ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 89-90
INDICE
Editoriale
Editorial
M. Prearo …………………………………………………………………..
pag. 91
MONOGRAFIE
Viral encephalopathy and retinopathy
Encefalopatia e retinopatia virale
ITTIOPATOLOGIA
Pubblicazione quadrimestrale
Rivista ufficiale della
Società Italiana di Patologia Ittica
Direttore responsabile:
Dott. Giuseppe Ceschia
Responsabile scientifico:
Dott. Marino Prearo
c/o Laboratorio di Ittiopatologia e
Acquacoltura, Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Piemonte, Liguria e
Valle d’Aosta
Via Bologna, 148
10154 Torino
Tel.: 011-2686251
Fax: 011-2474458
E-mail: [email protected]
Comitato scientifico:
Prof.ssa Maria Letizia Fioravanti
Prof. Francesco Quaglio
Prof. Pietro Giorgio Tiscar
Segreteria S.I.P.I.:
Prof. Pietro Giorgio Tiscar
Università degli Studi di Teramo,
Dpt.
di
Scienze
Biomediche
Comparate, Piazza Aldo Moro, 45
64100 Teramo
Tel.: 0861-266872
Fax: 0861-266873
E-mail: [email protected]
C. Maltese, G. Bovo ……………………………………………………….
pag. 93
Valutazione della protezione indotta da frazioni
antigeniche di Lactococcus garvieae in trota iridea
(Oncorhynchus mykiss)
Assessment of the protection induced by antigenic fractions
of Lactococcus garvieae in rainbow trout (Oncorhynchus
mykiss)
D. Volpatti, B. Contessi, E. Buonasera, L. Gusmani, M. Bertoia,
M. Galeotti ………………………………………………………………….
pag. 147
Effetti in vivo ed in vitro di campi magnetici
a frequenza estremamente bassa (50 Hz) su mitili
(Mytilus galloprovincialis, Lmk, 1819)
In vivo and in vitro effects of extremely low frequency
electromagnetic
fields
(50
Hz)
on
mussels
(Mytilus galloprovincialis, Lmk, 1819)
V. Narcisi, S. Marozzi, F. Mosca, A. Calzetta, M.G. Finoia, E. Tettamanti,
P.G. Tiscar ………………………………………………………………….
pag. 163
Studio sulla bioassimibilità orale di un vaccino antiPhotobacterium damselae subsp. piscicida nella spigola
(Dicentrarchus labrax)
Evaluation of bioavailability of an oral vaccine against
Photobacterium damselae subsp. piscicida in reared sea
bass (Dicentrarchus labrax)
E. Manuali, C. Tiberi, A. Di Salvo, F. Agnetti, G. della Rocca, C. Ghittino,
J. Malvisi ……..…………………………………………………………….
pag. 173
Norme per gli autori
Instructions to authors
pag. 183
Autorizzazione:
Tribunale di Udine n° 10 del 27
marzo 1990
Codice ISSN:
ISSN 1824-0100
Tipografia:
Sistem Copy S.a.s.
Via Emilia, 47 – 40064 Ozzano
Emilia (BO)
Foto di copertina:
Larva di branzino (Dicentrarchus
labrax) con lesioni vacuoliformi da
Nodavirus, distribuite in varie aree
del cervello.
Foto tratta da Maltese & Bovo
(2007).
89
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 89-90
Referees:
Abete Maria Cesarina
Alborali Loris
Beraldo Paola
Bossù Teresa
Bovo Giuseppe
Bozzetta Elena
Caffara Monica
Canestri Trotti Giorgio
Ceschia Giuseppe
Ciulli Sara
Colorni Angelo
D’Amelio Stefano
Di Cave David
Dörr Ambrosius Josef Martin
Elia Antonia Concetta
Figueras Antonio
Fioravanti Maria Letizia
Galeotti Marco
Galuppi Roberta
Ghittino Claudio
Gustinelli Andrea
Malvisi Josè
Manfrin Amedeo
Marcer Federica
Marino Giovanna
Mattiucci Simonetta
Orecchia Paola
Quaglio Francesco
Regoli Francesco
Romalde Jesus Lopez
Rubini Silva
Salati Fulvio
Scapigliati Giuseppe
Tampieri Maria Paola
Tiscar Pietro Giorgio
Volpatti Donatella
Zaghini Anna
Zanoni Renato Giulio
90
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 91-92
Editoriale
Editorial
Marino Prearo
Responsabile Scientifico di ITTIOPATOLOGIA
______________________________
Cari soci,
come anticipato nell’editoriale del numero scorso, ha preso corpo la prima monografia su
una patologia ittica di particolare interesse: l’Encefalopatia e retinopatia virale (meglio
conosciuta come Nodavirosi).
Come potrete vedere dalle pagine successive, il lavoro svolto dai colleghi Maltese e Bovo
del Centro di Referenza Nazionale per l’Ittiopatologia dell’Istituto Zooprofilattico
Sperimentale delle Venezie di Legnaro (PD) è stato particolarmente pesante e corposo,
meritandosi il plauso del Comitato di Redazione come spero quello di tutti i soci. Come
potete osservare, tale monografia, oltre ad essere completa ed esaustiva, presenta una veste
editoriale particolare; innanzitutto il testo è stato tradotto in lingua inglese, in modo da
costituire un’importante fonte bibliografica per il mondo scientifico non solo nazionale;
inoltre si è deciso di pubblicare anche la versione italiana in modo da renderla fruibile a tutti
gli addetti ai lavori e agli allevatori; la decisione di separare le due versioni, mantenendo in
comune la pagina di presentazione del lavoro, l’iconografia centrale e la bibliografia, è stata
dettata da una scelta tecnica, volta a rendere più scorrevole la lettura del lavoro stesso.
Speriamo che tale impaginazione incontri il vostro favore e sia per tutti di immediata e facile
consultazione.
Visto la corposità della monografia pubblicata, in questo volume i lavori originali sono
obbligatoriamente diminuiti di numero. Con il prossimo numero di novembre, dove verranno
pubblicati anche gli estratti delle prime tre tesi classificate e premiate nel corso del prossimo
XIV Convegno SIPI di Castiglione della Pescaia (GR), il numero di lavori originali tornerà
ad essere quello consueto.
Come promesso, la Redazione ha già pensato ad ulteriori monografie di particolare
interesse, che potranno essere sviluppate nel prossimo futuro da gruppi di lavoro specialisti.
E’ ancora presto per dare troppa enfasi a tale progetto, ma prevedo che nel prossimo futuro
tali monografie prenderanno corpo e saranno pubblicate sulla nostra rivista in tempi
relativamente brevi.
Restando in “argomento rivista”, da una ricognizione effettuata dalla Segreteria è risultato
che diversi soci sono in arretrato con le quote associative. Visto il costo della rivista, ho
avuto mandato dalla Presidenza già dal numero scorso, di non inviare più il nostro periodico
associativo (leggi rivista) a chi è in arretrato di almeno 3 anni con il pagamento. Con i
prossimi numeri, la lista dei soci non aventi più diritto al ricevimento della nostra
pubblicazione scientifica, potrebbe aumentare qualora le pendenze non vengano sanate.
Esorto pertanto tutti coloro che non hanno provveduto al pagamento delle quote associative
2005, 2006 e 2007 di provvedere al più presto, mettendosi direttamente in contatto con la
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 91-92
Segreteria. Vi ricordo che è anche grazie alla quota associativa annuale che la rivista
ITTIOPATOLOGIA può continuare a sopravvivere e che risulta possibile organizzare il nostro
Convegno che serve anche per far crescere i giovani ricercatori, dando modo di poter esporre
il frutto delle loro ricerche, ma soprattutto è volto a proporre temi sempre di attualità per i
nostri incontri, invitando ricercatori specialisti presenti nell’ambito del panorama scientifico
internazionale.
Storicamente il Convegno della Società Italiana di Patologia Ittica rappresenta infatti il
punto focale per la divulgazione dei risultati della ricerca condotta sulla patologia degli
organismi acquatici nel nostro Paese e lo snodo tra mondo scientifico e mondo produttivo,
dove si possono intersecare ed integrare le varie competenze e priorità della ricerca con
quelli del mondo imprenditoriale del settore ittico.
A tal riguardo voglio porgere i nostri più sentiti ringraziamenti ai diversi soci sostenitori
che hanno aderito a tale iniziativa con vero entusiasmo, sperando di aumentarne il numero
con gli anni a venire. Un sentito ringraziamento va esteso anche alle numerose ditte ed
associazioni che da anni concedono contributi per la realizzazione dei Convegni annuali e
per la stampa della rivista. Senza questo importante aiuto, tutto il nostro lavoro risulterebbe
sicuramente più difficile!
Un cordiale saluto.
Il Responsabile Scientifico
di ITTIOPATOLOGIA
Marino Prearo
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
MONOGRAFIE
Viral encephalopathy and retinopathy
Encefalopatia e retinopatia virale
Chiara Maltese, Giuseppe Bovo*
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Viale dell’Università, 10 35020 Legnaro (PD), Italy
______________________________
SUMMARY - Viral encephalopathy and retinopathy is a serious disease causing significant economic damages
to marine aquaculture industry. The disease has a wide geographical distribution having been observed in tropical
and temperate climates. More than forty species mainly of marine origin have been so far affected and this
number is likely to rise in future following the introduction of new species and the increase of aquaculture trade.
According to OIE all fish mortalities characterized by abnormal swimming behaviours associated with vacuolar
lesions in the nervous tissues containing viral particles of the Nodaviridae family should be ascribed to one single
disease, officially identified as viral encephalopathy and retinopathy (VER) also known as viral nervous necrosis
(VNN). Affected fish may show different clinical symptoms depending on species, age and temperature;
furthermore acute and sub-acute forms characterized by slightly different symptoms and mortality rates are also
known. The most characteristic and common clinical sign observed among the different species is an abnormal
swimming behaviour characterized by fish showing difficulties to maintain the normal static and dynamic
equilibrium, speed and swimming direction and to control the swim bladder inflation. The viral aetiology has
been confirmed following the identification of small, non enveloped, RNA agents definitively assigned to the
Nodaviridae family, genus Betanodavirus. The existence of four genotypes characterized by high homology has
been proposed on the basis of the viral genome analysis. Although horizontal transmission undoubtedly
represents the most common transmission route, vertical transmission has also been highly suspected, at least for
some species. VER/VNN is commonly diagnosed after isolation of the causative agent in cell cultures followed
by identification with immunological or molecular methods.
The control of the disease is complicated by difficulties in both applying strict hygiene and preventive measures
in open environments like the sea and in selecting broodfish free from infection. Although currently under study,
commercial vaccines are unfortunately not yet available.
RIASSUNTO - L’encefalopatia e retinopatia virale è una grave patologia in grado di causare ingenti danni
economici all’acquacoltura marina. La malattia, caratterizzata da lesioni a carico del tessuto nervoso, è stata
segnalata in oltre quaranta specie ittiche, prevalentemente marine; inoltre, è probabile che questo numero di
ospiti, già particolarmente elevato, possa aumentare ulteriormente in futuro a seguito dell’introduzione di nuove
specie e dell’aumento dei movimenti commerciali.
In accordo all’OIE, i vari episodi di mortalità, verificatisi in aree geografiche e specie diverse, caratterizzati da
sintomatologia nervosa ed associati alla presenza di particelle virali appartenenti alla famiglia Nodaviridae,
vanno ricondotti ad un’unica malattia, denominata ufficialmente encefalopatia e retinopatia virale, nota anche
come necrosi nervosa virale, la quale può essere sostenuta da uno o più agenti virali, molto simili tra loro. I
soggetti colpiti dalla malattia possono evidenziare diversa sintomatologia clinica, in funzione della specie, età e
temperatura; inoltre, sono note forme acute e subacute, cui possono corrispondere differenze nella
sintomatologia e mortalità. Il segno che maggiormente accomuna e caratterizza i vari episodi descritti nelle
diverse specie è rappresentato da una evidente anomalia natatoria che si manifesta con difficoltà di
mantenimento dell’equilibrio statico e dinamico, controllo della velocità e direzione di nuoto, nonché della
capacità di regolare il grado di dilatazione della vescica natatoria. La malattia è caratterizzata da un’ampia
diffusione geografica, essendo stata segnalata sia in regioni tropicali che temperate. L’eziologia virale è stata
confermata a seguito dell’identificazione di un agente a RNA, privo di envelope, definitivamente assegnato alla
famiglia Nodaviridae, genere Betanodavirus. In base a studi del genoma virale è stata proposta l’esistenza di
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
quattro genotipi, caratterizzati da elevata omologia. La trasmissione orizzontale rappresenta senz’altro l’evento
più comune di trasmissione della malattia. Inoltre, almeno per talune specie, è stata ipotizzata anche la
possibilità di trasmissione verticale.
La diagnosi può essere eseguita tramite isolamento dell’agente causale su colture cellulari, seguito da
identificazione mediante metodi immunologici o biomolecolari. Il controllo della malattia è reso difficile dalla
difficoltà di poter applicare in ambienti aperti, come quello marino, rigide misure di igiene e profilassi nonché la
difficoltà di approvvigionamento di riproduttori indenni dall’infezione. Purtroppo, anche se in fase di studio, non
sono a tutt’oggi disponibili validi vaccini commerciali.
Key words: Viral encephalopathy and retinopathy, VER, Viral nervous necrosis, VNN, Betanodavirus, Marine
fish, Central nervous system, Retina, Abnormal swimming behaviour.
______________________________
* Corresponding author: c/o Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, viale dell’Università, 10 - 35020
Legnaro (PD) – Italy. Phone: 0039 049 8084248, Fax: 0039 049 8084392; E-mail: [email protected].
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English version
NAME AND HISTORY
Viral encephalopathy and retinopathy (VER) (Munday et al., 1992; OIE, 2006), also
known by synonyms seabass encephalitis (Bellance & Gallet de Saint-Aurin, 1988), viral
nervous necrosis (Yoshikoshi & Inoue, 1990), turbot encephalomyelitis (Bloch et al., 1991)
and fish encephalitis (Comps et al., 1996) is a neuropathological condition affecting several
fish species and caused by a few viral agents belonging to the Nodaviridae family.
The first detailed description of the disease was reported in 1988 by Bellance & Gallet de
Saint-Aurin on the occasion of mass mortalities occurred in French Martinique involving
hatchery-reared seabass (Dicentrarchus labrax) larvae and juveniles; however Glazebrook &
Campbell (1987) had previously described in barramundi (Lates calcarifer) similar
mortalities associated with brain lesions which in hindsight could probably be referred to
betanodavirus infection.
Since then, this pathology has been observed in more than forty species from different
geographical areas.
According to the Office International des Epizooties (OIE, 2006), all mass mortalities
affecting marine fish species showing nervous symptoms and associated with the presence of
small virus particles of the Nodaviridae family should be regarded as one single disease
identified with the official denomination of viral encephalopathy and retinopathy (VER),
also known as viral nervous necrosis (VNN).
AETIOLOGY
Morphological and genomic characteristics
VER can be caused by a few viral agents previously identified as members of the
Picornaviridae family (Glazebrook et al., 1990; Bloch et al., 1991; Breuil et al., 1991) and
capable to induce similar nervous lesions in several species. Subsequently, according to the
biochemical characterisation of the nucleic acid and the structural proteins obtained from
viral agents isolated from striped jack Pseudocaranx dentex (Mori et al., 1992) larvae and
brain tissues of Dicentrarchus labrax and Lates calcarifer (Comps et al., 1994), these agents
have been definitively included in the Nodaviridae family (Schneemann et al., 2005) which
is composed of two genera: the Alphanodavirus genus, which primarily infects insects such
as Nodamura Virus (NOV), Blackbeetle Virus (BBV), Flock House Virus (FHV), Boolarra
Virus (BOV) (Schneemann & Marshall, 1998), and the Betanodavirus genus which includes
four species affecting fish (Carstens et al., 2000; Schneemann et al., 2005). Agents
belonging to Betanodavirus genus are small (25-30 nm), non-enveloped and are
characterized by icosahedral morphology (Glazebrook et al., 1990; Bloch et al., 1991). Their
genome consists of two single-stranded, positive-sense non-polyadenilated RNA molecules:
RNA1 (3.1 Kb) encodes the non-structural protein A (100 Kda) a viral part of the RNAdependent RNA polymerase and the RNA2 (1.4 Kb) that contains an ORF sequence,
encoding the capsid protein (44x103 Da) (Mori et al., 1992; Comps et al., 1994). In addition
to RNA1 and RNA2 a third RNA molecule (RNA3) already described in alphanodaviruses
has been recently proposed for betanodavirus too. As in the case of alphanodaviruses the
RNA3 molecule has been found only in infected cell cultures possibly synthesized from
RNA1 during virus replication (Iwamoto et al., 2001a; Sommerset & Nerland, 2004).
Most knowledge concerning the molecular structure and the biology of betanodaviruses
have been obtained studying alphanodaviruses isolated from insects, which although are
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
similar in the organisation of the genome and in certain physical properties, differ from the
betanodaviruses primarily in the RNA genomic sequence and in the synthesis of the capsid
protein. In fact cellular transfection experiments have shown that the betanodavirus capsid
protein weighs less than the one of alfanodaviruses (37 Kda) and does not undergo the
autocatalytic proteolysis process during the maturation of the pro-virions into infecting
virions as occurs in alphanodaviruses (Delsert et al., 1997a; 1997b).
An alignment between the capsid protein gene of SJNNV and four distinct
alphanodaviruses revealed low similarity (<30%). Similar results have been obtained with
the alignment of the aminoacid sequencies of the capsid protein (<11%) (Nishizawa et al.,
1995b; Nagai & Nishizawa, 1999) whereas the homology observed between different
betanodaviruses is quite high at both the nucleotide (> 75%) and aminoacid (80%) levels
(Nishizawa et al., 1995b; Sideris et al., 1997). These results clearly demonstrate the low
homology existing between insect and fish nodaviruses and simultaneously underline the
high homology existing between betanodaviruses.
Serological analysis has recently led to the description of three serotypes. Serotype A and
B are related respectively with genotypes SJNNV and TPNNV; serotype C shows correlation
with genotypes RGNNV and BFNNV, in agreement with the elevated homology of the
RNA2 sequences of these two genotypes (Mori et al., 2003).
Taxonomic characterisation and phylogenetic analysis
The betanodaviruses so far isolated have been generally identified with reference to the
species of origin followed by the acronyms EV (encephalitis virus), NNV (nervous necrosis
virus) or NV (nodavirus).
Although each host species is usually affected by single, species-specific viral agents,
cases in which one host can be infected by distinct isolates have also been reported, such as
in Dicentrarchus labrax (Thiery et al., 1999a).
On the basis of the phylogenetic analysis of the T4 variable region that encodes the virus
capsid protein, betanodaviruses have been clustered in four genotypes that coincide with the
four species so far officially identified (table 1): TPNNV, SJNNV, BFNNV and RGNNV,
(Nishizawa et al., 1995b; 1997; Dalla Valle et al., 2001; Thiery et al., 2004). The isolates
belonging to genotypes SJNNV and TPNNV were obtained respectively from striped jack
(Pseudocaranx dentex) and tiger puffer (Takifugu rubripes). Genotype RGNNV, an acronym
of the English name, Epinephelus akaara, red-spotted grouper, includes isolates from a
significant number of warm water fish species (Skliris et al., 2001), whereas the virus
isolates obtained from cold water fish are generally classified in the cluster BFNNV, whose
prototype was originally detected in barfin flounder (Verasper moseri) (Dannevig et al.,
2000; Grotmol et al., 2000; Starkey et al., 2001), with the exception of one isolate originated
from turbot (TNV) for which the inclusion in a fifth genotype has been proposed (Johansen
et al., 2004b).
The phylogenetic analysis of the known genotypes has shown a clear point of divergence
of TPNNV and SJNNV from BFNNV and RGNNV genotypes. Considering a molecular
evolution rate of 2.6x10-3 nucleotide substitutions/site/year (Li et al., 1988) this divergence
can be dated back to around 100-150 years ago. Furthermore minor divergences occurred in
each cluster during the last 10 years, probably favoured by the growth of aquaculture
activities that increased remarkably in the same period (Nishizawa et al., 1997).
All the Japanese viral isolates belonging to the genotype RGNNV are considered as
progenies of one ancestral strain originally isolated from Japanese flounder (Paralichthys
olivaceus); this hypothesis is supported by the wide distribution of this species, which is
farmed in significant numbers and distributed as juveniles to several aquaculture rearing
facilities over a wide geographical area. Moreover, considering that a second isolate obtained
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
from the same species belongs to the genotype TPNNV, which is the more distant cluster
from RGNNV, it has been hypothesised that the Japanese flounder must have played a key
role in the spread of VER (Nishizawa et al., 1997).
Tentative Species in the Genus
Species in the Genus
Barfin flounder nervous necrosis virus (BFNNV)
Red spotted grouper nervous necrosis virus
(RGNNV)
Striped jack nervous necrosis virus (SJNNV)
Tiger puffer nervous necrosis virus (TPNNV)
Atlantic cod nervous necrosis virus (ACNNV)
Atlantic halibut nodavirus (AHNV)
Dicentrarchus labrax encephalitis virus (DlEV)
Dragon grouper nervous necrosis virus (DGNNV)
Greasy grouper nervous necrosis virus (GGNNV)
Grouper nervous necrosis virus (GNNV)
Halibut nervous necrosis virus (HNNV)
Japanese flounder nervous necrosis virus
(JFNNV)
Lates calcarifer encephalitis virus (LcEV)
Malabaricus grouper nervous necrosis virus
(MGNNV)
Seabass nervous necrosis virus (SBNNV)
Umbrina cirrosa nodavirus (UCNV)
Table 1 - List of species in the genus Betanodavirus (Schneemann et al., 2005).
As regards the geographical distribution of the disease, a European origin has been
hypothesised for isolates belonging to genotypes BFNNV and RGNNV, whereas a Pacific
origin has been postulated for isolates included in genotypes TPNNV and SJNNV. The
isolates belonging to the genotype SJNNV probably reached Europe through trade of
ornamental fish, and gradually adapted to both the local warm and cold water species
(Aspehaugh et al., 1999). It may also be postulated that after adapting to their new
environment and new species, the same viral isolates returned to the Pacific through the
exportation of whitefish and salmonids (Aspehaugh et al., 1999; Skliris et al., 2001).
It may be very reasonably believed that the molecular evolution of betanodaviruses has
been significantly influenced by temperature with adaptation to different or even identical
species living in geographical areas characterized by different temperatures (Totland et al.,
1999). This hypothesis is supported by the identification of two, genotypically distinct,
isolates: the first capable of inducing the disease in seabass farmed on the Atlantic coast, the
second one causing the disease in subjects belonging to the same species but farmed in the
Mediterranean where temperatures are significantly higher (Thiery et al., 1999a).
Furthermore, the genomic homology between viral isolates originating from species native to
Oriental and Australian waters and viral isolates obtained from Mediterranean fish suggests
the possibility of a parallel-convergent evolution rather than a continuous exchange of strains
between different geographical areas as another explanation (Dalla Valle et al., 2001).
An additional hypothesis on the spreading of betanodaviruses considers the use of a live
dietary component, such as Artemia salina, Tigriopus japonicus and Acetesinte medius (Chi
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
et al., 2003). These organisms might act as carriers and easily spread the disease over great
distances. This would justify the identification of very similar isolates in hosts farmed far
away from one another, such as in the case of the isolates obtained from Hippoglossus
hippoglossus in Norway and from Verasper moseri in Japan (Grotmol et al., 1995; Muroga,
1995).
On the basis of a phylogenetic study on nine viral strains originating from the
Mediterranean area, Dalla Valle et al. (2001) hypothesised the existence of a common
ancestral strain hosted in Dicentrarchus labrax.
HOSTS AND GEOGRAPHICAL DISTRIBUTION
VER has been observed in many geographical regions and is considered a serious
economic threat to marine aquaculture industry, especially wherever more susceptible
species are reared (Le Breton et al., 1997; Munday & Nakai, 1997; Munday et al., 2002). To
date, the disease has been described in over forty species belonging to different orders
primarily of marine origin (table 2), and this number is likely to rise in the future with the
intensification of aquaculture activity and closer monitoring, including ornamental species
(Gomez et al., 2006).
Furthermore some important species considered until recently completely resistant, such as
seabream (Sparus aurata), are now seriously threatened, because of the recent appearance of
some worrying outbreaks (Beraldo et al., 2007; Bovo et al., results unpublished).
The disease has been widely described in South-east Asia (Yoshikoshi & Inoue, 1990;
Mori et al., 1991; Nakai et al., 1994; Nguyen et al., 1994; Chua et al., 1995; Danayadol et
al., 1995; Muroga, 1995; Fukuda et al., 1996; Jung et al., 1996; Chi et al., 1997; Sohn &
Park, 1998; Zafran et al., 1998; Bondad-Reantaso et al., 2000; Zafran et al., 2000; Chi et al.,
2001; Lai et al., 2001b; Oh et al., 2002; Maeno et al., 2002; Chi et al., 2003; Hegde et al.,
2003), in the Mediterranean basin (Breuil et al., 1991; Bovo et al., 1996; Sweetman et al.,
1996; Le Breton et al., 1997; Pavoletti et al., 1998; Thiery et al., 1999a; Athanassopoulou et
al., 2003; 2004; Maltese et al., 2005), and in the North Sea (Bloch et al., 1991; Grotmol et
al., 1995). Betanodavirus infection has recently been reported in fish farmed along the
coastal waters of the United Kingdom (Starkey et al., 2000; 2001), Israel (Ucko et al., 2004),
North America (Curtis et al., 2001; Barker et al., 2002; Gagnè et al., 2004), Iran
(Zorriehzahra et al., 2005), and India (Azad et al., 2005).
Despite the fact that the disease is considered typical of marine fish, VER has also been
found in certain species reared in fresh water, such as Anguilla anguilla (Chi et al., 2003),
Poecilia reticulata (Hedge et al., 2003), Parasilurus asotus (Chi et al., 2003), Acipenser
gueldenstaedti (Athanassopoulou et al., 2004), Tandanus tandanus and Oxyeleotris
lineolatus (Munday et al., 2002). The disease has also been experimentally induced in
Mozambique tilapia (Oreochromis mossambicus) (Skliris & Richards, 1999b) and more
recently in juveniles and adults medaka (Oryzias latipes) (Furusawa et al., 2006) in
confirmation of the fact that salinity is not a determinant factor.
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
Order
Anguilliformes
Gadiformes
Fish species
Anguilla anguilla (European eel)
Gadus morhua (Atlantic cod)
Melanogrammus aeglefinus (Haddock)
Perciformes
Lates calcarifer (Barramundi, Asian seabass)
Lateolabrax japonicus (Japanese seabass)
Dicentrarchus labrax (European seabass)
Pleuronectiformes
Tetraodontiformes
Siluriformes
Cyprinodontiformes
Scorpaeniformes
Acipenseriformes
Epinephelus aeneus (White grouper)
E. akaara (Red spotted grouper)
E. awoara (Yellow grouper)
E. coioides (Orange-spotted grouper)
E. fuscoguttatus (Brown-marbled grouper)
E. malabaricus (Malabar grouper)
E. marginatus (Dusky grouper)
E. moara (Kelp grouper)
E. septemfasciatus (Convict grouper)
E. tauvina (Greasy grouper)
Chromileptes altivelis (Humpback grouper)
Latris lineata (Striped trumpeter)
Pseudocaranx dentex (Striped jack)
Seriola dumerili (Greater amberjack)
Trachinotus blochii (Snub nose pompano)
Trachinotus falcatus (Yellow-wax pompano)
Sparus aurata (Gilthead seabream)
Sciaenops ocellatus (Red drum)
Umbrina cirrosa (Shi drum)
Atractoscion nobilis (White weakfish)
Oplegnathus fasciatus (Japanese parrotfish)
Oplegnathus punctatus (Rock porgy)
Oxyeleotris lineolata (Sleepy cod)
Rachycentron canadum (Cobia)
Mugil cephalus (Grey mullet)
Liza aurata (Golden grey mullet)
Lutjanus erythropterus (Crimson snapper)
Verasper moseri (Barfin flounder)
Hippoglossus hippoglossus (Atlantic halibut)
Paralichthys olivaceus (Japanese flounder)
Scophthalmus maximus (Turbot)
Solea solea (Dover sole)
Takifugu rubripes (Japanese puffer fish)
Parasilurus asotus (Chinese catfish)
Tandanus tandanus (Australian catfish)
Poecilia reticulata (Guppy)
Sebastes oblongus (Oblong rockfish)
Acipensergueldenstaedti (Russian sturgeon)
Geographical area
Taiwan1
UK2, Canada3, USA4, Norway50
Canada5
Australia6, China7, Indonesia8, Israel7,13,
Malaysia9,
Phillipines10,
Singapore11,
12
1
14
Tahiti , Taiwan , Thailand , India 15
Japan16
Caribbean17, France18, Greece19, Italy20,
Malta21, Portugal21, Spain21, Israel13
Israel13
Japan22, Taiwan23
Taiwan24
Phillipines10, Taiwan1
Taiwan24
Thailand26
Mediterranean19
Japan27
Japan28, Korea29
Malaysia30, Phillippines30, Singapore31
Indonesia32, Taiwan1
Australia7
Japan33
Japan34
Taiwan1
Taiwan1
France35, Italy36
Korea37, Israel13
Italy38, France39
USA40
Japan41
Japan33
Australia7
Taiwan1
Israel13
Iran42
Taiwan1
Japan34
Norway43, UK44
Japan45
Norway46
UK2
Japan27
Taiwan25
Australia7
Singapore47
Korea48
Greece49
Table 2 – List of affected species and geographical area in which the disease occurred.
99
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
References: (1) Chi et al., 2001; (2) Starkey et al., 2001; (3) Johnson et al., 2001; (4) Johnson et al., 2002; (5) Gagnè et al.,
2004; (6) Glazebrook & Campbell, 1987; (7) Munday et al., 2002; (8) Zafran et al., 1998; (9) Awang, 1987; (10) Maeno et al.,
2002; (11) Chang et al., 1997; (12) Renault et al., 1991; (13) Ucko et al., 2004; (14) Glazebrook et al., 1990; (15) Azad et al.,
2005; (16) Jung et al., 1996; (17) Bellance & Gallet de Saint-Aurin, 1988; (18) Breuil et al., 1991; (19) Le Breton et al., 1997;
(20) Bovo et al., 1999a; (21) Skliris et al., 2001; (22) Mori et al., 1991; (23) Chi et al., 1997; (24) Lai et al., 2001b; (25) Chi et
al., 2003; (26) Danayadol et al., 1995; (27) Nakai et al., 1994; (28) Fukuda et al., 1996; (29) Sohn & Park, 1998; (30) BondadReantaso et al., 2000; (31) Chua et al., 1995; (32) Zafran et al., 2000; (33) Mori et al., 1992; (34) Muroga, 1995; (35) Comps &
Raymond, 1996; (36) Dalla Valle et al., 2000; (37) Oh et al., 2002; (38) Pavoletti et al., 1998; (39) Comps et al., 1996; (40)
Curtis et al., 2001; (41) Yoshikoshi & Inoue, 1990; (42) Zorriehzahra et al., 2005; (43) Grotmol et al., 1995; (44) Starkey et al.,
2000; (45) Nguyen et al., 1994; (46) Bloch et al., 1991; (47) Hedge et al., 2003; (48) Kim et al., 2001; (49) Athanossopoulou
et al., 2004; (50) Pantel et al., 2007.
