Arturo Issel
Tra studio, osservazione e ricerca
di Nicola Panizza
Indice
Premessa ……………………………………………………………………………………… pag. 3
La vita ..................................................................................................................................…. pag. 3
Il metodo scientifico ……………………………………………………………………..…… pag. 4
La produzione teorica ………………………………………………………………….......... pag. 4
La Liguria geologica e preistorica …………………………………………………………... pag. 5
La scoperta dei bradisismi …………………………………………………………………… pag. 6
La Pietra del Finale e gli studi mineralogici ……………………………………………….. pag. 7
Conclusione ………………………………………………………………………………….. pag. 8
Note e bibliografia …………………………………………………………………………… pag. 9
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Premessa
Definire in modo appropriato l’attività di Arturo Issel è un’operazione assai complicata. La
qualifica di “scienziato” – la più spontanea ed immediata – può rivelarsi, infatti, tanto gratificante
quanto riduttiva: gratificante perché nessuno meglio di lui ha contribuito, in una fase storica
decisiva come quella tra il XIX secolo e i primi decenni del Novecento, allo sviluppo della scienza
naturalistica locale, diventando il prototipo del ricercatore e dello studioso a tutto tondo del
territorio e dell’ambiente liguri; riduttiva perché così facendo ne risulta sminuita quella lunga serie
di competenze formatasi dall’unione di un rigoroso metodo scientifico con uno spirito eclettico e
scrupoloso. Competenze che spaziavano dalla geologia, che forse è stato il suo maggiore campo
d’azione, all’ambito strettamente mineralogico, dagli studi geo-morfologici alla paleontologia1,
dalla fisica all’archeologia, dall’analisi antropologica alla zoologia. Competenze che, tuttavia, non
gli impedirono di dedicarsi agli interessi botanici o di formulare, durante alcune ricerche nel
Finalese, importanti considerazioni di carattere sismologico (che saranno fondamentali per la
scoperta dei cosiddetti bradisismi) e di notevole rilievo etnografico (si pensi anche solo alle
accurate ricostruzioni storiche effettuate sulla base dei numerosi reperti esaminati nelle principali
grotte preistoriche regionali).
La vita
Nato a Genova nel 1842, dopo un’infanzia ed un’adolescenza trascorse nella città natale all’insegna
di una evidente inclinazione verso le materie scientifiche, Arturo Issel porta a termine la sua
formazione universitaria all’Università di Pisa, dove si laurea in Scienze Naturali ed intraprende
subito una lunga serie di ricerche nel campo delle Scienze della Terra, per ora ristrette all’ambito
ligure, poi estese al resto d’Italia e a territori esteri confinanti quali la Provenza francese.
Nel 1864 appare la sua prima pubblicazione inerente una grotta ossifera del Finalese, che poi si
rivelerà, in scritti successivi, nientemeno che la Caverna delle Arene Candide2. Dopo essere entrato,
ancora giovanissimo – nel 1866, quindi a 24 anni – nell’Ateneo genovese come primo responsabile
di Geologia e Mineralogia, diventa professore ufficiale di queste materie nel 1870.
Nel 1891, mantenendo la cattedra di Geologia e abbandonando quella di Mineralogia, assume
l’incarico di direttore generale dell’Istituto e Museo Geologico collegato all’Università. Ricoprirà
questo ruolo fino al 1917, pochi anni prima della sua morte, avvenuta nel 1922 dopo esser stato, per
un biennio, anche presidente della Società Ligure di Storia Patria, che conserva tuttora importanti
documenti su di lui.
