LE 5 COSE CHE TUTTI I CARDIOLOGI DEVONO SAPERE SU: “COME RICONOSCERE LE PRINCIPALI MALFUNZIONI DI PACE - MAKER” A cura di Gabriele Zanotto 1.Il PM può presentare deficit o alterazioni della sua funzione di sensing Se un nostro paziente portatore di PM presenta sintomi come cardiopalmo, presincope o sincopi, sospettiamo immediatamente che il PM possa non funzionare in maniera adeguata. Evitiamo di richiedere esami “complessi”: sono da eseguire esami semplici, come una registrazione prolungata dell’ECG (anche delle sole derivazioni periferiche), eventualmente associata ad alcune manovre da effettuarsi da parte del paziente (come la contrazione del muscolo pettorale) o da parte del medico (ad esempio la cauta compressione o manipolazione della tasca del PM). Il controllo del PM deve anticipare la richiesta di altri accertamenti strumentali: è infatti possibile oltre alla diagnosi del problema, anche la sua eventuale soluzione. 2.Il PM può presentare deficit di pacing Nel caso di un difetto di pacing, generalmente i sintomi riferiti dal paziente portatore di PM sono pre-sincope o sincopi, cioè gli stessi che accusava prima dell’impianto. Anche in questo caso predisponiamo esami semplici, come una registrazione prolungata dell’ECG (anche delle sole derivazioni periferiche), con le stesse manovre evocative sopra descritte. Pure nell’ipotesi di un deficit di pacing, il controllo del PM deve anticipare la richiesta di altri accertamenti strumentali: è infatti come sopra descritto, possibile oltre alla diagnosi del problema, anche la sua eventuale soluzione. Infine se sospettiamo all’ECG un difetto di pacing con assenza della cattura cardiaca atriale o ventricolare, può essere utile eseguire una radiografia del torace (o meglio un radioscopia/grafia in sala di elettrostimolazione) per evidenziare un eventuale sposizionamento degli elettrocateteri o una loro lesione/frattura (quest’ultima da ricercare a livello della tasca in sede pettorale o in regione sub-claveare). È importante in tal senso un confronto con un’immagine radiologica effettuata al momento dell’impianto del PM e consegnata al paziente! 3.Il PM può presentare una programmazione inadeguata al paziente Se un paziente giunge alla nostra attenzione riferendo disturbi come cardiopalmo, astenia o dispnea, generalmente da sforzo, e al controllo del PM si evidenzia un buon funzionamento del sistema, è importante rivolgere la nostra attenzione alla programmazione del PM. È utile infatti valutare se nella telemetria del PM sono registrati eventi aritmici (generalmente si tratta di parossismi di FA!), se i trend di FC sono appiattiti sulla “lower rate”, cioè sulla frequenza minima di stimolazione ed il PM è programmato in modalità VVI o DDD (possiamo pensare di attivare la funzione “rate-responsive”, cioè possiamo “sbloccare” l’acceleratore del PM, facendolo funzionare da frequenza fissa a frequenza variabile con l’attività), se l’intervallo A-V è programmato con tempi troppo brevi e stretti (la riferita dispnea può essere imputata ad una scorretta programmazione di questo parametro, con una possibile “sindrome da PM” anche in presenza di un dispositivo bicamerale! Se è presente questo sospetto, può essere utile eseguire un ECOCARDIO con color doppler unitamente alla modifica della programmazione del dispositivo). Una programmazione di un PM ben funzionante, non adeguata al paziente può favorire una serie di disturbi esattamente come nel caso di malfunzionamenti! 4.Il PM può subire interferenze ambientali È frequente che il paziente portatore di PM abbia dei dubbi sulle cose che potrà o non potrà fare, sugli strumenti della vita domestica o professionale che potrà o non potrà utilizzare, su come dovrà comportarsi in caso di viaggi o di accessi in ospedale per l’esecuzione di esami. È importante anche da parte del Cardiologo “generalista” diciamo avere una conoscenza delle possibili interferenze “ambientali” sul PM. Esistono in questo senso una serie di opuscoli prodotti da ciascun singolo Laboratorio di Elettrostimolazione e dedicati al paziente che è utile conoscere e divulgare! 