429-441 Oss-Spoladore - Recenti Progressi in Medicina

Osservatorio
Recenti Prog Med 010; 101: -1
Beta-bloccanti e sistema cardiovascolare:
attuali acquisizioni e controversie
Roberto Spoladore, Gabriele Fragasso, Claudia Montanaro, Francesco Maranta, Camilla Torlasco,
Stefano Gerosa, Alberto Margonato
Riassunto. Vengono sintetizzate le più recenti acquisizioni e
controversie sull’uso dei beta-bloccanti in ambito cardiovascolare. I beta-bloccanti sono inibitori competitivi delle catecolamine e esplicano la loro azione attraverso il blocco dei
recettori alfa e beta adrenergici. I vari beta-bloccanti hanno
maggiore o minore selettività per i recettori alfa, beta e i loro sottotipi (beta 1, beta , beta3), con andamento dose-dipendente. La maggior parte degli effetti terapeutici dei beta-bloccanti si estrinseca a livello cardiovascolare, dove agiscono come cronotropi e inotropi negativi, cioè tendono a ridurre il lavoro cardiaco migliorando il rapporto tra domanda e apporto di ossigeno. Le indicazioni cliniche sono molteplici. Per le loro proprietà anti-ischemiche i beta-bloccanti trovano impiego come farmaci antianginosi e nel trattamento dell’infarto acuto e del post-infarto, dove riducono la
mortalità totale e cardiovascolare. Nell’insufficienza cardiaca sono indicati in associazione agli ACE inibitori al fine di ridurre la mortalità e la progressione dello scompenso. Grazie alla riduzione della frequenza e dell’automaticità del nodo del seno e alla depressione della conduzione atrioventricolare, i beta-bloccanti sono efficaci nel trattamento e nella
prevenzione delle recidive di tachicardie atriali focali e tachicardie parossistiche sopraventricolari; sono inoltre efficaci nella prevenzione della morte cardiaca improvvisa e nel
controllo di tachicardie ventricolari associate ad attivazione
simpatica. Non c’è ad oggi indicazione all’utilizzo dei betabloccanti come prima scelta nell’ipertensione arteriosa primaria. Attualmente è aperto il dibattito sulle diverse modificazioni metaboliche indotte dai beta-bloccanti selettivi o
non selettivi. In conclusione, i beta-bloccanti presentano
chiara indicazione al trattamento di molteplici patologie cardiache. Ulteriori studi sono necessari per approfondire la conoscenza degli effetti cardiaci e periferici dei vari beta-bloccanti in relazione alla loro selettività.
Summary. Present trends and controversies in the use
of beta-blockers in cardiovascular diseases.
In this paper we summarize present trends and controversies in the use of beta-blockers in cardiovascular diseases.
Beta-blockers are catecolamine competitive inhibitors and
act through alpha and beta adrenergic receptors blockade.
Different agents have a dose-dependent affinity for different beta adrenergic receptors (beta 1, beta , beta 3) which
is less with higher doses. The most important therapeutic
effects of beta-blockers are on cardiovascular system, where
they act as negative chronotropic and inotropic agents,
lowering cardiac work and improving oxygen demand
/supply ratio. Clinical indications are numerous. For their anti-ischemic activity beta-blockers are used as anti-anginal
drugs and in acute and previous myocardial infarction for
preventing total and cardiovascular mortality. Combined
use of beta-blockers and ACE inhibitors slows down heart
failure progression and reduces cardiovascular mortality.
Beta-blockers are useful in treating focal atrial tachycardia
and supra ventricular paroxysmal tachycardia, by reducing
sinus node automaticity and delay atrio-ventricular conduction; they also prevent sudden cardiac death and ventricular tachycardia associated with increased sympathetic
activity. There is no indication in treating primary non-complicated hypertension with beta-blockers as first-line drugs.
Different metabolic effects of selective and non-selective
beta-blockers are actually debated. In conclusion, betablockers have indication in the treatment of many cardiovascular diseases. Further studies are needed for better understanding the differences in cardiac and peripheral betablockers effects depending on their selectivity.
Parole chiave. Aritmie cardiache, beta-bloccanti, cardiopatia ischemica, insufficienza cardiaca, insulino-resistenza,
ipertensione arteriosa, mortaltà cardiovascolare, tachicardia atriale, tachicardia ventricolare
Key words. Atrial tachycardia, beta-blockers, cardiovascular
mortality, heart failure, hypertension, insulin resistance syndrome, myocardial infarction, ventricular tachycardia.
Introduzione
Gli effetti che ne derivano sono recettore- e tessuto-specifici. I farmaci che bloccano i recettori beta-adrenergici
sono inibitori competitivi delle catecolamine.
Basandosi sull’osservazione delle differenti risposte fisiologiche, Ahlquist1 più di 50 anni fa intuì e dimostrò che i beta-agonisti interagivano con due differenti tipi di recettori: gli alfa-adrenergici ed i betaadrenergici.
Tra i vari neurotrasmettitori circolanti, le catecolamine, che sono sia neurotrasmettitori del sistema nervoso simpatico sia ormoni circolanti, mediano numerose
risposte fisiologiche e metaboliche. Questi effetti risultano dall’interazione delle catecolamine con i recettori
adrenergici localizzati in una grande varietà di tessuti.
Unità Insufficienza Cardiaca, Dipartimento di Scienze cardiovascolari, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano.
Pervenuto il 13 gennaio 2010.
30
Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010
Gli studi successivi evidenziarono che entrambi i recettori esistevano come sottotipi (beta 1, beta2, alfa1, alfa2) in base al tipo di agonismo preferenziale, all’effetto
e alla localizzazione a livello tessutale.
I recettori β-1 sono localizzati nel tessuto cardiaco. I
β-2 sono presenti prevalentemente a livello delle cellule
muscolari lisce dei vasi periferici (dove svolgono il ruolo
di vasodilatatori) e dei bronchi, ma anche in altri tipi di
tessuti come quello cardiaco. Complessivamente, la stimolazione di entrambi i recettori porta ad un incremento della contrattilità cardiaca.
I recettori β-1 sono prevalentemente localizzati a livello della giunzione sinaptica, mentre i recettori β-2 sono presenti anche a livello presinaptico, dove facilitano
il rilascio di noradrenalina. I β-1 sono stimolati per lo
più dal neurotrasmettitore noradrenalina, per il quale
possiedono un’elevata affinità, mentre i recettori β-2 sono principalmente attivati dall’adrenalina libera in circolo, che comunque mantiene un’affinità equivalente per
entrambi i recettori.