L’impegno e la dedizione dedicati alla gestione del Museo, che sotto la sua supervisione si è
notevolmente ampliato ed ha incrementato fortemente il numero di collezioni, segnano forse il
periodo più roseo e prolifico dell’attività di Issel. Sono chiare, in merito, le parole di Maria Cristina
Bonci, che, nel suo saggio sull’evoluzione storica della geologia ligure, scrive:
“L’attività poliedrica di Issel è fondamentale anche per il Museo Geleogico dell’Università di
Genova, che proprio grazie a lui si trasforma da semplice Gabinetto universitario, legato
principalmente all’attività didattica, in una vera struttura museale, luogo di raccolta di collezioni
di notevole valore scientifico, fondamentale supporto all’insegnamento universitario e centro di
una vivace attività di ricerca, con produzione di pubblicazioni, ancora oggi di indubbia validità, su
materiali liguri. Il trasferimento nella prestigiosa sede della Villetta di Negro nel 1912 corona
l’attività museologica di Issel e segna indubbiamente il momento più alto, purtroppo mai più
eguagliato, nella storia del Museo. Issel stesso sembra ben consapevole di ciò, tanto che nel 1914
pubblica una nota sul nuovo allestimento del museo, ricordando la storia della sede ed illustrando
in modo particolareggiato le collezioni, le correlate attrezzature e, particolare da evidenziare, la
3
tipologia di esposizione e lo scopo dell’istituzione museale. A questo proposito è interessante
notare che anche nel campo della museologia Issel dimostra originalità di idee e modernità di
concezione.” 3
Questo semplice quadro biografico, che ritrae una vita intensa e proficua dedicata in modo
trasversale ai vari settori della scienza, offre notevoli spunti interpretativi in merito all’operato di
Issel sul piano teorico, pratico ed istituzionale.
Il metodo scientifico
Per comprenderne fino in fondo il significato, l’attività pratica di Issel deve essere analizzata
tenendo conto dei tre fattori fondamentali che la contraddistinguono:
1. STUDIO. In primo luogo, uno studio preventivo delle zone da esplorare, che se da un lato
implica una adeguata preparazione culturale e scientifica, dall’altro richiede la capacità di
analisi e di confronto di tutte le fonti storiche e letterarie che (riportando informazioni sulla
zona interessata) possano essere di aiuto al proprio lavoro.
2. OSSERVAZIONE. In secondo luogo, un’osservazione attenta e minuziosa dei luoghi e dei
fenomeni naturali in esame, che nella maggior parte dei casi permette di individuare un
punto di partenza preciso – la particolare disposizione di una conformazione rocciosa o
l’azione delle acque fluviali sul suolo, ad esempio – da cui avviare la ricerca.
3. RICERCA. Infine, il fulcro dell’indagine concreta, che, in questo caso, avviene sempre su
più fronti e, a prescindere dall’obiettivo iniziale, non tralascia mai alcuna considerazione o
accertamento, in accordo con quello che dovrebbe essere, a dire dello stesso Issel, un
processo aperto e dinamico della scienza.
L’unione di questi tre fattori, nel suo caso inscindibili uno dall’altro, costituisce un severo approccio
metodologico scientifico che si rivelerà fondamentale anche per la gestione, la revisione e la
pubblicazione dei dati e delle informazioni raccolte.
La produzione teorica
Dopo lo studio, l’osservazione e la ricerca, però, la necessità di creare un’organizzazione logica e
organica dei risultati ottenuti (che poi è una delle tappe successive) e la volontà di rendere pubblici
gli esiti del proprio lavoro danno luogo a quella che è invece la grande produzione teorica di Issel,
una produzione che, pur essendo oggi quasi del tutto sconosciuta, consiste in un corpus molto
ampio di opere, tra le quali vanno almeno citate, oltre i numerosi scritti sull’area finalese, la Liguria
geologica e preistorica del 1882, pubblicata in tre volumi dall’editore genovese Donath, la
Bibliografia scientifica della Liguria, che risale al 1887, ed il Compendio di Geologia del 1896.
Si tratta di opere che, sebbene possano ritenersi, per alcuni punti di vista come quello stilistico,
obiettivamente superate – molte strutture logico-sintattiche e parecchi vocaboli del lessico
scientifico sono oggi in disuso – non perdono certo la loro importanza letteraria e filologica, in
quanto propedeutiche allo sviluppo degli strumenti e dei parametri critici della scienza moderna.
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La Liguria geologica e preistorica
“Dopo i capitoli inseriti da Lorenzo Pareto nella lodatissima Guida di Genova e del Genovesato,
pubblicata fin dal 1846 per cura del Comune, in occasione dell’ottavo Congresso degli scienziati
italiani, non fu più data alle stampe alcuna illustrazione complessiva della regione Ligure, dal
punto di vista della configurazione e costituzione del suolo. E siccome, da allora in poi, le nostre
cognizioni in proposito crebbero assai, credetti legittimo ed opportuno metter mano a quest’opera,
che ha per oggetto di esporre ordinatamente e in modo succinto le nozioni più sicure intorno alle
vicende geologiche, alla stratigrafia, alle rocce, ai fossili ed ai materiali estrattivi della Liguria,
come pure i risultati delle indagini compiute sulla etnografia e le origini delle stirpi che
popolarono fin dai tempi più remoti, la nostra regione.” 4
L’unico testo di Issel oggi ancora facilmente reperibile5 si compone, sul piano strutturale e tematico,
di introduzioni e premesse storiche – come quella di apertura sul significato dell’espressione
Liguria e dei suoi confini – paragrafi specifici, puntuali descrizioni tecniche ma anche giudizi ed
opinioni personali che, per desiderio stesso dell’autore, inseriscono i suoi studi in una delle tante
prospettive di analisi scientifica possibili.