5.Il PM e la possibilità di effettuare la RMN Un capitolo specifico è quello della possibilità/necessità da parte di pazienti portatori di PM, di poter eseguire la RMN. Senza entrare in particolari tecnici, è importante che tutti sappiamo che se una RMN è necessaria ad un paziente con PM, in caso di sistema (PM+elettrocateteri) “MRIconditional” ed in strutture ospedaliere con protocolli cardio-radiologici condivisi, l’esame può essere effettuato in sicurezza. La premessa al riconoscimento dei principali malfunzionamenti di un Pace-Maker (PM) è conoscere sia le motivazioni per cui viene impiantato un PM ad un paziente che le principali funzioni di cui un PM è dotato. L’indicazione più comune per cui viene impiantato un PM è la presenza nella storia clinica di un paziente di episodi sincopali e/o pre-sincopali riconducibili a bradiaritmie (blocco A-V completo o avanzato - BAV - disfunzione sintomatica del nodo del seno). Altri sintomi che possono essere evocati da rallentamenti del battito cardiaco o della conduzione cardiaca sono l’astenia e la dispnea, generalmente da sforzo (spesso determinata dalla disfunzione del nodo del seno con incompetenza cronotropa). In questa sezione non parliamo di scompenso cardiaco e di PM biventricolare. Di fronte a questi quadri clinici ed all’evidenza di bradiaritmie, il PM impiantato presenta 4 funzioni principali: a) Il PM deve SENTIRE correttamente l’attività cardiaca spontanea per decidere se stimolare o meno il cuore, si tratta della funzione di SENSING, b) Il PM deve STIMOLARE efficacemente il cuore, se dopo averlo “ascoltato e sentito …”, valuta la necessità di stimolarlo, si tratta della funzione di PACING, c) Il PM deve STIMOLARE il cuore DI PIU’ o DI MENO, cercando di assecondare i momenti di maggior o minor attività, si tratta della funzione RATE-RESPONSIVE di cui molti dispositivi sono dotati, d) Il PM, ascoltando e valutando, l’attività elettrica cardiaca spontanea, è in grado di fornire importanti informazioni diagnostiche riguardanti il paziente impiantato (questa funzione di un PM è marginale in questo capitolo e verrà recuperata ed approfondita quando si affronterà l’argomento del controllo/monitoraggio dei dispositivi impiantati). All’analisi dei “classici” malfunzionamenti del PM, si possono affiancare anche alcune considerazioni sulla sua programmazione talora non congrua alle caratteristiche cliniche del paziente: se infatti l’obiettivo di qualsiasi cura è mettere al centro il singolo paziente, cercando di personalizzare la terapia cardioattiva, a maggior ragione questo obiettivo deve riguardare la terapia antibradicardica. In questa direzione, a volte, la programmazione “standard” di un PM può non essere adatta ad un paziente con particolari peculiarità e generare disturbi, anche a fronte di un evidente buon funzionamento complessivo del sistema. Da ultimo in tema di malfunzionamenti di un dispositivo impiantato, possiamo proporre alcune considerazioni sulle “interferenze” ambientali, che possono generare un temporaneo malfunzionamento di un PM perfettamente funzionante. Dopo queste brevi premesse, andiamo ad analizzare 5 punti che un Cardiologo deve conoscere sul malfunzionamento di un PM, sulla sua programmazione e su potenziali interferenze ad un PM legate all’ambiente esterno. 