ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 89-90 INDICE Editoriale Editorial M. Prearo ………………………………………………………………….. pag. 91 MONOGRAFIE Viral encephalopathy and retinopathy Encefalopatia e retinopatia virale ITTIOPATOLOGIA Pubblicazione quadrimestrale Rivista ufficiale della Società Italiana di Patologia Ittica Direttore responsabile: Dott. Giuseppe Ceschia Responsabile scientifico: Dott. Marino Prearo c/o Laboratorio di Ittiopatologia e Acquacoltura, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta Via Bologna, 148 10154 Torino Tel.: 011-2686251 Fax: 011-2474458 E-mail: [email protected] Comitato scientifico: Prof.ssa Maria Letizia Fioravanti Prof. Francesco Quaglio Prof. Pietro Giorgio Tiscar Segreteria S.I.P.I.: Prof. Pietro Giorgio Tiscar Università degli Studi di Teramo, Dpt. di Scienze Biomediche Comparate, Piazza Aldo Moro, 45 64100 Teramo Tel.: 0861-266872 Fax: 0861-266873 E-mail: [email protected] C. Maltese, G. Bovo ………………………………………………………. pag. 93 Valutazione della protezione indotta da frazioni antigeniche di Lactococcus garvieae in trota iridea (Oncorhynchus mykiss) Assessment of the protection induced by antigenic fractions of Lactococcus garvieae in rainbow trout (Oncorhynchus mykiss) D. Volpatti, B. Contessi, E. Buonasera, L. Gusmani, M. Bertoia, M. Galeotti …………………………………………………………………. pag. 147 Effetti in vivo ed in vitro di campi magnetici a frequenza estremamente bassa (50 Hz) su mitili (Mytilus galloprovincialis, Lmk, 1819) In vivo and in vitro effects of extremely low frequency electromagnetic fields (50 Hz) on mussels (Mytilus galloprovincialis, Lmk, 1819) V. Narcisi, S. Marozzi, F. Mosca, A. Calzetta, M.G. Finoia, E. Tettamanti, P.G. Tiscar …………………………………………………………………. pag. 163 Studio sulla bioassimibilità orale di un vaccino antiPhotobacterium damselae subsp. piscicida nella spigola (Dicentrarchus labrax) Evaluation of bioavailability of an oral vaccine against Photobacterium damselae subsp. piscicida in reared sea bass (Dicentrarchus labrax) E. Manuali, C. Tiberi, A. Di Salvo, F. Agnetti, G. della Rocca, C. Ghittino, J. Malvisi ……..……………………………………………………………. pag. 173 Norme per gli autori Instructions to authors pag. 183 Autorizzazione: Tribunale di Udine n° 10 del 27 marzo 1990 Codice ISSN: ISSN 1824-0100 Tipografia: Sistem Copy S.a.s. Via Emilia, 47 – 40064 Ozzano Emilia (BO) Foto di copertina: Larva di branzino (Dicentrarchus labrax) con lesioni vacuoliformi da Nodavirus, distribuite in varie aree del cervello. Foto tratta da Maltese & Bovo (2007). 89 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 89-90 Referees: Abete Maria Cesarina Alborali Loris Beraldo Paola Bossù Teresa Bovo Giuseppe Bozzetta Elena Caffara Monica Canestri Trotti Giorgio Ceschia Giuseppe Ciulli Sara Colorni Angelo D’Amelio Stefano Di Cave David Dörr Ambrosius Josef Martin Elia Antonia Concetta Figueras Antonio Fioravanti Maria Letizia Galeotti Marco Galuppi Roberta Ghittino Claudio Gustinelli Andrea Malvisi Josè Manfrin Amedeo Marcer Federica Marino Giovanna Mattiucci Simonetta Orecchia Paola Quaglio Francesco Regoli Francesco Romalde Jesus Lopez Rubini Silva Salati Fulvio Scapigliati Giuseppe Tampieri Maria Paola Tiscar Pietro Giorgio Volpatti Donatella Zaghini Anna Zanoni Renato Giulio 90 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 91-92 Editoriale Editorial Marino Prearo Responsabile Scientifico di ITTIOPATOLOGIA ______________________________ Cari soci, come anticipato nell’editoriale del numero scorso, ha preso corpo la prima monografia su una patologia ittica di particolare interesse: l’Encefalopatia e retinopatia virale (meglio conosciuta come Nodavirosi). Come potrete vedere dalle pagine successive, il lavoro svolto dai colleghi Maltese e Bovo del Centro di Referenza Nazionale per l’Ittiopatologia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie di Legnaro (PD) è stato particolarmente pesante e corposo, meritandosi il plauso del Comitato di Redazione come spero quello di tutti i soci. Come potete osservare, tale monografia, oltre ad essere completa ed esaustiva, presenta una veste editoriale particolare; innanzitutto il testo è stato tradotto in lingua inglese, in modo da costituire un’importante fonte bibliografica per il mondo scientifico non solo nazionale; inoltre si è deciso di pubblicare anche la versione italiana in modo da renderla fruibile a tutti gli addetti ai lavori e agli allevatori; la decisione di separare le due versioni, mantenendo in comune la pagina di presentazione del lavoro, l’iconografia centrale e la bibliografia, è stata dettata da una scelta tecnica, volta a rendere più scorrevole la lettura del lavoro stesso. Speriamo che tale impaginazione incontri il vostro favore e sia per tutti di immediata e facile consultazione. Visto la corposità della monografia pubblicata, in questo volume i lavori originali sono obbligatoriamente diminuiti di numero. Con il prossimo numero di novembre, dove verranno pubblicati anche gli estratti delle prime tre tesi classificate e premiate nel corso del prossimo XIV Convegno SIPI di Castiglione della Pescaia (GR), il numero di lavori originali tornerà ad essere quello consueto. Come promesso, la Redazione ha già pensato ad ulteriori monografie di particolare interesse, che potranno essere sviluppate nel prossimo futuro da gruppi di lavoro specialisti. E’ ancora presto per dare troppa enfasi a tale progetto, ma prevedo che nel prossimo futuro tali monografie prenderanno corpo e saranno pubblicate sulla nostra rivista in tempi relativamente brevi. Restando in “argomento rivista”, da una ricognizione effettuata dalla Segreteria è risultato che diversi soci sono in arretrato con le quote associative. Visto il costo della rivista, ho avuto mandato dalla Presidenza già dal numero scorso, di non inviare più il nostro periodico associativo (leggi rivista) a chi è in arretrato di almeno 3 anni con il pagamento. Con i prossimi numeri, la lista dei soci non aventi più diritto al ricevimento della nostra pubblicazione scientifica, potrebbe aumentare qualora le pendenze non vengano sanate. Esorto pertanto tutti coloro che non hanno provveduto al pagamento delle quote associative 2005, 2006 e 2007 di provvedere al più presto, mettendosi direttamente in contatto con la 91 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 91-92 Segreteria. Vi ricordo che è anche grazie alla quota associativa annuale che la rivista ITTIOPATOLOGIA può continuare a sopravvivere e che risulta possibile organizzare il nostro Convegno che serve anche per far crescere i giovani ricercatori, dando modo di poter esporre il frutto delle loro ricerche, ma soprattutto è volto a proporre temi sempre di attualità per i nostri incontri, invitando ricercatori specialisti presenti nell’ambito del panorama scientifico internazionale. Storicamente il Convegno della Società Italiana di Patologia Ittica rappresenta infatti il punto focale per la divulgazione dei risultati della ricerca condotta sulla patologia degli organismi acquatici nel nostro Paese e lo snodo tra mondo scientifico e mondo produttivo, dove si possono intersecare ed integrare le varie competenze e priorità della ricerca con quelli del mondo imprenditoriale del settore ittico. A tal riguardo voglio porgere i nostri più sentiti ringraziamenti ai diversi soci sostenitori che hanno aderito a tale iniziativa con vero entusiasmo, sperando di aumentarne il numero con gli anni a venire. Un sentito ringraziamento va esteso anche alle numerose ditte ed associazioni che da anni concedono contributi per la realizzazione dei Convegni annuali e per la stampa della rivista. Senza questo importante aiuto, tutto il nostro lavoro risulterebbe sicuramente più difficile! Un cordiale saluto. Il Responsabile Scientifico di ITTIOPATOLOGIA Marino Prearo 92 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 MONOGRAFIE Viral encephalopathy and retinopathy Encefalopatia e retinopatia virale Chiara Maltese, Giuseppe Bovo* Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Viale dell’Università, 10 35020 Legnaro (PD), Italy ______________________________ SUMMARY - Viral encephalopathy and retinopathy is a serious disease causing significant economic damages to marine aquaculture industry. The disease has a wide geographical distribution having been observed in tropical and temperate climates. More than forty species mainly of marine origin have been so far affected and this number is likely to rise in future following the introduction of new species and the increase of aquaculture trade. According to OIE all fish mortalities characterized by abnormal swimming behaviours associated with vacuolar lesions in the nervous tissues containing viral particles of the Nodaviridae family should be ascribed to one single disease, officially identified as viral encephalopathy and retinopathy (VER) also known as viral nervous necrosis (VNN). Affected fish may show different clinical symptoms depending on species, age and temperature; furthermore acute and sub-acute forms characterized by slightly different symptoms and mortality rates are also known. The most characteristic and common clinical sign observed among the different species is an abnormal swimming behaviour characterized by fish showing difficulties to maintain the normal static and dynamic equilibrium, speed and swimming direction and to control the swim bladder inflation. The viral aetiology has been confirmed following the identification of small, non enveloped, RNA agents definitively assigned to the Nodaviridae family, genus Betanodavirus. The existence of four genotypes characterized by high homology has been proposed on the basis of the viral genome analysis. Although horizontal transmission undoubtedly represents the most common transmission route, vertical transmission has also been highly suspected, at least for some species. VER/VNN is commonly diagnosed after isolation of the causative agent in cell cultures followed by identification with immunological or molecular methods. The control of the disease is complicated by difficulties in both applying strict hygiene and preventive measures in open environments like the sea and in selecting broodfish free from infection. Although currently under study, commercial vaccines are unfortunately not yet available. RIASSUNTO - L’encefalopatia e retinopatia virale è una grave patologia in grado di causare ingenti danni economici all’acquacoltura marina. La malattia, caratterizzata da lesioni a carico del tessuto nervoso, è stata segnalata in oltre quaranta specie ittiche, prevalentemente marine; inoltre, è probabile che questo numero di ospiti, già particolarmente elevato, possa aumentare ulteriormente in futuro a seguito dell’introduzione di nuove specie e dell’aumento dei movimenti commerciali. In accordo all’OIE, i vari episodi di mortalità, verificatisi in aree geografiche e specie diverse, caratterizzati da sintomatologia nervosa ed associati alla presenza di particelle virali appartenenti alla famiglia Nodaviridae, vanno ricondotti ad un’unica malattia, denominata ufficialmente encefalopatia e retinopatia virale, nota anche come necrosi nervosa virale, la quale può essere sostenuta da uno o più agenti virali, molto simili tra loro. I soggetti colpiti dalla malattia possono evidenziare diversa sintomatologia clinica, in funzione della specie, età e temperatura; inoltre, sono note forme acute e subacute, cui possono corrispondere differenze nella sintomatologia e mortalità. Il segno che maggiormente accomuna e caratterizza i vari episodi descritti nelle diverse specie è rappresentato da una evidente anomalia natatoria che si manifesta con difficoltà di mantenimento dell’equilibrio statico e dinamico, controllo della velocità e direzione di nuoto, nonché della capacità di regolare il grado di dilatazione della vescica natatoria. La malattia è caratterizzata da un’ampia diffusione geografica, essendo stata segnalata sia in regioni tropicali che temperate. L’eziologia virale è stata confermata a seguito dell’identificazione di un agente a RNA, privo di envelope, definitivamente assegnato alla famiglia Nodaviridae, genere Betanodavirus. In base a studi del genoma virale è stata proposta l’esistenza di 93 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 quattro genotipi, caratterizzati da elevata omologia. La trasmissione orizzontale rappresenta senz’altro l’evento più comune di trasmissione della malattia. Inoltre, almeno per talune specie, è stata ipotizzata anche la possibilità di trasmissione verticale. La diagnosi può essere eseguita tramite isolamento dell’agente causale su colture cellulari, seguito da identificazione mediante metodi immunologici o biomolecolari. Il controllo della malattia è reso difficile dalla difficoltà di poter applicare in ambienti aperti, come quello marino, rigide misure di igiene e profilassi nonché la difficoltà di approvvigionamento di riproduttori indenni dall’infezione. Purtroppo, anche se in fase di studio, non sono a tutt’oggi disponibili validi vaccini commerciali. Key words: Viral encephalopathy and retinopathy, VER, Viral nervous necrosis, VNN, Betanodavirus, Marine fish, Central nervous system, Retina, Abnormal swimming behaviour. ______________________________ * Corresponding author: c/o Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, viale dell’Università, 10 - 35020 Legnaro (PD) – Italy. Phone: 0039 049 8084248, Fax: 0039 049 8084392; E-mail: [email protected]. 94 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 English version NAME AND HISTORY Viral encephalopathy and retinopathy (VER) (Munday et al., 1992; OIE, 2006), also known by synonyms seabass encephalitis (Bellance & Gallet de Saint-Aurin, 1988), viral nervous necrosis (Yoshikoshi & Inoue, 1990), turbot encephalomyelitis (Bloch et al., 1991) and fish encephalitis (Comps et al., 1996) is a neuropathological condition affecting several fish species and caused by a few viral agents belonging to the Nodaviridae family. The first detailed description of the disease was reported in 1988 by Bellance & Gallet de Saint-Aurin on the occasion of mass mortalities occurred in French Martinique involving hatchery-reared seabass (Dicentrarchus labrax) larvae and juveniles; however Glazebrook & Campbell (1987) had previously described in barramundi (Lates calcarifer) similar mortalities associated with brain lesions which in hindsight could probably be referred to betanodavirus infection. Since then, this pathology has been observed in more than forty species from different geographical areas. According to the Office International des Epizooties (OIE, 2006), all mass mortalities affecting marine fish species showing nervous symptoms and associated with the presence of small virus particles of the Nodaviridae family should be regarded as one single disease identified with the official denomination of viral encephalopathy and retinopathy (VER), also known as viral nervous necrosis (VNN). AETIOLOGY Morphological and genomic characteristics VER can be caused by a few viral agents previously identified as members of the Picornaviridae family (Glazebrook et al., 1990; Bloch et al., 1991; Breuil et al., 1991) and capable to induce similar nervous lesions in several species. Subsequently, according to the biochemical characterisation of the nucleic acid and the structural proteins obtained from viral agents isolated from striped jack Pseudocaranx dentex (Mori et al., 1992) larvae and brain tissues of Dicentrarchus labrax and Lates calcarifer (Comps et al., 1994), these agents have been definitively included in the Nodaviridae family (Schneemann et al., 2005) which is composed of two genera: the Alphanodavirus genus, which primarily infects insects such as Nodamura Virus (NOV), Blackbeetle Virus (BBV), Flock House Virus (FHV), Boolarra Virus (BOV) (Schneemann & Marshall, 1998), and the Betanodavirus genus which includes four species affecting fish (Carstens et al., 2000; Schneemann et al., 2005). Agents belonging to Betanodavirus genus are small (25-30 nm), non-enveloped and are characterized by icosahedral morphology (Glazebrook et al., 1990; Bloch et al., 1991). Their genome consists of two single-stranded, positive-sense non-polyadenilated RNA molecules: RNA1 (3.1 Kb) encodes the non-structural protein A (100 Kda) a viral part of the RNAdependent RNA polymerase and the RNA2 (1.4 Kb) that contains an ORF sequence, encoding the capsid protein (44x103 Da) (Mori et al., 1992; Comps et al., 1994). In addition to RNA1 and RNA2 a third RNA molecule (RNA3) already described in alphanodaviruses has been recently proposed for betanodavirus too. As in the case of alphanodaviruses the RNA3 molecule has been found only in infected cell cultures possibly synthesized from RNA1 during virus replication (Iwamoto et al., 2001a; Sommerset & Nerland, 2004). Most knowledge concerning the molecular structure and the biology of betanodaviruses have been obtained studying alphanodaviruses isolated from insects, which although are 95 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 similar in the organisation of the genome and in certain physical properties, differ from the betanodaviruses primarily in the RNA genomic sequence and in the synthesis of the capsid protein. In fact cellular transfection experiments have shown that the betanodavirus capsid protein weighs less than the one of alfanodaviruses (37 Kda) and does not undergo the autocatalytic proteolysis process during the maturation of the pro-virions into infecting virions as occurs in alphanodaviruses (Delsert et al., 1997a; 1997b). An alignment between the capsid protein gene of SJNNV and four distinct alphanodaviruses revealed low similarity (<30%). Similar results have been obtained with the alignment of the aminoacid sequencies of the capsid protein (<11%) (Nishizawa et al., 1995b; Nagai & Nishizawa, 1999) whereas the homology observed between different betanodaviruses is quite high at both the nucleotide (> 75%) and aminoacid (80%) levels (Nishizawa et al., 1995b; Sideris et al., 1997). These results clearly demonstrate the low homology existing between insect and fish nodaviruses and simultaneously underline the high homology existing between betanodaviruses. Serological analysis has recently led to the description of three serotypes. Serotype A and B are related respectively with genotypes SJNNV and TPNNV; serotype C shows correlation with genotypes RGNNV and BFNNV, in agreement with the elevated homology of the RNA2 sequences of these two genotypes (Mori et al., 2003). Taxonomic characterisation and phylogenetic analysis The betanodaviruses so far isolated have been generally identified with reference to the species of origin followed by the acronyms EV (encephalitis virus), NNV (nervous necrosis virus) or NV (nodavirus). Although each host species is usually affected by single, species-specific viral agents, cases in which one host can be infected by distinct isolates have also been reported, such as in Dicentrarchus labrax (Thiery et al., 1999a). On the basis of the phylogenetic analysis of the T4 variable region that encodes the virus capsid protein, betanodaviruses have been clustered in four genotypes that coincide with the four species so far officially identified (table 1): TPNNV, SJNNV, BFNNV and RGNNV, (Nishizawa et al., 1995b; 1997; Dalla Valle et al., 2001; Thiery et al., 2004). The isolates belonging to genotypes SJNNV and TPNNV were obtained respectively from striped jack (Pseudocaranx dentex) and tiger puffer (Takifugu rubripes). Genotype RGNNV, an acronym of the English name, Epinephelus akaara, red-spotted grouper, includes isolates from a significant number of warm water fish species (Skliris et al., 2001), whereas the virus isolates obtained from cold water fish are generally classified in the cluster BFNNV, whose prototype was originally detected in barfin flounder (Verasper moseri) (Dannevig et al., 2000; Grotmol et al., 2000; Starkey et al., 2001), with the exception of one isolate originated from turbot (TNV) for which the inclusion in a fifth genotype has been proposed (Johansen et al., 2004b). The phylogenetic analysis of the known genotypes has shown a clear point of divergence of TPNNV and SJNNV from BFNNV and RGNNV genotypes. Considering a molecular evolution rate of 2.6x10-3 nucleotide substitutions/site/year (Li et al., 1988) this divergence can be dated back to around 100-150 years ago. Furthermore minor divergences occurred in each cluster during the last 10 years, probably favoured by the growth of aquaculture activities that increased remarkably in the same period (Nishizawa et al., 1997). All the Japanese viral isolates belonging to the genotype RGNNV are considered as progenies of one ancestral strain originally isolated from Japanese flounder (Paralichthys olivaceus); this hypothesis is supported by the wide distribution of this species, which is farmed in significant numbers and distributed as juveniles to several aquaculture rearing facilities over a wide geographical area. Moreover, considering that a second isolate obtained 96 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 from the same species belongs to the genotype TPNNV, which is the more distant cluster from RGNNV, it has been hypothesised that the Japanese flounder must have played a key role in the spread of VER (Nishizawa et al., 1997). Tentative Species in the Genus Species in the Genus Barfin flounder nervous necrosis virus (BFNNV) Red spotted grouper nervous necrosis virus (RGNNV) Striped jack nervous necrosis virus (SJNNV) Tiger puffer nervous necrosis virus (TPNNV) Atlantic cod nervous necrosis virus (ACNNV) Atlantic halibut nodavirus (AHNV) Dicentrarchus labrax encephalitis virus (DlEV) Dragon grouper nervous necrosis virus (DGNNV) Greasy grouper nervous necrosis virus (GGNNV) Grouper nervous necrosis virus (GNNV) Halibut nervous necrosis virus (HNNV) Japanese flounder nervous necrosis virus (JFNNV) Lates calcarifer encephalitis virus (LcEV) Malabaricus grouper nervous necrosis virus (MGNNV) Seabass nervous necrosis virus (SBNNV) Umbrina cirrosa nodavirus (UCNV) Table 1 - List of species in the genus Betanodavirus (Schneemann et al., 2005). As regards the geographical distribution of the disease, a European origin has been hypothesised for isolates belonging to genotypes BFNNV and RGNNV, whereas a Pacific origin has been postulated for isolates included in genotypes TPNNV and SJNNV. The isolates belonging to the genotype SJNNV probably reached Europe through trade of ornamental fish, and gradually adapted to both the local warm and cold water species (Aspehaugh et al., 1999). It may also be postulated that after adapting to their new environment and new species, the same viral isolates returned to the Pacific through the exportation of whitefish and salmonids (Aspehaugh et al., 1999; Skliris et al., 2001). It may be very reasonably believed that the molecular evolution of betanodaviruses has been significantly influenced by temperature with adaptation to different or even identical species living in geographical areas characterized by different temperatures (Totland et al., 1999). This hypothesis is supported by the identification of two, genotypically distinct, isolates: the first capable of inducing the disease in seabass farmed on the Atlantic coast, the second one causing the disease in subjects belonging to the same species but farmed in the Mediterranean where temperatures are significantly higher (Thiery et al., 1999a). Furthermore, the genomic homology between viral isolates originating from species native to Oriental and Australian waters and viral isolates obtained from Mediterranean fish suggests the possibility of a parallel-convergent evolution rather than a continuous exchange of strains between different geographical areas as another explanation (Dalla Valle et al., 2001). An additional hypothesis on the spreading of betanodaviruses considers the use of a live dietary component, such as Artemia salina, Tigriopus japonicus and Acetesinte medius (Chi 97 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 et al., 2003). These organisms might act as carriers and easily spread the disease over great distances. This would justify the identification of very similar isolates in hosts farmed far away from one another, such as in the case of the isolates obtained from Hippoglossus hippoglossus in Norway and from Verasper moseri in Japan (Grotmol et al., 1995; Muroga, 1995). On the basis of a phylogenetic study on nine viral strains originating from the Mediterranean area, Dalla Valle et al. (2001) hypothesised the existence of a common ancestral strain hosted in Dicentrarchus labrax. HOSTS AND GEOGRAPHICAL DISTRIBUTION VER has been observed in many geographical regions and is considered a serious economic threat to marine aquaculture industry, especially wherever more susceptible species are reared (Le Breton et al., 1997; Munday & Nakai, 1997; Munday et al., 2002). To date, the disease has been described in over forty species belonging to different orders primarily of marine origin (table 2), and this number is likely to rise in the future with the intensification of aquaculture activity and closer monitoring, including ornamental species (Gomez et al., 2006). Furthermore some important species considered until recently completely resistant, such as seabream (Sparus aurata), are now seriously threatened, because of the recent appearance of some worrying outbreaks (Beraldo et al., 2007; Bovo et al., results unpublished). The disease has been widely described in South-east Asia (Yoshikoshi & Inoue, 1990; Mori et al., 1991; Nakai et al., 1994; Nguyen et al., 1994; Chua et al., 1995; Danayadol et al., 1995; Muroga, 1995; Fukuda et al., 1996; Jung et al., 1996; Chi et al., 1997; Sohn & Park, 1998; Zafran et al., 1998; Bondad-Reantaso et al., 2000; Zafran et al., 2000; Chi et al., 2001; Lai et al., 2001b; Oh et al., 2002; Maeno et al., 2002; Chi et al., 2003; Hegde et al., 2003), in the Mediterranean basin (Breuil et al., 1991; Bovo et al., 1996; Sweetman et al., 1996; Le Breton et al., 1997; Pavoletti et al., 1998; Thiery et al., 1999a; Athanassopoulou et al., 2003; 2004; Maltese et al., 2005), and in the North Sea (Bloch et al., 1991; Grotmol et al., 1995). Betanodavirus infection has recently been reported in fish farmed along the coastal waters of the United Kingdom (Starkey et al., 2000; 2001), Israel (Ucko et al., 2004), North America (Curtis et al., 2001; Barker et al., 2002; Gagnè et al., 2004), Iran (Zorriehzahra et al., 2005), and India (Azad et al., 2005). Despite the fact that the disease is considered typical of marine fish, VER has also been found in certain species reared in fresh water, such as Anguilla anguilla (Chi et al., 2003), Poecilia reticulata (Hedge et al., 2003), Parasilurus asotus (Chi et al., 2003), Acipenser gueldenstaedti (Athanassopoulou et al., 2004), Tandanus tandanus and Oxyeleotris lineolatus (Munday et al., 2002). The disease has also been experimentally induced in Mozambique tilapia (Oreochromis mossambicus) (Skliris & Richards, 1999b) and more recently in juveniles and adults medaka (Oryzias latipes) (Furusawa et al., 2006) in confirmation of the fact that salinity is not a determinant factor. 98 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 Order Anguilliformes Gadiformes Fish species Anguilla anguilla (European eel) Gadus morhua (Atlantic cod) Melanogrammus aeglefinus (Haddock) Perciformes Lates calcarifer (Barramundi, Asian seabass) Lateolabrax japonicus (Japanese seabass) Dicentrarchus labrax (European seabass) Pleuronectiformes Tetraodontiformes Siluriformes Cyprinodontiformes Scorpaeniformes Acipenseriformes Epinephelus aeneus (White grouper) E. akaara (Red spotted grouper) E. awoara (Yellow grouper) E. coioides (Orange-spotted grouper) E. fuscoguttatus (Brown-marbled grouper) E. malabaricus (Malabar grouper) E. marginatus (Dusky grouper) E. moara (Kelp grouper) E. septemfasciatus (Convict grouper) E. tauvina (Greasy grouper) Chromileptes altivelis (Humpback grouper) Latris lineata (Striped trumpeter) Pseudocaranx dentex (Striped jack) Seriola dumerili (Greater amberjack) Trachinotus blochii (Snub nose pompano) Trachinotus falcatus (Yellow-wax pompano) Sparus aurata (Gilthead seabream) Sciaenops ocellatus (Red drum) Umbrina cirrosa (Shi drum) Atractoscion nobilis (White weakfish) Oplegnathus fasciatus (Japanese parrotfish) Oplegnathus punctatus (Rock porgy) Oxyeleotris lineolata (Sleepy cod) Rachycentron canadum (Cobia) Mugil cephalus (Grey mullet) Liza aurata (Golden grey mullet) Lutjanus erythropterus (Crimson snapper) Verasper moseri (Barfin flounder) Hippoglossus hippoglossus (Atlantic halibut) Paralichthys olivaceus (Japanese flounder) Scophthalmus maximus (Turbot) Solea solea (Dover sole) Takifugu rubripes (Japanese puffer fish) Parasilurus asotus (Chinese catfish) Tandanus tandanus (Australian catfish) Poecilia reticulata (Guppy) Sebastes oblongus (Oblong rockfish) Acipensergueldenstaedti (Russian sturgeon) Geographical area Taiwan1 UK2, Canada3, USA4, Norway50 Canada5 Australia6, China7, Indonesia8, Israel7,13, Malaysia9, Phillipines10, Singapore11, 12 1 14 Tahiti , Taiwan , Thailand , India 15 Japan16 Caribbean17, France18, Greece19, Italy20, Malta21, Portugal21, Spain21, Israel13 Israel13 Japan22, Taiwan23 Taiwan24 Phillipines10, Taiwan1 Taiwan24 Thailand26 Mediterranean19 Japan27 Japan28, Korea29 Malaysia30, Phillippines30, Singapore31 Indonesia32, Taiwan1 Australia7 Japan33 Japan34 Taiwan1 Taiwan1 France35, Italy36 Korea37, Israel13 Italy38, France39 USA40 Japan41 Japan33 Australia7 Taiwan1 Israel13 Iran42 Taiwan1 Japan34 Norway43, UK44 Japan45 Norway46 UK2 Japan27 Taiwan25 Australia7 Singapore47 Korea48 Greece49 Table 2 – List of affected species and geographical area in which the disease occurred. 