Arturo Issel Tra studio, osservazione e ricerca di Nicola Panizza Indice Premessa ……………………………………………………………………………………… pag. 3 La vita ..................................................................................................................................…. pag. 3 Il metodo scientifico ……………………………………………………………………..…… pag. 4 La produzione teorica ………………………………………………………………….......... pag. 4 La Liguria geologica e preistorica …………………………………………………………... pag. 5 La scoperta dei bradisismi …………………………………………………………………… pag. 6 La Pietra del Finale e gli studi mineralogici ……………………………………………….. pag. 7 Conclusione ………………………………………………………………………………….. pag. 8 Note e bibliografia …………………………………………………………………………… pag. 9 2 Premessa Definire in modo appropriato l’attività di Arturo Issel è un’operazione assai complicata. La qualifica di “scienziato” – la più spontanea ed immediata – può rivelarsi, infatti, tanto gratificante quanto riduttiva: gratificante perché nessuno meglio di lui ha contribuito, in una fase storica decisiva come quella tra il XIX secolo e i primi decenni del Novecento, allo sviluppo della scienza naturalistica locale, diventando il prototipo del ricercatore e dello studioso a tutto tondo del territorio e dell’ambiente liguri; riduttiva perché così facendo ne risulta sminuita quella lunga serie di competenze formatasi dall’unione di un rigoroso metodo scientifico con uno spirito eclettico e scrupoloso. Competenze che spaziavano dalla geologia, che forse è stato il suo maggiore campo d’azione, all’ambito strettamente mineralogico, dagli studi geo-morfologici alla paleontologia1, dalla fisica all’archeologia, dall’analisi antropologica alla zoologia. Competenze che, tuttavia, non gli impedirono di dedicarsi agli interessi botanici o di formulare, durante alcune ricerche nel Finalese, importanti considerazioni di carattere sismologico (che saranno fondamentali per la scoperta dei cosiddetti bradisismi) e di notevole rilievo etnografico (si pensi anche solo alle accurate ricostruzioni storiche effettuate sulla base dei numerosi reperti esaminati nelle principali grotte preistoriche regionali). La vita Nato a Genova nel 1842, dopo un’infanzia ed un’adolescenza trascorse nella città natale all’insegna di una evidente inclinazione verso le materie scientifiche, Arturo Issel porta a termine la sua formazione universitaria all’Università di Pisa, dove si laurea in Scienze Naturali ed intraprende subito una lunga serie di ricerche nel campo delle Scienze della Terra, per ora ristrette all’ambito ligure, poi estese al resto d’Italia e a territori esteri confinanti quali la Provenza francese. Nel 1864 appare la sua prima pubblicazione inerente una grotta ossifera del Finalese, che poi si rivelerà, in scritti successivi, nientemeno che la Caverna delle Arene Candide2. Dopo essere entrato, ancora giovanissimo – nel 1866, quindi a 24 anni – nell’Ateneo genovese come primo responsabile di Geologia e Mineralogia, diventa professore ufficiale di queste materie nel 1870. Nel 1891, mantenendo la cattedra di Geologia e abbandonando quella di Mineralogia, assume l’incarico di direttore generale dell’Istituto e Museo Geologico collegato all’Università. Ricoprirà questo ruolo fino al 1917, pochi anni prima della sua morte, avvenuta nel 1922 dopo esser stato, per un biennio, anche presidente della Società Ligure di Storia Patria, che conserva tuttora importanti documenti su di lui. L’impegno e la dedizione dedicati alla gestione del Museo, che sotto la sua supervisione si è notevolmente ampliato ed ha incrementato fortemente il numero di collezioni, segnano forse il periodo più roseo e prolifico dell’attività di Issel. Sono chiare, in merito, le parole di Maria Cristina Bonci, che, nel suo saggio sull’evoluzione storica della geologia ligure, scrive: “L’attività poliedrica di Issel è fondamentale anche per il Museo Geleogico dell’Università di Genova, che proprio grazie a lui si trasforma da semplice Gabinetto universitario, legato principalmente all’attività didattica, in una vera struttura museale, luogo di raccolta di collezioni di notevole valore scientifico, fondamentale