The high homology observed between the isolate obtained from Epinephelus taurina
(ETNNV), a saltwater species, and the isolate (GNNV) obtained from Poecilia reticulata, a
very common freshwater ornamental fish, suggests a possible marine origin for the infection
detected in this freshwater species (Hedge et al., 2003).
These observations raise concerns that further commercially important freshwater fish may
be struck by the disease even after only accidental exposure to the causative agent.
In addition to agents affecting fish and insects the family Nodaviridae includes some
agents which may induce serious infections in shellfish species too; reports from Taiwan,
China, and the French West Indies, have confirmed the detection of a viral agent from the
freshwater shrimp Macrobrachium rosenbergii suffering high mortalities due to white tail
disease (Arcier et al., 1999). Later on, Widada et al. (2003) identified this agent as a member
of the Nodaviridae family. Experimental trials to induce the disease in Penaeus indicus,
Penaeus japonicus and Penaeus monodon gave negative results (Sudhakaran et al., 2006)
suggesting these species should be considered resistant to the infection caused by the
nodavirus agent isolated from Macrobrachium rosenbergii.
More recently, Pantoja et al. (2007) reported the identification of a nodavirus agent
temporarily named LvNV (Litopenaeus vannamei nodavirus) in crustacea farmed in Belize.
The list of species affected by the disease or just susceptible to the infection, like some
ornamental species (Gomez et al., 2006), is continuously growing.
CLINICAL AND ANATOMO-PATHOLOGICAL SIGNS
Clinical signs
The clinical symptoms are a direct consequence of the lesions occurring in the central
nervous system (CNS) and retina, and are primarily represented by an abnormal swimming
behaviour that may be manifested in various ways mainly depending on the species and age.
In bilaterally symmetrical fish, affected subjects may swim in straight lines and rapidly near
the surface, perform extended circular movements while alternating long periods of ataxia
and lethargic swimming with quick spinning. Some subjects briefly assume anomalous
stationary positions, remaining in vertical position with the head or the caudal fin above the
surface of the water. Often, subjects have been observed swimming so fast in a straight line
near the surface that they were unable to stop before smacking into the walls of the tank and
incurring traumatic lesions to the jaws.
Flatfish usually show less evident symptoms, and affected subjects may remain at length
on the bottom bending their body with the head and tail raised; sometimes they lies on the
bottom with the belly up. They may tremble before starting to swim for an extremely short
100
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
time before dropping to the bottom of the tank with a swaying motion that recalls “autumn
leaves falling from a tree” (Perĭc, personal observation).
Loss of appetite has been frequently observed as well as a progressive change in
pigmentation. The larvae of Lates calcarifer and Hippoglossus hippoglossus tend to lose
colour, whereas juveniles of Hippoglossus hippoglossus, Dicentrarchus labrax,
Scophthalmus maximus and Epinephelus spp. tend to assume a more intense pigmentation
starting from the caudal fin (Bellance & Gallet de Saint-Aurin, 1988; Glazebrook et al.,
1990; Yoshikoshi & Inoue, 1990; Bloch et al., 1991; Breuil et al., 1991; Mori et al., 1991;
1992; Boonyaratpalin et al., 1996; Grotmol et al., 1997b; Munday et al., 2002).
The life stages during which symptoms and mortality are most frequently observed are
linked to the infection route and the affected species (Munday & Nakai, 1997). Although the
highest mortality rates have been most frequently observed in larvae and juveniles, serious
losses have also been reported in adults, such as in Pseudocaranx dentex (Arimoto et al.,
1993; Mushiake et al., 1994; Nguyen et al., 1997), Epinephelus septemfasciatus (Fukuda et
al., 1996; Tanaka et al., 1998) and Dicentrarchus labrax (Bovo et al., 1996; Le Breton et al.,
1997). Severe losses occurred also in adult halibut (Hippoglossus hippoglossus) and Atlantic
cod (Gadus morhua) reared in Norway (Aspehaug et al., 1999; Pantel et al., 2007) which are
usually affected during larval and juvenile stages (Grotmol, 2000; Johnson et al., 2001).
The appearance of clinical symptoms can be significantly influenced by the temperature
(Arimoto et al., 1994; Fukuda et al., 1996; Tanaka et al., 1998). The first observations of the
disease closely linked the presence of clinical symptoms and histological lesions to water
temperatures of higher than 29-30°C typical of summer in tropical regions; for such reason,
the disease was originally called “summer disease” (Bellance & Gallet de Saint Aurin,
1988). Subsequent observations revealed that natural infection and disease may occur in a
wider temperature range.
Most affected fish belong to warm water species, such as Epinephelus malabaricus, in
which mortality occurs between 28-30°C (Danayadol et al., 1995) or Pseudocaranx dentex
larvae, which are fatally affected between 20-26 °C (Arimoto et al., 1994).
Fukuda et al. (1996) reported that an increase in temperature is a predisposing factor for
the disease, while obviously referring to warm water species, even if infection has also been
observed in cold water species like Hippoglossus hippoglossus (Grotmol et al., 1995) and
Verasper moseri, which commonly display symptoms at 4-5°C. Following intramuscular
inoculation of Epinephelus septemfasciatus and Epinephelus akaara with homogenate of
brain and eye obtained from infected subjects, Tanaka et al. (1998) concluded that both
mortality and symptoms are significantly affected by water temperature after observing the
highest mortality and the shortest incubation period at temperatures higher than 28°C.
In European seabass (Dicentrarchus labrax), typical clinical signs which are very clear at
temperatures of more than 23-25°C tends to decrease as soon as the temperature falls beneath
18-22°C (Sweetman et al., 1996; Bovo et al., 1999a); more rarely, VER outbreaks can occur
at lower temperatures between 14-15°C with few or unapparent symptoms (Galeotti et al.,
1999; Borghesan et al., 2003). Similar observations have also been reported in Epinephelus
septemfasciatus (Tanaka et al., 1998).
Moreover, the disease may assume particularly serious development when water
temperature fluctuates daily to such degree as to compromise virus defence mechanisms
(Fukuda, unpublished data).
Totland et al. (1999) showed that one particular Japanese virus strain known to be virulent
for Pseudocaranx dentex larvae, a fish species that prefers high water temperatures, was
unable to replicate in the larvae of Atlantic halibut (Hippoglossus hippoglossus), a coldwater fish. On the other hand, this latter species can be infected by a virus strain isolated in
Norway that is, for some reason, unable to replicate in Pseudocaranx dentex larvae.
101
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
Anatomopathological lesions
Hyperinflation of the swim bladder has been frequently reported from different species as
in Dicentrarchus labrax, Lates calcarifer and Pseudocaranx dentex (Breuil et al., 1991;
Munday et al., 2002) particularly during larval stages. On some occasions, a depigmented
area in the cranium skin overhanging the brain and wide open opercula have been reported,
together with lesions of the jaws and reddening of the area around the head of probable
traumatic origin (Bovo et al., 1996; Sweetmann et al., 1996; Le Breton et al., 1997; Pavoletti
et al., 1998) (figure 1). No other significant lesions have been recorded during natural
outbreaks.
Histopathological lesions
The most typical findings detected in clinically affected fish from different species consist
of vacuolation and necrosis of nervous cells.
The lesions may be detected in different parts of the brain (mesencephalon,
metencephalon, telencephalon, medulla oblongata) (figure 2), spinal cord, granular layers of
the retina (figure 3), cones and rod cells and near the germinal epithelium (Munday et al.,
1992; Grotmol et al., 1995; Comps & Raymond, 1996; Grove et al., 2003).
In Atlantic halibut (Hippoglossus hippoglossus) suffering high mortalities during natural
VER infection endocardial lesions have been detected in addition to the typical vacuolar
lesion normally found. According to the authors the presence of these lesions suggests that
viremia may be an important factor in the pathogenesis of VER at least in Atlantic halibut
(Grotmol et al., 1997b). The vacuolations observed in the CNS were scattered mainly in the
optic tectum, while according to Le Breton et al. (1997) most of the vacuolating lesions
observed in seabass are mainly evident in the thelencephalon, diencephalon and the
cerebellum.
The number and size of the vacuoles may vary considerably depending on the species
affected and especially the age; the most serious lesions are observed in larval and juvenile
stages in which vast areas of the CNS (Glazebrook et al., 1990; Breuil et al., 1991) may be
affected. Generally speaking, both intra- and extra-cellular vacuoles are most numerous in
the metencephalon and in the deep granular layer of the retina, even if significant presence is
observed in the spinal cord, especially in the area overlying the swim bladder (Galeotti et al.,
1999).
Evident lesions have also been observed in the spinal ganglia of Oplegnathus fasciatus
(Yoshikoshi & Inoue, 1990). Further lesions reported include cellular pyknosis and
basophilia (Yoshikoshi & Inoue, 1990); focal pyknosis, karyorectic neurons and infiltration
of mononuclear cells (Grotmol et al., 1995). Basophilic inclusions have been observed in
nerve cells of Lates calcarifer, Dicentrarchus labrax and Epinephelus malabricus
(Glazebrook et al., 1990; Breuil et al., 1991; Boonyaratpalin et al., 1996) furthermore
cerebral blood vessels lesions have been described (Le Breton et al., 1997).
In adult seabass, the disease shows much less evident symptoms and histopathological
lesions (Galeotti et al., 1999). Generally speaking, lesions are much less severe in adult
specimens than those described in larval and juvenile stages, given that it is not always easy
to identify the characteristic vacuolisations. The lesions of the retina, on the other hand, tend
to be more consistent in adults. The inflammatory process is usually very discreet, and the
presence of macrophages is probably secondary to vacuolisation.
Vacuolisation of the hindgut mucosa, with hyaline droplet formation with occasional
epithelial sloughing have also been reported (Glazebrook et al., 1990).
102
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
Histolopathogical changes sometimes observed concurrently with nodavirus outbreaks in
liver, kidney, heart, intestine, and the skeletal musculature need not necessarily be linked to
betanodavirus infection (Johansen et al., 2004a).
Sub-clinical infection
Even if asymptomatic carriers are considered the major source of infection, the
mechanisms that modulate their resistance and control the viral replication have not yet been
adequately documented. According to Johansen et al. (2004a) who investigated the
progression of AHNNV infection the virus has been detected in the CNS of survivors the
natural infection, during the whole one year study period, by immunohistochemistry (IHC),
polymerase chain reaction (PCR) and cell culture isolation method. These results suggest
that at least as far as Hyppoglossus hippoglossus is concerned, the carrier status period may
last for a long time. The detection of the virus in both male and female gonads and eggs from
different species (Arimoto et al., 1992; Mushiake et al., 1994; Nishizawa et al., 1996; De
Mas et al., 1998; Dalla Valle et al., 2000) support the hypothesis of a thrue vertical
transmission of the disease from infected broodfish to their offspring. Using the
immunofluorescent antibody test (IFAT), Nguyen et al. (1997) detected in adult striped jack
(Pseudocaranx dentex) the presence of the virus in gonads and other organs, such as the
intestine, stomach, kidney and liver, whereas the CNS tested completely negative. In
Hippoglossus hippoglossus, viral particles have been observed in nerve cells, astrocytes,
oligodendrocytes, microgliocytes, macrophages, lymphocytes, vascular epithelium, and
cardial and epicardial endothelium and mesothelium (Grotmol et al., 1997b). Nodavirus-like
particles have also been observed in the endocardium from Atlantic salmon (Salmo salar)
affected by myocardial syndrome (CMS) (Grotmol et al., 1997a).
Using RT-PCR, Dalla Valle et al. (2000) detected the presence of betanodavirus genome in
asymptomatic Sciaena umbra and Sparus aurata. The positive result concerning the latter
species has been confirmed by different authors (Comps & Raymond, 1996; Dalla Valle et
al., 2000; Castric et al., 2001) and suggests this species could play a key role as healthy
carrier in the epidemilogy of VER in the Mediterranean area where Dicentrarchus labrax is
the main target host. Experimental studies have shown that several species may act as
asymptomatic carriers (Glazebrook, 1995; Skliris & Richards, 1999a; Johansen et al., 2003).
An additional risk posed to farmed species is represented by the presence in the
environment of wild susceptible species, which may maintain the infection in latent state
while permitting the survival of the virus in the surroundings, in this way creating a
dangerous source of infection.
In Canada, certain populations of wild fish are suspected of acting as authentic natural
reservoirs, and in fact, the virus has been shown by polymerase chain reaction technique
(PCR) to be present in 0.23% of wild Pleuronectes americanus (Barker et al., 2002). A
subsequent study performed in Japan on a representative sample of 30 species taken from
bays in Yashima (Kagawa Prefecture) and Tamanoura (Nagasaki Prefecture) confirmed that
most farmed and wild fish tested positive, even if no clinical symptoms at all were evident at
the moment of capture (Gomez et al., 2004). In the Mediterranean basin the presence of VER
infection has been confirmed in certain wild species (Ciulli et al., 2006b). The infection
seems to be particularly frequent in red mullet (Mullus barbatus barbatus), in which 28.8%
prevalence was found (Maltese & Bovo, results not published).
It is therefore clearly evident that despite some existing data, the need for further
knowledge on the carrier status and the mechanisms of disease transmission should obtain
paramount attention, especially in regard to the major farmed species, if disease control
strategies are to be significantly improved.
103
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
DISEASE TRANSMISSION
Several observations from the field and the results obtained from experimental trials
performed by different authors under controlled conditions (Glazebrook et al., 1990; Mori et
al., 1991; Arimoto et al., 1993; Nguyen et al., 1994; 1996; Thiery et al., 1997; Grotmol et
al., 1999; Peducasse et al., 1999; Totland et al., 1999) completely support the horizontal
transmission route; while the possibility for vertical transmission has also been proposed for
some species (Nguyen et al., 1997; Breuil et al., 2002; Johansen et al., 2002).
Tissue tropism
The histopathological lesions associated to betanodavirus infection clearly demonstrate
that these agents have a marked primary neurotropism with major replication sites in the
CNS and retina.
Pathogenetic studies carried out in different species at various life stages have enabled the
formulation of several hypotheses on the ways in which the virus reaches its replication sites
after penetrating the host.
According to Nguyen et al. (1996) one of the initial viral replication sites in Pseudocaranx
dentex larvae is the spinal cord, from here; the virus could reach first the brain and then the
retina by travelling up the optic nerve. In adult carrier fish the same authors detected, by
IFAT, the presence of viral antigens in the gonads, intestine, stomach, kidney and liver, but
not in the CNS and retina in this way suggesting a major difference between carrier and
clinically affected fish. The positivity found in the viscera reinforces the hypothesis on the
offspring contamination through the shedding of virus with gonadal and intestinal products
(Nguyen et al., 1997). Furthermore the detection of viral antigens in the olfactory lobes
suggests that nasal cavity might also offer a possible point of viral entry (Mladineo, 2003).
An additional hypothesis considers the stratified epithelium of the foregut to be a primary
virus replication site. This region, in fact, comes easily into contact with the virus present in
the water or foods ingested, and from here, through the cranial nerves, the virus could easily
reach the brain and the eye (Munday et al., 1992; Grotmol et al., 1999).
According to Peducasse et al. (1999) the gills and skin region near the lateral line are the
principal penetration viral routes.
Horizontal transmission
Numerous experimental studies using larval or juveniles from different fish species as
models have confirmed the horizontal transmission route. In some cases, the environmental
conditions needed for the development of the pathology, such as the temperature and the age
of the fish, were tested simultaneously.
The disease has been shown to be transmitted through the cohabitation of healthy and
infected larvae in Lates calcarifer (Glazebrook et al., 1990). Following experimental
infection by bath and intra-peritoneal inoculation Epinephelus akaara juveniles developed
the disease 10-14 days after exposure, showing histopathological damages similar to those
occurring during natural disease but associated with lower mortality rates (Mori et al., 1991).
In Pseudocaranx dentex, the disease was induced in healthy larvae through bath or
cohabitation with infected larvae (Arimoto et al., 1993; Nguyen et al., 1996). By adopting
the same infection methods VER was also transmitted to Paralichthys olivaceus juveniles
(Nguyen et al., 1994).
In Epinephelus malabaricus, the disease was transmitted by intra-peritoneal injection of
infected material. The clinical signs were comparable to those occurring during the natural
disease; the induced mortality rate was 40-60%. In this species, the pathology never
104
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
underwent an acute phase in either natural or experimental conditions, while in stressful
situations it appears to be common (Boonyaratpalin et al., 1996).
Thiery et al. (1997) reported a 28% mortality rate in Dicentrarchus labrax juveniles
following intramuscular inoculation of infected brain homogenate.
Peducasse et al. (1999), demonstrated that oral or bath infection or infection by
cohabitation leads in Dicentrarchus labrax to a sub-acute form characterized by slight
nervous disorders associated with low mortality. According to the same authors more evident
nervous disorders and an acute form characterized by higher mortality may be obtained
following intramuscular inoculation. It is therefore obvious that both the infectious dose and
the virulence of the strain are key factors in pathogenesis.
The high resistance of betanodaviruses to environmental conditions (Frerichs et al., 2000;
Maltese & Bovo, 2001; Munday et al., 2002) undoubtedly contributes to increase horizontal
transmission probability, above all in endemic areas, and this occurs particularly when the
juveniles are transferred from hatcheries to ongrowing facilities.
Vertical transmission
According to some authors, vertical transmission may represent an important virus
spreading route in farmed populations (Arimoto et al., 1992; Yoshimizu et al., 1997; Breuil
et al., 2002).
Although vertical transmission is strongly suspected because of clear epidemiological data
showing the high prevalence of the infection in the very earliest larval stages and in the
juveniles of various species reared in farms provided with water treatment (Breuil et al.,
1991; Arimoto et al., 1992; Comps et al., 1996; Yoshimizu et al., 1997; Grotmol & Totland,
2000), it has not yet been effectively demonstrated. Vertical transmission has been
hypothesised because of the observation of the viral agent in the gonads and fertilised eggs
of Pseudocaranx dentex by means of ELISA (Arimoto et al., 1992), RT-PCR (Mushiake et
al., 1994; Nishizawa et al., 1996; Dalla Valle et al., 2000; Breuil et al., 2002) and IFAT
(Nguyen et al., 1996; 1997); furthermore, the virus has been identified in fertilised eggs and
larvae originating from experimentally infected broodfish (Breuil et al., 2002). These data
suggest that even if the disease might be transmitted from broodfish to their offspring, it is
not yet clear whether real intra-ovarian transmission is involved or whether an external
contamination may occur and transmit the infection to young larvae at the moment of
hatching.
Other transmission routes
In 1998, Skliris & Richards considered the possibility that Artemia salina and the rotifer
Brachionus plicatilis, fresh feeds commonly used in marine aquaculture facilities for larvae,
might represent natural nodavirus reservoirs and therefore play a key role in the transmission
of the disease. The negative outcome of the virological tests performed by infecting SSN-1
cell cultures with homogenates of these two invertebrates and the absence of virus-like
particles from their organs convinced the authors that the risk in this case existed only at the
level of mechanical carrier following superficial contamination. Chi et al. (2003) also
considered the possibility that a diet based on Artemia salina, Tigriopus japonicus and
Acetesinte medius, from which the virus has been isolated, might represent an infection
source.
An additional possibility for transmission of the disease might be represented by feeding
using raw fish (Mori et al., 2005) a practice that is mainly used for the broodstock.
Furthermore cannibalism could represent a common route for disease transmission in nature.
105
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
IMMUNE RESPONSE
The studies and the information currently available on the immune response of fish
affected by VER are unfortunately very limited. The disease often appears precociously,
particularly in the earliest larval stages characterized by high mortalities, which might be
reasonably ascribed to deficiencies of the immune system not yet completely developed.
Adult fish instead may usually provide an adequate response to the infection; nevertheless
serious losses associated to clear symptoms have been often detected in adult fish too
(Arimoto et al., 1993; Mushiake et al., 1994; Bovo et al., 1996; Fukuda et al., 1996; Le
Breton et al., 1997; Nguyen et al., 1997; Tanaka et al., 1998; Aspehaug et al., 1999). In
Hippoglossus hippoglossus it has been demonstrated that fish surviving the infection may
become carriers for a relatively long time (Johansen et al., 2004a). In a few occasions, even
if specific symptoms were still present, the virus was not always detectable, mainly because
of its very low concentration, tending to disappear completely after recovery (Fukuda et al.,
1996).
Preliminary studies following experimental infection or administration of inactivated or
recombinant vaccines have enabled the detection of specific antibodies in infection-resistant
subjects (Breuil & Romestand, 1999; Tanaka et al., 2001; Yamashita et al., 2005; Thiery et
al., 2006). According to Grove et al. (2003) the antibody response occurs only when the
experimental infection is provided by intra-peritoneal inoculation and not by immersion
(Grove et al., 2003), nevertheless the immune response occurring following a natural
outbreak may persist at high level for one year or even more (Johansen et al., 2004a).
In one study performed in immuno-competent Atlantic halibut (Hippoglossus
hippoglossus) inoculated with AHNNV a clear immune response has been detected in the
plasma starting from day 18 p.i. until day 56 p.i. during which a continues increase of the
antibody activity has been observed. Further results suggest that the presence of infectious
virus in the CNS may elicit a local antibody production by plasma cells (Grove et al., 2006)
DIAGNOSTIC METHODS
VER has been for a long period diagnosed on the basis of the characteristic clinical
symptoms associated with the presence of vacuolar lesions in the CNS and the retina. The
availability of the first cell line (SSN-1) susceptible to betanodavirus replication provided a
valid diagnostic tool (Frerichs et al., 1996). Later on further cell lines useful for diagnostic
and research purposes were developed (Chi et al., 1999a; Watanabe & Yoshimizu, 1999;
Iwamoto et al., 2000; Chang et al., 2001; Lai et al., 2001a; 2003). In addition, molecular
biology tests were adopted in the early ’90s.
According to the OIE diagnostic manual (2006), the screening of asymptomatic fish should
be performed by isolation of the causative agent in SSN-1 or E-11, a clone derived from
SSN-1 cells, followed by identification by means of IFAT or RT-PCR. In case of clinical
suspicion direct detection of the virus by IFAT, IHC or RT-PCR may be used in addition to
the virus isolation method.
Above and beyond the recommendations in the OIE manual, several diagnostic methods
and different applications are reported in the current literature.
Histopathology and immunohistochemistry
Histopathological examinations cannot, unfortunately, be considered a valid diagnostic
tool both because reports concerning juvenile subjects characterised by the scarcity or
complete absence of specific lesions have been described (Bovo et al., 1996; Galeotti et al.,
106
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
1999) and because the vacuolar lesions even if associated with the disease, although highly
indicative of the same, cannot be considered pathognomonic. On the other hand, it is widely
known that IHC represents an extremely useful diagnostic and research tool (Mutinelli et al.,
1998; Grove et al., 2003; Johansen et al., 2004b). In fact the application of IHC permits a
clear identification of the viral antigens in the cytoplasm of degenerated cells (figure 4) and
in the spongious lesions of both the CNS and the retina. IHC may be also applied to
investigate on previous infection. This situation has been recently observed in fry weighing
approximately three grams that tested positive following IHC analysis without showing any
nervous symptoms or characteristic histopathological lesions referred to nodavirus infection
(Galeotti et al., 1999). The positivity revealed by IHC in the absence of histopathological
lesions might indicate either a limited viral pathogenicity or a convalescent phase in which
the rare positive cells observed represent the residual virus in subjects surviving the acute
phase of the disease (Galeotti et al., 1999).
When only rare positive cells are detected by IHC in brain sections, better response should
be obtained including the eyes and looking at the retina which is described as a site of
frequent viral antigen presence (Galeotti et al., 1999; Mladineo, 2003).
Electron microscopy
Because betanodaviruses are small-sized viruses (25-30 nm), their direct observation by
electron microscopy (EM) in pathological material may be difficult especially when present
in limited concentration. This difficulty is also due to the limited sensitivity of the method.
In clinically affected fish, especially when larvae and juveniles are involved, the high
concentration of virus particles makes diagnosis easier. In EM preparations, the virions
either appear free in the cytoplasm or associated to the endoplasmic reticulum membranes.
The membranes of the mitochondrial internal crests appear to be completely destroyed,
whereas the plasmatic membranes remain intact. In some cases, viral particles have been
observed inside the cytoplasm in the form of para-crystalline aggregates (Figure 5)
(Glazebrook et al., 1990; Bloch et al., 1991; Breuil et al., 1991; Boonyaratpalin et al., 1996;
Grotmol et al., 1997b).
Virions are observed primarily in nerve cells, astrocytes, oligodendrocytes and
microgliocytes (Yoshikoshi & Inoue, 1990; Grotmol et al., 1997b). In Atlantic halibut
(Hippoglossus hippoglossus), however, viral particles were observed also in the endothelial
cells, in the lymphocytes near the endocardium, in cardial myocytes, and in the epicardium
cells (Grotmol et al., 1997a).
Cell culture isolation
Cell culture is the most important tool currently available for the isolation, replication and
identification of animal viruses. Until 1993, over 150 cell lines (Fryer & Lannan, 1994) were
used for the isolation and identification of pathogenic fish viruses, most of which derived
from freshwater fish tissue and only a small part from saltwater fish. Immediately after the
appearance of VER, numerous attempts were made to isolate the virus using the principle
existing cell lines (Watanabe & Yoshimuzu, 1999), but none of them were successful. In
1996, Frerichs et al. succeeded in replicating the virus in a cell line that originated in 1991
from striped snakehead fish fry (Ophiocephalus striatus) called SSN-1. This cell line is not
so easy to maintain and in addition it is persistently infected by a Type-C retrovirus known
as SnRV (Frerichs et al., 1991; Hart et al., 1996). In order to remediate the use of this
contaminated cellular substrate, six cellular clones were created from SSN-1 (A6, B7, C3,
E2, E9, E11) and their susceptibility in regard to the four official betanodavirus genotypes
have been assessed (Iwamoto et al., 2000). Unfortunately, all the three clones that proved
most permissive to the development of the cytopathic effect (A6, E9, and E11) still tested
107
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
positive, by PCR and EM, for the presence of SnRV. This result suggests that the
contaminating retrovirus may play an important role in the replication of the virus in the
SSN-1 cells and the clones derived (Lee et al., 2002), probably by inducing the production
of a specific membrane receptor capable of promoting the adhesion of the nodavirus to the
single cells. No cell cultures originated from seabass (Dicentrarchus labrax) gonads, larvae,
fins, or brain tissue apparently free from retroviruses, in fact, proved susceptible to a
reference strain isolated from seabass (personal observations by the authors).
Further betanodavirus susceptible cell lines have subsequently been developed, such as
GF-1 derived from fin tissues of Epinephelus coioides (Chi et al., 1999a; 1999b), SF,
derived from larvae of Lates calcarifer (Chang et al., 2001), GB, originating from brain of E.
awoara (Lai et al., 2001b; 2003), TF from Scophthalmus maximus (Aranguren et al., 2002),
and GS, derived from the spleen of E. coioides (Qin et al., 2006). A cell line known as BB
originated from the brain of barramundi (Lates calcarifer) persistently infected with a VER
isolate has recently been developed. This cell line might offer a valid model for the study of
virus infection and replication mechanisms both in vivo and in vitro (Chi et al., 2005).
Additional information on the capacity of nodavirus strains isolated from seabass to
replicate in cell cultures has been obtained by studying the lytic cycle in three fish cell lines
(SBL, RTG-2, BF-2) and one mammal cell line (Cos1) (Delsert et al., 1997b). The fish cells
were more permissive than those of the mammal, in this way demonstrating that unlike insect
nodaviruses, betanodaviruses are not capable of replicating in many cell cultures.
Furthermore, whereas the insect nodaviruses infect a large quantity of tissues in diseased
insects, betanodaviruses possess a more specific tropism for nerve cells.
In SSN-1 cells, the cytopathic effect appears on the 3rd day post infection and is
characterized by the appearance of intracellular vacuolar lesions unevenly distributed
throughout the cell monolayer. These vacuolar lesions initially are isolated and began
assuming the form of vacuolized cellular aggregates after the passage of hours (figure 6).
Seventy-two hours post infection, their number and size increase considerably and the
cellular monolayer is gradually replaced by cellular lysis until a complete destruction.
Subsequent studies have shown that SSN-1 cells can also be useful to differentiate
genotypes characterized by different optimal growth temperatures (Totland et al., 1999). It
has been indeed possible to classify, in four groups, seventeen different isolates originating
from thirteen saltwater fish according to the specific cytopathic effect induced on SSN-1
cells (Iwamoto et al., 1999).
The first group, including nine viral isolates belonging to genotype RGNNV and originated
from Epinephelus akaara, E. septemfasciatus, E. mooara, E. coioides, Dicentrarchus labrax,
Lates calcarifer, Oplegnathus punctatus, Paralichthys olivaceus, induced three days post
infection a cytopathic effect characterized by round, granular cells with cytoplasmic
vacuoles that led to the complete destruction of the monolayer within the 6th day.
The second group including viral isolates belonging to genotype SJNNV obtained from
Pseudocaranx dentex induced a cytopathic effect characterised by small, round, granular and
refractive cells without any consistent vacuolisation.
The third group, represented by one single isolate of the genotype TPNNV obtained from
Takifugu rubripes, and the fourth group, consisting of viral isolates belonging to genotype
BFNNV (four originating from Paralichthys olivaceus, one obtained from Gadus
macrocephalus and one from Hippoglossus hippoglossus) induced the appearance of a
cytopathic effect similar to the one caused by strains belonging to RGNNV genotype but
only at 20°C, while at higher temperatures no cytopathic effect may be detected. In addition
to the differences observed in cytopathic effect morphology, in fact, different viral strains
displayed different optimum replication temperatures, according to their belonging genotype:
108
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
15-20°C for BFNNV, 20°C for TPNNV, 20-25°C for SJNNV and 25-30°C for RGNNV
(Iwamoto et al., 2000).
These data are extremely important for diagnostic purposes because they underline the
need for incubation of the inoculated monolayers at different temperatures whenever the
epidemiological knowledge indicates the presence of different genotypes in the same area.
Enzyme-linked Immunosorbent Assay
Several authors reported interesting results from application of different applications of
enzyme-linked immunosorbent assay (ELISA) tests primarily adopted for the detection of
betanodavirus antibody activity (Mushiake et al., 1992, Nishizawa et al., 1995a; Breuil &
Romestad, 1999; Breuil et al., 2000; Watanabe et al., 2000; Breuil et al., 2001; Huang et al.,
2001; Husgarõ et al., 2001; Lai et al., 2001a; Grove et al., 2003). The limitations of this test
above all regard the lack of correlation often observed between the detection of specific
antibodies and the disease status; in fact fish tested positive for the presence of the virus may
test negative for antibody detection and vice-versa (Husgarõ et al., 2001).
Nevertheless according to different authors ELISA may be very useful for identification
and selection of carriers fish among the broodstock; in fact investigations on ovary tissues
revealed a significant virus prevalence despite negative results obtained from brain tissues
belonging to the same population (Arimoto et al., 1992). Further applications of ELISA to
select seronegative broodfish have been later reported (Breuil & Romestand, 1999; Breuil et
al., 2000).
According to Watanabe et al. (2000) the detection of carrier barfin flounder (Verasper
moseri) should be performed by simultaneous application of both PCR and ELISA to detect
viral genome from ovarian biopsies and specific antibodies activity in sera from fish
previously exposed to the infection.