La stimolazione dei recettori alfa-1 e alfa-2 determna
vasocostrizione. In modo simile ai recettori β, i recettori
alfa-1 sono principalmente localizzati in prossimità della
regione sinaptica e rispondono alle catecolamine rilasciate dai terminali nervosi; i recettori alfa-2 sono maggiormente concentrati nelle regioni al di fuori dei terminali
nervosi e pertanto rispondono maggiormente alle catecolamine in circolo. I recettori alfa-2 che sono localizzati a livello presinaptico, inibiscono il rilascio di noradrenalina.
I recettori alfa-adrenergici sono poco rappresentati
nel cuore umano e mediano un aumento di contrattilità
solo marginale.
Seguendo le osservazioni di Ahlquist1, alla fine degli anni ’50 furono avviati programmi farmacologici
per sviluppare agenti β-bloccanti. Il primo farmaco sintetizzato fu il propranololo (un farmaco non selettivo
con affinità per i recettori sia β-1 che β-2)2 , introdotto
nella pratica clinica nel 1968 come farmaco anti-ischemico. Negli anni ’70, basandosi sul concetto che la
mancanza di blocco dei recettori β-2 avrebbe ridotto alcuni degli effetti collaterali periferici e polmonari dei
farmaci non selettivi, furono sviluppati i β-bloccanti di
seconda generazione che selettivamente antagonizzano i recettori β-1 rispetto ai β-2 (farmaci cardioselettivi). Il primo farmaco β-bloccante selettivo fu il practololo.
Successivamente, negli anni ’70 ed ’80, lo sviluppo
dei farmaci condusse alla creazione di β-bloccanti con
proprietà vasodilatatorie, allo scopo di trattare principalmente l’ipertensione arteriosa. Il labetalolo con proprietà alfa-bloccanti fu il primo di questi agenti di terza
generazione3.
Esistono similitudini strutturali tra i β-agonisti ed
antagonisti. Le 7 regioni “membrane-spanning” del recettore β-adrenergico formano una struttura cilindrica e
sia gli agonisti che gli antagonisti si legano con il cilindro
ed uniscono 2 o più regioni “membrane-spanning”. Gli
antagonisti competitivi impediscono il legame dell’agonista con il sito di legame, prevenendo l’attivazione del
recettore. Alcuni β-bloccanti, dopo aver occupato il sito di
legame, causano un’attivazione parziale del recettore,
una proprietà conosciuta come attività simpatica intrinseca (ASI). Al contrario, dal momento che i recettori βadrenergici possono avere un’attività intrinseca in assenza del legame con l’agonista, alcuni β-bloccanti possono inattivare i recettori in stato attivo, pur in assenza
del legame con l’agonista. Questo fenomeno è conosciuto
come agonismo inverso. Gli agenti β-bloccanti con effetto agonista inverso posso indurre gradi minori di bradicardia4.
La maggior parte degli importanti effetti terapeutici
dei β-bloccanti si estrinseca in ambito cardiovascolare.
Dal momento che le catecolamine mediano azioni cronotrope ed inotrope positive, i β-bloccanti riducono la frequenza cardiaca e diminuiscono la contrattilità miocardica: tendono a ridurre il lavoro cardiaco. Gli antagonisti β-adrenergici tendono a aumentare il consumo miocardico di ossigeno poiché determinano un aumento della pressione di fine-diastole e del volume ma, dal momento che riducono anche gli effetti delle catecolamine
a livello dei tessuti che consumano ossigeno, l’effetto netto finale è quello di migliorare il rapporto tra domanda
e apporto di ossigeno.
La somministrazione di farmaci β-bloccanti a breve
termine riduce l’output cardiaco, il flusso ematico verso
organi periferici risulta ridotto, la perfusione renale e la
filtrazione glomerulare possono risultare ridotte in maniera moderata (effetto generalmente trascurabile nei
pazienti senza insufficienza renale). Con il blocco non selettivo, le resistenze periferiche aumentano secondariamente all’inattivazione dei recettori vascolari β-2, ma
con l’uso prolungato dei β-bloccanti le resistenze periferiche totali tornano infine ai valori di partenza5.
Gli antagonisti β-adrenergici riducono la frequenza
sinusale, in maniera evidente durante l’esercizio fisico
quando vi è dominanza del sistema simpatico. A livello
molecolare, riducono la frequenza delle depolarizzazioni
spontanee da parte dei pacemaker ectopici, rallentano
la conduzione negli atri e nel nodo atrio-ventricolare, aumentando il periodo refrattario del nodo atrio-ventricolare. Sebbene si pensi che tutti questi effetti siano mediati dal solo blocco dei recettori β-1, anche i recettori β2 possono essere coinvolti nel regolare la frequenza cardiaca nell’uomo6.
Importante è il ruolo della renina, il cui rilascio, determinato dall’apparato juxta-glomerulare, è favorito
dalla stimolazione simpatica. Pertanto, i β-bloccanti riducono anche la conversione della pro-renina in renina7,
portando ad un’inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, importante meccanismo patofisiologico di rimodellamento cardiaco.
Rilevante differenza tra i farmaci β-bloccanti è la loro selettività verso i due sottotipi di recettore β e sulla
capacità di blocco dei recettori alfa. I β-bloccanti sono generalmente classificati come selettivi (predominanza di
blocco dei recettori β-1) e non selettivi (blocco simile dei
recettori β-1 e β-2); tuttavia la selettività non è assoluta
ma relativa e quindi dose-dipendente8. Sia i farmaci selettivi sia quelli non selettivi hanno effetti cronotropi ed
inotropi negativi. Siccome i farmaci selettivi inibiscono
in misura minore i recettori β-2 (responsabili della vasodilatazione periferica), essi causano meno frequentemente vasocostrizione periferica. Per tale motivo la tolleranza all’esercizio può essere meno compromessa con
i farmaci β-1 selettivi, perché il blocco dei recettori β-2
può ridurre l’apporto di sangue ai muscoli scheletrici durante il lavoro intenso. I bloccanti selettivi, inoltre, determinano broncocostrizione in misura minore dei farmaci non selettivi9.
Impiego dei beta-bloccanti
nella cardiopatia ischemica
Molti trial clinici hanno dimostrato che i β-bloccanti possono essere classificati come farmaci antianginosi perché riducono il numero di attacchi
anginosi e aumentano la tolleranza all’esercizio fisico, riducendo l’uso di nitroglicerina.
