentono, se adeguatamente programmati/interrogati, di ottenere
informazioni di varia natura, ma tutte comunque utili per la gestione aziendale (come, per esempio, il relativo scarico
delle merci dal magazzino).
Il food cost
Rappresenta l’incidenza del costo delle materie prime su ricavi/prezzi di vendita dei singoli prodotti. Qualora l’azienda
utilizzi un sistema di ricette standard (food cost preventivo) oltre a permettere di conoscere il costo delle materie prime, il sistema gestionale potrebbe automaticamente scaricare dal magazzino quelle già consumate, consentendo poi
di effettuare un controllo incrociato tra consumi della cucina e uscite reali.
Il margine di contribuzione
Margine lordo di primo livello per singolo piatto, lo si può acquisire scorporando l’IVA dal prezzo di vendita e sottraendo successivamente il costo delle sole materie prime (costi variabili).
Questi KPI (key performance indicator) insieme ad altri andranno ad alimentare la parte tabellare del menu engineering, di cui trovate un esempio nella prossima pagina.
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Tabella relativa a Ristorante Alpha - “Secondi piatti” - Periodo t1-t2.
Tutti i valori, salvo dove diversamente indicato, sono espressi in euro.
Popolarità (n) FC unitario
8,30
PV
PV netto
Margine unitario
Fatturato
FC complessivo
FC (%)
Margine complessivo
22,00
20,00
11,70
11.946,00
4.506,00
37,73
6.353,10
Insalata di astice
543
Filetto di branzino
420
5,10
16,50
15,00
9,90
6.930,00
2.142,00
30,91
4.158,00
Zuppa di pesce
389
4,80
16,00
14,55
9,75
6.224,00
1.867,00
30,00
3.790,98
Orata in guazzetto
336
7,10
19,00
17,27
10,17
6.384,00
2.385,60
37,37
3.418,04
Entrecote di manzo
327
3,80
12,00
10,91
7,11
3.924,00
1.242,60
31,67
2.324,67
Rana pescatrice
322
6,69
18,00
16,36
9,67
5.796,00
2.154,18
37,17
3.114,91
Filetto di vitello
268
8,40
24,00
21,82
13,42
6.432,00
2.251,20
35,00
3.596,07
Sella di coniglio
235
4,50
18,50
16,82
12,32
4.347,50
1.057,50
24,32
2.894,77
Petto di anatra
198
5,60
14,00
12,73
7,13
2.772,00
1.108,80
40,00
1.411,20
Pollo al curry
140
4,20
14,00
12,73
8,53
1.960,00
588,00
30,00
1.193,82
3.178
6,07
17,85
16,22
10,15
56.715,50
19.303,98
34,04
32.255,57
Media di popolarità
3.178/10 * 80% = 254,24
Media margine di contribuzione
33.255,57/3.178 = 10,15
Utilizzando come dati di origine i valori delle colonne popolarità e margine di contribuzione (margine unitario in €),
in un grafico a dispersione si ottiene la matrice riportata nelle prossime pagine.
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Il calcolo della popolarità
Come anticipato, con popolarità si intende il numero di consumazioni vendute per ogni specifica voce del menu.
La dottrina e, conseguentemente, la pratica applicano un criterio convenzionale per stabilire la popolarità o meno di
una particolare pietanza o bevanda: si è soliti definire popolare un piatto la cui richiesta è pari all’80% o, secondo altre
impostazioni, al 70% della media di vendita per piatto.
Un esempio
Nel caso della tabella della pagina precedente, considerando un totale di 3.178 consumazioni vedute all’interno del
menu “Secondi piatti”, che comprende 10 voci di prodotto, in caso di soglia di popolarità posta all’80%, si ottiene il
seguente valore:
Indice di popolarità = 3.178/10 * 80% = 254 consumazioni
I prodotti che sono stati richiesti in misura superiore alle 254 consumazioni sono definiti “popolari”, mentre quelli al di
sotto “impopolari”.
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Matrice di Kasavana e Smith per il menu “Secondi piatti”.
La superficie del/i rettangolo/i equivale al valore del
margine complessivo di contribuzione (€)
[margine unitario (€) * piatti venduti (n)]
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La lettura della matrice
In questo modo si individuano 4 categorie di prodotti.
A fare da discriminante è l’indice di popolarità del piatto unita al margine di contribuzione medio per prodotto venduto
(ottenuto dividendo il margine di contribuzione totale per il numero di consumazioni totali).
Le classi di pietanze individuate, pertanto, sono:
• plowhorses (“cavalli da tiro”): con alta popolarità, ma basso margine di contribuzione unitario;
• stars (“stelle”): con alta popolarità e alto margine di contribuzione unitario, apportatori quindi di ottimi risultati
economici e pertanto da incentivare;
• dogs (“cani”): prodotti a basso margine di contribuzione unitario ma anche a basso volume di vendita;
• puzzles (“rompicapo”): piatti-incognita che presentano buoni margini di contribuzione unitari, ma, nello stadio
attuale, non sono particolarmente apprezzati.
