La relazione geometrica che si stabilisce fra un punto appartenente

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FOTOGRAMMETRIA
1. Preliminari - La relazione geometrica che si stabilisce fra un punto appartenente ad un oggetto riprodotto
in un’immagine fotografica e il corrispondente punto sull’immagine può essere espressa affermando che il
segmento che li congiunge passa per un punto P in prossimità del piano dell’immagine, detto centro di
presa(fig.1). La distanza p fra il centro di presa e il piano dell’immagine è detta distanza principale.
Poichè lo scopo della fotogrammetria è la determinazione della posizione di punti nello spazio fisico a partire
dalla loro posizione su immagini fotografiche, è chiaro che la relazione spaziale fra oggetto e immagine deve
essere determinata con la massima precisione possibile. A tale scopo è necessario che su ogni immagine sia
definito un sistema di assi (visualizzato dalle marche impresse sui bordi dell’immagine) e che sia nota, oltre
alla distanza principale, la posizione della proiezione ortogonale del centro di presa sul piano dell’immagine
nel sistema di coordinate definito dalle marche (orientamento interno, fig.2).
È quindi necessario che vengano utilizzate macchine fotografiche con caratteristiche particolari (camere metriche o semimetriche), che, oltre a consentire la determinazione del sistema di riferimento, sono dotate di un
certificato di calibrazione in cui sono riportati i parametri di orientamento interno. Inoltre, ovviamente, è
necessario che le deformazioni dovute all’ottica siano ridotte al minimo e modellizzate, in modo che possano
essere apportate le necessarie correzioni. Nelle macchine metriche il modello delle deformazioni è riportato
nel certificato di calibrazione; il termine principale è radiale (dipende cioè solo dalla distanza dalla proiezione
del centro di presa) ed è espresso da un polinomio a potenze dispari:
δr = k1 r3 + k2 r5
dove k2 << k1 .
Il rapporto fra la distanza principale e la distanza dell’oggetto dal centro di presa fornisce la scala dell’immagine.
Ad esempio, con riferimento a fotografie aeree di una porzione di territorio, posto p = 15cm (che è un valore
tipico per gli apparecchi fotografici in uso), una quota di volo di 450m corrisponde a una scala di 1:3000,
una quota di 900m a una scala di 1:6000, una quota di 1800m a una scala di 1:12000, e così via.
In realtà l’oggetto riprodotto in generale non è piano e, anche se è piano, può non essere parallelo al piano
dell’immagine, nel qual caso l’immagine è affetta da deformazioni prospettiche. In generale le relazioni
metriche fra le parti dell’oggetto sono naturalmente espresse in uno spazio 3-dimensionale, e non possono
essere completamente determinate dalle relazioni metriche di una singola immagine, che è 2-dimensionale.
2. Raddrizzamento - L’operazione che è possibile eseguire disponendo di una sola immagine è il raddrizzamento, che consiste nel determinare la posizione dei punti dell’oggetto appartenenti ad un piano di
particolare rilevanza per l’oggetto stesso (ad esempio, il piano della facciata di un edificio) a partire dalla
posizione delle loro immagini sul piano della fotografia. Assumendo che l’immagine fotografica sia affetta
soltanto da deformazioni prospettiche, la trasformazione fra le coordinate sui due piani è detta trasformazione
omografica (fig.3) ed ha la forma
x=
aX + bY + c
pX + qY + 1
y=
a0 X + b0 Y + c0
pX + qY + 1
(1)
Essa trasforma rette in rette; in particolare le trasformate delle rette X = cost si incontrano tutte in un
punto, e così pure le rette Y = cost (punti di fuga). Inoltre, la trasformata inversa, che esprime X , Y in
funzione di x , y , ha un’espressione dello stesso tipo:
X=
mx + ny + k
rx + sy + 1
Y =
m 0 x + n0 y + k 0
rx + sy + 1
(1bis)
La trasformazione dipende da 8 parametri ( a, b, c ; a0 , b0 , c0 ; p, q ), che possono essere stimati conoscendo la
posizione di 4 punti sia sull’immagine, sia sul piano dell’oggetto. Una volta nota la trasformazione, è possibile
1
determinare la posizione di ogni punto sul piano dell’oggetto a partire dalla sua posizione sull’immagine, e
quindi ricostruire un’immagine in scala del piano stesso (fotopiano, fig.4). La stessa procedura applicata a
punti che sull’oggetto si trovano fuori dal piano produce deformazioni nell’immagine.
