Osservatorio Recenti Prog Med 010; 101: -1 Beta-bloccanti e sistema cardiovascolare: attuali acquisizioni e controversie Roberto Spoladore, Gabriele Fragasso, Claudia Montanaro, Francesco Maranta, Camilla Torlasco, Stefano Gerosa, Alberto Margonato Riassunto. Vengono sintetizzate le più recenti acquisizioni e controversie sull’uso dei beta-bloccanti in ambito cardiovascolare. I beta-bloccanti sono inibitori competitivi delle catecolamine e esplicano la loro azione attraverso il blocco dei recettori alfa e beta adrenergici. I vari beta-bloccanti hanno maggiore o minore selettività per i recettori alfa, beta e i loro sottotipi (beta 1, beta , beta3), con andamento dose-dipendente. La maggior parte degli effetti terapeutici dei beta-bloccanti si estrinseca a livello cardiovascolare, dove agiscono come cronotropi e inotropi negativi, cioè tendono a ridurre il lavoro cardiaco migliorando il rapporto tra domanda e apporto di ossigeno. Le indicazioni cliniche sono molteplici. Per le loro proprietà anti-ischemiche i beta-bloccanti trovano impiego come farmaci antianginosi e nel trattamento dell’infarto acuto e del post-infarto, dove riducono la mortalità totale e cardiovascolare. Nell’insufficienza cardiaca sono indicati in associazione agli ACE inibitori al fine di ridurre la mortalità e la progressione dello scompenso. Grazie alla riduzione della frequenza e dell’automaticità del nodo del seno e alla depressione della conduzione atrioventricolare, i beta-bloccanti sono efficaci nel trattamento e nella prevenzione delle recidive di tachicardie atriali focali e tachicardie parossistiche sopraventricolari; sono inoltre efficaci nella prevenzione della morte cardiaca improvvisa e nel controllo di tachicardie ventricolari associate ad attivazione simpatica. Non c’è ad oggi indicazione all’utilizzo dei betabloccanti come prima scelta nell’ipertensione arteriosa primaria. Attualmente è aperto il dibattito sulle diverse modificazioni metaboliche indotte dai beta-bloccanti selettivi o non selettivi. In conclusione, i beta-bloccanti presentano chiara indicazione al trattamento di molteplici patologie cardiache. Ulteriori studi sono necessari per approfondire la conoscenza degli effetti cardiaci e periferici dei vari beta-bloccanti in relazione alla loro selettività. Summary. Present trends and controversies in the use of beta-blockers in cardiovascular diseases. In this paper we summarize present trends and controversies in the use of beta-blockers in cardiovascular diseases. Beta-blockers are catecolamine competitive inhibitors and act through alpha and beta adrenergic receptors blockade. Different agents have a dose-dependent affinity for different beta adrenergic receptors (beta 1, beta , beta 3) which is less with higher doses. The most important therapeutic effects of beta-blockers are on cardiovascular system, where they act as negative chronotropic and inotropic agents, lowering cardiac work and improving oxygen demand /supply ratio. Clinical indications are numerous. For their anti-ischemic activity beta-blockers are used as anti-anginal drugs and in acute and previous myocardial infarction for preventing total and cardiovascular mortality. Combined use of beta-blockers and ACE inhibitors slows down heart failure progression and reduces cardiovascular mortality. Beta-blockers are useful in treating focal atrial tachycardia and supra ventricular paroxysmal tachycardia, by reducing sinus node automaticity and delay atrio-ventricular conduction; they also prevent sudden cardiac death and ventricular tachycardia associated with increased sympathetic activity. There is no indication in treating primary non-complicated hypertension with beta-blockers as first-line drugs. Different metabolic effects of selective and non-selective beta-blockers are actually debated. In conclusion, betablockers have indication in the treatment of many cardiovascular diseases. Further studies are needed for better understanding the differences in cardiac and peripheral betablockers effects depending on their selectivity. Parole chiave. Aritmie cardiache, beta-bloccanti, cardiopatia ischemica, insufficienza cardiaca, insulino-resistenza, ipertensione arteriosa, mortaltà cardiovascolare, tachicardia atriale, tachicardia ventricolare Key words. Atrial tachycardia, beta-blockers, cardiovascular mortality, heart failure, hypertension, insulin resistance syndrome, myocardial infarction, ventricular tachycardia. Introduzione Gli effetti che ne derivano sono recettore- e tessuto-specifici. I farmaci che bloccano i recettori beta-adrenergici sono inibitori competitivi delle catecolamine. Basandosi sull’osservazione delle differenti risposte fisiologiche, Ahlquist1 più di 50 anni fa intuì e dimostrò che i beta-agonisti interagivano con due differenti tipi di recettori: gli alfa-adrenergici ed i betaadrenergici. Tra i vari neurotrasmettitori circolanti, le catecolamine, che sono sia neurotrasmettitori del sistema nervoso simpatico sia ormoni circolanti, mediano numerose risposte fisiologiche e metaboliche. Questi effetti risultano dall’interazione delle catecolamine con i recettori adrenergici localizzati in una grande varietà di tessuti. Unità Insufficienza Cardiaca, Dipartimento di Scienze cardiovascolari, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano. Pervenuto il 13 gennaio 2010. 30 Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010 Gli studi successivi evidenziarono che entrambi i recettori esistevano come sottotipi (beta 1, beta2, alfa1, alfa2) in base al tipo di agonismo preferenziale, all’effetto e alla localizzazione a livello tessutale. I recettori β-1 sono localizzati nel tessuto cardiaco. I β-2 sono presenti prevalentemente a livello delle cellule muscolari lisce dei vasi periferici (dove svolgono il ruolo di vasodilatatori) e dei bronchi, ma anche in altri tipi di tessuti come quello cardiaco. Complessivamente, la stimolazione di entrambi i recettori porta ad un incremento della contrattilità cardiaca. I recettori β-1 sono prevalentemente localizzati a livello della giunzione sinaptica, mentre i recettori β-2 sono presenti anche a livello presinaptico, dove facilitano il rilascio di noradrenalina. I β-1 sono stimolati per lo più dal neurotrasmettitore noradrenalina, per il quale possiedono un’elevata affinità, mentre i recettori β-2 sono principalmente attivati dall’adrenalina