supporto all’insegnamento universitario e centro di una vivace attività di ricerca, con produzione di pubblicazioni, ancora oggi di indubbia validità, su materiali liguri. Il trasferimento nella prestigiosa sede della Villetta di Negro nel 1912 corona l’attività museologica di Issel e segna indubbiamente il momento più alto, purtroppo mai più eguagliato, nella storia del Museo. Issel stesso sembra ben consapevole di ciò, tanto che nel 1914 pubblica una nota sul nuovo allestimento del museo, ricordando la storia della sede ed illustrando in modo particolareggiato le collezioni, le correlate attrezzature e, particolare da evidenziare, la 3 tipologia di esposizione e lo scopo dell’istituzione museale. A questo proposito è interessante notare che anche nel campo della museologia Issel dimostra originalità di idee e modernità di concezione.” 3 Questo semplice quadro biografico, che ritrae una vita intensa e proficua dedicata in modo trasversale ai vari settori della scienza, offre notevoli spunti interpretativi in merito all’operato di Issel sul piano teorico, pratico ed istituzionale. Il metodo scientifico Per comprenderne fino in fondo il significato, l’attività pratica di Issel deve essere analizzata tenendo conto dei tre fattori fondamentali che la contraddistinguono: 1. STUDIO. In primo luogo, uno studio preventivo delle zone da esplorare, che se da un lato implica una adeguata preparazione culturale e scientifica, dall’altro richiede la capacità di analisi e di confronto di tutte le fonti storiche e letterarie che (riportando informazioni sulla zona interessata) possano essere di aiuto al proprio lavoro. 2. OSSERVAZIONE. In secondo luogo, un’osservazione attenta e minuziosa dei luoghi e dei fenomeni naturali in esame, che nella maggior parte dei casi permette di individuare un punto di partenza preciso – la particolare disposizione di una conformazione rocciosa o l’azione delle acque fluviali sul suolo, ad esempio – da cui avviare la ricerca. 3. RICERCA. Infine, il fulcro dell’indagine concreta, che, in questo caso, avviene sempre su più fronti e, a prescindere dall’obiettivo iniziale, non tralascia mai alcuna considerazione o accertamento, in accordo con quello che dovrebbe essere, a dire dello stesso Issel, un processo aperto e dinamico della scienza. L’unione di questi tre fattori, nel suo caso inscindibili uno dall’altro, costituisce un severo approccio metodologico scientifico che si rivelerà fondamentale anche per la gestione, la revisione e la pubblicazione dei dati e delle informazioni raccolte. La produzione teorica Dopo lo studio, l’osservazione e la ricerca, però, la necessità di creare un’organizzazione logica e organica dei risultati ottenuti (che poi è una delle tappe successive) e la volontà di rendere pubblici gli esiti del proprio lavoro danno luogo a quella che è invece la grande produzione teorica di Issel, una produzione che, pur essendo oggi quasi del tutto sconosciuta, consiste in un corpus molto ampio di opere, tra le quali vanno almeno citate, oltre i numerosi scritti sull’area finalese, la Liguria geologica e preistorica del 1882, pubblicata in tre volumi dall’editore genovese Donath, la Bibliografia scientifica della Liguria, che risale al 1887, ed il Compendio di Geologia del 1896. Si tratta di opere che, sebbene possano ritenersi, per alcuni punti di vista come quello stilistico, obiettivamente superate – molte strutture logico-sintattiche e parecchi vocaboli del lessico scientifico sono oggi in disuso – non perdono certo la loro importanza letteraria e filologica, in quanto propedeutiche allo sviluppo degli strumenti e dei parametri critici della scienza moderna. 4 La Liguria geologica e preistorica “Dopo i capitoli inseriti da Lorenzo Pareto nella lodatissima Guida di Genova e del Genovesato, pubblicata fin dal 1846 per cura del Comune, in occasione dell’ottavo Congresso degli scienziati italiani, non fu più data alle stampe alcuna illustrazione complessiva della regione Ligure, dal punto di vista della configurazione e costituzione del suolo. E siccome, da allora in poi, le nostre cognizioni in proposito crebbero assai, credetti legittimo ed opportuno metter mano a quest’opera, che ha per oggetto di esporre ordinatamente e in modo succinto le nozioni più sicure intorno alle vicende geologiche, alla stratigrafia, alle rocce, ai fossili ed ai materiali estrattivi della Liguria, come pure i risultati delle indagini compiute sulla etnografia e le origini delle stirpi che popolarono fin dai tempi più remoti, la nostra regione.” 