99 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 References: (1) Chi et al., 2001; (2) Starkey et al., 2001; (3) Johnson et al., 2001; (4) Johnson et al., 2002; (5) Gagnè et al., 2004; (6) Glazebrook & Campbell, 1987; (7) Munday et al., 2002; (8) Zafran et al., 1998; (9) Awang, 1987; (10) Maeno et al., 2002; (11) Chang et al., 1997; (12) Renault et al., 1991; (13) Ucko et al., 2004; (14) Glazebrook et al., 1990; (15) Azad et al., 2005; (16) Jung et al., 1996; (17) Bellance & Gallet de Saint-Aurin, 1988; (18) Breuil et al., 1991; (19) Le Breton et al., 1997; (20) Bovo et al., 1999a; (21) Skliris et al., 2001; (22) Mori et al., 1991; (23) Chi et al., 1997; (24) Lai et al., 2001b; (25) Chi et al., 2003; (26) Danayadol et al., 1995; (27) Nakai et al., 1994; (28) Fukuda et al., 1996; (29) Sohn & Park, 1998; (30) BondadReantaso et al., 2000; (31) Chua et al., 1995; (32) Zafran et al., 2000; (33) Mori et al., 1992; (34) Muroga, 1995; (35) Comps & Raymond, 1996; (36) Dalla Valle et al., 2000; (37) Oh et al., 2002; (38) Pavoletti et al., 1998; (39) Comps et al., 1996; (40) Curtis et al., 2001; (41) Yoshikoshi & Inoue, 1990; (42) Zorriehzahra et al., 2005; (43) Grotmol et al., 1995; (44) Starkey et al., 2000; (45) Nguyen et al., 1994; (46) Bloch et al., 1991; (47) Hedge et al., 2003; (48) Kim et al., 2001; (49) Athanossopoulou et al., 2004; (50) Pantel et al., 2007. The high homology observed between the isolate obtained from Epinephelus taurina (ETNNV), a saltwater species, and the isolate (GNNV) obtained from Poecilia reticulata, a very common freshwater ornamental fish, suggests a possible marine origin for the infection detected in this freshwater species (Hedge et al., 2003). These observations raise concerns that further commercially important freshwater fish may be struck by the disease even after only accidental exposure to the causative agent. In addition to agents affecting fish and insects the family Nodaviridae includes some agents which may induce serious infections in shellfish species too; reports from Taiwan, China, and the French West Indies, have confirmed the detection of a viral agent from the freshwater shrimp Macrobrachium rosenbergii suffering high mortalities due to white tail disease (Arcier et al., 1999). Later on, Widada et al. (2003) identified this agent as a member of the Nodaviridae family. Experimental trials to induce the disease in Penaeus indicus, Penaeus japonicus and Penaeus monodon gave negative results (Sudhakaran et al., 2006) suggesting these species should be considered resistant to the infection caused by the nodavirus agent isolated from Macrobrachium rosenbergii. More recently, Pantoja et al. (2007) reported the identification of a nodavirus agent temporarily named LvNV (Litopenaeus vannamei nodavirus) in crustacea farmed in Belize. The list of species affected by the disease or just susceptible to the infection, like some ornamental species (Gomez et al., 2006), is continuously growing. CLINICAL AND ANATOMO-PATHOLOGICAL SIGNS Clinical signs The clinical symptoms are a direct consequence of the lesions occurring in the central nervous system (CNS) and retina, and are primarily represented by an abnormal swimming behaviour that may be manifested in various ways mainly depending on the species and age. In bilaterally symmetrical fish, affected subjects may swim in straight lines and rapidly near the surface, perform extended circular movements while alternating long periods of ataxia and lethargic swimming with quick spinning. Some subjects briefly assume anomalous stationary positions, remaining in vertical position with the head or the caudal fin above the surface of the water. Often, subjects have been observed swimming so fast in a straight line near the surface that they were unable to stop before smacking into the walls of the tank and incurring traumatic lesions to the jaws. Flatfish usually show less evident symptoms, and affected subjects may remain at length on the bottom bending their body with the head and tail raised; sometimes they lies on the bottom with the belly up. They may tremble before starting to swim for an extremely short 100 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 time before dropping to the bottom of the tank with a swaying motion that recalls “autumn leaves falling from a tree” (Perĭc, personal observation). Loss of appetite has been frequently observed as well as a progressive change in pigmentation. The larvae of Lates calcarifer and Hippoglossus hippoglossus tend to lose colour, whereas juveniles of Hippoglossus hippoglossus, Dicentrarchus labrax, Scophthalmus maximus and Epinephelus spp. tend to assume a more intense pigmentation starting from the caudal fin (Bellance & Gallet de Saint-Aurin, 1988; Glazebrook et al., 1990; Yoshikoshi & Inoue, 1990; Bloch et al., 1991; Breuil et al., 1991; Mori et al., 1991; 1992; Boonyaratpalin et al., 1996; Grotmol et al., 1997b; Munday et al., 2002). The life stages during which symptoms and mortality are most frequently observed are linked to the infection route and the affected species (Munday & Nakai, 1997). Although the highest mortality rates have been most frequently observed in larvae and juveniles, serious losses have also been reported in adults, such as in Pseudocaranx dentex (Arimoto et al., 1993; Mushiake et al., 1994; Nguyen et al., 1997), Epinephelus septemfasciatus (Fukuda et al., 1996; Tanaka et al., 1998) and Dicentrarchus labrax (Bovo et al., 1996; Le Breton et al., 1997). Severe losses occurred also in adult halibut (Hippoglossus hippoglossus) and Atlantic cod (Gadus morhua) reared in Norway (Aspehaug et al., 1999; Pantel et al., 2007) which are usually affected during larval and juvenile stages (Grotmol, 2000; Johnson et al., 2001). The appearance of clinical symptoms can be significantly influenced by the temperature (Arimoto et al., 1994; Fukuda et al., 1996; Tanaka et al., 1998). The first observations of the disease closely linked the presence of clinical symptoms and histological lesions to water temperatures of higher than 29-30°C typical of summer in tropical regions; for such reason, the disease was originally called “summer disease” (Bellance & Gallet de Saint Aurin, 1988). Subsequent observations revealed that natural infection and disease may occur in a wider temperature range. Most affected fish belong to warm water species, such as Epinephelus malabaricus, in which mortality occurs between 28-30°C (Danayadol et al., 1995) or Pseudocaranx dentex larvae, which are fatally affected between 20-26 °C (Arimoto et al., 1994). Fukuda et al. (1996) reported that an increase in temperature is a predisposing factor for the disease, while obviously referring to warm water species, even if infection has also been observed in cold water species like Hippoglossus hippoglossus (Grotmol et al., 1995) and Verasper moseri, which commonly display symptoms at 4-5°C. Following intramuscular inoculation of Epinephelus septemfasciatus and Epinephelus akaara with homogenate of brain and eye obtained from infected subjects, Tanaka et al. (1998) concluded that both mortality and symptoms are significantly affected by water temperature after observing the highest mortality and the shortest incubation period at temperatures higher than 28°C. In European seabass (Dicentrarchus labrax), typical clinical signs which are very clear at temperatures of more than 23-25°C tends to decrease as soon as the temperature falls beneath 18-22°C (Sweetman et al., 1996; Bovo et al., 1999a); more rarely, VER outbreaks can occur at lower temperatures between 14-15°C with few or unapparent symptoms (Galeotti et al., 1999; Borghesan et al., 2003). Similar observations have also been reported in Epinephelus septemfasciatus (Tanaka et al., 1998). Moreover, the disease may assume particularly serious development when water temperature fluctuates daily to such degree as to compromise virus defence mechanisms (Fukuda, unpublished data). Totland et al. (1999) showed that one particular Japanese virus strain known to be virulent for Pseudocaranx dentex larvae, a fish species that prefers high water temperatures, was unable to replicate in the larvae of Atlantic halibut (Hippoglossus hippoglossus), a coldwater fish. On the other hand, this latter species can be infected by a virus strain isolated in Norway that is, for some reason, unable to replicate in Pseudocaranx dentex larvae. 101 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 Anatomopathological lesions Hyperinflation of the swim bladder has been frequently reported from different species as in Dicentrarchus labrax, Lates calcarifer and Pseudocaranx dentex (Breuil et al., 1991; Munday et al., 2002) particularly during larval stages. On some occasions, a depigmented area in the cranium skin overhanging the brain and wide open opercula have been reported, together with lesions of the jaws and reddening of the area around the head of probable traumatic origin (Bovo et al., 1996; Sweetmann et al., 1996; Le Breton et al., 1997; Pavoletti et al., 1998) (figure 1). No other significant lesions have been recorded during natural outbreaks. Histopathological lesions The most typical findings detected in clinically affected fish from different species consist of vacuolation and necrosis of nervous cells. The lesions may be detected in different parts of the brain (mesencephalon, metencephalon, telencephalon, medulla oblongata) (figure 2), spinal cord, granular layers of the retina (figure 3), cones and rod cells and near the germinal epithelium (Munday et al., 1992; Grotmol et al., 1995; Comps & Raymond, 1996; Grove et al., 2003). In Atlantic halibut (Hippoglossus hippoglossus) suffering high mortalities during natural VER infection endocardial lesions have been detected in addition to the typical vacuolar lesion normally found. According to the authors the presence of these lesions suggests that viremia may be an important factor in the pathogenesis of VER at least in Atlantic halibut (Grotmol et al., 1997b). The vacuolations observed in the CNS were scattered mainly in the optic tectum, while according to Le Breton et al. (1997) most of the vacuolating lesions observed in seabass are mainly evident in the thelencephalon, diencephalon and the cerebellum. The number and size of the vacuoles may vary considerably depending on the species affected and especially the age; the most serious lesions are observed in larval and juvenile stages in which vast areas of the CNS (Glazebrook et al., 1990; Breuil et al., 1991) may be affected. Generally speaking, both intra- and extra-cellular vacuoles are most numerous in the metencephalon and in the deep granular layer of the retina, even if significant presence is observed in the spinal cord, especially in the area overlying the swim bladder (Galeotti et al., 1999). Evident lesions have also been observed in the spinal ganglia of Oplegnathus fasciatus (Yoshikoshi & Inoue, 1990). Further lesions reported include cellular pyknosis and basophilia (Yoshikoshi & Inoue, 1990); focal pyknosis, karyorectic neurons and infiltration of mononuclear cells (Grotmol et al., 1995). Basophilic inclusions have been observed in nerve cells of Lates calcarifer, Dicentrarchus labrax and Epinephelus malabricus (Glazebrook et al., 1990; Breuil et al., 1991; Boonyaratpalin et al., 1996) furthermore cerebral blood vessels lesions have been described (Le Breton et al., 1997). In adult seabass, the disease shows much less evident symptoms and histopathological lesions (Galeotti et al., 1999). Generally speaking, lesions are much less severe in adult specimens than those described in larval and juvenile stages, given that it is not always easy to identify the characteristic vacuolisations. The lesions of the retina, on the other hand, tend to be more consistent in adults. The inflammatory process is usually very discreet, and the presence of macrophages is probably secondary to vacuolisation. Vacuolisation of the hindgut mucosa, with hyaline droplet formation with occasional epithelial sloughing have also been reported (Glazebrook et al., 1990). 102 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 Histolopathogical changes sometimes observed concurrently with nodavirus outbreaks in liver, kidney, heart, intestine, and the skeletal musculature need not necessarily be linked to betanodavirus infection (Johansen et al., 2004a). Sub-clinical infection Even if asymptomatic carriers are considered the major source of infection, the mechanisms that modulate their resistance and control the viral replication have not yet been adequately documented. According to Johansen et al. (2004a) who investigated the progression of AHNNV infection the virus has been detected in the CNS of survivors the natural infection, during the whole one year study period, by immunohistochemistry (IHC), polymerase chain reaction (PCR) and cell culture isolation method. These results suggest that at least as far as Hyppoglossus hippoglossus is concerned, the carrier status period may last for a long time. The detection of the virus in both male and female gonads and eggs from different species (Arimoto et al., 1992; Mushiake et al., 1994; Nishizawa et al., 1996; De Mas et al., 1998; Dalla Valle et al., 2000) support the hypothesis of a thrue vertical transmission of the disease from infected broodfish to their offspring. Using the immunofluorescent antibody test (IFAT), Nguyen et al. (1997) detected in adult striped jack (Pseudocaranx dentex) the presence of the virus in gonads and other organs, such as the intestine, stomach, kidney and liver, whereas the CNS tested completely negative. In Hippoglossus hippoglossus, viral particles have been observed in nerve cells, astrocytes, oligodendrocytes, microgliocytes, macrophages, lymphocytes, vascular epithelium, and cardial and epicardial endothelium and mesothelium (Grotmol et al., 1997b). Nodavirus-like particles have also been observed in the endocardium from Atlantic salmon (Salmo salar) affected by myocardial syndrome (CMS) (Grotmol et al., 1997a). Using RT-PCR, Dalla Valle et al. (2000) detected the presence of betanodavirus genome in asymptomatic Sciaena umbra and Sparus aurata. The positive result concerning the latter species has been confirmed by different authors (Comps & Raymond, 1996; Dalla Valle et al., 2000; Castric et al., 2001) and suggests this species could play a key role as healthy carrier in the epidemilogy of VER in the Mediterranean area where Dicentrarchus labrax is the main target host. Experimental studies have shown that several species may act as asymptomatic carriers (Glazebrook, 1995; Skliris & Richards, 1999a; Johansen et al., 2003). An additional risk posed to farmed species is represented by the presence in the environment of wild susceptible species, which may maintain the infection in latent state while permitting the survival of the virus in the surroundings, in this way creating a dangerous source of infection. In Canada, certain populations of wild fish are suspected of acting as authentic natural reservoirs, and in fact, the virus has been shown by polymerase chain reaction technique (PCR) to be present in 0.23% of wild Pleuronectes americanus (Barker et al., 2002). A subsequent study performed in Japan on a representative sample of 30 species taken from bays in Yashima (Kagawa Prefecture) and Tamanoura (Nagasaki Prefecture) confirmed that most farmed and wild fish tested positive, even if no clinical symptoms at all were evident at the moment of capture (Gomez et al., 2004). In the Mediterranean basin the presence of VER infection has been confirmed in certain wild species (Ciulli et al., 2006b). The infection seems to be particularly frequent in red mullet (Mullus barbatus barbatus), in which 28.8% prevalence was found (Maltese & Bovo, results not published). It is therefore clearly evident that despite some existing data, the need for further knowledge on the carrier status and the mechanisms of disease transmission should obtain paramount attention, especially in regard to the major farmed species, if disease control strategies are to be significantly improved. 103 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 DISEASE TRANSMISSION Several observations from the field and the results obtained from experimental trials performed by different authors under controlled conditions (Glazebrook et al., 1990; Mori et al., 1991; Arimoto et al., 1993; Nguyen et al., 1994; 1996; Thiery et al., 1997; Grotmol et al., 1999; Peducasse et al., 1999; Totland et al., 1999) completely support the horizontal transmission route; while the possibility for vertical transmission has also been proposed for some species (Nguyen et al., 1997; Breuil et al., 2002; Johansen et al., 2002). Tissue tropism The histopathological lesions associated to betanodavirus infection clearly demonstrate that these agents have a marked primary neurotropism with major replication sites in the CNS and retina. Pathogenetic studies carried out in different species at various life stages have enabled the formulation of several hypotheses on the ways in which the virus reaches its replication sites after penetrating the host. According to Nguyen et al. (1996) one of the initial viral replication sites in Pseudocaranx dentex larvae is the spinal cord, from here; the virus could reach first the brain and then the retina by travelling up the optic nerve. In adult carrier fish the same authors detected, by IFAT, the presence of viral antigens in the gonads, intestine, stomach, kidney and liver, but not in the CNS and retina in this way suggesting a major difference between carrier and clinically affected fish. The positivity found in the viscera reinforces the hypothesis on the offspring contamination through the shedding of virus with gonadal and intestinal products (Nguyen et al., 1997). Furthermore the detection of viral antigens in the olfactory lobes suggests that nasal cavity might also offer a possible point of viral entry (Mladineo, 2003). An additional hypothesis considers the stratified epithelium of the foregut to be a primary virus replication site. This region, in fact, comes easily into contact with the virus present in the water or foods ingested, and from here, through the cranial nerves, the virus could easily reach the brain and the eye (Munday et al., 1992; Grotmol et al., 1999). According to Peducasse et al. (1999) the gills and skin region near the lateral line are the principal penetration viral routes. Horizontal transmission Numerous experimental studies using larval or juveniles from different fish species as models have confirmed the horizontal transmission route. In some cases, the environmental conditions needed for the development of the pathology, such as the temperature and the age of the fish, were tested simultaneously. The disease has been shown to be transmitted through the cohabitation of healthy and infected larvae in Lates calcarifer (Glazebrook et al., 1990). Following experimental infection by bath and intra-peritoneal inoculation Epinephelus akaara juveniles developed the disease 10-14 days after exposure, showing histopathological damages similar to those occurring during natural disease but associated with lower mortality rates (Mori et al., 1991). In Pseudocaranx dentex, the disease was induced in healthy larvae through bath or cohabitation with infected larvae (Arimoto et al., 1993; Nguyen et al., 1996). By adopting the same infection methods VER was also transmitted to Paralichthys olivaceus juveniles (Nguyen et al., 1994). In Epinephelus malabaricus, the disease was transmitted by intra-peritoneal injection of infected material. The clinical signs were comparable to those occurring during the natural disease; the induced mortality rate was 40-60%. In this species, the pathology never 104 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 underwent an acute phase in either natural or experimental conditions, while in stressful situations it appears to be common (Boonyaratpalin et al., 1996). Thiery et al. (1997) reported a 28% mortality rate in Dicentrarchus labrax juveniles following intramuscular inoculation of infected brain homogenate. Peducasse et al. (1999), demonstrated that oral or bath infection or infection by cohabitation leads in Dicentrarchus labrax to a sub-acute form characterized by slight nervous disorders associated with low mortality. According to the same authors more evident nervous disorders and an acute form characterized by higher mortality may be obtained following intramuscular inoculation. It is therefore obvious that both the infectious dose and the virulence of the strain are key factors in pathogenesis. The high resistance of betanodaviruses to environmental conditions (Frerichs et al., 2000; Maltese & Bovo, 2001; Munday et al., 2002) undoubtedly contributes to increase horizontal transmission probability, above all in endemic areas, and this occurs particularly when the juveniles are transferred from hatcheries to ongrowing facilities. Vertical transmission According to some authors, vertical transmission may represent an important virus spreading route in farmed populations (Arimoto et al., 1992; Yoshimizu et al., 1997; Breuil et al., 2002). Although vertical transmission is strongly suspected because of clear epidemiological data showing the high prevalence of the infection in the very earliest larval stages and in the juveniles of various species reared in farms provided with water treatment (Breuil et al., 1991; Arimoto et al., 1992; Comps et al., 1996; Yoshimizu et al., 1997; Grotmol & Totland, 2000), it has not yet been effectively demonstrated. Vertical transmission has been hypothesised because of the observation of the viral agent in the gonads and fertilised eggs of Pseudocaranx dentex by means of ELISA (Arimoto et al., 1992), RT-PCR (Mushiake et al., 1994; Nishizawa et al., 1996; Dalla Valle et al., 2000; Breuil et al., 2002) and IFAT (Nguyen et al., 1996; 1997); furthermore, the virus has been identified in fertilised eggs and larvae originating from experimentally infected broodfish (Breuil et al., 2002). These data suggest that even if the disease might be transmitted from broodfish to their offspring, it is not yet clear whether real intra-ovarian transmission is involved or whether an external contamination may occur and transmit the infection to young larvae at the moment of hatching. Other transmission routes In 1998, Skliris & Richards considered the possibility that Artemia salina and the rotifer Brachionus plicatilis, fresh feeds commonly used in marine aquaculture facilities for larvae, might represent natural nodavirus reservoirs and therefore play a key role in the transmission of the disease. The negative outcome of the virological tests performed by infecting SSN-1 cell cultures with homogenates of these two invertebrates and the absence of virus-like particles from their organs convinced the authors that the risk in this case existed only at the level of mechanical carrier following superficial contamination. Chi et al. (2003) also considered the possibility that a diet based on Artemia salina, Tigriopus japonicus and Acetesinte medius, from which the virus has been isolated, might represent an infection source. An additional possibility for transmission of the disease might be represented by feeding using raw fish (Mori et al., 2005) a practice that is mainly used for the broodstock. Furthermore cannibalism could represent a common route for disease transmission in nature. 105 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 IMMUNE RESPONSE The studies and the information currently available on the immune response of fish affected by VER are unfortunately very limited. The disease often appears precociously, particularly in the earliest larval stages characterized by high mortalities, which might be reasonably ascribed to deficiencies of the immune system not yet completely developed. Adult fish instead may usually provide an adequate response to the infection; nevertheless serious losses associated to clear symptoms have been often detected in adult fish too (Arimoto et al., 1993; Mushiake et al., 1994; Bovo et al., 1996; Fukuda et al., 1996; Le Breton et al., 1997; Nguyen et al., 1997; Tanaka et al., 1998; Aspehaug et al., 1999). In Hippoglossus hippoglossus it has been demonstrated that fish surviving the infection may become carriers for a relatively long time (Johansen et al., 2004a). In a few occasions, even if specific symptoms were still present, the virus was not always detectable, mainly because of its very low concentration, tending to disappear completely after recovery (Fukuda et al., 1996). Preliminary studies following experimental infection or administration of inactivated or recombinant vaccines have enabled the detection of specific antibodies in infection-resistant subjects (Breuil & Romestand, 1999; Tanaka et al., 2001; Yamashita et al., 2005; Thiery et al., 2006). According to Grove et al. (2003) the antibody response occurs only when the experimental infection is provided by intra-peritoneal inoculation and not by immersion (Grove et al., 2003), nevertheless the immune response occurring following a natural outbreak may persist at high level for one year or even more (Johansen et al., 2004a). In one study performed in immuno-competent Atlantic halibut (Hippoglossus hippoglossus) inoculated with AHNNV a clear immune response has been detected in the plasma starting from day 18 p.i. until day 56 p.i. during which a continues increase of the antibody activity has been observed. Further results suggest that the presence of infectious virus in the CNS may elicit a local antibody production by plasma cells (Grove et al., 2006) DIAGNOSTIC METHODS VER has been for a long period diagnosed on the basis of the characteristic clinical symptoms associated with the presence of vacuolar lesions in the CNS and the retina. The availability of the first cell line (SSN-1) susceptible to betanodavirus replication provided a valid diagnostic tool (Frerichs et al., 1996). Later on further cell lines useful for diagnostic and research purposes were developed (Chi et al., 1999a; Watanabe & Yoshimizu, 1999; Iwamoto et al., 2000; Chang et al., 2001; Lai et al., 2001a; 2003). In addition, molecular biology tests were adopted in the early ’90s. According to the OIE diagnostic manual (2006), the screening of asymptomatic fish should be performed by isolation of the causative agent in SSN-1 or E-11, a clone derived from SSN-1 cells, followed by identification by means of IFAT or RT-PCR. In case of clinical suspicion direct detection of the virus by IFAT, IHC or RT-PCR may be used in addition to the virus isolation method. Above and beyond the recommendations in the OIE manual, several diagnostic methods and different applications are reported in the current literature. Histopathology and immunohistochemistry Histopathological examinations cannot, unfortunately, be considered a valid diagnostic tool both because reports concerning juvenile subjects characterised by the scarcity or complete absence of specific lesions have been described (Bovo et al., 1996; Galeotti et al., 106 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 1999) and because the vacuolar lesions even if associated with the disease, although highly indicative of the same, cannot be considered pathognomonic. On the other hand, it is widely known that IHC represents an extremely useful diagnostic and research tool (Mutinelli et al., 1998; Grove et al., 2003; Johansen et al., 2004b). In fact the application of IHC permits a clear identification of the viral antigens in the cytoplasm of degenerated cells (figure 4) and in the spongious lesions of both the CNS and the retina. IHC may be also applied to investigate on previous infection. This situation has been recently observed in fry weighing approximately three grams that tested positive following IHC analysis without showing any nervous symptoms or characteristic histopathological lesions referred to nodavirus infection (Galeotti et al., 1999). The positivity revealed by IHC in the absence of histopathological lesions might indicate either a limited viral pathogenicity or a convalescent phase in which the rare positive cells observed represent the residual virus in subjects surviving the acute phase of the disease (Galeotti et al., 1999). When only rare positive cells are detected by IHC in brain sections, better response should be obtained including the eyes and looking at the retina which is described as a site of frequent viral antigen presence (Galeotti et al., 1999; Mladineo, 2003). Electron microscopy Because betanodaviruses are small-sized viruses (25-30 nm), their direct observation by electron microscopy (EM) in pathological material may be difficult especially when present in limited concentration. This difficulty is also due to the limited sensitivity of the method. In clinically affected fish, especially when larvae and juveniles are involved, the high concentration of virus particles makes diagnosis easier. In EM preparations, the virions either appear free in the cytoplasm or associated to the endoplasmic reticulum membranes. The membranes of the mitochondrial internal crests appear to be completely destroyed, whereas the plasmatic membranes remain intact. In some cases, viral particles have been observed inside the cytoplasm in the form of para-crystalline aggregates (Figure 5) (Glazebrook et al., 1990; Bloch et al., 1991; Breuil et al., 1991; Boonyaratpalin et al., 1996; Grotmol et al., 1997b). Virions are observed primarily in nerve cells, astrocytes, oligodendrocytes and microgliocytes (Yoshikoshi & Inoue, 1990; Grotmol et al., 1997b). In Atlantic halibut (Hippoglossus hippoglossus), however, viral particles were observed also in the endothelial cells, in the lymphocytes near the endocardium, in cardial myocytes, and in the epicardium cells (Grotmol et al., 1997a). Cell culture isolation Cell culture is the most important tool currently available for the isolation, replication and identification of animal viruses. Until 1993, over 150 cell lines (Fryer & Lannan, 1994) were used for the isolation and identification of pathogenic fish viruses, most of which derived from freshwater fish tissue and only a small part from saltwater fish. Immediately after the appearance of VER, numerous attempts were made to isolate the virus using the principle existing cell lines (Watanabe & Yoshimuzu, 1999), but none of them were successful. In 1996, Frerichs et al. succeeded in replicating the virus in a cell line that originated in 1991 from striped snakehead fish fry (Ophiocephalus striatus) called SSN-1. This cell line is not so easy to maintain and in addition it is persistently infected by a Type-C retrovirus known as SnRV (Frerichs et al., 1991; Hart et al., 1996). In order to remediate the use of this contaminated cellular substrate, six cellular clones were created from SSN-1 (A6, B7, C3, E2, E9, E11) and their susceptibility in regard to the four official betanodavirus genotypes have been assessed (Iwamoto et al., 2000). Unfortunately, all the three clones that proved most permissive to the development of the cytopathic effect (A6, E9, and E11) still tested 107 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 positive, by PCR and EM, for the presence of SnRV. This result suggests that the contaminating retrovirus may play an important role in the replication of the virus in the SSN-1 cells and the clones derived (Lee et al., 2002), probably by inducing the production of a specific membrane receptor capable of promoting the adhesion of the nodavirus to the single cells. No cell cultures originated from seabass (Dicentrarchus labrax) gonads, larvae, fins, or brain tissue apparently free from retroviruses, in fact, proved susceptible to a reference strain isolated from seabass (personal observations by the authors). Further betanodavirus susceptible cell lines have subsequently been developed, such as GF-1 derived from fin tissues of Epinephelus coioides (Chi et al., 1999a; 1999b), SF, derived from larvae of Lates calcarifer (Chang et al., 2001), GB, originating from brain of E. awoara (Lai et al., 2001b; 2003), TF from Scophthalmus maximus (Aranguren et al., 2002), and GS, derived from the spleen of E. coioides (Qin et al., 2006). A cell line known as BB originated from the brain of barramundi (Lates calcarifer) persistently infected with a VER isolate has recently been developed. This cell line might offer a valid model for the study of virus infection and replication mechanisms both in vivo and in vitro (Chi et al., 2005). Additional information