libera in circolo, che comunque mantiene un’affinità equivalente per entrambi i recettori. La stimolazione dei recettori alfa-1 e alfa-2 determna vasocostrizione. In modo simile ai recettori β, i recettori alfa-1 sono principalmente localizzati in prossimità della regione sinaptica e rispondono alle catecolamine rilasciate dai terminali nervosi; i recettori alfa-2 sono maggiormente concentrati nelle regioni al di fuori dei terminali nervosi e pertanto rispondono maggiormente alle catecolamine in circolo. I recettori alfa-2 che sono localizzati a livello presinaptico, inibiscono il rilascio di noradrenalina. I recettori alfa-adrenergici sono poco rappresentati nel cuore umano e mediano un aumento di contrattilità solo marginale. Seguendo le osservazioni di Ahlquist1, alla fine degli anni ’50 furono avviati programmi farmacologici per sviluppare agenti β-bloccanti. Il primo farmaco sintetizzato fu il propranololo (un farmaco non selettivo con affinità per i recettori sia β-1 che β-2)2 , introdotto nella pratica clinica nel 1968 come farmaco anti-ischemico. Negli anni ’70, basandosi sul concetto che la mancanza di blocco dei recettori β-2 avrebbe ridotto alcuni degli effetti collaterali periferici e polmonari dei farmaci non selettivi, furono sviluppati i β-bloccanti di seconda generazione che selettivamente antagonizzano i recettori β-1 rispetto ai β-2 (farmaci cardioselettivi). Il primo farmaco β-bloccante selettivo fu il practololo. Successivamente, negli anni ’70 ed ’80, lo sviluppo dei farmaci condusse alla creazione di β-bloccanti con proprietà vasodilatatorie, allo scopo di trattare principalmente l’ipertensione arteriosa. Il labetalolo con proprietà alfa-bloccanti fu il primo di questi agenti di terza generazione3. Esistono similitudini strutturali tra i β-agonisti ed antagonisti. Le 7 regioni “membrane-spanning” del recettore β-adrenergico formano una struttura cilindrica e sia gli agonisti che gli antagonisti si legano con il cilindro ed uniscono 2 o più regioni “membrane-spanning”. Gli antagonisti competitivi impediscono il legame dell’agonista con il sito di legame, prevenendo l’attivazione del recettore. Alcuni β-bloccanti, dopo aver occupato il sito di legame, causano un’attivazione parziale del recettore, una proprietà conosciuta come attività simpatica intrinseca (ASI). Al contrario, dal momento che i recettori βadrenergici possono avere un’attività intrinseca in assenza del legame con l’agonista, alcuni β-bloccanti possono inattivare i recettori in stato attivo, pur in assenza del legame con l’agonista. Questo fenomeno è conosciuto come agonismo inverso. Gli agenti β-bloccanti con effetto agonista inverso posso indurre gradi minori di bradicardia4. La maggior parte degli importanti effetti terapeutici dei β-bloccanti si estrinseca in ambito cardiovascolare. Dal momento che le catecolamine mediano azioni cronotrope ed inotrope positive, i β-bloccanti riducono la frequenza cardiaca e diminuiscono la contrattilità miocardica: tendono a ridurre il lavoro cardiaco. Gli antagonisti β-adrenergici tendono a aumentare il consumo miocardico di ossigeno poiché determinano un aumento della pressione di fine-diastole e del volume ma, dal momento che riducono anche gli effetti delle catecolamine a livello dei tessuti che consumano ossigeno, l’effetto netto finale è quello di migliorare il rapporto tra domanda e apporto di ossigeno. La somministrazione di farmaci β-bloccanti a breve termine riduce l’output cardiaco, il flusso ematico verso organi periferici risulta ridotto, la perfusione renale e la filtrazione glomerulare possono risultare ridotte in maniera moderata (effetto generalmente trascurabile nei pazienti senza insufficienza renale). Con il blocco non selettivo, le resistenze periferiche aumentano secondariamente all’inattivazione dei recettori vascolari β-2, ma con l’uso prolungato dei β-bloccanti le resistenze periferiche totali tornano infine ai valori di partenza5. Gli antagonisti β-adrenergici riducono la frequenza sinusale, in maniera evidente durante l’esercizio fisico quando vi è dominanza del sistema simpatico. A livello molecolare, riducono la frequenza delle depolarizzazioni spontanee da parte dei pacemaker ectopici, rallentano la conduzione negli atri e nel nodo atrio-ventricolare, aumentando il periodo refrattario del nodo atrio-ventricolare. Sebbene si pensi che tutti questi effetti siano mediati dal solo blocco dei recettori β-1, anche i recettori β2 possono essere coinvolti nel regolare la frequenza cardiaca nell’uomo6. Importante è il ruolo della renina, il cui rilascio, determinato dall’apparato juxta-glomerulare, è favorito dalla stimolazione simpatica. Pertanto, i β-bloccanti riducono anche la conversione della pro-renina in renina7, portando ad un’inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, importante meccanismo patofisiologico di rimodellamento cardiaco. Rilevante differenza tra i farmaci β-bloccanti è la loro selettività verso i due sottotipi di recettore β e sulla capacità di blocco dei recettori alfa. I β-bloccanti sono generalmente classificati come selettivi (predominanza di blocco dei recettori β-1) e non selettivi (blocco simile dei recettori β-1 e β-2); tuttavia la selettività non è assoluta ma relativa e quindi dose-dipendente8. Sia i farmaci selettivi sia quelli non selettivi hanno effetti cronotropi ed inotropi negativi. Siccome i farmaci selettivi inibiscono in misura minore i recettori β-2 (responsabili della vasodilatazione periferica), essi causano meno frequentemente vasocostrizione periferica. Per tale motivo la tolleranza all’esercizio può essere meno compromessa con i farmaci β-1 selettivi, perché il blocco dei recettori β-2 può ridurre l’apporto di sangue ai muscoli scheletrici durante il lavoro intenso. I bloccanti selettivi, inoltre, determinano broncocostrizione in misura minore dei farmaci non selettivi9. Impiego dei beta-bloccanti nella cardiopatia ischemica Molti trial clinici hanno dimostrato che i β-bloccanti possono essere classificati come farmaci antianginosi perché riducono il numero di attacchi anginosi e aumentano la tolleranza all’esercizio fisico, riducendo l’uso di nitroglicerina. R. Spoladore et al.: Beta-bloccanti e sistema cardiovascolare: attuali acquisizioni e controversie Al momento della rassegna di Freemantle11, soI meccanismi anti-ischemici dei β-bloccanti sono