4 L’unico testo di Issel oggi ancora facilmente reperibile5 si compone, sul piano strutturale e tematico, di introduzioni e premesse storiche – come quella di apertura sul significato dell’espressione Liguria e dei suoi confini – paragrafi specifici, puntuali descrizioni tecniche ma anche giudizi ed opinioni personali che, per desiderio stesso dell’autore, inseriscono i suoi studi in una delle tante prospettive di analisi scientifica possibili. Assieme alle pregevoli illustrazioni eseguite a mano da Niccolò Morelli 6, fanno da corredo esplicativo i frequenti grafici, tabelle e quadri sinottici. Per citarne solo alcuni, l’interessante “Prospetto dei principali terremoti osservati in regione e nei territori confinanti dall’anno 951 al 1890” che apre il capitolo sulla dinamica interna della Terra (è questo il caso in cui diventa inevitabile, per lo scienziato, il ricorso alle fonti storiche) e un’ampia classificazione delle sorgenti liguri, suddivise in solforose, saline, ferruginose, acidule, acidulo-manganesifere e calcarifere, nel capitolo sui caratteri chimici delle acque. A titolo di esempio, viene descritta così, tra quelle di natura solforosa, la sorgente dell’Acquasanta: “Sgorga sulla riva d’uno dei due rami del torrente Leiro, a tre chilometri e mezzo da Voltri, da un masso di serpentina antica. E’ limpida, incolora, senza odore ed ha un sapore sgradevole, solfureolisciviale; abbandonata per qualche ora in vasi aperti, s’intorbida e vi forma un deposito biancastro. Lungo il canale in cui scorre, essa lascia un deposito costituito di 86 parti di carbonato di calcio e 14 parti di solfato di calcio. La sua temperatura è compresa tra 20° e 25° (cent.) e sembra indipendente dalle stagioni. Pesa specificamente 1,008.” Anche solo un breve frammento testuale lascia intendere il grado di precisione e specificità, sia dal punto di vista scientifico sia da quello geografico, dell’analisi isseliana. Spiegazioni ancora più meticolose sono riservate a quelle che invece possono essere ritenute le vere e proprie scoperte di Issel, che lo resero celebre prima a livello regionale, poi nazionale e, nel caso dei bradisismi, anche in ambito internazionale. 5 La scoperta dei bradisismi Grazie alle sue accurate ed assidue ricerche nell’ambito della tettonica e della sismologia, Arturo Issel fu il primo ad identificare e studiare quelli che, secondo un termine da lui stesso coniato e divenuto ben presto di uso internazionale, sono detti bradisismi ovvero lenti movimenti verticali della litosfera che determinano lo spostamento della linea litoranea. In virtù delle successive suddivisioni, tali movimenti vengono definiti positivi se si verificano dall’alto verso il basso dando luogo a sommersione della costa, e negativi se avvengono dal basso verso l’alto causando, invece, l’emersione del suolo. Un sopralluogo nella Caverna Marina di Bergeggi indusse Issel a ritenere che i risultati delle oscillazioni fossero facilmente riscontrabili, lungo le zone costiere, nei punti in cui si osservano le erosioni delle rive, soprattutto se rocciose, ad opera delle onde marine. Su questa semplice disamina empirica si configurano l’attuale classificazione e l’analisi scientifica moderna dei bradisismi: essi, infatti, possono essere continui (sollevazione o abbassamento ininterrotto della costa), intermittenti (sollevazione o abbassamento periodico della costa che assume la caratteristica conformazione a gradinata o terrazza) e oscillanti o alternanti (sollevazione o abbassamento della costa in senso positivo e successivamente in senso negativo o viceversa). In concomitanza di un bradisismo positivo si ha una trasgressione (o invasione) marina, mentre, con uno negativo, una