R. Spoladore et al.: Beta-bloccanti e sistema cardiovascolare: attuali acquisizioni e controversie
Al momento della rassegna di Freemantle11, soI meccanismi anti-ischemici dei β-bloccanti sono multipli e includono la riduzione della frelo un piccolo trial coinvolgente il carvedilolo era
quenza cardiaca, l’inotropismo e la velocità masstato preso in considerazione. Nello studio di Basima di accorciamento della fibra muscolare carsu et al.28 la somministrazione acuta endovena di
diaca: tutto questo riduce la richiesta di ossigeno.
carvedilolo in pazienti con infarto miocardico acuGli effetti dei β-bloccanti sulla riduzione della
to aveva mostrato una diminuzione significativa
mortalità totale e cardiovascolare (sia improvvisa
di mortalità, re-infarti, angina e scompenso. Sucche non) come dell’infarto acuto non fatale, è ben
cessivamente, sono stati condotti numerosi altri
nota e documentata in diversi trial10, sebbene i
trial che avevano come oggetto l’approfondimento
meccanismi molecolari coinvolti non siano comdelle conoscenze, degli effetti e delle proprietà del
pletamente noti.
carvedilolo. Ci sono dati molto convincenti sulla
Circa 100 diversi studi hanno valutato l’effetto
diminuzione della mortalità a seguito dell’uso di
dei β-bloccanti nel post-infarto: incredibilmente
tre β-bloccanti non selettivi (timololo, propranolo
non esistono studi che comparino i diversi farmaci
e carvedilolo) ed uno selettivo (metoprololo) nel
β-bloccanti in questa specifica popolazione. Tuttapost-infarto. Non è chiaro se il beneficio sulla morvia, tali dati sono desumibili da studi di metanalitalità sia dose-dipendente o se comunque sia risi. In una metanalisi di regressione pubblicata nel
chiesto il raggiungimento di una dose minima. At1999, Freemantle et al.11 hanno identificato 31
tualmente, nella clinica si punta alla somministrazione della dose target, determinata in base a
trial (complessivamente 25.000 pazienti) che stuquella utilizzata nei trial e con la quale si è dimodiavano a lungo-termine (un periodo ≥ 6 mesi) il
strato l’effetto benefico sulla mortalità. Nella fattrattamento con β-bloccanti dopo infarto acuto del
tispecie, la dose-target per il propranolo12 è di 180miocardio. Il complessivo odds ratio per la mortalità, derivato da tutti gli studi, era 0,7 (0,5-0,9). I
240 mg/die, per il metoprololo23 è 200 mg die, per
quattro studi maggiori che hanno preso in esame
il timololo15 è 20 mg die e per il carvedilolo29 è 50
gli effetti dei β-bloccanti sono stati: il Beta Blocker
mg die.
Heart Attack Trial (BHAT)12 (che valutava le proprietà del propranololo); il Multicenter International Trial13 (che prendeva in esame il practololo); il
Impiego dei beta-bloccanti
nell’insufficienza cardiaca
Lopressor Intervention Trial Research Group14
(che valutava gli effetti del metoprololo); il Norwegian Multicenter Study (che considerava l’azione
Nella figura 1 si può osservare uno schema redel timololo)15. Sia il BHAT che il Norwegian Mullativo ai principali effetti fisiopatologici dell’attiticenter Trial hanno mostrato un beneficio stativazione adrenergica conseguente alla disfunzione
sticamente significativo sulla mortalità, beneficio
ventricolare, mentre nella figura 2 (a pagina seche veniva confermato da una valutazione specifiguente) uno schema relativo ai principali meccaca effettuata su altri trial. In aggiunta al BHAT, il
nismi d’azione dei differenti tipi di beta bloccante.
propranololo è stato studiato in altri 6 piccoli trial16-21.
Nel BHAT l’odds ratio relativo alla sopravvivenza era
0,72 (0,56-0,91). Il timololo,
studiato nel Norwegian Multicenter Trial15 e in un altro
piccolo studio22 mostrava un
odds ratio relativo alla sopravvivenza di 0,59 (0,460,77). Sia il propranololo sia
il timololo sono β-bloccanti
non selettivi, privi di effetto
ASI. Il metoprololo (agente
selettivo, senza proprietà
ASI) è stato valutato nel Lopressor Intervention Trial
(LIT)14, in un altro grande
studio23 e in altri 4 studi minori24-27. Lo studio LIT non
ha raggiunto una potenza
Figura 1. Schema riassuntivo delle principali modificazioni neurormonali adrenergiche seguenti alstatistica significativa, menla disfunzione ventricolare. Si sottolinea l’iniziale effetto positivo compensatorio e, al contrario, gli
tre lo studio di Hjalmarson23
effetti dannosi dell’iperattività adrenergica cronica: molteplici, dunque, sono anche i meccanismi
ha evidenziato una riduzione
d’azione del β-bloccante.
ADH: ormone anti-diuretico; SRA: sistema renina-angiotensina-aldosterone; PA: pressione arteriodel 36% della mortalità nei
sa; FC: frequenza cardiaca; AG: acidi grassi; SCC: scompenso cardiaco cronico.
pazienti trattati con metoprololo (p<0,03).
31
3
Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010
diuretici ed ACE-inibitori,
hanno ricevuto, con assegnazione randomizzata, bisoprololo o placebo per un
periodo di follow-up di 1,3
anni. Lo studio è stato interrotto precocemente perché il bisoprololo ha evidenziato un significativo beneficio sulla mortalità (11,8%
vs 17,3%). Si è registrato un
minor numero di morti cardiache improvvise nei pazienti trattati con bisoprololo rispetto a quelli in placebo (3,5% vs 6,3%). L’efficacia del trattamento risultava indipendente dalla causa
o dalla severità dello scompenso cardiaco.
Figura . Schema illustrativo dei diversi livelli d’azione dei farmaci β-bloccanti, secondo la differente selettività recettoriale. Nella fase di titolazione iniziale si può avere un peggioramento dello scomOltre a questo, l’efficacia
penso per interferenza con i meccanismi compensatori β-dipendenti.
del bisoprololo è stata ulteriormente verificata nello
studio CIBIS III51. Esso è
stato il primo ad indagare
Nei pazienti con insufficienza cardiaca il betal’opportunità di iniziare il trattamento per l’insuffiblocco del sistema nervoso simpatico a lungo tercienza cardiaca con beta-bloccante oppure con ACEmine è raccomandato in aggiunta all’impiego di
inibitore. Nello studio CIBIS III è stata confrontata,
ACE-inibitore al fine di ridurre la mortalità30,31.
per i primi sei mesi di trattamento, la monoterapia
Oltre a ciò, i beta-bloccanti sono anche indicati in
con bisoprololo rispetto al trattamento con solo enapazienti con scompenso cardiaco cronico e conserlapril. Successivamente, dal sesto mese fino al venvata funzione sistolica globale del ventricolo sinitiquattresimo, è stata studiata l’associazione dei
stro31. L’evidenza del beneficio clinico dei beta-blocdue composti. Le due strategie si sono dimostrate
canti in pazienti con scompenso cardiaco cronico
ugualmente efficaci sull’end-point primario, combicon disfunzione del ventricolo sinistro è stata dinato con la mortalità e il numero di ospedalizzaziomostrata con numerosi piccoli studi, oltre che con
ni (per tutte le cause). Il braccio trattato con solo bistudi prospettici randomizzati comprendenti un
soprololo, però, ha mostrato una riduzione della
campione superiore a 15.000 pazienti32-47.
