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SCIENZA
La fattoria molecolare
I plantibody, proteine create da piante modificate per combattere virus e
batteri, promettono nuove cure
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DI PAOLA EMILIA CICERONE
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REPORT
DONNE E TECNOLOGIA: UNA
PRESENZA REALE
Un robot al lavoro in un laboratorio di Molecolar Farming
I farmaci del futuro nasceranno in serra: se piante e salute sono un binomio antico, la novità è che
potremmo usare le prime per produrre “plantibody” (anticorpi vegetali), le sostanze proteiche che
servono ad aggredire virus o batteri. Oggi se ne parla molto a causa di Ebola e dello ZMapp,
combinazione di anticorpi mai sperimentata sugli esseri umani e già somministrata, pare con
successo, a molti pazienti di varie nazionalità compreso il medico italiano Fabrizio Pulvirenti.
Eppure la tecnica utilizzata dalla Mapp Biopharmaceuticals, la piccola azienda californiana che ha
fornito il trattamento, non è del tutto una novità. «Già dagli anni Novanta noi ricercatori
lavoriamo alla produzione di anticorpi vegetali», spiega Eugenio Benvenuto, responsabile del
Laboratorio biotecnologie dell’Enea. L’idea iniziale era di mettere le piante in grado di difendersi
dai parassiti che le aggrediscono, poi è nato il Molecular Farming, il filone di ricerca cui
appartengono i plantibody, che usa le piante per produrre anticorpi, enzimi e altri principi attivi
destinati all’uomo. «In questo modo si possono realizzare anticorpi in modo semplice e a costi
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accessibili», spiega Oscar Burrone, responsabile del laboratorio di immunologia molecolare
dell’Icgeb (International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology). Uno strumento
agile ed economico, insomma, per ottenere farmaci in grado di rispondere in tempi brevi a
un’epidemia o a un attacco di bioterrorismo. E il secondo aspetto ha inevitabilmente attirato
l’attenzione del Darpa, il dipartimento di ricerca del ministero della Difesa americano, da cui
arrivano i finanziamenti per molte delle ricerche realizzate, incluse quelle della Mapp
Biopharmaceuticals.
I plantibody permetterebbero la cosiddetta immunoterapia passiva: «Non si tratta di indurre
l’organismo a produrre anticorpi come farebbe un vaccino, ma di fornirglieli in aggiunta, per un
certo periodo», precisa Benvenuto. La procedura è abbastanza semplice: «Identificato il gene che
codifica per l’anticorpo desiderato, si utilizza un virus o un batterio innocuo come “postino
genetico” per consegnare alla cellula vegetale l’informazione genetica relativa alla sintesi della
molecola», spiega il ricercatore. «Poi basta aspettare qualche giorno, raccogliere le piante ed
estrarre gli anticorpi». Lo ZMapp è stato realizzato usando la pianta del tabacco e il virus del
mosaico del tabacco, due organismi noti e molto studiati. Ma le potenzialità del metodo sono più
ampie. «Pensiamo al costo di alcuni anticorpi adoperati in medicina, come gli anticorpi
monoclonali utilizzati per trattare alcuni tumori», osserva Benvenuto. Eppure la sperimentazione
sul molecular farming va a rilento. L’unico farmaco di questo tipo in commercio è Elelyso, che
non è esattamente un anticorpo, ma un enzima che nasce dalle carote, approvato nel 2012 dall’FDA (ma non dall’Agenzia europea del farmaco) per trattare la malattia di Gaucher, rara
patologia genetica. Non si sa ancora quando arriveranno in commercio anticorpi vegetali su cui la
ricerca è in fase avanzata, tra cui un contraccettivo (vedi box) e un trattamento preventivo per la
carie.
Fuori dagli Usa, le cose vanno pure peggio. «Esaurito il progetto europeo Pharmaplanta, a cui
hanno collaborato i laboratori Enea, oggi la ricerca continua con un progetto europeo più ristretto,
affidato a due laboratori in Germania e Regno Unito, paesi che hanno garantito alle loro strutture
un ottimo sostegno economico», spiega Benvenuto. Intanto l’Igceb ha lavorato con ricercatori
inglesi e spagnoli a un plantibody contro un virus che colpisce i maiali. «Buoni risultati»,
commenta Burrone. «Ma non si è mai arrivati allo sviluppo di un farmaco: servono fondi e
competenze imprenditoriali che in Europa non è facile ottenere. E in Italia praticamente
impossibile». Considerando anche la necessità di controlli complessi: «Gli anticorpi vegetali non
sono necessariamente identici a quelli prodotti da una cellula umana», spiega Burrone. «Le piante
sono una delle possibilità, ma in certi casi funziona meglio produrli da cellule animali».
Qualcosa però si muove: «L’Enea sta lavorando con l’Istituto superiore di sanità a un anticorpo
vegetale per trattare le infezioni da candida, realizzato utilizzando un antenato del tabacco, la
Nicotiana benthamiana», spiega Benvenuto. E tra le sostanze in studio c’è un’immunocitochina
per il trattamento del linfoma non Hodgkin. Detto questo, le multinazionali del farmaco non
sembrano particolarmente interessate a sfruttare un metodo di produzione che ridurrà
sensibilmente i costi: «Da quando la Bayer ha comprato la Icon Genetics, un’azienda che portava
avanti progetti interessanti sui plantibody, non se ne sente più parlare», osserva Benvenuto. Ora
però il brevetto su alcuni anticorpi antitumorali sta per scadere. E forse produrli attraverso le
piante permetterà di renderli disponibili anche a chi non può permettersi terapie a costi proibitivi.
PILLOLA VERDE
L’anticoncezionale del futuro potrebbe essere una pellicola trasparente grande quanto un
francobollo, impregnata di anticorpi vegetali che aggrediscono la superficie dello spermatozoo,
paralizzandolo. È uno dei progetti più avanzati nel settore dei plantibody, su cui punta la Mapp
Biopharmaceuticals. Tecnicamente si tratta di uno spermicida di ultima generazione, «interessante
perché avrebbe meno effetti sull’organismo rispetto ai contraccettivi ormonali», spiega
Benvenuto. Ma anche perché, associato ad altre molecole, potrebbe proteggere la donna anche
contro malattie sessualmente trasmissibili. Finora, solo i profilattici hanno funzionato al tempo
stesso come contraccettivi e come barriera contro le malattie. Ma con il patch vegetale, il
controllo tornerebbe in mano alle donne.
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