Come riconoscere le principali malfunzioni di PM

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LE 5 COSE CHE TUTTI I CARDIOLOGI DEVONO SAPERE SU:
“COME RICONOSCERE LE PRINCIPALI MALFUNZIONI DI PACE - MAKER”
A cura di Gabriele Zanotto
1.Il PM può presentare deficit o alterazioni della sua funzione di sensing
Se un nostro paziente portatore di PM presenta sintomi come cardiopalmo, presincope o sincopi, sospettiamo immediatamente che il PM possa non funzionare in
maniera adeguata. Evitiamo di richiedere esami “complessi”: sono da eseguire
esami semplici, come una registrazione prolungata dell’ECG (anche delle sole
derivazioni periferiche), eventualmente associata ad alcune manovre da effettuarsi
da parte del paziente (come la contrazione del muscolo pettorale) o da parte del
medico (ad esempio la cauta compressione o manipolazione della tasca del PM).
Il controllo del PM deve anticipare la richiesta di altri accertamenti strumentali: è
infatti possibile oltre alla diagnosi del problema, anche la sua eventuale soluzione.
2.Il PM può presentare deficit di pacing
Nel caso di un difetto di pacing, generalmente i sintomi riferiti dal paziente
portatore di PM sono pre-sincope o sincopi, cioè gli stessi che accusava prima
dell’impianto.
Anche in questo caso predisponiamo esami semplici, come una registrazione
prolungata dell’ECG (anche delle sole derivazioni periferiche), con le stesse manovre
evocative sopra descritte.
Pure nell’ipotesi di un deficit di pacing, il controllo del PM deve anticipare la
richiesta di altri accertamenti strumentali: è infatti come sopra descritto, possibile
oltre alla diagnosi del problema, anche la sua eventuale soluzione.
Infine se sospettiamo all’ECG un difetto di pacing con assenza della cattura cardiaca
atriale o ventricolare, può essere utile eseguire una radiografia del torace (o meglio
un radioscopia/grafia in sala di elettrostimolazione) per evidenziare un eventuale
sposizionamento degli elettrocateteri o una loro lesione/frattura (quest’ultima da
ricercare a livello della tasca in sede pettorale o in regione sub-claveare). È
importante in tal senso un confronto con un’immagine radiologica effettuata al
momento dell’impianto del PM e consegnata al paziente!
3.Il PM può presentare una programmazione inadeguata al paziente
Se un paziente giunge alla nostra attenzione riferendo disturbi come cardiopalmo,
astenia o dispnea, generalmente da sforzo, e al controllo del PM si evidenzia un
buon funzionamento del sistema, è importante rivolgere la nostra attenzione alla
programmazione del PM.
È utile infatti valutare se nella telemetria del PM sono registrati eventi aritmici
(generalmente si tratta di parossismi di FA!), se i trend di FC sono appiattiti sulla
“lower rate”, cioè sulla frequenza minima di stimolazione ed il PM è programmato in
modalità VVI o DDD (possiamo pensare di attivare la funzione “rate-responsive”,
cioè possiamo “sbloccare” l’acceleratore del PM, facendolo funzionare da frequenza
fissa a frequenza variabile con l’attività), se l’intervallo A-V è programmato con
tempi troppo brevi e stretti (la riferita dispnea può essere imputata ad una scorretta
programmazione di questo parametro, con una possibile “sindrome da PM” anche in
presenza di un dispositivo bicamerale! Se è presente questo sospetto, può essere
utile eseguire un ECOCARDIO con color doppler unitamente alla modifica della
programmazione del dispositivo).
Una programmazione di un PM ben funzionante, non adeguata al paziente può
favorire una serie di disturbi esattamente come nel caso di malfunzionamenti!
4.Il PM può subire interferenze ambientali
È frequente che il paziente portatore di PM abbia dei dubbi sulle cose che potrà o
non potrà fare, sugli strumenti della vita domestica o professionale che potrà o non
potrà utilizzare, su come dovrà comportarsi in caso di viaggi o di accessi in ospedale
per l’esecuzione di esami.