multipli e includono la riduzione della frelo un piccolo trial coinvolgente il carvedilolo era quenza cardiaca, l’inotropismo e la velocità masstato preso in considerazione. Nello studio di Basima di accorciamento della fibra muscolare carsu et al.28 la somministrazione acuta endovena di diaca: tutto questo riduce la richiesta di ossigeno. carvedilolo in pazienti con infarto miocardico acuGli effetti dei β-bloccanti sulla riduzione della to aveva mostrato una diminuzione significativa mortalità totale e cardiovascolare (sia improvvisa di mortalità, re-infarti, angina e scompenso. Sucche non) come dell’infarto acuto non fatale, è ben cessivamente, sono stati condotti numerosi altri nota e documentata in diversi trial10, sebbene i trial che avevano come oggetto l’approfondimento meccanismi molecolari coinvolti non siano comdelle conoscenze, degli effetti e delle proprietà del pletamente noti. carvedilolo. Ci sono dati molto convincenti sulla Circa 100 diversi studi hanno valutato l’effetto diminuzione della mortalità a seguito dell’uso di dei β-bloccanti nel post-infarto: incredibilmente tre β-bloccanti non selettivi (timololo, propranolo non esistono studi che comparino i diversi farmaci e carvedilolo) ed uno selettivo (metoprololo) nel β-bloccanti in questa specifica popolazione. Tuttapost-infarto. Non è chiaro se il beneficio sulla morvia, tali dati sono desumibili da studi di metanalitalità sia dose-dipendente o se comunque sia risi. In una metanalisi di regressione pubblicata nel chiesto il raggiungimento di una dose minima. At1999, Freemantle et al.11 hanno identificato 31 tualmente, nella clinica si punta alla somministrazione della dose target, determinata in base a trial (complessivamente 25.000 pazienti) che stuquella utilizzata nei trial e con la quale si è dimodiavano a lungo-termine (un periodo ≥ 6 mesi) il strato l’effetto benefico sulla mortalità. Nella fattrattamento con β-bloccanti dopo infarto acuto del tispecie, la dose-target per il propranolo12 è di 180miocardio. Il complessivo odds ratio per la mortalità, derivato da tutti gli studi, era 0,7 (0,5-0,9). I 240 mg/die, per il metoprololo23 è 200 mg die, per quattro studi maggiori che hanno preso in esame il timololo15 è 20 mg die e per il carvedilolo29 è 50 gli effetti dei β-bloccanti sono stati: il Beta Blocker mg die. Heart Attack Trial (BHAT)12 (che valutava le proprietà del propranololo); il Multicenter International Trial13 (che prendeva in esame il practololo); il Impiego dei beta-bloccanti nell’insufficienza cardiaca Lopressor Intervention Trial Research Group14 (che valutava gli effetti del metoprololo); il Norwegian Multicenter Study (che considerava l’azione Nella figura 1 si può osservare uno schema redel timololo)15. Sia il BHAT che il Norwegian Mullativo ai principali effetti fisiopatologici dell’attiticenter Trial hanno mostrato un beneficio stativazione adrenergica conseguente alla disfunzione sticamente significativo sulla mortalità, beneficio ventricolare, mentre nella figura 2 (a pagina seche veniva confermato da una valutazione specifiguente) uno schema relativo ai principali meccaca effettuata su altri trial. In aggiunta al BHAT, il nismi d’azione dei differenti tipi di beta bloccante. propranololo è stato studiato in altri 6 piccoli trial16-21. Nel BHAT l’odds ratio relativo alla sopravvivenza era 0,72 (0,56-0,91). Il timololo, studiato nel Norwegian Multicenter Trial15 e in un altro piccolo studio22 mostrava un odds ratio relativo alla sopravvivenza di 0,59 (0,460,77). Sia il propranololo sia il timololo sono β-bloccanti non selettivi, privi di effetto ASI. Il metoprololo (agente selettivo, senza proprietà ASI) è stato valutato nel Lopressor Intervention Trial (LIT)14, in un altro grande studio23 e in altri 4 studi minori24-27. Lo studio LIT non ha raggiunto una potenza Figura 1. Schema riassuntivo delle principali modificazioni neurormonali adrenergiche seguenti alstatistica significativa, menla disfunzione ventricolare. Si sottolinea l’iniziale effetto positivo compensatorio e, al contrario, gli tre lo studio di Hjalmarson23 effetti dannosi dell’iperattività adrenergica cronica: molteplici, dunque, sono anche i meccanismi ha evidenziato una riduzione d’azione del β-bloccante. ADH: ormone anti-diuretico; SRA: sistema renina-angiotensina-aldosterone; PA: pressione arteriodel 36% della mortalità nei sa; FC: frequenza cardiaca; AG: acidi grassi; SCC: scompenso cardiaco cronico. pazienti trattati con metoprololo (p<0,03). 31 3 Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010 diuretici ed ACE-inibitori, hanno ricevuto, con assegnazione randomizzata, bisoprololo o placebo per un periodo di follow-up di 1,3 anni. Lo studio è stato interrotto precocemente perché il bisoprololo ha evidenziato un significativo beneficio sulla mortalità (11,8% vs 17,3%). Si è registrato un minor numero di morti cardiache improvvise nei pazienti trattati con bisoprololo rispetto a quelli in placebo (3,5% vs 6,3%). L’efficacia del trattamento risultava indipendente dalla causa o dalla severità dello scompenso cardiaco. Figura . Schema illustrativo dei diversi livelli d’azione dei farmaci β-bloccanti, secondo la differente selettività recettoriale. Nella fase di titolazione iniziale si può avere un peggioramento dello scomOltre a questo, l’efficacia penso per interferenza con i meccanismi compensatori β-dipendenti. del bisoprololo è stata ulteriormente verificata nello studio CIBIS III51. Esso è stato il primo ad indagare Nei pazienti con insufficienza cardiaca il betal’opportunità di iniziare il trattamento per l’insuffiblocco del sistema nervoso simpatico a lungo tercienza cardiaca con beta-bloccante oppure con ACEmine è raccomandato in aggiunta all’impiego di inibitore. Nello studio CIBIS III è stata confrontata, ACE-inibitore al fine di ridurre la mortalità30,31. per i primi sei mesi di trattamento, la monoterapia Oltre a ciò, i beta-bloccanti sono anche indicati in con bisoprololo rispetto al trattamento con solo enapazienti con scompenso cardiaco cronico e conserlapril. Successivamente, dal sesto mese fino al venvata funzione sistolica globale del ventricolo sinitiquattresimo, è stata studiata l’associazione dei stro31. L’evidenza del beneficio clinico dei beta-blocdue composti. Le due strategie si sono dimostrate canti in pazienti con scompenso cardiaco cronico ugualmente efficaci