Assieme alle pregevoli illustrazioni eseguite a mano da Niccolò Morelli 6, fanno da corredo
esplicativo i frequenti grafici, tabelle e quadri sinottici. Per citarne solo alcuni, l’interessante
“Prospetto dei principali terremoti osservati in regione e nei territori confinanti dall’anno 951 al
1890” che apre il capitolo sulla dinamica interna della Terra (è questo il caso in cui diventa
inevitabile, per lo scienziato, il ricorso alle fonti storiche) e un’ampia classificazione delle sorgenti
liguri, suddivise in solforose, saline, ferruginose, acidule, acidulo-manganesifere e calcarifere, nel
capitolo sui caratteri chimici delle acque. A titolo di esempio, viene descritta così, tra quelle di
natura solforosa, la sorgente dell’Acquasanta:
“Sgorga sulla riva d’uno dei due rami del torrente Leiro, a tre chilometri e mezzo da Voltri, da un
masso di serpentina antica. E’ limpida, incolora, senza odore ed ha un sapore sgradevole, solfureolisciviale; abbandonata per qualche ora in vasi aperti, s’intorbida e vi forma un deposito
biancastro. Lungo il canale in cui scorre, essa lascia un deposito costituito di 86 parti di carbonato
di calcio e 14 parti di solfato di calcio. La sua temperatura è compresa tra 20° e 25° (cent.) e
sembra indipendente dalle stagioni. Pesa specificamente 1,008.”
Anche solo un breve frammento testuale lascia intendere il grado di precisione e specificità, sia dal
punto di vista scientifico sia da quello geografico, dell’analisi isseliana. Spiegazioni ancora più
meticolose sono riservate a quelle che invece possono essere ritenute le vere e proprie scoperte di
Issel, che lo resero celebre prima a livello regionale, poi nazionale e, nel caso dei bradisismi, anche
in ambito internazionale.
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La scoperta dei bradisismi
Grazie alle sue accurate ed assidue ricerche nell’ambito della tettonica e della sismologia, Arturo
Issel fu il primo ad identificare e studiare quelli che, secondo un termine da lui stesso coniato e
divenuto ben presto di uso internazionale, sono detti bradisismi ovvero lenti movimenti verticali
della litosfera che determinano lo spostamento della linea litoranea. In virtù delle successive
suddivisioni, tali movimenti vengono definiti positivi se si verificano dall’alto verso il basso dando
luogo a sommersione della costa, e negativi se avvengono dal basso verso l’alto causando, invece,
l’emersione del suolo.
Un sopralluogo nella Caverna Marina di Bergeggi indusse Issel a ritenere che i risultati delle
oscillazioni fossero facilmente riscontrabili, lungo le zone costiere, nei punti in cui si osservano le
erosioni delle rive, soprattutto se rocciose, ad opera delle onde marine. Su questa semplice disamina
empirica si configurano l’attuale classificazione e l’analisi scientifica moderna dei bradisismi: essi,
infatti, possono essere continui (sollevazione o abbassamento ininterrotto della costa), intermittenti
(sollevazione o abbassamento periodico della costa che assume la caratteristica conformazione a
gradinata o terrazza) e oscillanti o alternanti (sollevazione o abbassamento della costa in senso
positivo e successivamente in senso negativo o viceversa). In concomitanza di un bradisismo
positivo si ha una trasgressione (o invasione) marina, mentre, con uno negativo, una regressione
delle acque.