1.Il PM può presentare deficit o alterazioni della sua funzione disensing 2.Il PM può presentare deficit di pacing 3.Il PM può presentare una programmazione inadeguata al paziente 4.Il PM può subire interferenze ambientali 5.Il PM e la possibilità di effettuare la RMN 1. Il PM può presentare deficit o alterazioni della funzione di SENSING Abbiamo già anticipato come un PM debba essere in grado di ascoltare e di sentire l’attività cardiaca spontanea: un deficit di SENSING (undersensing) comporta il rischio che il PM stimoli il cuore anche quando non ce ne sia la necessità, mentre se il PM sente “troppo” rischia di interpretare come attività cardiaca anche eventi che con il cuore non c’entrano nulla (“oversensing”). Nel primo caso (“undersensing”), clinicamente il paziente può non accusare disturbi particolari oppure può avvertire cardiopalmo o dispnea, nel secondo caso (“oversensing”) possiamo avere la cessazione dell’attività di stimolazione da parte del PM e, se il paziente non ha attività cardiaca spontanea, rischia di avere gli stessi episodi sincopali che accusava prima di impiantare il dispositivo: se un nostro paziente portatore di PM ci riferisce questi sintomi, dobbiamo sospettare un non perfetto funzionamento del sistema. Di fronte a questo quadro clinico (disturbi come cardiopalmo, pre-sincopi o sincopi in un soggetto portatore di PM) prima di altri accertamenti più “complessi” (ad esempio un ECG dinamico sec. Holter, che spesso viene consigliato, ma che in realtà è difficile da predisporre in tempi rapidi, ritarda la diagnosi del problema e non rappresenta l’indagine corretta in casi come questo …), è indispensabile predisporre esami semplici come un ECG con registrazione prolungata, facendo eseguire al paziente alcune manovre (come la contrazione del muscolo pettorale) o eseguendo direttamente alcune manovre (come la pressione/manipolazione della tasca d’impianto del PM) con la possibilità di slatentizzare il difetto di sensing, oppure direttamente un controllo PM, che ci conferma l’eventuale presenza del problema e spesso ci consente anche la sua soluzione, attraverso una modifica dei parametri di sensibilità. Di seguito alcuni esempi. Nell’immagine sottostante (Figura 1) è chiaramente evidente come il PM (si tratta di un monocamerale VVI), pur stimolando con efficacia (il secondo, il quinto ed il sesto battito), non sia in grado di sentire adeguatamente l’attività cardiaca spontanea (“undersensing”) e cerchi di stimolare il cuore senza che ce ne sia la necessità (il primo, il terzo ed il settimo “spike” cadono immediatamente dopo un’attività cardiaca spontanea, mentre il quarto battito può essere considerato una “fusione”). In caso di deficit di “sensing” ventricolare, la situazione più delicata si realizza se l’attività evocata dal PM con problemi di “undersensing”, coincide con un periodo di elevata vulnerabilità ventricolare: in questo caso è possibile il rischio d’induzione di tachiaritmie ventricolari. Figura 1 Nella Figura 2, vediamo come un’interferenza da miopotenziali determini un’assenza dell’attività atriale evocata dal PM (è un dispositivo programmato in modalità AAI, cioè deputato ad ascoltare e stimolare l’atrio in un paziente affetto da disfunzione del nodo seno-atriale e con normale conduzione A-V) per fenomeno di “oversensing”; la correzione della sensibilità atriale può consentire di superare il problema. Questo tipo di fenomeno è particolarmente frequente in presenza di cateteri unipolari, mentre è raro o facilmente controllabile nei cateteri bipolari. Figura 2 2. Il PM può presentare deficit di PACING Il PM viene impianto in un paziente con bradiaritmia per stimolare il cuore: un difetto di “pacing” comporta la perdita della principale funzione del dispositivo! Dal punto di vista clinico, la perdita della capacità di stimolare il cuore determina la ripresa dei sintomi precedenti all’impianto (generalmente sincopi o pre-sincopi). Il deficit di “pacing” può essere provocato dallo sposizionamento