È importante anche da parte del Cardiologo “generalista” diciamo avere una
conoscenza delle possibili interferenze “ambientali” sul PM.
Esistono in questo senso una serie di opuscoli prodotti da ciascun singolo
Laboratorio di Elettrostimolazione e dedicati al paziente che è utile conoscere e
divulgare!
5.Il PM e la possibilità di effettuare la RMN
Un capitolo specifico è quello della possibilità/necessità da parte di pazienti
portatori di PM, di poter eseguire la RMN.
Senza entrare in particolari tecnici, è importante che tutti sappiamo che se una RMN
è necessaria ad un paziente con PM, in caso di sistema (PM+elettrocateteri) “MRIconditional” ed in strutture ospedaliere con protocolli cardio-radiologici condivisi,
l’esame può essere effettuato in sicurezza.
La premessa al riconoscimento dei principali malfunzionamenti di un Pace-Maker
(PM) è conoscere sia le motivazioni per cui viene impiantato un PM ad un paziente
che le principali funzioni di cui un PM è dotato. L’indicazione più comune per cui
viene impiantato un PM è la presenza nella storia clinica di un paziente di episodi
sincopali e/o pre-sincopali riconducibili a bradiaritmie (blocco A-V completo o
avanzato - BAV - disfunzione sintomatica del nodo del seno). Altri sintomi che
possono essere evocati da rallentamenti del battito cardiaco o della conduzione
cardiaca sono l’astenia e la dispnea, generalmente da sforzo (spesso determinata
dalla disfunzione del nodo del seno con incompetenza cronotropa). In questa
sezione non parliamo di scompenso cardiaco e di PM biventricolare.
Di fronte a questi quadri clinici ed all’evidenza di bradiaritmie, il PM impiantato
presenta 4 funzioni principali:
a)
Il PM deve SENTIRE correttamente l’attività cardiaca spontanea per decidere
se stimolare o meno il cuore, si tratta della funzione di SENSING,
b)
Il PM deve STIMOLARE efficacemente il cuore, se dopo averlo “ascoltato e
sentito …”, valuta la necessità di stimolarlo, si tratta della funzione di PACING,
c)
Il PM deve STIMOLARE il cuore DI PIU’ o DI MENO, cercando di assecondare i
momenti di maggior o minor attività, si tratta della funzione RATE-RESPONSIVE di
cui molti dispositivi sono dotati,
d)
Il PM, ascoltando e valutando, l’attività elettrica cardiaca spontanea, è in
grado di fornire importanti informazioni diagnostiche riguardanti il paziente
impiantato (questa funzione di un PM è marginale in questo capitolo e verrà
recuperata ed approfondita quando si affronterà l’argomento del
controllo/monitoraggio dei dispositivi impiantati).
All’analisi dei “classici” malfunzionamenti del PM, si possono affiancare anche
alcune considerazioni sulla sua programmazione talora non congrua alle
caratteristiche cliniche del paziente: se infatti l’obiettivo di qualsiasi cura è mettere
al centro il singolo paziente, cercando di personalizzare la terapia cardioattiva, a
maggior ragione questo obiettivo deve riguardare la terapia antibradicardica. In
questa direzione, a volte, la programmazione “standard” di un PM può non essere
adatta ad un paziente con particolari peculiarità e generare disturbi, anche a fronte
di un evidente buon funzionamento complessivo del sistema.
Da ultimo in tema di malfunzionamenti di un dispositivo impiantato, possiamo
proporre alcune considerazioni sulle “interferenze” ambientali, che possono
generare un temporaneo malfunzionamento di un PM perfettamente funzionante.
Dopo queste brevi premesse, andiamo ad analizzare 5 punti che un Cardiologo deve
conoscere sul malfunzionamento di un PM, sulla sua programmazione e su
potenziali interferenze ad un PM legate all’ambiente esterno.