sull’end-point primario, combicon disfunzione del ventricolo sinistro è stata dinato con la mortalità e il numero di ospedalizzaziomostrata con numerosi piccoli studi, oltre che con ni (per tutte le cause). Il braccio trattato con solo bistudi prospettici randomizzati comprendenti un soprololo, però, ha mostrato una riduzione della campione superiore a 15.000 pazienti32-47. mortalità del 28% alla fine della fase in monoteraGli studi di mortalità con carvedilolo38-41,46-48, bipia, ed una riduzione del 31% della mortalità alla soprololo43 e metoprololo35,36,44,45 hanno mostrato, fine del primo anno (p=0,06). I risultati del CIBIS III supportano la strategia che propone la possibilia lungo termine, una riduzione della mortalità getà reale di iniziare la terapia dello scompenso carnerale, mortalità cardiovascolare e morte improvdiaco con beta bloccante, nello specifico il bisoprolovisa, ed una riduzione della progressione dello lo, piuttosto che con l’ACE-inibitore. scompenso cardiaco in pazienti in classe funzionaNello studio Metoprolol Randomised Intervenle NYHA II-IV. In questi studi, la terapia beta-bloction Trial (MERIT-HF)44, pazienti con scompenso cante ha anche ridotto il numero delle ospedalizcardiaco cronico in classe funzionale NYHA II-IV, zazioni (secondarie a cause cardiovascolari e scompenso cardiaco), ha migliorato la classe funzionale con frazione di eiezione inferiore o uguale a 40% e in terapia cronica stabile, sono stati randomizzati NYHA e ha portato ad una minor progressione dell’insufficienza cardiaca rispetto al placebo. Questo a metoprololo CR/XL o placebo. Anche questo studio è stato interrotto precocemente: la mortalità effetto benefico è stato costantemente osservato in sottogruppi di differente età, genere, classe funper tutte le cause era significativamente inferiore nel gruppo trattato con metoprololo (7,2% vs zionale, eziologia dello scompenso, con diabete e 11,0%). Si è verificata, inoltre, una riduzione del non. In piccoli studi controllati, il beta-bloccante 41% della morte cardiaca improvvisa e del 49% ha migliorato la funzione ventricolare37,49. È stato delle morti dovute a riacutizzazioni o peggioraosservato che la tolleranza all’esercizio può mimento dello scompenso cardiaco. gliorare36, come anche i sintomi e la qualità di vita50. La tabella 1 (alla pagina seguente) riporta i Nello studio Carvedilol Prospective Randomised Cumulative Survival (COPERNICUS)46, paprincipali studi con beta-bloccanti nell’insufficienza cardiaca. Nello studio Cardiac Insufficiency Bizienti con sintomi di scompenso a riposo o dopo minimi sforzi, e con frazione di eiezione inferiore a soprolol Study II (CIBIS-II)43, pazienti sintomatici 25% sono stati randomizzati a placebo oppure a in classe NYHA III-IV, con frazione d’eiezione micarvedilolo per un periodo medio di 10,4 mesi. nore o uguale a 35%, e già in terapia cronica con R. Spoladore et al.: Beta-bloccanti e sistema cardiovascolare: attuali acquisizioni e controversie Tabella 1. Principali studi sull’effetto dei β-bloccanti nello scompenso cardiaco. Sigla e principale obiettivo dello studio Caratteristiche dei pazienti Pazienti arruolati Durata media del follow-up Risultato principale CIBIS-II: effetto del bisoprololo NYHA III-IV, FE ≤35%, trattati nello SCC con diuretici e ACE-inibitore 67 1,3 anni Mortalità per tutte le cause: bisoprololo 11,8% vs 17,3% placebo (p<0,0001) CIBIS-III: effetto nello SCC della terapia con bisoprololo iniziale seguito da enalapril comparato alla sequenza opposta NYHA II-III, FE ≤35%, non trattati con ACE-inibitore e β-bloccante 1010 1, anni Le strategie sono simili per l’end-point combinato di morte e ospedalizzazione per tutte le cause MERIT-HF: effetto del metoprololo CR/XL nello SCC NYHA II-IV, FE ≤0%, trattati con diuretici e ACE-inibitore 31 1 anno Mortalità per tutte le cause: metoprololo 7,% vs 11%, placebo (p=0,006) CoPERNICUS: effetto del carvedilolo nelllo SCC severo NYA IV, FE ≤5%, trattati con diuretici e ACE-inibitore 8 0,87 anni Rischio di morte diminuito del 35% con carvedilolo (p=0,001) CAPRICoRN: effetto del carvedilolo dopo infarto miocardico acuto con disfunzione VS Infarto miocardico nei 3-1 giorni precedenti, FE ≤0%, appropriatamente trattati con ACE-inibitore 15 1,3 anni Mortalità per tutte le cause: carvedilolo 1% vs 15% placebo (p=0,031) BEST: effetto del bucindololo nello SCC NYHA III-IV, FE ≤35%, trattati con diuretici e ACE-inibitore 708 anni Non significativo beneficio di sopravvivenza con bucindololo (p=0,13) CoMET: comparazione di carvedilolo e metoprololo nell SCC NYHA II-IV, FE ≤35%, trattati con diuretici e ACE-inibitore 1511 ,8 anni Mortalità per tutte le cause: carvedilolo 3% vs metoprololo 0% (p=0,0017) SENIoRS: effetto del nobivololo nello SCC Età ≥70, FE ≤35% o una documentata ospedalizzazione per scompenso cardiaco 18 1,75 anni Morte o ospedalizzazione cardiovascolare: nebivololo 31,1% vs 35,3% placebo (p=0,03) Legenda: SCC: scompenso cardiaco cronico; NYHA: classi funzionali della New York Heart Association; FE: frazione di eiezione; ACE: enzima di conversione dell’angiotensina; VS: ventricolo sinistro. Metroprololo CR/XL: rilascio controllato/rilascio prolungato. Lo studio è di nuovo terminato prematuramente dopo aver osservato una significativa riduzione della mortalità nel gruppo trattato con carvedilolo: il rischio cumulativo di morte ad un anno era del 18,5% nel gruppo placebo e del 11,4% nel gruppo carvedilolo. Come negli studi precedenti, si è verificata una riduzione delle ospedalizzazioni e della morte cardiaca improvvisa. Nello studio Carvedilol Post-Infarct Survival Control in Left Ventricular Dysfunction (CAPRICORN)48, pazienti con funzione sistolica globale inferiore al 40%, immediatamente dopo infarto miocardico acuto, sono stati randomizzati a carvedilolo o placebo. Dopo un follow-up a 1,3 anni, la mortalità (per tutte le cause) risultava inferiore nel gruppo trattato con beta-bloccante (12% vs 15%), sebbene non si siano osservate differenze nella frequenza delle ospedalizzazioni tra i due gruppi. Nello studio Beta-blocker Evaluation of Survival (BEST)52, pazienti con scompenso cardiaco cronico e ridotta frazione di eiezione sono stati randomizzati a bucindololo o placebo. Lo studio è sta- to terminato precocemente per una mancanza di differenza nella mortalità totale dopo due anni di follow-up (33% vs 30%, rispettivamente nel gruppo placebo e nel gruppo bucindololo; p=0,16). Anche se nel BEST è stata osservata la mancanza di beneficio del bucindololo sulla sopravvivenza, il bucindololo è stato comunque associato a una riduzione della recidiva di infarto miocardico53. Sebbene la riduzione della mortalità e delle ospedalizzazioni fosse stata dimostrata con diversi beta-bloccanti nello scompenso cardiaco cronico, un effetto di classe non era ancora stato stabilito, proprio perché talora si osservavano effetti terapeutici discordanti. Successivamente, con piccoli studi si è iniziato il confronto tra i diversi beta-bloccanti nella terapia dello scompenso cardiaco. Kukin et al.54 hanno confrontato il carvedilolo ed il metoprololo alla stessa dose (25 mg bid) in un piccolo numero di pazienti (n=67). Dopo un follow-up di 6 mesi si sono verificati simili cambiamenti emodinamici ed equivalenti miglioramenti della frazione d’eiezione. 