regressione delle acque. Innumerevoli sono, a livello mondiale, le testimonianze di questi ampi movimenti oscillatori. Tra le più tipiche e convincenti, è opportuno menzionare i depositi di conchiglie marine, ad oltre 50 metri di altezza, sulle rocce delle isole Svalbard, i sedimenti marini sulle terrazze della Scozia occidentale, i banchi conchigliferi tra Pechino e la baia di Po Hai, le incisioni delle coste meridionali della Tasmania, le depressioni del Labrador ed i famosi canones del Colorado. In Italia se ne ritrovano esempi classici lungo il litorale calabro e messinese, in emersione, e lungo il litorale tra Marsala e Trapani, in sommersione. I resti del tempio di Giove Serapide sulla spiaggia di Pozzuoli, inoltre, mostrano tre colonne perforate dai litodomi all’altezza fra 3,90 e 3.50 metri, il che dimostra che l’edificio sacro, costruito sulla riva del mare, sarebbe stato sommerso per poi riemergere successivamente. Ma è per merito degli studi effettuati da Issel sulla Riviera Ligure di Ponente se in questo elenco è possibile includere anche la Grotta di Bergeggi. Nella sua Liguria geologica e preistorica, infatti, il ricercatore genovese, con la consueta precisione che non pregiudica mai la chiarezza espositiva, descrive così il fenomeno sismico locale: “La vasta grotta che si apre in riva al mare, presso Bergeggi, fu certamente scavata dalle acque marine in un’epoca durante la quale la costa era meno elevata che non al presente. Le sue pareti e la sua volta presentano infatti numerosi fori di litofagi (Lithodomus lithophagus), che raggiungono una altezza di circa 6 metri sul pelo dell’acqua e lasciano supporre che le onde esercitassero l’azione loro erosiva ad altezza anche maggiore. (…) Il suolo della caverna risulta prevalentemente di detriti di roccia, cementatati da concrezioni calcarifere. Dal cunicolo che si protrae a monte, ove supera di circa 3 metri il livello marino, fino alla parte sommersa, esso declina irregolarmente e presenta una serie di gradini, dovuti alla parziale corrosione degli strati di cui si componeva. A breve distanza dalla riva, uno di questi strati, che s’innalza di meno d’un metro sul pelo delle basse acque, è di color bruno e presenta ossa spezzate dall’uomo e frammenti di carbone saldamente aggregati dalla stalagmite. Si tratta di un vero strato archeologico, il quale, appena il mare sia un poco agitato, è dilavato ed eroso dalle onde, talché da lungo tempo l’avrebbe distrutto se non fosse il calcare di cui è impregnato; se i materiali di cui risulta si fossero depositati nella posizione in cui ora si trovano, pertanto, 6 sarebbero stati dispersi. E’ dunque legittimo lo ammettere che, dopo la formazione della breccia, si sieno alterati i rapporti reciproci del mare e della grotta. Evidentemente, le acque si sono innalzate o il suolo della spelonca si è avvallato; e questa differenza di livello non deve essere stata minore di 5 metri dai tempi neolitici in poi. E’ certo che, quando ebbe origine la breccia ossifera, già la grotta si trovava in comunicazione col mare, perché la zona forata dai litodomi si estende fino alla parte media della cavità.” A riprova della validità della sua scoperta, Issel riscontrò ulteriori manifestazioni di bradisismi esplorando l’insenatura di Beaulieu, presso Villafranca, in cui “si vedono sotto acqua, allorché il mare è calmo, i ruderi di antiche costruzioni, le quali, secondo ogni verosimiglianza, erano originariamente all’asciutto”, lo scoglio sul quale è fondata la torre diroccata detta Preiren, a due chilometri a ponente di Porto Maurizio, la torre dei Saraceni, a circa un chilometro di distanza da Oneglia, le rupi calcaree che si trovano lungo la via da Mentone a Ventimiglia e il litorale di Diano Marina, dove “la spiaggia retrocede rapidamente, non per effetto della erosione, ma per un mutamento nel livello rispettivo del mare e della terra”. Considerazioni simili, inoltre, gli suggerirono la zona di Albenga, “città fondata sopra un piano alluvionale ed acquitrinoso formato dal Centa”, nella quale “all’altezza di pochi metri sul mare, si trovano antichi edifizi, il