1.Il PM può presentare deficit o alterazioni della sua funzione disensing
2.Il PM può presentare deficit di pacing
3.Il PM può presentare una programmazione inadeguata al paziente
4.Il PM può subire interferenze ambientali
5.Il PM e la possibilità di effettuare la RMN
1.
Il PM può presentare deficit o alterazioni della funzione di SENSING
Abbiamo già anticipato come un PM debba essere in grado di ascoltare e di sentire
l’attività cardiaca spontanea: un deficit di SENSING (undersensing) comporta il
rischio che il PM stimoli il cuore anche quando non ce ne sia la necessità, mentre se
il PM sente “troppo” rischia di interpretare come attività cardiaca anche eventi che
con il cuore non c’entrano nulla (“oversensing”).
Nel primo caso (“undersensing”), clinicamente il paziente può non accusare disturbi
particolari oppure può avvertire cardiopalmo o dispnea, nel secondo caso
(“oversensing”) possiamo avere la cessazione dell’attività di stimolazione da parte
del PM e, se il paziente non ha attività cardiaca spontanea, rischia di avere gli stessi
episodi sincopali che accusava prima di impiantare il dispositivo: se un nostro
paziente portatore di PM ci riferisce questi sintomi, dobbiamo sospettare un non
perfetto funzionamento del sistema. Di fronte a questo quadro clinico (disturbi
come cardiopalmo, pre-sincopi o sincopi in un soggetto portatore di PM) prima di
altri accertamenti più “complessi” (ad esempio un ECG dinamico sec. Holter, che
spesso viene consigliato, ma che in realtà è difficile da predisporre in tempi rapidi,
ritarda la diagnosi del problema e non rappresenta l’indagine corretta in casi come
questo …), è indispensabile predisporre esami semplici come un ECG con
registrazione prolungata, facendo eseguire al paziente alcune manovre (come la
contrazione del muscolo pettorale) o eseguendo direttamente alcune manovre
(come la pressione/manipolazione della tasca d’impianto del PM) con la possibilità
di slatentizzare il difetto di sensing, oppure direttamente un controllo PM, che ci
conferma l’eventuale presenza del problema e spesso ci consente anche la sua
soluzione, attraverso una modifica dei parametri di sensibilità. Di seguito alcuni
esempi.
Nell’immagine sottostante (Figura 1) è chiaramente evidente come il PM (si tratta di
un monocamerale VVI), pur stimolando con efficacia (il secondo, il quinto ed il sesto
battito), non sia in grado di sentire adeguatamente l’attività cardiaca spontanea
(“undersensing”) e cerchi di stimolare il cuore senza che ce ne sia la necessità (il
primo, il terzo ed il settimo “spike” cadono immediatamente dopo un’attività
cardiaca spontanea, mentre il quarto battito può essere considerato una “fusione”).
In caso di deficit di “sensing” ventricolare, la situazione più delicata si realizza se
l’attività evocata dal PM con problemi di “undersensing”, coincide con un periodo di
elevata vulnerabilità ventricolare: in questo caso è possibile il rischio d’induzione di
tachiaritmie ventricolari.
Figura 1
Nella Figura 2, vediamo come un’interferenza da miopotenziali determini un’assenza
dell’attività atriale evocata dal PM (è un dispositivo programmato in modalità AAI,
cioè deputato ad ascoltare e stimolare l’atrio in un paziente affetto da disfunzione
del nodo seno-atriale e con normale conduzione A-V) per fenomeno di
“oversensing”; la correzione della sensibilità atriale può consentire di superare il
problema. Questo tipo di fenomeno è particolarmente frequente in presenza di
cateteri unipolari, mentre è raro o facilmente controllabile nei cateteri bipolari.
Figura 2
2.