Le coordinate sull’immagine vengono misurate direttamente, nel sistema di riferimento definito dall’orientamento interno; per determinare le coordinate sul piano dell’oggetto, in un sistema di assi definito localmente,
è necessario eseguire misure topografiche. Poichè in generale le coordinate dei punti inserite nelle equazioni
sono affette da errori di misura, anche i parametri stimati sono affetti da errori. Se il numero di punti di
cui è nota la posizione sia sull’immagine sia sull’oggetto è maggiore di 4, il sistema risultante ha un numero
ridondante di equazioni e, a causa degli errori di misura, in generale non può essere risolto esattamente. E’
però possibile ottenere valori approssimati dei parametri che minimizzano (secondo un opportuno criterio)
gli scarti delle equazioni, e inoltre l’entità di tali scarti dà un’idea della grandezza degli errori di misura e del
livello di approssimazione ottenuto. La procedura di calcolo generalmente adottata è detta compensazione
a minimi quadrati.
Il raddrizzamento può essere eseguito direttamente sull’immagine anche se non si dispone di posizioni di punti
sull’oggetto; in tal caso è necessario introdurre la posizione sull’immagine dei due punti di fuga (4 parametri),
ricavabili come punti di incontro di linee ben individuabili sull’immagine e corrispondenti sull’oggetto a
segmenti di rette parallele, di un punto che rimane fisso (2 parametri), e di un fattore di scala per ciascuno
dei due assi (2 parametri). Questa operazione viene eseguita automaticamente da molti programmi di
trattamento di immagini digitali. Tuttavia, dato che è necessario introdurre due distinti fattori di scala nelle
direzioni dei due assi, in generale l’immagine risultante non dà una rappresentazione fedele dell’oggetto, a
meno che i parametri introdotti non contengano un’informazione ricavata direttamente da misure sull’oggetto
stesso.
3. Immagini digitali - Le immagini memorizzate per l’elaborazione informatica sono discretizzate, ossia
suddivise in un reticolo regolare di piccole aree (pixel, che significa picture elements), a ciascuna delle quali
viene attribuito un tono di grigio (per le immagini in bianco e nero) secondo una scala, anch’essa discretizzata,
che, nelle applicazioni più comuni, contiene 28 = 256 livelli. Ogni pixel occupa quindi in memoria 8 bit =
1 byte. Le immagini a colori risultano dalla composizione di un certo numero (ad esempio 3) di colori
fondamentali, per ciascuno dei quali si ha una scala di 256 livelli. In questo caso, i livelli di colore sono 224 ,
ossia circa 16 milioni. Tipicamente la risoluzione va da 300 a 3000 dpi (dots per inch, ossia punti per pollice
lineare), ovvero da 12 a 120 pixel per mm. L’immagine è quindi rappresentata da una matrice numerica
la cui dimensione è data dal prodotto del numero di pixel di ciascuna colonna per il numero di pixel di
ciascuna riga. Ad esempio, un’immagine in bianco e nero delle dimensioni di 10cm × 15cm a 50 pixel per
mm, corrispondenti a circa 1250 dpi, occupa in memoria 100 ∗ 150 ∗ 502 = 37.5 ∗ 106 byte ' 35.8 M egabyte.