mortalità del 28% alla fine della fase in monoteraGli studi di mortalità con carvedilolo38-41,46-48, bipia, ed una riduzione del 31% della mortalità alla
soprololo43 e metoprololo35,36,44,45 hanno mostrato,
fine del primo anno (p=0,06). I risultati del CIBIS
III supportano la strategia che propone la possibilia lungo termine, una riduzione della mortalità getà reale di iniziare la terapia dello scompenso carnerale, mortalità cardiovascolare e morte improvdiaco con beta bloccante, nello specifico il bisoprolovisa, ed una riduzione della progressione dello
lo, piuttosto che con l’ACE-inibitore.
scompenso cardiaco in pazienti in classe funzionaNello studio Metoprolol Randomised Intervenle NYHA II-IV. In questi studi, la terapia beta-bloction Trial (MERIT-HF)44, pazienti con scompenso
cante ha anche ridotto il numero delle ospedalizcardiaco cronico in classe funzionale NYHA II-IV,
zazioni (secondarie a cause cardiovascolari e scompenso cardiaco), ha migliorato la classe funzionale
con frazione di eiezione inferiore o uguale a 40% e
in terapia cronica stabile, sono stati randomizzati
NYHA e ha portato ad una minor progressione dell’insufficienza cardiaca rispetto al placebo. Questo
a metoprololo CR/XL o placebo. Anche questo studio è stato interrotto precocemente: la mortalità
effetto benefico è stato costantemente osservato in
sottogruppi di differente età, genere, classe funper tutte le cause era significativamente inferiore
nel gruppo trattato con metoprololo (7,2% vs
zionale, eziologia dello scompenso, con diabete e
11,0%). Si è verificata, inoltre, una riduzione del
non. In piccoli studi controllati, il beta-bloccante
41% della morte cardiaca improvvisa e del 49%
ha migliorato la funzione ventricolare37,49. È stato
delle morti dovute a riacutizzazioni o peggioraosservato che la tolleranza all’esercizio può mimento dello scompenso cardiaco.
gliorare36, come anche i sintomi e la qualità di vita50. La tabella 1 (alla pagina seguente) riporta i
Nello studio Carvedilol Prospective Randomised Cumulative Survival (COPERNICUS)46, paprincipali studi con beta-bloccanti nell’insufficienza cardiaca. Nello studio Cardiac Insufficiency Bizienti con sintomi di scompenso a riposo o dopo minimi sforzi, e con frazione di eiezione inferiore a
soprolol Study II (CIBIS-II)43, pazienti sintomatici
25% sono stati randomizzati a placebo oppure a
in classe NYHA III-IV, con frazione d’eiezione micarvedilolo per un periodo medio di 10,4 mesi.
nore o uguale a 35%, e già in terapia cronica con
R. Spoladore et al.: Beta-bloccanti e sistema cardiovascolare: attuali acquisizioni e controversie
Tabella 1. Principali studi sull’effetto dei β-bloccanti nello scompenso cardiaco.
Sigla e principale
obiettivo dello studio
Caratteristiche
dei pazienti
Pazienti
arruolati
Durata media
del follow-up
Risultato principale
CIBIS-II: effetto del bisoprololo NYHA III-IV, FE ≤35%, trattati
nello SCC
con diuretici e ACE-inibitore
67
1,3 anni
Mortalità per tutte le cause:
bisoprololo 11,8% vs 17,3%
placebo (p<0,0001)
CIBIS-III: effetto nello SCC
della terapia con bisoprololo
iniziale seguito da enalapril
comparato alla sequenza
opposta
NYHA II-III, FE ≤35%, non
trattati con ACE-inibitore
e β-bloccante
1010
1, anni
Le strategie sono simili per
l’end-point combinato di
morte e ospedalizzazione per
tutte le cause
MERIT-HF: effetto del
metoprololo CR/XL nello SCC
NYHA II-IV, FE ≤0%, trattati
con diuretici e ACE-inibitore
31
1 anno
Mortalità per tutte le cause:
metoprololo 7,% vs 11%,
placebo (p=0,006)
CoPERNICUS: effetto
del carvedilolo nelllo SCC
severo
NYA IV, FE ≤5%, trattati con
diuretici e ACE-inibitore
8
0,87 anni
Rischio di morte diminuito
del 35% con carvedilolo
(p=0,001)
CAPRICoRN: effetto del
carvedilolo dopo infarto
miocardico acuto con
disfunzione VS
Infarto miocardico nei 3-1
giorni precedenti, FE ≤0%,
appropriatamente trattati con
ACE-inibitore
15
1,3 anni
Mortalità per tutte le cause:
carvedilolo 1% vs
15% placebo (p=0,031)
BEST: effetto del bucindololo
nello SCC
NYHA III-IV, FE ≤35%, trattati
con diuretici e ACE-inibitore
708
anni
Non significativo beneficio
di sopravvivenza
con bucindololo (p=0,13)
CoMET: comparazione di
carvedilolo e metoprololo nell
SCC
NYHA II-IV, FE ≤35%, trattati
con diuretici e ACE-inibitore
1511
,8 anni
Mortalità per tutte le cause:
carvedilolo 3% vs
metoprololo 0% (p=0,0017)
SENIoRS: effetto del
nobivololo nello SCC
Età ≥70, FE ≤35%
o una documentata
ospedalizzazione
per scompenso cardiaco
18
1,75 anni
Morte o ospedalizzazione
cardiovascolare: nebivololo
31,1% vs 35,3% placebo
(p=0,03)
Legenda: SCC: scompenso cardiaco cronico; NYHA: classi funzionali della New York Heart Association; FE: frazione di eiezione; ACE: enzima di conversione dell’angiotensina; VS: ventricolo sinistro. Metroprololo CR/XL: rilascio controllato/rilascio prolungato.
Lo studio è di nuovo terminato prematuramente dopo aver osservato una significativa riduzione
della mortalità nel gruppo trattato con carvedilolo:
il rischio cumulativo di morte ad un anno era del
18,5% nel gruppo placebo e del 11,4% nel gruppo
carvedilolo. Come negli studi precedenti, si è verificata una riduzione delle ospedalizzazioni e della
morte cardiaca improvvisa.
