Adolescente tenuto in vita da una «pompa artificiale» per venti giorni

Edizione: 26/11/2007 testata: Giornale di Brescia sezione:MEDICINA E SALUTE
Adolescente tenuto in vita da una «pompa
artificiale» per venti giorni
Chirurghi al lavoro in sala operatoria
Lo scorso mese un ragazzo di 17 anni, affetto da una cardiomiopatia dilatativa in fase
terminale, giungeva al Pronto Soccorso della Fondazione Poliambulanza in grave shock
cardiogeno da arresto cardiaco. Il paziente veniva prontamente rianimato, ma la ripresa
dell’attività cardiaca era appena sufficiente a mantenere in vita il ragazzo. Venivano, pertanto,
contattati i cardiochirurghi.
Data l’estrema gravità del quadro clinico, abbiamo deciso di portare immediatamente il
paziente in sala operatoria con l’idea di applicare un supporto meccanico al circolo. In meno
di mezz’ora si riusciva ad applicare al paziente un’assistenza meccanica del ventricolo
sinistro mediante una pompa artificiale a flusso continuo. È questo un sistema di assistenza
che può essere utilizzato nei casi in cui si desidera un recupero della funzione cardiaca
momentaneamente compromessa, come può accadere dopo interventi cardiochirurgici o in
caso di infarti miocardici estesi. In questo caso si è trattato, invece, di un così detto «bridge al
trapianto», poiché il cuore del ragazzo non aveva alcuna possibilità di recupero. Per questo
motivo, dopo due giorni, vista l’assoluta assenza di un minimo recupero della funzione
cardiaca, il paziente veniva inserito in lista per trapianto cardiaco agli Ospedali Riuniti di
Bergamo.
La condizione di dipendenza totale da una «macchina» faceva sì che il paziente fosse
considerato, nella lista d’attesa, come un’emergenza su tutto il territorio nazionale.
Pensavamo e speravamo, pertanto, che nell’arco di pochi giorni si rendesse disponibile un
donatore idoneo, anche perché l’esperienza con questi sistemi di assistenza dimostra che,
dopo i primi 5-7 giorni, le possibilità di successo si riducono drasticamente per la possibile
insorgenza di complicanze irreversibili. Purtroppo, per la mancata segnalazione di donatori
idonei, il paziente è rimasto collegato alla «pompa artificiale» per 20 giorni nella Terapia
intensiva cardiochirurgica, dove la dott. Elena Conti e i suoi collaboratori hanno dovuto far
fronte ad una serie di complicanze, soprattutto di tipo emo-coagulativo, per mantenere in vita
il ragazzo. Finalmente, dopo 20 giorni, la segnalazione di un donatore idoneo e, quindi, il
trapianto cardiaco a Bergamo, riuscito perfettamente.
È stata dura, ma entusiasmante. Un’esperienza che mi ha riportato indietro di qualche anno,
quando a Bergamo mi occupavo di trapianti cardiaci ed assistenza ventricolare meccanica.
Sapevo bene che cosa significa affrontare questi casi con estrema rapidità di pensiero ed
azione, poi mantenere in vita un paziente in cui la funzione cardiaca è completamente
vicariata da una pompa meccanica. È qualcosa di complesso, che richiede un impegno e
competenze non comuni a tutti i centri di cardiochirurgia. In particolare, quando si arriva ad
assistenze ventricolari con durate di questo tipo (cioè 20 giorni), tutto diventa più complesso
e delicato.
Ho sempre pensato che un centro di cardiochirurgia di alto livello, che si occupi di tutto ciò
che riguarda la materia, quindi anche di casi complessi come questo, possa esistere solo
nell’ambito di un Ospedale di alto livello.
Proprio nel momento in cui la Fondazione Poliambulanza compie 10 anni di vita, quanto
accaduto in questa vicenda rappresenta la dimostrazione dell’elevato livello qualitativo
raggiunto dopo anni di continui progressi scientifici ed organizzativi e che colloca il nostro
ospedale tra gli ospedali di altà specialità. I risultati si raggiungono solo se esistono
collaborazione e sinergia con i colleghi della Cardiologia. In particolare, l’interesse è rivolto
alla cura dei pazienti affetti da scompenso cardiaco dove, più che in ogni altra patologia
cardiaca, è fondamentale un approccio multidisciplinare, nel tentativo di trovare
collegialmente, per ogni singolo caso clinico, le soluzioni mediche e/o chirurgiche più
all’avanguardia. La vicenda in questione ne è la dimostrazione più chiara, visto che
l’assistenza ventricolare meccanica è uno dei punti fondamentali nel trattamento dello
scompenso refrattario. In quest’ambito è ormai avviata, da oltre un anno, l’attività
dell’UNISCO (Unità Scompenso) della nostra Fondazione. Da questa esperienza, anche se il
caso ha avuto una soluzione positiva, emerge però in maniera chiara quanto ho sempre
sostenuto, e cioè che il trapianto cardiaco, per la sempre più nota carenza di donatori, e per i
criteri restrittivi dell’inserimento in lista d’attesa (come ad esempio l’età superiore ai 65 anni),
non può essere considerato il trattamento terapeutico ideale.
A fronte di pochi casi che riescono a beneficiare di questa terapia, ve ne sono tanti (la
maggioranza) per i quali non è possibile fare il trapianto. È per questo che bisogna pensare
ad altre tecniche chirurgiche convenzionali, magari di sofisticata ricostruzione del ventricolo,
ed è in questa direzione che ci stiamo concretamente muovendo.
Giovanni Troise
responsabile Cardiochirurgia
Fondazione Poliambulanza
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