on the capacity of nodavirus strains isolated from seabass to replicate in cell cultures has been obtained by studying the lytic cycle in three fish cell lines (SBL, RTG-2, BF-2) and one mammal cell line (Cos1) (Delsert et al., 1997b). The fish cells were more permissive than those of the mammal, in this way demonstrating that unlike insect nodaviruses, betanodaviruses are not capable of replicating in many cell cultures. Furthermore, whereas the insect nodaviruses infect a large quantity of tissues in diseased insects, betanodaviruses possess a more specific tropism for nerve cells. In SSN-1 cells, the cytopathic effect appears on the 3rd day post infection and is characterized by the appearance of intracellular vacuolar lesions unevenly distributed throughout the cell monolayer. These vacuolar lesions initially are isolated and began assuming the form of vacuolized cellular aggregates after the passage of hours (figure 6). Seventy-two hours post infection, their number and size increase considerably and the cellular monolayer is gradually replaced by cellular lysis until a complete destruction. Subsequent studies have shown that SSN-1 cells can also be useful to differentiate genotypes characterized by different optimal growth temperatures (Totland et al., 1999). It has been indeed possible to classify, in four groups, seventeen different isolates originating from thirteen saltwater fish according to the specific cytopathic effect induced on SSN-1 cells (Iwamoto et al., 1999). The first group, including nine viral isolates belonging to genotype RGNNV and originated from Epinephelus akaara, E. septemfasciatus, E. mooara, E. coioides, Dicentrarchus labrax, Lates calcarifer, Oplegnathus punctatus, Paralichthys olivaceus, induced three days post infection a cytopathic effect characterized by round, granular cells with cytoplasmic vacuoles that led to the complete destruction of the monolayer within the 6th day. The second group including viral isolates belonging to genotype SJNNV obtained from Pseudocaranx dentex induced a cytopathic effect characterised by small, round, granular and refractive cells without any consistent vacuolisation. The third group, represented by one single isolate of the genotype TPNNV obtained from Takifugu rubripes, and the fourth group, consisting of viral isolates belonging to genotype BFNNV (four originating from Paralichthys olivaceus, one obtained from Gadus macrocephalus and one from Hippoglossus hippoglossus) induced the appearance of a cytopathic effect similar to the one caused by strains belonging to RGNNV genotype but only at 20°C, while at higher temperatures no cytopathic effect may be detected. In addition to the differences observed in cytopathic effect morphology, in fact, different viral strains displayed different optimum replication temperatures, according to their belonging genotype: 108 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 15-20°C for BFNNV, 20°C for TPNNV, 20-25°C for SJNNV and 25-30°C for RGNNV (Iwamoto et al., 2000). These data are extremely important for diagnostic purposes because they underline the need for incubation of the inoculated monolayers at different temperatures whenever the epidemiological knowledge indicates the presence of different genotypes in the same area. Enzyme-linked Immunosorbent Assay Several authors reported interesting results from application of different applications of enzyme-linked immunosorbent assay (ELISA) tests primarily adopted for the detection of betanodavirus antibody activity (Mushiake et al., 1992, Nishizawa et al., 1995a; Breuil & Romestad, 1999; Breuil et al., 2000; Watanabe et al., 2000; Breuil et al., 2001; Huang et al., 2001; Husgarõ et al., 2001; Lai et al., 2001a; Grove et al., 2003). The limitations of this test above all regard the lack of correlation often observed between the detection of specific antibodies and the disease status; in fact fish tested positive for the presence of the virus may test negative for antibody detection and vice-versa (Husgarõ et al., 2001). Nevertheless according to different authors ELISA may be very useful for identification and selection of carriers fish among the broodstock; in fact investigations on ovary tissues revealed a significant virus prevalence despite negative results obtained from brain tissues belonging to the same population (Arimoto et al., 1992). Further applications of ELISA to select seronegative broodfish have been later reported (Breuil & Romestand, 1999; Breuil et al., 2000). According to Watanabe et al. (2000) the detection of carrier barfin flounder (Verasper moseri) should be performed by simultaneous application of both PCR and ELISA to detect viral genome from ovarian biopsies and specific antibodies activity in sera from fish previously exposed to the infection. Immunofluorescence antibody test The application of IFAT is suggested in the diagnostic manual OIE (2006), both as a confirmatory method for identifying viral strains replicating on cell cultures (figure 7), both as an identification method applied directly on brain sections of symptomatic animals. In the latter case, the method allows a rapid confirmation of clinical suspicions, as long as only samples showing apparent clinical symptoms are processed, since the analytical sensitivity of the method is lower than molecular and isolation methods; nevertheless, during the clinical phase, the enormous amount of virus present in the brain tissue can easily permit a definitive diagnosis also by IF. In this regard a rapid method applied to brain imprints (figure 8) has been reported (Bovo et al., 1999b). Furthermore the IF has also been widely applied as a method of studying the pathogenesis of the disease after experimental infection (Nguyen et al., 1996; 1997; Tanaka et al., 1998). Polymerase Chain Reaction Despite the fact that cell culture virus isolation represents the official method suggested by the OIE as the gold screening method for the detection of living infectious virus, molecular biology methods based primarily on the PCR test may offer a valid diagnostic method and an indispensable research tool. Thanks to their high sensitivity and specificity, molecular methods can detect the presence of viral genetic material in subjects with latent infection and in samples with very low virus concentrations (Iwamoto et al., 2001a; 2001b). Most PCR methods have been developed primarily for the amplification of a small region of the genomic sequence of the RNA2 that codes for the virus’s capsid protein (Nishizawa et al., 1994; 1996; Thiery et al., 1999b; Dalla Valle et al., 2000; Grotmol et al., 2000; Skliris et al., 2001). In addition several studies have been focused on molecular biology analysis and 109 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 sequencing of RNA1 (Nagai & Nishizawa, 1999; Tan et al., 2001; Sommerset & Nerland, 2004). In recent years, additional molecular procedures have been developed in order to improve sensitivity and specificity, such as real-time PCR (Starkey et al., 2004; Dalla Valle et al., 2005; Grove et al., 2005, Ciulli et al., 2006a). CONTROL METHODS The scarcity of epidemiological data and the limited knowledge on the pathogenic mechanisms of the disease still pose one of the greatest obstacles to the efficient control of VER. For this reason, a multifaceted approach must be adopted that combines the adoption of strict hygienic measures and direct prophylaxis actions and control over each and every broodfish with the identification and discharge of carriers that must necessarily be excluded from reproductive activity. Particular attention should be directed to the introduction of wild animals, potential vehicles of infection. When introducing new animals in a farm they must be segregated in quarantine areas until all the appropriate control tests have been completed prior to release into the broodstock. To this end, molecular methods characterized by high sensitivity and capable of identifying the presence of the viral genome in the gonads, seminal fluid and blood of carrier fish have been developed and described in recent years. The development of molecular procedures based on nested and real-time PCR methods (Dalla Valle et al., 2000; Gomez et al., 2004; Starkey et al., 2004; Dalla Valle et al., 2005; Grove et al., 2005; Ciulli et al., 2006a) has increased significatively the analytical sensitivity of the diagnostic tests in this way providing a valuable tool for VER control. Their adoption in official survey programs could increase in the next future the efficacy of the preventive measures applied in order to avoid or reduce outbreaks due to vertical transmission from infected broodfish to their offspring. In addition to these direct diagnostic methods, the possibility to adopt indirect diagnosis through the quantification of specific antibodies has also been described (Arimoto et al., 1992; Breuil & Romestand, 1999). Parallelly to the control of the broodstock, disease control must provide for the compartmentalisation of the different productive areas, adoption of strict bio-security procedures including disinfection of tanks, nets, boots, and all the other equipment used, with particular attention to the hatchery, representing the most critical and dangerous site in terms of virus spreading inside and into the surroundings. Among the substances with the best virucidal effect, a large description has been provided for iodophors, which are fully effective even at low concentration (25-100 ppm) (Arimoto et al., 1996; Frerichs et al., 2000; Maltese & Bovo, 2001). Valid results can be obtained using hypochlorite solutions (Arimoto et al., 1996; Frerichs et al., 2000), while the use of formalin seems to be less efficacious (Frerichs et al., 2000). In addition to the normal hygiene measures that must be taken, a correct management of the personnel assigned to the different activities and of the visitors must also be adopted. Particular attention should be paid to the disinfection of embryonated eggs. To this end different papers have underlined the use of ozone (Arimoto et al., 1996; Grotmol & Totland, 2000). The application of ozone for disinfection of eggs hatched from halibut (Hippoglossus hippoglossus) experimentally infected has been demonstrated to be particularly effective and capable of completely neutralising the virus adhering to the surface, in this way reducing the risk of transmitting the disease to the larvae (Grotmol & Totland, 2000). Nevertheless this procedure has not always proven effective, at least in regard to halibut infection (Johansen & Grotmol, personal communication). Similar discrepancies have also been reported with eggs of Gadus morhua and Scophthalmus maximus. According to Munday et al., (2002) the water entering the hatcheries should be treated with ozone and no recirculation adopted. Treatment 110 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 of water entering the farm with UV radiation has also been proposed as a way to reduce environmental contamination (Arimoto et al., 1996; Frerichs et al., 2000; Maltese & Bovo, 2001). It is amply clear, however, that like any other serious disease that cannot be chemically treated, VER control will undergo a significant improvement only when a valid vaccine will be available. In fact no commercial vaccine does yet exist, despite the increased efforts of certain research groups in the recent years (Husgarõ et al., 2001; Tanaka et al., 2001; Yuasa et al., 2002; Coeurdacier et al., 2003; Sommerset et al., 2003; 2005; Thiery et al., 2006; Lin et al., 2007) which in some cases have led to encouraging results. The use of a recombinant capsid protein vaccine obtained from a viral strain of SJNNV has induced a significant level of protection in Scophthalmus maximus juveniles against a subsequent challenge with the homologous virus (Husgarõ et al., 2001). A similar result associated with the appearance of a significant antibody titer has been obtained in Epinephelus septemfasciatus (Tanaka et al., 2001) following two consecutive intramuscular injections each consisting of 60 µg of recombinant capsid protein expressed in Escherichia coli. Partial protection has also been obtained in humpback grouper (Chromileptes altivelis) inoculated with three consecutive administrations at regular 10-day intervals of 70 µg of a mixture of three recombinant capsid proteins (Yuasa et al., 2002). Sommerset et al., (2001) described the efficacy of a recombinant SJNNV capsid protein vaccine in Scophthalmus maximus juveniles provided with intra-peritoneal inoculation. Subsequent studies confirmed the possibility of inducing significant protection in turbot (Scophthalmus maximus) using an AHNV recombinant capsid protein vaccine, whereas no protection at all was observed in subjects of the same species injected with a DNA-AHNV capsid protein vaccine (Sommerset et al., 2005). One final interesting observation worthy of further investigation is the degree of protection obtained in Scophthalmus maximus vaccinated with a DNA vaccine obtained through the insertion of the coding gene for the glycoprotein of hemorrhagic septicaemia virus (VHS) challenged with the nodavirus isolated from Hippoglossus hippoglossus (AHNV) (Sommerset et al., 2003). The efficacy of a vaccine based on an RGNNV genotype strain inactivated by formalin and administered through intra-peritoneal inoculation in Epinephelus septemphasciatus has recently been reported (Yamashita et al., 2005), and the high rate of survival (RPS=85) observed in subsequent field tests suggests the possibility for future practical application. More recently, results obtained by Thiery et al. (2006), following injection i.m. of a recombinant baculovirus vaccine obtained from the expression of the capsid protein have shown, under experimental conditions, the possibility to induce a significant protection in seabass (Dicentrarchus labrax) of 22-66 grams against subsequent exposure to the virus. FUTURE PROSPECTS Despite having been already passed 20 years after the first description of the disease, some important issues still remain unresolved or not fully understood, particularly with regard to the mechanisms of disease transmission and the role of asymptomatic carriers. For some species the possibility of vertical transmission has been strongly suggested; nevertheless it has not yet been definitively shown whether it is a true vertical transmission or, rather, a phenomenon of egg shell contamination is more likely to occur. If so, it would be just a matter of finding an effective disinfection protocol, which can prevent the transmission of the disease from infected broodfish to their offspring. 111 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 Otherwise, in the presence of a real intra ovo transmission, the only option to avoid infection in larval and juvenile stages will be based exclusively on the identification and removal of subclinical infected broodfish, besides the need for disinfection of water coming into the hatchery. In this regard, as suggested by some authors, screening of broodfish could be advantageously implemented with the adoption of biomolecular diagnostic protocols for the research of the virus in ovarian and seminal fluids, and gonad biopsies and, simultaneously, serological methods, such as the ELISA, highlighting the presence of specific antibodies, a sign of previous infection. More attention should also be addressed in future to interactions and exchanges of pathogens, between farmed and wild populations, to assess the risk of transmission of infection from one environment to another. Despite all efforts that can be implemented and more restrictive measures taken, it is estimated that the optimal solution can be achieved only when an effective vaccine will be available. AKNOWLEDGEMENTS Many thanks are due to colleagues providing the electron microscopy (dr. Montesi Francesco), histopathology and immunohistochemistry (dr. Franco Mutinelli and dr. Marta Vascellari) pictures and to dr. Fabio Borghesan for his assiduous practical co-operation. 112 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 PLATE 1 – TAVOLA 1 1 2 3 4 Figure 1 – European seabass (Dicentrarchus labrax) showing traumatic lesions associated to betanodavirus infection. Figure 2 – European seabass larva (Dicentrarchus labrax) with vacuolar lesions scattered in the brain. Figure 3 – European seabass larva (Dicentrarchus labrax) showing vacuolar lesions mostly scattered in the granular layers of the retina. Figure 4 – Positive betanodavirus IHC staining on european seabass (Dicentrarchus labrax) brain section. Figura 1 – Branzino (Dicentrarchus labrax) con lesioni traumatiche associate all’infezione da betanodavirus. Figura 2 – Larva di branzino (Dicentrarchus labrax) con lesioni vacuoliformi distribuite in varie aree del cervello. Figura 3 – Larva di branzino (Dicentrarchus labrax) con lesioni vacuoliformi diffuse prevalentemente negli strati granulari della retina. Figura 4 – Immunoistochimica (IHC) positiva per betanodavirus su sezione di cervello di branzino (Dicentrarchus labrax). 113 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 PLATE 2 – TAVOLA 2 5 7 6 8 Figure 5 – Betanodavirus particles detected by EM in european seabass (Dicentrarchus labrax) brain. Figure 6 – Betanodavirus cytopatic effect on SSN-1 cells. Figure 7 – Positive betanodavirus IFAT staining on infected SSN-1 cells. Figure 8 – Positive betanodavirus IFAT staining on european seabass (Dicentrarchus labrax) brain imprint. Figura 5 – Visione al Microscopio Elettronico di betanodavirus nel cervello di branzino (Dicentrarchus labrax). Figura 6 – Effetto citopatico causato da betanodavirus in cellule SSN-1. Figura 7 – Immunofluorescenza (IF) positiva nei confronti di betanodavirus in cellule SSN-1. Figura 8 – IF positiva nei confronti di betanodavirus su impronta di cervello di branzino (Dicentrarchus labrax). 114 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 Versione italiana DENOMINAZIONE E CENNI STORICI L’encefalopatia e retinopatia virale (ERV) (Munday et al., 1992; OIE, 2006) nota anche con i sinonimi di encefalite del branzino (Bellance & Gallet de Saint-Aurin, 1988), necrosi nervosa virale (Yoshikoshi & Inoue, 1990), encefalomielite del rombo (Bloch et al., 1991), encefalite ittica (Comps et al., 1996), è una condizione neuropatologica, caratterizzata da vacuolizzazione e necrosi dei neuroni del sistema nervoso centrale (SNC) e delle cellule degli strati granulari della retina, descritta in diverse specie ittiche e sostenuta da alcuni agenti virali appartenenti alla famiglia Nodaviridae. Il primo caso di ERV è stato descritto dettagliatamente nel 1988 da Bellance & Gallet de Saint-Aurin, in occasione di un grave episodio di mortalità, occorso nella Martinica francese, che aveva interessato stadi larvali e giovani soggetti di branzino europeo (Dicentrarchus labrax) d’allevamento. Già in precedenza comunque, Glazebrook & Campbell (1987), avevano descritto un episodio di mortalità verificatosi nel branzino australiano (Lates calcarifer) con presenza di lesioni cerebrali che, giudicando a posteriori, avrebbero potuto essere compatibili con un’infezione da betanodavirus. Da allora questa patologia è stata evidenziata in oltre quaranta specie ittiche marine, allevate in diverse aree geografiche. In accordo all’Office International des Epizooties (OIE, 2006) i vari episodi di mortalità, verificatisi in aree geografiche e specie diverse, caratterizzati da sintomatologia nervosa ed associati alla presenza di particelle virali appartenenti alla famiglia Nodaviridae, vanno ricondotti ad un’unica malattia denominata Encefalopatia e retinopatia virale (ERV), nota anche come necrosi nervosa virale (NNV), la quale può essere sostenuta da uno o più agenti virali, molto simili tra loro. EZIOLOGIA Caratteristiche morfologiche e genomiche La ERV può essere causata da più agenti virali, preliminarmente identificati come membri della famiglia Picornaviridae (Glazebrook et al., 1990; Bloch et al., 1991; Breuil et al., 1991), in grado di indurre, nei diversi ospiti colpiti, sintomi e lesioni comuni. Successivamente, in base alla caratterizzazione biochimica dell’acido nucleico e delle proteine strutturali ottenute da agenti isolati sia da larve di Pseudocaranx dentex (Mori et al., 1992) che da cervello di Dicentrarchus labrax e Lates calcarifer (Comps et al., 1994), i diversi agenti in grado di causare la ERV sono stati inclusi nella famiglia Nodaviridae (Schneemann et al., 2005). Questa famiglia comprende due generi: gli Alphanodavirus, cui appartengono agenti patogeni per gli insetti, tra cui il Nodamura Virus (NOV), Blackbeetle Virus (BBV), Flock House Virus (FHV) e Boolarra Virus (BOV) (Schneemann & Marshall, 1998) ed il genere Betanodavirus che include alcune specie in grado di colpire i pesci (Carstens et al., 2000; Schneemann et al., 2005). I virioni sono privi di envelope e possiedono un capside a morfologia icosaedrica con diametro compreso tra 25 e 30 nm (Glazebrook et al., 1990; Bloch et al., 1991). Il genoma consiste di due filamenti monoelica di mRNA-senso senza struttura poli-A. L’RNA1 (3,1 Kb) codifica per la proteina A (100 Kda), presumibilmente componente dell’RNA polimerasi RNA-dipendente, mentre l’RNA2 (1,4 Kb) codifica per la proteina capsidica (44x103 Da) (Mori et al., 1992; Comps et al., 1994). Oltre all’RNA1 e RNA2, una terza molecola di RNA (RNA3), già descritta negli alphanodavirus, sembra essere 115 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 sintetizzata dall’RNA1 nel corso della replicazione di SJNNV e rilevabile solo nel surnatante di cellule infette (Iwamoto et al., 2001a; Sommerset & Nerland, 2004). La maggior parte delle conoscenze della struttura e biologia molecolare dei nodavirus fa riferimento a studi riguardanti i virus isolati dagli insetti, i quali, pur rimanendo simili nell’organizzazione del genoma ed in alcune proprietà fisiche, differiscono dai betanodavirus, principalmente nella sequenza genomica del RNA e nella modalità di sintesi delle proteine capsidiche. Attraverso esperimenti di transfezione cellulare, infatti, è stato possibile dimostrare che la proteina capsidica dei betanodavirus ha un peso inferiore a quella degli alfanodavirus (37 Kda) e non è sottoposta al processo di proteolisi autocatalitico durante la maturazione dei provirioni in virioni infettanti, come avviene invece nel caso dei nodavirus degli insetti, ma è codificata direttamente da un segmento presente sull’RNA 2, chiamato ORF-1 (Delsert et al., 1997a; 1997b). Nella comparazione delle sequenze nucleotidiche ed aminoacidiche di RNA1 e RNA2 tra alfanodavirus e betanodavirus è stato rilevato un grado di omologia inferiore al 30% (Nishizawa et al., 1995b; Nagai & Nishizawa, 1999). L’omologia riscontrata all’interno dei betanodavirus invece, è molto elevata, sia a livello nucleotidico (>75%), sia a livello aminoacidico (80%) (Nishizawa et al., 1995b). Questi risultati, in seguito confermati da Sideris et al. (1997) sottolineano l’elevata omologia esistente all’interno del genere betanodavirus che si differenzia significativamente dal genere alfanodavirus, con il quale esiste un grado limitato di omologia. Dal punto di vista sierologico sono stati recentemente descritti 3 sierotipi: il sierotipo A trova corrispondenza col genotipo SJNNV, il sierotipo B si correla significativamente con il genotipo TPNNV, mentre il sierotipo C mostra correlazioni con i genotipi RGNNV e BFNNV. L’elevata correlazione sierologica evidenziata tra questi ultimi due genotipi, trova riscontro con l’elevata omologia della sequenza dell’RNA2, nei due genotipi stessi (Mori et al., 2003). Caratterizzazione tassonomica e filogenesi I diversi ceppi di betanodavirus, fino ad oggi isolati, sono stati generalmente identificati con la sigla della specie di origine, seguiti dagli acronimi EV (encephalitis virus) o NNV (nervous necrosis virus) oppure NV (nodavirus). In genere ogni specie è colpita da singoli agenti virali specie-specifici, ma sono stati descritti anche episodi in cui una specie ittica può essere infettata da ceppi virali diversi, come in Dicentrarchus labrax (Thiery et al., 1999a). In base all’analisi filogenetica della regione variabile T4 che codifica per la proteina capsidica del virus, i betanodavirus sono stati classificati in quattro genotipi distinti che coincidono con le specie virali fino ad oggi identificate (tabella 1): TPNNV, SJNNV, BFNNV e RGNNV, (Nishizawa et al., 1995b; 1997; Dalla Valle et al., 2001; Thiery et al., 2004). I ceppi appartenenti ai genotipi SJNNV e TPNNV sono stati isolati rispettivamente dallo Pseudocaranx dentex e dal Takifugu rubripes. Il genotipo RGNNV, acronimo del nome inglese di red-spotted grouper (Epinephelus akaara), comprende ceppi isolati da un ampio numero di specie ittiche di acqua calda (Skliris et al., 2001), mentre nel cluster BFNNV, il cui prototipo virale è stato isolato da Verasper moseri, si collocano i ceppi isolati da pesci di acqua fredda (Dannevig et al., 2000; Grotmol et al., 2000; Starkey et al., 2001) con l’eccezione di un ceppo isolato dal rombo (TNV) di cui è stata proposta la classificazione in un quinto genotipo (Johansen et al., 2004b). Gli studi filogenetici evidenziano un punto di divergenza dei due generi TPNNV e SJNNV, dai restanti BFNNV-RGNNV che, considerato un tasso di evoluzione molecolare di 2,6x10-3 sostituzioni nucleotidiche/sito/anno (Li et al., 1988), può essere datato a circa 100-150 anni addietro. In ogni cluster inoltre sono state evidenziate divergenze minori riferibili agli ultimi 116 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 10 anni, probabilmente favorite dalle crescenti attività di acquacoltura che, nello stesso periodo, hanno subito un incremento notevole (Nishizawa et al., 1997). Specie nel Genere Tentativo di Specie nel Genere Barfin flounder nervous necrosis virus (BFNNV) Red spotted grouper nervous necrosis virus (RGNNV) Striped jack nervous necrosis virus (SJNNV) Tiger puffer nervous necrosis virus (TPNNV) Atlantic cod nervous necrosis virus (ACNNV) Atlantic halibut nodavirus (AHNV) Dicentrarchus labrax encephalitis virus (DlEV) Dragon grouper nervous necrosis virus (DGNNV) Greasy grouper nervous necrosis virus (GGNNV) Grouper nervous necrosis virus (GNNV) Halibut nervous necrosis virus (HNNV) Japanese flounder nervous necrosis virus (JFNNV) Lates calcarifer encephalitis virus (LcEV) Malabaricus grouper nervous necrosis virus (MGNNV) Seabass nervous necrosis virus (SBNNV) Umbrina cirrosa nodavirus (UCNV) Tabella 1 – Elenco delle specie appartenenti al genere Betanodavirus (Schneemann et al., 2005). I ceppi giapponesi appartenenti al genotipo RGNNV sono considerati progenie del ceppo originalmente isolato da Paralichthys olivaceus; questa ipotesi è avvalorata dall’ampia diffusione di questa specie ittica che, riprodotta artificialmente in numero significativo, viene distribuita, allo stadio giovanile, in diversi impianti di acquacoltura presenti su una vasta area geografica. Inoltre, considerato che un secondo ceppo isolato da questa specie appartiene al genotipo TPNNV, geneticamente lontano da RGNNV, si può ipotizzare che Paralichthys olivaceus possa aver giocato un ruolo fondamentale nella diffusione della ERV (Nishizawa et al., 1997). Con riferimento alla distribuzione geografica della malattia è stata ipotizzata, per i ceppi appartenenti ai genotipi BFNNV e RGNNV un’origine Europea ed una Pacifica per quanto riguarda i ceppi inclusi nei genotipi TPNNV e SJNNV (Aspehaugh et al., 1999). Probabilmente, i ceppi appartenenti al genotipo SJNNV potrebbero essere giunti in Europa attraverso la commercializzazione di pesci ornamentali, adattandosi gradualmente alle specie autoctone sia d’acqua calda che d’acqua fredda. Si può ancora ipotizzare che gli stessi ceppi, dopo l’adattamento al nuovo ambiente e alle nuove specie, possano essere stati nuovamente trasferiti nel Pacifico, attraverso l’esportazione di varie specie ittiche (Aspehaugh et al., 1999; Skliris et al., 2001). Inoltre si può ritenere che, molto ragionevolmente, l’evoluzione molecolare del virus possa essere stata significativamente influenzata dalla temperatura, con adattamento a specie ittiche tra loro diverse o anche identiche, diffuse in aree geografiche caratterizzate da temperature diverse (Totland et al., 1999). Quest’ipotesi è supportata dall’individuazione di due ceppi virali, genotipicamente diversi tra loro, in grado, il primo di indurre la malattia in branzini allevati sulla costa atlantica ed il secondo di causare la malattia in soggetti appartenenti alla 117 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 stessa specie, ma allevata nel bacino del Mediterraneo, dove la temperatura è sensibilmente maggiore (Thiery et al., 1999a). Inoltre, l’omologia genomica tra i ceppi virali isolati da specie dei mari orientali ed australiani con quella di virus isolati da pesci del Mediterraneo, suggerisce una via alternativa, ovvero la possibilità che si sia verificata un’evoluzione parallela/convergente, piuttosto che un continuo scambio di ceppi tra differenti aree geografiche (Dalla Valle et al., 2001). Un’ulteriore ipotesi relativa alla diffusione del virus, prende in considerazione l’utilizzo di alimento vivo, come Artemia salina, Tigriopus japonicus e Acetesinte medius (Chi et al., 2003). Questi organismi infatti, potrebbero veicolare l’agente virale e diffondere facilmente la malattia in ampi territori; si giustificherebbe pertanto l’isolamento di ceppi simili in ospiti allevati in siti geografici lontani, come nel caso del ceppo isolato in Norvegia da halibut (Hippoglossus hippoglossus) ed il ceppo isolato in Giappone da Verasper moseri (Grotmol et al., 1995; Muroga, 1995). Dalla Valle e coll. (2001) hanno ipotizzato, sulla base di uno studio filogenetico effettuato utilizzando nove ceppi virali dell’area Mediterranea, l’esistenza di un comune ceppo ancestrale ospite di Dicentrarchus labrax. OSPITI E DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA Questa patologia, diffusa in diverse parti del mondo, rappresenta un importante problema economico per l’acquacoltura marina, soprattutto dove maggiore è il numero di specie allevate (Le Breton et al., 1997; Munday & Nakai, 1997; Munday et al., 2002). La malattia fino ad oggi è stata segnalata in oltre quaranta specie ittiche, prevalentemente di origine marina, appartenenti a diverse famiglie (tabella 2) e non si può escludere che in futuro, con l’intensificazione delle attività di acquacoltura, il numero delle specie sensibili possa aumentare significativamente, includendo anche specie oggi ritenute resistenti, quali l’orata (Sparus aurata), in cui recentemente si sono osservati preoccupanti episodi di mortalità (Beraldo et al., 2007; Bovo et al., osservazioni personali) e specie ornamentali (Gomez et al., 2006). La mortalità, che normalmente compare nel corso degli stadi larvali e giovanili, è spesso particolarmente grave. La malattia è ampiamente diffusa nel sud-est Asiatico (Yoshikoshi & Inoue, 1990; Mori et al., 1991; Nakai et al., 1994; Nguyen et al., 1994; Chua et al., 1995; Danayadol et al., 1995; Muroga, 1995; Fukuda et al., 1996; Jung et al., 1996; Chi et al., 1997; Sohn & Park, 1998; Zafran