Immunofluorescence antibody test
The application of IFAT is suggested in the diagnostic manual OIE (2006), both as a
confirmatory method for identifying viral strains replicating on cell cultures (figure 7), both
as an identification method applied directly on brain sections of symptomatic animals. In the
latter case, the method allows a rapid confirmation of clinical suspicions, as long as only
samples showing apparent clinical symptoms are processed, since the analytical sensitivity of
the method is lower than molecular and isolation methods; nevertheless, during the clinical
phase, the enormous amount of virus present in the brain tissue can easily permit a definitive
diagnosis also by IF. In this regard a rapid method applied to brain imprints (figure 8) has
been reported (Bovo et al., 1999b). Furthermore the IF has also been widely applied as a
method of studying the pathogenesis of the disease after experimental infection (Nguyen et
al., 1996; 1997; Tanaka et al., 1998).
Polymerase Chain Reaction
Despite the fact that cell culture virus isolation represents the official method suggested by
the OIE as the gold screening method for the detection of living infectious virus, molecular
biology methods based primarily on the PCR test may offer a valid diagnostic method and an
indispensable research tool. Thanks to their high sensitivity and specificity, molecular
methods can detect the presence of viral genetic material in subjects with latent infection and
in samples with very low virus concentrations (Iwamoto et al., 2001a; 2001b). Most PCR
methods have been developed primarily for the amplification of a small region of the
genomic sequence of the RNA2 that codes for the virus’s capsid protein (Nishizawa et al.,
1994; 1996; Thiery et al., 1999b; Dalla Valle et al., 2000; Grotmol et al., 2000; Skliris et al.,
2001). In addition several studies have been focused on molecular biology analysis and
109
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
sequencing of RNA1 (Nagai & Nishizawa, 1999; Tan et al., 2001; Sommerset & Nerland,
2004). In recent years, additional molecular procedures have been developed in order to
improve sensitivity and specificity, such as real-time PCR (Starkey et al., 2004; Dalla Valle
et al., 2005; Grove et al., 2005, Ciulli et al., 2006a).
CONTROL METHODS
The scarcity of epidemiological data and the limited knowledge on the pathogenic
mechanisms of the disease still pose one of the greatest obstacles to the efficient control of
VER. For this reason, a multifaceted approach must be adopted that combines the adoption
of strict hygienic measures and direct prophylaxis actions and control over each and every
broodfish with the identification and discharge of carriers that must necessarily be excluded
from reproductive activity. Particular attention should be directed to the introduction of wild
animals, potential vehicles of infection. When introducing new animals in a farm they must
be segregated in quarantine areas until all the appropriate control tests have been completed
prior to release into the broodstock. To this end, molecular methods characterized by high
sensitivity and capable of identifying the presence of the viral genome in the gonads, seminal
fluid and blood of carrier fish have been developed and described in recent years.
The development of molecular procedures based on nested and real-time PCR methods
(Dalla Valle et al., 2000; Gomez et al., 2004; Starkey et al., 2004; Dalla Valle et al., 2005;
Grove et al., 2005; Ciulli et al., 2006a) has increased significatively the analytical sensitivity
of the diagnostic tests in this way providing a valuable tool for VER control.
Their adoption in official survey programs could increase in the next future the efficacy of
the preventive measures applied in order to avoid or reduce outbreaks due to vertical
transmission from infected broodfish to their offspring. In addition to these direct diagnostic
methods, the possibility to adopt indirect diagnosis through the quantification of specific
antibodies has also been described (Arimoto et al., 1992; Breuil & Romestand, 1999).
Parallelly to the control of the broodstock, disease control must provide for the
compartmentalisation of the different productive areas, adoption of strict bio-security
procedures including disinfection of tanks, nets, boots, and all the other equipment used,
with particular attention to the hatchery, representing the most critical and dangerous site in
terms of virus spreading inside and into the surroundings.
Among the substances with the best virucidal effect, a large description has been provided
for iodophors, which are fully effective even at low concentration (25-100 ppm) (Arimoto et
al., 1996; Frerichs et al., 2000; Maltese & Bovo, 2001). Valid results can be obtained using
hypochlorite solutions (Arimoto et al., 1996; Frerichs et al., 2000), while the use of formalin
seems to be less efficacious (Frerichs et al., 2000).
In addition to the normal hygiene measures that must be taken, a correct management of
the personnel assigned to the different activities and of the visitors must also be adopted.
Particular attention should be paid to the disinfection of embryonated eggs. To this end
different papers have underlined the use of ozone (Arimoto et al., 1996; Grotmol & Totland,
2000). The application of ozone for disinfection of eggs hatched from halibut (Hippoglossus
hippoglossus) experimentally infected has been demonstrated to be particularly effective and
capable of completely neutralising the virus adhering to the surface, in this way reducing the
risk of transmitting the disease to the larvae (Grotmol & Totland, 2000). Nevertheless this
procedure has not always proven effective, at least in regard to halibut infection (Johansen &
Grotmol, personal communication). Similar discrepancies have also been reported with eggs
of Gadus morhua and Scophthalmus maximus. According to Munday et al., (2002) the water
entering the hatcheries should be treated with ozone and no recirculation adopted. Treatment
110
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
of water entering the farm with UV radiation has also been proposed as a way to reduce
environmental contamination (Arimoto et al., 1996; Frerichs et al., 2000; Maltese & Bovo,
2001).
It is amply clear, however, that like any other serious disease that cannot be chemically
treated, VER control will undergo a significant improvement only when a valid vaccine will
be available. In fact no commercial vaccine does yet exist, despite the increased efforts of
certain research groups in the recent years (Husgarõ et al., 2001; Tanaka et al., 2001; Yuasa
et al., 2002; Coeurdacier et al., 2003; Sommerset et al., 2003; 2005; Thiery et al., 2006; Lin
et al., 2007) which in some cases have led to encouraging results.
The use of a recombinant capsid protein vaccine obtained from a viral strain of SJNNV has
induced a significant level of protection in Scophthalmus maximus juveniles against a
subsequent challenge with the homologous virus (Husgarõ et al., 2001). A similar result
associated with the appearance of a significant antibody titer has been obtained in
Epinephelus septemfasciatus (Tanaka et al., 2001) following two consecutive intramuscular
injections each consisting of 60 µg of recombinant capsid protein expressed in Escherichia
coli. Partial protection has also been obtained in humpback grouper (Chromileptes altivelis)
inoculated with three consecutive administrations at regular 10-day intervals of 70 µg of a
mixture of three recombinant capsid proteins (Yuasa et al., 2002). Sommerset et al., (2001)
described the efficacy of a recombinant SJNNV capsid protein vaccine in Scophthalmus
maximus juveniles provided with intra-peritoneal inoculation. Subsequent studies confirmed
the possibility of inducing significant protection in turbot (Scophthalmus maximus) using an
AHNV recombinant capsid protein vaccine, whereas no protection at all was observed in
subjects of the same species injected with a DNA-AHNV capsid protein vaccine (Sommerset
et al., 2005).
One final interesting observation worthy of further investigation is the degree of protection
obtained in Scophthalmus maximus vaccinated with a DNA vaccine obtained through the
insertion of the coding gene for the glycoprotein of hemorrhagic septicaemia virus (VHS)
challenged with the nodavirus isolated from Hippoglossus hippoglossus (AHNV)
(Sommerset et al., 2003). The efficacy of a vaccine based on an RGNNV genotype strain
inactivated by formalin and administered through intra-peritoneal inoculation in Epinephelus
septemphasciatus has recently been reported (Yamashita et al., 2005), and the high rate of
survival (RPS=85) observed in subsequent field tests suggests the possibility for future
practical application.
More recently, results obtained by Thiery et al. (2006), following injection i.m. of a
recombinant baculovirus vaccine obtained from the expression of the capsid protein have
shown, under experimental conditions, the possibility to induce a significant protection in
seabass (Dicentrarchus labrax) of 22-66 grams against subsequent exposure to the virus.
FUTURE PROSPECTS
Despite having been already passed 20 years after the first description of the disease, some
important issues still remain unresolved or not fully understood, particularly with regard to
the mechanisms of disease transmission and the role of asymptomatic carriers.
For some species the possibility of vertical transmission has been strongly suggested;
nevertheless it has not yet been definitively shown whether it is a true vertical transmission
or, rather, a phenomenon of egg shell contamination is more likely to occur. If so, it would
be just a matter of finding an effective disinfection protocol, which can prevent the
transmission of the disease from infected broodfish to their offspring.
111
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
Otherwise, in the presence of a real intra ovo transmission, the only option to avoid
infection in larval and juvenile stages will be based exclusively on the identification and
removal of subclinical infected broodfish, besides the need for disinfection of water coming
into the hatchery.
In this regard, as suggested by some authors, screening of broodfish could be
advantageously implemented with the adoption of biomolecular diagnostic protocols for the
research of the virus in ovarian and seminal fluids, and gonad biopsies and, simultaneously,
serological methods, such as the ELISA, highlighting the presence of specific antibodies, a
sign of previous infection.
More attention should also be addressed in future to interactions and exchanges of
pathogens, between farmed and wild populations, to assess the risk of transmission of
infection from one environment to another.
Despite all efforts that can be implemented and more restrictive measures taken, it is
estimated that the optimal solution can be achieved only when an effective vaccine will be
available.
AKNOWLEDGEMENTS
Many thanks are due to colleagues providing the electron microscopy (dr. Montesi
Francesco), histopathology and immunohistochemistry (dr. Franco Mutinelli and dr. Marta
Vascellari) pictures and to dr. Fabio Borghesan for his assiduous practical co-operation.
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
PLATE 1 – TAVOLA 1
1
2
3
4
Figure 1 – European seabass (Dicentrarchus labrax) showing traumatic lesions associated to betanodavirus
infection.
Figure 2 – European seabass larva (Dicentrarchus labrax) with vacuolar lesions scattered in the brain.
Figure 3 – European seabass larva (Dicentrarchus labrax) showing vacuolar lesions mostly scattered in the
granular layers of the retina.
Figure 4 – Positive betanodavirus IHC staining on european seabass (Dicentrarchus labrax) brain section.
Figura 1 – Branzino (Dicentrarchus labrax) con lesioni traumatiche associate all’infezione da betanodavirus.
Figura 2 – Larva di branzino (Dicentrarchus labrax) con lesioni vacuoliformi distribuite in varie aree del
cervello.
Figura 3 – Larva di branzino (Dicentrarchus labrax) con lesioni vacuoliformi diffuse prevalentemente negli strati
granulari della retina.
Figura 4 – Immunoistochimica (IHC) positiva per betanodavirus su sezione di cervello di branzino
(Dicentrarchus labrax).
113
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
PLATE 2 – TAVOLA 2
5
7
6
8
Figure 5 – Betanodavirus particles detected by EM in european seabass (Dicentrarchus labrax) brain.
Figure 6 – Betanodavirus cytopatic effect on SSN-1 cells.
Figure 7 – Positive betanodavirus IFAT staining on infected SSN-1 cells.
Figure 8 – Positive betanodavirus IFAT staining on european seabass (Dicentrarchus labrax) brain imprint.
Figura 5 – Visione al Microscopio Elettronico di betanodavirus nel cervello di branzino (Dicentrarchus labrax).
Figura 6 – Effetto citopatico causato da betanodavirus in cellule SSN-1.
Figura 7 – Immunofluorescenza (IF) positiva nei confronti di betanodavirus in cellule SSN-1.
Figura 8 – IF positiva nei confronti di betanodavirus su impronta di cervello di branzino (Dicentrarchus labrax).
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
Versione italiana
DENOMINAZIONE E CENNI STORICI
L’encefalopatia e retinopatia virale (ERV) (Munday et al., 1992; OIE, 2006) nota anche
con i sinonimi di encefalite del branzino (Bellance & Gallet de Saint-Aurin, 1988), necrosi
nervosa virale (Yoshikoshi & Inoue, 1990), encefalomielite del rombo (Bloch et al., 1991),
encefalite ittica (Comps et al., 1996), è una condizione neuropatologica, caratterizzata da
vacuolizzazione e necrosi dei neuroni del sistema nervoso centrale (SNC) e delle cellule
degli strati granulari della retina, descritta in diverse specie ittiche e sostenuta da alcuni
agenti virali appartenenti alla famiglia Nodaviridae.
Il primo caso di ERV è stato descritto dettagliatamente nel 1988 da Bellance & Gallet de
Saint-Aurin, in occasione di un grave episodio di mortalità, occorso nella Martinica francese,
che aveva interessato stadi larvali e giovani soggetti di branzino europeo (Dicentrarchus
labrax) d’allevamento. Già in precedenza comunque, Glazebrook & Campbell (1987),
avevano descritto un episodio di mortalità verificatosi nel branzino australiano (Lates
calcarifer) con presenza di lesioni cerebrali che, giudicando a posteriori, avrebbero potuto
essere compatibili con un’infezione da betanodavirus.
Da allora questa patologia è stata evidenziata in oltre quaranta specie ittiche marine,
allevate in diverse aree geografiche.
In accordo all’Office International des Epizooties (OIE, 2006) i vari episodi di mortalità,
verificatisi in aree geografiche e specie diverse, caratterizzati da sintomatologia nervosa ed
associati alla presenza di particelle virali appartenenti alla famiglia Nodaviridae, vanno
ricondotti ad un’unica malattia denominata Encefalopatia e retinopatia virale (ERV), nota
anche come necrosi nervosa virale (NNV), la quale può essere sostenuta da uno o più agenti
virali, molto simili tra loro.
EZIOLOGIA
Caratteristiche morfologiche e genomiche
La ERV può essere causata da più agenti virali, preliminarmente identificati come membri
della famiglia Picornaviridae (Glazebrook et al., 1990; Bloch et al., 1991; Breuil et al.,
1991), in grado di indurre, nei diversi ospiti colpiti, sintomi e lesioni comuni.
Successivamente, in base alla caratterizzazione biochimica dell’acido nucleico e delle
proteine strutturali ottenute da agenti isolati sia da larve di Pseudocaranx dentex (Mori et al.,
1992) che da cervello di Dicentrarchus labrax e Lates calcarifer (Comps et al., 1994), i
diversi agenti in grado di causare la ERV sono stati inclusi nella famiglia Nodaviridae
(Schneemann et al., 2005). Questa famiglia comprende due generi: gli Alphanodavirus, cui
appartengono agenti patogeni per gli insetti, tra cui il Nodamura Virus (NOV), Blackbeetle
Virus (BBV), Flock House Virus (FHV) e Boolarra Virus (BOV) (Schneemann & Marshall,
1998) ed il genere Betanodavirus che include alcune specie in grado di colpire i pesci
(Carstens et al., 2000; Schneemann et al., 2005).
I virioni sono privi di envelope e possiedono un capside a morfologia icosaedrica con
diametro compreso tra 25 e 30 nm (Glazebrook et al., 1990; Bloch et al., 1991).
Il genoma consiste di due filamenti monoelica di mRNA-senso senza struttura poli-A.
L’RNA1 (3,1 Kb) codifica per la proteina A (100 Kda), presumibilmente componente
dell’RNA polimerasi RNA-dipendente, mentre l’RNA2 (1,4 Kb) codifica per la proteina
capsidica (44x103 Da) (Mori et al., 1992; Comps et al., 1994). Oltre all’RNA1 e RNA2, una
terza molecola di RNA (RNA3), già descritta negli alphanodavirus, sembra essere
115
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
sintetizzata dall’RNA1 nel corso della replicazione di SJNNV e rilevabile solo nel surnatante
di cellule infette (Iwamoto et al., 2001a; Sommerset & Nerland, 2004).
La maggior parte delle conoscenze della struttura e biologia molecolare dei nodavirus fa
riferimento a studi riguardanti i virus isolati dagli insetti, i quali, pur rimanendo simili
nell’organizzazione del genoma ed in alcune proprietà fisiche, differiscono dai
betanodavirus, principalmente nella sequenza genomica del RNA e nella modalità di sintesi
delle proteine capsidiche. Attraverso esperimenti di transfezione cellulare, infatti, è stato
possibile dimostrare che la proteina capsidica dei betanodavirus ha un peso inferiore a quella
degli alfanodavirus (37 Kda) e non è sottoposta al processo di proteolisi autocatalitico
durante la maturazione dei provirioni in virioni infettanti, come avviene invece nel caso dei
nodavirus degli insetti, ma è codificata direttamente da un segmento presente sull’RNA 2,
chiamato ORF-1 (Delsert et al., 1997a; 1997b).
Nella comparazione delle sequenze nucleotidiche ed aminoacidiche di RNA1 e RNA2 tra
alfanodavirus e betanodavirus è stato rilevato un grado di omologia inferiore al 30%
(Nishizawa et al., 1995b; Nagai & Nishizawa, 1999).
L’omologia riscontrata all’interno dei betanodavirus invece, è molto elevata, sia a livello
nucleotidico (>75%), sia a livello aminoacidico (80%) (Nishizawa et al., 1995b). Questi
risultati, in seguito confermati da Sideris et al. (1997) sottolineano l’elevata omologia
esistente all’interno del genere betanodavirus che si differenzia significativamente dal genere
alfanodavirus, con il quale esiste un grado limitato di omologia.
Dal punto di vista sierologico sono stati recentemente descritti 3 sierotipi: il sierotipo A
trova corrispondenza col genotipo SJNNV, il sierotipo B si correla significativamente con il
genotipo TPNNV, mentre il sierotipo C mostra correlazioni con i genotipi RGNNV e
BFNNV. L’elevata correlazione sierologica evidenziata tra questi ultimi due genotipi, trova
riscontro con l’elevata omologia della sequenza dell’RNA2, nei due genotipi stessi (Mori et
al., 2003).
Caratterizzazione tassonomica e filogenesi
I diversi ceppi di betanodavirus, fino ad oggi isolati, sono stati generalmente identificati
con la sigla della specie di origine, seguiti dagli acronimi EV (encephalitis virus) o NNV
(nervous necrosis virus) oppure NV (nodavirus).
In genere ogni specie è colpita da singoli agenti virali specie-specifici, ma sono stati
descritti anche episodi in cui una specie ittica può essere infettata da ceppi virali diversi,
come in Dicentrarchus labrax (Thiery et al., 1999a).
In base all’analisi filogenetica della regione variabile T4 che codifica per la proteina
capsidica del virus, i betanodavirus sono stati classificati in quattro genotipi distinti che
coincidono con le specie virali fino ad oggi identificate (tabella 1): TPNNV, SJNNV,
BFNNV e RGNNV, (Nishizawa et al., 1995b; 1997; Dalla Valle et al., 2001; Thiery et al.,
2004). I ceppi appartenenti ai genotipi SJNNV e TPNNV sono stati isolati rispettivamente
dallo Pseudocaranx dentex e dal Takifugu rubripes. Il genotipo RGNNV, acronimo del nome
inglese di red-spotted grouper (Epinephelus akaara), comprende ceppi isolati da un ampio
numero di specie ittiche di acqua calda (Skliris et al., 2001), mentre nel cluster BFNNV, il
cui prototipo virale è stato isolato da Verasper moseri, si collocano i ceppi isolati da pesci di
acqua fredda (Dannevig et al., 2000; Grotmol et al., 2000; Starkey et al., 2001) con
l’eccezione di un ceppo isolato dal rombo (TNV) di cui è stata proposta la classificazione in
un quinto genotipo (Johansen et al., 2004b).
Gli studi filogenetici evidenziano un punto di divergenza dei due generi TPNNV e SJNNV,
dai restanti BFNNV-RGNNV che, considerato un tasso di evoluzione molecolare di 2,6x10-3
sostituzioni nucleotidiche/sito/anno (Li et al., 1988), può essere datato a circa 100-150 anni
addietro. In ogni cluster inoltre sono state evidenziate divergenze minori riferibili agli ultimi
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10 anni, probabilmente favorite dalle crescenti attività di acquacoltura che, nello stesso
periodo, hanno subito un incremento notevole (Nishizawa et al., 1997).
Specie nel Genere
Tentativo di Specie nel Genere
Barfin flounder nervous necrosis virus (BFNNV)
Red spotted grouper nervous necrosis virus
(RGNNV)
Striped jack nervous necrosis virus (SJNNV)
Tiger puffer nervous necrosis virus (TPNNV)
Atlantic cod nervous necrosis virus (ACNNV)
Atlantic halibut nodavirus (AHNV)
Dicentrarchus labrax encephalitis virus (DlEV)
Dragon grouper nervous necrosis virus (DGNNV)
Greasy grouper nervous necrosis virus (GGNNV)
Grouper nervous necrosis virus (GNNV)
Halibut nervous necrosis virus (HNNV)
Japanese flounder nervous necrosis virus
(JFNNV)
Lates calcarifer encephalitis virus (LcEV)
Malabaricus grouper nervous necrosis virus
(MGNNV)
Seabass nervous necrosis virus (SBNNV)
Umbrina cirrosa nodavirus (UCNV)
Tabella 1 – Elenco delle specie appartenenti al genere Betanodavirus (Schneemann et al., 2005).
I ceppi giapponesi appartenenti al genotipo RGNNV sono considerati progenie del ceppo
originalmente isolato da Paralichthys olivaceus; questa ipotesi è avvalorata dall’ampia
diffusione di questa specie ittica che, riprodotta artificialmente in numero significativo, viene
distribuita, allo stadio giovanile, in diversi impianti di acquacoltura presenti su una vasta area
geografica. Inoltre, considerato che un secondo ceppo isolato da questa specie appartiene al
genotipo TPNNV, geneticamente lontano da RGNNV, si può ipotizzare che Paralichthys
olivaceus possa aver giocato un ruolo fondamentale nella diffusione della ERV (Nishizawa
et al., 1997).
Con riferimento alla distribuzione geografica della malattia è stata ipotizzata, per i ceppi
appartenenti ai genotipi BFNNV e RGNNV un’origine Europea ed una Pacifica per quanto
riguarda i ceppi inclusi nei genotipi TPNNV e SJNNV (Aspehaugh et al., 1999).
Probabilmente, i ceppi appartenenti al genotipo SJNNV potrebbero essere giunti in Europa
attraverso la commercializzazione di pesci ornamentali, adattandosi gradualmente alle specie
autoctone sia d’acqua calda che d’acqua fredda. Si può ancora ipotizzare che gli stessi ceppi,
dopo l’adattamento al nuovo ambiente e alle nuove specie, possano essere stati nuovamente
trasferiti nel Pacifico, attraverso l’esportazione di varie specie ittiche (Aspehaugh et al.,
1999; Skliris et al., 2001).
Inoltre si può ritenere che, molto ragionevolmente, l’evoluzione molecolare del virus possa
essere stata significativamente influenzata dalla temperatura, con adattamento a specie ittiche
tra loro diverse o anche identiche, diffuse in aree geografiche caratterizzate da temperature
diverse (Totland et al., 1999). Quest’ipotesi è supportata dall’individuazione di due ceppi
virali, genotipicamente diversi tra loro, in grado, il primo di indurre la malattia in branzini
allevati sulla costa atlantica ed il secondo di causare la malattia in soggetti appartenenti alla
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stessa specie, ma allevata nel bacino del Mediterraneo, dove la temperatura è sensibilmente
maggiore (Thiery et al., 1999a). Inoltre, l’omologia genomica tra i ceppi virali isolati da
specie dei mari orientali ed australiani con quella di virus isolati da pesci del Mediterraneo,
suggerisce una via alternativa, ovvero la possibilità che si sia verificata un’evoluzione
parallela/convergente, piuttosto che un continuo scambio di ceppi tra differenti aree
geografiche (Dalla Valle et al., 2001).
Un’ulteriore ipotesi relativa alla diffusione del virus, prende in considerazione l’utilizzo di
alimento vivo, come Artemia salina, Tigriopus japonicus e Acetesinte medius (Chi et al.,
2003). Questi organismi infatti, potrebbero veicolare l’agente virale e diffondere facilmente
la malattia in ampi territori; si giustificherebbe pertanto l’isolamento di ceppi simili in ospiti
allevati in siti geografici lontani, come nel caso del ceppo isolato in Norvegia da halibut
(Hippoglossus hippoglossus) ed il ceppo isolato in Giappone da Verasper moseri (Grotmol et
al., 1995; Muroga, 1995).
Dalla Valle e coll. (2001) hanno ipotizzato, sulla base di uno studio filogenetico effettuato
utilizzando nove ceppi virali dell’area Mediterranea, l’esistenza di un comune ceppo
ancestrale ospite di Dicentrarchus labrax.
OSPITI E DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
Questa patologia, diffusa in diverse parti del mondo, rappresenta un importante problema
economico per l’acquacoltura marina, soprattutto dove maggiore è il numero di specie
allevate (Le Breton et al., 1997; Munday & Nakai, 1997; Munday et al., 2002). La malattia
fino ad oggi è stata segnalata in oltre quaranta specie ittiche, prevalentemente di origine
marina, appartenenti a diverse famiglie (tabella 2) e non si può escludere che in futuro, con
l’intensificazione delle attività di acquacoltura, il numero delle specie sensibili possa
aumentare significativamente, includendo anche specie oggi ritenute resistenti, quali l’orata
(Sparus aurata), in cui recentemente si sono osservati preoccupanti episodi di mortalità
(Beraldo et al., 2007; Bovo et al., osservazioni personali) e specie ornamentali (Gomez et
al., 2006).
La mortalità, che normalmente compare nel corso degli stadi larvali e giovanili, è spesso
particolarmente grave.
La malattia è ampiamente diffusa nel sud-est Asiatico (Yoshikoshi & Inoue, 1990; Mori et
al., 1991; Nakai et al., 1994; Nguyen et al., 1994; Chua et al., 1995; Danayadol et al., 1995;
Muroga, 1995; Fukuda et al., 1996; Jung et al., 1996; Chi et al., 1997; Sohn & Park, 1998;
Zafran et al., 1998; Bondad-Reantaso et al., 2000; Zafran et al., 2000; Chi et al., 2001; Lai et
al., 2001b; Oh et al., 2002; Maeno et al., 2002; Chi et al., 2003; Hegde et al., 2003); è
ampiamente presente inoltre nel bacino del Mediterraneo (Breuil et al., 1991; Bovo et al.,
1996; Sweetman et al., 1996; Le Breton et al., 1997; Pavoletti et al., 1998; Thiery et al.,
1999a; Athanassopoulou et al., 2003; 2004; Maltese et al., 2005) ed è stata descritta anche
nel Mare del Nord (Bloch et al., 1991; Grotmol et al., 1995). Più recentemente l’infezione da
nodavirus è stata segnalata nelle acque costiere del Regno Unito (Starkey et al., 2000; 2001),
Israele (Ucko et al., 2004), Nord America (Curtis et al., 2001; Barker et al., 2002; Gagnè et
al., 2004), Iran (Zorriehzahra et al., 2005) ed India (Azad et al., 2005).
Nonostante sia ritenuta tipica delle specie ittiche marine, la VER è stata riscontrata e
descritta anche in alcune specie allevate in acqua dolce, quali anguilla europea (Anguilla
anguilla) (Chi et al., 2003), guppy (Poecilia reticulata) (Hedge et al., 2003), Parasilurus
asotus (Chi et al., 2003), storione russo (Acipenser gueldenstaedti) (Athanassopoulou et al.,
2004), Tandanus tandanus e Oxyeleotris lineolatus (Munday et al., 2002). La malattia è stata
inoltre indotta sperimentalmente nella tilapia del Mozambico (Oreochromis mossambicus)
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(Skliris & Richards, 1999b) e, più recentemente, in giovani ed adulti di medaka (Oryzias
latipes) (Furusawa et al., 2006) a conferma che la salinità non rappresenta un fattore
condizionante. L’elevata omogeneità genetica riscontrata tra il ceppo isolato dalla specie
marina Epinephelus taurina (ETNNV) e l’agente isolato da Poecilia reticulata (GNNV),
specie dulciacquicola, suggerisce una possibile origine dell’infezione dall’ambiente marino
(Hedge et al., 2003).
Ordine
Anguilliformes
Gadiformes
Specie ittiche
Anguilla anguilla
Gadus morhua
Melanogrammus aeglefinus
Areale geografico
Taiwan1
Regno Unito2, Canada3, USA4, Norvegia50
Canada5
Australia6, Cina7, Indonesia8, Israele7,13,
Malaysia9, Filippine10, Singapore11, Tahiti12,
Taiwan1, Thailandia14, India 15
Giappone16
Caraibi17, Francia18, Grecia19, Italia20,
Malta21, Portogallo21, Spagna21, Israele13
Israele13
Giappone22, Taiwan23
Taiwan24
Filippine10, Taiwan1
Taiwan24
Thailandia26
Bacino del Mediterraneo19
Giappone27
Giappone28, Corea29
Malaysia30, Filippine30, Singapore31
Indonesia32, Taiwan1
Australia7
Giappone33
Giappone34
Taiwan1
Taiwan1
Francia35, Italia36
Corea37, Israele13
Italia38, Francia39
Stati Uniti40
Giappone41
Giappone33
Australia7
Taiwan1
Israele13
Iran42
Taiwan1
Perciformes
Lates calcarifer
Lateolabrax japonicus
Dicentrarchus labrax
Epinephelus aeneus
E. akaara
E. awoara
E. coioides
E. fuscoguttatus
E. malabaricus
E. marginatus
E. moara
E. septemfasciatus
E. tauvina
Chromileptes altivelis
Latris lineata
Pseudocaranx dentex
Seriola dumerili
Trachinotus blochii
Trachinotus falcatus
Sparus aurata
Sciaenops ocellatus
Umbrina cirrosa
Atractoscion nobilis
Oplegnathus fasciatus
Oplegnathus punctatus
Oxyeleotris lineolata
Rachycentron canadum
Mugil cephalus
Liza aurata
Lutjanus erythropterus
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
Ordine
Pleuronectiformes
Tetraodontiformes
Siluriformes
Cyprinodontiformes
Scorpaeniformes
Acipenseriformes
Specie ittiche
Verasper moseri
Hippoglossus hippoglossus
Paralichthys olivaceus
Scophthalmus maximus
Solea solea
Takifugu rubripes
Parasilurus asotus
Tandanus tandanus
Poecilia reticulata
Sebastes oblongus
Acipenser gueldenstaedti
Areale geografico
Giappone34
Norvegia43, Regno Unito44
Giappone45
Norvegia46
Regno Unito2
Giappone27
Taiwan25
Australia7
Singapore47
Corea48
Grecia49
Tabella 2 – Elenco delle specie in cui è stata evidenziata la malattia naturale e relative aree geografiche.
Bibliografia: (1) Chi et al., 2001; (2) Starkey et al., 2001; (3) Johnson et al., 2001; (4) Johnson et al., 2002; (5) Gagnè et al.,
2004; (6) Glazebrook & Campbell, 1987; (7) Munday et al., 2002; (8) Zafran et al., 1998; (9) Awang, 1987; (10) Maeno et al.,
2002; (11) Chang et al., 1997; (12) Renault et al., 1991; (13) Ucko et al., 2004; (14) Glazebrook et al., 1990; (15) Azad et al.,
2005; (16) Jung et al., 1996; (17) Bellance & Gallet de Saint-Aurin, 1988; (18) Breuil et al., 1991; (19) Le Breton et al., 1997;
(20) Bovo et al., 1999a; (21) Skliris et al., 2001; (22) Mori et al., 1991; (23) Chi et al., 1997; (24) Lai et al., 2001b; (25) Chi et
al., 2003; (26) Danayadol et al., 1995; (27) Nakai et al., 1994; (28) Fukuda et al., 1996; (29) Sohn & Park, 1998; (30) BondadReantaso et al., 2000; (31) Chua et al., 1995; (32) Zafran et al., 2000; (33) Mori et al., 1992; (34) Muroga, 1995; (35) Comps &
Raymond, 1996; (36) Dalla Valle et al., 2000; (37) Oh et al., 2002; (38) Pavoletti et al., 1998; (39) Comps et al., 1996; (40)
Curtis et al., 2001; (41) Yoshikoshi & Inoue, 1990; (42) Zorriehzahra et al., 2005; (43) Grotmol et al., 1995; (44) Starkey et al.,
2000; (45) Nguyen et al., 1994; (46) Bloch et al., 1991; (47) Hedge et al., 2003; (48) Kim et al., 2001; (49) Athanossopoulou et
al., 2004; (50) Pantel et al., 2007.