dell’elettrocatetere nel viscere cardiaco (generalmente nelle prime settimane dopo l’impianto) oppure dall’innalzamento della soglia di stimolazione, cioè dell’energia necessaria alla corretta stimolazione del cuore (in questo caso si può assistere a tale tipologia di malfunzionamento del PM anche a distanza di anni dall’impianto per processi fibrotici coinvolgenti la punta dell’elettrocatetere o per lesioni dell’elettrocatetere stesso che ne alterano la funzionalità). Anche in questo caso, come nel precedente, quando un paziente portatore di PM accusa sintomi analoghi a quelli dei tempi precedenti l’impianto (in particolare nuovi episodi sincopali) prima di pensare ad indagini strumentali particolari, è necessario predisporre esami semplici, come una registrazione ECG prolungata (eventualmente con le manovre “provocative” descritte nel capitolo precedente) e/o un controllo del PM: è possibile in questo modo, fare diagnosi dell’eventuale innalzamento di soglia di stimolazione e, in qualche caso, correggere il problema, con una modifica della programmazione. Nell’immagine sottostante (Figura 3) è evidente come il PM (si tratta di un PM bicamerale) senta correttamente l’atrio (l’attività atriale spontanea è sempre seguita da uno “spike” ventricolare), ma non riesca a stimolare costantemente ed efficacemente il ventricolo (il 1°, 3°, 5°, 7° battito confermano una stimolazione adeguata, mentre nel 2°, 4°, 6°, 8° lo “spike” non è seguito da attività ventricolare evocata ed è quindi inefficace!). Figura 3 Un secondo esempio è raffigurato nella Figura 4: vediamo come un PM bicamerale stimoli correttamente l’atrio, ma non sia evidente alcuna attività ventricolare: potrebbe trattarsi della programmazione del PM (programmato in AAI oppure in modalità bicamerale “rispettosa” dell’attività cardiaca spontanea). Se troviamo un ECG con queste caratteristiche ed un intervallo A-V molto lungo, sospettiamo un “malfunzionamento” del PM, con un difetto di “pacing” ventricolare (infatti la programmazione “bipolare” del canale ventricolare rende lo “spike” non così ben visibile …). Figura 4 Al controllo del PM (Figura 5), si evidenzia proprio una programmazione della modalità di pacing ventricolare, “bipolare”, cioè con scarsa possibilità di vedere lo “spike” di stimolazione e si nota un chiaro difetto di pacing. Il deficit di pacing viene recuperato modificando la modalità di stimolazione da bipolare in unipolare (l’immagine sulla sinistra conferma come la stimolazione bipolare non sia efficace, mentre l’immagine sulla destra evidenzia la corretta stimolazione del ventricolo in modalità unipolare). Figura 5 Al controllo radiologico, è chiaramente visibile una frattura dell’elettrocatetere ventricolare, con soluzione di continuità in regione sub-claveare (nella Figura 6, il confronto tra l’immagine radiologica all’impianto sulla sinistra con quella successiva al riscontro del malfunzionamento sulla destra): nel dubbio di un malfunzionamento di un PM, una valutazione radiologica (anche semplicemente in Rx-scopia in sala di elettrostimolazione) è importante per valutare integrità e corretta posizione degli elettrocateteri! Figura 6 In casi come quello appena esposto la trasformazione della modalità di stimolazione da bipolare in unipolare consente in genere solo una soluzione temporanea del problema evitando in particolare bradicardie severe sintomatiche. In presenza di rottura dell’elettrocatetere è in genere necessario effettuare successivamente l’impianto di un nuovo elettrocatetere. Più arduo può essere riconoscere la perdita di cattura atriale: come già anticipato nella precedente rubrica mensile, la presenza di uno “spike” atriale sull’ECG di superficie, non coincide necessariamente con la cattura efficace dell’atrio: è necessario ricercarla … ed