et al., 1998; Bondad-Reantaso et al., 2000; Zafran et al., 2000; Chi et al., 2001; Lai et al., 2001b; Oh et al., 2002; Maeno et al., 2002; Chi et al., 2003; Hegde et al., 2003); è ampiamente presente inoltre nel bacino del Mediterraneo (Breuil et al., 1991; Bovo et al., 1996; Sweetman et al., 1996; Le Breton et al., 1997; Pavoletti et al., 1998; Thiery et al., 1999a; Athanassopoulou et al., 2003; 2004; Maltese et al., 2005) ed è stata descritta anche nel Mare del Nord (Bloch et al., 1991; Grotmol et al., 1995). Più recentemente l’infezione da nodavirus è stata segnalata nelle acque costiere del Regno Unito (Starkey et al., 2000; 2001), Israele (Ucko et al., 2004), Nord America (Curtis et al., 2001; Barker et al., 2002; Gagnè et al., 2004), Iran (Zorriehzahra et al., 2005) ed India (Azad et al., 2005). Nonostante sia ritenuta tipica delle specie ittiche marine, la VER è stata riscontrata e descritta anche in alcune specie allevate in acqua dolce, quali anguilla europea (Anguilla anguilla) (Chi et al., 2003), guppy (Poecilia reticulata) (Hedge et al., 2003), Parasilurus asotus (Chi et al., 2003), storione russo (Acipenser gueldenstaedti) (Athanassopoulou et al., 2004), Tandanus tandanus e Oxyeleotris lineolatus (Munday et al., 2002). La malattia è stata inoltre indotta sperimentalmente nella tilapia del Mozambico (Oreochromis mossambicus) 118 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 (Skliris & Richards, 1999b) e, più recentemente, in giovani ed adulti di medaka (Oryzias latipes) (Furusawa et al., 2006) a conferma che la salinità non rappresenta un fattore condizionante. L’elevata omogeneità genetica riscontrata tra il ceppo isolato dalla specie marina Epinephelus taurina (ETNNV) e l’agente isolato da Poecilia reticulata (GNNV), specie dulciacquicola, suggerisce una possibile origine dell’infezione dall’ambiente marino (Hedge et al., 2003). Ordine Anguilliformes Gadiformes Specie ittiche Anguilla anguilla Gadus morhua Melanogrammus aeglefinus Areale geografico Taiwan1 Regno Unito2, Canada3, USA4, Norvegia50 Canada5 Australia6, Cina7, Indonesia8, Israele7,13, Malaysia9, Filippine10, Singapore11, Tahiti12, Taiwan1, Thailandia14, India 15 Giappone16 Caraibi17, Francia18, Grecia19, Italia20, Malta21, Portogallo21, Spagna21, Israele13 Israele13 Giappone22, Taiwan23 Taiwan24 Filippine10, Taiwan1 Taiwan24 Thailandia26 Bacino del Mediterraneo19 Giappone27 Giappone28, Corea29 Malaysia30, Filippine30, Singapore31 Indonesia32, Taiwan1 Australia7 Giappone33 Giappone34 Taiwan1 Taiwan1 Francia35, Italia36 Corea37, Israele13 Italia38, Francia39 Stati Uniti40 Giappone41 Giappone33 Australia7 Taiwan1 Israele13 Iran42 Taiwan1 Perciformes Lates calcarifer Lateolabrax japonicus Dicentrarchus labrax Epinephelus aeneus E. akaara E. awoara E. coioides E. fuscoguttatus E. malabaricus E. marginatus E. moara E. septemfasciatus E. tauvina Chromileptes altivelis Latris lineata Pseudocaranx dentex Seriola dumerili Trachinotus blochii Trachinotus falcatus Sparus aurata Sciaenops ocellatus Umbrina cirrosa Atractoscion nobilis Oplegnathus fasciatus Oplegnathus punctatus Oxyeleotris lineolata Rachycentron canadum Mugil cephalus Liza aurata Lutjanus erythropterus 119 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 Ordine Pleuronectiformes Tetraodontiformes Siluriformes Cyprinodontiformes Scorpaeniformes Acipenseriformes Specie ittiche Verasper moseri Hippoglossus hippoglossus Paralichthys olivaceus Scophthalmus maximus Solea solea Takifugu rubripes Parasilurus asotus Tandanus tandanus Poecilia reticulata Sebastes oblongus Acipenser gueldenstaedti Areale geografico Giappone34 Norvegia43, Regno Unito44 Giappone45 Norvegia46 Regno Unito2 Giappone27 Taiwan25 Australia7 Singapore47 Corea48 Grecia49 Tabella 2 – Elenco delle specie in cui è stata evidenziata la malattia naturale e relative aree geografiche. Bibliografia: (1) Chi et al., 2001; (2) Starkey et al., 2001; (3) Johnson et al., 2001; (4) Johnson et al., 2002; (5) Gagnè et al., 2004; (6) Glazebrook & Campbell, 1987; (7) Munday et al., 2002; (8) Zafran et al., 1998; (9) Awang, 1987; (10) Maeno et al., 2002; (11) Chang et al., 1997; (12) Renault et al., 1991; (13) Ucko et al., 2004; (14) Glazebrook et al., 1990; (15) Azad et al., 2005; (16) Jung et al., 1996; (17) Bellance & Gallet de Saint-Aurin, 1988; (18) Breuil et al., 1991; (19) Le Breton et al., 1997; (20) Bovo et al., 1999a; (21) Skliris et al., 2001; (22) Mori et al., 1991; (23) Chi et al., 1997; (24) Lai et al., 2001b; (25) Chi et al., 2003; (26) Danayadol et al., 1995; (27) Nakai et al., 1994; (28) Fukuda et al., 1996; (29) Sohn & Park, 1998; (30) BondadReantaso et al., 2000; (31) Chua et al., 1995; (32) Zafran et al., 2000; (33) Mori et al., 1992; (34) Muroga, 1995; (35) Comps & Raymond, 1996; (36) Dalla Valle et al., 2000; (37) Oh et al., 2002; (38) Pavoletti et al., 1998; (39) Comps et al., 1996; (40) Curtis et al., 2001; (41) Yoshikoshi & Inoue, 1990; (42) Zorriehzahra et al., 2005; (43) Grotmol et al., 1995; (44) Starkey et al., 2000; (45) Nguyen et al., 1994; (46) Bloch et al., 1991; (47) Hedge et al., 2003; (48) Kim et al., 2001; (49) Athanossopoulou et al., 2004; (50) Pantel et al., 2007. Queste osservazioni sollevano alcuni interrogativi sulla possibilità che altre specie d’acqua dolce d’importanza commerciale, possano essere colpite dalla malattia se esposte accidentalmente all’agente causale. Membri della famiglia Nodaviridae sono stati individuati oltre che nei pesci e negli insetti, anche in alcuni crostacei. Recenti segnalazioni da Taiwan, Cina ed isole dei Caraibi francesi, hanno confemato il coinvolgimento di un agente virale in gravi episodi di mortalità, riferiti come malattia della coda bianca, che hanno colpito alcuni allevamenti del gambero di acqua dolce Macrobrachium rosenbergii (Arcier et al., 1999). Successivamente Widada e coll. (2003) hanno identificato l’agente isolato come membro della famiglia Nodaviridae. Indagini successive, condotte da Sudhakaran et al. (2006) infettando con lo stesso agente soggetti apparteneti alle specie Penaeus indicus, Penaeus japonicus and Penaeus monodon, non hanno dato alcun esito positivo, facendo quindi supporre una resistenza di queste specie nei confronti dell’agente isolato da Macrobrachium rosenbergii. Più recentemente Pantoja et al. (2007) hanno riportato l’identificazione di un agente provvisoriamente denominato LvNV (Litopenaeus vannamei nodavirus) da crostacei allevati in Belize. L’elenco delle specie suscettibili o in cui è stata comunque evidenziata la presenza del virus, come ad esempio alcune specie commercializzate a scopo ornamentale (Gomez et al., 2006), sembra essere in continua evoluzione. 120 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 SEGNI CLINICI ED ANATOMO-PATOLOGICI Sintomatologia I segni clinici della ERV sono conseguenti alle lesioni provocate nel SNC e nella retina e sono rappresentati principalmente da anomalie natatorie che si possono manifestare in vari modi, soprattutto in funzione dell’età e della specie ittica colpita. Nelle specie a simmetria bilaterale, i soggetti colpiti possono presentare un nuoto rettilineo e rapido in superficie, compiere ampi movimenti circolari, alternando lunghi periodi di atassia e nuoto letargico a rapidi guizzi. Alcuni soggetti assumono per brevi periodi posizioni stazionarie anomale, rimanendo in posizione verticale con l’estremità cefalica o con quella caudale fuori dalla superficie dell’acqua. Spesso si rinvengono soggetti che nuotano in superficie con un moto rettilineo talmente rapido da non riuscire ad arrestarsi in prossimità delle pareti delle vasche, procurandosi lesioni traumatiche mandibolari. I pesci piatti manifestano generalmente scarsa sintomatologia. I soggetti colpiti possono rimanere a lungo adagiati sul fondo, evidenziando flessioni dorsali del corpo con testa e coda innalzate. In alcuni casi compaiono anche tremori coincidenti con l’inizio dell’attività natatoria, spesso molto breve, cui segue la caduta del soggetto sul fondo della vasca, con un movimento ondeggiante che ricorda “il distacco e la discesa delle foglie da un albero” (Perĭc, osservazioni personali). In alcuni soggetti si nota una diminuzione dell’appetito ed un cambiamento progressivo della pigmentazione. Le larve di Lates calcarifer e di Hippoglossus hippoglossus tendono ad impallidire, mentre i giovani di Hippoglossus hippoglossus, Dicentrarchus labrax, Scophthalmus maximus ed Epinephelus spp., tendono ad assumere una colorazione più intensa, a partire dalla regione caudale (Bellance & Gallet de Saint-Aurin, 1988; Glazebrook et al., 1990; Yoshikoshi & Inoue, 1990; Bloch et al., 1991; Breuil et al., 1991; Mori et al., 1991; 1992; Boonyaratpalin et al., 1996; Grotmol et al., 1997b; Munday et al., 2002). L’età in cui più frequentemente si osserva la comparsa di sintomi e mortalità, è correlata alle modalità di infezione e alla specie colpita (Munday & Nakai, 1997). Le mortalità maggiori sono state osservate più frequentemente negli stadi larvali e in soggetti giovani, ma si possono verificare perdite significative anche in pesci adulti come in Pseudocaranx dentex (Arimoto et al., 1993; Mushiake et al., 1994; Nguyen et al., 1997), Epinephelus septemfasciatus (Fukuda et al., 1996; Tanaka et al., 1998) e Dicentrarchus labrax (Bovo et al., 1996; Le Breton et al., 1997). Anche nel caso dell’halibut (Hippoglossus hippoglossus) e di Gadus morhua allevati in Norvegia, di cui sono colpiti generalmente gli stadi larvali e giovanili (Grotmol, 2000; Johnson et al., 2001), sono stati riportati casi di infezione in soggetti adulti (Aspehaug et al., 1999; Pantel et al., 2007). La comparsa dei segni clinici può essere significativamente influenzata dalla temperatura (Arimoto et al., 1994; Fukuda et al., 1996; Tanaka et al., 1998). Le prime osservazioni della malattia hanno evidenziato una stretta correlazione tra intensità dei segni clinici e delle lesioni istologiche a valori di temperatura dell’acqua superiori a 29-30°C, tipici del periodo estivo di aree tropicali: pertanto la patologia fu inizialmente chiamata “summer disease” (Bellance & Gallet de Saint Aurin, 1988). Successivamente è stato osservato che l’infezione naturale può manifestarsi, in funzione delle specie colpite, entro un ampio range di temperatura, compreso tra 17 e 28°C. La maggior parte dei pesci colpiti appartiene a specie d’acqua calda come Epinephelus malabaricus, in cui la mortalità si manifesta con valori di temperatura tra 28-30°C (Danayadol et al., 1995), oppure le larve di Pseudocaranx dentex che manifestano i segni tipici della malattia in un intervallo di temperatura compreso tra 20-26°C (Arimoto et al., 1994). 121 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 Secondo Fukuda et al. (1996) l’innalzamento della temperatura rappresenta un fattore predisponente la malattia, ovviamente con riferimento alle specie d’acqua calda. L’infezione è stata comunque riscontrata anche in specie d’acqua fredda, come nel caso di Hippoglossus hippoglossus (Grotmol et al., 1995) e Verasper moseri, che manifestano la malattia a temperature comprese tra 4-5°C. Tanaka et al. (1998) hanno concluso che, dopo inoculazione intramuscolare con omogenato di cervello e occhio prelevati da soggetti infetti in Epinephelus septemfasciatus ed in Epinephelus akaara, la mortalità ed i sintomi dell’infezione sono fortemente influenzati dalla temperatura dell’acqua; infatti la maggiore mortalità ed il minor periodo d’incubazione sono stati osservati a 28°C. Nel branzino europeo (Dicentrarchus labrax) la manifestazione clinica dell’infezione compare in misura eclatante, a temperature superiori ai 23-25°C e tende a regredire non appena la temperatura scende intorno ai 18-22°C (Sweetman et al., 1996; Bovo et al., 1999a); più raramente si possono verificare focolai di malattia a temperature più basse, comprese tra 14-15°C, con sintomatologia scarsa o inapparente (Galeotti et al., 1999; Borghesan et al., 2003). Simili osservazioni sono state riportate anche nel caso di Epinephelus septemfasciatus (Tanaka et al., 1998). Inoltre, la malattia può assumere un andamento particolarmente grave in presenza di fluttuazioni giornaliere della temperatura dell’acqua, in grado di influenzare negativamente i meccanismi di difesa nei confronti del virus (Fukuda, dati non pubblicati). Totland et al. (1999), hanno dimostrato che un ceppo giapponese virulento nei confronti di larve di Pseudocaranx dentex, una specie ittica che predilige alte temperature, non è in grado di replicarsi in larve di halibut, una specie di acqua fredda. Per contro, quest’ultima specie può essere infettata da un ceppo isolato in Norvegia, il quale però non è in grado di replicarsi in larve di Pseudocaranx dentex. Lesioni anatomopatologiche Tra le lesioni interne, è stata frequentemente riscontrata l’iperdilatazione della vescica natatoria, come in Dicentrarchus labrax, Lates calcarifer e Pseudocaranx dentex (Breuil et al., 1991; Munday et al., 2002). Talvolta sono state riscontrate aree depigmentate della cute a livello craniale, in corrispondenza del cervello, opercoli dilatati, lesioni mandibolari e arrossamento dell’area cefalica (Bovo et al., 1996; Sweetmann et al., 1996; Le Breton et al., 1997; Pavoletti et al., 1998), di probabile origine traumatica (figura 1). Non vengono segnalate altre lesioni significative durante episodi naturali della malattia. Lesioni istopatologiche All’esame istologico si apprezza la presenza di lesioni vacuolari in differenti regioni del cervello (mesencefalo, metencefalo, telencefalo, midollo allungato e corda spinale) tali da conferire un caratteristico aspetto spugnoso (figura 2). Inoltre sono state spesso descritte lesioni alla retina, associate o meno alla presenza di antigene virale caratterizzate dalla presenza di vacuoli localizzati negli strati granulari (figura 3), negli strati dei coni e bastoncelli ed in prossimità dell’epitelio germinativo (Munday et al., 1992; Grotmol et al., 1995; Comps & Raymond, 1996; Grove et al., 2003). Oltre alle lesioni vacuolari, tipiche dell’azione dei betanodavirus, Grotmol et al. (1997b) hanno identificato, in un episodio di malattia naturale in Hippoglossus hippoglossus, la presenza di lesioni cardiache conseguenti, secondo gli stessi autori, alla fase viremica dell’infezione. La numerosità e la grandezza dei vacuoli possono variare considerevolmente in funzione della specie colpita e soprattutto dell’età; i casi più gravi sono osservati negli stadi larvali e giovanili con presenza di vacuolizzazione estesa su vaste aree del sistema nervoso centrale e 122 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 dell’occhio (Glazebrook et al., 1990; Breuil et al., 1991). I nuclei e gli organelli delle cellule vacuolizzate si presentano spesso in uno stato avanzato di degenerazione. In generale i vacuoli, sia intra che extracellulari, sono più numerosi nel mesencefalo e nello strato profondo della retina, anche se un forte interessamento si può osservare a carico del midollo spinale, soprattutto nella porzione sovrastante la vescica natatoria (Galeotti et al., 1999). Grotmol e coll. (1997b) hanno evidenziato, in larve e giovani di Hippoglossus hippoglossus, la presenza di vacuolizzazioni, sia dei neuroni sia dei gangli cefalici in misura maggiore, sia nel “tectum optico” che nel sistema nervoso simpatico e gangli spinali. Al contrario secondo Le Breton et al. (1997), nei branzini adulti, il “tectum optico” rappresenterebbe la parte del sistema nervoso meno colpito. Lesioni evidenti sono state osservate anche nei gangli spinali di Oplegnathus fasciatus (Yoshikoshi & Inoue, 1990). Altre lesioni riportate includono picnosi e basofilia cellulare (Yoshikoshi & Inoue, 1990), picnosi focale, carioressi dei neuroni e presenza di cellule mononucleari infiltrate (Grotmol et al., 1995). Inclusioni intracitoplasmatiche basofile sono state evidenziate in cellule neuronali di Lates calcarifer, Dicentrarchus labrax ed Epinephelus malabaricus (Glazebrook et al., 1990; Breuil et al., 1991; Boonyaratpalin et al., 1996). Sono state descritte anche lesioni dei vasi sanguigni cerebrali (Le Breton et al., 1997). Nei branzini di età superiore all’anno, la malattia subisce una forte attenuazione della sintomatologia e delle lesioni istologiche (Galeotti et al., 1999). In generale gli adulti presentano lesioni a carico del sistema nervoso centrale meno severe rispetto a quelle descritte negli stadi larvali e nei giovani, non essendo talvolta facile reperire i tipici fenomeni di vacuolizzazione a carico delle cellule nervose. Le vacuolizzazioni della retina invece, tendono ad essere più consistenti negli adulti. Il processo infiammatorio è generalmente molto discreto e la presenza di macrofagi è probabilmente secondaria alla vacuolizzazione. Sono state riportate anche vacuolizzazioni nella mucosa dell’intestino posteriore, con formazione di gocce ialine e desquamazione epiteliale (Glazebrook et al., 1990). Altre alterazioni istologiche talvolta riscontrate in concomitanza di episodi di nodavirosi, a livello epatico, renale, cardiaco, intestinale e del muscolo scheletrico, non dovrebbero necessariamente essere ricondotte all’infezione da betanodavirus (Johansen et al., 2004a). Quadro subclinico Risultano essere poche le notizie relativamente allo stato di portatore sano ed all’eliminazione del virus da parte di soggetti che hanno superato la malattia. Johansen et al. (2004a) hanno seguito l’evoluzione della malattia naturale in Hyppoglossus hippoglossus, tramite immunoistochimica e RT-PCR, evidenziando che nei sopravvissuti, è possibile identificare la presenza del virus, a livello del sistema nervoso centrale, per l’intero periodo di un anno di osservazioni; inoltre il reisolamento dell’agente su colture cellulari, a conclusione delle indagini, suggerisce che, almeno per quanto riguarda Hyppoglossus hippoglossus, lo status di portatore possa essere particolarmente lungo. Sebbene i portatori asintomatici siano considerati come la principale fonte di trasmissione della malattia alle popolazioni suscettibili, i meccanismi che modulano la loro resistenza e regolano la replicazione virale, al loro interno, sono scarsamente documentati. L’identificazione del virus nelle gonadi sia maschili che femminili e nelle uova di riproduttori appartenenti a più specie (Arimoto et al., 1992; Mushiake et al., 1994; Nishizawa et al., 1996; De Mas et al., 1998; Dalla Valle et al., 2000), ha suggerito l’esistenza di un probabile meccanismo di trasmissione verticale, con passaggio del virus dal riproduttore asintomatico alle larve, attraverso i prodotti sessuali. Anche Nguyen et al. (1997) hanno identificato, mediante immunofluorescenza, la presenza dell’antigene virale nelle gonadi, oltre che in altri organi quali intestino, stomaco, rene e fegato, mentre il SNC è risultato completamente negativo. In Hippoglossus hippoglossus, è stata evidenziata la presenza di particelle virali in neuroni, 123 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 astrociti, oligodendrociti, microglia, macrofagi, linfociti, endotelio vascolare, endotelio e mesotelio cardiaco ed epicardio (Grotmol et al., 1997b). Particelle nodavirus-like sono state inoltre rinvenute nell’endocardio di salmoni (Salmo salar) affetti da sindrome miocardica (CMS) (Grotmol et al., 1997a). Dalla Valle e coll. (2000) hanno riscontrato, mediante RT- PCR, la presenza di nodavirus in soggetti asintomatici di Sciaena umbra e di Sparus aurata. In particolare quest’ultima specie è considerata, per la frequenza di positività riscontrata in laboratorio (Comps & Raymond, 1996; Dalla Valle et al., 2000; Castric et al., 2001) un potenziale quanto pericoloso ospite, che potrebbe fungere da portatore del virus negli allevamenti in cui è allevata la specie Dicentrarchus labrax che, nel Mediterraneo, rappresenta l’ospite target della ERV. Studi sperimentali hanno dimostrato che varie specie ittiche possono comportarsi come portatori asintomatici (Glazebrook, 1995; Skliris & Richards, 1999a; Johansen et al., 2003). Un ulteriore rischio cui sono esposte le popolazioni allevate è costituito dalla presenza, nella fauna selvatica, di specie suscettibili all’infezione che, pur non manifestando la malattia, sono in grado di mantenere l’infezione allo stato latente, consentendo la sopravvivenza del virus nell’ambiente e rappresentando pertanto una pericolosa fonte d’infezione. In Canada alcune popolazione di pesci selvatici sono sospettate di fungere da veri e propri serbatoi naturali virali: infatti, la presenza del virus è stata evidenziata, mediante RT-PCR, con una prevalenza dello 0,23%, nella specie Pleuronectes americanus (Barker et al., 2002). Un successivo studio, condotto in Giappone su un campione rappresentativo di 30 specie ittiche prelevato nelle baie di Yashima (Prefettura di Kagawa) e Tamanoura (Prefettura di Nagasaki), ha confermato che la maggior parte della popolazione ittica, sia allevata che selvatica, pur non manifestando al momento della cattura alcun segno clinico, è risultata positiva (Gomez et al., 2004). Le indagini condotte nel Mediterraneo hanno confermato la presenza dell’infezione in alcune specie selvatiche (Ciulli et al., 2006b) con valori di prevalenza significativi che, nel caso della triglia (Mullus barbatus barbatus) ha raggiunto, in una indagine recentemente conclusa, valori pari al 28,8% (Maltese & Bovo, risultati non pubblicati). E’ evidente comunque che, nonostante le numerose osservazioni riportate in letteratura, sia fondamentale approfondire, nelle principali specie allevate, le conoscenze sui meccanismi di risposta all’infezione da nodavirus, al fine di migliorare le strategie di controllo della malattia. TRASMISSIONE DELLA MALATTIA Le molteplici osservazioni pratiche in campo, nonché i risultati delle prove sperimentali condotte da vari autori (Glazebrook et al., 1990; Mori et al., 1991; Arimoto et al., 1993; Nguyen et al., 1994; 1996; Thiery et al., 1997; Grotmol et al., 1999; Peducasse et al., 1999; Totland et al., 1999) concordano pienamente sulla modalità di trasmissione della malattia per via orizzontale; inoltre, per alcune specie, è stata proposta anche la possibilità di una trasmissione verticale (Nguyen et al., 1997; Breuil et al., 2002; Johansen et al., 2002). 124 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 Tropismo tissutale Sulla base delle lesioni istologiche, risulta evidente che i Betanodavirus possiedono un marcato neurotropismo primario con siti di moltiplicazione a livello del sistema nervoso centrale e della retina. In letteratura sono riportati vari studi di patogenesi, eseguiti mediante infezione sperimentale in diversi stadi ed in differenti specie ittiche che hanno consentito di formulare varie ipotesi sulle modalità con cui il virus, a partire dalla penetrazione nell’ospite, raggiunge i siti di replicazione. Secondo Nguyen et al. (1996), uno dei primi siti di moltiplicazione virale nelle larve di Pseudocaranx dentex, potrebbe essere rappresentato dalla corda spinale, che il virus raggiunge molto probabilmente, attraverso le terminazioni nervose sensoriali e motrici delle cellule nervose presenti a livello della linea laterale. Da qui il virus potrebbe raggiungere il cervello e da quest’ultimo, risalendo il nervo ottico, arrivare alla retina. In soggetti adulti, gli stessi autori hanno localizzato l’antigene virale mediante immunofluorescenza, nelle gonadi, intestino, stomaco, rene e fegato, ma non nel sistema nervoso centrale e nella retina, proponendo in tal modo una evidente differenza di distribuzione virale tra soggetti infetti e portatori sani. La positività riscontrata a livello viscerale suggerisce inoltre che uova e larve possano infettarsi al momento della deposizione e schiusa attraverso il virus eliminato con le feci e prodotti sessuali (Nguyen et al., 1997). L’individuazione della presenza virale nei lobi olfattivi suggerisce che, anche la cavità nasale possa rappresentare una possibile via d’ingresso (Mladineo, 2003). Un’ulteriore ipotesi considera l’epitelio stratificato dell’intestino anteriore come possibile sito primario di replicazione. Questa regione infatti, viene facilmente a contatto con il virus presente nell’acqua o negli alimenti ingeriti. Da qui, attraverso le fibre viscerosensoriali e visceromotrici che connettono gli organi sensori ed effettori dei visceri con il sistema nervoso centrale, il virus potrebbe facilmente raggiungere il cervello e l’occhio (Munday et al., 1992; Grotmol et al., 1999). Secondo Peducasse et al. (1999) le principali vie di penetrazione del virus potrebbero essere sia la cute, in corrispondenza della linea laterale, sia le branchie. Trasmissione orizzontale La modalità di trasmissione orizzontale è stata confermata attraverso numerosi studi sperimentali, utilizzando come modello stadi larvali o giovanili di soggetti appartenenti a differenti specie ittiche. In alcuni casi sono state verificate contemporaneamente le condizioni ambientali necessarie allo sviluppo della patologia, quali la temperatura e l’età del pesce. La malattia è stata trasmessa per coabitazione di larve sane con larve infette, in Lates calcarifer (Glazebrook et al., 1990). Giovani di Epinephelus akaara, in seguito ad infezione sperimentale per bagno e per inoculazione intraperitoneale con omogenato infetto, hanno sviluppato la malattia dopo 10-14 giorni dall’esposizione, con danni istopatologici simili a quelli causati nel corso di malattia naturale, ma con mortalità limitata al 10-30% (Mori et al., 1991). In Pseudocaranx dentex la malattia è stata riprodotta per bagno e coabitazione di larve sane con larve malate (Arimoto et al., 1993; Nguyen et al., 1996), con un tasso di mortalità del 100%; sempre con le stesse modalità d’infezione la ERV è stata trasmessa anche a giovani di Paralichthys olivaceus (Nguyen et al., 1994). In Epinephelus malabaricus la malattia è stata indotta tramite iniezione intraperitoneale di materiale infetto. I segni clinici erano sovrapponibili a quanto descritto per la malattia naturale e la mortalità indotta pari al 40-60%. In questa specie la patologia non ha mai 125 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 dimostrato un decorso acuto, sia in condizioni naturali che sperimentali, il quale invece può apparire in evidenti condizioni stressanti (Boonyaratpalin et al., 1996). Thiery e coll., nel 1997 hanno riportato una mortalità del 28% in giovani di Dicentrarchus labrax dopo inoculazione intramuscolare di omogenato di cervello infetto. Nel 1999, Peducasse e coll., sempre in riferimento alla stessa specie ittica, hanno evidenziato che l’infezione orale, sia tramite bagno che attraverso coabitazione di pesci infetti con pesci sani, determina una forma sub-acuta, con lievi disturbi nervosi e bassa mortalità. Secondo gli stessi autori invece l’inoculazione intramuscolare di materiale infetto è in grado di indurre una forma acuta, caratterizzata da evidenti disturbi nervosi ed elevata mortalità. E’ evidente pertanto che la dose infettante e la virulenza del ceppo, rappresentano fattori importanti nella patogenesi della malattia. L’elevata resistenza dei betanodavirus alle condizioni ambientali (Frerichs et al., 2000; Maltese & Bovo, 2001; Munday et al., 2002) contribuisce senz’altro ad aumentare la probabilità della trasmissione orizzontale, soprattutto nelle aree endemiche; ciò si verifica in particolare quando i giovani, dalle avannotterie sono trasferiti negli impianti per il successivo svezzamento ed ingrasso. Trasmissione verticale Secondo alcuni autori la trasmissione verticale può rappresentare un’importante via di diffusione del virus tra le popolazioni allevate (Arimoto et al., 1992; Yoshimizu et al., 1997; Breuil et al., 2002). In realtà la trasmissione verticale se pur fortemente sospettata, sulla base di dati epidemiologici che indicano una predominanza dell’infezione nei primissimi stadi larvali e nei soggetti giovani di diverse specie allevate, in impianti alimentati da acqua preventivamente trattata (Breuil et al., 1991; Arimoto et al., 1992; Comps et al., 1996; Yoshimizu et al., 1997; Grotmol & Totland, 2000), non è stata ancora definitivamente dimostrata. La trasmissione verticale è stata proposta in seguito alla rilevazione dell’agente virale nelle gonadi e nelle uova fecondate di Pseudocaranx dentex, mediante ELISA (Arimoto et al., 1992), RT-PCR (Mushiake et al., 1994; Nishizawa et al., 1996; Dalla Valle et al., 2000; Breuil et al., 2002) e IF (Nguyen et al., 1996; 1997); inoltre il virus è stato identificato in uova e larve originate da riproduttori infettati sperimentalmente (Breuil et al., 2002). Questi dati suggeriscono che la malattia si possa trasmettere da genitori a figli, anche se non è ancora chiaro se si tratti di una vera trasmissione intraovarica o se invece il virus sia un contaminante esterno in grado di trasmettere l’infezione alle giovani larve al momento della schiusa. Altre vie di trasmissione Nel 1998, Skliris & Richards hanno valutato la possibilità che Artemia salina ed il rotifero Brachionus plicatilis, alimenti freschi comunemente utilizzati negli impianti di acquacoltura marina per l’allevamento delle larve, potessero rappresentare serbatoi naturali di nodavirus e rivestire quindi un ruolo importante nella trasmissione della malattia. L’esito negativo delle indagini virologiche, eseguite infettando colture cellulari di SSN-1 con omogenati dei due invertebrati e l’assenza di particelle virali negli organi dei due invertebrati, hanno convinto gli autori che il rischio, in questo caso, sussista solo a livello di vettori meccanici, a seguito di contaminazione superficiale. Anche altri autori hanno considerato la possibilità che l’alimentazione a base di Artemia salina, Tigriopus japonicus e Acetesinte medium, da cui è stato possibile isolare il virus, possa costituire una fonte o veicolo d’infezione (Chi et al., 2003). 