Queste osservazioni sollevano alcuni interrogativi sulla possibilità che altre specie d’acqua
dolce d’importanza commerciale, possano essere colpite dalla malattia se esposte
accidentalmente all’agente causale.
Membri della famiglia Nodaviridae sono stati individuati oltre che nei pesci e negli insetti,
anche in alcuni crostacei. Recenti segnalazioni da Taiwan, Cina ed isole dei Caraibi francesi,
hanno confemato il coinvolgimento di un agente virale in gravi episodi di mortalità, riferiti
come malattia della coda bianca, che hanno colpito alcuni allevamenti del gambero di acqua
dolce Macrobrachium rosenbergii (Arcier et al., 1999). Successivamente Widada e coll.
(2003) hanno identificato l’agente isolato come membro della famiglia Nodaviridae. Indagini
successive, condotte da Sudhakaran et al. (2006) infettando con lo stesso agente soggetti
apparteneti alle specie Penaeus indicus, Penaeus japonicus and Penaeus monodon, non
hanno dato alcun esito positivo, facendo quindi supporre una resistenza di queste specie nei
confronti dell’agente isolato da Macrobrachium rosenbergii. Più recentemente Pantoja et al.
(2007) hanno riportato l’identificazione di un agente provvisoriamente denominato LvNV
(Litopenaeus vannamei nodavirus) da crostacei allevati in Belize.
L’elenco delle specie suscettibili o in cui è stata comunque evidenziata la presenza del
virus, come ad esempio alcune specie commercializzate a scopo ornamentale (Gomez et al.,
2006), sembra essere in continua evoluzione.
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
SEGNI CLINICI ED ANATOMO-PATOLOGICI
Sintomatologia
I segni clinici della ERV sono conseguenti alle lesioni provocate nel SNC e nella retina e
sono rappresentati principalmente da anomalie natatorie che si possono manifestare in vari
modi, soprattutto in funzione dell’età e della specie ittica colpita. Nelle specie a simmetria
bilaterale, i soggetti colpiti possono presentare un nuoto rettilineo e rapido in superficie,
compiere ampi movimenti circolari, alternando lunghi periodi di atassia e nuoto letargico a
rapidi guizzi. Alcuni soggetti assumono per brevi periodi posizioni stazionarie anomale,
rimanendo in posizione verticale con l’estremità cefalica o con quella caudale fuori dalla
superficie dell’acqua. Spesso si rinvengono soggetti che nuotano in superficie con un moto
rettilineo talmente rapido da non riuscire ad arrestarsi in prossimità delle pareti delle vasche,
procurandosi lesioni traumatiche mandibolari.
I pesci piatti manifestano generalmente scarsa sintomatologia. I soggetti colpiti possono
rimanere a lungo adagiati sul fondo, evidenziando flessioni dorsali del corpo con testa e coda
innalzate. In alcuni casi compaiono anche tremori coincidenti con l’inizio dell’attività
natatoria, spesso molto breve, cui segue la caduta del soggetto sul fondo della vasca, con un
movimento ondeggiante che ricorda “il distacco e la discesa delle foglie da un albero” (Perĭc,
osservazioni personali).
In alcuni soggetti si nota una diminuzione dell’appetito ed un cambiamento progressivo
della pigmentazione. Le larve di Lates calcarifer e di Hippoglossus hippoglossus tendono ad
impallidire, mentre i giovani di Hippoglossus hippoglossus, Dicentrarchus labrax,
Scophthalmus maximus ed Epinephelus spp., tendono ad assumere una colorazione più
intensa, a partire dalla regione caudale (Bellance & Gallet de Saint-Aurin, 1988; Glazebrook
et al., 1990; Yoshikoshi & Inoue, 1990; Bloch et al., 1991; Breuil et al., 1991; Mori et al.,
1991; 1992; Boonyaratpalin et al., 1996; Grotmol et al., 1997b; Munday et al., 2002).
L’età in cui più frequentemente si osserva la comparsa di sintomi e mortalità, è correlata
alle modalità di infezione e alla specie colpita (Munday & Nakai, 1997). Le mortalità
maggiori sono state osservate più frequentemente negli stadi larvali e in soggetti giovani, ma
si possono verificare perdite significative anche in pesci adulti come in Pseudocaranx dentex
(Arimoto et al., 1993; Mushiake et al., 1994; Nguyen et al., 1997), Epinephelus
septemfasciatus (Fukuda et al., 1996; Tanaka et al., 1998) e Dicentrarchus labrax (Bovo et
al., 1996; Le Breton et al., 1997). Anche nel caso dell’halibut (Hippoglossus hippoglossus) e
di Gadus morhua allevati in Norvegia, di cui sono colpiti generalmente gli stadi larvali e
giovanili (Grotmol, 2000; Johnson et al., 2001), sono stati riportati casi di infezione in
soggetti adulti (Aspehaug et al., 1999; Pantel et al., 2007).
La comparsa dei segni clinici può essere significativamente influenzata dalla temperatura
(Arimoto et al., 1994; Fukuda et al., 1996; Tanaka et al., 1998). Le prime osservazioni della
malattia hanno evidenziato una stretta correlazione tra intensità dei segni clinici e delle
lesioni istologiche a valori di temperatura dell’acqua superiori a 29-30°C, tipici del periodo
estivo di aree tropicali: pertanto la patologia fu inizialmente chiamata “summer disease”
(Bellance & Gallet de Saint Aurin, 1988).
Successivamente è stato osservato che l’infezione naturale può manifestarsi, in funzione
delle specie colpite, entro un ampio range di temperatura, compreso tra 17 e 28°C.
La maggior parte dei pesci colpiti appartiene a specie d’acqua calda come Epinephelus
malabaricus, in cui la mortalità si manifesta con valori di temperatura tra 28-30°C
(Danayadol et al., 1995), oppure le larve di Pseudocaranx dentex che manifestano i segni
tipici della malattia in un intervallo di temperatura compreso tra 20-26°C (Arimoto et al.,
1994).
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
Secondo Fukuda et al. (1996) l’innalzamento della temperatura rappresenta un fattore
predisponente la malattia, ovviamente con riferimento alle specie d’acqua calda. L’infezione
è stata comunque riscontrata anche in specie d’acqua fredda, come nel caso di Hippoglossus
hippoglossus (Grotmol et al., 1995) e Verasper moseri, che manifestano la malattia a
temperature comprese tra 4-5°C.
Tanaka et al. (1998) hanno concluso che, dopo inoculazione intramuscolare con
omogenato di cervello e occhio prelevati da soggetti infetti in Epinephelus septemfasciatus
ed in Epinephelus akaara, la mortalità ed i sintomi dell’infezione sono fortemente influenzati
dalla temperatura dell’acqua; infatti la maggiore mortalità ed il minor periodo d’incubazione
sono stati osservati a 28°C.
Nel branzino europeo (Dicentrarchus labrax) la manifestazione clinica dell’infezione
compare in misura eclatante, a temperature superiori ai 23-25°C e tende a regredire non
appena la temperatura scende intorno ai 18-22°C (Sweetman et al., 1996; Bovo et al.,
1999a); più raramente si possono verificare focolai di malattia a temperature più basse,
comprese tra 14-15°C, con sintomatologia scarsa o inapparente (Galeotti et al., 1999;
Borghesan et al., 2003). Simili osservazioni sono state riportate anche nel caso di
Epinephelus septemfasciatus (Tanaka et al., 1998).
Inoltre, la malattia può assumere un andamento particolarmente grave in presenza di
fluttuazioni giornaliere della temperatura dell’acqua, in grado di influenzare negativamente i
meccanismi di difesa nei confronti del virus (Fukuda, dati non pubblicati).
Totland et al. (1999), hanno dimostrato che un ceppo giapponese virulento nei confronti di
larve di Pseudocaranx dentex, una specie ittica che predilige alte temperature, non è in grado
di replicarsi in larve di halibut, una specie di acqua fredda. Per contro, quest’ultima specie
può essere infettata da un ceppo isolato in Norvegia, il quale però non è in grado di replicarsi
in larve di Pseudocaranx dentex.
Lesioni anatomopatologiche
Tra le lesioni interne, è stata frequentemente riscontrata l’iperdilatazione della vescica
natatoria, come in Dicentrarchus labrax, Lates calcarifer e Pseudocaranx dentex (Breuil et
al., 1991; Munday et al., 2002). Talvolta sono state riscontrate aree depigmentate della cute a
livello craniale, in corrispondenza del cervello, opercoli dilatati, lesioni mandibolari e
arrossamento dell’area cefalica (Bovo et al., 1996; Sweetmann et al., 1996; Le Breton et al.,
1997; Pavoletti et al., 1998), di probabile origine traumatica (figura 1). Non vengono
segnalate altre lesioni significative durante episodi naturali della malattia.
Lesioni istopatologiche
All’esame istologico si apprezza la presenza di lesioni vacuolari in differenti regioni del
cervello (mesencefalo, metencefalo, telencefalo, midollo allungato e corda spinale) tali da
conferire un caratteristico aspetto spugnoso (figura 2). Inoltre sono state spesso descritte
lesioni alla retina, associate o meno alla presenza di antigene virale caratterizzate dalla
presenza di vacuoli localizzati negli strati granulari (figura 3), negli strati dei coni e
bastoncelli ed in prossimità dell’epitelio germinativo (Munday et al., 1992; Grotmol et al.,
1995; Comps & Raymond, 1996; Grove et al., 2003). Oltre alle lesioni vacuolari, tipiche
dell’azione dei betanodavirus, Grotmol et al. (1997b) hanno identificato, in un episodio di
malattia naturale in Hippoglossus hippoglossus, la presenza di lesioni cardiache conseguenti,
secondo gli stessi autori, alla fase viremica dell’infezione.
La numerosità e la grandezza dei vacuoli possono variare considerevolmente in funzione
della specie colpita e soprattutto dell’età; i casi più gravi sono osservati negli stadi larvali e
giovanili con presenza di vacuolizzazione estesa su vaste aree del sistema nervoso centrale e
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146
dell’occhio (Glazebrook et al., 1990; Breuil et al., 1991). I nuclei e gli organelli delle cellule
vacuolizzate si presentano spesso in uno stato avanzato di degenerazione.
In generale i vacuoli, sia intra che extracellulari, sono più numerosi nel mesencefalo e nello
strato profondo della retina, anche se un forte interessamento si può osservare a carico del
midollo spinale, soprattutto nella porzione sovrastante la vescica natatoria (Galeotti et al.,
1999). Grotmol e coll. (1997b) hanno evidenziato, in larve e giovani di Hippoglossus
hippoglossus, la presenza di vacuolizzazioni, sia dei neuroni sia dei gangli cefalici in misura
maggiore, sia nel “tectum optico” che nel sistema nervoso simpatico e gangli spinali. Al
contrario secondo Le Breton et al. (1997), nei branzini adulti, il “tectum optico”
rappresenterebbe la parte del sistema nervoso meno colpito. Lesioni evidenti sono state
osservate anche nei gangli spinali di Oplegnathus fasciatus (Yoshikoshi & Inoue, 1990).
Altre lesioni riportate includono picnosi e basofilia cellulare (Yoshikoshi & Inoue, 1990),
picnosi focale, carioressi dei neuroni e presenza di cellule mononucleari infiltrate (Grotmol
et al., 1995). Inclusioni intracitoplasmatiche basofile sono state evidenziate in cellule
neuronali di Lates calcarifer, Dicentrarchus labrax ed Epinephelus malabaricus
(Glazebrook et al., 1990; Breuil et al., 1991; Boonyaratpalin et al., 1996). Sono state
descritte anche lesioni dei vasi sanguigni cerebrali (Le Breton et al., 1997).
Nei branzini di età superiore all’anno, la malattia subisce una forte attenuazione della
sintomatologia e delle lesioni istologiche (Galeotti et al., 1999). In generale gli adulti
presentano lesioni a carico del sistema nervoso centrale meno severe rispetto a quelle
descritte negli stadi larvali e nei giovani, non essendo talvolta facile reperire i tipici fenomeni
di vacuolizzazione a carico delle cellule nervose. Le vacuolizzazioni della retina invece,
tendono ad essere più consistenti negli adulti. Il processo infiammatorio è generalmente
molto discreto e la presenza di macrofagi è probabilmente secondaria alla vacuolizzazione.
Sono state riportate anche vacuolizzazioni nella mucosa dell’intestino posteriore, con
formazione di gocce ialine e desquamazione epiteliale (Glazebrook et al., 1990).
Altre alterazioni istologiche talvolta riscontrate in concomitanza di episodi di nodavirosi, a
livello epatico, renale, cardiaco, intestinale e del muscolo scheletrico, non dovrebbero
necessariamente essere ricondotte all’infezione da betanodavirus (Johansen et al., 2004a).
Quadro subclinico
Risultano essere poche le notizie relativamente allo stato di portatore sano ed
all’eliminazione del virus da parte di soggetti che hanno superato la malattia. Johansen et al.
(2004a) hanno seguito l’evoluzione della malattia naturale in Hyppoglossus hippoglossus,
tramite immunoistochimica e RT-PCR, evidenziando che nei sopravvissuti, è possibile
identificare la presenza del virus, a livello del sistema nervoso centrale, per l’intero periodo
di un anno di osservazioni; inoltre il reisolamento dell’agente su colture cellulari, a
conclusione delle indagini, suggerisce che, almeno per quanto riguarda Hyppoglossus
hippoglossus, lo status di portatore possa essere particolarmente lungo. Sebbene i portatori
asintomatici siano considerati come la principale fonte di trasmissione della malattia alle
popolazioni suscettibili, i meccanismi che modulano la loro resistenza e regolano la
replicazione virale, al loro interno, sono scarsamente documentati. L’identificazione del
virus nelle gonadi sia maschili che femminili e nelle uova di riproduttori appartenenti a più
specie (Arimoto et al., 1992; Mushiake et al., 1994; Nishizawa et al., 1996; De Mas et al.,
1998; Dalla Valle et al., 2000), ha suggerito l’esistenza di un probabile meccanismo di
trasmissione verticale, con passaggio del virus dal riproduttore asintomatico alle larve,
attraverso i prodotti sessuali. Anche Nguyen et al. (1997) hanno identificato, mediante
immunofluorescenza, la presenza dell’antigene virale nelle gonadi, oltre che in altri organi
quali intestino, stomaco, rene e fegato, mentre il SNC è risultato completamente negativo. In
Hippoglossus hippoglossus, è stata evidenziata la presenza di particelle virali in neuroni,
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astrociti, oligodendrociti, microglia, macrofagi, linfociti, endotelio vascolare, endotelio e
mesotelio cardiaco ed epicardio (Grotmol et al., 1997b). Particelle nodavirus-like sono state
inoltre rinvenute nell’endocardio di salmoni (Salmo salar) affetti da sindrome miocardica
(CMS) (Grotmol et al., 1997a).
Dalla Valle e coll. (2000) hanno riscontrato, mediante RT- PCR, la presenza di nodavirus
in soggetti asintomatici di Sciaena umbra e di Sparus aurata. In particolare quest’ultima
specie è considerata, per la frequenza di positività riscontrata in laboratorio (Comps &
Raymond, 1996; Dalla Valle et al., 2000; Castric et al., 2001) un potenziale quanto
pericoloso ospite, che potrebbe fungere da portatore del virus negli allevamenti in cui è
allevata la specie Dicentrarchus labrax che, nel Mediterraneo, rappresenta l’ospite target
della ERV. Studi sperimentali hanno dimostrato che varie specie ittiche possono comportarsi
come portatori asintomatici (Glazebrook, 1995; Skliris & Richards, 1999a; Johansen et al.,
2003).
Un ulteriore rischio cui sono esposte le popolazioni allevate è costituito dalla presenza,
nella fauna selvatica, di specie suscettibili all’infezione che, pur non manifestando la
malattia, sono in grado di mantenere l’infezione allo stato latente, consentendo la
sopravvivenza del virus nell’ambiente e rappresentando pertanto una pericolosa fonte
d’infezione.
In Canada alcune popolazione di pesci selvatici sono sospettate di fungere da veri e propri
serbatoi naturali virali: infatti, la presenza del virus è stata evidenziata, mediante RT-PCR,
con una prevalenza dello 0,23%, nella specie Pleuronectes americanus (Barker et al., 2002).
Un successivo studio, condotto in Giappone su un campione rappresentativo di 30 specie
ittiche prelevato nelle baie di Yashima (Prefettura di Kagawa) e Tamanoura (Prefettura di
Nagasaki), ha confermato che la maggior parte della popolazione ittica, sia allevata che
selvatica, pur non manifestando al momento della cattura alcun segno clinico, è risultata
positiva (Gomez et al., 2004). Le indagini condotte nel Mediterraneo hanno confermato la
presenza dell’infezione in alcune specie selvatiche (Ciulli et al., 2006b) con valori di
prevalenza significativi che, nel caso della triglia (Mullus barbatus barbatus) ha raggiunto,
in una indagine recentemente conclusa, valori pari al 28,8% (Maltese & Bovo, risultati non
pubblicati).
E’ evidente comunque che, nonostante le numerose osservazioni riportate in letteratura, sia
fondamentale approfondire, nelle principali specie allevate, le conoscenze sui meccanismi di
risposta all’infezione da nodavirus, al fine di migliorare le strategie di controllo della
malattia.
TRASMISSIONE DELLA MALATTIA
Le molteplici osservazioni pratiche in campo, nonché i risultati delle prove sperimentali
condotte da vari autori (Glazebrook et al., 1990; Mori et al., 1991; Arimoto et al., 1993;
Nguyen et al., 1994; 1996; Thiery et al., 1997; Grotmol et al., 1999; Peducasse et al., 1999;
Totland et al., 1999) concordano pienamente sulla modalità di trasmissione della malattia per
via orizzontale; inoltre, per alcune specie, è stata proposta anche la possibilità di una
trasmissione verticale (Nguyen et al., 1997; Breuil et al., 2002; Johansen et al., 2002).
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Tropismo tissutale
Sulla base delle lesioni istologiche, risulta evidente che i Betanodavirus possiedono un
marcato neurotropismo primario con siti di moltiplicazione a livello del sistema nervoso
centrale e della retina.
In letteratura sono riportati vari studi di patogenesi, eseguiti mediante infezione
sperimentale in diversi stadi ed in differenti specie ittiche che hanno consentito di formulare
varie ipotesi sulle modalità con cui il virus, a partire dalla penetrazione nell’ospite, raggiunge
i siti di replicazione.
Secondo Nguyen et al. (1996), uno dei primi siti di moltiplicazione virale nelle larve di
Pseudocaranx dentex, potrebbe essere rappresentato dalla corda spinale, che il virus
raggiunge molto probabilmente, attraverso le terminazioni nervose sensoriali e motrici delle
cellule nervose presenti a livello della linea laterale. Da qui il virus potrebbe raggiungere il
cervello e da quest’ultimo, risalendo il nervo ottico, arrivare alla retina. In soggetti adulti, gli
stessi autori hanno localizzato l’antigene virale mediante immunofluorescenza, nelle gonadi,
intestino, stomaco, rene e fegato, ma non nel sistema nervoso centrale e nella retina,
proponendo in tal modo una evidente differenza di distribuzione virale tra soggetti infetti e
portatori sani. La positività riscontrata a livello viscerale suggerisce inoltre che uova e larve
possano infettarsi al momento della deposizione e schiusa attraverso il virus eliminato con le
feci e prodotti sessuali (Nguyen et al., 1997).
L’individuazione della presenza virale nei lobi olfattivi suggerisce che, anche la cavità
nasale possa rappresentare una possibile via d’ingresso (Mladineo, 2003).
Un’ulteriore ipotesi considera l’epitelio stratificato dell’intestino anteriore come possibile
sito primario di replicazione. Questa regione infatti, viene facilmente a contatto con il virus
presente nell’acqua o negli alimenti ingeriti. Da qui, attraverso le fibre viscerosensoriali e
visceromotrici che connettono gli organi sensori ed effettori dei visceri con il sistema
nervoso centrale, il virus potrebbe facilmente raggiungere il cervello e l’occhio (Munday et
al., 1992; Grotmol et al., 1999).
Secondo Peducasse et al. (1999) le principali vie di penetrazione del virus potrebbero
essere sia la cute, in corrispondenza della linea laterale, sia le branchie.
Trasmissione orizzontale
La modalità di trasmissione orizzontale è stata confermata attraverso numerosi studi
sperimentali, utilizzando come modello stadi larvali o giovanili di soggetti appartenenti a
differenti specie ittiche. In alcuni casi sono state verificate contemporaneamente le
condizioni ambientali necessarie allo sviluppo della patologia, quali la temperatura e l’età del
pesce.
La malattia è stata trasmessa per coabitazione di larve sane con larve infette, in Lates
calcarifer (Glazebrook et al., 1990). Giovani di Epinephelus akaara, in seguito ad infezione
sperimentale per bagno e per inoculazione intraperitoneale con omogenato infetto, hanno
sviluppato la malattia dopo 10-14 giorni dall’esposizione, con danni istopatologici simili a
quelli causati nel corso di malattia naturale, ma con mortalità limitata al 10-30% (Mori et al.,
1991).
In Pseudocaranx dentex la malattia è stata riprodotta per bagno e coabitazione di larve sane
con larve malate (Arimoto et al., 1993; Nguyen et al., 1996), con un tasso di mortalità del
100%; sempre con le stesse modalità d’infezione la ERV è stata trasmessa anche a giovani di
Paralichthys olivaceus (Nguyen et al., 1994).
In Epinephelus malabaricus la malattia è stata indotta tramite iniezione intraperitoneale di
materiale infetto. I segni clinici erano sovrapponibili a quanto descritto per la malattia
naturale e la mortalità indotta pari al 40-60%. In questa specie la patologia non ha mai
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dimostrato un decorso acuto, sia in condizioni naturali che sperimentali, il quale invece può
apparire in evidenti condizioni stressanti (Boonyaratpalin et al., 1996).
Thiery e coll., nel 1997 hanno riportato una mortalità del 28% in giovani di Dicentrarchus
labrax dopo inoculazione intramuscolare di omogenato di cervello infetto.
Nel 1999, Peducasse e coll., sempre in riferimento alla stessa specie ittica, hanno
evidenziato che l’infezione orale, sia tramite bagno che attraverso coabitazione di pesci
infetti con pesci sani, determina una forma sub-acuta, con lievi disturbi nervosi e bassa
mortalità. Secondo gli stessi autori invece l’inoculazione intramuscolare di materiale infetto
è in grado di indurre una forma acuta, caratterizzata da evidenti disturbi nervosi ed elevata
mortalità. E’ evidente pertanto che la dose infettante e la virulenza del ceppo, rappresentano
fattori importanti nella patogenesi della malattia.
L’elevata resistenza dei betanodavirus alle condizioni ambientali (Frerichs et al., 2000;
Maltese & Bovo, 2001; Munday et al., 2002) contribuisce senz’altro ad aumentare la
probabilità della trasmissione orizzontale, soprattutto nelle aree endemiche; ciò si verifica in
particolare quando i giovani, dalle avannotterie sono trasferiti negli impianti per il successivo
svezzamento ed ingrasso.
Trasmissione verticale
Secondo alcuni autori la trasmissione verticale può rappresentare un’importante via di
diffusione del virus tra le popolazioni allevate (Arimoto et al., 1992; Yoshimizu et al., 1997;
Breuil et al., 2002).
In realtà la trasmissione verticale se pur fortemente sospettata, sulla base di dati
epidemiologici che indicano una predominanza dell’infezione nei primissimi stadi larvali e
nei soggetti giovani di diverse specie allevate, in impianti alimentati da acqua
preventivamente trattata (Breuil et al., 1991; Arimoto et al., 1992; Comps et al., 1996;
Yoshimizu et al., 1997; Grotmol & Totland, 2000), non è stata ancora definitivamente
dimostrata. La trasmissione verticale è stata proposta in seguito alla rilevazione dell’agente
virale nelle gonadi e nelle uova fecondate di Pseudocaranx dentex, mediante ELISA
(Arimoto et al., 1992), RT-PCR (Mushiake et al., 1994; Nishizawa et al., 1996; Dalla Valle
et al., 2000; Breuil et al., 2002) e IF (Nguyen et al., 1996; 1997); inoltre il virus è stato
identificato in uova e larve originate da riproduttori infettati sperimentalmente (Breuil et al.,
2002). Questi dati suggeriscono che la malattia si possa trasmettere da genitori a figli, anche
se non è ancora chiaro se si tratti di una vera trasmissione intraovarica o se invece il virus sia
un contaminante esterno in grado di trasmettere l’infezione alle giovani larve al momento
della schiusa.
Altre vie di trasmissione
Nel 1998, Skliris & Richards hanno valutato la possibilità che Artemia salina ed il rotifero
Brachionus plicatilis, alimenti freschi comunemente utilizzati negli impianti di acquacoltura
marina per l’allevamento delle larve, potessero rappresentare serbatoi naturali di nodavirus e
rivestire quindi un ruolo importante nella trasmissione della malattia. L’esito negativo delle
indagini virologiche, eseguite infettando colture cellulari di SSN-1 con omogenati dei due
invertebrati e l’assenza di particelle virali negli organi dei due invertebrati, hanno convinto
gli autori che il rischio, in questo caso, sussista solo a livello di vettori meccanici, a seguito
di contaminazione superficiale. Anche altri autori hanno considerato la possibilità che
l’alimentazione a base di Artemia salina, Tigriopus japonicus e Acetesinte medium, da cui è
stato possibile isolare il virus, possa costituire una fonte o veicolo d’infezione (Chi et al.,
2003).
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Un’ulteriore possibilità di trasmissione della malattia può essere rappresentata dalla via
orale tramite l’alimentazione con pesce fresco (Mori et al., 2005), una pratica limitata ai soli
riproduttori.
ASPETTI IMMUNITARI
Purtroppo gli studi e le informazioni riguardanti la risposta immunitaria dei pesci colpiti da
ERV sono estremamente limitate. Spesso la malattia compare precocemente, in particolare
nei primi stadi larvali. In questi casi la mortalità, costantemente elevata, è ragionevolmente
riconducibile a carenze del sistema immunitario non ancora completamente efficiente. Nelle
larve infatti, la sopravvivenza è affidata all’immunità materna e a meccanismi di immunità
aspecifica propri o trasmessi dalla madre attraverso l’uovo. Nei soggetti sub-adulti invece, il
sistema immunitario può ritenersi completamente sviluppato e, di conseguenza, essi riescono
a rispondere in misura adeguata, neutralizzando gli effetti dannosi conseguenti all’infezione
(Arimoto et al., 1993; Mushiake et al., 1994; Bovo et al., 1996; Fukuda et al., 1996; Le
Breton et al., 1997; Nguyen et al., 1997; Tanaka et al., 1998; Aspehaug et al., 1999). I pesci
che sopravvivono all’infezione possono rimanere portatori per un periodo relativamente
lungo (Johansen et al., 2004a). In essi, nonostante sia ancora presente una sintomatologia
nervosa, non sempre viene riscontrata la presenza del virus e, nel caso in cui l’antigene sia
rilevato, la concentrazione virale è molto bassa, tendendo a scomparire completamente dopo
la guarigione (Fukuda et al., 1996).
Studi preliminari riguardanti la risposta immunitaria di varie specie ittiche nei confronti
dell’infezione sperimentale con betanodavirus o mediante l’uso di vaccini inattivati o
ricombinanti, hanno consentito di identificare la comparsa di anticorpi specifici nei soggetti
resistenti all’infezione (Breuil & Romestand 1999; Tanaka et al., 2001; Yamashita et al.,
2005; Thiery et al., 2006).
Studi sperimentali in halibut (Hippoglossus hippoglossus) hanno evidenziato che la
risposta anticorpale si manifesta solamente quando l’infezione sperimentale viene effettuata
per inoculazione intraperitoneale e non tramite immersione (Grove et al., 2003).
Ciononostante, a seguito di un focolaio naturale è stato possibile seguire, tramite ELISA, la
risposta anticorpale almeno fino ad un anno dall’infezione (Johansen et al., 2004a).
I risultati osservati nel corso di una infezione sperimentale condotta su soggetti
immunocompetenti di halibut, hanno evidenziato la comparsa di attività antivirale umorale a
partire dal 18° giorno, con un chiaro aumento fino al 56° giorno post infezione. Ulteriori
risultati ottenuti nel corso della stessa indagine suggeriscono che la presenza dell’antigene
virale nel SNC è in grado di evocare una risposta immunitaria locale mediata da
plasmacellule (Grove et al., 2006).
METODI DIAGNOSTICI
La diagnosi di ERV è stata per molto tempo eseguita in base ai caratteristici segni clinici,
associati alla presenza di lesioni vacuoliformi a livello del sistema nervoso centrale e della
retina. In seguito l’individuazione di una linea cellulare (SSN-1) sensibile alla replicazione
dei betanodavirus, ha consentito di disporre di un valido mezzo diagnostico (Frerichs et al.,
1996). Successivamente sono stati messi a punto ulteriori substrati cellulari utili ai fini
diagnostici (Chi et al., 1999a; Watanabe & Yoshimizu, 1999; Iwamoto et al., 2000; Chang et
al., 2001; Lai et al., 2001a; 2003) e, a partire dagli anni ’90, sono stati applicati i primi test
diagnostici biomolecolari.
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In accordo all’Office International des Epizooties (OIE, 2006), lo screening dei soggetti
asintomatici dovrebbe essere eseguito tramite isolamento dell’agente eziologico su colture
cellulari SSN-1 o E-11, un clone derivato dalla linea SSN-1, seguito da identificazione virale
mediante immunofluorescenza (IF) o PCR. Nel caso di sospetti clinici, oltre all’isolamento
su colture cellulari e successivo riconoscimento, è possibile effettuare la diagnosi tramite
identificazione diretta dai tessuti mediante IF, immunoistochimica (IHC) o PCR.
Al di là di quanto previsto e raccomandato dal manuale OIE, in letteratura sono stati
riportati vari metodi diagnostici e diverse applicazioni.