essendo l’attività atriale elettroindotta di piccole dimensioni, può non essere semplice riconoscerla … Nell’immagine ingrandita sottostante (Figura 7), vediamo come nel terzo battito evocato dal PM, allo “spike” atriale non corrisponde una deflessione corrispondente all’attivazione atriale; si tratta di una difetto di “pacing” atriale. Figura 7 3. Il PM può presentare una programmazione inadeguata al paziente In realtà una programmazione inadeguata al paziente, non rappresenta un reale malfunzionamento del PM, ma, dal punto di vista del paziente, è una situazione che determina disturbi, esattamente come se il PM funzionasse male! La programmazione del PM e la gestione del dispositivo e del paziente a cui viene impiantato, rappresentano le fasi più importanti e, spesso, delicate del processo d’impianto di un PM. Il PM è uno strumento che presenta svariate funzioni terapeutiche e diagnostiche e dev’essere adattato a ciascun singolo paziente: è necessaria la conoscenza clinica del paziente stesso per ottimizzare questa fase dell’impianto … Inoltre un paziente a cui è stato impiantato un PM, può subire dei cambiamenti nella sua patologia cardiaca: anche la programmazione del PM dovrebbe adattarsi ed evolvere di conseguenza. La situazione più frequente nella pratica clinica è costituita dall’insorgenza in molti pazienti a cui è stato impianto un PM bicamerale per disfunzione del nodo del seno o per blocchi A-V e presenza basale di ritmo sinusale, di fibrillazione atriale parossistica e/o persistente. Normalmente un PM bicamerale presenta la possibilità di essere programmato con un “range” di frequenza che va da un minimo (“lower rate”) ad un massimo (“upper rate”): in caso di tachiaritmie atriali (fibrillazione atriale innanzitutto, ma anche flutter atriale e tachicardia atriale ectopica) il dispositivo è dotato di automatismi (algoritmi) che consentono di riconoscere l’aritmia e di commutare la sua programmazione da bicamerale a monocamerale, evitando che lo stesso PM sia causa di cardiopalmo e di tachicardie, trascinando in ventricolo le tachiaritmie atriali alla frequenza cardiaca massima programmata, all’ “upper rate”. Può però succedere che la tachicardia resti al di sotto della soglia di commutazione oppure che non venga perfettamente riconosciuta da parte del PM con conseguente trascinamento a frequenze elevate. Il paziente arriverà alla nostra osservazione accusando tachicardia e cardiopalmo, talora associati a dispnea: anche in questo caso dobbiamo effettuare e richiedere esami semplici, come la traccia ECG e la verifica telemetrica del PM. Nella Figura 8 è descritto un esempio di fibrillazione atriale condotta ad elevata frequenza cardiaca,in un paziente con PM bicamerale: una modifica della programmazione a modalità di stimolazione VVI da DDD, risolve il problema in acuto. Figura 8 Una seconda frequente possibilità di programmazione non adeguata alla situazione clinica del paziente è la seguente: un paziente arriva, generalmente all’ambulatorio di controllo PM segnalando benessere a riposo, l’assenza di eventi sincopali da dopo aver impiantato il PM, ma astenia e dispnea da sforzo, durante l’attività. Al controllo il PM risulta ben funzionante, ma al controllo telemetrico della diagnostica, la FC risulta appiattita alla “lower rate” e la programmazione in modalità VVI o DDD. Se il PM lo consente, l’attivazione della modalità di funzionamento “rate-responsive” consente di modulare il PM sull’attività del paziente, accompagnando in modo più fisiologico i momenti di attività e di movimento. Figura 9A Nella Figura 9A, vediamo come il PM presenti una FC, sia l’attività atriale che naturalmente quella ventricolare, appiattita sulla minima frequenza programmata, 60 bpm. Il paziente riferisce di essere astenico durante l’attività. Figura 9B Nella Figura 9B, studiamo il grafico della FC dopo l’attivazione dell’algoritmo “rateresponsive”: le frequenze del paziente sono meglio distribuite anche a valori superiori della FC minima ed il paziente recupera la capacità di effettuare sforzi. 