126 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 Un’ulteriore possibilità di trasmissione della malattia può essere rappresentata dalla via orale tramite l’alimentazione con pesce fresco (Mori et al., 2005), una pratica limitata ai soli riproduttori. ASPETTI IMMUNITARI Purtroppo gli studi e le informazioni riguardanti la risposta immunitaria dei pesci colpiti da ERV sono estremamente limitate. Spesso la malattia compare precocemente, in particolare nei primi stadi larvali. In questi casi la mortalità, costantemente elevata, è ragionevolmente riconducibile a carenze del sistema immunitario non ancora completamente efficiente. Nelle larve infatti, la sopravvivenza è affidata all’immunità materna e a meccanismi di immunità aspecifica propri o trasmessi dalla madre attraverso l’uovo. Nei soggetti sub-adulti invece, il sistema immunitario può ritenersi completamente sviluppato e, di conseguenza, essi riescono a rispondere in misura adeguata, neutralizzando gli effetti dannosi conseguenti all’infezione (Arimoto et al., 1993; Mushiake et al., 1994; Bovo et al., 1996; Fukuda et al., 1996; Le Breton et al., 1997; Nguyen et al., 1997; Tanaka et al., 1998; Aspehaug et al., 1999). I pesci che sopravvivono all’infezione possono rimanere portatori per un periodo relativamente lungo (Johansen et al., 2004a). In essi, nonostante sia ancora presente una sintomatologia nervosa, non sempre viene riscontrata la presenza del virus e, nel caso in cui l’antigene sia rilevato, la concentrazione virale è molto bassa, tendendo a scomparire completamente dopo la guarigione (Fukuda et al., 1996). Studi preliminari riguardanti la risposta immunitaria di varie specie ittiche nei confronti dell’infezione sperimentale con betanodavirus o mediante l’uso di vaccini inattivati o ricombinanti, hanno consentito di identificare la comparsa di anticorpi specifici nei soggetti resistenti all’infezione (Breuil & Romestand 1999; Tanaka et al., 2001; Yamashita et al., 2005; Thiery et al., 2006). Studi sperimentali in halibut (Hippoglossus hippoglossus) hanno evidenziato che la risposta anticorpale si manifesta solamente quando l’infezione sperimentale viene effettuata per inoculazione intraperitoneale e non tramite immersione (Grove et al., 2003). Ciononostante, a seguito di un focolaio naturale è stato possibile seguire, tramite ELISA, la risposta anticorpale almeno fino ad un anno dall’infezione (Johansen et al., 2004a). I risultati osservati nel corso di una infezione sperimentale condotta su soggetti immunocompetenti di halibut, hanno evidenziato la comparsa di attività antivirale umorale a partire dal 18° giorno, con un chiaro aumento fino al 56° giorno post infezione. Ulteriori risultati ottenuti nel corso della stessa indagine suggeriscono che la presenza dell’antigene virale nel SNC è in grado di evocare una risposta immunitaria locale mediata da plasmacellule (Grove et al., 2006). METODI DIAGNOSTICI La diagnosi di ERV è stata per molto tempo eseguita in base ai caratteristici segni clinici, associati alla presenza di lesioni vacuoliformi a livello del sistema nervoso centrale e della retina. In seguito l’individuazione di una linea cellulare (SSN-1) sensibile alla replicazione dei betanodavirus, ha consentito di disporre di un valido mezzo diagnostico (Frerichs et al., 1996). Successivamente sono stati messi a punto ulteriori substrati cellulari utili ai fini diagnostici (Chi et al., 1999a; Watanabe & Yoshimizu, 1999; Iwamoto et al., 2000; Chang et al., 2001; Lai et al., 2001a; 2003) e, a partire dagli anni ’90, sono stati applicati i primi test diagnostici biomolecolari. 127 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 In accordo all’Office International des Epizooties (OIE, 2006), lo screening dei soggetti asintomatici dovrebbe essere eseguito tramite isolamento dell’agente eziologico su colture cellulari SSN-1 o E-11, un clone derivato dalla linea SSN-1, seguito da identificazione virale mediante immunofluorescenza (IF) o PCR. Nel caso di sospetti clinici, oltre all’isolamento su colture cellulari e successivo riconoscimento, è possibile effettuare la diagnosi tramite identificazione diretta dai tessuti mediante IF, immunoistochimica (IHC) o PCR. Al di là di quanto previsto e raccomandato dal manuale OIE, in letteratura sono stati riportati vari metodi diagnostici e diverse applicazioni. Esame istologico ed immunoistochimico L’analisi istologica e l’impiego di tecniche d’immunoistochimica consentono di evidenziare la presenza dell’antigene virale nel citoplasma delle cellule degenerate e nelle lesioni di spongiosi, sia del SNC che della retina. Purtroppo, nel caso della ERV, l’esame istologico non può essere considerato un valido strumento diagnostico, in quanto sono stati descritti casi di malattia, in soggetti giovani, caratterizzati da scarsità o assenza di lesioni specifiche (Bovo et al., 1996, Galeotti et al., 1999) ed inoltre le lesioni vacuoliformi associate alla malattia, se pur molto indicative della stessa, non possono assolutamente essere considerate patognonomiche. E’ noto invece che l’immunoistochimica rappresenta un metodo estremamente utile, sia ai fini diagnostici sia di ricerca (Mutinelli et al., 1998; Grove et al., 2003; Johansen et al., 2004b). L’applicazione di questa metodica consente di associare, alle lesioni cellulari identificate nel SNC e nella retina, la presenza dell’agente causale e dei suoi antigeni (figura 4). L’immunoistochimica inoltre può essere applicata per studi retrospettivi anche in assenza di sintomatologia e lesioni. Questa situazione è stata segnalata in avannotti di circa 3 grammi che, pur non presentando sintomatologia nervosa e lesioni istologiche classiche imputabili a nodavirosi, sono risultati positivi all’analisi IHC (Galeotti et al., 1999). La positività riscontrata mediante IHC in assenza di lesioni istologiche potrebbe indicare una limitata patogenicità del virus da cui un ridotto numero di cellule nervose coinvolte, tale da non determinare le tipiche vacuolizzazioni citoplasmatiche, oppure si potrebbe essere in presenza della fase di convalescenza ed in questo caso le rare cellule positive osservate rappresenterebbero la presenza residuale del virus in soggetti sopravvissuti alla malattia acuta (Galeotti et al., 1999). Nei casi caratterizzati da debole positività con rarissime cellule positive all’esame IHC del cervello è opportuno indagare a livello della retina, descritta come un sito di frequente reperimento dell’antigene virale (Galeotti et al., 1999; Mladineo, 2003). Microscopia elettronica I Betanodavirus sono virus di ridotte dimensioni (25-30 nm) e pertanto la loro ricerca su materiale patologico al microscopio elettronico potrebbe risultare particolarmente difficoltosa, specie se presenti in concentrazione limitata. Nel corso di episodi conclamati, soprattutto se sono coinvolte fasi larvali e giovanili, la concentrazione di particelle virali è tale da non dover porre alcuna difficoltà diagnostica. All’osservazione su sezioni, i virioni si mostrano liberi nel citoplasma o legati alle membrane del reticolo endoplasmatico. Le membrane delle creste interne dei mitocondri si presentano completamente distrutte, mentre le membrane plasmatiche rimangono intatte. In alcuni casi le particelle virali sono state osservate in forma di aggregati paracristallini all’interno del citoplasma (figura 5) (Glazebrook et al., 1990; Bloch et al., 1991; Breuil et al., 1991; Boonyaratpalin et al., 1996; Grotmol et al., 1997b). Le cellule contenenti i virioni sono soprattutto neuroni, astrociti, oligodendrociti e cellule della microglia (Yoshikoshi & Inoue, 1990; Grotmol et al., 1997b). Tuttavia nell’halibut (Hippoglossus hippoglossus) sono state visualizzate particelle virali anche nelle cellule 128 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 endoteliali, in linfociti prossimi all’endocardio, nei miociti cardiaci e nelle cellule dell’epicardio (Grotmol et al., 1997a). Isolamento del virus mediante colture cellulari Le colture cellulari rappresentano il più importante mezzo a disposizione per l’isolamento, la replicazione e l’identificazione dei virus animali. Fino al 1993 erano state stabilizzate, per l’isolamento e l’identificazione dei virus patogeni dei pesci, oltre 150 linee cellulari (Fryer & Lannan, 1994). La maggior parte di queste linee cellulari sono derivate da tessuti di pesci d’acqua dolce e solo una parte minore da pesci marini. In passato, subito dopo la comparsa della ERV, sono stati riportati numerosi tentativi d’isolamento del virus sulle principali linee cellulari esistenti (Watanabe & Yoshimuzu, 1999), ma tutti con esito negativo. Nel 1996 Frerichs et al. sono riusciti a replicare il virus su una linea cellulare originata nel 1991, da avannotti di Ophiocephalus striatus, denominata SSN-1. Si tratta di una linea di non facile mantenimento, persistentemente infetta da un retrovirus di tipo C, denominato SnRV (Frerichs et al., 1991; Hart et al., 1996). Per ovviare all’utilizzo di questo substrato cellulare contaminato, sono stati creati sei cloni cellulari dalla stessa linea (A6, B7, C3, E2, E9, E11) e per ognuno di essi è stata valutata la suscettibilità nei confronti dei quattro genotipi di betanodavirus (Iwamoto et al., 2000). Purtroppo i tre cloni risultati più permissivi allo sviluppo dell’effetto citopatico (A6, E9, E11) sono risultati ancora positivi (tramite PCR e TEM) alla presenza del SnRV. Questo dato suggerisce che il retrovirus contaminante, possa giocare un ruolo importante per la replicazione del virus nelle cellule SSN-1 e cloni derivati (Lee et al., 2002), inducendo probabilmente la produzione di uno specifico recettore di membrana in grado di consentire l’adesione del nodavirus alle singole cellule. In effetti, nell’ambito di un progetto di ricerca specifico, colture cellulari apparentemente indenni da retrovirus, ottenute da gonadi, larve, pinne e cervello di branzino (Dicentrarchus labrax), si sono dimostrate completamente refrattarie all’azione di un ceppo di referenza isolato da branzino (osservazioni personali degli autori). In seguito comunque sono state sviluppate altre linee cellulari sensibili ai betanodavirus, quali le GF-1, derivate da tessuto di pinna di Epinephelus coioides (Chi et al., 1999a; 1999b), le SF, derivate da larve di Lates calcarifer (Chang et al., 2001), le GB, originate da cervello di E. awoara (Lai et al., 2001b; 2003), le TF da Scophthalmus maximus (Aranguren et al., 2002) e le GS, originate da milza di E. coioides (Qin et al., 2006). Recentemente è stata allestita una linea cellulare denominata BB, originata da cervello di branzino australiano (Lates calcarifer), persistentemente infetta da virus della ERV. Questa linea potrà costituire un valido modello di studio, per comprendere il meccanismo d’infezione e replicazione virale sia in vivo che in vitro (Chi et al., 2005). Ulteriori informazioni sulla capacità dei nodavirus isolati da branzini, di propagarsi in colture cellulari, sono state ottenute studiando il ciclo litico in tre linee cellulari di pesce (SBL, RTG-2, BF-2) ed in una linea di mammifero (Cos1) (Delsert et al., 1997b). Le cellule di pesce sono risultate più permissive rispetto a quelle di mammifero e ciò dimostra che i nodavirus dei pesci, a differenza di quelli degli insetti, non sono in grado di replicarsi in molte colture cellulari. Inoltre, mentre questi ultimi infettano una grande varietà di tessuti negli insetti malati, i betanodavirus possiedono un tropismo specifico per le cellule neuronali. Nelle cellule SSN-1, l’effetto citopatico si manifesta a partire dal 3° giorno post-infezione ed è caratterizzato dalla comparsa di vacuoli intracellulari irregolarmente distribuiti nel monostrato. I vacuoli di forma sferica, appaiono inizialmente isolati e, col progredire delle ore, si presentano in forma di aggregati cellulari vacuolizzati (figura 6). A distanza di 72 ore dall’infezione il loro numero e le dimensioni aumentano notevolmente e il monostrato 129 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 cellulare regredisce gradualmente favorendo la comparsa di aree di completa distruzione e lisi cellulare. Studi successivi hanno dimostrato che le cellule SSN-1 possono essere utili anche per differenziare tra loro genotipi caratterizzati da temperature ottimali di crescita diverse e che si sono adattati alle specie che prediligono simili temperature (Totland et al., 1999). Infatti uno studio basato sulle caratteristiche dell’effetto citopatico su SSN-1, ha consentito di identificare dall’esame degli effetti citopatici causati da 17 ceppi virali isolati da 13 specie ittiche marine, 4 diversi gruppi (Iwamoto et al., 1999). Il primo gruppo, comprendente 9 ceppi virali appartenenti al genotipo RGNNV ed isolati da Epinephelus akaara, E. septemfasciatus, E. mooara, E. coioides, Dicentrarchus labrax, Lates calcarifer, Oplegnathus punctatus, Paralichthys olivaceus, determina a distanza di tre giorni dall’infezione su SSN-1, un effetto citopatico caratterizzato da cellule rotonde, granulari con vacuoli citoplasmatici che portano alla distruzione completa del monostrato entro il 6° giorno. Il secondo gruppo comprende ceppi appartenenti al genotipo SJNNV, isolati da Pseudocaranx dentex, che provocano un effetto citopatico caratterizzato da cellule piccole, rotonde, granulari e rifrangenti senza la comparsa di consistenti vacuolizzazioni. Il terzo gruppo, rappresentato da un unico ceppo appartenente al genotipo TPNNV, isolato da Takifugu rubripes ed il quarto gruppo, rappresentato da ceppi appartenenti al genotipo BFNNV (4 isolati da Paralichthys olivaceus, 1 ceppo isolato da Gadus macrocephalus ed 1 ceppo da Hippoglossus hippoglossus) inducono la comparsa di un effetto citopatico simile a quello indotto dai ceppi del primo gruppo, ma solo alla temperatura di 20°C, diversamente dai ceppi del primo gruppo in grado di replicarsi a temperature di 25-30°C. Infatti, oltre alle differenze riscontrate a livello di effetto citopatico, i ceppi virali appartenenti ai 4 diversi genotipi evidenziano una temperatura di replicazione ottimale diversa fra i vari tipi: 15-20°C per BFNNV, 20°C per TPNNV, 20-25°C per SJNNV e 25-30°C per RGNNV (Iwamoto et al., 2000). Questi dati sono estremamente interessanti a scopo diagnostico, in quanto indicano la necessità di incubazione dei monostrati a diverse temperature se la situazione epidemiologica evidenzia, in una stessa area, la presenza di genogruppi diversi. Metodiche immunoenzimatiche In letteratura sono riportati diversi esempi di applicazione di metodologie immunoenzimatiche, come la metodica ELISA (Enzimed-Linked Immunosorbent Assay) che trova la sua più idonea applicazione come tecnica sierologia nella ricerca dell’attività anticorpale (Mushiake et al., 1992, Nishizawa et al., 1995a; Breuil & Romestad, 1999; Breuil et al., 2000; Watanabe et al., 2000; Breuil et al., 2001; Huang et al., 2001; Husgarõ et al., 2001, Lai et al., 2001a; Grove et al., 2003). Le limitazioni di questo test riguardano soprattutto la mancata correlazione spesso evidenziata tra la rilevazione di anticorpi specifici e la positività alla malattia. Infatti, pesci risultati positivi nei confronti del virus, possono risultare negativi al test anticorpale e viceversa (Husgarõ et al., 2001). Comunque la tecnica ELISA risulta particolarmente utile per l’identificazione dei portatori sani presenti nel parco riproduttori, ai fini della loro eliminazione. Indagini condotte su biopsie gonadiche hanno infatti evidenziato un’elevata prevalenza dell’infezione in opposizione alla negatività riscontrata a livello del cervello (Arimoto et al., 1992). Oltre all’identificazione del virus, tramite ricerca diretta nei tessuti, l’ELISA costituisce un metodo vantaggioso per l’evidenziazione dell’attività anticorpale conseguente ad una esposizione al virus (Breuil & Romestand, 1999; Breuil et al., 2000). Talvolta il solo esame sierologico potrebbe essere comunque insufficiente a stabilire lo status sanitario di un soggetto; infatti, secondo Watanabe et al. (2000) l’identificazione dei 130 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 portatori sani, nel parco riproduttori di Verasper moseri, richiederebbe l’uso contemporaneo della tecnica ELISA, per la ricerca di eventuale attività anticorpale, nonché della PCR, per la ricerca del virus da biopsie ovariche. Immunofluorescenza L’utilizzo della immunofluorescenza (IF) è suggerito nel manuale diagnostico OIE (2006), sia come metodica di conferma per l’identificazione virale a seguito di isolamento dell’agente causale su colture cellulari (figura 7), sia come metodica di identificazione, applicata direttamente su sezioni di cervello di animali sintomatici. L’utilizzo diagnostico, in questo secondo caso, consente una rapida conferma del sospetto clinico, purchè si tratti di malattia conclamata, in quanto la sensibilità del metodo è sicuramente inferiore a quella delle metodiche biomolecolari o di isolamento su colture cellulari; tuttavia in casi di sintomatologia eclatante, l’enorme quantità di virus presente nel tessuto cerebrale consente di ottenere facilmente una conferma diagnostica anche mediante l’IF. A questo proposito è stata riportata anche una metodica rapida applicata ad impronte di cervello (figura 8) (Bovo et al., 1999b). L’IF inoltre è stata efficacemente utilizzata come metodica di studio della patogenesi della malattia a seguito di infezione sperimentale (Nguyen et al., 1996; 1997; Tanaka et al., 1998). Polymerase Chain Reaction Sebbene l’isolamento del virus in colture cellulari, rappresenti il metodo ufficiale suggerito dall’OIE, in grado di rilevare la capacità infettante del virus, le metodiche di biologia molecolare, basate prevalentemente sulla metodica di Polymerase Chain Reaction (PCR), rappresentano oggi un valido strumento diagnostico e un indispensabile metodo di ricerca. Grazie alla loro elevata sensibilità e specificità, le metodiche biomolecolari sono in grado di rilevare la presenza di materiale genetico virale da soggetti con infezione latente e comunque in campioni con bassa concentrazione di particelle virali (Iwamoto et al., 2001a; 2001b), altrimenti non identificabili. La maggior parte delle metodiche di PCR sono state finalizzate soprattutto all’amplificazione di una parte della sequenza genomica dell’RNA2 codificante per la proteina capsidica del virus (Nishizawa et al., 1994; 1996; Thiery et al., 1999b; Dalla Valle et al., 2000; Grotmol et al., 2000; Skliris et al., 2001), anche se non mancano studi sull’analisi biomolecolare e sequenziamento dell’RNA1 (Nagai & Nishizawa, 1999; Tan et al., 2001; Sommerset & Nerland, 2004). Negli ultimi anni sono state sviluppate e validate altre procedure biomolecolari al fine di aumentare la sensibilità e la specificità, quali realtime PCR per la quantificazione assoluta dell’RNA di betanodavirus (Starkey et al., 2004; Dalla Valle et al., 2005; Grove et al., 2005; Ciulli et al., 2006a). METODI DI CONTROLLO La scarsità di dati epidemiologici nonché la carente conoscenza dei meccanismi patogenetici della malattia, costituiscono ancor oggi uno dei maggiori ostacoli per un’efficace controllo della ERV, già difficile di per sé per la tipologia dell’ambiente di allevamento. Si rende pertanto necessario procedere con un approccio multivalente che affianchi all’adozione di rigide misure igienico-sanitarie, comprensive di azioni di profilassi diretta, il controllo di ogni singolo riproduttore con l’eliminazione dei soggetti portatori asintomatici che, necessariamente, devono essere esclusi da ogni attività riproduttiva. Particolare attenzione va indirizzata all’introduzione di animali selvatici, potenziali veicoli d’infezione; essi andranno segregati in aree di quarantena per gli opportuni controlli, prima di essere introdotti nei cicli produttivi assieme agli altri riproduttori. A questo scopo, negli 131 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 ultimi anni sono stati sviluppati e descritti metodi biomolecolari, scarsamente invasivi, in grado di identificare la presenza del genoma virale nelle gonadi, liquido seminale e sangue dei riproduttori infetti, evitandone il sacrificio. Lo sviluppo di procedure biomolecolari basate sull’utilizzo della nested PCR ha consentito di elevare significativamente la sensibilità analitica rispetto alla RT-PCR tradizionale, fornendo un efficace strumento per il controllo della ERV (Dalla Valle et al., 2000; Gomez et al., 2004; Starkey et al., 2004; Dalla Valle et al., 2005; Grove et al., 2005; Ciulli et al., 2006a). Più recentemente sono state descritte alcune metodiche di real-time PCR caratterizzate da elevata sensibilità analitica ed in grado di consentire un’accurata quantificazione del virus nei tessuti infetti (Starkey et al., 2004; Dalla Valle et al., 2005; Grove et al., 2005). Il loro trasferimento all’attività diagnostica per il controllo delle aziende potrà aumentare l’efficacia di screening dei riproduttori al fine di prevenire o, quanto meno ridurre, i casi di trasmissione verticale dell’infezione virale alla progenie. Oltre alla diagnosi diretta, con evidenziazione dell’antigene virale o del suo genoma, è stata descritta anche la possibilità di ricorrere alla diagnosi indiretta tramite quantificazione degli anticorpi specifici (Arimoto et al., 1992; Breuil & Romestand, 1999). Parallelamente all’azione di controllo dei riproduttori, la gestione della malattia deve prevedere la compartimentalizzazione dei vari reparti produttivi con adozione di rigide misure di biosicurezza e disinfezione di vasche, reti, stivali e tutti gli attrezzi impiegati, con particolare riferimento all’avannotteria, che rappresenta il sito maggiormente sensibile ed anche il più pericoloso al fine della diffusione del virus nell’ambiente. Tra le sostanze a maggior effetto virucida sono stati descritti gli iodofori, attivi anche a bassa concentrazione (25-100 ppm) (Arimoto et al., 1996; Frerichs et al., 2000; Maltese & Bovo, 2001). Risultati altrettanto validi possono essere ottenuti utilizzando soluzioni di ipoclorito (Arimoto et al., 1996; Frerichs et al., 2000), mentre l’impiego della formalina rivela una minor efficacia (Frerichs et al., 2000). Oltre alle normali procedure igieniche che devono prevedere anche una corretta gestione del personale addetto alle diverse attività lavorative e degli eventuali visitatori, particolare attenzione dovrebbe essere riservata alla disinfezione delle uova embrionate. A tale scopo diversi autori hanno suggerito l’uso dell’ozono (Arimoto et al., 1996; Grotmol & Totland, 2000). Il trattamento con ozono delle uova ottenute da Hippoglossus hippoglossus infettati sperimentalmente, si è dimostrato pienamente efficace ed in grado di inattivare completamente il virus adeso sulla superficie, riducendo così il rischio di trasmissione della malattia alle larve (Grotmol & Totland, 2000). Ciononostante, la procedura non si è rivelata sempre efficace, almeno per quanto riguarda l’infezione dell’halibut (Johansen & Grotmol, comunicazione personale). Scostamenti simili sono stati riportati anche nei confronti delle uova di Gadus morhua e Scophthalmus maximus. Secondo Munday et al. (2002) l’acqua in entrata in azienda dovrebbe essere miscelata con ozono ed utilizzata una sola volta. Al fine di ridurre la contaminazione ambientale è stato proposto il trattamento mediante UV dell’acqua in entrata in allevamento (Arimoto et al., 1996; Frerichs et al., 2000; Maltese & Bovo, 2001). E’ indubbio comunque che il controllo della VER, come di altre gravi patologie non trattabili con chemioterapici, potrà subire una svolta importante e decisiva solo con l’impiego di un valido vaccino. Non esiste infatti a tutt’oggi alcun vaccino commerciale, malgrado sia aumentata negli ultimi anni l’attenzione di diversi gruppi di ricerca (Husgarõ et al., 2001; Tanaka et al., 2001; Yuasa et al., 2002; Coeurdacier et al., 2003; Sommerset et al., 2003; 2005; Thiery et al., 2006; Lin et al., 2007) che, in qualche caso, ha portato a risultati incoraggianti. 132 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 L’impiego di un vaccino adiuvato ricombinante, ottenuto da un ceppo virale di SJNNV, ha consentito di indurre in soggetti giovani di Scophthalmus maximus, un livello di protezione significativo nei confronti di una successiva esposizione al virus omologo (Husgarõ et al., 2001). Analogo risultato, associato alla comparsa di un elevato titolo anticorpale, è stato ottenuto dopo due somministrazioni intramuscolari ripetute a distanza di dieci giorni l’una dall’altra, di 60 µg di proteina capsidica ricombinante espressa in Escherichia coli in soggetti di Epinephelus septemfasciatus (Tanaka et al., 2001). Una parziale protezione è stata ottenuta anche in Chromileptes altivelis inoculati con tre successive somministarzioni di 70 µg di una miscela di tre proteine capsidiche ricombinanti, ad intervalli regolari di 10 giorni (Yuasa et al., 2002). Sommerset et al. (2001) hanno descritto l’efficacia di un vaccino ricombinante, allestito con la proteina capsidica di SJNNV, in giovani rombi (Scophthalmus maximus) inoculati intraperitonealmente. Con successive indagini è stata confermata la possibilità di indurre una protezione significativa in rombi vaccinati con la proteina capsidica ricombinante di AHNV, mentre non è stata evidenziata alcuna protezione in soggetti appartenenti alla stessa specie, inoculati con un vaccino a DNA codificante per la proteina capsidica di AHNV (Sommerset et al., 2005). Un dato interessante che merita di essere approfondito, riguarda la protezione ottenuta in Scophthalmus maximus vaccinati con un vaccino a DNA ottenuto con inserimento del gene codificante la glicoproteina del virus della setticemia emorragica virale (VHS) sottoposti a challenge con il nodavirus isolato da halibut (Hippoglossus hippoglossus) (AHNV) (Sommerset et al., 2003). Recentemente è stata riportata l’efficacia di un vaccino, basato su un ceppo appartenente al genotipo RGNNV inattivato con formalina e somministrato per via intraperitoneale in Epinephelus septempfasciatus (Yamashita et al., 2005). L’elevato indice di sopravvivenza (RPS=85) osservato in successive prove di campo, suggerisce la possibilità di una possibile applicazione pratica. Più recentemente, indagini eseguite da Thiery et al. (2006) mediante la somministrazione intramuscolare di un vaccino ricombinante, ottenuto dall’espressione della proteina capsidica in baculovirus, hanno evidenziato la possibilità di ottenere una protezione significativa in branzini (Dicentrarchus labrax) di 22-66 grammi, nei confronti di una successiva esposizione al virus in condizioni sperimentali. PROSPETTIVE FUTURE Malgrado siano trascorsi oltre venti anni dalle prime segnalazioni della malattia, restano tuttora irrisolti o da chiarire completamente alcuni importanti aspetti riguardanti soprattutto l’epidemiologia della malattia e, in particolare i meccanismi di trasmissione della stessa e il ruolo dei portatori asintomatici. Per alcune specie è stata fortemente ipotizzata la possibilità di una trasmissione verticale; ciononostante non è stato ancora definitivamente dimostrato se si tratti di una trasmissione verticale vera e propria o, piuttosto, di un fenomeno di contaminazione superficiale del guscio delle uova. Se cosi fosse, sarebbe infatti sufficiente individuare un efficace protocollo di disinfezione, in grado di impedire la trasmissione della malattia dai riproduttori infetti alle progenie da essi originate. In caso contrario, ovvero in presenza di una vera e propria trasmissione intra ovo, la sola possibilità di evitare l’infezione negli stadi larvali e giovanili dovrà basarsi esclusivamente sull’identificazione ed eliminazione dal parco riproduttivo dei riproduttori infetti oltre, ovviamente, alla necessità di disinfezione dell’acqua in ingresso in avannotteria. A questo proposito, come suggerito da alcuni autori, lo screening dei riproduttori potrebbe essere vantaggiosamente eseguito con l’adozione di protocolli diagnostici biomolecolari, per 133 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 la ricerca del virus nei liquidi ovarici, seminali e biopsie gonadiche e, contemporaneamente, di metodi sierologici, come l’ELISA, per l’evidenziazione della presenza di anticorpi specifici indice di un’infezione pregressa. Maggiori attenzioni dovrebbero inoltre essere rivolte, in futuro, alle interazioni e scambi di patogeni tra gli animali allevati e le popolazioni selvatiche, per valutare i rischi di trasmissione dell’infezione da un ambiente all’altro. Malgrado tutti gli sforzi che possano essere messi in atto e le più restrittive misure adottabili, si ritiene che la soluzione ottimale potrà essere raggiunta solo nel momento in cui sarà disponibile un vaccino efficace. RINGRAZIAMENTI Un sincero ringraziamento va ai colleghi che hanno fornito il materiale fotografico relativo alla microscopia elettronica (dr. Montesi Francesco), istolopatologia ed immunoistochimica (dr. Franco Mutinelli, dr.ssa Marta Vascellari) e al dr. Fabio Borghesan per l’assidua assistenza in campo. 134 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 93-146 REFERENCES – BIBLIOGRAFIA Aranguren R., Tafalla C., Novoa B. & Figueras A. (2002). Nodavirus replication in a turbot cell line. J. Fish Dis., 25: 361- 366. Arcier J.M., Herman F., Lightner D.V., Redman R.M., Mari J. & Bonami J.R. (1999). A viral disease associated with mortalities in hatchery-reared postlarvae of the giant freshwater prawn Macrobrachium rosenbergii. Dis. Aquat. Org., 38: 177-181. Arimoto M., Maruyama K. & Furusawa I. (1994). Epizootiology of viral nervous necrosis (VNN) in striped jack. Fish Pathol., 29: 19-24. Arimoto M., Mori K., Nakai T., Muroga K. & Furusawa I. (1993). 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Sci., 45: 43-58. 146 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161 Valutazione della protezione indotta da frazioni antigeniche di Lactococcus garvieae in trota iridea (Oncorhynchus mykiss) Assessment of the protection induced by antigenic fractions of Lactococcus garvieae in rainbow trout (Oncorhynchus mykiss) Donatella Volpatti*, Barbara Contessi, Erica Buonasera, Laura Gusmani, Marco Bertoia, Marco Galeotti Sezione di Biologia e Patologia Animale, Dipartimento di Scienze Animali, Università degli Studi di Udine, Via delle Scienze, 206 – 33100 Udine _______________________________ RIASSUNTO – La profilassi vaccinale contro la Lattococcosi della trota iridea (Oncorhynchus mykiss) è ancora in fase sperimentale e contempla l’utilizzo di vaccini stabulogeni somministrati per via intraperitoneale, anche se la copertura che ne deriva raggiunge al massimo 8 mesi, nel caso di vaccini integrati con adiuvante. I componenti antigenici coinvolti nella protezione dall’infezione sono ancora poco studiati. Questa indagine si è posta come obiettivo quello di approfondire le conoscenze sulle componenti antigeniche del patogeno in grado di suscitare una risposta immunitaria protettiva nei confronti della malattia. Prodotti batterici extracellulari (ECPs), cellule batteriche (WCs) e antigeni di membrana (AM) sono stati somministrati per via intraperitoneale a soggetti di trota iridea di peso medio pari a 90 g. Per valutare la protezione, i soggetti immunizzati sono stati sottoposti ad infezione sperimentale con Lactococcus garvieae, inoculando intraperitoneo 2,6×105 UFC/soggetto. I trattamenti hanno garantito le seguenti percentuali relative di sopravvivenza (RPS): 95% per WCs, 35% per ECPs, 33% per AM. Questi risultati confermano che le cellule intere inattivate con formalina conferiscono la maggiore protezione tra gli antigeni impiegati. Anche le frazioni ECPs ed AM risultano efficaci in tal senso, seppure con RPS più basse. Dai gruppi immunizzati, inoltre, sono stati prelevati campioni di siero ed è stato eseguito l’immunoblotting, dopo corsa elettroforetica dei diversi antigeni, per evidenziare le bande proteiche riconosciute dagli anticorpi contenuti nel siero. Le bande evidenziate sono quelle a peso molecolare approssimativo di 23, 48 e 102 kDa. Il riconoscimento è avvenuto anche nel caso dei sieri ottenuti dal gruppo non trattato e ciò suggerisce che le immunoglobuline di trota possono legare in modo aspecifico alcune componenti proteiche presenti nella parete di L. garvieae. SUMMARY – Effective procedures of vaccination against lactococcosis in rainbow trout (Oncorhynchus mykiss) are still under investigation and the methods currently employed are based on “autovaccines” that are injected intraperitoneally to fish. These vaccines allow a protection for 8 months, when integrated with adjuvants. The bacterial antigenic components involved in the protection are only partially considered by the literature. This investigation concerns the effect of some fractions of Lactococcus garvieae in the development of a protective immune response to the infection. Extracellular products (ECPs), bacterial whole cells (WCs) and membrane antigens (AM) were injected intraperitoneum to 90 g. rainbow trouts. Fish were subsequently submitted to an intraperitoneal challenge with L. garvieae (2.6×105 cfu/individual). The treatments allowed the following relative percentages of survival (RPS): 95% for WCs; 35% for ECPs, 33% for AM. These results suggest that WCs give the best protection, but also ECPs and AM are effective. Samples of serum collected from immunized and control fish were analysed by immunoblotting against the SDS-PAGE/Western Blotting protein profile of each bacterial fraction. The control and immunized fish sera contained immunoglobulins able to bind aspecifically the proteins having a molecular weight of 23, 48 and 102 kDa respectively. Key words: Rainbow trout, Oncorhynchus mykiss, Fish lactococcosis, Lactococcus garvieae, Antigen fractions, Immunization, Immune response. ______________________________ * Corresponding Author: c/o Dipartimento di Scienze Animali, Facoltà di Medicina Veterinaria, Via delle Scienze, 206 - 33100 Udine, Italy. Tel.: 0432-558591; Fax: 0432-558585; E-mail: [email protected]. 