Quando si esegue il raddrizzamento di un’immagine digitale, occorre tener conto che il trasformato di un
pixel non è in generale un pixel: basta pensare che un rettangolo si trasforma in un quadrilatero i cui lati
non sono paralleli. E’ quindi necessario definire con un opportuno algoritmo il tono di grigio da attribuire a
ciascun pixel dell’immagine trasformata. Ad esempio, si può attribuire a ciascun pixel il tono di grigio del
pixel dell’immagine originaria a cui appartiene il punto il cui trasformato è il suo punto centrale, oppure,
considerati tutti i pixel contenenti punti i cui trasformati appartengono ad un dato pixel dell’immagine raddrizzata, attribuire a quest’ultimo il valore medio dei loro toni di grigio. Queste procedure, dette procedure di
ricampionamento, modificano qualitativamente l’immagine e possono anche portare a un suo deterioramento.
4. Costruzione del modello 3D - Per ottenere il posizionamento 3-dimensionale dei punti sull’oggetto è
necessario disporre di almeno due immagini dello stesso oggetto (fig.5). La procedura che si adotta è quella
della ricostruzione stereoscopica, basata sul fatto che le rette congiungenti punti omologhi sulle due immagini
(ossia rappresentativi dello stesso punto sull’oggetto) con i rispettivi centri di presa devono incontrarsi (fig.6),
e che, imponendo questa condizione, si ottiene sia il posizionamento relativo delle immagini, sia un modello
3-dimensionale dell’oggetto. Questo stesso principio è alla base della sensazione di profondità che si ricava
dalla visione con due occhi.
La procedura, detta orientamento esterno, può essere schematicamente divisa in due fasi: la prima è
2
l’orientamento relativo delle immagini, la seconda è il passaggio dal modello 3-dimensionale all’oggetto
vero e proprio, basato sulla conoscenza della posizione di un certo numero di punti su di esso (orientamento
assoluto).
Per comprendere a livello intuitivo in che cosa consistono queste due fasi, si supponga inizialmente di tenere
fissa una delle due immagini e di fissare un sistema di assi, ad esempio ponendo l’origine nel centro di
presa, l’asse Z lungo la normale all’immagine, gli assi X e Y paralleli agli assi dell’immagine. La posizione
della seconda immagine è allora definita da 6 parametri: 3 coordinate del centro di presa, 2 parametri
di orientazione della normale all’immagine (ad esempio, l’inclinazione rispetto all’asse Z e l’orientazione
della sua proiezione sul piano XY), 1 parametro di rotazione dell’immagine attorno alla normale (fig.7).
Esiste certamente almeno una posizione che realizza l’incontro delle congiungenti i punti omologhi (ossia
immagini dello stesso punto sull’oggetto) con i centri di presa, dato che le due immagini si riferiscono allo
stesso oggetto. Va inoltre osservato che, una volta realizzato l’incontro delle rette, questo viene mantenuto
spostando un centro di presa lungo la retta che lo congiunge all’altro (fig.8); questo movimento modifica la
scala del modello 3-dimensionale. Esistono quindi infiniti modelli, differenti fra di loro per la scala, ottenibili
con questa procedura, e l’insieme di parametri non è univocamente determinato. Per ottenere una soluzione
unica occorre ad esempio fissare arbitrariamente la distanza fra i centri di presa, determinando così la scala
del modello, e mantenere come parametri incogniti, anzichè le 3 coordinate del secondo centro di presa, 2
parametri angolari che definiscono la direzione della congiungente i due centri di presa. In questo modo il
numero totale dei parametri da determinare si riduce a 5.