Nello studio Carvedilol Post-Infarct Survival
Control in Left Ventricular Dysfunction (CAPRICORN)48, pazienti con funzione sistolica globale
inferiore al 40%, immediatamente dopo infarto
miocardico acuto, sono stati randomizzati a carvedilolo o placebo. Dopo un follow-up a 1,3 anni,
la mortalità (per tutte le cause) risultava inferiore nel gruppo trattato con beta-bloccante (12% vs
15%), sebbene non si siano osservate differenze
nella frequenza delle ospedalizzazioni tra i due
gruppi.
Nello studio Beta-blocker Evaluation of Survival (BEST)52, pazienti con scompenso cardiaco cronico e ridotta frazione di eiezione sono stati randomizzati a bucindololo o placebo. Lo studio è sta-
to terminato precocemente per una mancanza di
differenza nella mortalità totale dopo due anni di
follow-up (33% vs 30%, rispettivamente nel gruppo
placebo e nel gruppo bucindololo; p=0,16). Anche
se nel BEST è stata osservata la mancanza di beneficio del bucindololo sulla sopravvivenza, il bucindololo è stato comunque associato a una riduzione della recidiva di infarto miocardico53.
Sebbene la riduzione della mortalità e delle
ospedalizzazioni fosse stata dimostrata con diversi beta-bloccanti nello scompenso cardiaco cronico,
un effetto di classe non era ancora stato stabilito,
proprio perché talora si osservavano effetti terapeutici discordanti.
Successivamente, con piccoli studi si è iniziato il confronto tra i diversi beta-bloccanti nella terapia dello scompenso cardiaco. Kukin et al.54
hanno confrontato il carvedilolo ed il metoprololo alla stessa dose (25 mg bid) in un piccolo numero di pazienti (n=67). Dopo un follow-up di 6
mesi si sono verificati simili cambiamenti emodinamici ed equivalenti miglioramenti della frazione d’eiezione.
33
3
Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010
Metra et al.55 hanno valutato la funzione ventricolare in 150 pazienti con insufficienza cardiaca, che sono stati poi prospetticamente randomizzati a metoprololo o carvedilolo. Comparato
al metoprololo (124 mg/die), il carvedilolo (49
mg/die) ha mostrato un miglior blocco adrenergico (in termini di frequenza cardiaca durante
l’esercizio) ed un miglioramento della funzione
ventricolare.
Un confronto diretto tra due differenti beta-bloccanti (metoprololo vs carvedilolo) è stato valutato
nel Carvedilol Or Metoprolol European Trial (COMET)56. In questo studio, pazienti con scompenso
cardiaco cronico e ridotta frazione di eiezione sono
stati trattati con carvedilolo (25 mg bid) o metoprololo tartrato (50 mg bid). Dopo un follow-up medio di 58 mesi, la mortalità da tutte le cause risultava inferiore nel gruppo carvedilolo (34% vs 40%)
(HR 0,83; CI 0,74-0,93). Non si sono osservate differenze tra i due gruppi per quanto riguarda le reospedalizzazioni. I risultati di questo studio hanno
suggerito che il carvedilolo è superiore al metoprololo nel prolungare la sopravvivenza nei pazienti
con scompenso cardiaco. Tuttavia, in questo studio
la formulazione di metoprololo somministrata era
differente rispetto a quella usata nello studio MERIT-HF (tartrato anziché succinato a lento rilascio)
e la dose-target era più bassa (50 mg/12 h vs 100
mg/12 h). In ogni caso, lo studio COMET spiega come la selezione di un beta-bloccante ed il dosaggio
utilizzato possano avere un forte impatto sulla sopravvivenza in pazienti con scompenso cardiaco.
Attualmente, il bisoprololo, il metoprololo (nelle formulazioni usate nel MERIT-HF) ed il carvedilolo
sono i beta-bloccanti raccomandati per il trattamento dell’insufficienza cardiaca.
Lo studio CARMEN (Carvedilol ACE-inhibitor
remodeling in mild heart failure evaluation)57 è
uno studio randomizzato, in doppio cieco, multicentrico, atto ad indagare gli effetti sul rimodellamento ventricolare sinistro, la tollerabilità e sicurezza del solo carvedilolo, del carvedilolo associato
ad enalapril o dell’enalapril solo, in 572 pazienti
con moderato scompenso cardiaco, già in trattamento stabile con diuretico. I pazienti con carvedilolo, da solo o in associazione con enalapril, hanno
mostrato un rimodellamento inverso del ventricolo sinistro, al contrario dei pazienti trattati con solo enalapril. La tollerabilità e sicurezza è risultata
identica in tutti i 3 bracci di trattamento.
Successivamente, lo studio SENIORS (Study of
Effects of Nebivolol Intervention on Outcomes and
Rehospitalisation in Seniors with Heart Failure)58
è stato disegnato al fine di indagare gli effetti del
nebivololo in pazienti anziani (età >70 anni) con
scompenso cardiaco. Il nebivololo era somministrato a bassi dosaggi e, se tollerato, veniva aumentato al massimo dosaggio di 10 mg/die. Alla fine, il nebivololo ha ridotto l’end-point combinato di
morte e di ospedalizzazioni cardiovascolari. Pertanto, anche il nebivololo può attualmente essere
considerato un valido trattamento dell’insufficienza cardiaca.
Impiego dei beta-bloccanti nelle aritmie
I beta-bloccanti riducono la frequenza di scarica del nodo del seno, ne riducono l’automaticità e
deprimono la conduzione atrio-ventricolare. In particolare, gli effetti sul nodo atrio-ventricolare hanno motivato l’uso dei beta-bloccanti come antiaritmici. Sembra che tutti i beta-bloccanti posseggano
queste proprietà; pertanto si può affermare che gli
effetti antiaritmici di questi farmaci siano effetti
di classe.
I beta-bloccanti sono efficaci nel sopprimere i
battiti ectopici sopraventricolari e nel ridurre la
frequenza cardiaca; risultano utili nel controllare
le tachicardie atriali focali e nel prevenirne le recidive59. Anche la tachicardie parossistiche sopraventricolari da rientro nodale rispondono molto bene alla somministrazione venosa di alcuni betabloccanti come propranololo, metoprololo, atenololo, sotalolo o timololo, inducendo anche la riduzione della frequenza cardiaca o la conversione a ritmo sinusale59-65. I beta-bloccanti sono utili anche
per prevenire le recidive: la loro somministrazione
orale risulta molto efficace nel prevenire gli episodi di tachicardia parossistica sopraventricolare
scatenati da stress emotivi o fisici65. Il propranololo, l’atenololo, il nadololo e il sotalolo per via orale
si sono rivelati, a lungo termine, efficaci nel trattamento profilattico delle tachicardie parossistiche
sopra-ventricolari59,65. Nel caso, invece, di tachicardie parossistiche da rientro atrio-ventricolare
coinvolgenti vie accessorie, la somministrazione di
beta-bloccanti potrebbe produrre conseguenze gravi. Infatti i beta-bloccanti, come anche la digitale
ed i calcio-antagonisti, non sono in grado di bloccare la conduzione tramite via accessoria, incrementandone al contrario la conducibilità. Tutto ciò
può risultare in un’elevata risposta ventricolare
che, a sua volta, potrebbe portare ad ipotensione
severa oppure ad arresto cardiaco67,68. Per questo
motivo, i beta-bloccanti sono controindicati in tutte le aritmie associate alla sindrome di Wolff-Parkinson-White.