147 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161 INTRODUZIONE La lattococcosi o streptococcosi causata da Lactococcus garvieae è una delle più importanti malattie che coinvolgono gli allevamenti ittici di tipo intensivo, provocando ingenti perdite economiche specialmente nel caso della ricciola (Seriola quinqueradiata) in Giappone e della trota iridea (Oncorhynchus mykiss) in Europa ed Australia (Kusuda et al., 1991; Domenech et al., 1993; Eldar et al., 1996; Bercovier et al., 1997; Eldar & Ghittino, 1999; Ravelo et al., 2001). I trattamenti terapeutici utilizzati in campo contro questo batterio sono generalmente poco efficaci, probabilmente per la tendenza alla condizione di anoressia che è tipica dei pesci malati e per l’acquisizione di antibiotico-resistenza da parte dei ceppi batterici (Austin & Van Pouce, 1993). Per tali motivi lo sviluppo di efficaci sistemi di vaccinazione sembra determinante per prevenire gli episodi di lattococcosi. Per quanto riguarda i paesi extraeuropei, in Giappone e Corea recentemente sono stati prodotti e commercializzati vaccini orali e iniettabili contro Lactococcus garvieae per la prevenzione della malattia in Seriola quinqueradiata (Ooyama et al., 2002) e in Paralichthys olivaceus (Jung, comunicazioni personali). I vaccini utilizzati in Europa per la lattococcosi sono di tipo stabulogeno e quindi ricavati direttamente da ceppi patogeni di L. garvieae isolati nell’allevamento in cui verrà effettuata la vaccinazione. Attualmente in Italia risultano autorizzati vaccini stabulogeni prodotti presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta e quello delle Venezie e tali preparati vengono somministrati con esito positivo presso varie troticolture del nord Italia (Manfrin et al., 2006). Dal punto di vista sperimentale, sono stati condotti vari studi sull’efficacia di vaccini o potenziali componenti immunogeni ottenuti da L. garvieae. In Europa la specie oggetto di indagine è stata la trota iridea data l’incidenza della malattia in questo territorio. I principali metodi di somministrazione adottati in queste prove sono stati l’iniezione intraperitoneale e l’orale. Per quanto riguarda la somministrazione intraperitoneale (i.p.), un’indagine è stata condotta da Ceschia et al. nel 1997. Questi autori, nel periodo primaverile, hanno vaccinato trote iridee di due diverse taglie (1,3 kg e 6,7 kg rispettivamente) con un vaccino stabulogeno costituito da cellule batteriche inattivate con formalina. La protezione conferita dal vaccino è stata valutata in allevamento mediante l’esposizione dei soggetti a episodi spontanei di malattia nel corso della stagione estiva. La mortalità è stata pari a 17,6% nei soggetti di taglia pari a 1,3 kg, 16,8% nei soggetti di taglia pari a 6,7 kg e 40,4% nei controlli non vaccinati, suggerendo un’efficacia protettiva di questa formulazione nei confronti della malattia. Bercovier et al. nel 1997 hanno riassunto i risultati ottenuti nel corso di vaccinazioni tramite iniezione i.p. in trote iridee di 100-150 g. Il vaccino anti L. garvieae risultava protettivo a partire da 3 settimane dopo il trattamento e garantiva una protezione fino ad un massimo di tre mesi. L’effetto della somministrazione i.p. è stato valutato anche da Ghittino et al. (1995). Trote iridee di taglia pari a 150 g. sono state vaccinate con bacterin in presenza o assenza di adiuvante, quindi la protezione in campo è stata valutata esponendo i soggetti alla malattia spontanea. La malattia si è manifestata dopo tre mesi nel secondo gruppo (vaccino senza adiuvante) e dopo 5-6 mesi nel primo gruppo (vaccino con adiuvante). Vaccini adiuvantati con diverse sostanze sono stati saggiati mediante somministrazione i.p. anche in trote iridee di 7 g. La protezione dall’infezione sperimentale è stata valutata a partire da 4 settimane dopo l’immunizzazione, fino ad un massimo di 8 mesi. Gli adiuvanti risultati più efficaci in tal senso, sono Aqua-mun o Montanide-ISA-763-A (oli non minerali) 148 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161 e in particolare il primo ha garantito una copertura dall’infezione fino a 8 mesi (Ravelo et al, 2006). Palacios et al. (1993) hanno confrontato l’efficacia di un vaccino per L. garvieae utilizzando due vie di somministrazione, quella intraperitoneale e quella per immersione, in soggetti di peso medio pari a 100 g. L’infezione sperimentale ha dimostrato che la vaccinazione eseguita tramite iniezione è più efficace di quella per immersione (12,9829,33% di mortalità contro il 64,55-66,66%). Diversamente Domenech et al. (1999) hanno dimostrato l’efficacia di un vaccino per immersione, abbinato a un trattamento immunostimolante, nel corso di una prova di campo che ha previsto la vaccinazione di trote di 30 g. La copertura dalla malattia spontanea è risultata pari a 4 mesi. Sulla base di queste esperienze, l’unica procedura di somministrazione del vaccino che ha dato risultati confortanti, è stata quella intraperitoneale, che conferisce un buon grado di protezione nei confronti dell’infezione naturale (Bercovier et al., 1997) e sperimentale. La possibile somministrazione di vaccini orali per la lattococcosi è oggetto di indagini più recenti. In una ricerca effettuata da un gruppo spagnolo è stato valutato, in trote iridee di 22 g., l’effetto combinato di una prima immunizzazione con bacterin somministrato i.p., seguita dopo tre mesi da una immunizzazione orale (per 7 giorni) con lo stesso vaccino sottoposto a diversi sistemi di incapsulazione (Romalde et al., 2004). La protezione conferita da questo protocollo vaccinale è stata valutata infettando sperimentalmente i soggetti tramite iniezione intraperitoneale 4 settimane dopo il richiamo. Il trattamento di richiamo orale ha consentito un incremento della percentuale relativa di sopravvivenza (RPS) dal 40 all’87,5%. Altra indagini, condotte da Gusmani et al. (2004), hanno riguardato la risposta immunitaria evocata dalla somministrazione di formulazioni orali microincapsulate a trote iridee del peso medio di 100 g. I risultati delle valutazioni immunologiche hanno dimostrato che, nel caso dell’intubazione orale, il titolo di anticorpi specifici nel siero e nel muco intestinale dei soggetti vaccinati non subisce variazioni significative, mentre nel caso della somministrazione integrata al mangime alcuni soggetti presentano un lieve incremento degli anticorpi specifici nel siero. Nell’ambito di una ricerca che ha lo scopo di contribuire alla profilassi della lattococcosi nella trota iridea, in corso presso il Dipartimento di Scienze Animali dell’Università degli Studi di Udine, è sembrato interessante giungere alla purificazione di alcuni componenti strutturali di L. garvieae o di suoi prodotti extracellulari, da integrare nella formula di un vaccino. In particolare le frazioni purificate erano le seguenti: prodotti batterici extracellulari (ECPs); cellule batteriche intere inattivate (WCs); antigeni di membrana (AM); proteine Mlike. Lo scopo della presente indagine è stato quello di utilizzare tre di questi antigeni (WCs, ECPs, AM) per immunizzare sperimentalmente, tramite iniezione intraperitoneale, soggetti di trota iridea di taglia suscettibile alla malattia, studiando successivamente alcuni aspetti della risposta immunitaria, nonché la protezione conferita nei confronti di un modello di infezione sperimentale. I parametri che sono stati presi in considerazione a tal fine sono stati la risposta anticorpale specifica, stimata utilizzando tecniche di siero agglutinazione, E.L.I.S.A. ed immunoblotting. L’efficacia di ogni antigene, quale potenziale vaccino, è stata successivamente saggiata in vivo, stabilendo la percentuale relativa di sopravvivenza (RPS) in seguito ad infezione con un ceppo virulento di L. garvieae, realizzata sfruttando la stessa via di somministrazione dell’antigene. Qualora una delle sostanze purificate dimostrasse particolare potere immunogeno nel corso delle prove effettuate, sia in vitro che in vivo, potrà essere presa in considerazione per la formulazione di vaccini efficaci nella prevenzione della lattococcosi. 149 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161 MATERIALI E METODI Soggetti sperimentali e condizioni di allevamento Trote iridee di peso medio pari a 80 g., sono state stabulate in vasche di vetroresina di 1 m3, alimentate con acqua di sorgente areata, ad una temperatura pari a 13°C, presso gli acquari sperimentali del Dipartimento di Scienze Animali (Università di Udine). I pesci provenivano da un allevamento del Trentino Alto Adige scelto in quanto privo di precedenti segnalazioni di lattococcosi. La sperimentazione ha avuto luogo da settembre a dicembre 2005 e durante tale periodo i pesci sono stati alimentati con mangime pellettato commerciale (1-2% p.v./giorno). Preparazione degli antigeni batterici WCs - Gli antigeni denominati WCs sono costituiti da cellule batteriche intere di L. garvieae (ceppo B05/3) ottenute mediante coltura in terreno BHIB (bioMérieux) per 24 ore a 22°C. I batteri sono stati inattivati con formalina tamponata (0,6%) in agitazione per 1 ora a temperatura ambiente e overnight a 4°C; in seguito sono stati lavati mediante centrifugazione a 1800 giri per 45 minuti a temperatura ambiente e risospesi in PBS sterile alla concentrazione desiderata. La sospensione è stata aliquotata e conservata a –80°C. AM - Gli antigeni di membrana sono stati preparati seguendo alcune metodiche riportate in bibliografia (Hancock & Gilmore, 2002; Salati et al., 2005), parzialmente modificate. Cento ml di brodocoltura, ottenuta coltivando il ceppo B05/3 in BHI per 24 ore a 22°C, sono stati centrifugati a 1800 giri per 45 minuti a temperatura ambiente. Il precipitato è stato quindi risospeso in 10 ml di PBS sterile. Le cellule sono state trattate con 0,1 mg/ml di lisozima (Sigma) per 18 ore a 37°C, in seguito centrifugate a 1800 giri per 45 minuti a 10°C. Il surnatante è stato recuperato, filtrato (0,20 µm) e precipitato con etanolo 95% (1:3 vol/vol) overnight a 4°C. Si è proceduto quindi centrifugando a 1800 giri per 30 minuti a 4°C; il prodotto ottenuto è stato dializzato contro PBS overnight a 4°C, aliquotato e conservato a –80°C. ECPs - Dopo semina del ceppo B05/3 in 100 ml di terreno BHI e 100 ml di terreno THB (BactoTM Todd-Hewitt broth, Difco), le brodocolture sono state seguite per 4 giorni (a 22°C) ed ogni giorno è stato prelevato il precipitato costituito da batteri non vitali ed è stata aggiunta una pari quantità di terreno nuovo. Al termine del quarto giorno i prodotti extracellulari (ECPs) sono stati ottenuti centrifugando le brodocoltura a 1800 giri per 45 minuti a temperatura ambiente. Il surnatante è stato recuperato e filtrato (0,20 µm), quindi precipitato con etanolo 95% overnight a 4°C. Dopo la precipitazione è stata fatta una centrifugazione a 10.000 giri per 20 minuti a 4°C ed in seguito il precipitato ottenuto da entrambi i terreni è stato unificato, risospeso in 10 ml di PBS sterile, dializzato overnight contro PBS a 4°C. La sospensione è stato aliquotata e conservata a –80°C. Gli AM e gli ECPs sono stati inattivati con formalina tamponata 0,3% e neutralizzati con sodio metabisolfito al 15% prima dell’impiego per l’immunizzazione dei soggetti sperimentali. Immunizzazione L’immunizzazione è stata condotta a settembre ed ottobre 2005, dopo un periodo di acclimatazione dei pesci pari a 3 settimane, utilizzando le frazioni antigeniche purificate, come illustrato nella tabella 1. I soggetti sono stati tenuti a digiuno per 48 ore prima del trattamento, che è stato condotto previa anestesia con Benzocaina (0,03 g/l) (Sigma Aldrich, Milano). L’inoculo è stato effettuato al giorno 0 per via intraperitoneale, utilizzando siringhe monouso sterili, seguito da un richiamo dopo 15 giorni. 150 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161 Gruppo N. soggetti Antigene Quantità iniettata A B C D 42 42 42 42 AM WCs ECPs Controllo - PBS 50 µg/sogg. 1×105 cellule/sogg. 2.3 µg/sogg. 100 µl/sogg. Tabella 1 – Schema di immunizzazione. Table 1 – Diagram of immunization. Prelievo dei sieri Una settimana dopo il richiamo il sangue è stato prelevato dai soggetti appartenenti ai 4 gruppi sperimentali (10 soggetti/gruppo) previa sedazione con Benzocaina (0,03 g/l) (Sigma Aldrich, Milano). I sieri sono stati ottenuti mediante centrifugazione a 2000 giri per 10 minuti e conservati a -80°C fino al momento della valutazione. Saggio di emoagglutinazione Cellule batteriche di L. garvieae, ottenute da brodocoltura, sono state lavate con PBS e la densità ottica (D.O. 620nm) della sospensione è stata portata a 1 (1x109 cellule/ml) mediante spettrofotometro. I sieri da analizzare sono stati sottoposti a diluizioni seriate da 1:10 a 1:320 in tampone PBS con formalina allo 0,3% (100 µl/pozzetto) in micropiastra. Successivamente sono stati aggiunti 25 µl/pozzetto della sospensione batterica, incubando la piastra a temperatura ambiente per 5 minuti e overnight a 4°C. L’agglutinazione è stata osservata mediante riscontro di un caratteristico sedimento sul fondo dei pozzetti e successiva classificazione dello stesso in base ad un criterio oggettivo riportato nella bibliografia di riferimento (Robertson, 1990). Saggio ELISA Il saggio ELISA per la titolazione degli anticorpi anti L. garvieae è stato realizzato seguendo una metodica descritta da Bakopoulos et al. (1997), modificata per quanto riguarda il sistema di rivelazione. La micropiastra da 96 pozzetti è stata rivestita con 100 µl/pozzetto di poli L-lisina 0,001% (Sigma) in tampone bicarbonato 0,1 M a pH 9,6, ed incubata per 1 ora a temperatura ambiente. Dopo 3 lavaggi con low salt wash buffer (LSWB), la piastra è stata rivestita con 100 µl/pozzetto di L. garvieae (cellule intere lavate con PBS, D.O.620 nm=1) ed incubata per 1 ora a temperatura ambiente. I batteri sono stati fissati aggiungendo 50 µl/pozzetto di glutaraldeide allo 0,05% in PBS, incubando per 20 minuti a temperatura ambiente. Dopo 3 lavaggi con LSWB, è stato effettuato un blocco dei siti aspecifici aggiungendo 100 µl/pozzetto di siero-albumina bovina al 2% in PBS (incubazione overnight a 4°C). Dopo 3 lavaggi con high salt wash buffer (HSWB), sono stati aggiunti i sieri da saggiare (100 µl/pozzetto), diluiti 1:10, 1:25 e 1:50 in PBS con 0,1% di Tween 20, incubati per 1 ora a temperatura ambiente. In alcuni pozzetti, che costituiscono il bianco, è stata omessa l’aggiunta del siero. Dopo 5 lavaggi con HSWB, sono stati aggiunti 100 µl/pozzetto di anticorpo monoclonale anti Ig di trota diluito 1:33 in PBS con 0,1% di Tween 20 (Aquatic Diagnostic, F11, UK) ed incubati per 1 ora a temperatura ambiente. Dopo 5 lavaggi con HSWB, ai pozzetti è stato aggiunto (100 µl) un anticorpo policlonale biotinilato anti Ig di topo (DAKO) diluito 1:2000 in PBS con 0,1% di Tween 20, incubato a 37°C per 1 ora. Come sistema rilevatore è stato impiegato un kit streptavidina-fosfatasi 151 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161 alcalina (Sigma) diluito 1:2000 in PBS con 0,1% Tween 20, incubato per 1 ora a 37°C (100 µl/pozzetto). Il substrato utilizzato era pNPP (Sigma) alla concentrazione di 1 mg/ml in tampone glicina 0,1 M pH 10,4. La lettura della micropiastra è stata effettuata con multispettrofotometro Tecan a 405 nm, dopo 15, 30 e 60 minuti di incubazione. Come controllo positivo è stato utilizzato un siero ottenuto immunizzando con L. garvieae (inattivato con formalina) soggetti di trota iridea. I dati ottenuti sono stati statisticamente elaborati mediante test T di Student (p≤0,05). Elettroforesi e immunoblotting L’elettroforesi è stata allestita secondo il metodo di Laemmli (Laemmli, 1970; Smith, 1987) con un gel di 1,5 mm di spessore (acrilamide/bis-acrilamide 3,75%/0,1%). Il gel è stato colorato con Coomassie Brilliant Blue R. Dopo la corsa elettroforetica, il trasferimento delle proteine è avvenuto su nitrato di cellulosa Hybond-ECL (Amersham Biosciences) in Mini Trans-blot cell (Biorad). Il nitrato è stato incubato per un’ora a 37°C con i sieri di trota prelevati dai 4 gruppi sperimentali, diluiti 1:10 in Tris Buffered Saline (TBS) con Tween 20 0,1%. Dopo opportuni lavaggi è stato aggiunto l’anticorpo monoclonale anti immunoglobuline di trota (Aquatic Diagnostic, U.K.) biotinilato diluito 1:500 in TBS con Tween 20 allo 0,1%. In seguito ad incubazione con streptavidina coniugata con fosfatasi alcalina (Sigma) per 30 minuti a 37°C, è stato aggiunto il substrato precipitante BCIP/NBT (Sigma). I pesi molecolari delle bande evidenziate sono stati ottenuti mediante una retta di regressione elaborata con “Excel” utilizzando come riferimento un marcatore di peso molecolare standard. Infezione sperimentale Un ceppo di L. garvieae isolato da trota iridea è stato rivirulentato mediante due passaggi in vivo in trota iridea e quindi conservato in aliquote a -80°C. I batteri destinati all’infezione sperimentale sono stati coltivati in TSB a 24°C fino al raggiungimento della fase logaritmica di crescita, quindi lavati mediante centrifugazione a 2000 giri per 45 minuti e risospesi in PBS. La concentrazione batterica è stata determinata in fase preliminare mediante stima spettrofotometrica della densità ottica a 620 nm, quindi il numero effettivo di UFC/ml contenute nelle sospensioni inoculate è stato confermato mediante conta su terreno solido. La quantità di batteri da impiegare per saggiare la protezione è stata determinata nel corso di una prova preliminare che ha previsto l’inoculo intraperitoneale di 2 dosi batteriche a due gruppi di trote iridea ospitati in acquario. Per realizzare il challenge, i gruppi sperimentali (A, B, C, D) sono stati trasferiti dallo stabulario del Dipartimento di Scienze Animali alla cabina di infezione presso il Laboratorio di Biologia Marina di Trieste. Il trasferimento è stato condotto utilizzando un veicolo adeguatamente allestito con vasche in vetroresina e bombola per l’ossigenazione dell’acqua. I pesci sono stati stabulati in vasche di vetroresina (140 litri), inserite in un impianto a ciclo aperto approvvigionato con acqua di fonte, filtrata con carbone attivo (T=18°C, ricambio 2 l/min). Nella fase di acclimatazione i pesci sono stati alimentati con mangime commerciale (1% del p.v./giorno). Il tempo intercorso dall’inizio dell’immunizzazione all’infezione è stato pari a 4 settimane. Il challenge è stato attuato, previa anestesia di tutti i soggetti mediante benzocaina (0,03 g/l), con iniezione intraperitoneale di 2,6x105 UFC/soggetto (200 µl), secondo lo schema riportato in tabella 2. 152 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161 Gruppo A - AM B - WCs C - ECPs D - PBS N. soggetti 28 27 27 26 Dose batterica 2,6x105 UFC/sogg. (200 µl) 2,6x105 UFC/sogg. (200 µl) 2,6x105 UFC/sogg. (200 µl) 2,6x105 UFC/sogg. (200 µl) Tabella 2 – Schema di intervento con Lactococcus garvieae mediante iniezione intraperitoneale. Table 2 – Intervention diagram with Lactococcus garvieae by intraperitoneal injection. La mortalità cumulativa è stata registrata per 10 giorni post-infezione. I soggetti morti in seguito all’infezione sono stati sottoposti ad esame necroscopico e batteriologico (coltura su TSA) per confermare la diagnosi di malattia. La protezione conferita dall’immunizzazione è stata valutata in termini di percentuale relativa di sopravvivenza (Amend, 1981): RPS = [1-(% mortalità gruppo vaccinati / % mortalità gruppo controllo)] x 100 I risultati sono stati analizzati statisticamente mediante test χ2. RISULTATI Valutazione della risposta anticorpale specifica mediante emoagglutinazione ed ELISA I risultati del saggio di agglutinazione effettuato sui sieri prelevati dai quattro gruppi sperimentali (immunizzazione con WCs, ECPs e AM) non hanno evidenziato differenze significative tra i gruppi e rispetto al gruppo di controllo trattato con PBS (dati non riportati). La risposta anticorpale specifica è stata misurata anche mediante un sistema ELISA indiretto. Per ogni gruppo immunizzato e per il gruppo di controllo sono stati analizzati 10 sieri. La diluizione ottimale dei campioni scelta per l’elaborazione dei dati è stata 1:25. La lettura spettrofotometrica scelta come riferimento è stata quella a 30 minuti di incubazione. Nella figura 1 sono rappresentati i risultati come medie di assorbanza (O.D. a 405 nm) per ciascun gruppo considerato. La lettura spettrofotometrica è stata pari 0,64 (± 0,12) nel gruppo di controllo, 0,6 (± 0,23) nel gruppo immunizzato con ECPs, 0,56 (± 0,2) nel gruppo immunizzato con WCs, 0,49 (± 0,2) nel gruppo immunizzato con AM. L’elaborazione statistica dei dati non ha evidenziato differenze significative tra i gruppi. 153 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161 0,9 Assorbanza (405 nm) 0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 AM WC ECP CTRL Figura 1 - Titolo anticorpale specifico per Lactococcus garvieae nel siero dei soggetti sperimentali. Le misurazioni sono espresse come medie di assorbanza (D.O. a 405 nm) e relative deviazioni standard per ciascun gruppo considerato (n=10): AM, WCs, ECPs e controllo. Figure 1 - Specific antibody titre to Lactococcus garvieae in the serum of the experimental subjects. The values are expressed as mean absorbance (O.D. at 405 nm) and related standard deviation for each considered group (n=10): AM, WCs, ECPs and control. Profilo elettroforetico degli antigeni batterici e valutazione mediante immunoblotting La figura 2 riporta il tracciato elettroforetico relativo agli antigeni utilizzati per la prova di immunizzazione. Il peso molecolare delle bande evidenziate in ciascuna colonna è stato stimato in riferimento al marcatore di peso molecolare riportato nell’ultima colonna a destra del gel. Nel caso degli ECPs si evidenziano componenti peptidici principali a 70 kDa. Nel caso degli antigeni di membrana e WCs il profilo elettroforetico risulta complesso e costituito da numerose bande. Si evidenziano comunque alcune somiglianze. Le WC rispetto agli antigeni di membrana presentano in più una banda a 66 kDa e in meno le seguenti bande: 18, 37, 111, 115, 141, 151 e 156 kDa. L’esito della immuno-rivelazione condotta utilizzando sieri ottenuti dal gruppo di controllo e dai gruppi immunizzati con i vari antigeni è illustrato nella figura 3. Si osserva che una banda di 23 kDa risulta molto evidente in WCs ed AM, con tutti gli antisieri utilizzati e anche con il siero di controllo. Una banda di 48 kDa è evidente nell’antigene WCs trattato con i sieri ottenuti dai soggetti di controllo e immunizzati con ECPs e WCs. Una banda a 102 kDa è presente in WCs ed AM, trattati con gli antisieri di controllo, anti WCs e anti AM. Infezione sperimentale Nella tabella 3 sono stati riassunti i risultati ottenuti in seguito alla prova di infezione realizzata per valutare la protezione. Vengono riportati il numero di morti giornaliero, fino a 10 giorni e il numero di morti totale. La mortalità viene espressa in percentuale e la protezione conferita dal vaccino come percentuale relativa di sopravvivenza (RPS). 154 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161 AM ECPs WCs kDa ← 205 ← 119 ← 82 ← 44 ← 30 Figura 2 - Profilo SDS- PAGE degli antigeni di Lactococcus garvieae utilizzati per l’immunizzazione dei soggetti sperimentali. I numeri a destra del gel indicano i pesi molecolari di riferimento. Figure 2 - SDS-PAGE profile of the Lactococcus garvieae antigens employed for the immunization of the experimental fish. The numbers on the right side of the picture are the reference molecular weights. Sieri Ctr Sieri WCs Sieri AM Sieri ECPs 23 kDa 48 kDa 23 kDa St WCs ECPs AM WCs AM ECPs WCs Figura 3 - Immuno-blotting del gel SDS-PAGE tramite il quale sono stati analizzati i sieri ottenuti dai soggetti immunizzati con WCs, AM, ECPs e i sieri di controllo. Gli antigeni di riferimento sono indicati dalle sigle poste alla base della foto. Figure 3 - Immuno-blotting of the protein profiles revealed by the SDS-PAGE analysis. The abbreviations in the upper part of the picture indicate the fish sera employed (Ctr, or specific for WCs, AM, ECPs). The abbreviations in the lower part of the picture indicate the reference antigens. 155 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161 Challenge Giorni postinfezione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale Mortalità % RPS Soggetti vaccinati Antigene ECPs 0 0 0 1 0 11 3 0 0 0 15 55%a 35% Antigene WCs 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1 4%b 95% Antigene AM 0 0 0 3 0 7 3 3 0 0 16 57%a 33% Soggetti di controllo PBS 0 0 0 4 0 14 3 1 0 0 22 85 %c - Tabella 3 - Mortalità registrata nei soggetti immunizzati e di controllo, in seguito ad infezione sperimentale con Lactococcus garvieae (challenge intraperitoneale con 2,6x105 UFC/sogg) realizzata 4 settimane dopo la vaccinazione. I valori di RPS esprimono la protezione conferita dal vaccino. Test χ2, differenze significative per p ≤ 0,01. Table 3 - Mortality of control and immunized fish, recorded after the experimental infection with Lactococcus garvieae (intraperitoneal challenge with 2.6x105CFU/fish), performed 4 weeks post-vaccination. RPS values indicate the protection conferred by the vaccine. Chi-square test, significative differences for p ≤ 0.01. Infine, nella figura 4 viene rappresentata la mortalità cumulativa per ogni gruppo considerato. La mortalità del gruppo di controllo è stata pari all’85%, quella del gruppo immunizzato con WCs 4%, quella del gruppo immunizzato con ECPs 55% e quella del gruppo immunizzato con AM 57%. I trattamenti hanno garantito le seguenti percentuali relative di sopravvivenza: 95% per WCs; 35% per ECPs; 33% per AM. Nei soggetti moribondi sono stati evidenziati i segni clinici e le lesioni anatomopatologiche caratteristici della malattia. L’esame batteriologico ha consentito il reisolamento di L. garvieae dai soggetti moribondi. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Nella maggior parte dei casi i vaccini proposti per la profilassi della lattococcosi sono costituiti da FKC, ossia cellule intere di Lactococcus garvieae inattivate con formalina, che assicurano significativi livelli di protezione contro la malattia, soprattutto se somministrati in abbinamento a sostanze adiuvanti (Ravelo et al., 2006). La produzione di questo tipo di antigene, relativamente semplice, sembra per ora garantire un buon rapporto tra costi e benefici in termini di protezione, ma vari ricercatori hanno iniziato a studiare l’impiego di formulazioni nelle quali compaiano componenti più specifiche del batterio, in grado di conferire una risposta immunitaria più efficace nella protezione dalla malattia. Fra questi è 156 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161 90 PBS 80 mortalità cumulativa (%) 70 60 AM ECPs 50 40 30 20 10 WCs 0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 giorni post infezione Figura 4 - Mortalità cumulativa registrata nei soggetti immunizzati (AM, ECPs, WCs) e nei soggetti di controllo (PBS), dopo infezione sperimentale con Lactococcus garvieae. Figure 4 - Cumulative mortality of control (PBS) and immunized fish (AM, ECPs, WCs), recorded after the experimental infection with Lactococcus garvieae. utile citare: Barnes & Ellis (2004) che hanno studiato il ruolo della capsula nella fissazione del complemento di trota iridea da parte di L. garvieae; Salati et al. (2005), che hanno descritto la risposta immunitaria in orate (S. aurata) immunizzate con vari antigeni (FKC, estratti di membrana, proteina M); Ravelo et al. (2003) che hanno valutato il ruolo della capsula nella protezione conferita da vaccini intraperitoneali in trota iridea; Ooyama et al. (2006) che hanno proposto l’impiego, in ricciola (Seriola quinqueradiata), di un vaccino vivo attenuato costituito da batteri privi di capsula; Ooyama et al. (2002), che hanno studiato, sempre in ricciola, l’immunogenicità di antigeni di superficie di L. garvieae. Nell’ambito di questa indagine un ceppo virulento di L. garvieae isolato da trota iridea è stato utilizzato per la preparazione di alcuni antigeni, analizzati elettroforeticamente e quindi impiegati per immunizzare trote iridee di taglia suscettibile alla malattia, al fine di valutare alcuni aspetti della risposta immunitaria e la protezione conferita nei confronti della lattococcosi. Gli antigeni purificati sono: prodotti batterici extracellulari (ECPs); cellule batteriche intere inattivate con formalina (WCs); antigeni di membrana (AM); proteine M-like. Tre di questi (WCs, ECPs, AM) sono stati destinati all’immunizzazione dei soggetti sperimentali. La scelta degli autori di impiegare tali sostanze si è basata su informazioni raccolte dalla bibliografia recente, che descrive l’effetto immunogeno e protettivo indotto dalle stesse in altre specie ittiche suscettibili alla lattococcosi (Kusuda & Salati, 1999; Salati et al., 2005). 