Il PM può presentare deficit di PACING
Il PM viene impianto in un paziente con bradiaritmia per stimolare il cuore: un
difetto di “pacing” comporta la perdita della principale funzione del dispositivo! Dal
punto di vista clinico, la perdita della capacità di stimolare il cuore determina la
ripresa dei sintomi precedenti all’impianto (generalmente sincopi o pre-sincopi). Il
deficit di “pacing” può essere provocato dallo sposizionamento dell’elettrocatetere
nel viscere cardiaco (generalmente nelle prime settimane dopo l’impianto) oppure
dall’innalzamento della soglia di stimolazione, cioè dell’energia necessaria alla
corretta stimolazione del cuore (in questo caso si può assistere a tale tipologia di
malfunzionamento del PM anche a distanza di anni dall’impianto per processi
fibrotici coinvolgenti la punta dell’elettrocatetere o per lesioni dell’elettrocatetere
stesso che ne alterano la funzionalità).
Anche in questo caso, come nel precedente, quando un paziente portatore di PM
accusa sintomi analoghi a quelli dei tempi precedenti l’impianto (in particolare nuovi
episodi sincopali) prima di pensare ad indagini strumentali particolari, è necessario
predisporre esami semplici, come una registrazione ECG prolungata (eventualmente
con le manovre “provocative” descritte nel capitolo precedente) e/o un controllo
del PM: è possibile in questo modo, fare diagnosi dell’eventuale innalzamento di
soglia di stimolazione e, in qualche caso, correggere il problema, con una modifica
della programmazione.
Nell’immagine sottostante (Figura 3) è evidente come il PM (si tratta di un PM
bicamerale) senta correttamente l’atrio (l’attività atriale spontanea è sempre
seguita da uno “spike” ventricolare), ma non riesca a stimolare costantemente ed
efficacemente il ventricolo (il 1°, 3°, 5°, 7° battito confermano una stimolazione
adeguata, mentre nel 2°, 4°, 6°, 8° lo “spike” non è seguito da attività ventricolare
evocata ed è quindi inefficace!).
Figura 3
Un secondo esempio è raffigurato nella Figura 4: vediamo come un PM bicamerale
stimoli correttamente l’atrio, ma non sia evidente alcuna attività ventricolare:
potrebbe trattarsi della programmazione del PM (programmato in AAI oppure in
modalità bicamerale “rispettosa” dell’attività cardiaca spontanea). Se troviamo un
ECG con queste caratteristiche ed un intervallo A-V molto lungo, sospettiamo un
“malfunzionamento” del PM, con un difetto di “pacing” ventricolare (infatti la
programmazione “bipolare” del canale ventricolare rende lo “spike” non così ben
visibile …).
Figura 4
Al controllo del PM (Figura 5), si evidenzia proprio una programmazione della
modalità di pacing ventricolare, “bipolare”, cioè con scarsa possibilità di vedere lo
“spike” di stimolazione e si nota un chiaro difetto di pacing. Il deficit di pacing viene
recuperato modificando la modalità di stimolazione da bipolare in unipolare
(l’immagine sulla sinistra conferma come la stimolazione bipolare non sia efficace,
mentre l’immagine sulla destra evidenzia la corretta stimolazione del ventricolo in
modalità unipolare).
Figura 5
Al controllo radiologico, è chiaramente visibile una frattura dell’elettrocatetere
ventricolare, con soluzione di continuità in regione sub-claveare (nella Figura 6, il
confronto tra l’immagine radiologica all’impianto sulla sinistra con quella successiva
al riscontro del malfunzionamento sulla destra): nel dubbio di un malfunzionamento
di un PM, una valutazione radiologica (anche semplicemente in Rx-scopia in sala di
elettrostimolazione) è importante per valutare integrità e corretta posizione degli
elettrocateteri!
Figura 6
In casi come quello appena esposto la trasformazione della modalità di stimolazione
da bipolare in unipolare consente in genere solo una soluzione temporanea del
problema evitando in particolare bradicardie severe sintomatiche. In presenza di
rottura dell’elettrocatetere è in genere necessario effettuare successivamente
l’impianto di un nuovo elettrocatetere.