I beta-bloccanti, però, sono indicati nei pazienti
stabili con aritmie quali flutter atriale, per controllare la frequenza ventricolare, anche se non si sono
dimostrati efficaci nel cardiovertire l’aritmia59.
In caso di fibrillazione atriale, questi farmaci si
sono dimostrati in grado di prevenire gli episodi e
di controllare la frequenza cardiaca in forme croniche66. Tali effetti sono stati osservati in studi
randomizzati in diversi gruppi di pazienti con
scompenso cardiaco, dopo infarto miocardico o con
ipertensione arteriosa 66. Nel trattamento a lungo
termine, i beta-bloccanti si sono dimostrati una sicura terapia nel controllo della frequenza cardiaca
nei pazienti con fibrillazione atriale. In 7 su 12 studi di comparazione con placebo, i beta-bloccanti sono risultati efficaci nel controllare la frequenza
cardiaca anche a riposo. L’effetto è farmaco-specifico: i beta-bloccanti più efficaci in questa condizione risultano essere il sotalolo, il nadololo e l’atenololo71.
R. Spoladore et al.: Beta-bloccanti e sistema cardiovascolare: attuali acquisizioni e controversie
La combinazione di digossina con il beta-bloccante sembra essere più efficace della sola digossina o del solo beta-bloccante e si è mostrata indubbiamente più efficace della combinazione digossina-calcio antagonista nel controllare la frequenza
cardiaca72-75.
Riguardo alla cardioversione farmacologica della fibrillazione atriale, esistono pochi studi randomizzati che abbiano verificato l’efficacia dei betabloccanti nel ripristinare il ritmo sinusale di pazienti in fibrillazione atriale. Uno di questi studi
mostra chiaramente che l’atenololo, come il sotalolo, è in grado di inibire gli episodi di fibrillazione
atriale, di ridurne la durata ed i sintomi69. Tuttavia, normalmente, vengono preferite altre classi di
farmaci antiaritmici per inibire gli episodi di fibrillazione atriale66.
Bisogna ricordare che i beta-bloccanti sono molto efficaci, oltre che nelle tachicardie sopraventricolari, nel controllo delle aritmie ventricolari associate all’attivazione simpatica, all’ischemia e allo
scompenso cardiaco, risultando utili nella prevenzione della morte improvvisa cardiaca75. La maggior parte dei beta-bloccanti è in grado di ridurre o
sopprimere i battiti ectopici ventricolari. Il propranololo, il sotalolo, il metoprololo e l’atenololo sono efficaci nel ridurre gli episodi di tachicardia
ventricolare, mentre l’effetto sulla fibrillazione
ventricolare rimane aneddotico76. Per questo, i beta-bloccanti sono indicati nella prevenzione primaria e secondaria della morte improvvisa cardiaca77,78. Va comunque sottolineato che, in caso di
prevenzione secondaria ed in presenza di insufficienza cardiaca, l’uso dei beta-bloccanti non deve
precludere la possibilità di impianto di defibrillatori78.
Impiego dei beta-bloccanti
nell’ipertensione arteriosa
L’antagonismo adrenergico riduce i valori pressori in pazienti con ipertensione arteriosa, sebbene
i meccanismi responsabili non siano conosciuti a
pieno. I β-bloccanti possiedono modalità di azione
multiple responsabili dell’effetto ipotensivo. Parte
di queste proprietà sono, ad esempio, la riduzione
della frequenza cardiaca, l’inotropismo negativo,
l’inibizione a livello centrale dell’attività simpatica
(per quei β-bloccanti che attraversano la barriera
emato-encefalica, come ad esempio il propranololo) e la riduzione dei livelli di renina plasmatica. Il
rilascio di renina è inibito dai β-bloccanti, ma la relazione tra questo fenomeno e la riduzione della
pressione arteriosa non è ancora del tutto chiaro.
Alcuni ricercatori hanno evidenziato che l’effetto
antipertensivo del propranololo è più marcato in
pazienti con elevata renina plasmatica. Quando il
propranololo è utilizzato a dosaggi medi (240
mg/die), rispondono al trattamento sia i pazienti
con normali livelli di renina sia quelli con renina
elevata. In tutti, l’attività della renina plasmatica
risulta essere ridotta in seguito alla somministra-
zione di propranololo, suggerendo una possibile
azione diretta di questo beta-bloccante sul rilascio
della renina79. Nella maggior parte dei pazienti, la
combinazione degli effetti ipotensivi prevale sull’effetto ipertensivo dato dal blocco dei recettori β 2
adrenergici periferici, che ostacola la componente
vasodilatatoria dell’azione dell’epinefrina. Alcuni
β-bloccanti esercitano anche una debole azione alfa-bloccante, come il labetalolo. Il blocco combinato dei recettori alfa e β adrenergici riduce la pressione arteriosa tramite la riduzione delle resistenze periferiche (azione alfa-bloccante) e tramite la
riduzione dell’output cardiaco (azione beta-bloccante). Tale caratteristica può essere molto utile
nel trattamento del paziente anziano con ipertensione sistolica isolata.
Oltre a questi effetti, è stato dimostrato come i
β-bloccanti, nel trattamento dell’ipertensione arteriosa, possano ridurre l’ipertrofia ventricolare sinistra80, un effetto apparentemente indipendente dalla selettività e dall’attività simpatica intrinseca.
Nonostante i beta-bloccanti siano frequentemente utilizzati come trattamento di prima scelta
dell’ipertensione arteriosa, è ancora dibattuto se
questa classe di farmaci sia efficace quanto altre
nel prevenire morte, ictus e eventi cardiovascolari associati ad ipertensione. Le più recenti raccomandazioni suggeriscono di utilizzare come prima
scelta altre classi di farmaci. Il Seventh Report of
the Joint National Committee (JNC VII)81 propone l’utilizzo di un diuretico tiazidico in tutti i pazienti con ipertensione di primo grado non complicata. Infatti, dai risultati di vari trial si evince
che la terapia diuretica determina riduzioni di
pressione analoghe a quelle ottenute con il betablocco, ma a costo inferiore e migliore aderenza alla terapia81-83.