Innumerevoli sono, a livello mondiale, le testimonianze di questi ampi movimenti oscillatori. Tra le
più tipiche e convincenti, è opportuno menzionare i depositi di conchiglie marine, ad oltre 50 metri
di altezza, sulle rocce delle isole Svalbard, i sedimenti marini sulle terrazze della Scozia
occidentale, i banchi conchigliferi tra Pechino e la baia di Po Hai, le incisioni delle coste
meridionali della Tasmania, le depressioni del Labrador ed i famosi canones del Colorado.
In Italia se ne ritrovano esempi classici lungo il litorale calabro e messinese, in emersione, e lungo
il litorale tra Marsala e Trapani, in sommersione. I resti del tempio di Giove Serapide sulla
spiaggia di Pozzuoli, inoltre, mostrano tre colonne perforate dai litodomi all’altezza fra 3,90 e 3.50
metri, il che dimostra che l’edificio sacro, costruito sulla riva del mare, sarebbe stato sommerso per
poi riemergere successivamente.
Ma è per merito degli studi effettuati da Issel sulla Riviera Ligure di Ponente se in questo elenco è
possibile includere anche la Grotta di Bergeggi. Nella sua Liguria geologica e preistorica, infatti, il
ricercatore genovese, con la consueta precisione che non pregiudica mai la chiarezza espositiva,
descrive così il fenomeno sismico locale:
“La vasta grotta che si apre in riva al mare, presso Bergeggi, fu certamente scavata dalle acque
marine in un’epoca durante la quale la costa era meno elevata che non al presente. Le sue pareti e
la sua volta presentano infatti numerosi fori di litofagi (Lithodomus lithophagus), che raggiungono
una altezza di circa 6 metri sul pelo dell’acqua e lasciano supporre che le onde esercitassero
l’azione loro erosiva ad altezza anche maggiore. (…)
Il suolo della caverna risulta prevalentemente di detriti di roccia, cementatati da concrezioni
calcarifere. Dal cunicolo che si protrae a monte, ove supera di circa 3 metri il livello marino, fino
alla parte sommersa, esso declina irregolarmente e presenta una serie di gradini, dovuti alla
parziale corrosione degli strati di cui si componeva. A breve distanza dalla riva, uno di questi
strati, che s’innalza di meno d’un metro sul pelo delle basse acque, è di color bruno e presenta ossa
spezzate dall’uomo e frammenti di carbone saldamente aggregati dalla stalagmite. Si tratta di un
vero strato archeologico, il quale, appena il mare sia un poco agitato, è dilavato ed eroso dalle
onde, talché da lungo tempo l’avrebbe distrutto se non fosse il calcare di cui è impregnato; se i
materiali di cui risulta si fossero depositati nella posizione in cui ora si trovano, pertanto,
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sarebbero stati dispersi. E’ dunque legittimo lo ammettere che, dopo la formazione della breccia, si
sieno alterati i rapporti reciproci del mare e della grotta. Evidentemente, le acque si sono innalzate
o il suolo della spelonca si è avvallato; e questa differenza di livello non deve essere stata minore
di 5 metri dai tempi neolitici in poi. E’ certo che, quando ebbe origine la breccia ossifera, già la
grotta si trovava in comunicazione col mare, perché la zona forata dai litodomi si estende fino alla
parte media della cavità.”
A riprova della validità della sua scoperta, Issel riscontrò ulteriori manifestazioni di bradisismi
esplorando l’insenatura di Beaulieu, presso Villafranca, in cui “si vedono sotto acqua, allorché il
mare è calmo, i ruderi di antiche costruzioni, le quali, secondo ogni verosimiglianza, erano
originariamente all’asciutto”, lo scoglio sul quale è fondata la torre diroccata detta Preiren, a due
chilometri a ponente di Porto Maurizio, la torre dei Saraceni, a circa un chilometro di distanza da
Oneglia, le rupi calcaree che si trovano lungo la via da Mentone a Ventimiglia e il litorale di Diano
Marina, dove “la spiaggia retrocede rapidamente, non per effetto della erosione, ma per un
mutamento nel livello rispettivo del mare e della terra”.
Considerazioni simili, inoltre, gli suggerirono la zona di Albenga, “città fondata sopra un piano
alluvionale ed acquitrinoso formato dal Centa”, nella quale “all’altezza di pochi metri sul mare, si
trovano antichi edifizi, il cui pavimento è situato un poco al di sotto del suolo circostante”, un
piccolo scoglio sporgente sul mare, a levante di Cogoleto, le aree tra Villa Durazzo e Arenzano e fra
Arenzano e Voltri, dove “lungo la via nazionale, è facile osservare nelle anfrattuosità della
serpentina piccoli adunamenti di ciottoli, cementati da terra ocracea, che stanno ad indicare il
livello dell’antico lido”.