Le equazioni utilizzate per stimare questi 5 parametri sono quelle che esprimono il fatto che il punto
sull’oggetto, il centro di presa e il corrispondente punto sull’immagine stanno su un stessa retta (equazioni
di collinearità). Esse hanno l’espressione
X1 − X0
Y1 − Y0
Z1 − Z0
=
=
X2 − X0
Y2 − Y0
Z2 − Z0
dove (X0 , Y0 , Z0 ) sono le coordinate del centro di presa, (X1 , Y1 , Z1 ) le coordinate del punto sull’immagine,
(X2 , Y2 , Z2 ) le coordinate del punto sull’oggetto. Per la prima immagine il centro di presa è nell’origine;
se p è la distanza principale e xC , yC sono le coordinate della proiezione ortogonale del centro di presa
sull’immagine nel sistema di assi legato all’immagine stessa, le coordinate di un punto dell’immagine sono
(x1 − xC , y1 − yC , p) , dove (x1 , y1 ) sono le coordinate del punto nel sistema di assi dell’immagine.
Per la seconda immagine le coordinate vanno espresse nello stesso sistema di riferimento in funzione dei 5
parametri incogniti. Più precisamente, si può procedere nella seguente maniera:
- date le coordinate del punto sulla seconda immagine e l’orientamento interno della seconda immagine, si
può procedere come per la prima immagine per determinare le coordinate spaziali in un sistema di riferimento
avente l’origine nel centro di presa della seconda immagine, l’asse z ad essa perpendicolare e gli assi x e y
paralleli a quelli dell’immagine. Per evitare confusioni gli assi di questo sistema vengono indicati con u,v,w;
- si determina la rotazione spaziale che rende questo sistema di assi parallelo a quello legato alla prima
immagine;
- infine si determina la traslazione fa coincidere l’origine del sistema uvw con quella del sistema XYZ. Il
vettore di traslazione è evidentemente l’opposto del vettore congiungente il centro di presa della prima
immagine con quello della seconda, ed ha quindi una direzione legata ai parametri di orientazione ed una
lunghezza che può essere fissata arbitrariamente.
- eseguite queste trasformazioni del sistema di assi e le conseguenti trasformazioni di coordinate, le coordinate
spaziali del punto sulla seconda immagine risultano espresse nello stesso sistema di riferimento del punto
sulla prima immagine, e possono essere inserite nelle equazioni di collinearità, che risultano quindi dipendenti
dai parametri di trasformazione; per le coordinate del centro di presa della seconda immagine è sufficiente
eseguire la traslazione.
Per ogni punto sull’oggetto, le cui 3 coordinate sono incognite, si scrivono le equazioni delle 2 rette che
lo congiungono alle sue 2 immagini, quindi 4 equazioni, dato che ogni retta è espressa da 2 equazioni.
3
Complessivamente, per n punti si scrivono 4n equazioni in 3n + 5 incognite, corrispondenti a 3 coordinate
spaziali per ogni punto, più i 5 parametri di orientazione. Di conseguenza, affinchè il numero di equazioni
sia almeno uguale al numero delle incognite, è necessario scrivere le equazioni di collinearità per almeno 5
punti (in caso di ridondanza la soluzione viene cercata con il metodo dei minimi quadrati).
In alternativa i parametri di orientamento relativo possono essere definiti nel seguente modo: fissate le
posizioni dei due centri di presa, l’orientazione di ciascuna immagine è definita da 3 parametri, per un totale
di 6. Ma, una volta realizzato l’incontro delle rette, questo si mantiene se l’intero sistema è sottoposto ad una
rotazione intorno alla congiungente i due centri di presa. E’ quindi possibile introdurre un parametro in meno
per definire l’orientazione di una delle immagini, fissando arbitrariamente ad esempio il piano contenente la
perpendicolare ad essa e la congiungente i centri di presa.