Esame istologico ed immunoistochimico
L’analisi istologica e l’impiego di tecniche d’immunoistochimica consentono di
evidenziare la presenza dell’antigene virale nel citoplasma delle cellule degenerate e nelle
lesioni di spongiosi, sia del SNC che della retina. Purtroppo, nel caso della ERV, l’esame
istologico non può essere considerato un valido strumento diagnostico, in quanto sono stati
descritti casi di malattia, in soggetti giovani, caratterizzati da scarsità o assenza di lesioni
specifiche (Bovo et al., 1996, Galeotti et al., 1999) ed inoltre le lesioni vacuoliformi
associate alla malattia, se pur molto indicative della stessa, non possono assolutamente essere
considerate patognonomiche. E’ noto invece che l’immunoistochimica rappresenta un
metodo estremamente utile, sia ai fini diagnostici sia di ricerca (Mutinelli et al., 1998; Grove
et al., 2003; Johansen et al., 2004b). L’applicazione di questa metodica consente di
associare, alle lesioni cellulari identificate nel SNC e nella retina, la presenza dell’agente
causale e dei suoi antigeni (figura 4). L’immunoistochimica inoltre può essere applicata per
studi retrospettivi anche in assenza di sintomatologia e lesioni. Questa situazione è stata
segnalata in avannotti di circa 3 grammi che, pur non presentando sintomatologia nervosa e
lesioni istologiche classiche imputabili a nodavirosi, sono risultati positivi all’analisi IHC
(Galeotti et al., 1999). La positività riscontrata mediante IHC in assenza di lesioni
istologiche potrebbe indicare una limitata patogenicità del virus da cui un ridotto numero di
cellule nervose coinvolte, tale da non determinare le tipiche vacuolizzazioni citoplasmatiche,
oppure si potrebbe essere in presenza della fase di convalescenza ed in questo caso le rare
cellule positive osservate rappresenterebbero la presenza residuale del virus in soggetti
sopravvissuti alla malattia acuta (Galeotti et al., 1999).
Nei casi caratterizzati da debole positività con rarissime cellule positive all’esame IHC del
cervello è opportuno indagare a livello della retina, descritta come un sito di frequente
reperimento dell’antigene virale (Galeotti et al., 1999; Mladineo, 2003).
Microscopia elettronica
I Betanodavirus sono virus di ridotte dimensioni (25-30 nm) e pertanto la loro ricerca su
materiale patologico al microscopio elettronico potrebbe risultare particolarmente
difficoltosa, specie se presenti in concentrazione limitata. Nel corso di episodi conclamati,
soprattutto se sono coinvolte fasi larvali e giovanili, la concentrazione di particelle virali è
tale da non dover porre alcuna difficoltà diagnostica. All’osservazione su sezioni, i virioni si
mostrano liberi nel citoplasma o legati alle membrane del reticolo endoplasmatico. Le
membrane delle creste interne dei mitocondri si presentano completamente distrutte, mentre
le membrane plasmatiche rimangono intatte. In alcuni casi le particelle virali sono state
osservate in forma di aggregati paracristallini all’interno del citoplasma (figura 5)
(Glazebrook et al., 1990; Bloch et al., 1991; Breuil et al., 1991; Boonyaratpalin et al., 1996;
Grotmol et al., 1997b).
Le cellule contenenti i virioni sono soprattutto neuroni, astrociti, oligodendrociti e cellule
della microglia (Yoshikoshi & Inoue, 1990; Grotmol et al., 1997b). Tuttavia nell’halibut
(Hippoglossus hippoglossus) sono state visualizzate particelle virali anche nelle cellule
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endoteliali, in linfociti prossimi all’endocardio, nei miociti cardiaci e nelle cellule
dell’epicardio (Grotmol et al., 1997a).
Isolamento del virus mediante colture cellulari
Le colture cellulari rappresentano il più importante mezzo a disposizione per l’isolamento,
la replicazione e l’identificazione dei virus animali. Fino al 1993 erano state stabilizzate, per
l’isolamento e l’identificazione dei virus patogeni dei pesci, oltre 150 linee cellulari (Fryer &
Lannan, 1994). La maggior parte di queste linee cellulari sono derivate da tessuti di pesci
d’acqua dolce e solo una parte minore da pesci marini. In passato, subito dopo la comparsa
della ERV, sono stati riportati numerosi tentativi d’isolamento del virus sulle principali linee
cellulari esistenti (Watanabe & Yoshimuzu, 1999), ma tutti con esito negativo. Nel 1996
Frerichs et al. sono riusciti a replicare il virus su una linea cellulare originata nel 1991, da
avannotti di Ophiocephalus striatus, denominata SSN-1. Si tratta di una linea di non facile
mantenimento, persistentemente infetta da un retrovirus di tipo C, denominato SnRV
(Frerichs et al., 1991; Hart et al., 1996). Per ovviare all’utilizzo di questo substrato cellulare
contaminato, sono stati creati sei cloni cellulari dalla stessa linea (A6, B7, C3, E2, E9, E11) e
per ognuno di essi è stata valutata la suscettibilità nei confronti dei quattro genotipi di
betanodavirus (Iwamoto et al., 2000). Purtroppo i tre cloni risultati più permissivi allo
sviluppo dell’effetto citopatico (A6, E9, E11) sono risultati ancora positivi (tramite PCR e
TEM) alla presenza del SnRV. Questo dato suggerisce che il retrovirus contaminante, possa
giocare un ruolo importante per la replicazione del virus nelle cellule SSN-1 e cloni derivati
(Lee et al., 2002), inducendo probabilmente la produzione di uno specifico recettore di
membrana in grado di consentire l’adesione del nodavirus alle singole cellule. In effetti,
nell’ambito di un progetto di ricerca specifico, colture cellulari apparentemente indenni da
retrovirus, ottenute da gonadi, larve, pinne e cervello di branzino (Dicentrarchus labrax), si
sono dimostrate completamente refrattarie all’azione di un ceppo di referenza isolato da
branzino (osservazioni personali degli autori).
In seguito comunque sono state sviluppate altre linee cellulari sensibili ai betanodavirus,
quali le GF-1, derivate da tessuto di pinna di Epinephelus coioides (Chi et al., 1999a;
1999b), le SF, derivate da larve di Lates calcarifer (Chang et al., 2001), le GB, originate da
cervello di E. awoara (Lai et al., 2001b; 2003), le TF da Scophthalmus maximus (Aranguren
et al., 2002) e le GS, originate da milza di E. coioides (Qin et al., 2006). Recentemente è
stata allestita una linea cellulare denominata BB, originata da cervello di branzino
australiano (Lates calcarifer), persistentemente infetta da virus della ERV. Questa linea potrà
costituire un valido modello di studio, per comprendere il meccanismo d’infezione e
replicazione virale sia in vivo che in vitro (Chi et al., 2005).
Ulteriori informazioni sulla capacità dei nodavirus isolati da branzini, di propagarsi in
colture cellulari, sono state ottenute studiando il ciclo litico in tre linee cellulari di pesce
(SBL, RTG-2, BF-2) ed in una linea di mammifero (Cos1) (Delsert et al., 1997b). Le cellule
di pesce sono risultate più permissive rispetto a quelle di mammifero e ciò dimostra che i
nodavirus dei pesci, a differenza di quelli degli insetti, non sono in grado di replicarsi in
molte colture cellulari. Inoltre, mentre questi ultimi infettano una grande varietà di tessuti
negli insetti malati, i betanodavirus possiedono un tropismo specifico per le cellule
neuronali.
Nelle cellule SSN-1, l’effetto citopatico si manifesta a partire dal 3° giorno post-infezione
ed è caratterizzato dalla comparsa di vacuoli intracellulari irregolarmente distribuiti nel
monostrato. I vacuoli di forma sferica, appaiono inizialmente isolati e, col progredire delle
ore, si presentano in forma di aggregati cellulari vacuolizzati (figura 6). A distanza di 72 ore
dall’infezione il loro numero e le dimensioni aumentano notevolmente e il monostrato
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cellulare regredisce gradualmente favorendo la comparsa di aree di completa distruzione e
lisi cellulare.
Studi successivi hanno dimostrato che le cellule SSN-1 possono essere utili anche per
differenziare tra loro genotipi caratterizzati da temperature ottimali di crescita diverse e che
si sono adattati alle specie che prediligono simili temperature (Totland et al., 1999).
Infatti uno studio basato sulle caratteristiche dell’effetto citopatico su SSN-1, ha consentito
di identificare dall’esame degli effetti citopatici causati da 17 ceppi virali isolati da 13 specie
ittiche marine, 4 diversi gruppi (Iwamoto et al., 1999).
Il primo gruppo, comprendente 9 ceppi virali appartenenti al genotipo RGNNV ed isolati
da Epinephelus akaara, E. septemfasciatus, E. mooara, E. coioides, Dicentrarchus labrax,
Lates calcarifer, Oplegnathus punctatus, Paralichthys olivaceus, determina a distanza di tre
giorni dall’infezione su SSN-1, un effetto citopatico caratterizzato da cellule rotonde,
granulari con vacuoli citoplasmatici che portano alla distruzione completa del monostrato
entro il 6° giorno.
Il secondo gruppo comprende ceppi appartenenti al genotipo SJNNV, isolati da
Pseudocaranx dentex, che provocano un effetto citopatico caratterizzato da cellule piccole,
rotonde, granulari e rifrangenti senza la comparsa di consistenti vacuolizzazioni.
Il terzo gruppo, rappresentato da un unico ceppo appartenente al genotipo TPNNV, isolato
da Takifugu rubripes ed il quarto gruppo, rappresentato da ceppi appartenenti al genotipo
BFNNV (4 isolati da Paralichthys olivaceus, 1 ceppo isolato da Gadus macrocephalus ed 1
ceppo da Hippoglossus hippoglossus) inducono la comparsa di un effetto citopatico simile a
quello indotto dai ceppi del primo gruppo, ma solo alla temperatura di 20°C, diversamente
dai ceppi del primo gruppo in grado di replicarsi a temperature di 25-30°C. Infatti, oltre alle
differenze riscontrate a livello di effetto citopatico, i ceppi virali appartenenti ai 4 diversi
genotipi evidenziano una temperatura di replicazione ottimale diversa fra i vari tipi: 15-20°C
per BFNNV, 20°C per TPNNV, 20-25°C per SJNNV e 25-30°C per RGNNV (Iwamoto et
al., 2000).
Questi dati sono estremamente interessanti a scopo diagnostico, in quanto indicano la
necessità di incubazione dei monostrati a diverse temperature se la situazione epidemiologica
evidenzia, in una stessa area, la presenza di genogruppi diversi.
Metodiche immunoenzimatiche
In letteratura sono riportati diversi esempi di applicazione di metodologie
immunoenzimatiche, come la metodica ELISA (Enzimed-Linked Immunosorbent Assay) che
trova la sua più idonea applicazione come tecnica sierologia nella ricerca dell’attività
anticorpale (Mushiake et al., 1992, Nishizawa et al., 1995a; Breuil & Romestad, 1999;
Breuil et al., 2000; Watanabe et al., 2000; Breuil et al., 2001; Huang et al., 2001; Husgarõ et
al., 2001, Lai et al., 2001a; Grove et al., 2003). Le limitazioni di questo test riguardano
soprattutto la mancata correlazione spesso evidenziata tra la rilevazione di anticorpi specifici
e la positività alla malattia. Infatti, pesci risultati positivi nei confronti del virus, possono
risultare negativi al test anticorpale e viceversa (Husgarõ et al., 2001).
Comunque la tecnica ELISA risulta particolarmente utile per l’identificazione dei portatori
sani presenti nel parco riproduttori, ai fini della loro eliminazione. Indagini condotte su
biopsie gonadiche hanno infatti evidenziato un’elevata prevalenza dell’infezione in
opposizione alla negatività riscontrata a livello del cervello (Arimoto et al., 1992). Oltre
all’identificazione del virus, tramite ricerca diretta nei tessuti, l’ELISA costituisce un metodo
vantaggioso per l’evidenziazione dell’attività anticorpale conseguente ad una esposizione al
virus (Breuil & Romestand, 1999; Breuil et al., 2000).
Talvolta il solo esame sierologico potrebbe essere comunque insufficiente a stabilire lo
status sanitario di un soggetto; infatti, secondo Watanabe et al. (2000) l’identificazione dei
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portatori sani, nel parco riproduttori di Verasper moseri, richiederebbe l’uso contemporaneo
della tecnica ELISA, per la ricerca di eventuale attività anticorpale, nonché della PCR, per la
ricerca del virus da biopsie ovariche.
Immunofluorescenza
L’utilizzo della immunofluorescenza (IF) è suggerito nel manuale diagnostico OIE (2006),
sia come metodica di conferma per l’identificazione virale a seguito di isolamento
dell’agente causale su colture cellulari (figura 7), sia come metodica di identificazione,
applicata direttamente su sezioni di cervello di animali sintomatici. L’utilizzo diagnostico, in
questo secondo caso, consente una rapida conferma del sospetto clinico, purchè si tratti di
malattia conclamata, in quanto la sensibilità del metodo è sicuramente inferiore a quella delle
metodiche biomolecolari o di isolamento su colture cellulari; tuttavia in casi di
sintomatologia eclatante, l’enorme quantità di virus presente nel tessuto cerebrale consente di
ottenere facilmente una conferma diagnostica anche mediante l’IF. A questo proposito è stata
riportata anche una metodica rapida applicata ad impronte di cervello (figura 8) (Bovo et al.,
1999b). L’IF inoltre è stata efficacemente utilizzata come metodica di studio della patogenesi
della malattia a seguito di infezione sperimentale (Nguyen et al., 1996; 1997; Tanaka et al.,
1998).
Polymerase Chain Reaction
Sebbene l’isolamento del virus in colture cellulari, rappresenti il metodo ufficiale suggerito
dall’OIE, in grado di rilevare la capacità infettante del virus, le metodiche di biologia
molecolare, basate prevalentemente sulla metodica di Polymerase Chain Reaction (PCR),
rappresentano oggi un valido strumento diagnostico e un indispensabile metodo di ricerca.
Grazie alla loro elevata sensibilità e specificità, le metodiche biomolecolari sono in grado di
rilevare la presenza di materiale genetico virale da soggetti con infezione latente e comunque
in campioni con bassa concentrazione di particelle virali (Iwamoto et al., 2001a; 2001b),
altrimenti non identificabili. La maggior parte delle metodiche di PCR sono state finalizzate
soprattutto all’amplificazione di una parte della sequenza genomica dell’RNA2 codificante
per la proteina capsidica del virus (Nishizawa et al., 1994; 1996; Thiery et al., 1999b; Dalla
Valle et al., 2000; Grotmol et al., 2000; Skliris et al., 2001), anche se non mancano studi
sull’analisi biomolecolare e sequenziamento dell’RNA1 (Nagai & Nishizawa, 1999; Tan et
al., 2001; Sommerset & Nerland, 2004). Negli ultimi anni sono state sviluppate e validate
altre procedure biomolecolari al fine di aumentare la sensibilità e la specificità, quali realtime PCR per la quantificazione assoluta dell’RNA di betanodavirus (Starkey et al., 2004;
Dalla Valle et al., 2005; Grove et al., 2005; Ciulli et al., 2006a).
METODI DI CONTROLLO
La scarsità di dati epidemiologici nonché la carente conoscenza dei meccanismi
patogenetici della malattia, costituiscono ancor oggi uno dei maggiori ostacoli per
un’efficace controllo della ERV, già difficile di per sé per la tipologia dell’ambiente di
allevamento. Si rende pertanto necessario procedere con un approccio multivalente che
affianchi all’adozione di rigide misure igienico-sanitarie, comprensive di azioni di profilassi
diretta, il controllo di ogni singolo riproduttore con l’eliminazione dei soggetti portatori
asintomatici che, necessariamente, devono essere esclusi da ogni attività riproduttiva.
Particolare attenzione va indirizzata all’introduzione di animali selvatici, potenziali veicoli
d’infezione; essi andranno segregati in aree di quarantena per gli opportuni controlli, prima
di essere introdotti nei cicli produttivi assieme agli altri riproduttori. A questo scopo, negli
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ultimi anni sono stati sviluppati e descritti metodi biomolecolari, scarsamente invasivi, in
grado di identificare la presenza del genoma virale nelle gonadi, liquido seminale e sangue
dei riproduttori infetti, evitandone il sacrificio.
Lo sviluppo di procedure biomolecolari basate sull’utilizzo della nested PCR ha consentito
di elevare significativamente la sensibilità analitica rispetto alla RT-PCR tradizionale,
fornendo un efficace strumento per il controllo della ERV (Dalla Valle et al., 2000; Gomez
et al., 2004; Starkey et al., 2004; Dalla Valle et al., 2005; Grove et al., 2005; Ciulli et al.,
2006a).
Più recentemente sono state descritte alcune metodiche di real-time PCR caratterizzate da
elevata sensibilità analitica ed in grado di consentire un’accurata quantificazione del virus
nei tessuti infetti (Starkey et al., 2004; Dalla Valle et al., 2005; Grove et al., 2005). Il loro
trasferimento all’attività diagnostica per il controllo delle aziende potrà aumentare l’efficacia
di screening dei riproduttori al fine di prevenire o, quanto meno ridurre, i casi di trasmissione
verticale dell’infezione virale alla progenie. Oltre alla diagnosi diretta, con evidenziazione
dell’antigene virale o del suo genoma, è stata descritta anche la possibilità di ricorrere alla
diagnosi indiretta tramite quantificazione degli anticorpi specifici (Arimoto et al., 1992;
Breuil & Romestand, 1999).
Parallelamente all’azione di controllo dei riproduttori, la gestione della malattia deve
prevedere la compartimentalizzazione dei vari reparti produttivi con adozione di rigide
misure di biosicurezza e disinfezione di vasche, reti, stivali e tutti gli attrezzi impiegati, con
particolare riferimento all’avannotteria, che rappresenta il sito maggiormente sensibile ed
anche il più pericoloso al fine della diffusione del virus nell’ambiente.
Tra le sostanze a maggior effetto virucida sono stati descritti gli iodofori, attivi anche a
bassa concentrazione (25-100 ppm) (Arimoto et al., 1996; Frerichs et al., 2000; Maltese &
Bovo, 2001). Risultati altrettanto validi possono essere ottenuti utilizzando soluzioni di
ipoclorito (Arimoto et al., 1996; Frerichs et al., 2000), mentre l’impiego della formalina
rivela una minor efficacia (Frerichs et al., 2000).
Oltre alle normali procedure igieniche che devono prevedere anche una corretta gestione
del personale addetto alle diverse attività lavorative e degli eventuali visitatori, particolare
attenzione dovrebbe essere riservata alla disinfezione delle uova embrionate. A tale scopo
diversi autori hanno suggerito l’uso dell’ozono (Arimoto et al., 1996; Grotmol & Totland,
2000). Il trattamento con ozono delle uova ottenute da Hippoglossus hippoglossus infettati
sperimentalmente, si è dimostrato pienamente efficace ed in grado di inattivare
completamente il virus adeso sulla superficie, riducendo così il rischio di trasmissione della
malattia alle larve (Grotmol & Totland, 2000). Ciononostante, la procedura non si è rivelata
sempre efficace, almeno per quanto riguarda l’infezione dell’halibut (Johansen & Grotmol,
comunicazione personale). Scostamenti simili sono stati riportati anche nei confronti delle
uova di Gadus morhua e Scophthalmus maximus. Secondo Munday et al. (2002) l’acqua in
entrata in azienda dovrebbe essere miscelata con ozono ed utilizzata una sola volta.
Al fine di ridurre la contaminazione ambientale è stato proposto il trattamento mediante
UV dell’acqua in entrata in allevamento (Arimoto et al., 1996; Frerichs et al., 2000; Maltese
& Bovo, 2001).
E’ indubbio comunque che il controllo della VER, come di altre gravi patologie non
trattabili con chemioterapici, potrà subire una svolta importante e decisiva solo con
l’impiego di un valido vaccino. Non esiste infatti a tutt’oggi alcun vaccino commerciale,
malgrado sia aumentata negli ultimi anni l’attenzione di diversi gruppi di ricerca (Husgarõ et
al., 2001; Tanaka et al., 2001; Yuasa et al., 2002; Coeurdacier et al., 2003; Sommerset et al.,
2003; 2005; Thiery et al., 2006; Lin et al., 2007) che, in qualche caso, ha portato a risultati
incoraggianti.
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L’impiego di un vaccino adiuvato ricombinante, ottenuto da un ceppo virale di SJNNV, ha
consentito di indurre in soggetti giovani di Scophthalmus maximus, un livello di protezione
significativo nei confronti di una successiva esposizione al virus omologo (Husgarõ et al.,
2001). Analogo risultato, associato alla comparsa di un elevato titolo anticorpale, è stato
ottenuto dopo due somministrazioni intramuscolari ripetute a distanza di dieci giorni l’una
dall’altra, di 60 µg di proteina capsidica ricombinante espressa in Escherichia coli in soggetti
di Epinephelus septemfasciatus (Tanaka et al., 2001). Una parziale protezione è stata
ottenuta anche in Chromileptes altivelis inoculati con tre successive somministarzioni di 70
µg di una miscela di tre proteine capsidiche ricombinanti, ad intervalli regolari di 10 giorni
(Yuasa et al., 2002). Sommerset et al. (2001) hanno descritto l’efficacia di un vaccino
ricombinante, allestito con la proteina capsidica di SJNNV, in giovani rombi (Scophthalmus
maximus) inoculati intraperitonealmente. Con successive indagini è stata confermata la
possibilità di indurre una protezione significativa in rombi vaccinati con la proteina capsidica
ricombinante di AHNV, mentre non è stata evidenziata alcuna protezione in soggetti
appartenenti alla stessa specie, inoculati con un vaccino a DNA codificante per la proteina
capsidica di AHNV (Sommerset et al., 2005).
Un dato interessante che merita di essere approfondito, riguarda la protezione ottenuta in
Scophthalmus maximus vaccinati con un vaccino a DNA ottenuto con inserimento del gene
codificante la glicoproteina del virus della setticemia emorragica virale (VHS) sottoposti a
challenge con il nodavirus isolato da halibut (Hippoglossus hippoglossus) (AHNV)
(Sommerset et al., 2003). Recentemente è stata riportata l’efficacia di un vaccino, basato su
un ceppo appartenente al genotipo RGNNV inattivato con formalina e somministrato per via
intraperitoneale in Epinephelus septempfasciatus (Yamashita et al., 2005). L’elevato indice
di sopravvivenza (RPS=85) osservato in successive prove di campo, suggerisce la possibilità
di una possibile applicazione pratica.
Più recentemente, indagini eseguite da Thiery et al. (2006) mediante la somministrazione
intramuscolare di un vaccino ricombinante, ottenuto dall’espressione della proteina capsidica
in baculovirus, hanno evidenziato la possibilità di ottenere una protezione significativa in
branzini (Dicentrarchus labrax) di 22-66 grammi, nei confronti di una successiva
esposizione al virus in condizioni sperimentali.
PROSPETTIVE FUTURE
Malgrado siano trascorsi oltre venti anni dalle prime segnalazioni della malattia, restano
tuttora irrisolti o da chiarire completamente alcuni importanti aspetti riguardanti soprattutto
l’epidemiologia della malattia e, in particolare i meccanismi di trasmissione della stessa e il
ruolo dei portatori asintomatici.
Per alcune specie è stata fortemente ipotizzata la possibilità di una trasmissione verticale;
ciononostante non è stato ancora definitivamente dimostrato se si tratti di una trasmissione
verticale vera e propria o, piuttosto, di un fenomeno di contaminazione superficiale del
guscio delle uova. Se cosi fosse, sarebbe infatti sufficiente individuare un efficace protocollo
di disinfezione, in grado di impedire la trasmissione della malattia dai riproduttori infetti alle
progenie da essi originate. In caso contrario, ovvero in presenza di una vera e propria
trasmissione intra ovo, la sola possibilità di evitare l’infezione negli stadi larvali e giovanili
dovrà basarsi esclusivamente sull’identificazione ed eliminazione dal parco riproduttivo dei
riproduttori infetti oltre, ovviamente, alla necessità di disinfezione dell’acqua in ingresso in
avannotteria.
A questo proposito, come suggerito da alcuni autori, lo screening dei riproduttori potrebbe
essere vantaggiosamente eseguito con l’adozione di protocolli diagnostici biomolecolari, per
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la ricerca del virus nei liquidi ovarici, seminali e biopsie gonadiche e, contemporaneamente,
di metodi sierologici, come l’ELISA, per l’evidenziazione della presenza di anticorpi
specifici indice di un’infezione pregressa.
Maggiori attenzioni dovrebbero inoltre essere rivolte, in futuro, alle interazioni e scambi di
patogeni tra gli animali allevati e le popolazioni selvatiche, per valutare i rischi di
trasmissione dell’infezione da un ambiente all’altro.
Malgrado tutti gli sforzi che possano essere messi in atto e le più restrittive misure
adottabili, si ritiene che la soluzione ottimale potrà essere raggiunta solo nel momento in cui
sarà disponibile un vaccino efficace.
RINGRAZIAMENTI
Un sincero ringraziamento va ai colleghi che hanno fornito il materiale fotografico relativo
alla microscopia elettronica (dr. Montesi Francesco), istolopatologia ed immunoistochimica
(dr. Franco Mutinelli, dr.ssa Marta Vascellari) e al dr. Fabio Borghesan per l’assidua
assistenza in campo.
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161
Valutazione della protezione indotta da frazioni antigeniche
di Lactococcus garvieae in trota iridea
(Oncorhynchus mykiss)
Assessment of the protection induced by antigenic fractions
of Lactococcus garvieae in rainbow trout
(Oncorhynchus mykiss)
Donatella Volpatti*, Barbara Contessi, Erica Buonasera,
Laura Gusmani, Marco Bertoia, Marco Galeotti
Sezione di Biologia e Patologia Animale, Dipartimento di Scienze Animali,
Università degli Studi di Udine, Via delle Scienze, 206 – 33100 Udine
_______________________________
RIASSUNTO – La profilassi vaccinale contro la Lattococcosi della trota iridea (Oncorhynchus mykiss) è ancora
in fase sperimentale e contempla l’utilizzo di vaccini stabulogeni somministrati per via intraperitoneale, anche se
la copertura che ne deriva raggiunge al massimo 8 mesi, nel caso di vaccini integrati con adiuvante. I componenti
antigenici coinvolti nella protezione dall’infezione sono ancora poco studiati. Questa indagine si è posta come
obiettivo quello di approfondire le conoscenze sulle componenti antigeniche del patogeno in grado di suscitare
una risposta immunitaria protettiva nei confronti della malattia. Prodotti batterici extracellulari (ECPs), cellule
batteriche (WCs) e antigeni di membrana (AM) sono stati somministrati per via intraperitoneale a soggetti di trota
iridea di peso medio pari a 90 g. Per valutare la protezione, i soggetti immunizzati sono stati sottoposti ad
infezione sperimentale con Lactococcus garvieae, inoculando intraperitoneo 2,6×105 UFC/soggetto. I trattamenti
hanno garantito le seguenti percentuali relative di sopravvivenza (RPS): 95% per WCs, 35% per ECPs, 33% per
AM. Questi risultati confermano che le cellule intere inattivate con formalina conferiscono la maggiore
protezione tra gli antigeni impiegati. Anche le frazioni ECPs ed AM risultano efficaci in tal senso, seppure con
RPS più basse. Dai gruppi immunizzati, inoltre, sono stati prelevati campioni di siero ed è stato eseguito
l’immunoblotting, dopo corsa elettroforetica dei diversi antigeni, per evidenziare le bande proteiche riconosciute
dagli anticorpi contenuti nel siero. Le bande evidenziate sono quelle a peso molecolare approssimativo di 23, 48 e
102 kDa. Il riconoscimento è avvenuto anche nel caso dei sieri ottenuti dal gruppo non trattato e ciò suggerisce
che le immunoglobuline di trota possono legare in modo aspecifico alcune componenti proteiche presenti nella
parete di L. garvieae.
SUMMARY – Effective procedures of vaccination against lactococcosis in rainbow trout (Oncorhynchus mykiss)
are still under investigation and the methods currently employed are based on “autovaccines” that are injected
intraperitoneally to fish. These vaccines allow a protection for 8 months, when integrated with adjuvants. The
bacterial antigenic components involved in the protection are only partially considered by the literature. This
investigation concerns the effect of some fractions of Lactococcus garvieae in the development of a protective
immune response to the infection. Extracellular products (ECPs), bacterial whole cells (WCs) and membrane
antigens (AM) were injected intraperitoneum to 90 g. rainbow trouts. Fish were subsequently submitted to an
intraperitoneal challenge with L. garvieae (2.6×105 cfu/individual). The treatments allowed the following relative
percentages of survival (RPS): 95% for WCs; 35% for ECPs, 33% for AM. These results suggest that WCs give
the best protection, but also ECPs and AM are effective. Samples of serum collected from immunized and control
fish were analysed by immunoblotting against the SDS-PAGE/Western Blotting protein profile of each bacterial
fraction. The control and immunized fish sera contained immunoglobulins able to bind aspecifically the proteins
having a molecular weight of 23, 48 and 102 kDa respectively.
Key words: Rainbow trout, Oncorhynchus mykiss, Fish lactococcosis, Lactococcus garvieae, Antigen fractions,
Immunization, Immune response.
______________________________
* Corresponding Author: c/o Dipartimento di Scienze Animali, Facoltà di Medicina Veterinaria, Via delle
Scienze, 206 - 33100 Udine, Italy. Tel.: 0432-558591; Fax: 0432-558585; E-mail: [email protected].
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INTRODUZIONE
La lattococcosi o streptococcosi causata da Lactococcus garvieae è una delle più
importanti malattie che coinvolgono gli allevamenti ittici di tipo intensivo, provocando
ingenti perdite economiche specialmente nel caso della ricciola (Seriola quinqueradiata) in
Giappone e della trota iridea (Oncorhynchus mykiss) in Europa ed Australia (Kusuda et al.,
1991; Domenech et al., 1993; Eldar et al., 1996; Bercovier et al., 1997; Eldar & Ghittino,
1999; Ravelo et al., 2001).
I trattamenti terapeutici utilizzati in campo contro questo batterio sono generalmente poco
efficaci, probabilmente per la tendenza alla condizione di anoressia che è tipica dei pesci
malati e per l’acquisizione di antibiotico-resistenza da parte dei ceppi batterici (Austin &
Van Pouce, 1993). Per tali motivi lo sviluppo di efficaci sistemi di vaccinazione sembra
determinante per prevenire gli episodi di lattococcosi.
Per quanto riguarda i paesi extraeuropei, in Giappone e Corea recentemente sono stati
prodotti e commercializzati vaccini orali e iniettabili contro Lactococcus garvieae per la
prevenzione della malattia in Seriola quinqueradiata (Ooyama et al., 2002) e in Paralichthys
olivaceus (Jung, comunicazioni personali). I vaccini utilizzati in Europa per la lattococcosi
sono di tipo stabulogeno e quindi ricavati direttamente da ceppi patogeni di L. garvieae
isolati nell’allevamento in cui verrà effettuata la vaccinazione. Attualmente in Italia risultano
autorizzati vaccini stabulogeni prodotti presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del
Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta e quello delle Venezie e tali preparati vengono
somministrati con esito positivo presso varie troticolture del nord Italia (Manfrin et al.,
2006).
Dal punto di vista sperimentale, sono stati condotti vari studi sull’efficacia di vaccini o
potenziali componenti immunogeni ottenuti da L. garvieae. In Europa la specie oggetto di
indagine è stata la trota iridea data l’incidenza della malattia in questo territorio. I principali
metodi di somministrazione adottati in queste prove sono stati l’iniezione intraperitoneale e
l’orale.
Per quanto riguarda la somministrazione intraperitoneale (i.p.), un’indagine è stata
condotta da Ceschia et al. nel 1997. Questi autori, nel periodo primaverile, hanno vaccinato
trote iridee di due diverse taglie (1,3 kg e 6,7 kg rispettivamente) con un vaccino stabulogeno
costituito da cellule batteriche inattivate con formalina. La protezione conferita dal vaccino è
stata valutata in allevamento mediante l’esposizione dei soggetti a episodi spontanei di
malattia nel corso della stagione estiva. La mortalità è stata pari a 17,6% nei soggetti di
taglia pari a 1,3 kg, 16,8% nei soggetti di taglia pari a 6,7 kg e 40,4% nei controlli non
vaccinati, suggerendo un’efficacia protettiva di questa formulazione nei confronti della
malattia.