La costanza scientifica ed il carattere scrupoloso, però, portarono Issel a studiare anche la fascia
costiera di Camogli, Chiavari, Sestri Levante, il Golfo della Spezia, la cosiddetta Tana del Serpente,
all’estremità del Capo Corvo o Promontorio di Luni, e a spingersi fino alle spiagge della Provenza,
in cui “come su quelle della Toscana, gli accenni ad una depressione del suolo, o ad un recente
innalzamento del livello marino, sono pur numerosi ed evidenti”.
La Pietra di Finale e gli studi mineralogici
Per quanto concerne, invece, le scoperte mineralogiche locali, ad Arturo Issel va anche il merito di
aver reso celebre uno dei conglomerati più caratteristici del Finalese, di cui l’autore della Liguria
geologica e preistorica accenna nel capitolo dedicato alla distribuzione topografica delle
formazioni7, per poi analizzarla nello specifico al secondo paragrafo inerente il sistema miocenico
ligure:
“Sugli strati ripiegati e contorti della formazione triassica, nel Finalese, giace un deposito
miocenico assai più regolare, quello della così detta pietra di Finale, che io ascrivo al piano
elveziano. (…) La pietra di Finale costituisce una pila di grossi strati regolarissimi, adagiati sul
dorso delle colline triassiche, con lieve inclinazione verso mezzogiorno (segno che anche dopo la
sua formazione il sollevamento continuò ad esercitarsi con maggiore intensità a nord che a sud) e
con sensibile pendenza della periferia del bacino miocenico verso il centro di esso. (…) La pietra di
Finale tipica, quale si trova nelle cave superiori di Verezzi, è un calcare grossolano, cristallino,
aspro al tatto, di color rossastro traente al bruno chiaro o al rosso. Il suo peso specifico, negli
esemplari di media compattezza, è di circa 2,47; suol essere piuttosto tenace e, prescindendo dai
minerali accessori che vi sono contenuti, la sua durezza si mostra uguale o superiore a quella degli
altri calcari cristallini. Ha frattura granosa, ineguale; alitandovi sopra, emana odore terroso.
Cogli acidi, fa lieve effervescenza e si scioglie solo in parte. Sotto la lente, o meglio al microscopio,
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presenta un aggregato di piccole concrezioni cristalline di calcite che lasciano tra loro vacui irti di
cristalli ed accludono granuli di quarzo cristallino, di feldispati plagioclasi, laminette di mica e di
talco, scagliette di clorite ed altri minerali, provenienti indubbiamente dalle rocce triassiche
sottostanti. In altri esemplari si vedono acclusi in esso calcare, anche ad occhio nudo, frammenti di
calcare dolomitico bigio, di quarzo, talcoscisto, cloritescisto, ecc. Si trovano in questa pietra denti
di pesce fossili non rari.”
La Pietra di Finale, però, viene menzionata da Issel anche per via dell’impiego edilizio:
“Merita di fissare in particolar modo l’attenzione dei critici, come materiale decorativo e da
costruzione, la così detta Pietra di Finale, adoperata in Liguria fin dai tempi remoti. I ponticelli
gettati sul Rio di Ponci, massime il Ponte Sordo, attestano colla perfetta loro conservazione qual
sia la resistenza agli agenti esterni e la durata di siffatto materiale.
Alcuni edifici medioevali di Finalborgo e Finalpia sono pur costruiti colla medesima pietra e se ne
son fabbricate nel Finalese alcune case coloniche, che sembrano assai antiche, ma di cui non
saprei precisare l’età. Tanto in queste case quanto nei ponti romani le pietre son ridotte a piccoli
parallelepipedi diligentemente scalpellati.”
Analogamente, tra le scoperte locali è opportuno citare la Pietra di Verezzi, la Pietra Ligure e la
Pietra di Cisano, un conglomerato grigio-roseo che caratterizza il paesaggio collinare compreso tra
i torrenti Neva ed Arroscia, servito per 200 anni come pietra da costruzione.