5. Orientamento assoluto - Fissato il modello 3-dimensionale, i cui punti sono espressi nel sistema di
coordinate precedentemente stabilito, è necessario riportare il modello alla scala dell’oggetto e riferire le
coordinate ad un sistema di assi solidale con l’oggetto, eseguendo una roto-traslazione. Complessivamente
devono essere introdotti 7 parametri (1 di scala, 3 di traslazione e 3 di rotazione). Per visualizzare geometricamente la trasformazione, si supponga di conoscere le coordinate di due punti dell’oggetto in un sistema
di riferimento legato all’oggetto. È allora possibile far coincidere il primo di questi due punti con il punto
corrispondente sul modello mediante uno spostamento rigido, e si può fare la stessa cosa anche per il secondo
punto, con un opportuno cambiamento di scala, ed imponendo la direzione della congiungente. Rimane
ancora un grado di libertà, ossia una rotazione attorno alla congiungente i due punti, che può essere fissato
conoscendo ad esempio una coordinata di un terzo punto sull’oggetto non allineato con i primi due. A questo
punto è completamente definita la trasformazione fra modello e oggetto, ed è possibile ricavare la posizione
di un qualsiasi punto sull’oggetto conoscendo la posizione del corrispondente punto sul modello, a sua volta
ricavata dalle posizioni dei punti omologhi sulle due immagini.
In generale si preferisce avere ridondanza, ossia disporre di un numero di punti noti (punti d’appoggio) in
numero superiore a quello strettamente necessario. In questo caso si usa il metodo dei minimi quadrati per
la stima dei parametri.
6. Tecniche di restituzione - Nella pratica, si sono succedute nel tempo diverse tecniche per la ricostruzione del modello 3-dimensionale (detta restituzione):
- restituzione analogica: un’apparecchiatura detta stereocomparatore (fig.9) consente di realizzare meccanicamente l’orientazione relativa di due lastre, che riproduce quella che le lastre avevano al momento dello scatto.
L’operatore attua manualmente i movimenti necessari, basandosi sulla visione stereoscopica realizzata da un
binocolo che consente di vedere con ciascun occhio una lastra diversa. Sempre meccanicamente è possibile
determinare per ogni punto del modello la ”quota” corrispondente alla collimazione dei punti omologhi sulle
due immagini, e quindi ricostruire il modello tridimensionale.
- restituzione analitica: le due lastre sono in posizione fissa; la visione stereoscopica e il conseguente orientamento relativo sono realizzati da movimenti dell’ottica. Le coordinate del modello tridimensionale, insieme
con i loro scarti quadratici medi, vengono calcolate da un computer collegato allo stereocomparatore partendo
dalle coordinate dei punti omologhi sulle lastre e dei punti di presa in un sistema di riferimento strumentale
e risolvendo le equazioni di collinearità.
- fotogrammetria digitale: le immagini sono in forma numerica e vengono visualizzate sullo schermo di un
computer. Esistono dispositivi che consentono all’operatore, dotato di appositi occhiali, di vedere in rapida
alternanza l’immagine sinistra di una coppia stereoscopica con il solo occhio sinistro e l’immagine destra con
il solo occhio destro, realizzando così la visione stereoscopica.
L’aspetto più interessante della fotogrammetria digitale, tuttavia, non è la realizzazione sul computer delle
procedure tradizionali della restituzione fotogrammetrica, ma la possibilità di introdurre procedure automatiche basate sulle tecniche dell’analisi e della produzione di immagini digitali. Un aspetto fondamentale è
l’introduzione di tecniche automatiche per l’individuazione di punti omologhi su due immagini che rappresentano lo stesso oggetto da due punti di vista diversi e, pur non essendo identiche, presentano forti correlazioni
4
(image matching). Avendo selezionato su una delle due immagini una piccola area, viene ricercata fra tutte le
aree della seconda immagine che hanno le stesse dimensioni quella che ha la massima correlazione in termini
di toni di grigio o di colore con l’area selezionata.
Prodotti tipici della fotogrammetria, che vengono realizzati in modo automatico da molti software di fotogrammetria digitale sono le ortofoto e i DTM (Digital Terrain Models).
Le ortofoto sono immagini che rappresentano la proiezione ortogonale di un modello 3D su un piano particolare (ad esempio, per foto aeree, un piano ortogonale alla verticale in un punto della superficie terrestre.