Più arduo può essere riconoscere la perdita di cattura atriale: come già anticipato
nella precedente rubrica mensile, la presenza di uno “spike” atriale sull’ECG di
superficie, non coincide necessariamente con la cattura efficace dell’atrio: è
necessario ricercarla … ed essendo l’attività atriale elettroindotta di piccole
dimensioni, può non essere semplice riconoscerla … Nell’immagine ingrandita
sottostante (Figura 7), vediamo come nel terzo battito evocato dal PM, allo “spike”
atriale non corrisponde una deflessione corrispondente all’attivazione atriale; si
tratta di una difetto di “pacing” atriale.
Figura 7
3.
Il PM può presentare una programmazione inadeguata al paziente
In realtà una programmazione inadeguata al paziente, non rappresenta un reale
malfunzionamento del PM, ma, dal punto di vista del paziente, è una situazione che
determina disturbi, esattamente come se il PM funzionasse male!
La programmazione del PM e la gestione del dispositivo e del paziente a cui viene
impiantato, rappresentano le fasi più importanti e, spesso, delicate del processo
d’impianto di un PM. Il PM è uno strumento che presenta svariate funzioni
terapeutiche e diagnostiche e dev’essere adattato a ciascun singolo paziente: è
necessaria la conoscenza clinica del paziente stesso per ottimizzare questa fase
dell’impianto …
Inoltre un paziente a cui è stato impiantato un PM, può subire dei cambiamenti nella
sua patologia cardiaca: anche la programmazione del PM dovrebbe adattarsi ed
evolvere di conseguenza.
La situazione più frequente nella pratica clinica è costituita dall’insorgenza in molti
pazienti a cui è stato impianto un PM bicamerale per disfunzione del nodo del seno
o per blocchi A-V e presenza basale di ritmo sinusale, di fibrillazione atriale
parossistica e/o persistente. Normalmente un PM bicamerale presenta la possibilità
di essere programmato con un “range” di frequenza che va da un minimo (“lower
rate”) ad un massimo (“upper rate”): in caso di tachiaritmie atriali (fibrillazione
atriale innanzitutto, ma anche flutter atriale e tachicardia atriale ectopica) il
dispositivo è dotato di automatismi (algoritmi) che consentono di riconoscere
l’aritmia e di commutare la sua programmazione da bicamerale a monocamerale,
evitando che lo stesso PM sia causa di cardiopalmo e di tachicardie, trascinando in
ventricolo le tachiaritmie atriali alla frequenza cardiaca massima programmata, all’
“upper rate”. Può però succedere che la tachicardia resti al di sotto della soglia di
commutazione oppure che non venga perfettamente riconosciuta da parte del PM
con conseguente trascinamento a frequenze elevate.
Il paziente arriverà alla nostra osservazione accusando tachicardia e cardiopalmo,
talora associati a dispnea: anche in questo caso dobbiamo effettuare e richiedere
esami semplici, come la traccia ECG e la verifica telemetrica del PM.
Nella Figura 8 è descritto un esempio di fibrillazione atriale condotta ad elevata
frequenza cardiaca,in un paziente con PM bicamerale: una modifica della
programmazione a modalità di stimolazione VVI da DDD, risolve il problema in
acuto.
Figura 8
Una seconda frequente possibilità di programmazione non adeguata alla situazione
clinica del paziente è la seguente: un paziente arriva, generalmente all’ambulatorio
di controllo PM segnalando benessere a riposo, l’assenza di eventi sincopali da dopo
aver impiantato il PM, ma astenia e dispnea da sforzo, durante l’attività. Al controllo
il PM risulta ben funzionante, ma al controllo telemetrico della diagnostica, la FC
risulta appiattita alla “lower rate” e la programmazione in modalità VVI o DDD. Se il
PM lo consente, l’attivazione della modalità di funzionamento “rate-responsive”
consente di modulare il PM sull’attività del paziente, accompagnando in modo più
fisiologico i momenti di attività e di movimento.
Figura 9A
Nella Figura 9A, vediamo come il PM presenti una FC, sia l’attività atriale che
naturalmente quella ventricolare, appiattita sulla minima frequenza programmata,
60 bpm. Il paziente riferisce di essere astenico durante l’attività.