4.Il PM e le interferenze ambientali I PM di ultima generazione presentano elevati livelli di sofisticazione tecnologica e di sicurezza: peraltro i pazienti portatori di dispositivi devono osservare alcune attenzioni per evitare il rischio d’interferenze ambientali e di potenziali temporanei o protratti malfunzionamenti. Nell’ambiente domestico possono essere utilizzati tutti i più comuni elettrodomestici: è importante che l’impianto elettrico dell’abitazione venga controllato da un elettricista esperto per evitare scariche elettriche provocate da elettrodomestici o accessori vari non adeguatamente collegati a terra. È importante evitare l’uso di coperte elettriche mentre sono accese e con presa di corrente inserita. Al supermercato o in banca, all’ingresso o all’uscita sono presenti sistemi di sicurezza costituiti da barriere laterali che devono essere attraversate: è sufficiente che i pazienti portatori di PM non sostino all’interno di esse. In alcune banche si entra attraversando una barriera magnetica: è necessario in questi casi esibire la tessera d’identificazione del PM al personale addetto, che provvederà a disinserire il sistema magnetico o consentirà l’accesso da un’entrata secondaria. Negli aereoporti, in caso di viaggio, valgono le stesse attenzioni utilizzate per le banche. Negli ambienti di lavoro i pazienti portatori di PM devono evitare di avvicinarsi a generatori di corrente, grossi magneti, antenne di trasmettitori, radio amatoriali CB, di riparare apparecchi o dispositivi elettrici sotto tensione e di toccare i cavi del motore dell’auto a motore acceso. È sconsigliabile utilizzare i piccoli motori a scoppio a due tempi dei tosaerba e dei decespugliatori: in alternativa è preferibile l’utilizzo di strumenti con motore elettrico. È da evitare l’utilizzo del trapano e della maggior parte degli utensili elettrici che funzionano con motori che provocano scintille durante la loro attività: possono creare problemi al PM. Si raccomanda infine di mantenere qualche metro di distanza (almeno 1 metro!) da grossi altoparlanti usati nelle fiere, da linee di potenza ad alta tensione, stazioni radar, saldatrici ad arco o a resistenza. Anche in ambiente sanitario è importante osservare alcune attenzioni, innanzitutto informando i sanitari che si è portatori di dispositivo. Esistono infatti controindicazioni assolute o relative, o la necessità di programmazioni adeguate del PM in caso di: esecuzione di RMN (ne parleremo approfonditamente nel successivo paragrafo), esecuzione di PET, utilizzo di elettrocauterio in corso d’interventi chirurgici (dev’essere utilizzato in modalità bipolare ed il dispositivo dev’essere programmato in asincrono, cioè reso “sordo” mediante l’utilizzo di un magnete, come già descritto nel numero di maggio), esecuzione di radioterapia in vicinanza alla cassa del PM (entro 10-15 cm è sconsigliabile), esecuzione di litotripsia, cardioversione elettrica (può essere effettuata ma utilizzando le piastre poste sul torace in posizione antero-posteriore e non in latero-laterale), esecuzione di elettroagopuntura, esecuzione di magnetoterapia. Non sussistono invece controindicazioni ad indagini radiologiche (RX e TAC) e ad indagini che utilizzano ultrasuoni (ECO). Di seguito 2 esempi (Figure 10 e 11) d’interferenza in ambito sanitario, il primo da TENS. Figura 10 Il secondo è un esempio d’interferenza da RMN Figura 11 5. Il PM e la RMN Un recente documento dell’Istituto Superiore di Sanità(rapporti ISTISAN 15/9 maggio 2015) conferma un’indicazione sempre più ampia