33 3 Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010 Metra et al.55 hanno valutato la funzione ventricolare in 150 pazienti con insufficienza cardiaca, che sono stati poi prospetticamente randomizzati a metoprololo o carvedilolo. Comparato al metoprololo (124 mg/die), il carvedilolo (49 mg/die) ha mostrato un miglior blocco adrenergico (in termini di frequenza cardiaca durante l’esercizio) ed un miglioramento della funzione ventricolare. Un confronto diretto tra due differenti beta-bloccanti (metoprololo vs carvedilolo) è stato valutato nel Carvedilol Or Metoprolol European Trial (COMET)56. In questo studio, pazienti con scompenso cardiaco cronico e ridotta frazione di eiezione sono stati trattati con carvedilolo (25 mg bid) o metoprololo tartrato (50 mg bid). Dopo un follow-up medio di 58 mesi, la mortalità da tutte le cause risultava inferiore nel gruppo carvedilolo (34% vs 40%) (HR 0,83; CI 0,74-0,93). Non si sono osservate differenze tra i due gruppi per quanto riguarda le reospedalizzazioni. I risultati di questo studio hanno suggerito che il carvedilolo è superiore al metoprololo nel prolungare la sopravvivenza nei pazienti con scompenso cardiaco. Tuttavia, in questo studio la formulazione di metoprololo somministrata era differente rispetto a quella usata nello studio MERIT-HF (tartrato anziché succinato a lento rilascio) e la dose-target era più bassa (50 mg/12 h vs 100 mg/12 h). In ogni caso, lo studio COMET spiega come la selezione di un beta-bloccante ed il dosaggio utilizzato possano avere un forte impatto sulla sopravvivenza in pazienti con scompenso cardiaco. Attualmente, il bisoprololo, il metoprololo (nelle formulazioni usate nel MERIT-HF) ed il carvedilolo sono i beta-bloccanti raccomandati per il trattamento dell’insufficienza cardiaca. Lo studio CARMEN (Carvedilol ACE-inhibitor remodeling in mild heart failure evaluation)57 è uno studio randomizzato, in doppio cieco, multicentrico, atto ad indagare gli effetti sul rimodellamento ventricolare sinistro, la tollerabilità e sicurezza del solo carvedilolo, del carvedilolo associato ad enalapril o dell’enalapril solo, in 572 pazienti con moderato scompenso cardiaco, già in trattamento stabile con diuretico. I pazienti con carvedilolo, da solo o in associazione con enalapril, hanno mostrato un rimodellamento inverso del ventricolo sinistro, al contrario dei pazienti trattati con solo enalapril. La tollerabilità e sicurezza è risultata identica in tutti i 3 bracci di trattamento. Successivamente, lo studio SENIORS (Study of Effects of Nebivolol Intervention on Outcomes and Rehospitalisation in Seniors with Heart Failure)58 è stato disegnato al fine di indagare gli effetti del nebivololo in pazienti anziani (età >70 anni) con scompenso cardiaco. Il nebivololo era somministrato a bassi dosaggi e, se tollerato, veniva aumentato al massimo dosaggio di 10 mg/die. Alla fine, il nebivololo ha ridotto l’end-point combinato di morte e di ospedalizzazioni cardiovascolari. Pertanto, anche il nebivololo può attualmente essere considerato un valido trattamento dell’insufficienza cardiaca. Impiego dei beta-bloccanti nelle aritmie I beta-bloccanti riducono la frequenza di scarica del nodo del seno, ne riducono l’automaticità e deprimono la conduzione atrio-ventricolare. In particolare, gli effetti sul nodo atrio-ventricolare hanno motivato l’uso dei beta-bloccanti come antiaritmici. Sembra che tutti i beta-bloccanti posseggano queste proprietà; pertanto si può affermare che gli effetti antiaritmici di questi farmaci siano effetti di classe. I beta-bloccanti sono efficaci nel sopprimere i battiti ectopici sopraventricolari e nel ridurre la frequenza cardiaca; risultano utili nel controllare le tachicardie atriali focali e nel prevenirne le recidive59. Anche la tachicardie parossistiche sopraventricolari da rientro nodale rispondono molto bene alla somministrazione venosa di alcuni betabloccanti come propranololo, metoprololo, atenololo, sotalolo o timololo, inducendo anche la riduzione della frequenza cardiaca o la conversione a ritmo sinusale59-65. I beta-bloccanti sono utili anche per prevenire le recidive: la loro somministrazione orale risulta molto efficace nel prevenire gli episodi di tachicardia parossistica sopraventricolare scatenati da stress emotivi o fisici65. Il propranololo, l’atenololo, il nadololo e il sotalolo per via orale si sono rivelati, a lungo termine, efficaci nel trattamento profilattico delle tachicardie parossistiche sopra-ventricolari59,65. Nel caso, invece, di tachicardie parossistiche da rientro atrio-ventricolare coinvolgenti vie accessorie, la somministrazione di beta-bloccanti potrebbe produrre conseguenze gravi. Infatti i beta-bloccanti, come anche la digitale ed i calcio-antagonisti, non sono in grado di bloccare la conduzione tramite via accessoria, incrementandone al contrario la conducibilità. Tutto ciò può risultare in un’elevata risposta ventricolare che, a sua volta, potrebbe portare ad ipotensione severa oppure ad arresto cardiaco67,68. Per questo motivo, i beta-bloccanti sono controindicati in tutte le aritmie associate alla sindrome di Wolff-Parkinson-White. I beta-bloccanti, però, sono indicati nei pazienti stabili con aritmie quali flutter atriale, per controllare la frequenza ventricolare, anche se non si sono dimostrati efficaci nel cardiovertire l’aritmia59. In caso di fibrillazione atriale, questi farmaci si sono dimostrati in grado