157 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161 Le cellule batteriche intere di L. garvieae e le singole frazioni sono state sottoposte ad analisi elettroforetica mediante SDS-PAGE. Nel caso degli ECPs si evidenziano componenti peptidici principali a 70 kDa, che non vengono evidenziati negli altri tracciati esaminati (WCs e AM). Nel caso degli antigeni di membrana e delle WCs il profilo elettroforetico risulta simile e paragonabile a quanto già osservato da altri autori (Schmidtke & Carson, 1999; Shin et al., 2006) nell’ambito di indagini biochimiche su ceppi di L. garvieae. Per quanto riguarda l’analisi tramite immunoblotting, la bande con peso molecolare prossimo a 70 kDa, evidenziate come componenti della frazione antigenica ECPs, non sono oggetto di legame da parte dei sieri analizzati. Questo indica che tali componenti, rilasciate nel terreno di coltura da L. garvieae, non sono in grado di legare anticorpi di trota iridea. Nel caso degli antigeni di membrana e delle cellule intere, fra le numerose bande evidenziate tramite SDSPAGE, alcune in particolare vengono rivelate dall’aggiunta del siero di trota. Si osserva che una banda di 23 kDa risulta molto evidente in WCs ed AM, con tutti gli antisieri utilizzati e anche con il siero di controllo. La banda a 48 kDa è evidente nell’antigene WCs trattato con i sieri ottenuti dai soggetti di controllo e immunizzati con ECPs e WCs. La banda a 102 kDa è presente in WCs ed AM, trattati con gli antisieri di controllo, anti WC e anti-AM. Un dato particolare che emerge da queste valutazione è che anche i sieri di controllo, ossia ottenuti da trote iridee non sottoposte ad alcun trattamento immunizzante, contengono immunoglobuline in grado di legarsi con alcune componenti proteiche del batterio. Le bande evidenziate sono quelle a peso molecolare approssimativo di 23, 48 e 102 kDa. Un’osservazione simile era già emersa nel corso della ricerca condotta da Barnes et al. (2001). Questi autori avevano analizzato tramite elettroforesi e immunoblotting il legame aspecifico delle immunoglobuline di trota iridea nei confronti di proteine di membrana espresse da ceppi capsulati e non di L. garvieae. In particolare gli autori avevano riconosciuto una banda di peso molecolare approssimativo di 30 kDa, espressa solo dai ceppi capsulati, che veniva legata in modo non specifico dal siero di controllo. Nelle indagini condotte dagli stessi autori un'altra banda evidenziata dall’immunoblotting, sempre in modo non specifico, aveva un peso molecolare approssimativo di 52 kDa. La spiegazione fornita per questo risultato era che le immunoglobuline di trota possono legare alcune proteine espresse da batteri Gram positivi, come L. garvieae, utilizzando la porzione Fc. La capacità dei batteri di legare proteine sieriche dell’ospite, comprese le immunoglobuline, attraverso meccanismi di riconoscimento non specifici è considerato un potenziale fattore di virulenza (Fischetti, 2000). Tale modalità di legame può infatti limitare meccanismi volti alla eliminazione del patogeno, quali la fissazione del complemento e la opsonizzazione seguita da fagocitosi. L’applicazione della tecnica di agglutinazione per stabilire la risposta anticorpale specifica nei confronti di L. garvieae era già stata proposta da altri autori (Barnes et al., 2001, in trota iridea; Salati et al., 2004, in orata). Nel corso di questa indagine la valutazione è stata condotta adottando sia questa metodica, sia un saggio ELISA indiretto, considerato generalmente più sensibile, ma mai applicato per la valutazione della risposta umorale contro L. garvieae in trota iridea. Entrambi i sistemi hanno rivelato valori di risposta anticorpale elevati anche nel caso dei sieri ottenuti dai soggetti non immunizzati (inoculati solo con PBS). La particolarità di quanto osservato sembra confermare quanto già rilevato tramite l’immunoblotting, ossia che le immunoglobuline contenute nel siero di trota possono legarsi ad un antigene batterico espresso da L. garvieae. Questi dati sottolineano che i metodi sierologici, quali agglutinazione, ELISA e Western Blot non sono sempre attendibili per la valutazione della risposta anticorpale specifica nei confronti del patogeno utilizzato nell’ambito di questa prova. Considerati i limiti dei risultati sierologici appena descritti, si ritiene utile proporre quale metodo definitivo per stabilire la protezione indotta dagli antigeni impiegati la prova di 158 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 147-161 infezione. In sintesi le mortalità riscontrate nei gruppi sperimentali sono state: 85% nel gruppo di controllo; 4% nel gruppo immunizzato con WCs; 55% nel gruppo immunizzato con ECPs; 57% nel gruppo immunizzato con AM. I trattamenti hanno pertanto garantito le seguenti percentuali relative di sopravvivenza: 95% per WCs; 35% per ECPs; 33% per AM. Queste percentuali suggeriscono che le cellule batteriche intere inattivate con formalina (WCs) conferiscono la maggiore protezione tra gli antigeni impiegati. Anche le frazioni ECPs e AM sono risultate efficaci in tal senso, seppure con RPS più basse. Al fine di poter confrontare con maggiore attendibilità l’efficacia delle tre formulazioni utilizzate sarebbe tuttavia necessario poter uniformare le quantità somministrate al singolo individuo e le unità di misura con cui tali quantità vengono espresse. Inoltre, visto l’esito delle prove di vaccinazione, sarebbe interessante formulare un vaccino comprensivo di cellule batteriche e antigeni di membrana o prodotti extracellulari, per ottenere un potenziamento dell’effetto protettivo. Confrontando le osservazioni relative alla risposta anticorpale con i dati di protezione registrati nella prova di infezione, si evidenzia un aspetto contrastante. I soggetti immunizzati con il protocollo proposto in questa indagine non hanno sviluppato una risposta umorale specifica quantificabile con saggi in vitro, ma sono risultati protetti nei confronti della malattia. Probabilmente la risposta anticorpale specifica era presente, ma non evidenziabile a causa della possibile aspecificità di legame tra alcune componenti proteiche di L. garvieae e la porzione Fc delle immunoglobuline di trota iridea. Inoltre, nella risposta protettiva possano avere un ruolo significativo altri meccanismi, quali la difesa immunitaria aspecifica e in particolar modo quella cellulare. Infatti nei soggetti immunizzati con ECPs, pur non riscontrando (tramite immuno-blotting) la presenza di immunoglobuline specifiche e non essendoci l’interferenza esercitata dalle proteine batteriche di legame aspecifico, è risultata evidente la resistenza all’infezione. In base a queste considerazioni, gli ECPs potrebbero aver attivato dei sistemi di difesa immunitaria di tipo aspecifico. In merito a questo aspetto, l’unico riferimento bibliografico possibile è quello di Salati et al. (2005). L’immunizzazione di orate con cellule batteriche inattivate e con proteina M aveva stimolato l’attività di fagocitosi dei leucociti isolati da sangue periferico, ma solo a partire da 44 e 66 giorni dopo l’immunizzazione. Tali osservazioni possono rappresentare un punto di partenza per ulteriori approfondimenti finalizzati a stabilire, in alternativa alla risposta anticorpale specifica, il ruolo dell’immunità aspecifica nella difesa della malattia. RINGRAZIAMENTI La ricerca è stata finanziata dalla regione Friuli Venezia Giulia (L.R. 164/98). Gli autori desiderano ringraziare il Sig. Gian Pietro Martincig, Dipartimento di Scienze Animali (Università di Udine), per il contributo fornito nel corso delle prove sperimentali. BIBLIOGRAFIA Amend D.F. (1981). Potency testing of fish vaccines. International symposium on fish biologics: serodiagnostic and vaccines. Develop. Biol. Standard., 49: 447-454. Austin B. & Van Pouce A. (1993). 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Nel presente lavoro, il processo fagocitario di emociti di Mytilus galloprovincialis (Lmk, 1819) sottoposti a ELF-EMF (50 Hz, 1 mT) è stato studiato sia in vivo, in esperimenti condotti su mitili posti in acqua, che in vitro. La sintesi di specie reattive dell’ossigeno (ROS) e le variazioni di calcio intracellulare sono stati considerati i parametri di riferimento nello studio degli effetti degli ELF-EMF, impiegando lieviti nella stimolazione fagocitaria degli emociti. Nelle prove in vitro è stato evidenziato un aumento di ROS rispetto al gruppo controllo avvalorando l’ipotesi secondo la quale gli ELF-EMF potrebbero aumentare l’emivita dei ROS con seguente danno cellulare. Nelle prove in vivo, invece, è stata riscontrata una diminuzione dei ROS rispetto al gruppo controllo e in tal senso si potrebbe ipotizzare un ruolo immunodepressivo degli ELF-EMF imputabile a meccanismi biologici compensativi, disponibili in vivo, ma non presenti in vitro, in grado di contrastare l’aumentata emivita dei ROS e quindi di proteggere le cellule da situazioni dannose. Al contrario, la quantità di calcio intracellulare non sembra aver subito modificazioni di rilievo in entrambe le tipologie sperimentali condotte. In funzione della tipologia di esposizione agli ELF-EMF, quindi, la sperimentazione ha evidenziato una diversa risposta ossidativa degli emociti allo stimolo fagocitario, indicando un potenziale impatto degli ELF-EMF sul processo difensivo dei mitili. Pertanto, il presente lavoro ha lo scopo di proporre la fagocitosi emocitaria come possibile modello di studio degli ELF-EMF non solo nell’ambito di ricerche di base, ma anche nei processi di monitoraggio e di certificazione della qualità ambientale. SUMMARY - The widespread of anthropic activities and the technological development have increased in the last decades the exposure of organisms to low frequency magnetic fields (ELF-EMF), so evoking a great interest about their influence on biological and mainly immune system. In the present work, the phagocytosis of the Mytilus galloprovincialis (Lmk, 1819) hemocytes has been investigated following the exposure to ELF-EMF (50 Hz, 1 mT), both in vivo and in vitro experiments. The reactive oxygen species (ROS) and the intracellular Ca++ changes were considered as parameters to monitoring the effects of ELF-EMF, using yeasts as phagocytosis stimuli. In the in vitro experiment, the ROS synthesis increased compared to the control group supposing an higher lifetime for ROS with deleterious effects for cells. In the in vivo experiment, the ROS synthesis decreased compared to the control group and this result could be linked to a immunosuppressive modulation of ELF-EMF. In particular, some biological pathways available in vivo but not present in vitro could exist to counterbalance the higher lifetime of ROS, so protecting the cells from insulting events. On the contrary, the intracellular Ca++ showed any level change compared to the control group both in vitro and in vivo experiments. Depending on the kind of exposure to ELF-EMF, such results have attested the different oxidative response of the mussel hemocytes following phagocytosis stimulation, so indicating the evidence of the potential impact of ELF-EMF on the mussel immune system. Therefore, the present work has the aim to propose the hemocyte phagocytosis as biological model for investigating the ELF-EMF not only in the basal research but also for monitoring the environmental quality. Key words: Mussels, Mytilus galloprovincialis, ELF-EMF, Phagocytosis, Calcium. _____________________________ * Corresponding Author: c/o Dipartimento di Scienze Biomediche Comparate, Facoltà di Medicina Veterinaria, Piazza A. Moro, 45 - 64100 Teramo – Italy. Tel.: 0861-266872; Fax: 0861-412868; E-mail: [email protected]. 163 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 163-171 INTRODUZIONE Negli ultimi anni, la crescente domanda di elettricità, il continuo avanzamento delle tecnologie ed i cambiamenti nei comportamenti sociali, hanno portato ad un’aumentata esposizione degli organismi a sorgenti artificiali di campi elettromagnetici (EMF). Gli EMF originano dall’interazione di campi elettrici con campi magnetici e si propagano per mezzo di onde classificate in radiazioni ionizzanti e non ionizzanti. Le prime hanno una frequenza estremamente alta (raggi X e raggi gamma) e possiedono un’energia fotonica in grado di ionizzare le molecole, mentre le seconde, caratterizzate da bassa energia fotonica, comprendono la radiazione ultravioletta (UV), la luce visibile, la radiazione infrarossa, i campi a radiofrequenza, le microonde, i campi a frequenza estremamente bassa (ELF) ed i campi elettrici e magnetici statici (W.H.O., 1999). In particolare, i campi elettromagnetici a frequenza estremamente bassa (ELF-EMF), con valori inferiori a 300 Hz, sono generati principalmente nei processi di produzione, trasmissione ed utilizzo di energia elettrica (W.H.O., 1999). Numerosi studi sono stati condotti al fine di valutare gli effetti di ELF-EMF sugli organismi biologici, ma i risultati prodotti finora risultano spesso disomogenei data la diversità delle metodiche utilizzate e vista la mancanza di un modello generale di interpretazione del meccanismo d’azione delle onde elettromagnetiche sugli esseri viventi. Tuttavia, nonostante non siano ancora stati delucidati i meccanismi alla base delle alterazioni provocate dai campi ELF sugli organismi, risulta accertato che le interazioni con i sistemi biologici avvengono tramite la superficie esterna della membrana cellulare modulando principalmente la proliferazione di cellule e tessuti, la variazione di flussi ionici cellulari e modificando alcune attività enzimatiche (Shimizu et al., 1995). Inoltre, i campi ELF-EMF sembrano determinare variazioni nella risposta fagocitaria delle cellule (Simkò et al., 2001; Simkò & Mattsson, 2004). Nel presente lavoro è stata studiata l’influenza dei ELF-EMF sul sistema difensivo dei mitili (Mytilus galloprovincialis Lmk, 1819), che rappresentano bioindicatori ideali come modelli di studio semplificati di processi immunitari quali la fagocitosi. Infatti, il sistema immunitario dei mitili è essenzialmente basato sulla fagocitosi e gli emociti rappresentano le cellule deputate al riconoscimento, adesione, inglobamento, degradazione ed eliminazione del not-self (Bachère et al., 1995). La capacità fagocitaria degli emociti risulta strettamente dipendente da proprietà ameboidi e, in tal senso, la disponibilità di calcio (Ca++) intracellulare svolge un ruolo importante nei processi di arrangiamento del citoscheletro. Le proprietà degradative degli emociti, invece, risultano legate all’attività di enzimi lisosomiali e, soprattutto, alla produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS), molecole altamente ossidanti tra cui figura l’anione superossido (O2-) generato dall’attivazione della NADPH-ossidasi di membrana. Al fine di valutare il potenziale impatto dei ELF-EMF sul processo fagocitario di mitili, sono state effettuate misurazioni in micrometodo delle variazioni di Ca++ intracellulare e del rilascio di anione superossido, quali indicatori rispettivamente delle capacità ameboidi e ossidative degli emociti. L’esposizione a ELF-EMF è stata condotta sia in vivo che in vitro per tempi differenti, operando in vivo su mitili collocati all’interno di un sistema a ricircolo di acqua di mare, impiegando valori di frequenza pari a 50 Hz e con induzione elettromagnetica di 1 mT, secondo quanto riportato da diverse fonti bibliografiche (Simkò et al., 2001; Rollwitz et al., 2004). I valori di ELF-EMF applicati, infatti, rispecchiano sia la frequenza della rete elettrica europea che l’induzione elettromagnetica generata da apparecchi elettronici di uso quotidiano (W.H.O., 1999). 164 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 163-171 MATERIALI E METODI Valutazione dell’attività fagocitaria I mitili erano posti in uno specifico sistema di acquari in condizioni di temperatura (18°C) e salinità (33 ppt) costanti e le condizioni sperimentali applicate dopo 24 ore. Gli organismi mantenuti in acquario costituivano il gruppo controllo di riferimento, da cui l’emolinfa veniva prelevata con siringa da insulina sterile introdotta nel muscolo adduttore posteriore. Il pool di emociti, costituito dai vari prelievi, era deposto in piastre per microtitolazione nella quantità di 1x105 cellule/pozzetto. La capacità ossidativa degli emociti è stata valutata in micrometodo mediante chemiluminescenza luminolo dipendente (LuCL). Una soluzione di luminolo (Sigma) veniva preparata immediatamente prima dell’uso in acqua di mare sterile (AQMS) e posta in ciascun pozzetto (10-3M) contenente gli emociti. Successivamente, si procedeva ad aggiungere lo stimolo fagocitario costituito da una sospensione (5 mg/ml in AQMS) di particelle di lievito (Saccharomyces cerevisiae, Zymosan A). Si registrava quindi l’andamento temporale della luminescenza tramite uno specifico lettore di micropiastre (Packard, Mod. Fusion B). La produzione di ROS, in particolare di anione superossido, durante la fagocitosi dei lieviti determina infatti l’ossidazione del luminolo ad anione 3-α-amminoftalato che, decadendo dallo stato eccitato allo stato fondamentale, emette un segnale luminoso registrato nel tempo dallo strumento in termini quantitativi. La quantità di Ca++ intracellulare è stata valutata in micrometodo mediante rilevazione della fluorescenza, utilizzando uno specifico tracciante (Fluo3/AM). Il Fluo3/AM penetra nella cellula ed incrementa la sua fluorescenza da 40 a 200 volte in seguito al legame con il calcio libero intracellulare. La sonda fluorescente era aggiunta nei pozzetti (5µM) contenenti gli emociti in associazione al Pluronic (0,02%), molecola in grado di aumentare il segnale fornito dal legame del Fluo3/AM con il Ca++ intracellulare. Dopo 20 minuti di incubazione con il tracciante, una sospensione (5 mg/ml in AQMS) di particelle di lievito veniva posta nei pozzetti quale stimolo fagocitario. Si registrava quindi l’andamento temporale della fluorescenza tramite uno specifico lettore di micropiastre (Packard, Mod. Fusion B), utilizzando filtri di eccitazione a 510 nm e di emissione a 535 nm. Applicazione dello stress elettromagnetico Il campo magnetico sinusoidale da 50 Hz di frequenza ed 1 mT di induzione è stato generato mediante l’utilizzo di un solenoide con diametro interno di 12,5 cm, lunghezza di 30 cm e con una resistenza di 4,8 ohm e 8 giri/cm. Il solenoide è stato ottenuto con un doppio avvolgimento sovrapposto di filo di rame su di un cilindro di polivinilcloruro (PVC) e alimentato da un variatore di rete (Variac) connesso ad un avvolgimento secondario di un trasformatore capace di ridurre la corrente alternata (AC) della linea elettrica (220V) ad un valore di 140 V. La forma d’onda, la frequenza della corrente e l’intensità del campo magnetico erano controllate da un misuratore connesso in parallelo a una resistenza in serie con il solenoide. Nelle prove in vitro, l’emolinfa veniva prelevata da mitili, raccolta in un singolo pool, e posta in piastre da microtitolazione (1x105 cellule/pozzetto). Successivamente, gli emociti venivano direttamente esposti al campo elettromagnetico per 30 e 60 minuti, procedendo al termine dell’esposizione alla misurazione dell’anione superossido e del calcio intracellulare. Le prove in vivo erano effettuate con mitili esposti a ELF-EMF in acqua di mare per 30 e 60 minuti; a tal fine era allestito un sistema di ricircolo di acqua di mare con passaggio all’interno del solenoide; successivamente, l’emolinfa prelevata dal muscolo adduttore era 165 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 163-171 raccolta in un singolo pool e deposta in piastre da microtitolazione (1x105 cellule/pozzetto) al fine di procedere alla misurazione dell’anione superossido e del calcio intracellulare. Per entrambe le prove si provvedeva a creare un controllo non esposto al campo elettromagnetico e mantenuto nelle medesime condizioni. Analisi statistica Tutti gli esperimenti sono stati ripetuti per tre volte su 10 soggetti ed i dati sono stati analizzati con il test Anova a due vie. RISULTATI Prove in vitro Le prove in LuCL hanno dimostrato, negli emociti esposti agli ELF-EMF per 30 minuti, una maggiore attività ossidativa. I valori assoluti di Unità Relative di Luminescenza (ULR) registrati al picco massimo (30 minuti di lettura) erano di 133 per il controllo, di 181,5 e 135,6 per gli emociti esposti rispettivamente 30 e 60 minuti. I risultati sono espressi in grafico come differenze in percentuali relative al gruppo controllo (p<0,05) (Figura 1). Le prove in fluorimetria per la rilevazione del calcio intracellulare hanno prodotto risultati non ripetibili e pertanto non significativi rispetto al controllo. ELF-EMF 30 MIN* ELF-EMF 60 MIN 60 50 % ULR 40 30 20 10 0 10 20 30 40 50 Tem po lettura (m in) Figura 1 - Chemiluminescenza misurata in micrometodo ed espressa come percentuale relativa di Unità Relative di Luminescenza (ULR) in emociti esposti a ELF-EMF (50 Hz-1 mT). (* p<0,05 rispetto al controllo). Figure 1: Chemiluminescence measured in micromethod and expressed as Units Relative Luminescence (ULR) relative percentage in hemocytes after exposure to ELF-EMF (50 Hz-1mT).(* p<0.05 respect to the control). 166 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 163-171 Prove in vivo I risultati delle prove di LuCL su mitili sottoposti ad ELF-EMF indicavano che l’emolinfa prelevata dai molluschi stressati per 60 minuti rispondeva allo stimolo fagocitario mostrando una minore attività ossidativa espressa come percentuale relativa nei confronti del gruppo controllo (p<0,05) (Figura 2). Al contrario, l’applicazione dello stress per 30 minuti non produceva differenze significative rispetto al controllo. I valori assoluti di ULR registrati al picco massimo (20 minuti di lettura) erano di 290 per il controllo, 183 e 277,6 per i mitili stressati rispettivamente 60 e 30 minuti. Infine, le prove condotte in fluorimetria per la rilevazione del calcio intracellulare non hanno mostrato differenze significative tra i mitili esposti ed il controllo. ELF -EM F 60 M IN ELF- EM F 30 M IN 10 20 30 * 40 50 0 -10 % ULR -20 -30 -40 -50 -60 Tempo lettura (min) Figura 2: Chemiluminescenza misurata in micrometodo ed espressa come percentuale relativa di Unità Relative di Luminescenza (ULR) in mitili esposti a ELF-EMF (50 Hz-1 mT). (* p<0,05 rispetto al controllo). Figure 2: Chemiluminescence measured in micromethod and expressed as Units Relative Luminescence (ULR ) relative percentage in mussels after exposure to ELF-EMF (50 Hz-1mT). (* p<0.05 respect to the control). DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Gli studi sugli effetti biologici dei campi magnetici a bassa frequenza sono attualmente molto numerosi, ma spesso risulta difficile confrontarli tra loro poiché differiscono per le modalità di esposizione impiegate, per il sistema biologico esaminato e per i saggi utilizzati. Tra i vari sistemi biologici presi in esame, alcuni riguardano la produzione di radicali liberi, intermedi metabolici particolarmente importanti perché capaci di reagire con il DNA e di favorirne o indurne danni. I ROS vengono fisiologicamente prodotti in seguito al busrt respiratorio da cellule deputate alla fagocitosi e gli effetti dei ELF-EMF sulla loro 167 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 163-171 produzione sono stati studiati in cellule di mammifero mostrando, in neutrofili stimolati con esteri del forbolo, un aumento della produzione dei radicali (Roy et al., 1995). Inoltre, l’esposizione di macrofagi ad un campo di 1 mT per 45 minuti produce un incremento del 35% dell’internalizzazione di particelle rispetto al controllo (Simkò et al., 2001). Altri autori registrano una proliferazione cellulare, riconducibile alla produzione di ROS, in seguito ad esposizione ad ELF-EMF (Katsir & Parola, 1998). Le ipotesi per spiegare questi effetti sono ricollegabili all’incremento della vita media dei radicali e/o all’attivazione delle cellule fagocitarie, che potrebbero portare ad un aumento dell’attività fagocitaria ed alla produzione diretta di radicali dell’ossigeno. Inoltre, nei mammiferi, prolungate esposizioni a EMF indurrebbero una inibizione della ghiandola pineale con diminuita produzione di melatonina, ormone conosciuto come scavenger dei radicali (Simkò & Mattsson, 2004). Relativamente agli organismi acquatici, i lavori sperimentali riguardanti le azioni dei campi elettromagnetici, focalizzano l’attenzione sulla funzionalità di specifici organi producendo, ad esempio, dati sulla sintesi di melatonina in salmerini di fonte (Salvelinus fontinalis) (Lerchl et al., 1998), sull’elettrosensibilità in alcune specie di pesci (Wood, 1993), sulle alterazioni della morfologia della retina in avannotti di Oncorhynchus masou (Zagal’skaia et al., 2005) e sugli effetti nell’apparato riproduttivo di varie specie di organismi marini (Brent, 1999). In questo contesto, la scelta dei mitili, quale modello sperimentale per la valutazione delle risposte di un organismo acquatico ai campi elettromagnetici, è particolarmente indicata per la facilità con cui questi organismi possono essere esposti a ELF-EMF e per la rapidità con cui si rilevano variazioni di alcuni importanti meccanismi di difesa, come la fagocitosi, conservata dagli invertebrati all’uomo. Il presente lavoro, al fine di valutare gli effetti dei ELF-EMF sui sistemi biologici ed in particolare sul sistema difensivo dei mitili, ha esaminato la produzione di ROS e le variazioni della concentrazione di calcio intracellulare in seguito a stimolazione fagocitaria, utilizzando come mezzo d’indagine l’analisi in micrometodo che permette di studiare le proprietà biologiche controllando contemporaneamente più campioni e variabili e fornendo parallelamente un andamento temporale del processo studiato. Per la valutazione in micrometodo della produzione dei ROS è stata utilizzata la chemiluminescenza Luminolo-dipendente (LuCL) metodica già applicata allo studio della fagocitosi nei molluschi bivalvi (Nöel et al., 1993, Ordas et al., 2000), che misura principalmente l’O2- fornendo indirettamente una valutazione delle capacità di risposta del sistema difensivo dei mitili (Anderson, 2001), mentre per la quantificazione della produzione di calcio intracellulare in seguito a stimolazione fagocitaria dopo esposizione ad ELF-EMF, si è utilizzata una specifica sonda fluorescente rilevando il segnale in fluorimetria. I risultati ottenuti nel presente lavoro sugli effetti biologici dei campi elettromagnetici sull’emolinfa di mitili, hanno evidenziato come, in seguito ad un’esposizione cellulare di soli 30 minuti ad un ELF-EMF di 1mT a 50 Hz, ci sia una maggiore produzione di ROS, nello specifico anione superossido, rispetto al controllo (Figura 1). In particolare, l’attivazione delle cellule immunitarie in seguito ad esposizione ad ELF-EMF potrebbe essere legata ad una maggiore produzione di O2- da parte della NADPH-ossidasi, come confermato da precedenti lavori che utilizzano il DPI (diphenyleneiodonium chloride), uno specifico NADPH-ossidasi inibitore, che comporta la diminuzione di O2- (Lupke et al., 2004; Rollwitz et al., 2004). È inoltre ipotizzabile un incremento dell’emivita dei radicali dell’ossigeno causato dalla formazione di radicali allo stato di tripletto (Brocklehurst & McLauchlan, 1996). Le prove in vivo sui mitili hanno prodotto risultati opposti a quelle effettuate sugli emociti: lo stress elettromagnetico della durata di 60 minuti diminuiva la produzione di anione superossido rispetto ai soggetti controllo (Figura 2). L’effetto potrebbe essere collegabile ad 168 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 163-171 una minore attivazione dell’emocita; infatti il cambiamento nella forma cellulare legato all’emissione pseudopodica rappresenta un’importante fase del processo fagocitario; il risultato inoltre trova conferma nella riduzione significativa dell’attivazione morfologica cellulare in studi effettuati su mitili sottoposti ad ELF-EMF e stimolati con la molecola chemiotattica N-formyl-Meth-Leu-Phe (fMLP) (Ottaviani et al., 2002). I risultati sottolineano inoltre differenze correlate alla durata dell’esposizione di emociti e mitili al campo elettromagnetico evidenziando come rispondano non solo con effetti opposti, ma anche in tempistiche diverse (Figure 1-2). L’analisi in chemiluminescenza si è dunque dimostrata una valida metodica per valutare le variazioni che si hanno nella produzione dei ROS causate dall’esposizione di cellule ed organismi a ELF-EMF. Inoltre, l’applicazione della metodica su organismi biologicamente semplificati, quali i mitili, ha permesso di confrontare gli effetti di un'esposizione elettromagnetica nel medesimo modello biologico in vivo ed in vitro evitando l’interferenza di risposte biologiche più complesse ed identificando così gli intermediari che portano alla produzione degli effetti cellulari. La variazione dei flussi di calcio cellulare in relazione ai campi elettromagnetici, è stata approfondita in numerosi studi considerando anche l’importanza di questo ione come messaggero intracellulare nell’attivazione dell’AMP ciclico (Walleczek, 1992; Flipo et al., 1998). I risultati delle prove di variazione del flusso di calcio mostrano una maggiore fluorescenza in emociti stimolati da particelle di lievito rispetto al controllo non stimolato alla fagocitosi, ciò prescindeva dall’esposizione o meno al campo elettromagnetico e confermava il ruolo importante del Ca++ nelle prime fasi del processo fagocitario. I primi studi condotti per valutare il flusso transmembrana dello ione Ca++ sono stati condotti su tessuti cerebrali ed hanno prodotto evidenze controverse: infatti alcuni hanno rilevato un aumentato flusso dello ione in presenza di un campo elettromagnetico (Blackman et al., 1982), mentre altri hanno documentato un effetto esattamente opposto (Bawin & Adey, 1976). Inoltre, studi condotti valutando la mobilità delle diatomee, non hanno prodotto risultati ripetibili (Smith et al., 1987). Gli unici esperimenti condotti su mitili sottoposti a campi elettromagnetici mostravano, valutando i cambiamenti di forma degli emociti, un coinvolgimento del canale del calcio, il quale risultava essere modulato negativamente, ma in modo reversibile (Gobba et al., 2003). La variabilità del fenomeno potrebbe essere collegata alla vibrazione impressa allo ione dal campo elettromagnetico che nel momento in cui supera una determinata soglia trasmette un falso segnale di “apertura” o “chiusura” dei canali (Panagopoulos et al., 2000). In questo contesto i nostri risultati, legati all’esposizione di emolinfa e mitili ad un campo elettromagnetico a bassa frequenza, mirati a valutare la quantità di calcio intracellulare, dimostrano che questa non sembra subire modifiche di rilievo. A fronte degli ampi spazi conoscitivi ancora aperti sugli effetti di ELF-EMF sui sistemi biologici, l’utilizzo di mitili può essere dunque ipotizzabile andando a verificare mediante prove sul campo tutte quelle situazioni che possono ritrovare un’influenza dei campi elettromagnetici sugli organismi acquatici riscontrabili per esempio lungo la filiera commerciale dei molluschi bivalvi vivi. BIBLIOGRAFIA Anderson R.S. (2001). 