Figura 9B
Nella Figura 9B, studiamo il grafico della FC dopo l’attivazione dell’algoritmo “rateresponsive”: le frequenze del paziente sono meglio distribuite anche a valori
superiori della FC minima ed il paziente recupera la capacità di effettuare sforzi.
4.Il PM e le interferenze ambientali
I PM di ultima generazione presentano elevati livelli di sofisticazione tecnologica e di
sicurezza: peraltro i pazienti portatori di dispositivi devono osservare alcune
attenzioni per evitare il rischio d’interferenze ambientali e di potenziali temporanei
o protratti malfunzionamenti.
Nell’ambiente domestico possono essere utilizzati tutti i più comuni
elettrodomestici: è importante che l’impianto elettrico dell’abitazione venga
controllato da un elettricista esperto per evitare scariche elettriche provocate da
elettrodomestici o accessori vari non adeguatamente collegati a terra. È importante
evitare l’uso di coperte elettriche mentre sono accese e con presa di corrente
inserita.
Al supermercato o in banca, all’ingresso o all’uscita sono presenti sistemi di
sicurezza costituiti da barriere laterali che devono essere attraversate: è sufficiente
che i pazienti portatori di PM non sostino all’interno di esse. In alcune banche si
entra attraversando una barriera magnetica: è necessario in questi casi esibire la
tessera d’identificazione del PM al personale addetto, che provvederà a disinserire il
sistema magnetico o consentirà l’accesso da un’entrata secondaria. Negli
aereoporti, in caso di viaggio, valgono le stesse attenzioni utilizzate per le banche.
Negli ambienti di lavoro i pazienti portatori di PM devono evitare di avvicinarsi a
generatori di corrente, grossi magneti, antenne di trasmettitori, radio amatoriali CB,
di riparare apparecchi o dispositivi elettrici sotto tensione e di toccare i cavi del
motore dell’auto a motore acceso.
È sconsigliabile utilizzare i piccoli motori a scoppio a due tempi dei tosaerba e dei
decespugliatori: in alternativa è preferibile l’utilizzo di strumenti con motore
elettrico.
È da evitare l’utilizzo del trapano e della maggior parte degli utensili elettrici che
funzionano con motori che provocano scintille durante la loro attività: possono
creare problemi al PM. Si raccomanda infine di mantenere qualche metro di distanza
(almeno 1 metro!) da grossi altoparlanti usati nelle fiere, da linee di potenza ad alta
tensione, stazioni radar, saldatrici ad arco o a resistenza.
Anche in ambiente sanitario è importante osservare alcune attenzioni, innanzitutto
informando i sanitari che si è portatori di dispositivo.
Esistono infatti controindicazioni assolute o relative, o la necessità di
programmazioni adeguate del PM in caso di: esecuzione di RMN (ne parleremo
approfonditamente nel successivo paragrafo), esecuzione di PET, utilizzo di
elettrocauterio in corso d’interventi chirurgici (dev’essere utilizzato in modalità
bipolare ed il dispositivo dev’essere programmato in asincrono, cioè reso “sordo”
mediante l’utilizzo di un magnete, come già descritto nel numero di maggio),
esecuzione di radioterapia in vicinanza alla cassa del PM (entro 10-15 cm è
sconsigliabile), esecuzione di litotripsia, cardioversione elettrica (può essere
effettuata ma utilizzando le piastre poste sul torace in posizione antero-posteriore e
non in latero-laterale), esecuzione di elettroagopuntura, esecuzione di
magnetoterapia.
Non sussistono invece controindicazioni ad indagini radiologiche (RX e TAC) e ad
indagini che utilizzano ultrasuoni (ECO).
Di seguito 2 esempi (Figure 10 e 11) d’interferenza in ambito sanitario, il primo da
TENS.
Figura 10
Il secondo è un esempio d’interferenza da RMN
Figura 11
5.
Il PM e la RMN
Un recente documento dell’Istituto Superiore di Sanità(rapporti ISTISAN 15/9
maggio 2015) conferma un’indicazione sempre più ampia della RMN in pazienti
portatori di stimolatori cardiaci impiantabili: si arriva al 40% in Europa ed al 50-75%
negli USA.