di prevenire gli episodi e di controllare la frequenza cardiaca in forme croniche66. Tali effetti sono stati osservati in studi randomizzati in diversi gruppi di pazienti con scompenso cardiaco, dopo infarto miocardico o con ipertensione arteriosa 66. Nel trattamento a lungo termine, i beta-bloccanti si sono dimostrati una sicura terapia nel controllo della frequenza cardiaca nei pazienti con fibrillazione atriale. In 7 su 12 studi di comparazione con placebo, i beta-bloccanti sono risultati efficaci nel controllare la frequenza cardiaca anche a riposo. L’effetto è farmaco-specifico: i beta-bloccanti più efficaci in questa condizione risultano essere il sotalolo, il nadololo e l’atenololo71. R. Spoladore et al.: Beta-bloccanti e sistema cardiovascolare: attuali acquisizioni e controversie La combinazione di digossina con il beta-bloccante sembra essere più efficace della sola digossina o del solo beta-bloccante e si è mostrata indubbiamente più efficace della combinazione digossina-calcio antagonista nel controllare la frequenza cardiaca72-75. Riguardo alla cardioversione farmacologica della fibrillazione atriale, esistono pochi studi randomizzati che abbiano verificato l’efficacia dei betabloccanti nel ripristinare il ritmo sinusale di pazienti in fibrillazione atriale. Uno di questi studi mostra chiaramente che l’atenololo, come il sotalolo, è in grado di inibire gli episodi di fibrillazione atriale, di ridurne la durata ed i sintomi69. Tuttavia, normalmente, vengono preferite altre classi di farmaci antiaritmici per inibire gli episodi di fibrillazione atriale66. Bisogna ricordare che i beta-bloccanti sono molto efficaci, oltre che nelle tachicardie sopraventricolari, nel controllo delle aritmie ventricolari associate all’attivazione simpatica, all’ischemia e allo scompenso cardiaco, risultando utili nella prevenzione della morte improvvisa cardiaca75. La maggior parte dei beta-bloccanti è in grado di ridurre o sopprimere i battiti ectopici ventricolari. Il propranololo, il sotalolo, il metoprololo e l’atenololo sono efficaci nel ridurre gli episodi di tachicardia ventricolare, mentre l’effetto sulla fibrillazione ventricolare rimane aneddotico76. Per questo, i beta-bloccanti sono indicati nella prevenzione primaria e secondaria della morte improvvisa cardiaca77,78. Va comunque sottolineato che, in caso di prevenzione secondaria ed in presenza di insufficienza cardiaca, l’uso dei beta-bloccanti non deve precludere la possibilità di impianto di defibrillatori78. Impiego dei beta-bloccanti nell’ipertensione arteriosa L’antagonismo adrenergico riduce i valori pressori in pazienti con ipertensione arteriosa, sebbene i meccanismi responsabili non siano conosciuti a pieno. I β-bloccanti possiedono modalità di azione multiple responsabili dell’effetto ipotensivo. Parte di queste proprietà sono, ad esempio, la riduzione della frequenza cardiaca, l’inotropismo negativo, l’inibizione a livello centrale dell’attività simpatica (per quei β-bloccanti che attraversano la barriera emato-encefalica, come ad esempio il propranololo) e la riduzione dei livelli di renina plasmatica. Il rilascio di renina è inibito dai β-bloccanti, ma la relazione tra questo fenomeno e la riduzione della pressione arteriosa non è ancora del tutto chiaro. Alcuni ricercatori hanno evidenziato che l’effetto antipertensivo del propranololo è più marcato in pazienti con elevata renina plasmatica. Quando il propranololo è utilizzato a dosaggi medi (240 mg/die), rispondono al trattamento sia i pazienti con normali livelli di renina sia quelli con renina elevata. In tutti, l’attività della renina plasmatica risulta essere ridotta in seguito alla somministra- zione di propranololo, suggerendo una possibile azione diretta di questo beta-bloccante sul rilascio della renina79. Nella maggior parte dei pazienti, la combinazione degli effetti ipotensivi prevale sull’effetto ipertensivo dato dal blocco dei recettori β 2 adrenergici periferici, che ostacola la componente vasodilatatoria dell’azione dell’epinefrina. Alcuni β-bloccanti esercitano anche una debole azione alfa-bloccante, come il labetalolo. Il blocco combinato dei recettori alfa e β adrenergici riduce la pressione arteriosa tramite la riduzione delle resistenze periferiche (azione alfa-bloccante) e tramite la riduzione dell’output cardiaco (azione beta-bloccante). Tale caratteristica può essere molto utile nel trattamento del paziente anziano con ipertensione sistolica isolata. Oltre a questi effetti, è stato dimostrato come i β-bloccanti, nel trattamento dell’ipertensione arteriosa, possano ridurre l’ipertrofia ventricolare sinistra80, un effetto apparentemente indipendente dalla selettività e dall’attività simpatica intrinseca. Nonostante i beta-bloccanti siano frequentemente utilizzati come trattamento di prima scelta dell’ipertensione arteriosa, è ancora dibattuto se questa classe di farmaci sia efficace quanto altre nel prevenire morte, ictus e eventi cardiovascolari associati ad ipertensione. Le più recenti raccomandazioni suggeriscono di utilizzare come prima scelta altre classi di farmaci. Il Seventh Report of the Joint National Committee (JNC VII)81 propone l’utilizzo di un diuretico tiazidico in tutti i pazienti con ipertensione di primo grado non complicata. Infatti, dai risultati di vari trial si evince che la terapia diuretica determina riduzioni di pressione analoghe a quelle ottenute con il betablocco, ma a costo inferiore e migliore aderenza alla terapia81-83. Nello studio del British Medical Research Council82 condotto su pazienti anziani, che venivano randomizzati ad atenololo, idroclorotiazide più amiloride o placebo, i risultati sembravano favorire la terapia diuretica rispetto a quella con betabloccante per il ridotto numero di eventi cerebrovascolari, ictus, malattia coronarica e mortalità cardiovascolare. Tuttavia, un’elevata percentuale di pazienti (48% dei pazienti con diuretico, 63% in β-bloccante e 53% in placebo) aveva interrotto l’assunzione della terapia nel follow-up. A parte un’apparente superiorità della terapia diuretica, una meta-analisi di nove studi clinici randomizzati ha evidenziato come il trattamento con atenololo riduca la pressione arteriosa similmente a quello con altri farmaci anti-ipertensivi, ma si associ a più elevata mortalità cardiovascolare e ad una più frequente incidenza di ictus84. Una più ampia meta-analisi ha evidenziato una non superiorità dei beta-bloccanti rispetto a tutte le altre classi di anti-ipertensivi nel prevenire eventi cardiovascolari, ed una inferiorità nel prevenire ictus85. In particolare, sono stati analizzati 13 studi controllati randomizzati dove i beta-bloccanti erano paragonati a altri farmaci antipertensivi, per un totale di 105.951 pazienti. 