cui pavimento è situato un poco al di sotto del suolo circostante”, un piccolo scoglio sporgente sul mare, a levante di Cogoleto, le aree tra Villa Durazzo e Arenzano e fra Arenzano e Voltri, dove “lungo la via nazionale, è facile osservare nelle anfrattuosità della serpentina piccoli adunamenti di ciottoli, cementati da terra ocracea, che stanno ad indicare il livello dell’antico lido”. La costanza scientifica ed il carattere scrupoloso, però, portarono Issel a studiare anche la fascia costiera di Camogli, Chiavari, Sestri Levante, il Golfo della Spezia, la cosiddetta Tana del Serpente, all’estremità del Capo Corvo o Promontorio di Luni, e a spingersi fino alle spiagge della Provenza, in cui “come su quelle della Toscana, gli accenni ad una depressione del suolo, o ad un recente innalzamento del livello marino, sono pur numerosi ed evidenti”. La Pietra di Finale e gli studi mineralogici Per quanto concerne, invece, le scoperte mineralogiche locali, ad Arturo Issel va anche il merito di aver reso celebre uno dei conglomerati più caratteristici del Finalese, di cui l’autore della Liguria geologica e preistorica accenna nel capitolo dedicato alla distribuzione topografica delle formazioni7, per poi analizzarla nello specifico al secondo paragrafo inerente il sistema miocenico ligure: “Sugli strati ripiegati e contorti della formazione triassica, nel Finalese, giace un deposito miocenico assai più regolare, quello della così detta pietra di Finale, che io ascrivo al piano elveziano. (…) La pietra di Finale costituisce una pila di grossi strati regolarissimi, adagiati sul dorso delle colline triassiche, con lieve inclinazione verso mezzogiorno (segno che anche dopo la sua formazione il sollevamento continuò ad esercitarsi con maggiore intensità a nord che a sud) e con sensibile pendenza della periferia del bacino miocenico verso il centro di esso. (…) La pietra di Finale tipica, quale si trova nelle cave superiori di Verezzi, è un calcare grossolano, cristallino, aspro al tatto, di color rossastro traente al bruno chiaro o al rosso. Il suo peso specifico, negli esemplari di media compattezza, è di circa 2,47; suol essere piuttosto tenace e, prescindendo dai minerali accessori che vi sono contenuti, la sua durezza si mostra uguale o superiore a quella degli altri calcari cristallini. Ha frattura granosa, ineguale; alitandovi sopra, emana odore terroso. Cogli acidi, fa lieve effervescenza e si scioglie solo in parte. Sotto la lente, o meglio al microscopio, 7 presenta un aggregato di piccole concrezioni cristalline di calcite che lasciano tra loro vacui irti di cristalli ed accludono granuli di quarzo cristallino, di feldispati plagioclasi, laminette di mica e di talco, scagliette di clorite ed altri minerali, provenienti indubbiamente dalle rocce triassiche sottostanti. In altri esemplari si vedono acclusi in esso calcare, anche ad occhio nudo, frammenti di calcare dolomitico bigio, di quarzo, talcoscisto, cloritescisto, ecc. Si trovano in questa pietra denti di pesce fossili non rari.” La Pietra di Finale, però, viene menzionata da Issel anche per via dell’impiego edilizio: “Merita di fissare in particolar modo l’attenzione dei critici, come materiale decorativo e da costruzione, la così detta Pietra di Finale, adoperata in Liguria fin dai tempi remoti. I ponticelli gettati sul Rio di Ponci, massime il Ponte Sordo, attestano colla perfetta loro conservazione qual sia la resistenza agli agenti esterni e la durata di siffatto materiale. Alcuni edifici medioevali di Finalborgo e Finalpia sono pur costruiti colla medesima pietra e se ne son fabbricate nel Finalese alcune case coloniche, che sembrano assai antiche, ma di cui non saprei precisare l’età. Tanto in queste case quanto nei ponti romani le pietre son ridotte a piccoli parallelepipedi diligentemente scalpellati.” Analogamente, tra le scoperte locali è opportuno citare la Pietra di Verezzi, la Pietra Ligure e la Pietra di Cisano, un conglomerato grigio-roseo che caratterizza il paesaggio collinare compreso tra i torrenti Neva ed Arroscia, servito per 200 anni come pietra da costruzione. Un caso a