Nello studio del British Medical Research
Council82 condotto su pazienti anziani, che venivano randomizzati ad atenololo, idroclorotiazide più
amiloride o placebo, i risultati sembravano favorire la terapia diuretica rispetto a quella con betabloccante per il ridotto numero di eventi cerebrovascolari, ictus, malattia coronarica e mortalità
cardiovascolare. Tuttavia, un’elevata percentuale
di pazienti (48% dei pazienti con diuretico, 63% in
β-bloccante e 53% in placebo) aveva interrotto l’assunzione della terapia nel follow-up.
A parte un’apparente superiorità della terapia
diuretica, una meta-analisi di nove studi clinici
randomizzati ha evidenziato come il trattamento
con atenololo riduca la pressione arteriosa similmente a quello con altri farmaci anti-ipertensivi,
ma si associ a più elevata mortalità cardiovascolare e ad una più frequente incidenza di ictus84.
Una più ampia meta-analisi ha evidenziato una
non superiorità dei beta-bloccanti rispetto a tutte
le altre classi di anti-ipertensivi nel prevenire
eventi cardiovascolari, ed una inferiorità nel prevenire ictus85. In particolare, sono stati analizzati
13 studi controllati randomizzati dove i beta-bloccanti erano paragonati a altri farmaci antipertensivi, per un totale di 105.951 pazienti.
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Complessivamente, il rischio relativo di ictus è
risultato essere il 16% più alto per i pazienti che
assumevano beta-bloccanti piuttosto che altri farmaci. La maggiore incidenza di ictus riguardava
soprattutto gli studi che utilizzavano atenololo
(26%). Gli sperimentatori hanno sottolineato che
negli studi in cui si utilizzavano beta-bloccanti differenti dall’atenololo, il numero di eventi era troppo esiguo per trarre qualunque conclusione. I beta-bloccanti erano anche associati ad un incremento di mortalità per tutte le cause (3%), ma non
c’era differenza per quanto riguardava l’infarto
miocardico.
Messerli et al.86 sostengono la tesi contro l’uso
dei beta-bloccanti come prima terapia negli anziani, poiché fanno riferimento a una meta-analisi di
10 studi in cui i diuretici riducevano la mortalità
per tutte le cause, mentre non sono disponibili dati altrettanto solidi per i beta-bloccanti. Dalla meta-analisi di questi studi si evince che valori pressori-target venivano raggiunti nel 66% dei pazienti trattati con diuretici contro il 25-35% dei pazienti trattati con beta-bloccante. Oltre a questo,
nello studio di Bangalore et al.87 veniva evidenziato come la riduzione della frequenza cardiaca fosse associata ad un incremento di mortalità e morbilità nei pazienti ipertesi. L’unico fattore riconosciuto dagli autori come determinante il peggiore
outcome di questi pazienti è l’incremento della
pressione aortica centrale, ma va sempre considerato che i meccanismi con cui i beta-bloccanti migliorano la prognosi, in differenti contesti clinici,
sono molteplici. È verosimile che il meccanismo di
azione predominante dei beta-bloccanti per i quali è stato dimostrato un certo grado di efficacia non
sia riconducibile alla mera riduzione di frequenza
cardiaca88.
Nello studio ASCOT (Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial-Lipid Lowering Arm)89 viene
confrontata l’efficacia, in termini di riduzione di
eventi e procedure cardiovascolari, del trattamento con amlodipina vs atenololo nei pazienti
con ipertensione arteriosa non complicata da malattia coronarica. I risultati evidenziano come la
superiorità del trattamento con calcio-antagonista non sia influenzata dalla maggiore frequenza
cardiaca basale che si osservava in questo braccio
dello studio. Si evince, quindi, che l’elevata frequenza cardiaca basale non rappresenti attualmente un’indicazione all’utilizzo preferenziale del
beta bloccante nei pazienti privi di malattia coronarica.
Infine, nello studio LIFE (Losartan Intervention for Endpoint Reduction in Hypertension)90 un
inibitore dei recettori dell’angiotensina (losartan)
risultava più efficace dei beta-bloccanti nel ridurre l’ipertrofia ventricolare sinistra.
In considerazione di queste osservazioni, numerosi autori affermano che, sebbene sia “non corretto” concludere che i beta-bloccanti non risultano efficaci in pazienti con ipertensione primaria, il
loro effetto è chiaramente “subottimale” e suggeriscono che la minore efficacia preventiva del beta-
bloccante rispetto a altri farmaci antiipertensivi
dipenda dai diversi effetti emodinamici. Infatti, il
trattamento con beta-bloccanti risulta in una riduzione della pressione arteriosa brachiale ma
non riduce la pressione arteriosa sistolica centrale tanto quanto il trattamento con ACE-inibitori,
diuretici e calcio-antagonisti91.
Inoltre, è stato dimostrato che la maggior parte dei beta-bloccanti di prima generazione, ma comunque ancora affermati nel trattamento dell’ipertensione, presentano numerosi effetti metabolici e vascolari dannosi che potrebbero spiegare il peggioramento della prognosi nei pazienti
ipertesi che assumono beta-bloccanti92. Tuttavia,
in uno studio multicentrico93, il carvedilolo è stato in grado di ridurre l’incidenza di microalbuminuria nei pazienti ipertesi. Il miglioramento di
tale parametro non ha coinciso con l’abbassamento della pressione arteriosa, suggerendo l’esistenza di un meccanismo indipendente di nefroprotezione.
Da questi risultati appare evidente come sia difficile interpretare il beneficio del beta-bloccante
nel trattamento dell’ipertensione. Resta tuttavia
certo che i beta-bloccanti andrebbero utilizzati in
alcune categorie di pazienti ad alto rischio (es. pazienti che abbiano avuto un infarto miocardico acuto, pazienti con elevato rischio di malattia coronarica, pazienti con scompenso cardiaco).
Impiego dei beta-bloccanti
come profilassi nella chirurgia non cardiaca
In corso di chirurgia non cardiaca possono variare sia i fattori che incrementano il consumo di
ossigeno miocardico sia quelli che diminuiscono
l’apporto di sangue al cuore: da un lato possiamo avere tachicardia e ipertensione legati allo
stress chirurgico, al dolore postoperatorio e all’eventuale utilizzo di farmaci simpatico-mimetici, dall’altro l’atto chirurgico può associarsi a
ipotensione, vasospasmo, anemizzazione. L’intervento chirurgico, inoltre, si associa ad uno
stato di ipercoagulabilità ed attivazione dei mediatori dell’infiammazione. La variabile combinazione di questi fattori può incrementare lo
stress sulla placca aterosclerotica e facilitarne la
rottura con trombo ed infarto miocardico perioperatorio94,95.
I beta-bloccanti sono farmaci in grado di ridurre il consumo miocardico di ossigeno,diminuendo
la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e la
contrattilità miocardica; sono inoltre dotati di proprietà anti-infiammatorie96,97 e anti-aritmiche.