della RMN in pazienti portatori di stimolatori cardiaci impiantabili: si arriva al 40% in Europa ed al 50-75% negli USA. Da alcuni anni sono disponibili sul mercato e progressivamente sempre più impiantati nei pazienti, PM cosiddetti “MRI conditional”, cioè compatibili con l’utilizzo della risonanza magnetica in determinate condizioni di utilizzo. In realtà è il sistema, l’intero impianto che dev’essere “MRI conditional”, non il solo PM: è infatti la combinazione di generatore e di elettrocateteri del medesimo fabbricante etichettati come “MRI conditional”, che consente l’esecuzione della risonanza magnetica.L’impianto di un dispositivo compatibile con la risonanza e di elettrocateteri non compatibili, oppure compatibili ma di una ditta produttrice differente, esclude la possibilità di effettuare l’esame, o meglio, determina un utilizzo “off label” del sistema, con potenziali rischi per il paziente (e di assunzione di responsabilità da parte del medico …). Il distretto in cui effettuare la risonanza è un’altra variabile importante che dev’essere conosciuta prima di dare il benestare all’esame: esistono sistemi “MRI conditional” che consentono indagini “total body” e sistemi (generalmente la prima generazione) che escludono la zona toracica; inoltre la sede dell’impianto è rilevante: gli impianti in regione pettorale (la maggior parte) consentono l’effettuazione dell’indagine, mentre la regione addominale (meno frequentemente utilizzata, di solito nei bambini e nelle cardiopatie congenite) generalmente esclude la RMN. I fabbricanti indicano comunque le regioni d’impianto ammesse in base ai risultati delle loro prove e valutazioni. In caso di nuovo impianto, è necessario che stimolatore e cateteri abbiano raggiunto una buona stabilità ed un buon fissaggio nel viscere cardiaco per limitare le interferenze causate dall’indagine (si parla di alcune settimane, probabilmente è prudente che trascorrano 4-6 settimane dall’impianto prima di eseguire un RMN!). Inoltre il dispositivo dev’essere programmato adeguatamente subito prima dell’esecuzione della risonanza magnetica e controllato e riprogrammato subito dopo. Questa serie di verifiche tocca ad un cardiologo con competenza di elettrostimolazione ed ai suoi collaboratori (infermieri o tecnici). A queste mansioni destinate prettamente al cardiologo impiantatore, si affiancano quelle del medico radiologo che deve eseguire in prima persona l’esame: tipologia dello “scanner” di RMN utilizzato (la certificazione “MRI conditional” viene rilasciata dal fabbricante di PM per specifiche configurazioni e tipologie di “scanner” e di bobine), l’intensità del campo magnetico generato (generalmente si “accettano” valori specifici fino a 1,5 Tesla, anche se molti dispositivi di ultima generazione “tollerano” energie fino a 3 Tesla!), la durata dell’esame ed i distretti anatomici da analizzare. L’argomento è complesso ed ancora in evoluzione: è importante condividere che se un nostro paziente ha la necessità di eseguire una RMN con importanti motivazioni cliniche, la presenza di un dispositivo impiantato non rappresenta più una controindicazione assoluta, ma che con sistemi dedicati, in strutture organizzate e con protocolli condivisi cardio-radiologici, l’esame può essere effettuato in sicurezza. Bibliografia - L. Gabrielli, Elettrostimolazione cardiaca, alla scoperta dei difetti di funzionamento dei Pacemakers. Edizioni Grafiche Manfredi - L. Adinolfi et al. CardiologyScience, l’elettrocardiogramma nel paziente anziano portatore di pacemaker - Opuscolo informativo per il paziente portatore di PM, ULSS 21 Legnago - Dispositivi cardiaci impiantabili attivi e risonanza magnetica: aspetti tecnologici, inquadramento normativo e modelli organizzativi - RAPPORTI ISTISAN 15/9. Istituto Superiore di Sanità.