Ovviamente in tale modello è la vendita dei prodotti “stars” a dover essere incentivata, poiché rappresentano il miglior
margine di contribuzione unitario, al contrario invece dei prodotti “dogs”, che sarebbe preferibile eliminare dal menu,
data la loro scarsa contribuzione alla formazione dell’utile.
Infine, i prodotti “plowhorses” e “puzzles”, in un’ottica di massimizzazione della profittabilità, vanno migliorati o incentivati, ma in fin dei conti non creano grandi problematiche all’azienda nemmeno nello stato attuale.
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“Stars”
Sono piatti molto richiesti e che presentano alto margine di contribuzione unitario.
Inutile sottolineare che questi piatti vanno posizionati sul menu nelle zone più in vista, in modo che il cliente, attratto, ne veda subito la disponibilità.
Si può provare ad aumentare il prezzo di vendita del piatto, ma prima è necessario testarne l’elasticità della domanda
alla variazione del prezzo (per esempio potrebbero essere piatti richiesti normalmente dai clienti senza che questi
facciano caso al prezzo). Solo se il cliente attribuisce grande valore al piatto e/o questo non è normalmente presente
nei menu di altri locali, il tentativo può essere attuato (per esempio potrebbero essere piatti per cui i clienti si spostano
apposta per poterli gustare).
Naturalmente, occorre: controllare che siano sempre ben presentati, mantenerne uno standard elevato, suggerire ai
clienti di provarli. Ovviamente è sconsigliabile provare a incrementare il margine contributivo riducendo la qualità delle materie prime impiegate.
“Dogs”
Sono quei piatti che presentano bassa popolarità e basso margine di contribuzione unitario.
Occorre valutarne la loro funzione: se non giocano un ruolo di completamento e/o di servizio sono candidati a essere
rimossi dal menu.
Inoltre, se uno di questi piatti richiede molto lavoro diretto, ha un breve periodo di conservazione, non consente un
eventuale riutilizzo delle rimanenze, la sua rimozione diventa impellente.
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04 - il marketing operativo 1
“Puzzles”
Sono quei piatti che presentano un alto margine di contribuzione unitario ma sono purtroppo poco richiesti.
Sono naturalmente i piatti che i titolari/manager desidererebbero vendere di più.
Si può provare a riposizionare il piatto in un’altra zona del menu, a rinominarlo, a pubblicizzarlo maggiormente.
Si possono usare tecniche di vendita più suggestive, come proporre ai clienti di provarli o, perché no, abbassarne il
prezzo di vendita per accrescerne la popolarità.
La scarsa popolarità potrebbe infatti dipendere dallo scarso valore che i clienti attribuiscono loro e un prezzo di vendita inferiore potrebbe quindi invogliare maggiormente il cliente e incrementare così le vendite. L’abbassamento del
prezzo di vendita del piatto dovrebbe portare a un soddisfacente aumento della domanda in modo che questa possa
coprire il minor margine di contribuzione unitario del piatto stesso.
Un’altra strada da percorrere potrebbe essere quella di aggiungere valore al piatto, offrendo magari una porzione più
abbondante o utilizzando prodotti di migliore qualità.
Certo, un’operazione del genere abbassa il margine di contribuzione unitario del piatto, ma un prezzo più basso o allettante potrebbe incrementare i volumi di vendita, e conseguentemente il valore del margine di contribuzione totale.
Altre opportunità per accrescere la popolarità potrebbero essere quella di cambiarne la descrizione nel menu con una
dicitura più accattivante e quella di sensibilizzare il personale di sala alla tentata vendita.
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04 - il marketing operativo 1
“Plowhorses”
Sono quei piatti che pur essendo popolari, presentano un margine di contribuzione unitario basso.
Si potrebbe, visto che sono “ricercati” dai clienti, provare ad aumentarne il prezzo di vendita, magari un po’ alla volta,
accompagnando tale azione con un’operazione di “repackaging” (rivisitare impiattamento e/o rinominare il piatto). Ma
l’aumento del prezzo di vendita non deve causare una caduta del volume delle vendite tale da influire negativamente
sul programmato margine di contribuzione complessivo. I maggiori ricavi dovranno compensare gli eventuali minori
volumi di vendita.
Se il piatto è collocato sul menu in una posizione favorevole, si potrebbe anche provare a collocarlo in una posizione
più defilata: i clienti che desiderano ordinare tale piatto a tutti i costi, lo troveranno comunque; altri però saranno forse
attratti dai piatti posti nelle aree di maggior richiamo.
Se nel prezzo di vendita sono compresi uno o più contorni, un’altra soluzione potrebbe essere quella di abbassare il
food cost dei contorni (o comunque di un ingrediente principale/costoso) in modo che il piatto acquisisca un margine
di contribuzione unitario più elevato.
Un’altra soluzione da prendere in considerazione è quella di ridurre le porzioni. Tale decisione è da prendere comunque con molta cautela perché il valore che il cliente attribuisce al piatto potrebbe calare sensibilmente e dirottarne la
scelta su altri piatti. Il basso margine contributivo unitario di questi piatti potrebbe essere accettabile se analizzando il
costo del lavoro diretto scoprissimo che questo è molto ridotto.
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nella prossima puntata
il marketing operativo - 2
le scorte e il magazzino