Bercovier et al. nel 1997 hanno riassunto i risultati ottenuti nel corso di vaccinazioni
tramite iniezione i.p. in trote iridee di 100-150 g. Il vaccino anti L. garvieae risultava
protettivo a partire da 3 settimane dopo il trattamento e garantiva una protezione fino ad un
massimo di tre mesi.
L’effetto della somministrazione i.p. è stato valutato anche da Ghittino et al. (1995). Trote
iridee di taglia pari a 150 g. sono state vaccinate con bacterin in presenza o assenza di
adiuvante, quindi la protezione in campo è stata valutata esponendo i soggetti alla malattia
spontanea. La malattia si è manifestata dopo tre mesi nel secondo gruppo (vaccino senza
adiuvante) e dopo 5-6 mesi nel primo gruppo (vaccino con adiuvante).
Vaccini adiuvantati con diverse sostanze sono stati saggiati mediante somministrazione i.p.
anche in trote iridee di 7 g. La protezione dall’infezione sperimentale è stata valutata a
partire da 4 settimane dopo l’immunizzazione, fino ad un massimo di 8 mesi. Gli adiuvanti
risultati più efficaci in tal senso, sono Aqua-mun o Montanide-ISA-763-A (oli non minerali)
148
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161
e in particolare il primo ha garantito una copertura dall’infezione fino a 8 mesi (Ravelo et al,
2006).
Palacios et al. (1993) hanno confrontato l’efficacia di un vaccino per L. garvieae
utilizzando due vie di somministrazione, quella intraperitoneale e quella per immersione, in
soggetti di peso medio pari a 100 g. L’infezione sperimentale ha dimostrato che la
vaccinazione eseguita tramite iniezione è più efficace di quella per immersione (12,9829,33% di mortalità contro il 64,55-66,66%). Diversamente Domenech et al. (1999) hanno
dimostrato l’efficacia di un vaccino per immersione, abbinato a un trattamento
immunostimolante, nel corso di una prova di campo che ha previsto la vaccinazione di trote
di 30 g. La copertura dalla malattia spontanea è risultata pari a 4 mesi.
Sulla base di queste esperienze, l’unica procedura di somministrazione del vaccino che ha
dato risultati confortanti, è stata quella intraperitoneale, che conferisce un buon grado di
protezione nei confronti dell’infezione naturale (Bercovier et al., 1997) e sperimentale.
La possibile somministrazione di vaccini orali per la lattococcosi è oggetto di indagini più
recenti. In una ricerca effettuata da un gruppo spagnolo è stato valutato, in trote iridee di 22
g., l’effetto combinato di una prima immunizzazione con bacterin somministrato i.p., seguita
dopo tre mesi da una immunizzazione orale (per 7 giorni) con lo stesso vaccino sottoposto a
diversi sistemi di incapsulazione (Romalde et al., 2004). La protezione conferita da questo
protocollo vaccinale è stata valutata infettando sperimentalmente i soggetti tramite iniezione
intraperitoneale 4 settimane dopo il richiamo. Il trattamento di richiamo orale ha consentito
un incremento della percentuale relativa di sopravvivenza (RPS) dal 40 all’87,5%.
Altra indagini, condotte da Gusmani et al. (2004), hanno riguardato la risposta immunitaria
evocata dalla somministrazione di formulazioni orali microincapsulate a trote iridee del peso
medio di 100 g. I risultati delle valutazioni immunologiche hanno dimostrato che, nel caso
dell’intubazione orale, il titolo di anticorpi specifici nel siero e nel muco intestinale dei
soggetti vaccinati non subisce variazioni significative, mentre nel caso della
somministrazione integrata al mangime alcuni soggetti presentano un lieve incremento degli
anticorpi specifici nel siero.
Nell’ambito di una ricerca che ha lo scopo di contribuire alla profilassi della lattococcosi
nella trota iridea, in corso presso il Dipartimento di Scienze Animali dell’Università degli
Studi di Udine, è sembrato interessante giungere alla purificazione di alcuni componenti
strutturali di L. garvieae o di suoi prodotti extracellulari, da integrare nella formula di un
vaccino. In particolare le frazioni purificate erano le seguenti: prodotti batterici extracellulari
(ECPs); cellule batteriche intere inattivate (WCs); antigeni di membrana (AM); proteine Mlike.
Lo scopo della presente indagine è stato quello di utilizzare tre di questi antigeni (WCs,
ECPs, AM) per immunizzare sperimentalmente, tramite iniezione intraperitoneale, soggetti
di trota iridea di taglia suscettibile alla malattia, studiando successivamente alcuni aspetti
della risposta immunitaria, nonché la protezione conferita nei confronti di un modello di
infezione sperimentale. I parametri che sono stati presi in considerazione a tal fine sono stati
la risposta anticorpale specifica, stimata utilizzando tecniche di siero agglutinazione,
E.L.I.S.A. ed immunoblotting. L’efficacia di ogni antigene, quale potenziale vaccino, è stata
successivamente saggiata in vivo, stabilendo la percentuale relativa di sopravvivenza (RPS)
in seguito ad infezione con un ceppo virulento di L. garvieae, realizzata sfruttando la stessa
via di somministrazione dell’antigene. Qualora una delle sostanze purificate dimostrasse
particolare potere immunogeno nel corso delle prove effettuate, sia in vitro che in vivo, potrà
essere presa in considerazione per la formulazione di vaccini efficaci nella prevenzione della
lattococcosi.
149
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161
MATERIALI E METODI
Soggetti sperimentali e condizioni di allevamento
Trote iridee di peso medio pari a 80 g., sono state stabulate in vasche di vetroresina di 1
m3, alimentate con acqua di sorgente areata, ad una temperatura pari a 13°C, presso gli
acquari sperimentali del Dipartimento di Scienze Animali (Università di Udine). I pesci
provenivano da un allevamento del Trentino Alto Adige scelto in quanto privo di precedenti
segnalazioni di lattococcosi. La sperimentazione ha avuto luogo da settembre a dicembre
2005 e durante tale periodo i pesci sono stati alimentati con mangime pellettato commerciale
(1-2% p.v./giorno).
Preparazione degli antigeni batterici
WCs - Gli antigeni denominati WCs sono costituiti da cellule batteriche intere di
L. garvieae (ceppo B05/3) ottenute mediante coltura in terreno BHIB (bioMérieux) per 24
ore a 22°C. I batteri sono stati inattivati con formalina tamponata (0,6%) in agitazione per 1
ora a temperatura ambiente e overnight a 4°C; in seguito sono stati lavati mediante
centrifugazione a 1800 giri per 45 minuti a temperatura ambiente e risospesi in PBS sterile
alla concentrazione desiderata. La sospensione è stata aliquotata e conservata a –80°C.
AM - Gli antigeni di membrana sono stati preparati seguendo alcune metodiche riportate in
bibliografia (Hancock & Gilmore, 2002; Salati et al., 2005), parzialmente modificate. Cento
ml di brodocoltura, ottenuta coltivando il ceppo B05/3 in BHI per 24 ore a 22°C, sono stati
centrifugati a 1800 giri per 45 minuti a temperatura ambiente. Il precipitato è stato quindi
risospeso in 10 ml di PBS sterile. Le cellule sono state trattate con 0,1 mg/ml di lisozima
(Sigma) per 18 ore a 37°C, in seguito centrifugate a 1800 giri per 45 minuti a 10°C. Il
surnatante è stato recuperato, filtrato (0,20 µm) e precipitato con etanolo 95% (1:3 vol/vol)
overnight a 4°C. Si è proceduto quindi centrifugando a 1800 giri per 30 minuti a 4°C; il
prodotto ottenuto è stato dializzato contro PBS overnight a 4°C, aliquotato e conservato a
–80°C.
ECPs - Dopo semina del ceppo B05/3 in 100 ml di terreno BHI e 100 ml di terreno THB
(BactoTM Todd-Hewitt broth, Difco), le brodocolture sono state seguite per 4 giorni (a 22°C)
ed ogni giorno è stato prelevato il precipitato costituito da batteri non vitali ed è stata
aggiunta una pari quantità di terreno nuovo. Al termine del quarto giorno i prodotti
extracellulari (ECPs) sono stati ottenuti centrifugando le brodocoltura a 1800 giri per 45
minuti a temperatura ambiente. Il surnatante è stato recuperato e filtrato (0,20 µm), quindi
precipitato con etanolo 95% overnight a 4°C. Dopo la precipitazione è stata fatta una
centrifugazione a 10.000 giri per 20 minuti a 4°C ed in seguito il precipitato ottenuto da
entrambi i terreni è stato unificato, risospeso in 10 ml di PBS sterile, dializzato overnight
contro PBS a 4°C. La sospensione è stato aliquotata e conservata a –80°C.
Gli AM e gli ECPs sono stati inattivati con formalina tamponata 0,3% e neutralizzati con
sodio metabisolfito al 15% prima dell’impiego per l’immunizzazione dei soggetti
sperimentali.
Immunizzazione
L’immunizzazione è stata condotta a settembre ed ottobre 2005, dopo un periodo di
acclimatazione dei pesci pari a 3 settimane, utilizzando le frazioni antigeniche purificate,
come illustrato nella tabella 1.
I soggetti sono stati tenuti a digiuno per 48 ore prima del trattamento, che è stato condotto
previa anestesia con Benzocaina (0,03 g/l) (Sigma Aldrich, Milano). L’inoculo è stato
effettuato al giorno 0 per via intraperitoneale, utilizzando siringhe monouso sterili, seguito
da un richiamo dopo 15 giorni.
150
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161
Gruppo
N. soggetti
Antigene
Quantità iniettata
A
B
C
D
42
42
42
42
AM
WCs
ECPs
Controllo - PBS
50 µg/sogg.
1×105 cellule/sogg.
2.3 µg/sogg.
100 µl/sogg.
Tabella 1 – Schema di immunizzazione.
Table 1 – Diagram of immunization.
Prelievo dei sieri
Una settimana dopo il richiamo il sangue è stato prelevato dai soggetti appartenenti ai 4
gruppi sperimentali (10 soggetti/gruppo) previa sedazione con Benzocaina (0,03 g/l) (Sigma
Aldrich, Milano). I sieri sono stati ottenuti mediante centrifugazione a 2000 giri per 10
minuti e conservati a -80°C fino al momento della valutazione.
Saggio di emoagglutinazione
Cellule batteriche di L. garvieae, ottenute da brodocoltura, sono state lavate con PBS e la
densità ottica (D.O. 620nm) della sospensione è stata portata a 1 (1x109 cellule/ml) mediante
spettrofotometro. I sieri da analizzare sono stati sottoposti a diluizioni seriate da 1:10 a 1:320
in tampone PBS con formalina allo 0,3% (100 µl/pozzetto) in micropiastra. Successivamente
sono stati aggiunti 25 µl/pozzetto della sospensione batterica, incubando la piastra a
temperatura ambiente per 5 minuti e overnight a 4°C. L’agglutinazione è stata osservata
mediante riscontro di un caratteristico sedimento sul fondo dei pozzetti e successiva
classificazione dello stesso in base ad un criterio oggettivo riportato nella bibliografia di
riferimento (Robertson, 1990).
Saggio ELISA
Il saggio ELISA per la titolazione degli anticorpi anti L. garvieae è stato realizzato
seguendo una metodica descritta da Bakopoulos et al. (1997), modificata per quanto riguarda
il sistema di rivelazione. La micropiastra da 96 pozzetti è stata rivestita con 100 µl/pozzetto
di poli L-lisina 0,001% (Sigma) in tampone bicarbonato 0,1 M a pH 9,6, ed incubata per
1 ora a temperatura ambiente. Dopo 3 lavaggi con low salt wash buffer (LSWB), la piastra è
stata rivestita con 100 µl/pozzetto di L. garvieae (cellule intere lavate con PBS, D.O.620 nm=1)
ed incubata per 1 ora a temperatura ambiente. I batteri sono stati fissati aggiungendo 50
µl/pozzetto di glutaraldeide allo 0,05% in PBS, incubando per 20 minuti a temperatura
ambiente. Dopo 3 lavaggi con LSWB, è stato effettuato un blocco dei siti aspecifici
aggiungendo 100 µl/pozzetto di siero-albumina bovina al 2% in PBS (incubazione overnight
a 4°C). Dopo 3 lavaggi con high salt wash buffer (HSWB), sono stati aggiunti
i
sieri da saggiare (100 µl/pozzetto), diluiti 1:10, 1:25 e 1:50 in PBS con 0,1% di Tween 20,
incubati per 1 ora a temperatura ambiente. In alcuni pozzetti, che costituiscono il bianco, è
stata omessa l’aggiunta del siero. Dopo 5 lavaggi con HSWB, sono stati aggiunti
100 µl/pozzetto di anticorpo monoclonale anti Ig di trota diluito 1:33 in PBS con 0,1% di
Tween 20 (Aquatic Diagnostic, F11, UK) ed incubati per 1 ora a temperatura ambiente.
Dopo 5 lavaggi con HSWB, ai pozzetti è stato aggiunto (100 µl) un anticorpo policlonale
biotinilato anti Ig di topo (DAKO) diluito 1:2000 in PBS con 0,1% di Tween 20, incubato a
37°C per 1 ora. Come sistema rilevatore è stato impiegato un kit streptavidina-fosfatasi
151
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161
alcalina (Sigma) diluito 1:2000 in PBS con 0,1% Tween 20, incubato per 1 ora a 37°C
(100 µl/pozzetto). Il substrato utilizzato era pNPP (Sigma) alla concentrazione di 1 mg/ml in
tampone glicina 0,1 M pH 10,4. La lettura della micropiastra è stata effettuata con
multispettrofotometro Tecan a 405 nm, dopo 15, 30 e 60 minuti di incubazione. Come
controllo positivo è stato utilizzato un siero ottenuto immunizzando con L. garvieae
(inattivato con formalina) soggetti di trota iridea. I dati ottenuti sono stati statisticamente
elaborati mediante test T di Student (p≤0,05).
Elettroforesi e immunoblotting
L’elettroforesi è stata allestita secondo il metodo di Laemmli (Laemmli, 1970; Smith,
1987) con un gel di 1,5 mm di spessore (acrilamide/bis-acrilamide 3,75%/0,1%). Il gel è
stato colorato con Coomassie Brilliant Blue R. Dopo la corsa elettroforetica, il trasferimento
delle proteine è avvenuto su nitrato di cellulosa Hybond-ECL (Amersham Biosciences) in
Mini Trans-blot cell (Biorad). Il nitrato è stato incubato per un’ora a 37°C con i sieri di trota
prelevati dai 4 gruppi sperimentali, diluiti 1:10 in Tris Buffered Saline (TBS) con Tween 20
0,1%. Dopo opportuni lavaggi è stato aggiunto l’anticorpo monoclonale anti
immunoglobuline di trota (Aquatic Diagnostic, U.K.) biotinilato diluito 1:500 in TBS con
Tween 20 allo 0,1%. In seguito ad incubazione con streptavidina coniugata con fosfatasi
alcalina (Sigma) per 30 minuti a 37°C, è stato aggiunto il substrato precipitante BCIP/NBT
(Sigma). I pesi molecolari delle bande evidenziate sono stati ottenuti mediante una retta di
regressione elaborata con “Excel” utilizzando come riferimento un marcatore di peso
molecolare standard.
Infezione sperimentale
Un ceppo di L. garvieae isolato da trota iridea è stato rivirulentato mediante due passaggi
in vivo in trota iridea e quindi conservato in aliquote a -80°C. I batteri destinati all’infezione
sperimentale sono stati coltivati in TSB a 24°C fino al raggiungimento della fase logaritmica
di crescita, quindi lavati mediante centrifugazione a 2000 giri per 45 minuti e risospesi in
PBS. La concentrazione batterica è stata determinata in fase preliminare mediante stima
spettrofotometrica della densità ottica a 620 nm, quindi il numero effettivo di UFC/ml
contenute nelle sospensioni inoculate è stato confermato mediante conta su terreno solido.
La quantità di batteri da impiegare per saggiare la protezione è stata determinata nel corso
di una prova preliminare che ha previsto l’inoculo intraperitoneale di 2 dosi batteriche a due
gruppi di trote iridea ospitati in acquario. Per realizzare il challenge, i gruppi sperimentali
(A, B, C, D) sono stati trasferiti dallo stabulario del Dipartimento di Scienze Animali alla
cabina di infezione presso il Laboratorio di Biologia Marina di Trieste. Il trasferimento è
stato condotto utilizzando un veicolo adeguatamente allestito con vasche in vetroresina e
bombola per l’ossigenazione dell’acqua. I pesci sono stati stabulati in vasche di vetroresina
(140 litri), inserite in un impianto a ciclo aperto approvvigionato con acqua di fonte, filtrata
con carbone attivo (T=18°C, ricambio 2 l/min). Nella fase di acclimatazione i pesci sono
stati alimentati con mangime commerciale (1% del p.v./giorno). Il tempo intercorso
dall’inizio dell’immunizzazione all’infezione è stato pari a 4 settimane. Il challenge è stato
attuato, previa anestesia di tutti i soggetti mediante benzocaina (0,03 g/l), con iniezione
intraperitoneale di 2,6x105 UFC/soggetto (200 µl), secondo lo schema riportato in tabella 2.
152
ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161
Gruppo
A - AM
B - WCs
C - ECPs
D - PBS
N. soggetti
28
27
27
26
Dose batterica
2,6x105 UFC/sogg. (200 µl)
2,6x105 UFC/sogg. (200 µl)
2,6x105 UFC/sogg. (200 µl)
2,6x105 UFC/sogg. (200 µl)
Tabella 2 – Schema di intervento con Lactococcus garvieae mediante iniezione intraperitoneale.
Table 2 – Intervention diagram with Lactococcus garvieae by intraperitoneal injection.
La mortalità cumulativa è stata registrata per 10 giorni post-infezione. I soggetti morti in
seguito all’infezione sono stati sottoposti ad esame necroscopico e batteriologico (coltura su
TSA) per confermare la diagnosi di malattia. La protezione conferita dall’immunizzazione è
stata valutata in termini di percentuale relativa di sopravvivenza (Amend, 1981):
RPS = [1-(% mortalità gruppo vaccinati / % mortalità gruppo controllo)] x 100
I risultati sono stati analizzati statisticamente mediante test χ2.
RISULTATI
Valutazione della risposta anticorpale specifica mediante emoagglutinazione ed ELISA
I risultati del saggio di agglutinazione effettuato sui sieri prelevati dai quattro gruppi
sperimentali (immunizzazione con WCs, ECPs e AM) non hanno evidenziato differenze
significative tra i gruppi e rispetto al gruppo di controllo trattato con PBS (dati non riportati).
La risposta anticorpale specifica è stata misurata anche mediante un sistema ELISA indiretto.
Per ogni gruppo immunizzato e per il gruppo di controllo sono stati analizzati 10 sieri. La
diluizione ottimale dei campioni scelta per l’elaborazione dei dati è stata 1:25. La lettura
spettrofotometrica scelta come riferimento è stata quella a 30 minuti di incubazione.
Nella figura 1 sono rappresentati i risultati come medie di assorbanza (O.D. a 405 nm) per
ciascun gruppo considerato. La lettura spettrofotometrica è stata pari 0,64 (± 0,12) nel
gruppo di controllo, 0,6 (± 0,23) nel gruppo immunizzato con ECPs, 0,56 (± 0,2) nel gruppo
immunizzato con WCs, 0,49 (± 0,2) nel gruppo immunizzato con AM. L’elaborazione
statistica dei dati non ha evidenziato differenze significative tra i gruppi.
153
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0,9
Assorbanza (405 nm)
0,8
0,7
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
0
AM
WC
ECP
CTRL
Figura 1 - Titolo anticorpale specifico per Lactococcus garvieae nel siero dei soggetti sperimentali.
Le misurazioni sono espresse come medie di assorbanza (D.O. a 405 nm) e relative deviazioni standard
per ciascun gruppo considerato (n=10): AM, WCs, ECPs e controllo.
Figure 1 - Specific antibody titre to Lactococcus garvieae in the serum of the experimental subjects.
The values are expressed as mean absorbance (O.D. at 405 nm) and related standard deviation
for each considered group (n=10): AM, WCs, ECPs and control.
Profilo elettroforetico degli antigeni batterici e valutazione mediante immunoblotting
La figura 2 riporta il tracciato elettroforetico relativo agli antigeni utilizzati per la prova di
immunizzazione. Il peso molecolare delle bande evidenziate in ciascuna colonna è stato
stimato in riferimento al marcatore di peso molecolare riportato nell’ultima colonna a destra
del gel. Nel caso degli ECPs si evidenziano componenti peptidici principali a 70 kDa. Nel
caso degli antigeni di membrana e WCs il profilo elettroforetico risulta complesso e
costituito da numerose bande. Si evidenziano comunque alcune somiglianze. Le WC rispetto
agli antigeni di membrana presentano in più una banda a 66 kDa e in meno le seguenti
bande: 18, 37, 111, 115, 141, 151 e 156 kDa.
L’esito della immuno-rivelazione condotta utilizzando sieri ottenuti dal gruppo di controllo
e dai gruppi immunizzati con i vari antigeni è illustrato nella figura 3. Si osserva che una
banda di 23 kDa risulta molto evidente in WCs ed AM, con tutti gli antisieri utilizzati e
anche con il siero di controllo. Una banda di 48 kDa è evidente nell’antigene WCs trattato
con i sieri ottenuti dai soggetti di controllo e immunizzati con ECPs e WCs. Una banda a 102
kDa è presente in WCs ed AM, trattati con gli antisieri di controllo, anti WCs e anti AM.
Infezione sperimentale
Nella tabella 3 sono stati riassunti i risultati ottenuti in seguito alla prova di infezione
realizzata per valutare la protezione. Vengono riportati il numero di morti giornaliero, fino a
10 giorni e il numero di morti totale. La mortalità viene espressa in percentuale e la
protezione conferita dal vaccino come percentuale relativa di sopravvivenza (RPS).
154
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AM
ECPs
WCs
kDa
← 205
← 119
← 82
← 44
← 30
Figura 2 - Profilo SDS- PAGE degli antigeni di Lactococcus garvieae utilizzati per l’immunizzazione dei soggetti
sperimentali. I numeri a destra del gel indicano i pesi molecolari di riferimento.
Figure 2 - SDS-PAGE profile of the Lactococcus garvieae antigens employed for the immunization of the
experimental fish. The numbers on the right side of the picture are the reference molecular weights.
Sieri Ctr
Sieri WCs
Sieri AM
Sieri ECPs
23 kDa
48 kDa
23 kDa
St WCs ECPs AM
WCs
AM
ECPs WCs
Figura 3 - Immuno-blotting del gel SDS-PAGE tramite il quale sono stati analizzati i sieri ottenuti dai soggetti
immunizzati con WCs, AM, ECPs e i sieri di controllo. Gli antigeni di riferimento sono indicati dalle sigle
poste alla base della foto.
Figure 3 - Immuno-blotting of the protein profiles revealed by the SDS-PAGE analysis. The abbreviations in the
upper part of the picture indicate the fish sera employed (Ctr, or specific for WCs, AM, ECPs). The abbreviations
in the lower part of the picture indicate the reference antigens.
155
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Challenge
Giorni postinfezione
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Totale
Mortalità %
RPS
Soggetti vaccinati
Antigene ECPs
0
0
0
1
0
11
3
0
0
0
15
55%a
35%
Antigene WCs
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
1
4%b
95%
Antigene AM
0
0
0
3
0
7
3
3
0
0
16
57%a
33%
Soggetti di
controllo
PBS
0
0
0
4
0
14
3
1
0
0
22
85 %c
-
Tabella 3 - Mortalità registrata nei soggetti immunizzati e di controllo, in seguito ad infezione sperimentale
con Lactococcus garvieae (challenge intraperitoneale con 2,6x105 UFC/sogg) realizzata 4 settimane dopo
la vaccinazione. I valori di RPS esprimono la protezione conferita dal vaccino.
Test χ2, differenze significative per p ≤ 0,01.
Table 3 - Mortality of control and immunized fish, recorded after the experimental infection with
Lactococcus garvieae (intraperitoneal challenge with 2.6x105CFU/fish), performed 4 weeks post-vaccination.
RPS values indicate the protection conferred by the vaccine.
Chi-square test, significative differences for p ≤ 0.01.
Infine, nella figura 4 viene rappresentata la mortalità cumulativa per ogni gruppo
considerato. La mortalità del gruppo di controllo è stata pari all’85%, quella del gruppo
immunizzato con WCs 4%, quella del gruppo immunizzato con ECPs 55% e quella del
gruppo immunizzato con AM 57%. I trattamenti hanno garantito le seguenti percentuali
relative di sopravvivenza: 95% per WCs; 35% per ECPs; 33% per AM. Nei soggetti
moribondi sono stati evidenziati i segni clinici e le lesioni anatomopatologiche caratteristici
della malattia. L’esame batteriologico ha consentito il reisolamento di L. garvieae dai
soggetti moribondi.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Nella maggior parte dei casi i vaccini proposti per la profilassi della lattococcosi sono
costituiti da FKC, ossia cellule intere di Lactococcus garvieae inattivate con formalina, che
assicurano significativi livelli di protezione contro la malattia, soprattutto se somministrati in
abbinamento a sostanze adiuvanti (Ravelo et al., 2006). La produzione di questo tipo di
antigene, relativamente semplice, sembra per ora garantire un buon rapporto tra costi e
benefici in termini di protezione, ma vari ricercatori hanno iniziato a studiare l’impiego di
formulazioni nelle quali compaiano componenti più specifiche del batterio, in grado di
conferire una risposta immunitaria più efficace nella protezione dalla malattia. Fra questi è
156
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90
PBS
80
mortalità cumulativa (%)
70
60
AM
ECPs
50
40
30
20
10
WCs
0
0
1
2
3
4
5
6
7
8
giorni post infezione
Figura 4 - Mortalità cumulativa registrata nei soggetti immunizzati (AM, ECPs, WCs) e nei soggetti di controllo
(PBS), dopo infezione sperimentale con Lactococcus garvieae.
Figure 4 - Cumulative mortality of control (PBS) and immunized fish (AM, ECPs, WCs), recorded after the
experimental infection with Lactococcus garvieae.
utile citare: Barnes & Ellis (2004) che hanno studiato il ruolo della capsula nella fissazione
del complemento di trota iridea da parte di L. garvieae; Salati et al. (2005), che hanno
descritto la risposta immunitaria in orate (S. aurata) immunizzate con vari antigeni (FKC,
estratti di membrana, proteina M); Ravelo et al. (2003) che hanno valutato il ruolo della
capsula nella protezione conferita da vaccini intraperitoneali in trota iridea; Ooyama et al.
(2006) che hanno proposto l’impiego, in ricciola (Seriola quinqueradiata), di un vaccino
vivo attenuato costituito da batteri privi di capsula; Ooyama et al. (2002), che hanno
studiato, sempre in ricciola, l’immunogenicità di antigeni di superficie di L. garvieae.
Nell’ambito di questa indagine un ceppo virulento di L. garvieae isolato da trota iridea è
stato utilizzato per la preparazione di alcuni antigeni, analizzati elettroforeticamente e quindi
impiegati per immunizzare trote iridee di taglia suscettibile alla malattia, al fine di valutare
alcuni aspetti della risposta immunitaria e la protezione conferita nei confronti della
lattococcosi.
Gli antigeni purificati sono: prodotti batterici extracellulari (ECPs); cellule batteriche intere
inattivate con formalina (WCs); antigeni di membrana (AM); proteine M-like. Tre di questi
(WCs, ECPs, AM) sono stati destinati all’immunizzazione dei soggetti sperimentali. La
scelta degli autori di impiegare tali sostanze si è basata su informazioni raccolte dalla
bibliografia recente, che descrive l’effetto immunogeno e protettivo indotto dalle stesse in
altre specie ittiche suscettibili alla lattococcosi (Kusuda & Salati, 1999; Salati et al., 2005).
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161
Le cellule batteriche intere di L. garvieae e le singole frazioni sono state sottoposte ad
analisi elettroforetica mediante SDS-PAGE. Nel caso degli ECPs si evidenziano componenti
peptidici principali a 70 kDa, che non vengono evidenziati negli altri tracciati esaminati
(WCs e AM). Nel caso degli antigeni di membrana e delle WCs il profilo elettroforetico
risulta simile e paragonabile a quanto già osservato da altri autori (Schmidtke & Carson,
1999; Shin et al., 2006) nell’ambito di indagini biochimiche su ceppi di L. garvieae. Per
quanto riguarda l’analisi tramite immunoblotting, la bande con peso molecolare prossimo a
70 kDa, evidenziate come componenti della frazione antigenica ECPs, non sono oggetto di
legame da parte dei sieri analizzati. Questo indica che tali componenti, rilasciate nel terreno
di coltura da L. garvieae, non sono in grado di legare anticorpi di trota iridea. Nel caso degli
antigeni di membrana e delle cellule intere, fra le numerose bande evidenziate tramite SDSPAGE, alcune in particolare vengono rivelate dall’aggiunta del siero di trota. Si osserva che
una banda di 23 kDa risulta molto evidente in WCs ed AM, con tutti gli antisieri utilizzati e
anche con il siero di controllo. La banda a 48 kDa è evidente nell’antigene WCs trattato con i
sieri ottenuti dai soggetti di controllo e immunizzati con ECPs e WCs. La banda a 102 kDa è
presente in WCs ed AM, trattati con gli antisieri di controllo, anti WC e anti-AM. Un dato
particolare che emerge da queste valutazione è che anche i sieri di controllo, ossia ottenuti da
trote iridee non sottoposte ad alcun trattamento immunizzante, contengono immunoglobuline
in grado di legarsi con alcune componenti proteiche del batterio. Le bande evidenziate sono
quelle a peso molecolare approssimativo di 23, 48 e 102 kDa.
Un’osservazione simile era già emersa nel corso della ricerca condotta da Barnes et al.
(2001). Questi autori avevano analizzato tramite elettroforesi e immunoblotting il legame
aspecifico delle immunoglobuline di trota iridea nei confronti di proteine di membrana
espresse da ceppi capsulati e non di L. garvieae. In particolare gli autori avevano
riconosciuto una banda di peso molecolare approssimativo di 30 kDa, espressa solo dai ceppi
capsulati, che veniva legata in modo non specifico dal siero di controllo. Nelle indagini
condotte dagli stessi autori un'altra banda evidenziata dall’immunoblotting, sempre in modo
non specifico, aveva un peso molecolare approssimativo di 52 kDa. La spiegazione fornita
per questo risultato era che le immunoglobuline di trota possono legare alcune proteine
espresse da batteri Gram positivi, come L. garvieae, utilizzando la porzione Fc. La capacità
dei batteri di legare proteine sieriche dell’ospite, comprese le immunoglobuline, attraverso
meccanismi di riconoscimento non specifici è considerato un potenziale fattore di virulenza
(Fischetti, 2000). Tale modalità di legame può infatti limitare meccanismi volti alla
eliminazione del patogeno, quali la fissazione del complemento e la opsonizzazione seguita
da fagocitosi.