parte, per via delle sue implicazioni archeologiche e paleografiche, è rappresentato dalla Pietra dell’Acquasanta, una rupe serpentinosa che fa parte di un complesso di rocce istoriate situato nel vallone del Rio Martino, presso Ceriale. Queste rocce continuano tutt’oggi a presentare difficoltà di datazione e interpretazione dei segni. Issel fu il primo a studiare e descrivere la Pietra dell’Acquasanta, notando – sempre grazie al suo inconsueto spirito di osservazione – l’analogia di alcuni segni con altri che ricorrono frequentemente sui monumenti megalitici (dolmen, cromlech e menhir) e attribuendo pertanto le incisioni “ai tempi protostorici o ai primordi dell’Età dei Metalli.” Conclusione Gli innumerevoli riconoscimenti che gli vengono attribuiti negli ultimi anni della sua vita non sono altro che il naturale traguardo del suo lungo ed eccezionale percorso tra studio, osservazione e ricerca. La grande attenzione verso l’ambiente e le sue caratteristiche, il serio impegno nella gestione delle proprie mansioni e il fondamentale contributo nell’evoluzione del sapere sono la testimonianza di una vita consacrata in tutto e per tutto alla scienza. In accordo con la finalità originaria di questo breve lavoro, gli aspetti personali e professionali di Arturo Issel affrontati finora si proponevano di fornire un quadro chiaro, coerente e sufficientemente completo dell’importantissimo ruolo storico, scientifico e culturale di uno dei massimi valorizzatori della nostra regione. 8 Note 1 Scienza che studia i resti fossili di organismi vegetali ed animali 2 Le Arene Candide erano, almeno fino ai primi decenni del Novecento, una duna di sabbia silicea addossata al promontorio della Caprazzoppa, nell’estremità ovest del litorale di Finale Ligure. Con l’avvento dell’economia industriale e della logica degli impieghi edilizi, lo spazio occupato dalla sabbia è andato sempre più riducendosi, fino quasi a scomparire. 3 Per una lettura integrale si veda: “La storia della geologia in Liguria attraverso i documenti e le collezioni dell’Università di Genova” di Maria Cristina Bonci, Marco Firpo, Cristiano Queirolo e Giammarino Stani 4 Paragrafo tratto dalla breve prefazione dell’opera, che prosegue così: “Il primo volume è destinato alla geologia propriamente detta ed alle considerazioni relative alle scienze subordinate, il secondo ai materiali estrattivi e alla paletnologia, ramo di scibile nato appena da trent’anni, pel connubio della etnografia colle scienze geologiche e storiche, a prò del quale si raccolsero già in Italia e fuori, cospicui materiali di studio. Com’è naturale, ho inteso di riassumere qui principalmente le mie osservazioni personali, già in parte pubblicate sotto altra forma, in modi e tempi diversi; ma, ove mi pareva che l’armonia dell’opera lo richiedesse, ho pur largamente attinto da lavori altrui” 5 A questo proposito, ringrazio la Biblioteca Civica del Comune di Toirano, che mi ha messo gentilmente a disposizione i tre volumi dell’opera. 6 Un altro importante ricercatore di formazione naturalistica nonché amico di Issel, con il quale condusse numerose ricerche nell’entroterra ligure e, in particolare, nelle Grotte di Toirano. 7 Si legge “In gran parte del Finalese la formazione triassica è coperta, con manifesta discordanza, da un calcare arenaceo o grossolano marino (la pietra di Finale), riferibile al miocene medio” Bibliografia Maria Cristina Bonci, Marco Firpo, Cristiano Queirolo, Giammarino Stani, La storia della geologia in Liguria attraverso i documenti e le collezioni dell’Università di Genova, Dipartimento per lo studio del Territorio e delle sue Risorse, Università degli Studi - Genova Arturo Issel, Liguria geologica e preistorica, Donath, Genova Mario Marcenaro, Mario Paternostro, Enciclopedia della Liguria, Il Secolo XIX, Genova, 2000 Questo lavoro è stato presentato, in forma di relazione, il 13 Aprile 2005 presso la Sala Giorgio Gallesio del Comune di Finale Ligure, in occasione della prima giornata commemorativa di Arturo Issel, promossa dall’Assessorato alla Pubblica Istruzione e dal Liceo Scientifico che porta il suo nome. 9 10