35 36 Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010 Complessivamente, il rischio relativo di ictus è risultato essere il 16% più alto per i pazienti che assumevano beta-bloccanti piuttosto che altri farmaci. La maggiore incidenza di ictus riguardava soprattutto gli studi che utilizzavano atenololo (26%). Gli sperimentatori hanno sottolineato che negli studi in cui si utilizzavano beta-bloccanti differenti dall’atenololo, il numero di eventi era troppo esiguo per trarre qualunque conclusione. I beta-bloccanti erano anche associati ad un incremento di mortalità per tutte le cause (3%), ma non c’era differenza per quanto riguardava l’infarto miocardico. Messerli et al.86 sostengono la tesi contro l’uso dei beta-bloccanti come prima terapia negli anziani, poiché fanno riferimento a una meta-analisi di 10 studi in cui i diuretici riducevano la mortalità per tutte le cause, mentre non sono disponibili dati altrettanto solidi per i beta-bloccanti. Dalla meta-analisi di questi studi si evince che valori pressori-target venivano raggiunti nel 66% dei pazienti trattati con diuretici contro il 25-35% dei pazienti trattati con beta-bloccante. Oltre a questo, nello studio di Bangalore et al.87 veniva evidenziato come la riduzione della frequenza cardiaca fosse associata ad un incremento di mortalità e morbilità nei pazienti ipertesi. L’unico fattore riconosciuto dagli autori come determinante il peggiore outcome di questi pazienti è l’incremento della pressione aortica centrale, ma va sempre considerato che i meccanismi con cui i beta-bloccanti migliorano la prognosi, in differenti contesti clinici, sono molteplici. È verosimile che il meccanismo di azione predominante dei beta-bloccanti per i quali è stato dimostrato un certo grado di efficacia non sia riconducibile alla mera riduzione di frequenza cardiaca88. Nello studio ASCOT (Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial-Lipid Lowering Arm)89 viene confrontata l’efficacia, in termini di riduzione di eventi e procedure cardiovascolari, del trattamento con amlodipina vs atenololo nei pazienti con ipertensione arteriosa non complicata da malattia coronarica. I risultati evidenziano come la superiorità del trattamento con calcio-antagonista non sia influenzata dalla maggiore frequenza cardiaca basale che si osservava in questo braccio dello studio. Si evince, quindi, che l’elevata frequenza cardiaca basale non rappresenti attualmente un’indicazione all’utilizzo preferenziale del beta bloccante nei pazienti privi di malattia coronarica. Infine, nello studio LIFE (Losartan Intervention for Endpoint Reduction in Hypertension)90 un inibitore dei recettori dell’angiotensina (losartan) risultava più efficace dei beta-bloccanti nel ridurre l’ipertrofia ventricolare sinistra. In considerazione di queste osservazioni, numerosi autori affermano che, sebbene sia “non corretto” concludere che i beta-bloccanti non risultano efficaci in pazienti con ipertensione primaria, il loro effetto è chiaramente “subottimale” e suggeriscono che la minore efficacia preventiva del beta- bloccante rispetto a altri farmaci antiipertensivi dipenda dai diversi effetti emodinamici. Infatti, il trattamento con beta-bloccanti risulta in una riduzione della pressione arteriosa brachiale ma non riduce la pressione arteriosa sistolica centrale tanto quanto il trattamento con ACE-inibitori, diuretici e calcio-antagonisti91. Inoltre, è stato dimostrato che la maggior parte dei beta-bloccanti di prima generazione, ma comunque ancora affermati nel trattamento dell’ipertensione, presentano numerosi effetti metabolici e vascolari dannosi che potrebbero spiegare il peggioramento della prognosi nei pazienti ipertesi che assumono beta-bloccanti92. Tuttavia, in uno studio multicentrico93, il carvedilolo è stato in grado di ridurre l’incidenza di microalbuminuria nei pazienti ipertesi. Il miglioramento di tale parametro non ha coinciso con l’abbassamento della pressione arteriosa, suggerendo l’esistenza di un meccanismo indipendente di nefroprotezione. Da questi risultati appare evidente come sia difficile interpretare il beneficio del beta-bloccante nel trattamento dell’ipertensione. Resta tuttavia certo che i beta-bloccanti andrebbero utilizzati in alcune categorie di pazienti ad alto rischio (es. pazienti che abbiano avuto un infarto miocardico acuto, pazienti con elevato rischio di malattia coronarica, pazienti con scompenso cardiaco). Impiego dei beta-bloccanti come profilassi nella chirurgia non cardiaca In corso di chirurgia non cardiaca possono variare sia i fattori che incrementano il consumo di ossigeno miocardico sia quelli che diminuiscono l’apporto di sangue al cuore: da un lato possiamo avere tachicardia e ipertensione legati allo stress chirurgico, al dolore postoperatorio e all’eventuale utilizzo di farmaci simpatico-mimetici, dall’altro l’atto chirurgico può associarsi a ipotensione, vasospasmo, anemizzazione. L’intervento chirurgico, inoltre, si associa ad uno stato di ipercoagulabilità ed attivazione dei mediatori dell’infiammazione. La variabile combinazione di questi fattori può incrementare lo stress sulla placca aterosclerotica e facilitarne la rottura con trombo ed infarto miocardico perioperatorio94,95. I beta-bloccanti sono farmaci in grado di ridurre il consumo miocardico di ossigeno,diminuendo la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e la contrattilità miocardica; sono inoltre dotati di proprietà anti-infiammatorie96,97 e anti-aritmiche. Teoricamente si presentano, quindi, come farmaci ideali per prevenire le complicanze cardiologiche in chirurgia non cardiaca ed in questi anni si è effettivamente assistito ad un notevole proliferare di letteratura a riguardo. Sono stati pubblicati lavori sull’utilizzo di questi farmaci in chirurgia sia generale98,99 che vascolare100-104 o in entrambe105; oltre a varie rassegne e meta-analisi106-108. R. Spoladore et al.: Beta-bloccanti e sistema cardiovascolare: attuali acquisizioni e