Da alcuni anni sono disponibili sul mercato e progressivamente sempre più
impiantati nei pazienti, PM cosiddetti “MRI conditional”, cioè compatibili con
l’utilizzo della risonanza magnetica in determinate condizioni di utilizzo.
In realtà è il sistema, l’intero impianto che dev’essere “MRI conditional”, non il solo
PM: è infatti la combinazione di generatore e di elettrocateteri del medesimo
fabbricante etichettati come “MRI conditional”, che consente l’esecuzione della
risonanza magnetica.L’impianto di un dispositivo compatibile con la risonanza e di
elettrocateteri non compatibili, oppure compatibili ma di una ditta produttrice
differente, esclude la possibilità di effettuare l’esame, o meglio, determina un
utilizzo “off label” del sistema, con potenziali rischi per il paziente (e di assunzione di
responsabilità da parte del medico …).
Il distretto in cui effettuare la risonanza è un’altra variabile importante che
dev’essere conosciuta prima di dare il benestare all’esame: esistono sistemi “MRI
conditional” che consentono indagini “total body” e sistemi (generalmente la prima
generazione) che escludono la zona toracica; inoltre la sede dell’impianto è
rilevante: gli impianti in regione pettorale (la maggior parte) consentono
l’effettuazione dell’indagine, mentre la regione addominale (meno frequentemente
utilizzata, di solito nei bambini e nelle cardiopatie congenite) generalmente esclude
la RMN. I fabbricanti indicano comunque le regioni d’impianto ammesse in base ai
risultati delle loro prove e valutazioni. In caso di nuovo impianto, è necessario che
stimolatore e cateteri abbiano raggiunto una buona stabilità ed un buon fissaggio
nel viscere cardiaco per limitare le interferenze causate dall’indagine (si parla di
alcune settimane, probabilmente è prudente che trascorrano 4-6 settimane
dall’impianto prima di eseguire un RMN!).
Inoltre il dispositivo dev’essere programmato adeguatamente subito prima
dell’esecuzione della risonanza magnetica e controllato e riprogrammato subito
dopo.
Questa serie di verifiche tocca ad un cardiologo con competenza di
elettrostimolazione ed ai suoi collaboratori (infermieri o tecnici).
A queste mansioni destinate prettamente al cardiologo impiantatore, si affiancano
quelle del medico radiologo che deve eseguire in prima persona l’esame: tipologia
dello “scanner” di RMN utilizzato (la certificazione “MRI conditional” viene rilasciata
dal fabbricante di PM per specifiche configurazioni e tipologie di “scanner” e di
bobine), l’intensità del campo magnetico generato (generalmente si “accettano”
valori specifici fino a 1,5 Tesla, anche se molti dispositivi di ultima generazione
“tollerano” energie fino a 3 Tesla!), la durata dell’esame ed i distretti anatomici da
analizzare.
L’argomento è complesso ed ancora in evoluzione: è importante condividere che se
un nostro paziente ha la necessità di eseguire una RMN con importanti motivazioni
cliniche, la presenza di un dispositivo impiantato non rappresenta più una
controindicazione assoluta, ma che con sistemi dedicati, in strutture organizzate e
con protocolli condivisi cardio-radiologici, l’esame può essere effettuato in
sicurezza.
Bibliografia
- L. Gabrielli, Elettrostimolazione cardiaca, alla scoperta dei difetti di funzionamento
dei Pacemakers. Edizioni Grafiche Manfredi
- L. Adinolfi et al. CardiologyScience, l’elettrocardiogramma nel paziente anziano
portatore di pacemaker
- Opuscolo informativo per il paziente portatore di PM, ULSS 21 Legnago
- Dispositivi cardiaci impiantabili attivi e risonanza magnetica: aspetti tecnologici,
inquadramento normativo e modelli organizzativi - RAPPORTI ISTISAN 15/9. Istituto
Superiore di Sanità.
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