L’applicazione della tecnica di agglutinazione per stabilire la risposta anticorpale specifica
nei confronti di L. garvieae era già stata proposta da altri autori (Barnes et al., 2001, in trota
iridea; Salati et al., 2004, in orata). Nel corso di questa indagine la valutazione è stata
condotta adottando sia questa metodica, sia un saggio ELISA indiretto, considerato
generalmente più sensibile, ma mai applicato per la valutazione della risposta umorale contro
L. garvieae in trota iridea. Entrambi i sistemi hanno rivelato valori di risposta anticorpale
elevati anche nel caso dei sieri ottenuti dai soggetti non immunizzati (inoculati solo con
PBS). La particolarità di quanto osservato sembra confermare quanto già rilevato tramite
l’immunoblotting, ossia che le immunoglobuline contenute nel siero di trota possono legarsi
ad un antigene batterico espresso da L. garvieae. Questi dati sottolineano che i metodi
sierologici, quali agglutinazione, ELISA e Western Blot non sono sempre attendibili per la
valutazione della risposta anticorpale specifica nei confronti del patogeno utilizzato
nell’ambito di questa prova.
Considerati i limiti dei risultati sierologici appena descritti, si ritiene utile proporre quale
metodo definitivo per stabilire la protezione indotta dagli antigeni impiegati la prova di
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161
infezione. In sintesi le mortalità riscontrate nei gruppi sperimentali sono state: 85% nel
gruppo di controllo; 4% nel gruppo immunizzato con WCs; 55% nel gruppo immunizzato
con ECPs; 57% nel gruppo immunizzato con AM. I trattamenti hanno pertanto garantito le
seguenti percentuali relative di sopravvivenza: 95% per WCs; 35% per ECPs; 33% per AM.
Queste percentuali suggeriscono che le cellule batteriche intere inattivate con formalina
(WCs) conferiscono la maggiore protezione tra gli antigeni impiegati. Anche le frazioni
ECPs e AM sono risultate efficaci in tal senso, seppure con RPS più basse. Al fine di poter
confrontare con maggiore attendibilità l’efficacia delle tre formulazioni utilizzate sarebbe
tuttavia necessario poter uniformare le quantità somministrate al singolo individuo e le unità
di misura con cui tali quantità vengono espresse. Inoltre, visto l’esito delle prove di
vaccinazione, sarebbe interessante formulare un vaccino comprensivo di cellule batteriche e
antigeni di membrana o prodotti extracellulari, per ottenere un potenziamento dell’effetto
protettivo.
Confrontando le osservazioni relative alla risposta anticorpale con i dati di protezione
registrati nella prova di infezione, si evidenzia un aspetto contrastante. I soggetti
immunizzati con il protocollo proposto in questa indagine non hanno sviluppato una risposta
umorale specifica quantificabile con saggi in vitro, ma sono risultati protetti nei confronti
della malattia. Probabilmente la risposta anticorpale specifica era presente, ma non
evidenziabile a causa della possibile aspecificità di legame tra alcune componenti proteiche
di L. garvieae e la porzione Fc delle immunoglobuline di trota iridea. Inoltre, nella risposta
protettiva possano avere un ruolo significativo altri meccanismi, quali la difesa immunitaria
aspecifica e in particolar modo quella cellulare. Infatti nei soggetti immunizzati con ECPs,
pur non riscontrando (tramite immuno-blotting) la presenza di immunoglobuline specifiche e
non essendoci l’interferenza esercitata dalle proteine batteriche di legame aspecifico, è
risultata evidente la resistenza all’infezione. In base a queste considerazioni, gli ECPs
potrebbero aver attivato dei sistemi di difesa immunitaria di tipo aspecifico. In merito a
questo aspetto, l’unico riferimento bibliografico possibile è quello di Salati et al. (2005).
L’immunizzazione di orate con cellule batteriche inattivate e con proteina M aveva stimolato
l’attività di fagocitosi dei leucociti isolati da sangue periferico, ma solo a partire da 44 e 66
giorni dopo l’immunizzazione. Tali osservazioni possono rappresentare un punto di partenza
per ulteriori approfondimenti finalizzati a stabilire, in alternativa alla risposta anticorpale
specifica, il ruolo dell’immunità aspecifica nella difesa della malattia.
RINGRAZIAMENTI
La ricerca è stata finanziata dalla regione Friuli Venezia Giulia (L.R. 164/98). Gli autori
desiderano ringraziare il Sig. Gian Pietro Martincig, Dipartimento di Scienze Animali
(Università di Udine), per il contributo fornito nel corso delle prove sperimentali.
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Effetti in vivo ed in vitro di campi magnetici
a frequenza estremamente bassa (50 Hz)
su mitili (Mytilus galloprovincialis, Lmk, 1819)
In vivo and in vitro effects of extremely low frequency
electromagnetic fields (50 Hz) on mussels
(Mytilus galloprovincialis, Lmk, 1819)
Valeria Narcisi 1, Selene Marozzi 1, Francesco Mosca 1, Angela Calzetta 1,
Maria Grazia Finoia 2, Enzo Tettamanti 1, Pietro Giorgio Tiscar 1*
1
Dipartimento di Scienze Biomediche Comparate, Università degli Studi di Teramo, P.zza Aldo Moro 45 64100 Teramo; 2ICRAM, Via di Casalotti, 300 – 00166 Roma
_____________________________
RIASSUNTO – L’antropizzazione ed il progresso tecnologico hanno determinato negli ultimi decenni una
crescente esposizione degli organismi nei confronti di campi elettromagnetici a bassa frequenza (ELF-EMF),
suscitando notevole interesse sull’influenza esercitata a livello di sistemi biologici, in particolare sul sistema
immunitario. Nel presente lavoro, il processo fagocitario di emociti di Mytilus galloprovincialis (Lmk, 1819)
sottoposti a ELF-EMF (50 Hz, 1 mT) è stato studiato sia in vivo, in esperimenti condotti su mitili posti in acqua,
che in vitro. La sintesi di specie reattive dell’ossigeno (ROS) e le variazioni di calcio intracellulare sono stati
considerati i parametri di riferimento nello studio degli effetti degli ELF-EMF, impiegando lieviti nella
stimolazione fagocitaria degli emociti. Nelle prove in vitro è stato evidenziato un aumento di ROS rispetto al
gruppo controllo avvalorando l’ipotesi secondo la quale gli ELF-EMF potrebbero aumentare l’emivita dei ROS
con seguente danno cellulare. Nelle prove in vivo, invece, è stata riscontrata una diminuzione dei ROS rispetto al
gruppo controllo e in tal senso si potrebbe ipotizzare un ruolo immunodepressivo degli ELF-EMF imputabile a
meccanismi biologici compensativi, disponibili in vivo, ma non presenti in vitro, in grado di contrastare
l’aumentata emivita dei ROS e quindi di proteggere le cellule da situazioni dannose. Al contrario, la quantità di
calcio intracellulare non sembra aver subito modificazioni di rilievo in entrambe le tipologie sperimentali
condotte. In funzione della tipologia di esposizione agli ELF-EMF, quindi, la sperimentazione ha evidenziato una
diversa risposta ossidativa degli emociti allo stimolo fagocitario, indicando un potenziale impatto degli ELF-EMF
sul processo difensivo dei mitili. Pertanto, il presente lavoro ha lo scopo di proporre la fagocitosi emocitaria come
possibile modello di studio degli ELF-EMF non solo nell’ambito di ricerche di base, ma anche nei processi di
monitoraggio e di certificazione della qualità ambientale.
SUMMARY - The widespread of anthropic activities and the technological development have increased in the last
decades the exposure of organisms to low frequency magnetic fields (ELF-EMF), so evoking a great interest
about their influence on biological and mainly immune system. In the present work, the phagocytosis of the
Mytilus galloprovincialis (Lmk, 1819) hemocytes has been investigated following the exposure to ELF-EMF (50
Hz, 1 mT), both in vivo and in vitro experiments. The reactive oxygen species (ROS) and the intracellular Ca++
changes were considered as parameters to monitoring the effects of ELF-EMF, using yeasts as phagocytosis
stimuli. In the in vitro experiment, the ROS synthesis increased compared to the control group supposing an
higher lifetime for ROS with deleterious effects for cells. In the in vivo experiment, the ROS synthesis decreased
compared to the control group and this result could be linked to a immunosuppressive modulation of ELF-EMF.
In particular, some biological pathways available in vivo but not present in vitro could exist to counterbalance
the higher lifetime of ROS, so protecting the cells from insulting events. On the contrary, the intracellular Ca++
showed any level change compared to the control group both in vitro and in vivo experiments. Depending on the
kind of exposure to ELF-EMF, such results have attested the different oxidative response of the mussel hemocytes
following phagocytosis stimulation, so indicating the evidence of the potential impact of ELF-EMF on the mussel
immune system. Therefore, the present work has the aim to propose the hemocyte phagocytosis as biological
model for investigating the ELF-EMF not only in the basal research but also for monitoring the environmental
quality.
Key words: Mussels, Mytilus galloprovincialis, ELF-EMF, Phagocytosis, Calcium.
_____________________________
* Corresponding Author: c/o Dipartimento di Scienze Biomediche Comparate, Facoltà di Medicina Veterinaria,
Piazza A. Moro, 45 - 64100 Teramo – Italy. Tel.: 0861-266872; Fax: 0861-412868; E-mail: [email protected].
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INTRODUZIONE
Negli ultimi anni, la crescente domanda di elettricità, il continuo avanzamento delle
tecnologie ed i cambiamenti nei comportamenti sociali, hanno portato ad un’aumentata
esposizione degli organismi a sorgenti artificiali di campi elettromagnetici (EMF).
Gli EMF originano dall’interazione di campi elettrici con campi magnetici e si propagano
per mezzo di onde classificate in radiazioni ionizzanti e non ionizzanti. Le prime hanno una
frequenza estremamente alta (raggi X e raggi gamma) e possiedono un’energia fotonica in
grado di ionizzare le molecole, mentre le seconde, caratterizzate da bassa energia fotonica,
comprendono la radiazione ultravioletta (UV), la luce visibile, la radiazione infrarossa, i
campi a radiofrequenza, le microonde, i campi a frequenza estremamente bassa (ELF) ed i
campi elettrici e magnetici statici (W.H.O., 1999).
In particolare, i campi elettromagnetici a frequenza estremamente bassa (ELF-EMF), con
valori inferiori a 300 Hz, sono generati principalmente nei processi di produzione,
trasmissione ed utilizzo di energia elettrica (W.H.O., 1999).
Numerosi studi sono stati condotti al fine di valutare gli effetti di ELF-EMF sugli
organismi biologici, ma i risultati prodotti finora risultano spesso disomogenei data la
diversità delle metodiche utilizzate e vista la mancanza di un modello generale di
interpretazione del meccanismo d’azione delle onde elettromagnetiche sugli esseri viventi.
Tuttavia, nonostante non siano ancora stati delucidati i meccanismi alla base delle
alterazioni provocate dai campi ELF sugli organismi, risulta accertato che le interazioni con i
sistemi biologici avvengono tramite la superficie esterna della membrana cellulare
modulando principalmente la proliferazione di cellule e tessuti, la variazione di flussi ionici
cellulari e modificando alcune attività enzimatiche (Shimizu et al., 1995). Inoltre, i campi
ELF-EMF sembrano determinare variazioni nella risposta fagocitaria delle cellule (Simkò et
al., 2001; Simkò & Mattsson, 2004).
Nel presente lavoro è stata studiata l’influenza dei ELF-EMF sul sistema difensivo dei
mitili (Mytilus galloprovincialis Lmk, 1819), che rappresentano bioindicatori ideali come
modelli di studio semplificati di processi immunitari quali la fagocitosi.
Infatti, il sistema immunitario dei mitili è essenzialmente basato sulla fagocitosi e gli
emociti rappresentano le cellule deputate al riconoscimento, adesione, inglobamento,
degradazione ed eliminazione del not-self (Bachère et al., 1995). La capacità fagocitaria
degli emociti risulta strettamente dipendente da proprietà ameboidi e, in tal senso, la
disponibilità di calcio (Ca++) intracellulare svolge un ruolo importante nei processi di
arrangiamento del citoscheletro. Le proprietà degradative degli emociti, invece, risultano
legate all’attività di enzimi lisosomiali e, soprattutto, alla produzione di specie reattive
dell’ossigeno (ROS), molecole altamente ossidanti tra cui figura l’anione superossido (O2-)
generato dall’attivazione della NADPH-ossidasi di membrana.
Al fine di valutare il potenziale impatto dei ELF-EMF sul processo fagocitario di mitili,
sono state effettuate misurazioni in micrometodo delle variazioni di Ca++ intracellulare e del
rilascio di anione superossido, quali indicatori rispettivamente delle capacità ameboidi e
ossidative degli emociti.
L’esposizione a ELF-EMF è stata condotta sia in vivo che in vitro per tempi differenti,
operando in vivo su mitili collocati all’interno di un sistema a ricircolo di acqua di mare,
impiegando valori di frequenza pari a 50 Hz e con induzione elettromagnetica di 1 mT,
secondo quanto riportato da diverse fonti bibliografiche (Simkò et al., 2001; Rollwitz et al.,
2004). I valori di ELF-EMF applicati, infatti, rispecchiano sia la frequenza della rete elettrica
europea che l’induzione elettromagnetica generata da apparecchi elettronici di uso
quotidiano (W.H.O., 1999).
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ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 163-171
MATERIALI E METODI
Valutazione dell’attività fagocitaria
I mitili erano posti in uno specifico sistema di acquari in condizioni di temperatura (18°C)
e salinità (33 ppt) costanti e le condizioni sperimentali applicate dopo 24 ore.
Gli organismi mantenuti in acquario costituivano il gruppo controllo di riferimento, da cui
l’emolinfa veniva prelevata con siringa da insulina sterile introdotta nel muscolo adduttore
posteriore. Il pool di emociti, costituito dai vari prelievi, era deposto in piastre per
microtitolazione nella quantità di 1x105 cellule/pozzetto.
La capacità ossidativa degli emociti è stata valutata in micrometodo mediante
chemiluminescenza luminolo dipendente (LuCL). Una soluzione di luminolo (Sigma) veniva
preparata immediatamente prima dell’uso in acqua di mare sterile (AQMS) e posta in
ciascun pozzetto (10-3M) contenente gli emociti. Successivamente, si procedeva ad
aggiungere lo stimolo fagocitario costituito da una sospensione (5 mg/ml in AQMS) di
particelle di lievito (Saccharomyces cerevisiae, Zymosan A).
Si registrava quindi l’andamento temporale della luminescenza tramite uno specifico
lettore di micropiastre (Packard, Mod. Fusion B).
La produzione di ROS, in particolare di anione superossido, durante la fagocitosi dei lieviti
determina infatti l’ossidazione del luminolo ad anione 3-α-amminoftalato che, decadendo
dallo stato eccitato allo stato fondamentale, emette un segnale luminoso registrato nel tempo
dallo strumento in termini quantitativi.
La quantità di Ca++ intracellulare è stata valutata in micrometodo mediante rilevazione
della fluorescenza, utilizzando uno specifico tracciante (Fluo3/AM). Il Fluo3/AM penetra
nella cellula ed incrementa la sua fluorescenza da 40 a 200 volte in seguito al legame con il
calcio libero intracellulare. La sonda fluorescente era aggiunta nei pozzetti (5µM) contenenti
gli emociti in associazione al Pluronic (0,02%), molecola in grado di aumentare il segnale
fornito dal legame del Fluo3/AM con il Ca++ intracellulare. Dopo 20 minuti di incubazione
con il tracciante, una sospensione (5 mg/ml in AQMS) di particelle di lievito veniva posta
nei pozzetti quale stimolo fagocitario.
Si registrava quindi l’andamento temporale della fluorescenza tramite uno specifico lettore
di micropiastre (Packard, Mod. Fusion B), utilizzando filtri di eccitazione a 510 nm e di
emissione a 535 nm.
Applicazione dello stress elettromagnetico
Il campo magnetico sinusoidale da 50 Hz di frequenza ed 1 mT di induzione è stato
generato mediante l’utilizzo di un solenoide con diametro interno di 12,5 cm, lunghezza di
30 cm e con una resistenza di 4,8 ohm e 8 giri/cm. Il solenoide è stato ottenuto con un
doppio avvolgimento sovrapposto di filo di rame su di un cilindro di polivinilcloruro (PVC)
e alimentato da un variatore di rete (Variac) connesso ad un avvolgimento secondario di un
trasformatore capace di ridurre la corrente alternata (AC) della linea elettrica (220V) ad un
valore di 140 V. La forma d’onda, la frequenza della corrente e l’intensità del campo
magnetico erano controllate da un misuratore connesso in parallelo a una resistenza in serie
con il solenoide.
Nelle prove in vitro, l’emolinfa veniva prelevata da mitili, raccolta in un singolo pool, e
posta in piastre da microtitolazione (1x105 cellule/pozzetto). Successivamente, gli emociti
venivano direttamente esposti al campo elettromagnetico per 30 e 60 minuti, procedendo al
termine dell’esposizione alla misurazione dell’anione superossido e del calcio intracellulare.
Le prove in vivo erano effettuate con mitili esposti a ELF-EMF in acqua di mare per 30 e
60 minuti; a tal fine era allestito un sistema di ricircolo di acqua di mare con passaggio
all’interno del solenoide; successivamente, l’emolinfa prelevata dal muscolo adduttore era
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raccolta in un singolo pool e deposta in piastre da microtitolazione (1x105 cellule/pozzetto)
al fine di procedere alla misurazione dell’anione superossido e del calcio intracellulare.
Per entrambe le prove si provvedeva a creare un controllo non esposto al campo
elettromagnetico e mantenuto nelle medesime condizioni.
Analisi statistica
Tutti gli esperimenti sono stati ripetuti per tre volte su 10 soggetti ed i dati sono stati
analizzati con il test Anova a due vie.
RISULTATI
Prove in vitro
Le prove in LuCL hanno dimostrato, negli emociti esposti agli ELF-EMF per 30 minuti,
una maggiore attività ossidativa.
I valori assoluti di Unità Relative di Luminescenza (ULR) registrati al picco massimo (30
minuti di lettura) erano di 133 per il controllo, di 181,5 e 135,6 per gli emociti esposti
rispettivamente 30 e 60 minuti.
I risultati sono espressi in grafico come differenze in percentuali relative al gruppo
controllo (p<0,05) (Figura 1).
Le prove in fluorimetria per la rilevazione del calcio intracellulare hanno prodotto risultati
non ripetibili e pertanto non significativi rispetto al controllo.
ELF-EMF 30 MIN*
ELF-EMF 60 MIN
60
50
% ULR
40
30
20
10
0
10
20
30
40
50
Tem po lettura (m in)
Figura 1 - Chemiluminescenza misurata in micrometodo ed espressa come percentuale relativa di Unità Relative
di Luminescenza (ULR) in emociti esposti a ELF-EMF (50 Hz-1 mT). (* p<0,05 rispetto al controllo).
Figure 1: Chemiluminescence measured in micromethod and expressed as Units Relative Luminescence (ULR)
relative percentage in hemocytes after exposure to ELF-EMF (50 Hz-1mT).(* p<0.05 respect to the control).
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Prove in vivo
I risultati delle prove di LuCL su mitili sottoposti ad ELF-EMF indicavano che l’emolinfa
prelevata dai molluschi stressati per 60 minuti rispondeva allo stimolo fagocitario mostrando
una minore attività ossidativa espressa come percentuale relativa nei confronti del gruppo
controllo (p<0,05) (Figura 2). Al contrario, l’applicazione dello stress per 30 minuti non
produceva differenze significative rispetto al controllo.
I valori assoluti di ULR registrati al picco massimo (20 minuti di lettura) erano di 290 per il
controllo, 183 e 277,6 per i mitili stressati rispettivamente 60 e 30 minuti.
Infine, le prove condotte in fluorimetria per la rilevazione del calcio intracellulare non
hanno mostrato differenze significative tra i mitili esposti ed il controllo.
ELF -EM F 60 M IN
ELF- EM F 30 M IN
10
20
30
*
40
50
0
-10
% ULR
-20
-30
-40
-50
-60
Tempo lettura (min)
Figura 2: Chemiluminescenza misurata in micrometodo ed espressa come percentuale relativa di Unità Relative
di Luminescenza (ULR) in mitili esposti a ELF-EMF (50 Hz-1 mT). (* p<0,05 rispetto al controllo).
Figure 2: Chemiluminescence measured in micromethod and expressed as Units Relative Luminescence (ULR )
relative percentage in mussels after exposure to ELF-EMF (50 Hz-1mT). (* p<0.05 respect to the control).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Gli studi sugli effetti biologici dei campi magnetici a bassa frequenza sono attualmente
molto numerosi, ma spesso risulta difficile confrontarli tra loro poiché differiscono per le
modalità di esposizione impiegate, per il sistema biologico esaminato e per i saggi utilizzati.
Tra i vari sistemi biologici presi in esame, alcuni riguardano la produzione di radicali
liberi, intermedi metabolici particolarmente importanti perché capaci di reagire con il DNA e
di favorirne o indurne danni. I ROS vengono fisiologicamente prodotti in seguito al busrt
respiratorio da cellule deputate alla fagocitosi e gli effetti dei ELF-EMF sulla loro
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produzione sono stati studiati in cellule di mammifero mostrando, in neutrofili stimolati con
esteri del forbolo, un aumento della produzione dei radicali (Roy et al., 1995). Inoltre,
l’esposizione di macrofagi ad un campo di 1 mT per 45 minuti produce un incremento del
35% dell’internalizzazione di particelle rispetto al controllo (Simkò et al., 2001). Altri autori
registrano una proliferazione cellulare, riconducibile alla produzione di ROS, in seguito ad
esposizione ad ELF-EMF (Katsir & Parola, 1998).
Le ipotesi per spiegare questi effetti sono ricollegabili all’incremento della vita media dei
radicali e/o all’attivazione delle cellule fagocitarie, che potrebbero portare ad un aumento
dell’attività fagocitaria ed alla produzione diretta di radicali dell’ossigeno. Inoltre, nei
mammiferi, prolungate esposizioni a EMF indurrebbero una inibizione della ghiandola
pineale con diminuita produzione di melatonina, ormone conosciuto come scavenger dei
radicali (Simkò & Mattsson, 2004).
Relativamente agli organismi acquatici, i lavori sperimentali riguardanti le azioni dei
campi elettromagnetici, focalizzano l’attenzione sulla funzionalità di specifici organi
producendo, ad esempio, dati sulla sintesi di melatonina in salmerini di fonte (Salvelinus
fontinalis) (Lerchl et al., 1998), sull’elettrosensibilità in alcune specie di pesci (Wood, 1993),
sulle alterazioni della morfologia della retina in avannotti di Oncorhynchus masou
(Zagal’skaia et al., 2005) e sugli effetti nell’apparato riproduttivo di varie specie di
organismi marini (Brent, 1999). In questo contesto, la scelta dei mitili, quale modello
sperimentale per la valutazione delle risposte di un organismo acquatico ai campi
elettromagnetici, è particolarmente indicata per la facilità con cui questi organismi possono
essere esposti a ELF-EMF e per la rapidità con cui si rilevano variazioni di alcuni importanti
meccanismi di difesa, come la fagocitosi, conservata dagli invertebrati all’uomo.
Il presente lavoro, al fine di valutare gli effetti dei ELF-EMF sui sistemi biologici ed in
particolare sul sistema difensivo dei mitili, ha esaminato la produzione di ROS e le
variazioni della concentrazione di calcio intracellulare in seguito a stimolazione fagocitaria,
utilizzando come mezzo d’indagine l’analisi in micrometodo che permette di studiare le
proprietà biologiche controllando contemporaneamente più campioni e variabili e fornendo
parallelamente un andamento temporale del processo studiato.
Per la valutazione in micrometodo della produzione dei ROS è stata utilizzata la
chemiluminescenza Luminolo-dipendente (LuCL) metodica già applicata allo studio della
fagocitosi nei molluschi bivalvi (Nöel et al., 1993, Ordas et al., 2000), che misura
principalmente l’O2- fornendo indirettamente una valutazione delle capacità di risposta del
sistema difensivo dei mitili (Anderson, 2001), mentre per la quantificazione della produzione
di calcio intracellulare in seguito a stimolazione fagocitaria dopo esposizione ad ELF-EMF,
si è utilizzata una specifica sonda fluorescente rilevando il segnale in fluorimetria.
I risultati ottenuti nel presente lavoro sugli effetti biologici dei campi elettromagnetici
sull’emolinfa di mitili, hanno evidenziato come, in seguito ad un’esposizione cellulare di soli
30 minuti ad un ELF-EMF di 1mT a 50 Hz, ci sia una maggiore produzione di ROS, nello
specifico anione superossido, rispetto al controllo (Figura 1). In particolare, l’attivazione
delle cellule immunitarie in seguito ad esposizione ad ELF-EMF potrebbe essere legata ad
una maggiore produzione di O2- da parte della NADPH-ossidasi, come confermato da
precedenti lavori che utilizzano il DPI (diphenyleneiodonium chloride), uno specifico
NADPH-ossidasi inibitore, che comporta la diminuzione di O2- (Lupke et al., 2004; Rollwitz
et al., 2004). È inoltre ipotizzabile un incremento dell’emivita dei radicali dell’ossigeno
causato dalla formazione di radicali allo stato di tripletto (Brocklehurst & McLauchlan,
1996).
Le prove in vivo sui mitili hanno prodotto risultati opposti a quelle effettuate sugli emociti:
lo stress elettromagnetico della durata di 60 minuti diminuiva la produzione di anione
superossido rispetto ai soggetti controllo (Figura 2). L’effetto potrebbe essere collegabile ad
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una minore attivazione dell’emocita; infatti il cambiamento nella forma cellulare legato
all’emissione pseudopodica rappresenta un’importante fase del processo fagocitario; il
risultato inoltre trova conferma nella riduzione significativa dell’attivazione morfologica
cellulare in studi effettuati su mitili sottoposti ad ELF-EMF e stimolati con la molecola
chemiotattica N-formyl-Meth-Leu-Phe (fMLP) (Ottaviani et al., 2002).
I risultati sottolineano inoltre differenze correlate alla durata dell’esposizione di emociti e
mitili al campo elettromagnetico evidenziando come rispondano non solo con effetti opposti,
ma anche in tempistiche diverse (Figure 1-2).
L’analisi in chemiluminescenza si è dunque dimostrata una valida metodica per valutare le
variazioni che si hanno nella produzione dei ROS causate dall’esposizione di cellule ed
organismi a ELF-EMF.
Inoltre, l’applicazione della metodica su organismi biologicamente semplificati, quali i
mitili, ha permesso di confrontare gli effetti di un'esposizione elettromagnetica nel medesimo
modello biologico in vivo ed in vitro evitando l’interferenza di risposte biologiche più
complesse ed identificando così gli intermediari che portano alla produzione degli effetti
cellulari.
La variazione dei flussi di calcio cellulare in relazione ai campi elettromagnetici, è stata
approfondita in numerosi studi considerando anche l’importanza di questo ione come
messaggero intracellulare nell’attivazione dell’AMP ciclico (Walleczek, 1992; Flipo et al.,
1998). I risultati delle prove di variazione del flusso di calcio mostrano una maggiore
fluorescenza in emociti stimolati da particelle di lievito rispetto al controllo non stimolato
alla fagocitosi, ciò prescindeva dall’esposizione o meno al campo elettromagnetico e
confermava il ruolo importante del Ca++ nelle prime fasi del processo fagocitario.
I primi studi condotti per valutare il flusso transmembrana dello ione Ca++ sono stati
condotti su tessuti cerebrali ed hanno prodotto evidenze controverse: infatti alcuni hanno
rilevato un aumentato flusso dello ione in presenza di un campo elettromagnetico (Blackman
et al., 1982), mentre altri hanno documentato un effetto esattamente opposto (Bawin &
Adey, 1976). Inoltre, studi condotti valutando la mobilità delle diatomee, non hanno prodotto
risultati ripetibili (Smith et al., 1987). Gli unici esperimenti condotti su mitili sottoposti a
campi elettromagnetici mostravano, valutando i cambiamenti di forma degli emociti, un
coinvolgimento del canale del calcio, il quale risultava essere modulato negativamente, ma
in modo reversibile (Gobba et al., 2003).
La variabilità del fenomeno potrebbe essere collegata alla vibrazione impressa allo ione dal
campo elettromagnetico che nel momento in cui supera una determinata soglia trasmette un
falso segnale di “apertura” o “chiusura” dei canali (Panagopoulos et al., 2000). In questo
contesto i nostri risultati, legati all’esposizione di emolinfa e mitili ad un campo
elettromagnetico a bassa frequenza, mirati a valutare la quantità di calcio intracellulare,
dimostrano che questa non sembra subire modifiche di rilievo.
A fronte degli ampi spazi conoscitivi ancora aperti sugli effetti di ELF-EMF sui sistemi
biologici, l’utilizzo di mitili può essere dunque ipotizzabile andando a verificare mediante
prove sul campo tutte quelle situazioni che possono ritrovare un’influenza dei campi
elettromagnetici sugli organismi acquatici riscontrabili per esempio lungo la filiera
commerciale dei molluschi bivalvi vivi.
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Studio sulla bioassimilabilità orale di un vaccino
anti-Photobacterium damselae subsp. piscicida
nella spigola (Dicentrarchus labrax)
Evaluation of bioavailability of an oral vaccine against
Photobacterium damselae subsp. piscicida in reared sea bass
(Dicentrarchus labrax)
Elisabetta Manuali 1, Cinzia Tiberi 1, Alessandra Di Salvo 2, Francesco Agnetti 1,
Giorgia della Rocca 2, Claudio Ghittino 1, Josè Malvisi 2*
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, via G. Salvemini, 1 - 06126 Perugia;
Università degli Studi di Perugia, Dipartimento di Patologia, Diagnostica e Clinica Veterinaria, Sezione di
Scienze Sperimentali e Biotecnologie Applicate, via S. Costanzo, 4 - 06126 Perugia.
______________________________
RIASSUNTO - La Fotobatteriosi (ex Pasteurellosi) dei pesci, sostenuta dal germe Gram negativo Photobacterium
damselae subsp. piscicida (Phdp), è causa di elevata mortalità in molte specie ittiche marine. Recentemente,
numerosi tentativi sono stati fatti per controllare la malattia con la formulazione (e valutazione dell’efficacia) di
vaccini sperimentali attraverso varie vie di somministrazione. A differenza di quanto si realizza con le tecniche
finora in uso, è riconosciuto come la via orale sia ottimale in ragione di una mancata induzione stressogena negli
animali e una forte incidenza sul miglioramento del benessere animale. A tal fine, si stanno sperimentando
tecniche di microincapsulazione aventi la funzione di rilasciare l’antigene nel tratto intestinale posteriore, zona di
massimo assorbimento nelle specie ittiche, evitando possibili fenomeni di inattivazione chimica (pH) o
enzimatica (proteasi) nel tratto gastro-enterico. Uno dei metodi atti a svelare la capacità di assorbimento tissutale
del vaccino si avvale di indagini immunoistochimiche che permettono di dimostrare l’effettiva presenza
dell’antigene nel soggetto vaccinato. Scopo del presente lavoro è stato quello di determinare la bioassimilabilità
orale di due tipologie di vaccino microincapsulato anti-Phdp in spigole d’allevamento (Dicentrarchus labrax),
attraverso metodiche immunoistochimiche ed immunocitochimiche atte a valutare l’eventuale presenza tissutale
dell’antigene e la sua distribuzione cellulare. Le indagini di microscopia ottica ed elettronica hanno evidenziato la
presenza dell’antigene vaccinale all’interno degli enterociti, dimostrandone la capacità di assorbimento da parte
delle cellule epiteliali intestinali, stazionando all’interno di formazioni vacuolari di probabile origine fagosomiale.