controversie I risultati sono stati spesso discordanti, in relazione anche a molteplici variabili presenti nei vari studi: diversità nel tipo e nel modo di somministrazione del beta-bloccante, diversità sia nelle tipologie chirurgica cui i pazienti erano sottoposti sia nelle caratteristiche cliniche di questi ultimi, e diversità per endpoint non sempre omogenei. Dall’analisi critica di questa vasta mole di letteratura a riguardo, le recenti Linee-Guida della Società Europea di Cardiologia sulle problematiche cardiologiche in chirurgia non cardiaca109 considerano indicazione di Classe 1 per i betabloccanti per pazienti con nota cardiopatia ischemica o evidenza di ischemia miocardica a test funzionali preoperatori, per pazienti candidati a chirurgia ad alto rischio, per pazienti già cronicamente in beta-bloccanti per ipertensione, aritmie, cardiopatia ischemica. L’indicazione è meno “evidente” (Classe 2A) per pazienti già in trattamento cronico beta-bloccante per scompenso o per pazienti da candidare a chirurgia a rischio intermedio. Nelle stesse Linee-Guida si raccomanda di iniziare il trattamento qualche settimana prima dell’intervento (per poter titolare il farmaco a valori ottimali di frequenza cardiaca) e proseguirlo almeno per 1 settimana dopo l’intervento, privilegiando beta-bloccanti selettivi e a lunga emivita come il bisoprololo. Effetti dei beta-bloccanti sull’insulino-resistenza L’ipertensione essenziale è molto frequentemente associata ad insulino-resistenza, il cui principale determinante è la disfunzione endoteliale. La funzione endoteliale è nettamente peggiorata dalla vasocostrizione92: si comprende, pertanto, come i beta-bloccanti con azione vasocostrittiva peggiorino l’omeostasi glucidica promuovendo l’insulino-resistenza e favorendo la comparsa di diabete mellito di tipo 288,93. Studi che hanno valutato l’insorgenza del diabete mellito di tipo 2 durante il trattamento dell’ipertensione ne hanno mostrato un’alta incidenza durante la terapia con atenololo e una incidenza minore quando viene impostata una terapia massimale con ACE-inibitori e, ove necessario, β-bloccanti 110. Gli ACE-inibitori hanno quindi mostrato di avere un effetto positivo nel migliorare l’insulino-sensibilità, diminuendo il profilo aterogenico, mentre i beta-bloccanti, soprattutto quelli selettivi, determinano importanti effetti negativi sul profilo lipidico, oltre che su quello glucidico111,112. I meccanismi con cui i β-bloccanti esercitano il loro effetto sul profilo metabolico non è ben noto, ma sono state formulate diverse ipotesi, tra cui la riduzione della lipoprotein-lipasi muscolare e della lecitin-colesterol-acyltranferasi e le modificazioni della clearance e della secrezione insulinica113. Recenti studi metabolici hanno evi- denziato che i β-bloccanti vasodilatatori (come nebivololo, carvedilolo e celiprololo) non riducono la sensibilità all’insulina114,115 e non peggiorano il profilo lipidico116. Il carvedilolo è stato dimostrato migliorare la sensibilità all’insulina, a differenza dell’atenololo e del metoprololo, e migliorare alcune componenti della sindrome metabolica in pazienti ipertesi diabetici117. Oltre al carvedilolo, va considerato per questo aspetto metabolico anche il nebivololo, un beta-bloccante con proprietà di vasodilatatore mediante rilascio di nitrossido118. Tale effetto risulta, infatti, in un miglioramento della sensibilità insulinica, dal momento che gli effetti dell’insulina sui vasi sono mediati dal nitrossido119. Il trattamento dell’ipertensione con nebivololo non si associa a peggioramento della sensibilità insulinica in pazienti con intolleranza glucidica113 o con diabete tipo 2117. Conclusioni I farmaci β-bloccanti differiscono nel profilo di blocco adrenergico e in altre proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche. Esistono pochi dati comparativi a disposizione per guidare le opzioni terapeutiche. Relativamente, pochi β-bloccanti hanno dimostrato di avere un sicuro beneficio sulla mortalità in vari contesti patologici, ma vi è sovrapposizione tra farmaci che riducono la mortalità nel post-infarto (propranololo, timololo, metoprololo e carvedilolo) e farmaci che inducono beneficio nello scompenso cardiaco cronico (metoprololo, bisoprololo e carvedilolo). Per le loro proprietà anti-ischemiche, i beta-bloccanti trovano impiego come farmaci antianginosi e nel trattamento dell’infarto acuto e del post-infarto, patologie nelle quali riducono la mortalità totale e cardiovascolare. Nell’insufficienza cardiaca sono indicati in associazione agli ACE-inibitori, al fine di ridurre la mortalità e la progressione dello scompenso. Grazie alla riduzione della frequenza e dell’automaticità del nodo del seno e alla depressione della conduzione atrioventricolare, i beta-bloccanti sono efficaci nel trattamento e nella prevenzione delle recidive di tachicardie atriali focali e tachicardie parossistiche sopraventricolari; sono, inoltre, efficaci nella prevenzione della morte cardiaca improvvisa e nel controllo di tachicardie ventricolari associate a attivazione simpatica. Non c’è ad oggi indicazione all’impiego dei beta-bloccanti come trattamento di prima scelta nell’ipertensione arteriosa primaria. Attualmente, è aperto il dibattito sulle diverse modificazioni metaboliche indotte dai beta-bloccanti selettivi o non selettivi. In conclusione, si può affermare che i beta-bloccanti presentano chiara indicazione al trattamento di molteplici patologie cardiache, ma che ulteriori studi sono necessari per approfondire la conoscenza degli effetti cardiaci e periferici in relazione alla loro selettività. 37 38 Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010 Bibliografia 1. Ahlquist RP. A study of adrenotropic receptors. Am J Physiol 1948: 153: 586-600. 2. Black JW, Stephenson JS. Pharmacology of a new adrenergic beta-receptor-blocking compound (nethalide). Lancet 1962; 2: 311-4. 3. Frishman W, Halprin S. Clinical pharmacology of the new beta-adrenergic blocking drugs. Part 7. New horizons in beta-adrenoceptor blockade therapy: labetalol. Am Heart J 1979; 98: 660-5. 4. Lowes BD, Chidiac P, Olsen S, at al. Clinical relevance of inverse agonism and guanine nucleotide modulable binding properties of beta-adrenergic receptor blocking agents. Circulation 1994, 90; I-543. 5. Mimran A, Ducalair G. 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