Teoricamente si presentano, quindi, come farmaci ideali per prevenire le complicanze cardiologiche in chirurgia non cardiaca ed in questi anni si
è effettivamente assistito ad un notevole proliferare di letteratura a riguardo. Sono stati pubblicati
lavori sull’utilizzo di questi farmaci in chirurgia sia
generale98,99 che vascolare100-104 o in entrambe105;
oltre a varie rassegne e meta-analisi106-108.
R. Spoladore et al.: Beta-bloccanti e sistema cardiovascolare: attuali acquisizioni e controversie
I risultati sono stati spesso discordanti, in relazione anche a molteplici variabili presenti nei
vari studi: diversità nel tipo e nel modo di somministrazione del beta-bloccante, diversità sia
nelle tipologie chirurgica cui i pazienti erano sottoposti sia nelle caratteristiche cliniche di questi
ultimi, e diversità per endpoint non sempre omogenei.
Dall’analisi critica di questa vasta mole di letteratura a riguardo, le recenti Linee-Guida della
Società Europea di Cardiologia sulle problematiche cardiologiche in chirurgia non cardiaca109
considerano indicazione di Classe 1 per i betabloccanti per pazienti con nota cardiopatia ischemica o evidenza di ischemia miocardica a test
funzionali preoperatori, per pazienti candidati a
chirurgia ad alto rischio, per pazienti già cronicamente in beta-bloccanti per ipertensione, aritmie, cardiopatia ischemica. L’indicazione è meno
“evidente” (Classe 2A) per pazienti già in trattamento cronico beta-bloccante per scompenso o
per pazienti da candidare a chirurgia a rischio intermedio.
Nelle stesse Linee-Guida si raccomanda di iniziare il trattamento qualche settimana prima dell’intervento (per poter titolare il farmaco a valori
ottimali di frequenza cardiaca) e proseguirlo almeno per 1 settimana dopo l’intervento, privilegiando beta-bloccanti selettivi e a lunga emivita come il bisoprololo.
Effetti dei beta-bloccanti sull’insulino-resistenza
L’ipertensione essenziale è molto frequentemente associata ad insulino-resistenza, il cui
principale determinante è la disfunzione endoteliale. La funzione endoteliale è nettamente
peggiorata dalla vasocostrizione92: si comprende,
pertanto, come i beta-bloccanti con azione vasocostrittiva peggiorino l’omeostasi glucidica promuovendo l’insulino-resistenza e favorendo la
comparsa di diabete mellito di tipo 288,93. Studi
che hanno valutato l’insorgenza del diabete mellito di tipo 2 durante il trattamento dell’ipertensione ne hanno mostrato un’alta incidenza durante la terapia con atenololo e una incidenza
minore quando viene impostata una terapia
massimale con ACE-inibitori e, ove necessario,
β-bloccanti 110. Gli ACE-inibitori hanno quindi
mostrato di avere un effetto positivo nel migliorare l’insulino-sensibilità, diminuendo il profilo
aterogenico, mentre i beta-bloccanti, soprattutto quelli selettivi, determinano importanti effetti negativi sul profilo lipidico, oltre che su quello glucidico111,112.
I meccanismi con cui i β-bloccanti esercitano
il loro effetto sul profilo metabolico non è ben noto, ma sono state formulate diverse ipotesi, tra
cui la riduzione della lipoprotein-lipasi muscolare e della lecitin-colesterol-acyltranferasi e le
modificazioni della clearance e della secrezione
insulinica113. Recenti studi metabolici hanno evi-
denziato che i β-bloccanti vasodilatatori (come
nebivololo, carvedilolo e celiprololo) non riducono la sensibilità all’insulina114,115 e non peggiorano il profilo lipidico116. Il carvedilolo è stato dimostrato migliorare la sensibilità all’insulina, a
differenza dell’atenololo e del metoprololo, e migliorare alcune componenti della sindrome metabolica in pazienti ipertesi diabetici117. Oltre al
carvedilolo, va considerato per questo aspetto
metabolico anche il nebivololo, un beta-bloccante con proprietà di vasodilatatore mediante rilascio di nitrossido118. Tale effetto risulta, infatti,
in un miglioramento della sensibilità insulinica,
dal momento che gli effetti dell’insulina sui vasi
sono mediati dal nitrossido119. Il trattamento
dell’ipertensione con nebivololo non si associa a
peggioramento della sensibilità insulinica in pazienti con intolleranza glucidica113 o con diabete
tipo 2117.
Conclusioni
I farmaci β-bloccanti differiscono nel profilo di
blocco adrenergico e in altre proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche. Esistono pochi dati comparativi a disposizione per guidare le opzioni terapeutiche. Relativamente, pochi β-bloccanti hanno dimostrato di avere un sicuro beneficio sulla mortalità in vari contesti patologici,
ma vi è sovrapposizione tra farmaci che riducono
la mortalità nel post-infarto (propranololo, timololo, metoprololo e carvedilolo) e farmaci che inducono beneficio nello scompenso cardiaco cronico (metoprololo, bisoprololo e carvedilolo). Per le
loro proprietà anti-ischemiche, i beta-bloccanti
trovano impiego come farmaci antianginosi e nel
trattamento dell’infarto acuto e del post-infarto,
patologie nelle quali riducono la mortalità totale
e cardiovascolare. Nell’insufficienza cardiaca sono indicati in associazione agli ACE-inibitori, al
fine di ridurre la mortalità e la progressione dello scompenso. Grazie alla riduzione della frequenza e dell’automaticità del nodo del seno e alla depressione della conduzione atrioventricolare, i beta-bloccanti sono efficaci nel trattamento
e nella prevenzione delle recidive di tachicardie
atriali focali e tachicardie parossistiche sopraventricolari; sono, inoltre, efficaci nella prevenzione della morte cardiaca improvvisa e nel controllo di tachicardie ventricolari associate a attivazione simpatica. Non c’è ad oggi indicazione all’impiego dei beta-bloccanti come trattamento di
prima scelta nell’ipertensione arteriosa primaria.
Attualmente, è aperto il dibattito sulle diverse
modificazioni metaboliche indotte dai beta-bloccanti selettivi o non selettivi. In conclusione, si
può affermare che i beta-bloccanti presentano
chiara indicazione al trattamento di molteplici
patologie cardiache, ma che ulteriori studi sono
necessari per approfondire la conoscenza degli effetti cardiaci e periferici in relazione alla loro selettività.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Gabriele Fragasso
Istituto Scientifico San Raffaele
Dipartimento di Scienze Cardiovascolari
Unità Insufficienza Cardiaca
Via olgettina 60
013 Milano
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