Un caso a parte, per via delle sue implicazioni archeologiche e paleografiche, è rappresentato dalla
Pietra dell’Acquasanta, una rupe serpentinosa che fa parte di un complesso di rocce istoriate situato
nel vallone del Rio Martino, presso Ceriale. Queste rocce continuano tutt’oggi a presentare
difficoltà di datazione e interpretazione dei segni. Issel fu il primo a studiare e descrivere la Pietra
dell’Acquasanta, notando – sempre grazie al suo inconsueto spirito di osservazione – l’analogia di
alcuni segni con altri che ricorrono frequentemente sui monumenti megalitici (dolmen, cromlech e
menhir) e attribuendo pertanto le incisioni “ai tempi protostorici o ai primordi dell’Età dei
Metalli.”
Conclusione
Gli innumerevoli riconoscimenti che gli vengono attribuiti negli ultimi anni della sua vita non sono
altro che il naturale traguardo del suo lungo ed eccezionale percorso tra studio, osservazione e
ricerca. La grande attenzione verso l’ambiente e le sue caratteristiche, il serio impegno nella
gestione delle proprie mansioni e il fondamentale contributo nell’evoluzione del sapere sono la
testimonianza di una vita consacrata in tutto e per tutto alla scienza.
In accordo con la finalità originaria di questo breve lavoro, gli aspetti personali e professionali di
Arturo Issel affrontati finora si proponevano di fornire un quadro chiaro, coerente e
sufficientemente completo dell’importantissimo ruolo storico, scientifico e culturale di uno dei
massimi valorizzatori della nostra regione.
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Note
1
Scienza che studia i resti fossili di organismi vegetali ed animali
2
Le Arene Candide erano, almeno fino ai primi decenni del Novecento, una duna di sabbia silicea addossata al
promontorio della Caprazzoppa, nell’estremità ovest del litorale di Finale Ligure. Con l’avvento dell’economia
industriale e della logica degli impieghi edilizi, lo spazio occupato dalla sabbia è andato sempre più riducendosi, fino
quasi a scomparire.
3
Per una lettura integrale si veda: “La storia della geologia in Liguria attraverso i documenti e le collezioni
dell’Università di Genova” di Maria Cristina Bonci, Marco Firpo, Cristiano Queirolo e Giammarino Stani
4
Paragrafo tratto dalla breve prefazione dell’opera, che prosegue così: “Il primo volume è destinato alla geologia
propriamente detta ed alle considerazioni relative alle scienze subordinate, il secondo ai materiali estrattivi e alla
paletnologia, ramo di scibile nato appena da trent’anni, pel connubio della etnografia colle scienze geologiche e
storiche, a prò del quale si raccolsero già in Italia e fuori, cospicui materiali di studio.
Com’è naturale, ho inteso di riassumere qui principalmente le mie osservazioni personali, già in parte pubblicate sotto
altra forma, in modi e tempi diversi; ma, ove mi pareva che l’armonia dell’opera lo richiedesse, ho pur largamente
attinto da lavori altrui”
5
A questo proposito, ringrazio la Biblioteca Civica del Comune di Toirano, che mi ha messo gentilmente a disposizione
i tre volumi dell’opera.
6
Un altro importante ricercatore di formazione naturalistica nonché amico di Issel, con il quale condusse numerose
ricerche nell’entroterra ligure e, in particolare, nelle Grotte di Toirano.
7
Si legge “In gran parte del Finalese la formazione triassica è coperta, con manifesta discordanza, da un calcare
arenaceo o grossolano marino (la pietra di Finale), riferibile al miocene medio”
Bibliografia
Maria Cristina Bonci, Marco Firpo, Cristiano Queirolo, Giammarino Stani, La storia della
geologia in Liguria attraverso i documenti e le collezioni dell’Università di Genova, Dipartimento
per lo studio del Territorio e delle sue Risorse, Università degli Studi - Genova
Arturo Issel, Liguria geologica e preistorica, Donath, Genova
Mario Marcenaro, Mario Paternostro, Enciclopedia della Liguria, Il Secolo XIX, Genova, 2000
Questo lavoro è stato presentato, in forma di relazione, il 13 Aprile 2005 presso la Sala Giorgio
Gallesio del Comune di Finale Ligure, in occasione della prima giornata commemorativa di Arturo
Issel, promossa dall’Assessorato alla Pubblica Istruzione e dal Liceo Scientifico che porta il suo
nome.
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