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Costanzo, 4 - 06126 Perugia. ______________________________ RIASSUNTO - La Fotobatteriosi (ex Pasteurellosi) dei pesci, sostenuta dal germe Gram negativo Photobacterium damselae subsp. piscicida (Phdp), è causa di elevata mortalità in molte specie ittiche marine. Recentemente, numerosi tentativi sono stati fatti per controllare la malattia con la formulazione (e valutazione dell’efficacia) di vaccini sperimentali attraverso varie vie di somministrazione. A differenza di quanto si realizza con le tecniche finora in uso, è riconosciuto come la via orale sia ottimale in ragione di una mancata induzione stressogena negli animali e una forte incidenza sul miglioramento del benessere animale. A tal fine, si stanno sperimentando tecniche di microincapsulazione aventi la funzione di rilasciare l’antigene nel tratto intestinale posteriore, zona di massimo assorbimento nelle specie ittiche, evitando possibili fenomeni di inattivazione chimica (pH) o enzimatica (proteasi) nel tratto gastro-enterico. Uno dei metodi atti a svelare la capacità di assorbimento tissutale del vaccino si avvale di indagini immunoistochimiche che permettono di dimostrare l’effettiva presenza dell’antigene nel soggetto vaccinato. Scopo del presente lavoro è stato quello di determinare la bioassimilabilità orale di due tipologie di vaccino microincapsulato anti-Phdp in spigole d’allevamento (Dicentrarchus labrax), attraverso metodiche immunoistochimiche ed immunocitochimiche atte a valutare l’eventuale presenza tissutale dell’antigene e la sua distribuzione cellulare. Le indagini di microscopia ottica ed elettronica hanno evidenziato la presenza dell’antigene vaccinale all’interno degli enterociti, dimostrandone la capacità di assorbimento da parte delle cellule epiteliali intestinali, stazionando all’interno di formazioni vacuolari di probabile origine fagosomiale. SUMMARY – Fish Photobacteriosis (ex Pasteurellosis), caused by Gram negative Photobacterium damselae subsp. piscicida (Phdp), is responsible for high mortality episodes in several marine fish species. Recently, many attempts were performed to control the disease by the formulation of experimental vaccines, supplied through different ways, and the evaluation of their efficacy. Is largely known that the oral administration is optimal, since it is characterized by absent stress induction in animals, great incidence on the increasing of the animal wellness, complete clinical efficacy and then good resolution of the wellness status of farmed fish. With this aim, microencapsulated vaccines are studied, because of their capability to release the antigen in the posterior intestine (site of great assimilation in fish) and to avoid its chemical (pH) or enzymatic (proteases) inactivation by the gastric district. Immunohistochemical method is able to discover the vaccine intestinal assimilation and detect the effective antigen presence into the vaccinated animal. With this work the Authors determined the oral bioavailability of two kinds of microencapsulated vaccines anti-Phdp in Dicentrarchus labrax, through immunohistochemical and immunocytochemical methods, with the aim of evaluate the antigen presence into the tissue and its cellular distribution. Light and electron microscopy examinations revealed the presence of vaccine antigen into the enterocytes, with sequent localization into probable phagosomal vacuoles. Key words: Photobacteriosis, Photobacterium damselae subsp. piscicida, Vaccination, Oral administration. ______________________________ * Corresponding Author: c/o Università degli Studi di Perugia, Dipartimento di Patologia, Diagnostica e Clinica Veterinaria, Sezione di Scienze Sperimentali e Biotecnologie Applicate, via S. Costanzo, 4 - 06126 Perugia. Tel.: 075-5854411; E-mail: [email protected]. 173 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 173-182 INTRODUZIONE La Fotobatteriosi (ex Pasteurellosi) dei pesci, sostenuta da Photobacterium damselae subsp. piscicida (Phdp), è una malattia infettiva che evolve in forma sistemica, a decorso acuto (Roberts, 2001), causando numerosi episodi di mortalità in molte specie ittiche marine, selvatiche e non (Lewis et al., 1970; Babelona et al., 1992). Nell’ultimo ventennio, tale patologia si è diffusa anche nell’area mediterranea, coinvolgendo specie ittiche marine d’allevamento, prima tra tutte la spigola (Dicentrarchus labrax), in Francia, Italia e Spagna (Ceschia et al., 1991; Magariños et al., 1995; Romalde, 2002; Ghittino et al., 2003). Phdp è un germe Gram negativo appartenente alla famiglia delle Vibrionaceae e risulta patogeno a temperature dell’acqua superiori ai 18°C (Austin & Austin, 1999). Il decorso della malattia è quello di una setticemia in forma acuta, con sintomi clinici generici (anoressia, letargia) e poco evidenti; le lesioni anatomopatologiche sono rappresentate da formazioni nodulari granuloma-like (da qui il nome di Pseudotubercolosi con cui si può anche indicare la malattia), particolarmente evidenti su milza e rene, a cui può accompagnarsi la presenza di materiale simil-purulento nella cavità celomatica (Austin & Austin, 1999). La Fotobatteriosi è una malattia che interessa essenzialmente il novellame, rappresentando un serio problema sanitario delle avannotterie marine, laddove può indurre tassi di mortalità del 70-80%; il controllo si basa essenzialmente sull’impiego di mangime medicato (sulfamidico potenziato e flumechina hanno buona efficacia) nonché della vaccinazione per immersione (che a tutt’oggi risulta ancora di efficacia ridotta) (Ghittino et al., 2003). Sebbene numerosi siano gli studi circa la valutazione dell’efficacia di metodiche vaccinali per immersione o per via endoperitoneale (Anderson, 1997; Evensen, 2003; Afonso et al., 2005), è sempre più interesse comune, anche nei riguardi della Fotobatteriosi, la possibilità di impiego di presidi immunizzanti somministrabili per via orale (Manganaro et al., 1994). Nella pratica piscicolturale, infatti, tale via di somministrazione presenta sicuramente dei vantaggi (Smith, 2002) sintetizzabili in: a) riduzione dello stress indotto dalle manipolazioni; b) miglioramento dello stato di benessere animale; c) contribuzione all’efficacia clinica nei pesci oggetto di immunizzazione. Le conoscenze dei meccanismi coinvolti nell’assunzione dell’antigene a seguito di vaccinazione orale sono ancora incomplete. Tuttavia, alcuni Autori ritengono che il primo contatto con i patogeni avverrebbe attraverso la superficie della mucosa e che la presenza di un sistema immunitario locale, ormai inconfutabile, rappresenterebbe un approccio al passaggio dell’antigene attraverso le superfici cellulari (Dogget & Harris, 1991; Dalmo et al., 1995). A tale riguardo, le ricerche effettuate sono state rivolte a preservare l’antigene dall’attacco di enzimi e dall’azione del pH in sede gastrica (Joosten et al., 1997). Scopo del presente lavoro è stato quello di valutare la bioassimilabilità orale di un vaccino anti-Phdp nella spigola, con la finalità di studiarne l’assorbimento orale mediante tecniche di microincapsulazione (per evitare alterazioni dell’antigene fino al suo arrivo nell’intestino posteriore) ed evidenziare la presenza dell’antigene vaccinale all’interno degli enterociti mediante reazioni immunoistochimiche ed immunocitochimiche. MATERIALI E METODI Animali utilizzati ed interventi vaccinali effettuati Per la realizzazione del presente studio sono stati impiegati esemplari di spigola del peso di 150 g. circa, acclimatati per circa due settimane in 3 vasche di vetroresina (4 m di lunghezza 174 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 173-182 x 80 cm di larghezza x 60 cm di profondità), con flusso idrico in entrata di 2-3 l/sec, dotate di ossigenatori e poste all’interno di una serra del Centro Ittico Sperimentale “Bonello” (Porto Tolle, RO), nel quale è stata effettuata la sperimentazione vaccinale. In ciascuna vasca sono state ospitate 150 spigole. I pesci di ogni vasca sono stati lasciati a digiuno nelle 48 ore precedenti alla somministrazione del vaccino, allestito dal Dipartimento di Scienze Animali di Udine. In breve, il ceppo batterico, fornito dal Centro di Referenza Nazionale per lo Studio e la Diagnosi delle Malattie dei Pesci, Molluschi e Crostacei (IZS delle Venezie, Legnaro, PD) è stato conservato in Tryptic Soy Agar con il 2% di NaCl. I batteri sono stati inoculati in 10 ml di TSB + 2% NaCl e, raggiunta la fase logaritmica di crescita, passati in un volume di terreno (1 litro) alla temperatura di incubazione di 23°C. La sospensione è stata fissata overnight sotto agitazione con formalina allo 0,6% e centrifugata 3 volte (3000 rpm per 60 minuti) con PBS sterile. Il sedimento ottenuto è stato risospeso in PBS sterile (~50 ml/l di brodocoltura iniziale), sottoposto a controllo di sterilità e conservato a –20°C in vaschette di alluminio. A seguito della liofilizzazione il ceppo batterico è stato raccolto e conservato a – 20°C fino alla microincapsulazione, effettuata da Shoreline Scarl - Area Science Park Trieste, che ha formulato due microincapsulati così distinti: • PPO3-UD: 30,45 g. - granulometria finale < a 50 µ e rapporto preparato batterico/matrice pari a 1:1; • PPO4-UD: 29,10 g. - granulometria finale < a 50 µ e rapporto preparato batterico/matrice pari a 1:1. Gli interventi vaccinali sono stati condotti secondo lo schema seguente: Vasca 1 - 150 spigole trattate con vaccino microincapsulato PPO3-UD, somministrato per via orale integrato al mangime commerciale (di seguito definito matrice 1); Vasca 2 - 150 spigole trattate con vaccino microincapsulato PPO4-UD, somministrato per via orale integrato al mangime commerciale (di seguito definito matrice 2); Vasca 3 - 150 spigole (gruppo controllo), non vaccinate ed alimentate soltanto con mangime commerciale. L’intero programma vaccinale ha seguito il seguente iter: T0 o prima vaccinazione della durata di 5 giorni, pausa di 5 giorni e T1 o richiamo vaccinale della durata di 5 giorni. Le vaccinazioni (sia il primo trattamento sia il richiamo) sono state condotte alimentando le spigole delle vasche 1 e 2 per 10 giorni con 150 g./giorno/vasca di mangime integrato al vaccino. Nel corso di tutti gli interventi vaccinali la temperatura dell’acqua si è mantenuta costantemente a 24,6°C e la concentrazione di ossigeno nelle vasche è variata da 6,4 a 8,1 ppm. Prelievo dei campioni per indagini immunoistochimiche ed immunocitochimiche Il prelievo dei campioni, effettuato al termine di ogni fase di vaccinazione (T0 e T1) nelle vasche sperimentali e nella vasca controllo, è stato condotto utilizzando ogni volta 10 soggetti per vasca. Gli animali sono stati sacrificati con overdose di anestetico e di seguito sottoposti ad esame anatomopatologico per evidenziare l’eventuale presenza di lesioni riferibili a Fotobatteriosi o, più in generale, di alterazioni macroscopiche. Per ogni soggetto 175 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 173-182 sono stati poi prelevati campioni di rene, milza ed intestino posteriore, principale sito di assorbimento di molecole antigenicamente intatte (Ellis, 1998). Le indagini immunoistochimiche (IIC) sono state effettuate previa fissazione degli organi in formalina tamponata al 10%, disidratazione ed inclusione in paraffina seguendo le metodiche di routine. Dai blocchetti in paraffina sono state ottenute sezioni seriali di 4-5 µm di spessore fatte aderire su vetrini polilisinati e di seguito sottoposte ad inibizione delle perossidasi endogene con H2O2 al 0,3% in metanolo, per i campioni di intestino e al 10% per i campioni di milza e rene. Lo smascheramento dell’antigene è stato effettuato utilizzando un forno a microonde (750-650-500 W da 5 minuti ognuno) immergendo i preparati in tampone citrato; i campioni sono stati fatti raffreddare e circoscritti con PAP pen. Sulle sezioni è stato applicato sia un anticorpo primario monoclonale (Aquatic Diagnostic Ltd., Stirling, UK), diluito 1:20 in PBS, sia un anticorpo primario policlonale (Microtek Int., Canada), a varie diluizioni, entrambi incubati per 2 ore a temperatura ambiente ed in camera umida. La reazione è stata infine svelata mediante il sistema Universal Dako Cytomation LSAB®+ Kit, Peroxidase (LSAB+Kit, HRP). Dopo lavaggi in PBS, è stata utilizzata la 3,3’diaminobenzidina (DAB) come substrato cromogeno, seguita da contro-colorazione dei nuclei con Ematossilina di Mayer per 3 minuti. Come controllo positivo di reazione è stato impiegato un campione di milza con lesioni granulomatose pseudotubercolari risultato positivo all’esame batteriologico per Phdp. Nel controllo negativo l’anticorpo primario è stato sostituito con PBS. Per le indagini immunocitochimiche (ICC), piccoli frammenti di campione sono stati fissati in paraformaldeide al 4% e glutaraldeide allo 0,5% per 2 ore a 4°C. L’inclusione dei pezzi è stata effettuate utilizzando la resina acrilica London White Resin (LRWhite) (TAAB, England), polimerizzata in UV per 48 ore, applicando la tecnica post-embedding. Sulle sezioni semifini, colorate con blu di toluidina, sono state identificate le porzioni di tessuto da sottoporre alle successive indagini ultrastrutturali, utilizzando sezioni ultrafini poste su griglie di nichel da 150 mesh. Il blocco dei legami aspecifici è stato ottenuto applicando sulle sezioni Normal Goat Serum (NGS) diluito 1:100 in tampone fosfato PBS, seguito dall’incubazione con l’anticorpo primario per 2 ore a temperatura ambiente utilizzato tal quale (non diluito). Dopo successivi lavaggi in PBS-Tween e PBS, sulle sezioni è stato nuovamente applicato NGS diluito 1:100 per 3 minuti e quindi l’anticorpo secondario (monoclonale di capra anti-topo, diluito 1/10 in PBS) coniugato a particelle di oro colloidale del diametro di 10 nanometri (GAM10nm, Sigma-Aldrich). Dopo lavaggi in PBS ed in acqua distillata ultrapura, le sezioni sono state lasciate asciugare tutta la notte ed il giorno dopo contrastate con acetato di uranile. Per verificare l’affidabilità della metodica, la stessa procedura è stata applicata al controllo positivo rappresentato da frammenti di milza di altra provenienza, appartenenti ad animali sicuramente infetti e sottoposti alla stessa procedura di inclusione. Come controllo negativo invece (per testare la specificità dell’anticorpo secondario) sono state utilizzate sezioni incubate con una goccia di tampone fosfato PBS in sostituzione dell’anticorpo primario. RISULTATI I risultati relativi alle indagini IIC sono sintetizzati nella Tabella 1. In tutti i gruppi sperimentali, a seguito della prima somministrazione vaccinale non è stata riscontrata positività per l’antigene ricercato in tutti gli organi prelevati. Il richiamo vaccinale ha invece evidenziato positività (marcatura immunoistochimica) soltanto nel tratto digerente, resa evidente da una colorazione marrone in corrispondenza dell’avvenuta reazione antigeneanticorpo. In particolare, per le matrici vaccinali 1 e 2, la positività dei soggetti vaccinati è 176 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 173-182 stata rispettivamente del 90% e del 100%. Milza e rene anteriore sono risultati invece negativi. MATRICE 1 MATRICE 2 CONTROLLO 1a somm.ne vaccino orale (%) Richiamo vaccino orale (%) Positivo 9/10 (90%) 1a somm.ne vaccino orale (%) Intestino posteriore Negativo Negativo Milza Negativo Negativo Negativo Negativo Negativo Rene anteriore Negativo Negativo Negativo Negativo Negativo Negativo Richiamo vaccino orale (%) Positivo 10/10 (100%) Tabella 1 - Risultati relativi all’indagine immunoistochimica. Table 1 – Immunohistochemistry results. Nei campioni positivi, si sono evidenziati clusters di germi, generalmente localizzati nella porzione apicale degli enterociti, con disposizione a filiera e associati alla presenza di formazioni vacuolari singole o multiple, inglobanti i frammenti batterici (Figure 1A e B). La validità della metodica è stata saggiata utilizzando un controllo positivo di reazione, rappresentato da campioni di milza appartenenti a soggetti colpiti da infezione naturale; in tale controllo la positività ottenuta attraverso l’impiego dell’anticorpo Aquatic Diagnostic Ltd., si è rilevata in corrispondenza delle lesioni granulomatose sotto forma di grossi aggregati batterici localizzati sia al centro che alla periferia dei granulomi (Figura 1C). Nel controllo negativo, per il quale è stata usata la soluzione tampone PBS al posto dell’anticorpo primario, non si è osservata alcuna positività. La riproducibilità della metodica, definita come la capacità di ottenere lo stesso risultato nelle stesse condizioni in tempi, luoghi ed operatori diversi, è stata del 100% su 900 repliche. L’anticorpo Microtek ha invece dimostrato scarsa sensibilità e per tale motivo è stato deciso di non utilizzarlo nelle indagini ultrastrutturali di tipo immunocitochimico. L’osservazione al microscopio elettronico dell’intestino proveniente dai gruppi sperimentali evidenziava delle differenze, sia a livello morfologico che immunocitochimico. Al fine di apprezzare le variazioni ultrastrutturali osservate, si ritiene utile indicare gli aspetti fisiologici degli enterociti in pesci sani: questi presentano la tipica forma cilindricoprismatica, con superficie libera composta di microvilli, al di sotto dei quali è presente un sottile strato compatto, per lo più privo di organelli, definito “trama terminale” o “terminal web”. Sotto tale trama, nel citoplasma apicale, si possono osservare numerosi mitocondri di forma allungata associati alla presenza del reticolo endoplasmatico rugoso (RER) in quantità variabile. Il nucleo delle cellule assorbenti si trova nella parte basale della cellula e presenta una forma allungata. Nel citoplasma basale i mitocondri sono piuttosto scarsi mentre si osservano numerosi ribosomi liberi e un apparato di Golgi ben sviluppato, situato in genere nel polo apicale del nucleo. La base delle cellule assorbenti riposa su una sottile lamina basale. Intercalate irregolarmente tra gli enterociti sono inoltre osservabili le cellule caliciformi. 177 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 173-182 I vacuoli sono stati ritrovati anche negli enterociti di pesci provenienti dalla vasca controllo (clinicamente sani), ma in questo caso erano collocati soprattutto nel citoplasma basale e presentavano dimensioni inferiori rispetto a quelli osservati nei soggetti delle vasche precedenti. Occasionalmente, vacuoli di piccole dimensioni sono stati evidenziati anche all’interno della trama terminale. I vacuoli risultavano per lo più vuoti e raramente contenevano materiale di natura amorfa, come quello osservato nelle vasche 1 e 2. A B C Figura 1 – A) Intestino posteriore. Positività immunoistochimica localizzata nella porzione apicale dei villi, evidenziata dalla colorazione marrone (IIC x 10). B) Particolare della figura precedente. Presenza dell’antigene vaccinale sia all’interno che in corrispondenza del bordo vacuolare (IIC x 40). C) Controllo positivo. Milza. Granuloma con numerosi clusters batterici (IIC x 20). Figure 1 – A) Posterior intestine: immunohistochemistry positivity at the top of intestinal villi (IHC x 10). B) Previous picture magnification: presence of vaccine antigen inside and on the border of a vacuole (IHC x 40). C) Spleen positive control granuloma with several bacterial clusters (IHC x 20). I risultati delle indagini ICC hanno confermato quanto evidenziato attraverso le prove di microscopia ottica. La positività per l’antigene vaccinale è stata svelata dalla presenza di grani di oro colloidale riscontrati nel materiale di natura amorfa contenuto all’interno e sul bordo dei vacuoli (Figure 2D, E ed F), in accordo con i risultati ottenuti dalle analisi immunoistochimiche. 178 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 173-182 E D F Figura 2 – D) Intestino posteriore. Aspetto ultrastrutturale della frazione batterica contenuta all’interno di un vacuolo (TEM, Bar 1 µm). E) Particolare della figura precedente. Immunomarcatura con anticorpo anti Photobacterium damselae subsp. piscicida, indicato dalla presenza di grani di oro colloidale (asterischi) (TEM, ICC, Bar 1 µm). F) Intestino posteriore. Campione di controllo nel quale è stato omesso l’anticorpo primario (TEM, ICC, Bar 1 µm). Figure 2 – D) Posterior intestine: ultrastructural feature of the bacterial fragment within a vacuole (TEM, Bar 1 µm). E) Previous picture magnification: immunolabelling with an anti Photobacterium damselae subsp. piscicida antibody, indicated by the presence of colloidal gold granules (black marks) (TEM, ICC, Bar 1 µm). F) Posterior intestine: control sample without primary antibody (TEM, ICC, Bar 1 µm). Per stabilire una quantificazione della reazione immunocitochimica sono stati presi in considerazione i seguenti parametri, resi evidenti in ogni campo visivo: 179 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 173-182 - assente (grani non presenti); - debole (fino a 5 grani); - medio (da 5 a 10 grani); - elevato (oltre 10 grani). Il background della reazione è stato valutato osservando il numero di grani d’oro colloidale eventualmente presenti nella resina attorno alla sezione tissutale, nel nucleo e negli organuli citoplasmatici. L’assenza di marcatura è stata riscontrata nei campioni del gruppo controllo (vasca 3), mentre un’elevata positività è stata evidenziata nei campioni appartenenti agli esemplari delle vasche 1 e 2. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI La Fotobatteriosi dei pesci, sostenuta da Phdp, è a tutt’oggi causa di elevata mortalità negli allevamenti intensivi di molte specie ittiche marine, prima tra tutti la spigola. Le metodiche di controllo della malattia si stanno sempre più orientando verso la profilassi indiretta ed in particolare, verso l’impiego di presidi vaccinali in formulazione orale, al momento impiegati al solo scopo sperimentale. Quest'i ultimi infatti, rappresenterebbero un’alternativa interessante ai comuni metodi di vaccinazione (per inoculazione o per immersione), in quanto potenzialmente meno stressanti per i pesci, meno impegnativi dal punto di vista dell’impiego di risorse umane e più efficaci nel garantire lo stato di benessere degli animali allevati (Smith 2002). Inoltre, il distretto intestinale posteriore è riportato in letteratura come il principale sito di assorbimento antigenico, sia per le diverse specie ittiche, sia in pesci di diversa età (Olafsen & Hansen, 1992; Bogwald et al., 1994; Quentel & Vigneulle, 1997). In tale contesto si inserisce il presente studio, nel quale è stata valutata la capacità di assorbimento in sede intestinale (bioassimilabilità) di un vaccino orale microincapsulato anti-Phdp per la spigola. Precedenti ricerche hanno già dimostrato che l’intestino è un organo attraverso il quale si può realizzare l’infezione naturale (Kawahara et al., 1989) e che tecniche anticorpali in fluorescenza possono svelare la presenza di cellule inattive di Phdp assorbite all’epitelio intestinale (Kawahara & Kusuda, 1988). Le indagini da noi condotte hanno consentito di verificare la presenza dello stipite vaccinale negli enterociti dimostrandone la permanenza in formazioni vacuolari di probabile origine fagosomiale. Le indagini ultrastrutturali hanno evidenziato la presenza di elementi batterici disgregati, privi della tipica morfologia bastoncellare e caratterizzati da una matrice amorfa disomogenea. La presenza antigenica è stata rilevata soltanto nello strato epiteliale dell’intestino, mentre le cellule macrofagiche, pur diffusamente presenti nella lamina propria dei villi e nello strato sottomucoso, sono comunque risultate prive di elementi antigenici. I campioni splenici e renali analizzati, sono anch’essi risultati negativi. Tale condizione potrebbe essere imputabile ad una mancata o molto ritardata veicolazione dell’antigene dagli enterociti alle componenti cellulari sopra citate. Tuttavia, risposte immunitarie sistemiche sono state descritte a seguito di vaccinazione anti-Vibriosi per via anale od orale nella carpa e nell’orata (Georgopoulou & Vernier, 1986; Rombout & Van Berg 1989; Rombout et al., 1989; Joosten et al., 1995; 1996; Rombout et al., 1997). In particolare, Joosten et al., 1997, con l’impiego di un vaccino orale anti-Vibriosi incluso in microsfere di alginato, hanno dimostrato la produzione mucosale di IgM a livello intestinale sia nella carpa che nella trota. In conclusione si può affermare che la microincapsulazione del vaccino anti-Phdp si dimostra un metodo promettente per la vaccinazione orale nelle specie ittiche d’allevamento, ma ulteriori indagini si renderanno necessarie per valutare l’effettivo grado di protezione 180 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 173-182 immunitaria fornito dal preparato, qualora i soggetti sottoposti a tale vaccinazione siano esposti ad infezione naturale. BIBLIOGRAFIA Afonso A., Gomes S., da Silva J., Marques F. & Henriques M. (2005). Side effects in sea bass (Dicentrarchus labrax L.) due to intraperitoneal vaccination against vibriosis and pasteurellosis. Fish Shellfish Immunol., 19: 1-16. Anderson D.P. (1997). Adjuvant and immunostimolants for enhancing vaccine potency in fish. 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Le comunicazioni brevi possono essere stilate senza divisione in sezioni e non devono superare complessivamente le 4 pagine. I lavori scientifici dovranno pervenire su supporto informatico (Floppy Disk o CD o Email) a: Dott. Marino Prearo c/o Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna 148 – 10154 Torino – Tel. 011-2686251; Fax 011-2474458; Email [email protected]. La prima pagina del manoscritto dovrà contenere le seguenti sezioni: Titolo: va riportato sia in italiano che in inglese e non deve superare possibilmente le 4 righe totali. Autori: nome completo seguito dal cognome; gli autori vanno contrassegnati utilizzando numeri esponenziali in riferimento all’istituzione di appartenenza; l’autore a cui dovranno essere indirizzate le comunicazioni dovrà essere contrassegnato anche con un asterisco. Enti di appartenenza: dovranno essere elencati con la progressione numerica utilizzata per gli autori, riportando l’indirizzo completo. Riassunto: deve sintetizzare l’intero contenuto del lavoro e deve essere stilato sia in italiano che in inglese (summary); la lunghezza totale (riassunto + summary) non deve superare 30 righe, utilizzando dimensioni del carattere 9 (Times New Roman). Parole chiave: vanno riportate dopo il riassunto/summary in lingua inglese (max. 8). Autore a cui inviare la corrispondenza: va indicato a piè di pagina con indirizzo completo, numero telefonico, fax e indirizzo di posta elettronica (E-mail). Il testo del lavoro deve essere scritto con dimensioni del carattere 11 (Times New Roman), interlinea 1. I termini in latino devono essere scritti in stile corsivo. Il titolo delle sezioni del lavoro vanno riportati in grassetto maiuscolo. Il riferimento alle figure (foto, tabelle, grafici) deve essere inserito nel testo tra parentesi [es. (Foto 1) (Tabella 1) (Grafico 1)]. I riferimenti bibliografici dovranno essere riportati come segue: 1 autore (Diamant, 1996), 2 autori (Wright & Colorni, 2002), 3 autori ed oltre (Toranzo et al., 2003). Figure: fotografie, tabelle e grafici dovranno accompagnare a parte il manoscritto ed essere posizionate in fondo al lavoro. Le fotografie dovranno pervenire in originale o stampate in bianco e nero con buona risoluzione; il formato elettronico dovrà essere in tif(f) con circa 300 dpi. Le fotografie a colori saranno stampate a spese degli autori (150 euro per pagina). Didascalie: vanno scritte sia in italiano che in inglese in una pagina a parte, con indicazione del numero della figura a cui si riferiscono. 183 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 183-185 Bibliografia: i riferimenti bibliografici vanno elencati in ordine alfabetico e senza numerazione, come da esempi qui riportati: Austin B. & Austin D.A. (1999). Bacterial fish pathogens. In “Disease of farmed and wild fish. 3rd Ed.”, Praxis Publishing, Chichester, England. Ghittino C., Prearo M., Bozzetta E. & Eldar A. (1995). Caratterizzazione della patogenicità dell’agente eziologico della Streptococcosi ittica e prove di vaccinazione in trota iridea. Boll. Soc. It. Patol. Ittica, 16: 2-12. Le abbreviazioni dei titoli delle riviste vanno controllate su “World List of Scientific Periodicals”. Tutti i lavori saranno valutati dal Comitato Scientifico di “Ittiopatologia” ed inviati a referees. Instructions to authors _______________________________ ITTIOPATOLOGIA - Rivista di Patologia degli Organismi Acquatici – is a four-monthly publication and represents the official Journal of Italian Society of Fish Pathology (S.I.P.I.). ITTIOPATOLOGIA publishes original scientific papers and short communications concerning the pathology of aquatic organisms and correlated topics. The scientific papers, written in Italian or English, have to be composed as the following scheme: title (in Italian and English), surname, name and address of the authors, summary (in Italian and English), introduction, material and methods, results, discussion and conclusions, (eventual) acknowledgements, references. The text of short communications should neither exceed 4 pages nor be divided up into conventional sections. One complete copy of the paper should be sent together with the file on disk (or by E-mail) to: Dott. Marino Prearo c/o Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna 148 – 10154 Torino – Tel. 011-2686251; Fax 011-2474458; E-mail [email protected] first page of the manuscript should include the following sections: Title: both in Italian and English, possibly not exceeding 4 lines. Authors: complete name and surname, with exponential numbers referring to their affiliation; the corresponding author should be marked also with an asterisk. Affiliation: reported under the names. Summary: should be written both in Italian (Riassunto) and English, not exceeding an overall length (riassunto + summary) of 30 lines, using 9 point font (Times New Roman). Key words: no more than 8 key words should follow the summary. Corresponding Author: has to be reported as a footnote (marked with asterisk) with address, telephone, fax number and E-mail. Text: use approximately 11 point font (Times New Roman) and single spacing. Latin names must be written in italics. The headings of sections should be in bold capital. The 184 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 183-185 illustrations (figures, tables, and graphics) must be referred to in correct numerical order in the text [e.g. (Figure 1) (Table 1) (Graphic 1)]. References in the text should appear as follows: for 1 author (Diamant, 1996), for 2 authors (Wright & Colorni, 2002), for 3 authors or more (Toranzo et al., 2003). Illustrations: figures, tables and graphics should be printed greyscale and saved separately. Figures should have a resolution of about 300 dpi at final size; preferred format is tif(f). Colour illustrations will be charged to the authors (150 euros/ page). Legends: should be listed in a separate page, both in Italian and English, marked with the number of the illustration. Reference: the references should be listed in alphabetical order without numbers and composed as follows: Austin B., Austin D.A. (1999). Bacterial fish pathogens. In “Disease of farmed and wild fish. 3rd Ed.” Praxis Publishing, Chichester, England: 48-49. Ghittino C., Prearo M., Bozzetta E. & Eldar A. (1995). Caratterizzazione della patogenicità dell’agente eziologico della Streptococcosi ittica e prove di vaccinazione in trota iridea. Boll. Soc. It. Patol. Ittica, 16: 2-12. Manuscripts will be evaluated by the Scientific Committee of “Ittiopatologia” and sent to referees. 185 ITTIOPATOLOGIA, 2007, 4: 186 Elenco dei soci sostenitori della Società Italiana di Patologia Ittica: Azienda Agricola Canali Cavour di Fariano Lucio Centallo (CN) Azienda Ittica “Il Padule” di Fornaciari Argo Castiglione della Pescaia (GR) Orbetello Pesca Lagunare Orbetello (GR) Società Agricola Ittica Selvuzza S.r.l. Zoppola (PN) Troticoltura Foglio Angelo Bagolino (BS) Troticoltura Valchiese S.n.c. di Foglio M. & C. Storo (TN) Valle Ca’ Zuliani S.r.l. Pila di Porto Tolle (RO) Elenco degli sponsor della Società Italiana di Patologia Ittica: Skretting Italia – Hendrix S.p.A. Mozzecane (VR) Biomar Group Italia Treviso Associazione Piscicoltori Italiani Verona Fatro S.p.A. Ozzano Emilia (BO) Schering Plough Animal Health Milano Veronesi S.p.A. Verona 186