SUMMARY – Fish Photobacteriosis (ex Pasteurellosis), caused by Gram negative Photobacterium damselae
subsp. piscicida (Phdp), is responsible for high mortality episodes in several marine fish species. Recently, many
attempts were performed to control the disease by the formulation of experimental vaccines, supplied through
different ways, and the evaluation of their efficacy. Is largely known that the oral administration is optimal, since
it is characterized by absent stress induction in animals, great incidence on the increasing of the animal wellness,
complete clinical efficacy and then good resolution of the wellness status of farmed fish. With this aim,
microencapsulated vaccines are studied, because of their capability to release the antigen in the posterior
intestine (site of great assimilation in fish) and to avoid its chemical (pH) or enzymatic (proteases) inactivation
by the gastric district. Immunohistochemical method is able to discover the vaccine intestinal assimilation and
detect the effective antigen presence into the vaccinated animal. With this work the Authors determined the oral
bioavailability of two kinds of microencapsulated vaccines anti-Phdp in Dicentrarchus labrax, through
immunohistochemical and immunocytochemical methods, with the aim of evaluate the antigen presence into the
tissue and its cellular distribution. Light and electron microscopy examinations revealed the presence of vaccine
antigen into the enterocytes, with sequent localization into probable phagosomal vacuoles.
Key words: Photobacteriosis, Photobacterium damselae subsp. piscicida, Vaccination, Oral administration.
______________________________
* Corresponding Author: c/o Università degli Studi di Perugia, Dipartimento di Patologia, Diagnostica e Clinica
Veterinaria, Sezione di Scienze Sperimentali e Biotecnologie Applicate, via S. Costanzo, 4 - 06126 Perugia.
Tel.: 075-5854411; E-mail: [email protected].
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INTRODUZIONE
La Fotobatteriosi (ex Pasteurellosi) dei pesci, sostenuta da Photobacterium damselae
subsp. piscicida (Phdp), è una malattia infettiva che evolve in forma sistemica, a decorso
acuto (Roberts, 2001), causando numerosi episodi di mortalità in molte specie ittiche marine,
selvatiche e non (Lewis et al., 1970; Babelona et al., 1992). Nell’ultimo ventennio, tale
patologia si è diffusa anche nell’area mediterranea, coinvolgendo specie ittiche marine
d’allevamento, prima tra tutte la spigola (Dicentrarchus labrax), in Francia, Italia e Spagna
(Ceschia et al., 1991; Magariños et al., 1995; Romalde, 2002; Ghittino et al., 2003).
Phdp è un germe Gram negativo appartenente alla famiglia delle Vibrionaceae e risulta
patogeno a temperature dell’acqua superiori ai 18°C (Austin & Austin, 1999). Il decorso
della malattia è quello di una setticemia in forma acuta, con sintomi clinici generici
(anoressia, letargia) e poco evidenti; le lesioni anatomopatologiche sono rappresentate da
formazioni nodulari granuloma-like (da qui il nome di Pseudotubercolosi con cui si può
anche indicare la malattia), particolarmente evidenti su milza e rene, a cui può
accompagnarsi la presenza di materiale simil-purulento nella cavità celomatica (Austin &
Austin, 1999).
La Fotobatteriosi è una malattia che interessa essenzialmente il novellame, rappresentando
un serio problema sanitario delle avannotterie marine, laddove può indurre tassi di mortalità
del 70-80%; il controllo si basa essenzialmente sull’impiego di mangime medicato
(sulfamidico potenziato e flumechina hanno buona efficacia) nonché della vaccinazione per
immersione (che a tutt’oggi risulta ancora di efficacia ridotta) (Ghittino et al., 2003).
Sebbene numerosi siano gli studi circa la valutazione dell’efficacia di metodiche vaccinali
per immersione o per via endoperitoneale (Anderson, 1997; Evensen, 2003; Afonso et al.,
2005), è sempre più interesse comune, anche nei riguardi della Fotobatteriosi, la possibilità
di impiego di presidi immunizzanti somministrabili per via orale (Manganaro et al., 1994).
Nella pratica piscicolturale, infatti, tale via di somministrazione presenta sicuramente dei
vantaggi (Smith, 2002) sintetizzabili in:
a) riduzione dello stress indotto dalle manipolazioni;
b) miglioramento dello stato di benessere animale;
c) contribuzione all’efficacia clinica nei pesci oggetto di immunizzazione.
Le conoscenze dei meccanismi coinvolti nell’assunzione dell’antigene a seguito di
vaccinazione orale sono ancora incomplete. Tuttavia, alcuni Autori ritengono che il primo
contatto con i patogeni avverrebbe attraverso la superficie della mucosa e che la presenza di
un sistema immunitario locale, ormai inconfutabile, rappresenterebbe un approccio al
passaggio dell’antigene attraverso le superfici cellulari (Dogget & Harris, 1991; Dalmo et
al., 1995). A tale riguardo, le ricerche effettuate sono state rivolte a preservare l’antigene
dall’attacco di enzimi e dall’azione del pH in sede gastrica (Joosten et al., 1997).
Scopo del presente lavoro è stato quello di valutare la bioassimilabilità orale di un vaccino
anti-Phdp nella spigola, con la finalità di studiarne l’assorbimento orale mediante tecniche di
microincapsulazione (per evitare alterazioni dell’antigene fino al suo arrivo nell’intestino
posteriore) ed evidenziare la presenza dell’antigene vaccinale all’interno degli enterociti
mediante reazioni immunoistochimiche ed immunocitochimiche.
MATERIALI E METODI
Animali utilizzati ed interventi vaccinali effettuati
Per la realizzazione del presente studio sono stati impiegati esemplari di spigola del peso di
150 g. circa, acclimatati per circa due settimane in 3 vasche di vetroresina (4 m di lunghezza
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x 80 cm di larghezza x 60 cm di profondità), con flusso idrico in entrata di 2-3 l/sec, dotate
di ossigenatori e poste all’interno di una serra del Centro Ittico Sperimentale “Bonello”
(Porto Tolle, RO), nel quale è stata effettuata la sperimentazione vaccinale. In ciascuna vasca
sono state ospitate 150 spigole.
I pesci di ogni vasca sono stati lasciati a digiuno nelle 48 ore precedenti alla
somministrazione del vaccino, allestito dal Dipartimento di Scienze Animali di Udine.
In breve, il ceppo batterico, fornito dal Centro di Referenza Nazionale per lo Studio e la
Diagnosi delle Malattie dei Pesci, Molluschi e Crostacei (IZS delle Venezie, Legnaro, PD) è
stato conservato in Tryptic Soy Agar con il 2% di NaCl. I batteri sono stati inoculati in 10 ml
di TSB + 2% NaCl e, raggiunta la fase logaritmica di crescita, passati in un volume di
terreno (1 litro) alla temperatura di incubazione di 23°C. La sospensione è stata fissata
overnight sotto agitazione con formalina allo 0,6% e centrifugata 3 volte (3000 rpm per 60
minuti) con PBS sterile. Il sedimento ottenuto è stato risospeso in PBS sterile (~50 ml/l di
brodocoltura iniziale), sottoposto a controllo di sterilità e conservato a –20°C in vaschette di
alluminio. A seguito della liofilizzazione il ceppo batterico è stato raccolto e conservato a –
20°C fino alla microincapsulazione, effettuata da Shoreline Scarl - Area Science Park Trieste, che ha formulato due microincapsulati così distinti:
•
PPO3-UD: 30,45 g. - granulometria finale < a 50 µ e rapporto preparato
batterico/matrice pari a 1:1;
•
PPO4-UD: 29,10 g. - granulometria finale < a 50 µ e rapporto preparato
batterico/matrice pari a 1:1.
Gli interventi vaccinali sono stati condotti secondo lo schema seguente:
Vasca 1 -
150 spigole trattate con vaccino microincapsulato PPO3-UD,
somministrato per via orale integrato al mangime commerciale (di
seguito definito matrice 1);
Vasca 2 -
150 spigole trattate con vaccino microincapsulato PPO4-UD,
somministrato per via orale integrato al mangime commerciale (di
seguito definito matrice 2);
Vasca 3 -
150 spigole (gruppo controllo), non vaccinate ed alimentate soltanto con
mangime commerciale.
L’intero programma vaccinale ha seguito il seguente iter: T0 o prima vaccinazione della
durata di 5 giorni, pausa di 5 giorni e T1 o richiamo vaccinale della durata di 5 giorni.
Le vaccinazioni (sia il primo trattamento sia il richiamo) sono state condotte alimentando
le spigole delle vasche 1 e 2 per 10 giorni con 150 g./giorno/vasca di mangime integrato al
vaccino. Nel corso di tutti gli interventi vaccinali la temperatura dell’acqua si è mantenuta
costantemente a 24,6°C e la concentrazione di ossigeno nelle vasche è variata da 6,4 a 8,1
ppm.
Prelievo dei campioni per indagini immunoistochimiche ed immunocitochimiche
Il prelievo dei campioni, effettuato al termine di ogni fase di vaccinazione (T0 e T1) nelle
vasche sperimentali e nella vasca controllo, è stato condotto utilizzando ogni volta 10
soggetti per vasca. Gli animali sono stati sacrificati con overdose di anestetico e di seguito
sottoposti ad esame anatomopatologico per evidenziare l’eventuale presenza di lesioni
riferibili a Fotobatteriosi o, più in generale, di alterazioni macroscopiche. Per ogni soggetto
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sono stati poi prelevati campioni di rene, milza ed intestino posteriore, principale sito di
assorbimento di molecole antigenicamente intatte (Ellis, 1998).
Le indagini immunoistochimiche (IIC) sono state effettuate previa fissazione degli organi
in formalina tamponata al 10%, disidratazione ed inclusione in paraffina seguendo le
metodiche di routine. Dai blocchetti in paraffina sono state ottenute sezioni seriali di 4-5 µm
di spessore fatte aderire su vetrini polilisinati e di seguito sottoposte ad inibizione delle
perossidasi endogene con H2O2 al 0,3% in metanolo, per i campioni di intestino e al 10% per
i campioni di milza e rene. Lo smascheramento dell’antigene è stato effettuato utilizzando un
forno a microonde (750-650-500 W da 5 minuti ognuno) immergendo i preparati in tampone
citrato; i campioni sono stati fatti raffreddare e circoscritti con PAP pen. Sulle sezioni è stato
applicato sia un anticorpo primario monoclonale (Aquatic Diagnostic Ltd., Stirling, UK),
diluito 1:20 in PBS, sia un anticorpo primario policlonale (Microtek Int., Canada), a varie
diluizioni, entrambi incubati per 2 ore a temperatura ambiente ed in camera umida. La
reazione è stata infine svelata mediante il sistema Universal Dako Cytomation LSAB®+ Kit,
Peroxidase (LSAB+Kit, HRP). Dopo lavaggi in PBS, è stata utilizzata la 3,3’diaminobenzidina (DAB) come substrato cromogeno, seguita da contro-colorazione dei
nuclei con Ematossilina di Mayer per 3 minuti. Come controllo positivo di reazione è stato
impiegato un campione di milza con lesioni granulomatose pseudotubercolari risultato
positivo all’esame batteriologico per Phdp. Nel controllo negativo l’anticorpo primario è
stato sostituito con PBS. Per le indagini immunocitochimiche (ICC), piccoli frammenti di
campione sono stati fissati in paraformaldeide al 4% e glutaraldeide allo 0,5% per 2 ore a
4°C. L’inclusione dei pezzi è stata effettuate utilizzando la resina acrilica London White
Resin (LRWhite) (TAAB, England), polimerizzata in UV per 48 ore, applicando la tecnica
post-embedding. Sulle sezioni semifini, colorate con blu di toluidina, sono state identificate
le porzioni di tessuto da sottoporre alle successive indagini ultrastrutturali, utilizzando
sezioni ultrafini poste su griglie di nichel da 150 mesh. Il blocco dei legami aspecifici è stato
ottenuto applicando sulle sezioni Normal Goat Serum (NGS) diluito 1:100 in tampone
fosfato PBS, seguito dall’incubazione con l’anticorpo primario per 2 ore a temperatura
ambiente utilizzato tal quale (non diluito). Dopo successivi lavaggi in PBS-Tween e PBS,
sulle sezioni è stato nuovamente applicato NGS diluito 1:100 per 3 minuti e quindi
l’anticorpo secondario (monoclonale di capra anti-topo, diluito 1/10 in PBS) coniugato a
particelle di oro colloidale del diametro di 10 nanometri (GAM10nm, Sigma-Aldrich). Dopo
lavaggi in PBS ed in acqua distillata ultrapura, le sezioni sono state lasciate asciugare tutta la
notte ed il giorno dopo contrastate con acetato di uranile. Per verificare l’affidabilità della
metodica, la stessa procedura è stata applicata al controllo positivo rappresentato da
frammenti di milza di altra provenienza, appartenenti ad animali sicuramente infetti e
sottoposti alla stessa procedura di inclusione. Come controllo negativo invece (per testare la
specificità dell’anticorpo secondario) sono state utilizzate sezioni incubate con una goccia di
tampone fosfato PBS in sostituzione dell’anticorpo primario.
RISULTATI
I risultati relativi alle indagini IIC sono sintetizzati nella Tabella 1. In tutti i gruppi
sperimentali, a seguito della prima somministrazione vaccinale non è stata riscontrata
positività per l’antigene ricercato in tutti gli organi prelevati. Il richiamo vaccinale ha invece
evidenziato positività (marcatura immunoistochimica) soltanto nel tratto digerente, resa
evidente da una colorazione marrone in corrispondenza dell’avvenuta reazione antigeneanticorpo. In particolare, per le matrici vaccinali 1 e 2, la positività dei soggetti vaccinati è
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stata rispettivamente del 90% e del 100%. Milza e rene anteriore sono risultati invece
negativi.
MATRICE 1
MATRICE 2
CONTROLLO
1a somm.ne
vaccino orale
(%)
Richiamo
vaccino orale
(%)
Positivo
9/10 (90%)
1a somm.ne
vaccino orale
(%)
Intestino posteriore
Negativo
Negativo
Milza
Negativo
Negativo
Negativo
Negativo
Negativo
Rene anteriore
Negativo
Negativo
Negativo
Negativo
Negativo
Negativo
Richiamo
vaccino orale
(%)
Positivo
10/10 (100%)
Tabella 1 - Risultati relativi all’indagine immunoistochimica.
Table 1 – Immunohistochemistry results.
Nei campioni positivi, si sono evidenziati clusters di germi, generalmente localizzati nella
porzione apicale degli enterociti, con disposizione a filiera e associati alla presenza di
formazioni vacuolari singole o multiple, inglobanti i frammenti batterici (Figure 1A e B). La
validità della metodica è stata saggiata utilizzando un controllo positivo di reazione,
rappresentato da campioni di milza appartenenti a soggetti colpiti da infezione naturale; in
tale controllo la positività ottenuta attraverso l’impiego dell’anticorpo Aquatic Diagnostic
Ltd., si è rilevata in corrispondenza delle lesioni granulomatose sotto forma di grossi
aggregati batterici localizzati sia al centro che alla periferia dei granulomi (Figura 1C). Nel
controllo negativo, per il quale è stata usata la soluzione tampone PBS al posto
dell’anticorpo primario, non si è osservata alcuna positività. La riproducibilità della
metodica, definita come la capacità di ottenere lo stesso risultato nelle stesse condizioni in
tempi, luoghi ed operatori diversi, è stata del 100% su 900 repliche.
L’anticorpo Microtek ha invece dimostrato scarsa sensibilità e per tale motivo è stato
deciso di non utilizzarlo nelle indagini ultrastrutturali di tipo immunocitochimico.
L’osservazione al microscopio elettronico dell’intestino proveniente dai gruppi
sperimentali evidenziava delle differenze, sia a livello morfologico che immunocitochimico.
Al fine di apprezzare le variazioni ultrastrutturali osservate, si ritiene utile indicare gli
aspetti fisiologici degli enterociti in pesci sani: questi presentano la tipica forma cilindricoprismatica, con superficie libera composta di microvilli, al di sotto dei quali è presente un
sottile strato compatto, per lo più privo di organelli, definito “trama terminale” o “terminal
web”. Sotto tale trama, nel citoplasma apicale, si possono osservare numerosi mitocondri di
forma allungata associati alla presenza del reticolo endoplasmatico rugoso (RER) in quantità
variabile. Il nucleo delle cellule assorbenti si trova nella parte basale della cellula e presenta
una forma allungata. Nel citoplasma basale i mitocondri sono piuttosto scarsi mentre si
osservano numerosi ribosomi liberi e un apparato di Golgi ben sviluppato, situato in genere
nel polo apicale del nucleo. La base delle cellule assorbenti riposa su una sottile lamina
basale. Intercalate irregolarmente tra gli enterociti sono inoltre osservabili le cellule
caliciformi.
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I vacuoli sono stati ritrovati anche negli enterociti di pesci provenienti dalla vasca controllo
(clinicamente sani), ma in questo caso erano collocati soprattutto nel citoplasma basale e
presentavano dimensioni inferiori rispetto a quelli osservati nei soggetti delle vasche
precedenti. Occasionalmente, vacuoli di piccole dimensioni sono stati evidenziati anche
all’interno della trama terminale. I vacuoli risultavano per lo più vuoti e raramente
contenevano materiale di natura amorfa, come quello osservato nelle vasche 1 e 2.
A
B
C
Figura 1 – A) Intestino posteriore. Positività immunoistochimica localizzata nella porzione apicale dei villi,
evidenziata dalla colorazione marrone (IIC x 10). B) Particolare della figura precedente. Presenza dell’antigene
vaccinale sia all’interno che in corrispondenza del bordo vacuolare (IIC x 40). C) Controllo positivo. Milza.
Granuloma con numerosi clusters batterici (IIC x 20).
Figure 1 – A) Posterior intestine: immunohistochemistry positivity at the top of intestinal villi (IHC x 10). B)
Previous picture magnification: presence of vaccine antigen inside and on the border of a vacuole (IHC x 40).
C) Spleen positive control granuloma with several bacterial clusters (IHC x 20).
I risultati delle indagini ICC hanno confermato quanto evidenziato attraverso le prove di
microscopia ottica. La positività per l’antigene vaccinale è stata svelata dalla presenza di
grani di oro colloidale riscontrati nel materiale di natura amorfa contenuto all’interno e sul
bordo dei vacuoli (Figure 2D, E ed F), in accordo con i risultati ottenuti dalle analisi
immunoistochimiche.
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E
D
F
Figura 2 – D) Intestino posteriore. Aspetto ultrastrutturale della frazione batterica contenuta all’interno di un
vacuolo (TEM, Bar 1 µm). E) Particolare della figura precedente. Immunomarcatura con anticorpo
anti Photobacterium damselae subsp. piscicida, indicato dalla presenza di grani di oro colloidale (asterischi)
(TEM, ICC, Bar 1 µm). F) Intestino posteriore. Campione di controllo nel quale è stato omesso l’anticorpo
primario (TEM, ICC, Bar 1 µm).
Figure 2 – D) Posterior intestine: ultrastructural feature of the bacterial fragment within a vacuole (TEM, Bar
1 µm). E) Previous picture magnification: immunolabelling with an anti Photobacterium damselae subsp.
piscicida antibody, indicated by the presence of colloidal gold granules (black marks) (TEM, ICC, Bar 1 µm).
F) Posterior intestine: control sample without primary antibody (TEM, ICC, Bar 1 µm).
Per stabilire una quantificazione della reazione immunocitochimica sono stati presi in
considerazione i seguenti parametri, resi evidenti in ogni campo visivo:
179
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- assente (grani non presenti);
- debole (fino a 5 grani);
- medio (da 5 a 10 grani);
- elevato (oltre 10 grani).
Il background della reazione è stato valutato osservando il numero di grani d’oro colloidale
eventualmente presenti nella resina attorno alla sezione tissutale, nel nucleo e negli organuli
citoplasmatici. L’assenza di marcatura è stata riscontrata nei campioni del gruppo controllo
(vasca 3), mentre un’elevata positività è stata evidenziata nei campioni appartenenti agli
esemplari delle vasche 1 e 2.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
La Fotobatteriosi dei pesci, sostenuta da Phdp, è a tutt’oggi causa di elevata mortalità negli
allevamenti intensivi di molte specie ittiche marine, prima tra tutti la spigola. Le metodiche
di controllo della malattia si stanno sempre più orientando verso la profilassi indiretta ed in
particolare, verso l’impiego di presidi vaccinali in formulazione orale, al momento impiegati
al solo scopo sperimentale. Quest'i ultimi infatti, rappresenterebbero un’alternativa
interessante ai comuni metodi di vaccinazione (per inoculazione o per immersione), in
quanto potenzialmente meno stressanti per i pesci, meno impegnativi dal punto di vista
dell’impiego di risorse umane e più efficaci nel garantire lo stato di benessere degli animali
allevati (Smith 2002). Inoltre, il distretto intestinale posteriore è riportato in letteratura come
il principale sito di assorbimento antigenico, sia per le diverse specie ittiche, sia in pesci di
diversa età (Olafsen & Hansen, 1992; Bogwald et al., 1994; Quentel & Vigneulle, 1997). In
tale contesto si inserisce il presente studio, nel quale è stata valutata la capacità di
assorbimento in sede intestinale (bioassimilabilità) di un vaccino orale microincapsulato
anti-Phdp per la spigola. Precedenti ricerche hanno già dimostrato che l’intestino è un
organo attraverso il quale si può realizzare l’infezione naturale (Kawahara et al., 1989) e che
tecniche anticorpali in fluorescenza possono svelare la presenza di cellule inattive di Phdp
assorbite all’epitelio intestinale (Kawahara & Kusuda, 1988).
Le indagini da noi condotte hanno consentito di verificare la presenza dello stipite
vaccinale negli enterociti dimostrandone la permanenza in formazioni vacuolari di probabile
origine fagosomiale. Le indagini ultrastrutturali hanno evidenziato la presenza di elementi
batterici disgregati, privi della tipica morfologia bastoncellare e caratterizzati da una matrice
amorfa disomogenea. La presenza antigenica è stata rilevata soltanto nello strato epiteliale
dell’intestino, mentre le cellule macrofagiche, pur diffusamente presenti nella lamina propria
dei villi e nello strato sottomucoso, sono comunque risultate prive di elementi antigenici. I
campioni splenici e renali analizzati, sono anch’essi risultati negativi. Tale condizione
potrebbe essere imputabile ad una mancata o molto ritardata veicolazione dell’antigene dagli
enterociti alle componenti cellulari sopra citate. Tuttavia, risposte immunitarie sistemiche
sono state descritte a seguito di vaccinazione anti-Vibriosi per via anale od orale nella carpa
e nell’orata (Georgopoulou & Vernier, 1986; Rombout & Van Berg 1989; Rombout et al.,
1989; Joosten et al., 1995; 1996; Rombout et al., 1997). In particolare, Joosten et al., 1997,
con l’impiego di un vaccino orale anti-Vibriosi incluso in microsfere di alginato, hanno
dimostrato la produzione mucosale di IgM a livello intestinale sia nella carpa che nella trota.
In conclusione si può affermare che la microincapsulazione del vaccino anti-Phdp si
dimostra un metodo promettente per la vaccinazione orale nelle specie ittiche d’allevamento,
ma ulteriori indagini si renderanno necessarie per valutare l’effettivo grado di protezione
180
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immunitaria fornito dal preparato, qualora i soggetti sottoposti a tale vaccinazione siano
esposti ad infezione naturale.
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Norme per gli autori
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ITTIOPATOLOGIA - Rivista di Patologia degli Organismi Acquatici - è una pubblicazione
quadrimestrale e rappresenta la rivista ufficiale della Società Italiana di Patologia Ittica
(S.I.P.I.).
ITTIOPATOLOGIA pubblica lavori scientifici e comunicazioni brevi riguardanti la patologia
degli organismi acquatici ed argomenti ad essa correlati.
I lavori scientifici potranno essere pubblicati in italiano o in inglese ed andranno articolati
secondo il seguente schema: titolo (in italiano ed in inglese), cognome, nome ed indirizzo
degli autori, riassunto (in italiano ed in inglese), introduzione, materiali e metodi, risultati,
discussione e conclusioni, (eventuali) ringraziamenti, bibliografia. Le comunicazioni brevi
possono essere stilate senza divisione in sezioni e non devono superare complessivamente le
4 pagine.
I lavori scientifici dovranno pervenire su supporto informatico (Floppy Disk o CD o Email) a: Dott. Marino Prearo c/o Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria
e Valle d’Aosta, Via Bologna 148 – 10154 Torino – Tel. 011-2686251; Fax 011-2474458; Email [email protected].
La prima pagina del manoscritto dovrà contenere le seguenti sezioni:
Titolo: va riportato sia in italiano che in inglese e non deve superare possibilmente le 4
righe totali.
Autori: nome completo seguito dal cognome; gli autori vanno contrassegnati utilizzando
numeri esponenziali in riferimento all’istituzione di appartenenza; l’autore a cui dovranno
essere indirizzate le comunicazioni dovrà essere contrassegnato anche con un asterisco.
Enti di appartenenza: dovranno essere elencati con la progressione numerica utilizzata per
gli autori, riportando l’indirizzo completo.
Riassunto: deve sintetizzare l’intero contenuto del lavoro e deve essere stilato sia in
italiano che in inglese (summary); la lunghezza totale (riassunto + summary) non deve
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Parole chiave: vanno riportate dopo il riassunto/summary in lingua inglese (max. 8).
Autore a cui inviare la corrispondenza: va indicato a piè di pagina con indirizzo completo,
numero telefonico, fax e indirizzo di posta elettronica (E-mail).
Il testo del lavoro deve essere scritto con dimensioni del carattere 11 (Times New Roman),
interlinea 1. I termini in latino devono essere scritti in stile corsivo. Il titolo delle sezioni del
lavoro vanno riportati in grassetto maiuscolo. Il riferimento alle figure (foto, tabelle, grafici)
deve essere inserito nel testo tra parentesi [es. (Foto 1) (Tabella 1) (Grafico 1)]. I riferimenti
bibliografici dovranno essere riportati come segue: 1 autore (Diamant, 1996), 2 autori
(Wright & Colorni, 2002), 3 autori ed oltre (Toranzo et al., 2003).
Figure: fotografie, tabelle e grafici dovranno accompagnare a parte il manoscritto ed essere
posizionate in fondo al lavoro. Le fotografie dovranno pervenire in originale o stampate in
bianco e nero con buona risoluzione; il formato elettronico dovrà essere in tif(f) con circa
300 dpi. Le fotografie a colori saranno stampate a spese degli autori (150 euro per pagina).
Didascalie: vanno scritte sia in italiano che in inglese in una pagina a parte, con
indicazione del numero della figura a cui si riferiscono.
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Bibliografia: i riferimenti bibliografici vanno elencati in ordine alfabetico e senza
numerazione, come da esempi qui riportati:
Austin B. & Austin D.A. (1999). Bacterial fish pathogens. In “Disease of farmed
and wild fish. 3rd Ed.”, Praxis Publishing, Chichester, England.
Ghittino C., Prearo M., Bozzetta E. & Eldar A. (1995). Caratterizzazione della
patogenicità dell’agente eziologico della Streptococcosi ittica e prove di
vaccinazione in trota iridea. Boll. Soc. It. Patol. Ittica, 16: 2-12.
Le abbreviazioni dei titoli delle riviste vanno controllate su “World List of Scientific
Periodicals”.
Tutti i lavori saranno valutati dal Comitato Scientifico di “Ittiopatologia” ed inviati a
referees.
Instructions to authors
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ITTIOPATOLOGIA - Rivista di Patologia degli Organismi Acquatici – is a four-monthly
publication and represents the official Journal of Italian Society of Fish Pathology (S.I.P.I.).
ITTIOPATOLOGIA publishes original scientific papers and short communications concerning
the pathology of aquatic organisms and correlated topics.
The scientific papers, written in Italian or English, have to be composed as the following
scheme: title (in Italian and English), surname, name and address of the authors, summary
(in Italian and English), introduction, material and methods, results, discussion and
conclusions, (eventual) acknowledgements, references. The text of short communications
should neither exceed 4 pages nor be divided up into conventional sections.
One complete copy of the paper should be sent together with the file on disk (or by E-mail)
to: Dott. Marino Prearo c/o Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e
Valle d’Aosta, Via Bologna 148 – 10154 Torino – Tel. 011-2686251; Fax 011-2474458;
E-mail [email protected] first page of the manuscript should include the following sections:
Title: both in Italian and English, possibly not exceeding 4 lines.
Authors: complete name and surname, with exponential numbers referring to their
affiliation; the corresponding author should be marked also with an asterisk.
Affiliation: reported under the names.
Summary: should be written both in Italian (Riassunto) and English, not exceeding an
overall length (riassunto + summary) of 30 lines, using 9 point font (Times New Roman).
Key words: no more than 8 key words should follow the summary.
Corresponding Author: has to be reported as a footnote (marked with asterisk) with
address, telephone, fax number and E-mail.
Text: use approximately 11 point font (Times New Roman) and single spacing. Latin names
must be written in italics. The headings of sections should be in bold capital. The
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illustrations (figures, tables, and graphics) must be referred to in correct numerical order in
the text [e.g. (Figure 1) (Table 1) (Graphic 1)]. References in the text should appear as
follows: for 1 author (Diamant, 1996), for 2 authors (Wright & Colorni, 2002), for 3 authors
or more (Toranzo et al., 2003).
Illustrations: figures, tables and graphics should be printed greyscale and saved
separately. Figures should have a resolution of about 300 dpi at final size; preferred format
is tif(f). Colour illustrations will be charged to the authors (150 euros/ page).
Legends: should be listed in a separate page, both in Italian and English, marked with the
number of the illustration.
Reference: the references should be listed in alphabetical order without numbers and
composed as follows:
Austin B., Austin D.A. (1999). Bacterial fish pathogens. In “Disease of farmed and
wild fish. 3rd Ed.” Praxis Publishing, Chichester, England: 48-49.
Ghittino C., Prearo M., Bozzetta E. & Eldar A. (1995). Caratterizzazione della
patogenicità dell’agente eziologico della Streptococcosi ittica e prove di
vaccinazione in trota iridea. Boll. Soc. It. Patol. Ittica, 16: 2-12.
Manuscripts will be evaluated by the Scientific Committee of “Ittiopatologia” and sent to
referees.
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Elenco dei soci sostenitori
della Società Italiana di Patologia Ittica:
Azienda Agricola Canali Cavour di Fariano Lucio
Centallo (CN)
Azienda Ittica “Il Padule” di Fornaciari Argo
Castiglione della Pescaia (GR)
Orbetello Pesca Lagunare
Orbetello (GR)
Società Agricola Ittica Selvuzza S.r.l.
Zoppola (PN)
Troticoltura Foglio Angelo
Bagolino (BS)
Troticoltura Valchiese S.n.c. di Foglio M. & C.
Storo (TN)
Valle Ca’ Zuliani S.r.l.
Pila di Porto Tolle (RO)
Elenco degli sponsor della
Società Italiana di Patologia Ittica:
Skretting Italia – Hendrix S.p.A.
Mozzecane (VR)
Biomar Group Italia
Treviso
Associazione Piscicoltori Italiani
Verona
Fatro S.p.A.
Ozzano Emilia (BO)
Schering Plough Animal Health
Milano
Veronesi S.p.A.
Verona
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