Queste immagini, come si può facilmente intuire (vedi fig.10), sono diverse da quello che appare nel campo
di vista di un obiettivo orientato ortogonalmente al piano (presa nadirale), e non corrispondono ad alcuna
visione realizzabile da un singolo punto di vista. Per poterle realizzare è necessario produrre prelimenarmente
un modello 3D.
I DTM rappresentano le quote rispetto ad un piano di riferimento di un insieme di punti in generale appartenenti ad un reticolo regolare; anch’essi possono essere ricavati da un modello 3D.
Dal punto di vista del linguaggio del computer, sia le ortofoto sia i DTM sono matrici numeriche corrispondenti alla suddivisione in celle di una porzione di territorio (o di un altro qualsiasi oggetto). Nelle ortofoto i
numeri rappresentano toni di grigio o di colore, nei DTM rappresentano quote.
Le immagini da utilizzare in fotogrammetria digitale possono essere prodotte direttamente in forma numerica
da apposite macchine (camere digitali) che si stanno progressivamente diffondendo sul mercato. È anche
possibile (ed è oggi ancora la pratica più usata in fotogrammetria aerea) rendere in forma digitale immagini
prodotte da apparecchi tradizionali mediante uno scanner.
Sono direttamente fornite in forma numerica le immagini da satellite, che hanno raggiunto una risoluzione a
terra dell’ordine del metro, in generale non utilizzabili a scopo fotogrammetrico, con alcune eccezioni, come
ad esempio le immagini SPOT, che hanno una risoluzione a terra di 10m × 10m. Ogni immagine SPOT
copre un’area a terra di 60km × 60km, e contiene 3.6 ∗ 107 pixel. Il pixel sull’immagine misura circa 12µm;
l’altezza orbitale è di circa 800km, e la distanza principale è di 1m.
7. Fotogrammetria aerea - La fotogrammetria aerea è oggi lo strumento fondamentale per la produzione
cartografica. Un volo fotogrammetrico è costituito da una sequenza di percorsi rettilinei affiancati (strisciate,
fig.11). Le successive immagini prese in una strisciata devono rappresentare una parte comune di territorio
per almeno il 60%; di conseguenza, su ogni immagine ci sono fasce che rappresentano porzioni di territorio
a comune con altre due immagini. Inoltre, si richiede che strisciate adiacenti rappresentino porzioni comuni
di territorio per almeno il 10% (fig.12). In questo modo, è possibile individuare punti appartenenti a più di
due immagini di una stessa strisciata o di strisciate adiacenti ed utilizzarli come punti dii legame, o anche
come punti di appoggio, le cui posizioni sono determinate a terra per via topografica, e che servono per la
trasformazione delle coordinate dei modelli 3-dimensionali ottenuti dall’orientamento relativo in coordinate
sul terreno. In virtù della presenza di punti di legame si realizza una concatenazione fra i diversi modelli stereoscopici, che possono essere trattati tutti insieme in una procedura di triangolazione aerea, senza
bisogno di eseguire l’orientamento assoluto di ciascun modello, e riducendo così il numero di punti d’appoggio
necessari.
La presenza a bordo dell’aereo di uno o più ricevitori GPS consente di rilevarne la posizione e l’assetto al
momento della presa del fotogramma, rendendo inutile in linea di principio la rete di appoggio a terra. Oggi
le tecniche per raggiungere questo risultato non sono ancora pienamente sviluppate, ed è possibile soltanto
semplificare significativamente la rete di appoggio, in modo da ridurne il costo.
Per l’orientamento esterno di una coppia in fotogrammetria aerea si può scegliere un sistema di riferimento in
cui l’asse x sia orientato lungo la direzione prevista della strisciata (che si suppone in un piano orizzontale),
l’asse z lungo la verticale e l’asse y a completare la terna (ovviamente anch’esso in un piano orizzontale),
e fissare, in fase di orientamento relativo, la distanza fra i centri di presa approssimativamente uguale alla
distanza percorsa fra due scatti successivi, deducibile dalla velocità dell’aereo e dall’intervallo temporale fra
gli scatti; in questo modo, in fase di orientamento assoluto, il fattore di scala differisce di poco da 1, e questa
5
differenza può essere trattata come una quantità infinitesima. Dato che la lastra fotografica è rigidamente
fissata al corpo dell’aereo, la sua orientazione dipende dall’assetto di volo, ed è descritta da 3 angoli, che in
generale sono piccoli: un angolo ω di rotazione attorno all’asse x, che rappresenta una deviazione rispetto
all’assetto orizzontale dell’aereo, un angolo φ di rotazione attorno all’asse y, che rappresenta una deviazione
della direzione di volo dal piano orizzontale, e un angolo κ di rotazione attorno all’asse z, che rappresenta
una deviazione nel piano orizzontale rispetto alla direzione di volo prevista. Poichè le rotazioni commutano
al primo ordine di infinitesimo, quando gli angoli sono abbastanza piccoli è irrilevante l’ordine in cui le
rotazioni vengono eseguite.
8. Compensazione di un blocco fotogrammetrico
8.1. Compensazione a modelli indipendenti - Si suppone di avere a disposizione modelli tridimensionali
stereoscopici prodotti dall’orientamento relativo di coppie di immagini.
Le osservabili sono le coordinate dei diversi modelli. Le coordinate sul terreno si ottengono dalle coordinate
dei modelli mediante roto-traslazioni e cambiamenti di scala (trasformazioni a 7 parametri; ogni modello ha
la sua trasformazione). In generale un certo numero di punti sul terreno è comune a più di un modello (punti
di legame); è inoltre necessario che siano note le coordinate sul terreno di alcuni punti (punti di appoggio).
Le coordinate sul terreno dei punti di legame, insieme con i parametri delle trasformazioni, costituiscono le
incognite; le coordinate sul terreno dei punti di appoggio sono considerate fisse.
Ad esempio, con riferimento alla fig.12, si hanno:
- 4 modelli, quindi 7 × 4 = 28 parametri di trasformazione
- 4 punti osservati per ogni modello, quindi 4 × 4 × 3 = 48 osservabili
- 5 punti di legame, quindi 15 coordinate incognite
- 4 punti di appoggio.
Complessivamente si hanno quindi 48 equazioni di osservazione, con 28 + 15 = 43 incognite.
Le equazioni (non lineari, e quindi da linearizzare) hanno la forma
r0 + aRrmod − r = 0
dove rmod sono le osservabili; r0 , a e i 3 angoli contenuti in R sono parametri incogniti; r è incognito
se r è un punto di legame, ed è invece noto se r è un punto di appoggio.
8.2 Compensazione a stelle proiettive - I dati a disposizione (osservabili) sono le coordinate immagine
dei punti di legame e dei punti di appoggio su tutti i fotogrammi, di cui si suppongono noti i parametri di
orientamento interno (distanza principale e coordinate immagine della proiezione ortogonale del centro di
presa sull’immagine).
Le incognite sono le coordinate sul terreno dei punti di legame, le coordinate dei centri di presa e i parametri
di orientamento assoluto dei fotogrammi, che intervengono nelle equazioni di collinearità. Naturalmente nelle
equazioni intervengono anche le coordinate note dei punti di appoggio sul terreno.
Con riferimento all’esempio in fig.13
- le osservabili sono 2 × 6 × 4 = 48;
- le coordinate incognite sul terreno sono 3 × 4 = 12;
- le coordinate dei centri di presa sono 3 × 4 = 12; i parametri di orientamento assoluto sono 3 × 4 = 12;
- ci sono inoltre 4 punti di appoggio sul terreno.
Complessivamente si hanno quindi 48 equazioni di osservazione, con 12 + 12 + 12 = 36 incognite.
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